Viventi e non Viventi

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GLI ESSERI VIVENTI Breve percorso guida per i docenti 1. Viventi o non viventi? 2. Gli organismi viventi 3. La biologia studia gli esseri viventi

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Breve percorso per i docenti

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GLI ESSERI VIVENTI

Breve percorso guida per i docenti

1. Viventi o non viventi?

2. Gli organismi viventi

3. La biologia studia gli esseri viventi

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VIVENTE O NON VIVENTE?Poniamo alcune domande:

- Chi mi dice il nome di un essere vivente?

- Perché dici che è un essere vivente?

- Che cosa distingue un essere vivente da una cosa non vivente?

Durante la discussione, che sicuramente appassionerà i bambini, teniamo sempre

presenti le caratteristiche fondamentali di un vivente: nascere, nutrirsi e

crescere, riprodursi e morire.

Cerchiamo via via di eliminare tutte le qualità accessorie, come ad esempio

respirare (noi sappiamo che esistono organismi anaerobici), mangiare (non si

può dire che le piante “mangiano”), correre (le piante non corrono e se vogliamo

neppure le lumache, le tartarughe…) e cerchiamo di fissare con i bambini le

caratteristiche fondamentali che contraddistinguono tutti i viventi.

Spostiamo l’attenzione della classe sugli elementi inanimati.

Elenchiamone alcuni con l’aiuto degli alunni e infine definiamo in negativo le

caratteristiche dei non viventi: non nascono, non si nutrono e non

crescono, non si riproducono e non muoiono.

Consegniamo infine la scheda e invitiamo gli alunni a osservare il disegno, a

identificare gli elementi contraddistinti da un numero e infine a indicare accanto

a ogni numero della tabella il nome dell’elemento e l’indicazione “VIVENTE” o

“NON VIVENTE”.

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GLI ORGANISMI VIVENTI

Cos’è la vita? Cosa significa essere vivo? Come fa qualcosa ad essere considerato

vivente? Queste sono tutte domande pertinenti quando discutiamo sull’origine

della vita. Gli scienziati hanno identificato diverse caratteristiche basilari della

vita. Qualcosa, per essere definito vivente, deve mostrare tutte queste

caratteristiche. Sebbene ci siano molte differenti opinioni sul significato di

“essere vivente”, le seguenti caratteristiche sono state designate come

“caratteristiche dei viventi” con il consenso della comunità scientifica.

a) Tutti i viventi sono composti da cellule.

b) Le cellule sono i componenti di base di tutte le strutture viventi.

Alcuni organismi sono costituiti da singole cellule, come i batteri,

altri da moltissime cellule, come noi umani.

c) Richiedono energia.

I sistemi viventi conseguono uno stato di organizzazione usando energia che

estraggono dal loro ambiente. Anche molti sistemi fisici estraggono energia

dall’ambiente, ma un sistema vivente si distingue per il fatto che utilizza

l’energia per convertire il materiale tratto dall’ambiente in una forma che è

caratteristica di se stesso. Questo processo è noto come metabolismo.

a. Si riproducono.

b. Tutti gli organismi viventi si riproducono in modo sessuato o

asessuato.

c. Mostrano ereditarietà.

d. Gli organismi viventi ereditano tratti dagli “organismi-genitori” che li

hanno creati. Questo meccanismo è chiamato ereditarietà.

e. Rispondono all’ambiente.

f. Tutti gli organismi viventi rispondono agli stimoli dell’ambiente in cui

vivono.

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g. Mantengono l’omeostasi.

h. Tutti gli esseri viventi mantengono uno stato di equilibrio interno.

Questa caratteristica è chiamata omeostasi.

i. Si evolvono e si adattano.

j. Tutti gli organismi viventi si evolvono e si adattano al proprio

ambiente.

k. Ma un virus è un essere vivente?

Gli organismi viventi sicuramente hanno una composizione chimica comune che

si basa sull’atomo di carbonio e quindi tipi di molecole organiche comuni come

DNA RNA, Proteine, Grassi, Zuccheri. Hanno processi metabolici, catalizzati da

enzimi, che comprendono biosintesi e reazioni che producono energia per le

biosintesi; tra queste, quelle che si avvalgono di composti organici (organismi

eterotrofi) e quelle invece che possono sfruttare fonti energetiche alternative

come la luce (autotrofi fotosintetici) o altre ancora. A queste caratteristiche

troviamo giusto correlare la proprietà di nutrirsi ma anche di muoversi.

Gli organismi viventi possiedono una struttura anatomica alla cui base c’è

l’organizzazione cellulare. Le cellule derivano da altre cellule secondo processi di

divisione tipici.

Gli esseri viventi si riproducono, cioè generano individui simili cedendo loro la

copia del programma genetico posseduto. Hanno mostrato la tendenza a creare

strutture complesse di più cellule diverse, organizzando il loro organismo in

tessuti, organi, apparati, ma anche più individui in società e ancora più, gruppi di

individui diversi in comunità.

Gli organismi viventi si esprimono attivamente nell’ambiente adattandosi ed

evolvendosi, proprietà eccezionale attraverso la quale la vita si impone

prepotentemente anche in luoghi considerati impossibili.

Guardo il mio gatto e gli dico: tu sei una forma di vita evolutosi dalla cellula

primordiale. Osservandolo meglio rimango stupito dalla perfezione del suo

coordinamento: saltella qua e là, arruffa il pelo, miagola. Un vero spettacolo.

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L’organismo adulto si sviluppa a partire da un’unica cellula. La cellula si

suddivide per mitosi in una miriade di altre cellule formando tutti i tessuti

necessari. Il tutto è perfettamente coordinato come se ci fosse un direttore

d’orchestra.

Mi guardo allo specchio e dico: io sono un organismo vivente.

Il mio corpo è costituito da miliardi di cellule tutte armonizzate tra loro.

Io sono anche un essere consapevole di me stesso, ma i miei reni funzionano

anche senza che io ne sia consapevole. Il mio corpo è un processo complesso che

si autoconserva senza alcun sforzo da parte mia. Io sono anche l’osservatore

privilegiato, tutto si rapporta alla mia consapevolezza. In ogni mia esperienza io

sono al centro del mio stesso esperire, tutto ruota attorno a me stesso.

Io sono l’attore principale della mia vita.

La trama dell’universo si dipana davanti ai miei occhi, tutto ciò che è stato

pensato da essere umano, tutto ciò che è stato vissuto da essere vivente.

Io sono nato dal grembo materno, generato da uno spermatozoo vincente, e ora

sono qui a contemplare il mondo. Miracolo dell’esistenza.

Ma come sono fatti gli organismi viventi?

Come si riproducono?

Come conservano la propria struttura?

Gli organismi viventi sono autopoietici (Maturana) ovvero auto-organizzanti.

L’osservatore è uno dei concetti chiave nella teoria dell’autopoiesi, perché:

“Osservare è il definitivo punto di partenza nonché il problema

fondamentale di ogni tentativo di comprendere la realtà e la ragione

come fenomeni del dominio umano. Invero ogni cosa detta è detta da un

osservatore ad un altro osservatore che può essere egli stesso”

(Maturana 1988).

Il concetto centrale dell’opera di Maturana e Varela è quello di autopoiesi. In

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accordo con Maturana (Maturana e Varela, 1980), il temine fu coniato intorno al

1972 combinando il greco “auto” (se stesso) e “poiesis” (creazione, produzione).

Il concetto è definito formalmente come segue: “Un sistema autopoietico è

organizzato (definito come unità) come una rete di processi di produzione

(trasformazione e distruzione) di componenti che produce le componenti che:

attraverso le loro interazioni e trasformazioni rigenerano continuamente e

realizzano la rete di processi (relazioni) che le producono e la costituiscono (la

macchina) come un’unità concreta nello spazio in cui esse (le componenti)

esistono, specificando il dominio topologico della sua realizzazione in quanto tale

rete” (Varela, 1979)

Ogni unità che soddisfa queste specifiche è un sistema autopoietico ed ogni

sistema autopoietico siffatto, che sia realizzato nello spazio fisico, è un sistema

vivente.

La particolare configurazione di una unità data - la sua struttura - non è

sufficiente a definirla come unità. La caratteristica chiave di ogni sistema vivente

è il mantenimento della sua organizzazione, i.e. la preservazione della rete di

relazioni che la definisce come un’unità sistemica. Detto altrimenti “… i sistemi

autopoietici operano come sistemi omeostatici che hanno nella propria

organizzazione la variabile critica fondamentale da essi attivamente mantenuta

costante” (Maturana, 1975).

La realtà non può essere considerata come un qualcosa di oggettivo,

indipendente dal soggetto che la esperisce, perché è il soggetto stesso che crea,

costruisce, inventa ciò che crede che esista. La realtà non può essere considerata

indipendente da colui che la osserva, dal momento che è proprio l’osservatore

che le dà un senso partecipando attivamente alla sua costruzione.

La realtà e’ un complesso sistema di correlazioni senso-motorie che, attraverso

il fluire di eventi e relazioni all’interno di ininterrotti processi di computazione, ci

rendono partecipi a livello percettivo di un mondo che noi connotiamo come

significativo.

Il fenomeno della auto-organizzazione è solo una delle più interessanti

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manifestazioni che si possono avere in un sistema complesso, cioè in un sistema

composto da un numero di parti così elevato da rendere impossibile seguirne

separatamente ciascuna. Ma ci sono anche altre emergenze e altri problemi, da

cui nascono le scienze della complessità, il cui rapido sviluppo è lungi dall’essere

terminato.

Fra i fenomeni più importanti che si possono verificare nei sistemi complessi c’è

una distribuzione dell’auto-organizzazione in una serie ascendente di livelli, tali

che per ciascuno di essi bisogna escogitare – almeno in una certa misura – un

diverso metodo d’indagine. Per fare un esempio, prendiamo gli atomi che

costituiscono il nostro corpo. Essi si organizzano in macromolecole; le

macromolecole si organizzano in cellule; le cellule si organizzano in vari tessuti; i

tessuti danno luogo agli organi; infine si arriva all’intero corpo umano. I diversi

livelli certamente interagiscono tra loro; ma in una prima approssimazione

possono considerarsi come separati ed essere ciascuno studiato e trattato per

suo conto. Faremmo ben pochi progressi se per esaminare un qualsiasi

organismo vivente dovessimo analizzare ogni suo atomo: è evidente che in questi

casi non sono applicabili i metodi della fisica atomica e della meccanica

quantistica.

Naturalmente un livello veramente superiore di organizzazione nel corpo umano

è il cervello, con i suoi miliardi di neuroni, che continuamente ristrutturano le

loro connessioni (sinapsi) mediante l’informazione e l’apprendimento: un sistema

complesso che le indagini neurologica, psichiatrica e psicologica sono ad oggi

solo riuscite a sfiorare.

Perché poi fermarsi al singolo cervello individuale? Non e’ la società con le sue

istituzioni, i suoi costumi, la sua cultura un’organizzazione di livello ancora più

alto del singolo individuo? Certamente lo studio dei sistemi complessi ha dinanzi

a sé ancora un ricchissimo futuro, nel quale i vari livelli della ricerca umana

s’intrecciano in modo quanto mai interessante e profondo.

Secondo la teoria dei sistemi autorefenziali, uno sviluppo dei sistemi mediante

differenziazione avviene solo tramite autoriferimento: vale a dire che, nella

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costituzione dei loro elementi e nelle loro operazioni elementari, i sistemi fanno

riferimento a loro stessi (a elementi e a operazioni del loro sistema, e alla unità

di questo). Perché ciò avvenga i sistemi devono produrre e utilizzare una

descrizione di se stessi; essi devono essere capaci di servirsi al loro interno della

differenza tra sistema e ambiente come orientamento e come principio per la

produzione di informazioni. Le varie forme di autoriferimento sono unite da una

comune idea di fondo : l’autoriferimento è un correlato della pressione esercitata

dalla complessità del mondo. Ovvero: non è possibile rappresentare, trattare,

controllare in maniera adeguata la complessità del mondo, perché ciò

produrrebbe di pari passo un aumento di tale complessità, in una regressione

infinita, che invece l’autoriferimento evita.

I sistemi formati mediante autoriferimento di base si dicono autopoietici; essi

sono sistemi chiusi, cioè utilizzano per la propria riproduzione unità già

costituite entro il sistema; Humberto Marturana e Francisco Varela sono stati i

primi a riconoscere, con la formulazione del concetto di autopoiesi,

l’autorganizzazione quale discriminante tra vivente e non vivente. La società è il

sistema per il quale non esiste alcun sistema che lo comprenda, e per il quale di

conseguenza non è possibile nessuna comprensione dall’esterno, ma solo

autoosservazione, autodescrizione e autochiarimento delle proprie operazioni.

Un sistema autoreferenziale con un elevato numero di componenti “non banali”

avrà un gran numero di stati stabili che dipendono soltanto dalla sua struttura

interna, che possiamo immaginare come organizzata in una gerarchia di livelli in

comunicazione tra di loro. Questa gerarchia “intrecciata” non produce

semplicemente autoregolazione bensì autoreferenzialità, perché non c’è una

corrispondenza biunivoca fra i linguaggi dei diversi livelli.

Il concetto di “autorganizzazione” è strettamente connesso con

l’autoreferenzialità, che ne è addirittura condizione necessaria; è questa la

caratteristica che differenzia i sistemi viventi dalle macchine progettate per

raggiungere scopi particolari. Al contrario di queste, l’organizzazione interna dei

sistemi viventi è la premessa e simultaneamente il risultato dell’organizzazione

stessa : il DNA contiene infatti l’informazione necessaria per la sintesi delle

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proteine, ma le proteine sono necessarie per realizzare questa sintesi e duplicare

lo stesso DNA.

Secondo Varela e Marturana, “una macchina autopoietica continuamente genera

e specifica la sua propria organizzazione operando come sistema di produzione

dei suoi propri componenti, e lo fa in un turnover senza fine di componenti in

condizioni di continue perturbazioni e di compensazione di perturbazioni”.

È necessario ora capire in che cosa consista questo processo di apprendimento,

cioè in che modo un sistema autorganizzatore possa passare da uno stato interno

all’altro nell’ambito di una ricchissima molteplicità di stati stabili possibili e

possa riprodurre invariata tale organizzazione interagendo con un ambiente

esterno mutevole e imprevedibile. La stessa domanda si può porre se si passa

dall’individuo singolo alla specie, e su scala temporale dall’arco della vita

individuale a quello di un gran numero di generazioni successive, per quanto

riguarda il processo evolutivo.

Varela distingue due concezioni dell’apprendimento: quella tradizionale-

rappresentazionista, secondo cui gli organismi sono sistemi la cui evoluzione

dinamica genera una corrispondenza fra il mondo esterno e la sua

rappresentazione interna (sistemi eternonomi), e quella secondo cui invece gli

organismi sono sistemi autonomi sui quali il mondo esterno agisce soltanto come

perturbazione.

I comportamenti di questi ultimi sono la manifestazione di transizioni fra stati di

coerenza interna strutturati autonomamente perché generati dalla ricorsività

degli anelli autoreferenziali che connettono le componenti del sistema. Questo

non significa che il sistema è isolato, bensì che l’universo dei suoi stati possibili

non dipende dal mondo esterno ma è generato dalla condizione di

autoconsistenza imposta ai modi di funzionamento delle sue diverse componenti

dalle loro reciproche interconnessioni.

Va inoltre chiarito che le due visioni, eteronoma ed autonoma, non sono

mutuamente esclusive, ma devono necessariamente essere integrate.

L’approccio rappresentazionista tradizionale consiste nell’assumere che il

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sistema nervoso funzioni a partire dal contenuto informativo delle istruzioni che

provengono dall’ambiente, elaborando una rappresentazione fedele

dell’ambiente stesso. Un diverso approccio invece consiste nel pensare che il

sistema nervoso sia definito essenzialmente da differenti stati di coerenza

interna, che risultano dalla sua interconnettività. La chiave di un sistema così

strutturato è la sintesi e la diversità dei suoi autocomportamenti piuttosto che la

natura delle perturbazioni che li modulano.

Lo stesso discorso può essere rapportato all’evoluzionismo : nella visione

tradizionale l’ambiente è il filo conduttore che permette di comprendere la

dinamica delle trasformazioni di una specie di generazione in generazione.

Nell’accoppiamento per chiusura operazionale invece si assume che i diversi

modi di coerenza interna di una popolazione animale siano il filo conduttore che

permette di comprendere le trasformazioni filogenetiche. La successione di

perturbazioni seguita da riorganizzazioni intese a mantenere la coerenza interna

della popolazione ha per conseguenza dunque la generazione della diversità, cioè

tutto il contrario dell’ottimizzazione dell’adattamento.

Ecco dunque vacillare la fede nel darwinismo propriamente detto, secondo cui i

dettagli della morfologia di un organismo sono una collezione di tratti frutto di

un adattamento ottimale a determinate condizioni ambientali. Essa dimentica

infatti che l’unità non funziona come una somma di caratteristiche, ma come un

tutto coerente.

Risultato ultimo è una modificazione della sensibilità e dell’epistemologia

contemporanee, che sposta il significato della conoscenza da quello della

formazione di un’immagine del mondo a quello della costruzione del mondo

attraverso un processo di reciproca specificazione di un organismo e del suo

ambiente che coemergono simultaneamente.

Secondo alcuni la complessità si origina dal rapporto tra soggetto e oggetto

piuttosto che dalla struttura intrinseca dell’oggetto osservato. E’ un approccio

“quantistico” e quindi probabilistico, dove la complessità consiste

nell’informazione mancante necessaria per avere una spiegazione esauriente e

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completa della formazione del sistema e del suo funzionamento. Tale

informazione mancante è tanto maggiore quanto minore è la probabilità che il

sistema sia arrivato in modo puramente casuale ad avere la sua organizzazione.

Nei sistemi particolarmente semplici è evidente la corrispondenza diretta tra la

spiegazione riduttiva e quella simbolica. Per i sistemi complessi, invece, una

regola che metta in relazione i due non si può dare; addirittura potremmo dire

che sono complessi quei sistemi per i quali questa regola non c’è. In poche

parole, non siamo in grado di mettere biunivocamente in corrispondenza gli stati

microscopici del sistema con i comportamenti coerenti evidenziati dalle

macrostrutture.

La struttura a livelli prevede che, sia per i sistemi complessi naturali che per

quelli artificiali, tra i linguaggi degli strati inferiori e quelli dei superiori non vi

sia corrispondenza, ma siano comunque tra loro vincolati. In pratica, le leggi che

regolano la dinamica delle entità elementari che costituiscono il livello inferiore

impongono dal basso vincoli di compatibilità sull’evoluzione delle grandezze del

livello superiore, mentre queste ultime dall’alto selezionano gli stati dinamici

microscopici ordinandoli in classi dotate di un significato che essi singolarmente

di per sé non avrebbero.

L’interazione fra livelli causa la perdita dei confini tra l’uno e l’altro, e tale

gerarchia intrecciata comporta che nessun livello possa dirsi superiore ad un

altro.

A questo punto, considerando che non può esistere altra descrizione della

complessità differente da quella dell’osservatore, dobbiamo chiederci se i livelli

di organizzazione sono reali o sono dovuti invece al fatto che abbiamo tagliato la

realtà a differenti livelli in conseguenza delle tecniche di osservazione di cui

disponiamo. Nell’impossibilità di avere una visione globale del sistema, è il

nostro cervello che monta assieme i dati provenienti dalle singole osservazioni;

rimane però irrisolta la questione su come debbano essere rappresentate le

articolazioni tra i livelli. Possiamo dunque riconoscere che è nelle articolazioni

che si crea ogni nuovo significato, oppure possiamo tentare di scoprire una

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nuova tecnica che dia accesso a una data articolazione; così facendo creiamo un

nuovo livello, ed apriamo una catena infinita che non ci porta ad alcuna

conclusione valida.

In questo sistema gerarchizzato, l’osservatore rappresenta il livello di

organizzazione superiore, che comprende cioè tutti i sistemi elementari che lo

compongono.

L’osservatore è fondamentale, tutto parte da un osservatore.

Ma chi è che osserva?

Se cerchiamo l’osservatore all’interno del cervello non troviamo niente,

solo neuroni che si scambiano segnali elettrochimici in un meccanismo

inerte senza coscienza.

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LA BIOLOGIA STUDIA GLI ESSERI VIVENTI

La biologia è lo studio scientifico degli esseri viventi, cioè di tutti quei numerosi e

vari organismi che discendono da un antenato unicellulare comparso quasi 4

miliardi di anni fa. Questo libro analizza quali sono le caratteristiche della vita,

come variano da un organismo all’altro, come si sono evolute e come cooperano

per permettere agli esseri viventi di sopravvivere e riprodursi. L’evoluzione è un

tema centrale per la biologia e quindi lo sarà anche per questo libro. Attraverso

differenze nella capacità di sopravvivere e riprodursi, i sistemi viventi evolvono e

si adattano ai molti ambienti del pianeta. Il processo dell’evoluzione ha generato

l’enorme varietà di forme di vita osservabili oggi sulla Terra.

Le caratteristiche dei viventi: ciò che tutti abbiamo in comune

Gli organismi viventi condividono molte proprietà peculiari, che non si trovano

nel mondo inanimato:

a. gli organismi sono fatti di cellule;

b. le cellule contengono informazioni ereditarie scritte in un linguaggio

genetico universale (ovvero comune a tutte le diverse forme di organismi

viventi), che trasmettono alla discendenza;

c. le cellule ricavano dall’ambiente energia e nutrienti;

d. gli organismi rispondono ai cambiamenti dell’ambiente esterno regolando

il proprio ambiente interno;

e. gli esseri viventi interagiscono gli uni con gli altri;

f. tutti i viventi sono comparsi per evoluzione a partire da un antenato

comune.

L’elenco, che descriveremo in questo paragrafo, introduce i temi fondamentali

che incontrerai nel libro; tuttavia, un semplice elenco non può rendere giustizia

dell’incredibile complessità e diversità dei viventi.

In alcune fasi della sua esistenza, inoltre, una forma di vita può non mostrare

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tutte queste caratteristiche. Per esempio, i semi di una pianta del deserto

possono rimanere inattivi per anni senza estrarre energia dall’ambiente, regolare

il proprio ambiente interno o riprodursi; eppure essi sono vivi, poiché

appartengono a una specie i cui individui svolgono queste funzioni.