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Walter Ferreri Guida pratica all’acquisto del telescopio GRUPPO EDITORE GRUPPO EDITORE

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Walter Ferreri

Guida pratica

all’acquisto

del telescopio

GRUPPO EDITOREGRUPPO EDITORE

guida tra rifl ettori e rifrattori, indicando lo strumento più adatto

vatorio Astronomico di Torino; si occupa di ricerca scientifi ca, ditelescopi e di astrofotografi a. Ha scritto numerosi libri di divulga-zione e centinaia di articoli e ha collaborato a opere enciclopediche; tiene corsi di astronomia e conferenze. Nel 1977 ha fondato la rivista Orione, dalla quale è derivato nel 1992 il mensile , di cui è il direttore scientifi co. La ha dedicato il pianetino 3308.

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Walter Ferreri

Guida pratica

all’acquisto

del telescopio

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Sommario

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 4Che cos’è e come funziona un telescopio . . . . . . . . . . . . . pag. 6Un po’ di storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 14I modelli disponibili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 28Quale telescopio per chi inizia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 37Il binocolo: un complemento utilissimo . . . . . . . . . . . . . . pag. 41Per chi desidera vedere “un po’ di tutto” . . . . . . . . . . . . . pag. 43Per gli appassionati dei pianeti e della Luna. . . . . . . . . . . pag. 49Per chi desidera dedicarsi al Sole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 60Per scandagliare gli astri oltre il Sistema Solare. . . . . . . . pag. 65Per fotografare il cielo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 69Per chi desidera collaborare alla ricerca . . . . . . . . . . . . . . pag. 77Telescopi per chi viaggia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 81Gli accessori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 84Il mercato dell’usato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 95Costruzioni su ordinazione e autocostruzione . . . . . . . . . pag. 100Come testare i telescopi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 104In conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 107Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 109

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Introduzione

Molti di coloro che si interessano di astronomia prima o poi sentono il desiderio di osservare direttamente le meraviglie del cielo delle quali leggono le entusiastiche descrizioni su riviste e libri divulgativi o navigando in Internet.Talvolta, questo si risolve recandosi presso un osservatorio astrono-mico, ma, più frequentemente, acquistando o dotandosi di un pro-prio telescopio, anche grazie al fatto che oggi uno strumento per scrutare il cielo è molto più accessibile rispetto a quanto non fosse nel passato. Con un guadagno medio di una settimana di lavoro, oggi si può acquistare un telescopio che negli Anni 80 del secolo scorso richiedeva un mese, e trent’anni prima addirittura sei mesi!Il maggior tempo libero a disposizione e la maggiore accessibilità economica hanno visto molte più persone acquistare un telescopio e di conseguenza le aziende produttrici e importatrici si sono prodiga-te nell’offrire molti modelli. Ma, proprio l’abbondanza dei modelli reperibili oggi sul mercato crea problemi di scelta al principiante, che ha difficolt a scegliere lo strumento pi adatto alle proprie esigenze. D’altro canto, non sempre seguire le indicazioni di un negoziante è la cosa più saggia, essenzialmente per due motivi. Il primo è che spesso chi vende telescopi è un ottico o un fotografo, la cui com-petenza si limita all aspetto oculistico-fotografico e non è quindi in grado di fornire un consiglio valido su strumenti che tratta in misura marginale. Fanno eccezione quei commessi o titolari che siano essi stessi degli appassionati, ma sono una minoranza. Il secondo moti-vo, umanamente comprensibile, è che un negoziante tende a consi-gliare un prodotto che ha già in negozio o uno sul quale il margine di guadagno è superiore.Anche rivolgersi a un osservatorio astronomico spesso non dà i ri-sultati sperati. Gli astronomi professionisti utilizzano telescopi ben diversi da quelli amatoriali e generalmente non conoscono il merca-to e i modelli per gli appassionati. A questo aggiungiamo che molti ricercatori sono pi astrofisici che osservatori, ovvero lavorano pi al computer che al telescopio!

na soluzione consiste nel frequentare un associazione di astrofili, appassionati del cielo che di norma sono abbastanza informati anche

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sugli strumenti di osservazione. Qui il principiante può ricevere molte informazioni utili sull’acquisto del telescopio più adatto alle sue esigenze.Occorre solo prestare attenzione al fatto che non di rado gli astrofilidivengono anche dei “tifosi” di certi strumenti, in particolare di quello che posseggono! Così si trova che chi ha un Newton sostiene a spada tratta che questa è la soluzione migliore; chi ha un rifrattore sosterrà la causa dei telescopi a lenti e il detentore di un telescopio catadiottrico metterà in campo i vantaggi di quest’ultima soluzione.Non di rado, il principiante, dopo aver seguito diversi dibattiti tra astrofili esperti sullo strumento migliore , si trova frastornato e con le idee confuse. Le cose non sono migliori seguendo i forum dispo-nibili in internet.Per tutti questi motivi, ritengo che possa essere di qualche utilità la lettura di questo lavoro, dove gli strumenti vengono presentati in modo imparziale, elencandone pregi e difetti.n considerazione delle finalit di questo libro, è apparso quanto

mai opportuno aggiungere alla fine un lossario molto esaustivo, in modo che il lettore possa subito conoscere il significato dei termini utilizzati lungo il testo.Gli autori delle immagini sono riportati al termine delle rispettive didascalie. In assenza di indicazioni, si intende che le immagini sono state realizzate o procurate direttamente dall’autore del volume.

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CAPITOLO 1

Che cos’è e come funziona un telescopio

La parola “telescopio” è formata dai termini di origine greca “tele” e scopio , che significano vedere lontano . l vocabolo venne co-niato dal matematico Giovanni Demisiani nel XVII secolo, in alter-nativa a “cannocchiale” (da “occhiale cannone”).Attualmente, seguendo l’esempio anglosassone, si utilizza di prefe-renza il termine “cannocchiale” per indicare gli strumenti utilizza-ti per le visioni di paesaggi terrestri, quelli che forniscono sempre un’immagine completamente raddrizzata, mentre il termine “tele-scopio” viene riservato agli strumenti destinati all’osservazione del cielo, che comunemente danno un’immagine rovesciata.Da noi è meno seguita la distinzione francese, secondo la quale “cannocchiale” è lo strumento a lenti (lunettes), e telescopio quello a specchi.In questo libro viene seguita la più diffusa distinzione anglosassone, chiamando rifrattori i telescopi a lenti e ri ettori quelli a specchi.n definitiva, un telescopio è uno strumento ottico destinato essen-

zialmente all’osservazione degli astri, ma utilizzabile anche per l’osservazione di panorami terrestri.Per il pubblico non esperto, il telescopio è principalmente un grosso e lungo cannocchiale con all’interno una grande quantità di lenti; quindi il telescopio rifrattore è quello che più si avvicina all’idea popolare di tale strumento.Lo stesso pubblico inesperto rimane molto sorpreso nell’apprendere che anche un grande telescopio professionale contiene solo due o tre lenti a una estremità e quattro o cinque all’altra, con l’interno che ne è quasi sempre privo.In effetti, un ottimo telescopio non deve avere molti elementi ottici, ma averli molto ben realizzati. L’ideale è utilizzare il minor nume-ro possibile di lenti (o specchi) lavorati con la massima precisione possibile. Ma vediamo ora di capire come funziona un telescopio, iniziando da quello a lenti, il rifrattore.

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Il telescopio rifrattoreA un’estremità del tubo di un telescopio rifrattore vi sono delle lenti (quasi sempre due), il cui scopo è quello di raccogliere i raggi lu-minosi e di concentrarli, deviandoli, in modo da focalizzarli a una certa distanza. La distanza alla quale i raggi vengono focalizzati, cioè concentrati in un punto se la sorgente luminosa è puntiforme, determina la grandezza dell’immagine. Maggiore è questa distanza e più grande risulta l’immagine. Lunghezza focale o focale è il nome che si dà a questa distanza quando si focalizza un astro o un oggetto molto distante. Nei rifrattori, la focale corrisponde quasi esattamen-te alla lunghezza fisica del tubo ottico. La dimensione delle lenti determina la luminosità. Più sono grandi, più l’immagine che formano è luminosa. Le lenti che raccolgono la luce e che formano un’immagine del soggetto prendono il nome di obiettivo. Diciamo subito che l’obiettivo è l’elemento ottico più importante di un telescopio; talmente importante da caratterizzarlo.È fondamentale che sia ben realizzato; un obiettivo lavorato in modo approssimativo o difettoso non fornirà mai prestazioni di valore.L’immagine formata dall’obiettivo di un telescopio, come quella di

In un rifrattore,

l’osservatore

osserva in linea

con il tubo

l’immagine,

ingrandita

dall’oculare,

formata

dall’obiettivo

(composto quasi

sempre da due

lenti).

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una macchina fotografica, pu essere raccolta su uno schermo carta translucida, vetro opalino ecc.) o su un sensore, ma è scomoda da vedere direttamente, oltre che molto piccola.Per questo motivo, la si osserva tramite un’ottica che funge da lente di ingrandimento e che prende il nome di oculare. Il nome di que-sta lente deriva dal fatto che è l’ottica alla quale si accosta l’oc-chio. In breve, si può dire che l’obiettivo raccoglie i raggi luminosi e, concentrandoli, ne forma un’immagine. L’oculare, ingrandendo quest’immagine, rende accessibili all’occhio tutti i dettagli che con-tiene e ne rende agevole la contemplazione.

l telescopio riflettoreNei telescopi a specchio, i ri ettori, l obiettivo, anzich da lenti, è costituito da uno specchio. Tale specchio, che è concavo, è situato sul fondo del tubo. La luce in arrivo colpisce questo specchio che la ri ette, facendola convergere verso un secondo specchio pi piccolo

In tre dei quattro più diffusi schemi ottici, l’osservatore guarda da dietro,

come nel rifrattore o cannocchiale. Solo nel Newton (e nelle varianti

Schmidt-Newton e Maksutov-Newton) si guarda di lato al tubo.

Si noti come gli schemi dei Maksutov e degli Schmidt-Cassegrain diano

luogo a strumenti più compatti.

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e situato in prossimità dell’estremità superiore del tubo.l secondo specchio prende il nome di secondario e, nei ri ettori

classici, è piano; esso si limita a deviare di 90° la luce in arrivo in modo da portarla a lato del tubo. Per i telescopi piccoli e medi, que-sto evita che l’osservatore, ponendosi davanti al tubo, ostruisca in gran parte il fascio di luce che deve arrivare sull’obiettivo.Nei ri ettori definiti catadiottrici lo specchio secondario non è piano, ma convesso; esso ri ette la luce ricevuta rinviandola verso il centro del primario, che in questo caso è forato.Così, l’immagine si osserva dietro il tubo, come in un rifrattore. Anche nei ri ettori classici la focale corrisponde all incirca alla lunghezza del tubo.Per quelli catadiottrici, che sono molto più compatti la focale corri-sponde alla distanza che dal punto in cui si forma l’immagine di una stella il cono di luce deve percorrere per allargarsi fino a raggiungere la dimensione dell’obiettivo (dello specchio primario o principale).Per il resto, valgono le stesse indicazioni date per il rifrattore.

Le misure dei telescopiAbbiamo detto che più l’obiettivo è grande e più è luminosa l’imma-gine. Ma, più precisamente, di quanto? Il rapporto deve essere fatto con il nostro occhio; la pupilla umana, nei soggetti giovani, si dilata fino a 7-8 mm. urtroppo, con l avanzare dell et , si dilata sempre meno; per un ottantenne è difficile che superi i mm. uindi, rispet-to a un occhio umano la cui pupilla è di 7 mm, un obiettivo da 7 cm raccoglie 100 volte pi luce, in quanto la sua superficie è 100 volte maggiore. n tale guadagno significa poter vedere stelle 100 volte più deboli di quelle visibili a occhio nudo, ovvero arrivare a una magnitudine 5 volte superiore.Vediamo, in proposito, la Tabella 1 che ci indica il guadagno che si ha con diversi diametri obiettivi.Ne consegue che un telescopio consente di vedere molte più stelle di quante se ne vedano a occhio nudo. Mentre senza ausilio ottico su tutta la volta celeste sono visibili orientativamente 6000 stelle, ecco in Tabella 2 quante diventano le stelle osservabili, utilizzando telescopi con diverse aperture, secondo uno studio di F.H. Seares.L’altro grande vantaggio che il telescopio presenta rispetto all’oc-chio è il maggiore potere risolutivo, cioè la capacità di avere una

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maggiore definizione. uardando a occhio nudo la Luna, possiamo vederne facilmente la fase e anche delle macchiette scure. Parlando in termini un po’ più tecnici, possiamo dire che arriviamo a vedere dettagli sul disco lunare che sono solo 1/10 del suo diametro. Un oc-chio acuto e in condizioni ideali arriverebbe teoricamente a vedere dettagli che misurano solo 1 30 del suo diametro. Ora, poich il dia-metro della Luna è di 0,5° o 30’, 1/30 vuol dire arrivare a percepire dettagli fino a 1 . uesto è il potere risolutivo dell occhio umano.

a di notte, un occhio medio, difficilmente va oltre 1 10 del disco

IL GUADAGNO DEGLI OBIETTIVI

Diametro Guadagno (geometrico) Magnitudine

obiettivo rispetto all’occhio stellare

(cm) (pupilla di 7 mm) limite

2,5 13 8,8

3 18 9,2

4 33 9,8

5 51 10,3

6 73 10,7

7 100 11,0

7,6 118 11,2

8 131 11,3

9 165 11,6

10 204 11,8

11 247 12,0

2 294 12,2

13 345 12,4

15 459 12,7

20 816 13,3

25 1276 13,8

28 1600 14,0

30 1837 14,2

35 2500 14,5

40 3265 14,8

50 5102 15,3

60 7347 15,7

80 13061 16,3

100 20408 16,8

Tabella 1

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lunare, cioè oltre 3’. Un telesco-pio, anche modesto, è invece in grado di andare molto oltre le possibilità dell’occhio.C’è una formula semplicissima che ci dice a quanto arriva un telescopio:Potere risolutivo = 12”/ DIn questa formula, D indica il diametro dell’obiettivo del tele-scopio espresso in centimetri.Quindi, con un piccolo telesco-pio da 6 cm si ha: Potere risolutivo = 12”/ 6 = 2” (due secondi d’arco)Un telescopio da 60 mm ha un potere risolutivo di 2”, cioè arriva a farci scorgere sulla Luna dettagli che sono 1/900 del suo diametro.Vediamo il potere risolutivo per alcuni diametri di telescopi in Tabella 3.Una cosa molto importante è che gli obiettivi (a specchio o a lenti), siano stati lavorati con cura. Affinch le immagini siano buone, la loro superficie non deve deviare da quella ideale oltre 0,0000 9 mm

uesto significa che le irregolarit non devono discostarsi in un sen-so o nell’altro di oltre 1/8 della lunghezza d’onda della luce gialla, che corrisponde a 560 nm (1 nm = un nanometro = un miliardesimo di metro = un milionesimo di millimetro).È della massima importanza che lo strumento sia di buona qualità;

LE STELLEOSSERVABILI

AL TELESCOPIO

Diametro Numero

obiettivo orientativo

(cm) di stelle visibili

6 300 mila

7 430 mila

11 1 milione

18 2,7 milioni

28 6,7 milioni

31 9 milioni

Tabella 2

IL POTERE RISOLUTIVO

Diametro Potere

telescopio risolutivo

(cm) (secondi d’arco)

6 2

7 1,7

7,6 1,6

8 1,5

9 1,3

10 1,2

11 1,1

12 1,0

13 0,9

15 0,8

18 0,7

20 0,6

25 0,5

28 0,43

30 0,40

35 0,34

40 0,30

50 0,24

60 0,20

80 0,15

100 0,12

Tabella 3

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Questograicomostracomeconl’avanzaredell’etàlapupillaumanasi dilati sempre meno. Mentre arriva spesso a 8 mm per un adolescente,

èdificilechesuperii5mmperunottantenne.

Un’aperturada30mmraccoglie36voltepiùlucediunada5mm,inquantoditantevoltelasuasupericieèmaggiore.Questoèall’incircail rapporto che esiste tra il potere di raccolta della luce di un comune

binocolo e l’occhio umano.

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dà più soddisfazione uno strumento piccolo ben lavorato rispetto a uno più grande, ma con una precisione che lascia a desiderare. Il prezzo è un indicatore piuttosto valido della qualità, ma non vi è sempre una stretta corrispondenza tra prezzo e qualità. Vi sono anche strumenti economici in grado di sfoderare prestazioni interessanti, ma prima del loro acquisto sarebbe bene sentire l’opinione di un esperto.In ogni caso - e non dovrebbe neppure essere necessario dirlo - sono da evitare i “telescopi” venduti nei centri commerciali o nei super-mercati: si tratta di strumenti giocattolo o poco di più, che lasciano molto a desiderare sotto tutti i punti di vista, tranne quello del prezzo.A proposito di quest’ultimo, diciamo in via orientativa che gli stru-menti più economici in grado di offrire qualche soddisfazione parto-no generalmente dai 150 euro. Se si desidera spendere meno, allora è meglio orientarsi su un binocolo e attendere tempi migliori per un telescopio.Chi scrive ricorda un signore che aveva problemi col suo “telescopio” acquistato (a circa 100 euro) in un supermercato. Esaminato lo stru-mento, era emerso un obiettivo lavorato in modo molto approssi-mativo, che forniva immagini affette da aberrazione sferica, zonale e astigmatismo. Ingrandimenti oltre i 30x divenivano inaccettabili.Ciò nonostante, la ditta costruttrice lo pubblicizzava come capace di 175x!A proposito degli ingrandimenti, ricordiamo che i massimi utili equivalgono a circa due volte il diametro dell’obiettivo espresso in millimetri. Anche se la qualità è al di sopra di ogni sospetto, è bene che in un rifrattore acromatico la focale non sia molto più breve del diametro dell’obiettivo (espresso in centimetri) al quadrato.

TelescopidimodestaqualitàpubblicizzatinegliAnni60come capaci di ingrandimenti

portentosi. Quello che

avrebbe dovuto sfoderare

inoa800xeraun115mmdi diametro libero, capace

di offrire al massimo

utilmentecirca200x!Perfortunailprezzoeraallineatoalleprestazioni.

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CAPITOLO 2

Un po’ di storia

Nessuno sa con esattezza da chi e quando venne inventato il telesco-pio, bench sia noto che le prime lenti per occhiali risalgano al secolo. Senza dubbio, esse ebbero origine in Italia. Una lettera ma-noscritta fiorentina del 1289 si riferisce ad esse chiamandole vetri per occhiali recentemente inventati, di grande vantaggio per la vista indebolita delle persone anziane”.Nel 1305 Giordano da Rivalto si riferisce alle lenti (convesse), in-dicando la loro invenzione come risalente a circa 20 anni prima. Le prime lenti avevano un potere molto modesto (la lunghezza focale era nell’ordine del mezzo metro), ma soddisfacevano la richiesta di compensare la presbiopia delle persone anziane.Le lenti negative (i primi telescopi funzionavano accoppiando una lente negativa a una positiva) per correggere la miopia non erano comuni e probabilmente questa è la causa che ha ritardato di tre secoli l’invenzione del telescopio, partendo dalle lenti per occhiali.Tra l’altro, il termine “telescopio” pare debba essere attribuito al Demisiani, che l’avrebbe coniato nel 1611.

Molti candidati per un’invenzione storicaUn possibile candidato al titolo di inventore del telescopio è Gian Battista Della Porta (1538?–1615), che - in una lettera a Federico Cesi dell’agosto 1609 - scrisse che l’invenzione del cannocchiale era stata tratta dal contenuto del suo libro IX De Refractione. Ma purtroppo non esiste alcun documento che possa attribuirne con cer-tezza la paternità a questo studioso italiano.Pare che i primi cannocchiali circolassero in Olanda verso il 1608, principalmente ad opera di Jan Lippershey (?–1619), un occhia-laio di Middelbourg. Anzi, la leggenda narra che l’invenzione avvenne casualmente per merito dei figli del Lippershe . uesti, giocando con alcune lenti del padre, videro a un certo punto l’im-

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magine di un gallo sovrastante il tetto di un campanile ingrandita.Il 2 ottobre del 1608 gli “Stati Generali” dell’Olanda presero in con-siderazione una petizione presentata da Lippershey per un brevet-to di 30 anni relativo all’esclusiva di costruzione di uno strumento per vedere lontano o, in alternativa, per un’adatta pensione sotto la condizione di mettere a punto lo strumento solo per il suo Paese.Il 6 ottobre la commissione considerò favorevolmente la proposta dell’occhialaio di Middelbourg, ma richiese che lo strumento fosse adattato per entrambi gli occhi.Questo primo cannocchiale aveva una lunghezza di circa mezzo me-tro e un probabile diametro di 3-4 cm, con l’obiettivo costituito da una lente convessa e l’oculare da una concava, entrambe del tipo di quelle utilizzate per occhiali. Quasi sicuramente l’ingrandimento non superava le tre-quattro volte.Quando l’invenzione divenne di dominio pubblico, si ebbe una disputa sulla priorità della scoperta da parte di James Metius di Alkmaar, che fece anch’egli una domanda di brevetto, affermando che aveva casualmente scoperto come realizzare il telescopio, ma non sottomise il suo strumento all’attenzione delle autorità, in quan-to voleva prima perfezionarlo.L’altro contemporaneo che rivendicò la scoperta fu Zacharius Jan-sen, anch’egli un occhialaio di Middelbourg. Pierre Borel, circa 50 anni più tardi, gli attribuì il merito dell’invenzione, in base a infor-mazioni di seconda mano. Più verosimilmente, Jansen fu l’inventore del microscopio composto, ma non del telescopio.Il Borel ritenne che Metius, cercando Jansen, fosse capitato nella bottega di Lippershey, che, con astute domande, sarebbe venuto a conoscenza di come realizzare lo strumento. Purtroppo, altre ver-sioni di questo racconto si accavallano a vicenda e non è possibile sapere quale sia quella corretta. Addirittura, vi fu chi sostenne che l’invenzione era di natura soprannaturale! La verità è che noi non sappiamo come siano andate veramente le cose.L’unica cosa certa è la petizione di Jan Lippershey del 2 ottobre 1608, dalla quale si può ragionevolmente supporre che lo strumento fu messo a punto almeno qualche mese prima.Pare, comunque, che l’invenzione sia stata subito divulgata e che la costruzione del telescopio sia divenuta di dominio pubblico tra gli occhialai olandesi.

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Il cannocchiale di GalileoGalileo Galilei (1564-1642) venne a conoscenza dell’invenzione nel maggio-giugno del 1609, quando si trovava in visita a Venezia. Gli arrivò la voce che un olandese aveva inventato uno strumento che “faceva vedere vicine le cose lontane”. In base alle scarne descrizio-ni ricevute e a una conferma epistolare da Parigi, riuscì a ricostruire a Padova il cannocchiale (dalla contrazione delle parole “cannone” e “occhiale”, come Galileo stesso chiamò lo strumento).Il primo cannocchiale costruito dallo scienziato pisano, costituito da una lente piano-convessa (obiettivo) ed una piano-concava (oculare) non ingrandiva che tre volte (come un attuale binocolo da teatro), ma in quelli che costru poco dopo l ingrandimento aument fino a circa otto volte.Con uno di questi ultimi, Galileo si recò nuovamente a Venezia e du-rante l’agosto del 1609 lo presentò ai notabili della Serenissima e al doge Leonardo Donato. Questo strumento aveva una lunghezza di cir-ca mezzo metro, 4 cm di diametro e un oculare da 7-8 cm di focale ne-gativa. Carico di onori, tornò a Padova, dove iniziò a lavorare di lena per perfezionare i suoi strumenti, levigando personalmente le lenti. Le sue migliori realizzazioni arrivavano a ingrandire 30-32 volte.Grazie a studi compiuti presso l’Osservatorio di Arcetri, si è appu-rato che il migliore obiettivo di Galileo conservato ha un potere ri-solutivo di 10”. Al Museo di Storia della Scienza di Firenze sono conservati due cannocchiali di Galileo, dei quali il maggiore ha una lunghezza di 124 cm e 4,5 cm di diametro; il più piccolo ha una lun-ghezza di 92 cm e un’apertura di 4 cm.Un serio inconveniente dei cannocchiali di Galileo era il piccolo campo di vista; il maggiore di essi abbracciava solo 7’15”, meno di un quarto del diametro apparente della Luna.Poco tempo dopo, Keplero (1571-1630), nella sua Dioptrique (1611), mostrò che l’oculare divergente di Galileo poteva essere vantaggio-samente rimpiazzato da uno convergente. Questa soluzione, a diffe-renza di quella galileiana, offriva immagini rovesciate, ma anche un campo di vista superiore e una maggiore praticità. Il suggerimento di Keplero (che pare non abbia mai usato il “suo” telescopio) venne pertanto ascoltato, e tutti i principali cannocchiali adibiti in seguito allo studio del cielo si basarono su questa soluzione.La prima utilizzazione dell’idea di Keplero si ebbe nel 1623. Fu messa in pratica da Christopher Scheiner, un Gesuita professore di

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matematica a Ingolstadt, noto per le sue osservazioni di mac-chie solari. L’uso del telesco-pio kepleriano è indicato dallo Scheiner nel suo lavoro Rosa

Ursina del 1630. Un altro tra i primi a far uso di questa soluzio-ne ottica fu il nobiluomo napo-letano Francesco Fontana, ma i primi telescopi kepleriani erano di qualità piuttosto scarsa, se i disegni del Fontana, dal 1629 al 1636, rappresentano corretta-mente che cosa permettevano di vedere.Per costruire strumenti più po-tenti, gli ottici si resero ben presto conto che era necessario ricorrere a lenti più grandi di quelle utilizzate da Galileo, ma così l’aberrazione sferica e cromati-ca crescevano enormemente.

Un lungo processo di evoluzioneDopo Galileo, il principale contributo al loro perfezionamento si ebbe nel 1637, con la pubblicazione della Dioptrique da parte di

en escartes italianizzato in artesio, 1 9 -1 0 . n ogni len-te semplice, come erano quelle utilizzate all’epoca, l’aberrazione sferica longitudinale è direttamente proporzionale alla differenza di spessore dovuta alla curvatura. Ora, allungando la lunghezza focale, a parità di altre condizioni, si diminuisce l’importanza sia dell’aber-razione sferica che di quella cromatica.Per evitare la prima, Descartes indicò diversi progetti di lenti com-pletamente esenti da questa aberrazione. Queste lenti, come oggi sappiamo bene, richiedono una superficie asferica, irrealizzabile per quei tempi. Occorrerà attendere un secolo, prima che si riescano a lavorare con successo tali superfici. La sola strada allora percorribile consisteva nell’allungare enormemente la focale delle lenti a super-fici sferiche.

I telescopi di Galileo conservati

alMuseodiStoriadellaScienzadiFirenze.

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In quegli anni, Anton Maria De Rheita (1597-1660), un monaco cappuccino, mise a punto l’oculare terrestre, introducendo un’ottica convergente tra l’obiettivo e l’oculare. Rheita tentò anche, inutil-mente, di costruire le lenti asferiche suggerite da Descartes e meditò di levigare una lente enorme, che avrebbe dovuto consentire ingran-dimenti nell’ordine delle… 4000 volte! Johannes Hevelius (1611-1687), di Danzica, perfezionò sia il te-lescopio galileiano che quello kepleriano. Hevelius menziona una soluzione, dovuta però al De Rheita, nella quale l’obiettivo non è più una lente singola, ma una coppia composta da due lenti piano-convesse, della quale la più debole è quella anteriore (e l’oculare è concavo).Un tale doppietto, se correttamente costruito, presenta un’aberra-zione sferica di solo un quarto di quella delle semplici lenti bicon-vesse. Evidentemente, Hevelius non era al corrente che la stes-sa aberrazione si sarebbe potuta minimizzare anche con una sola lente dalla forma opportuna, cioè sostanzialmente piano-convessa, con la convessit rivolta verso l oggetto e la superficie piana verso l’oculare.In base ai numerosi disegni della Luna eseguiti da Hevelius tra il 1643 e il 1644, si può dedurre che i suoi telescopi fossero nettamen-te migliori di quelli di Scheiner e Fontana. Generalmente, Hevelius usò strumenti sui due metri di lunghezza e 5 cm di apertura, ma più tardi sviluppò telescopi molto più lunghi, tra i quali è rimasto famo-so uno lungo ben 0 metri; di esso è giunta fino a noi una pittoresca riproduzione.Negli anni seguenti, i maggiori perfezionamenti del telescopio por-tano la firma del fisico olandese hristian Hu gens 1 29-1 9 ; i suoi cannocchiali erano indubbiamente i migliori intorno agli anni 1650-1660 e questo gli permise, con uno strumento da 7 m di lun-ghezza e 6 cm di diametro, di scoprire la vera natura dell’anello di Saturno, che negli altri cannocchiali dell’epoca, più imperfetti, ave-va l’apparenza di due “manici” o due satelliti.Huygens si avvaleva dell’abilità del fratello Constantine, uno dei migliori ottici del tempo. Insieme congegnarono nuovi metodi per realizzare accurati attrezzi necessari alla levigazione delle lenti. L’o-biettivo utilizzato per lo studio di Saturno consentiva un ingrandi-mento di 100 ; con esso, Hu gens pot anche determinare corretta-mente il periodo di rotazione di Marte in 24 ore.

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I due fratelli, nelle loro realizzazioni, mantenevano l’apertura mode-sta e seguivano la regola della radice quadrata della focale. Cioè, se con una focale di 2 m usavano un diametro di 3 cm, con una da 8 m ne usavano una da 6 cm. Infatti, 8 è 4 volte superiore a 2, e la radice quadrata di 4 vale 2. Quindi, l’apertura era aumentata di due volte.

uesto significa che l aberrazione sferica, ma soprattutto quella cro-matica delle lenti semplici imponeva un enorme allungamento della focale per pochi centimetri di aumento nel diametro. Così, se uno strumento da 5 cm richiedeva una focale da 4,5 metri, uno da 10 cm ne esigeva una di 18 metri e uno da 20 cm ben 72 metri! Nonostante gli enormi ingombri richiesti da obiettivi di piccolo dia-metro, gli Hu gens levigarono lenti fino a 8 m di focale uest ul-tima aveva un diametro di 22 cm.Divini e Campani, ottici a Roma, non furono da meno dei fratelli Huygens, mentre l’Auzout produsse lenti con focali ancora maggio-ri. Un obiettivo del Campani del 1672, tuttora conservato all’Osser-vatorio di Parigi (acquistato dal Colbert e utilizzato da Gian Dome-nico Cassini), da 13,7 cm di diametro e 10,85 m di focale, ci dà un’i-dea di come fossero le ottiche di quel periodo. Ha rivelato un indice di rifrazione di 1,52, un’aberrazione di sfericità assai regolare e nu-merose strie, comuni all’epoca. Le immagini stellari rotonde e senza tracce di astigmatismo testimoniano la bontà della lavorazione, che però non poteva evitare la presenza dell’aberrazione cromatica.I telescopi con focale più lunga non avevano tubo, ma un semplice traliccio in legno o nessun collegamento tra l’obiettivo e l’oculare.Il primo era montato in cima a un’alta torre, e l’osservatore cercava l’immagine con in mano il secondo. Si trattava di un’osservazione assai disagevole, parzialmente compensata dal fatto che la piccola relazione d’apertura offriva un campo molto esteso (fra 5° e 10°); inoltre, la grande lunghezza focale richiedeva oculari poco potenti e quindi dal fuoco non critico. L’ingrandimento più utilizzato era nell’ordine delle 100 volte.In quell’epoca, sotto Luigi XIV, si progettò addirittura un telescopio da 3 km di lunghezza (!) che, secondo i responsabili dell’iniziativa, doveva servire a far “vedere gli animali sulla Luna”.Ma, a prescindere dall’impossibilità di realizzare un simile strumen-to, già allora molti ottici si erano resi conto che non era questa la strada maestra da seguire per migliorare considerevolmente l’ottica dei telescopi.

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Arrivano gli specchiIsaac Newton (1643-1727), che credeva impossibile evitare l’aberra-zione cromatica con obiettivi costituiti da lenti, rivolse la sua atten-zione agli specchi. Non si deve però credere che l’idea di realizzare un telescopio a specchi risalga a Newton; essa è molto più antica.Lo stesso Galileo e i suoi contemporanei avevano espresso la con-vinzione che la lente dell’obiettivo si sarebbe potuta sostituire con uno specchio concavo.Per esempio, Sagredo (1571-1620), il più caro amico di Galileo, aveva concepito un progetto di telescopio ri ettore che per non venne probabilmente mai messo in pratica. Ancora, nella corrispon-denza di Galileo si trova cenno di un telescopio a specchio costruito da Cesare Caravaggi di Bologna.Bonaventura Cavalieri (1598-1647), nella sua opera del 1632 Lo

UncopiarecentedeltelescopiorilettorerealizzatodaNewton.

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