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Vita Vita Periodico trimestrale dei Padri Somaschi i santi non muoiono Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Roma Anno XLIX - N. 1 Gennaio-Marzo 2007 N. 138 i santi non muoiono DOSSIER: I FIORETTI DI PADRE GIROLAMO

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VitaVitaPeriodico trimestrale dei Padri Somaschi

i santi non muoiono

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Anno XLIX - N. 1Gennaio-Marzo 2007

N. 138

i santi non muoionoDOSSIER: I FIORETTI DI PADRE GIROLAMO

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Sommario

EditorialePresente a Dio, presente agli uomini 3

Prima paginaNon si può non amare la vita 4

Cari amiciI santi non muoiono, vivono in noi 6

Il puntola strada, tra segno e ferita 8

Spazio famigliaUn posto per Dio 10

www.giovaniAmatevi 12Equipaggiamento 13

Problemi d’oggiPerché il bullismo 14

Vita della ChiesaSanti al quadrato 16

AnniversarioCustodi di Maria da 125 anni 18

DossierI fioretti di padre Girolamo 19

Nostre opereLa casa di tutti 31Accogliere in casa propria 32Giovani somaschi e ragazzi a rischio 34

Vita e missioneUn posto in casa nostra 36

Nostra storiaIl fascino di un santo 38

Novità editorialeIl lavoro, pilastro della formazione 40

ProfiliC’era una volta 42

Flash da... 44

In memoria 45

Pillole somascheIl film in testa 46

Recensioni 47

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Vita somasca n.138Trimestrale dei Padri Somaschi

Anno XLIX - n. 1GENNAIO-MARZO 2007

Copertina: “I Santi non muoio-

no”; Foto Franz Engaddi

Autorizzazione: Tribunale diVelletri n. 14 del 08.06.2006

Direttore responsabile:Marco Nebbiai

Redazione:Casa Generale Padri Somaschivia di Casal Morena, 800118 Romatel. 06 [email protected]

Amministrazione:Casa Generale Padri Somaschivia di Casal Morena, 8c.c.p. 42091009 intestato: CuriaGen. Padri Somaschi - via diCasal Morena, 8 - 00118 Roma

Fotografie:Beppe Raso; P. Brivio; FranzEngaddi;Renato Ciocca;MicheleLeovino;Archivio fotografico VitaSomascaDisegni: Mino Arsieni.

Grafica:PrePrint (onlus) Albano Laziale

Stampa:GRAFFITI srl - 00040 Pavona(RM) - Tel. 06 9340143

VITA SOMASCA viene inviata agliex alunni, agli amici delle operedei Padri Somaschi e a quantiesprimono il desiderio di ricever-la. Un grazie cordiale a chi con-tribuisce alle spese per la pubbli-cazione o aiuta le opere soma-sche nel mondo.

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In questo numero

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Editoriale

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Girolamofa sintesitra fede e vita e sceglie la strada per mettere in pratica il Vangelo della misericordia

Il primo numero delle Costituzioni e Regole afferma: «L’umile Congregazione dei religiosi somaschi trae origine dalla Compagnia dei servi dei poveri, suscitata nella Chiesa di Dio da san Girolamo Emiliani sotto l’azione dello Spirito Santo. Convertito a Dio e profondamente rinnovato per l’intercessione di Maria, ardendo dal desiderio di seguire la via del Crocifisso e di imitare Cristo suo maestro, si fece povero e dedicò tutto se stesso a servire i poveri. A sé e ai suoi compagni il nostro ardentissimo Padre, impegnandosi con ogni opera di misericordia, propose un genere di vita che manifesta nel servizio dei poveri l’offerta di sé a Cristo». Canonizzato nel 1767, Pio XI nel 1928 proclamò san Girolamo Patrono universale degli orfani e della gioventù abbandonata.Quest’anno ricorre il 470° anniversario del suo transito al cielo, avvenuto l’8 febbraio 1537. Per tal motivo si è voluto dedicare il dossier centrale ai suoi fioretti, nati dai ricordi e dalle testimonianze di tante persone a lui vicine. È un santo che ha scelto la strada come luogo per mettere in pratica il Vangelo della misericordia. Dedica tutto il suo tempo e, in definitiva, tutta la sua vita agli ultimi: come buon samaritano soccorre i bimbi rimasti orfani, distribuisce i suoi beni ai poveri, visita gli ammalati, nottetempo seppellisce i morti, è solidale con i contadini. Assicura una casa, dignità e lavoro alle giovani a rischio; dorme poco, fa penitenza, prega di notte e, allo spuntare del sole, è nuovamente pronto a ritornare in strada per incontrare e servire Cristo nei più deboli.Presente a Dio e presente agli uomini: queste poche parole riassumono la spiritualità di san Girolamo Emiliani. C’è stato in lui un senso profondo della preghiera, una ricerca appassionata del suo Signore, al quale ripete con insistenza: «Non essermi giudice, ma salvatore».Nello stesso tempo, sente l’esigenza di farsi povero con i poveri, sente l’urgenza di essere presente ai suoi fratelli, in particolare i più piccoli, gli indifesi e gli abbandonati. Si fa uno di loro, per condividere le loro sofferenze e prendere su di sé la loro pena.È un santo che è riuscito a fare sintesi tra fede e vita, cercando con tutte le sue forze di mettere in pratica l’invito di san Giacomo: «Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fedema non ha le opere? La fede se non ha le opere, è morta in se stessa».

Presente a Diopresente agli uomini

LIA FOGGETTI; San Girolamo porta un appestato

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a cura di Enrico Viganò

Prima pagina

«Non si può non amare la vita».L’invito contenuto nel mes-saggio del Consiglio Perma-nente della CEI per la Gior-nata della Vita 2007 sembradi un’evidenza lapalissiana.Chi non ama la vita? È il be-ne più grande che l’uomopossiede. Dall’amore tradue vite scaturisce la vita,una nuova vita. E prima an-cora, da questo amore nasceil matrimonio, nasce la fami-glia: la tanto vituperata e bi-strattata famiglia,l’istituzione più importantedella società. Distrutta la fa-miglia, si distrugge la convi-venza umana, la società.Purtroppo, è quanto sta av-venendo oggi. Da ogni par-te ci sono attacchi alla fami-

glia. La si vuole sacrificaresull’altare del relativismoimperante ai nostri giorni. Sitenta di massificare l’idea

che la famiglia tradizionaleè una realtà obsoleta, men-tre le unioni di fatto sonouna conquista sociale, unosbocco progressista. E così è

ormai invalsa la convinzioneche non è più convenientesposarsi. Perché impegnarsiper tutta la vita con una per-sona? E se tra qualche annonon la amo più, che faccio?È meglio convivere, se poitutto andrà per il verso giu-sto, allora ci si sposerà. Fra-si simili se ne sentono tuttii giorni. La Chiesa, ben con-sapevole della drammatici-tà del problema, da temposta promuovendo una nuo-va pastorale familiare nonbasata sulla negatività, masulla positività del matrimo-nio, non scaricando sulle fa-miglie tutta la responsabili-tà dell’educazione dei figli,ma offrendo apporti e sup-porti fattivi. «Come comunica-re alla gente di oggi la bellezza delmatrimonio?»: si è chiesto Be-nedetto XVI parlando que-st’estate ai preti della dio-cesi di Albano. È questo ilvero interrogativo. Il 4 feb-braio la Chiesa celebra laGiornata della Vita. Ma co-me celebrare la vita se non sicelebra anche la bellezza delmatrimonio, fonte della vita?Con mia moglie da qualcheanno partecipo ai corsi perfidanzati. La conduzionedel corso è di competenzadel parroco. Noi ci limitia-mo, per quanto possibile, aportare la nostra testimo-nianza. Abbiamo costatatonella maggioranza dellecoppie - oltre ad una note-

Non si può non amare la vita

come comunicare alla gente

di oggi la bellezza

del matrimonio

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vole ignoranza in materia re-ligiosa - anche tante per-plessità sulla scelta del ma-trimonio, riconducibili tuttea quella che il Papa ha chia-mato la paura della definitività.Vedono il matrimonio quasiuna via senza ritorno, un tar-parsi a vicenda le ali della li-bertà. Abituati ad una con-cezione dell’esistenza co-me carpe diem, faticano a ca-pire che amarsi è un donocontinuo, che l’amore sgor-gato in loro è una scintilladel Suo Amore e che con ilmatrimonio diventano coope-ratori dell’amore di Dio creatore,mettendo alla luce un esse-re umano destinato persempre all’eternità.Ecco il problema: come farrecepire ai giovani la bellezzadel matrimonio! Il Papa, dopol’incontro mondiale delle fa-miglie a Valencia dell’estatescorsa, aveva detto: «La pre-senza, la testimonianza delle fa-miglie è stata veramente molto piùforte di tutte le parole». La forzadella testimonianza! Di di-battiti, di convegni se nefanno tanti, di documentipoi se ne scrivono in quan-tità. Oggi, per dirla con p.Davide Turoldo, occorrono:«Meno dibattiti e più battiti».Perché la testimonianza èmolto più forte di tutte leparole. Alle coppie dei cor-si per fidanzati ribadiamoalla noia che in un rapportod’amore non mancheranno

le sofferenze, le crisi, le di-versità di vedute, i litigi permotivi futili, per non dire in-fantili. Momenti inevitabili,ma che possono portare adecisioni affrettate, quali laseparazione. In questi mo-menti bisogna far ricorso al-la preghiera e al perdono.Due parole che nel lessico enella mentalità efficientisti-ca dei giovani fanno rimacon debolezza, limitatezza,perdita di tempo, ma che inrealtà spalancano il rappor-to a due verso una nuova di-mensione. Il nostro invitopressante ai futuri sposi è direcitare assieme, al mattinoprima di iniziare la giornata,almeno un paio di Ave Ma-ria, perché - diciamo loro -

funzionano! Funzionano,quando bisogna trovare laforza di perdonare, di rico-minciare sempre daccapo,di affrontare le notti insonniperchè i bambini piangonoe non riesci a capirne la cau-sa, quando si torna stanchidal lavoro e non si ha vogliadi parlare, di ascoltare tuamoglie e i figli che hannotante cose da dirti. Perché -e qui è ancora il papa che civiene in soccorso - «la bellez-za (del matrimonio) fatta solodi armonia, non è una vera bel-lezza. Manca qualcosa, diventadeficitaria. La vera bellezza ha bi-sogno anche del contrasto.L’oscuro e il luminoso si comple-tano». Parole rassicuranti!

[email protected]

gennaio/marzo 2007 - n. 1 Vita somasca

Abituati

ad una concezione

dell’esistenza

come carpe diem,

i giovani faticano

a capire

che amarsi

è un dono continuo,

che l’amore

sgorgato in loro

è una scintilla

del Suo Amore

e che con

il matrimonio

diventano

cooperatori

dell’amore

di Dio creatore

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Il presente numero di VitaSomasca ci raggiunge neigiorni della solennità di sanGirolamo, il nostro «tantoamato e caro padre», che ci haassicurato di «non abbando-narci mai col suo cuore»: parolequeste tratte dalla sua se-conda lettera. Possiamo es-sere certi che, «come Dio nonabbandona la sua Chiesa, san Gi-rolamo non abbandona la sua fa-miglia»: convinzione fattapropria dal Capitolo genera-le 2005. Ma come è possibi-le, e come si realizza oggiquesta presenza?L’antropologo francese Re-nè Girard, membro dell’Aca-démie Francaise, recente-mente ha sostenuto: «le filo-sofie sono infatti pressoché morte.Le ideologie sono pressoché defun-te, le teorie politiche sono quasi deltutto finite; la fiducia del fatto chela scienza possa sostituire la reli-gione è ormai superata. E nelmondo c’è un nuovo bisogno di re-ligione». Non penso si tratti diuna affermazione dettatadal pessimismo, o dal relati-

vismo imperante, ma dallacertezza che il futuro riservasempre meraviglie positive.E l’affermazione non parla direligione come sentimenta-lismo, alla ricerca di rispostenon più trovate in agenzieche hanno fatto epoca, ma di

religione fondata su quell’e-vento di amore e verità cheè Gesù Cristo. E Cristo è laParola che non passa, a dif-ferenza delle tante parole,che fanno epoca, ma riman-gono irrimediabilmente nel-la loro epoca! I santi sono

persone che nel propriotempo storico si sono tal-mente innestate sull’eventoCristo da diventare quasi al-tri Cristi, e modelli di parti-colare stile di vita evangeli-ca per altri. Così è stato perGirolamo Emiliani: ha segui-to ed imitato il suo caro mae-stro e capitano Gesù, da di-ventare maestro e capitanodi una lunga schiera di di-scepoli: una compagnia, cheper il servizio dei piccoli edegli ultimi, dal XVI secoloha raggiunto il terzo millen-nio, e superato i confini ditutti i continenti. Ed il se-greto di questa meravigliosavitalità non poggia su unadottrina ideologica partico-lare, o su una politica pro-grammata di sviluppo, o suuna regola scientifica, cosetutte che si inseriscono in unpreciso momento cronologi-co per essere superate inquello successivo, ma in unfatto di vita: qualcuno ha cre-duto ad una Parola e su quel-la ha costruito la sua casa (Mt

6

Girolamo

non cessa

di ricordarci

che il nostro fine

è Dio,

fonte di ogni bene,

il quale,

se non manchiamo

noi di fede

e speranza,

farà cose

grandi in noi

Cari amici

Girolamo vive ancora oggi

perché allora non ebbe paura

di innestarsi in Cristo

Cristo è la Parolache non passa,

a differenzadelle tante paroleche fanno epoca,

ma rimangonoirrimediabilmentenella loro epoca

I santi non muoionovivono in noi

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gennaio/marzo 2007 - n. 1 Vita somasca

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7, 24), e quella casa non è ca-duta, ma è diventata dimoraper tanti altri in tutti i tempie culture. Questo è il vero se-greto della santità, è il ger-moglio del carisma che di-venta albero rigoglioso (Mt13,32). La storia della Con-gregazione e del carisma so-masco attestano la veridici-tà di tale evento e la peren-ne giovinezza di chi, per pri-mo, si è fidato: GirolamoEmiliani. Girolamo vive og-gi, perché allora non ebbepaura ad innestarsi in Cristo,e vive in noi sua famiglia, acui continua a far pervenirela fresca linfa della radiceevangelica. Celebrare la solennità di SanGirolamo, penso, debba es-sere per ogni persona, chesente il legame al suo cari-sma, motivo per rileggere lapropria storia personale confede e gratitudine sempreaperte alla speranza. Legge-re le vicende della vita nel-la fede, significa trovare levere motivazioni ed il sensodi quanto siamo e speri-mentiamo. La gratitudinecostituisce poi il sapore chedà gusto ad ogni attimo pre-sente, perché non si perdacol passare del tempo, macostruisca una storiad’amore. Ed infine la spe-ranza, lungi dall’essere lapiù sottile delle illusioni,scalda ogni giorno il cuore al-l’incontro con gli altri e conl’Altro sulla cui Parola abbia-mo gettato le reti (Lc 5, 5).Lasciamoci educare da Giro-

lamo che non cessa di ricor-darci che il nostro fine è Dio,fonte di ogni bene, il quale,se non manchiamo noi di fe-de e speranza, farà cosegrandi in noi esaltando gliumili (seconda lettera). È co-sì che la storia di Girolamo èla nostra storia, la sua santi-tà è la strada della nostrasantità: veramente san Giro-lamo non ha ancora abban-donato la sua famiglia!

Franco [email protected]

come Dio non abbandona

la sua Chiesa, san Girolamo

non abbandona la sua famiglia

come Dio non abbandona

la sua Chiesa, san Girolamo

non abbandona la sua famiglia

G. SANTELIA ;San Girolamo e gli orfani di Milano; sbalzo su rame cm 150x300

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Il punt�

Sono trascorsi dieci anni daquando un somasco ha de-cellerato lungo l’arteria ma-dre che conduce da Milanoa Binasco; scendendo per laprima volta dalla propriaauto ed incontrando la pri-ma ragazza di strada.Diecimesi da quando il Capitologenerale ha lanciato, comescia di cometa dietro il suopassaggio, il monito e la vi-va esortazione di tornare instrada. Dieci giorni da quan-do, dopo dieci anni di silen-zio editoriale, Segnavia haprovato a raccontare quelloche ha visto ed incontrato instrada, nel volume La stradasi racconta.Del primo e del secondo av-venimento esistono testi-moni e relatori ben più au-torevoli del sottoscritto. Virisparmio il mio pensiero.

È sul terzo, invece, che pro-verei a fornire alcuni scorci.Di fronte ad un libro sullastrada, mi pare che sianodue le domande di senso daporre: «Perché stare in strada?»;«Perché scrivere di questo stare instrada ? Quale nesso tra la stradae la scrittura».Yve Bertrand, fotografo fran-cese, pubblicò un libro di so-li scatti fotografici aerei. Laterre vue du ciel. La terra vistadal cielo. Se avesse scattatoanche sopra il territorio del-l’hinterland milanese, dellaperiferia downtown in cui an-diamo in strada ed in cui vi-vono le vittime di tratta, cre-do ci avrebbe aiutato a dareun quadro più chiaro del no-stro stare in strada. Perché lestrade, viste dall’alto, asso-migliano a… ferite.

Ferite del territorio, lingue di ca-trame che tagliano la ormaidefunta campagna padana,rendendone l’aria irrespira-bile, la terra impercorribile(se non in coda), l’acqua nonnavigabile (se non per ratti,pantegane e detriti del no-stro consumo).Ferite delle ragazze, nel loro cor-po, venduto, violato, spo-gliato, percosso. Nella lorodignità, calpestata e rattrap-pita. Come il viandante chesi recava verso Gerico.Ferite della logica e del buonsenso. Perché la strada è perdefinizione luogo a cui si vae da cui si viene. Non in cuisi vive e si resta.Ferite della nostra società. Cheovunque, cliente più chepersona, ormai divora e con-suma. Ma qui, in strada, sisupera e diventa cannibale.

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a cura di Carlo Alberto Caiani

La strada, tra segno e ferita

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Consumando e divorandoanche se stessa, la propriacarne.Ferite della giustizia, infangatadagli sfruttatori - che com-prano e vendono ragazze co-me alla fiera del bestiame -ai quali la mafia italiana af-fitta e subappalta tratti distrada, permettendo la per-manenza delle ragazze (al-trimenti rimosse perché... indivieto di sosta).Ferite della nostra Repubblica,colpevolmente inerte e vo-lutamente cieca di fronte aduna piaga alla quale non ri-conosce nemmeno la digni-tà di disagio.Ecco perché stiamo in stra-da. Per… prenderci cura del-le ferite.Non sono rimarginabili defi-nitivamente; a volte si chiu-dono per breve tempo (una

ragazza che esce), poi siriaprono (ne arriva un’altradall’Est); si cauterizzano;poi fanno infezione o emor-ragia. Non le possiamo cura-re. E, allora, ce ne prendia-mo cura.Ferita, che suona meglio inlatino: vulnus. Da cuil’aggettivo vulnerabili. Accogliendo la loro vulnera-bilità in strada, riconoscia-mo la nostra. Impariamo aconsiderarci una goccia nelmare. Meglio, uno sputonell’oceano. Anche noi no-madi e pellegrini, semplice-mente su una strada-vitaasfaltata un po’ meglio. Unacasa arredata.Stando in strada siamoras-segnati, all’impossibilitàdi una guarigione totale del-la ferita.Contras-segnati, dai mercanti

di merce umana che ci cono-scono, e dalle ragazze, che ciriconoscono.As-segnati a quel luogo, perruolo o per disegno, perchéci sembra il nostro.Segnati dalla strada. Segnatidalla Via.Queste ultime considerazio-ni mi introducono anche alsecondo interrogativo. Per-ché scrivere della strada?Quale legame tra strada escrittura?Entrambe … lasciano deiSegni, delle tracce. Lasciareuna traccia scritta si dice. Laterminologia della strada(traccia, segnale strada-le, …) si presta a quello del-la scrittura.Scriviamo per lasciare un se-gno; di questa strada.Per con-segnare racconti altri-menti afoni ed invisibili. �

gennaio/marzo 2007 - n. 1 Vita somasca

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Pensare alla casa degli sposi cristiani co-me luogo che esprima e consental’adesione alla fede di chi vi abita, a quel-la fede che alimenta e sostanzia il viverequotidiano, non è certo un processo invo-lutivo. Infatti, se la casa è il luogo concre-to dove la spiritualità del matrimonio si in-carna, consegue che alla spiritualità dellacoppia sia correlata la spiritualità della fa-miglia e, a quest’ultima, la spiritualità del-la casa. È importante che la casa che i duesposi formano, non prescinda da alcuni se-gni ricercati insieme, che siano ancheesterni e visibili di una realtà familiare davivere nel nome della Santa Trinità. Infat-ti nella famiglia, Chiesa domestica, ciò checonta è la relazione che in essa si compie:«Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, là ci so-no anch’io». È vero, fa parte della modernacultura e mentalità un certo pensare laicoche tende a dividere la religione dalla vi-ta, per cui le esigenze religiose sarebbe-ro da soddisfare nel tempio, non facilitan-do l’organizzazione familiare nella ricercadi quel posto per Dio che favorisca in casa siala preghiera sia il dialogo profondo,espressioni complessive della vita di fe-de. Pur non intenzionalmente, la genito-rialità degli sposi viene come privata del-la carica espressiva inerente la loro fun-zione sacerdotale, e la casa potrebbe qua-si divenire una stazione di servizio, dove

ci si ferma per una breve sosta e poi ri-partire. Ma all’origine non fu così. Emble-matica l’immagine della visita del Signoread Abramo presso il querceto di Mamre.Un incontro fondamentale, che muta radi-calmente la vita di una coppia, addirittu-ra origina un popolo (è la Promessa per ec-cellenza), e dove avviene? Davanti a unatenda-casa, dove la moglie è intenta a pre-parare il pranzo e il marito è seduto lì da-vanti. E cosa fa Abramo? Un semplice in-vito a pranzo, si pone in ascolto degli Ospi-ti inattesi e si prodiga per l’accoglienza.

Spazio famigliaa cura di Teresa Marzocchi Bignami

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Non è difficile, se lo si vuole, individuare l’angolo dell’incontro

dove si possono vivere occasioni di benessere

e di crescita umana e spirituale

Un posto per Dio:la spiritualità della casa

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Nel Nuovo Testamento è Gesù che, visi-tando, insegnando e guarendo ci dà la mi-sura dell’uso della casa, anche della no-stra: scuola di perfetta carità per l’interafamiglia, luogo di salvezza per quanti viabitano ed in essa esercitano le opere dimisericordia corporali e spirituali, ma an-che per amici e quanti vi giungono, per lacapacità che ivi si esprime di piangere conchi piange, soffrire con chi soffre, consola-re con la stessa consolazione già ricevutada Dio, come dice Paolo. Anche per Gesùla tavola è spesso il luogo dell’incontroprofondo, vero, risanante. Sul suo esem-pio il momento ripetitivo del mettersi a ta-vola può essere trasformato dalla sereni-tà del dialogo in occasione unica per in-coraggiare, correggere, ricucire e rafforza-re i legami familiari. E la strategia non è ilprendere di petto col richiamo, ma lascia-re che, mentre si ascolta, lo Spirito, insi-stentemente invocato almeno nel propriocuore dai genitori, agisca, compia la suaopera nel cuore dell’altro e di tutti e solo

dopo si interviene. E come? Senza rivalsao condanna, ma con amore e per amore,con l’intento di essere utile alla crescitadell’altro, a imitazione di Gesù: «Non sonovenuto per essere servito ma per servire». In ca-sa, uno dei segni possibili è un’icona dascegliere insieme con cura e da collocarenel posto più idoneo perché le si attribui-sca un valore simbolico particolare: un ri-chiamo a quel Regno di Dio che è pace, gioia,benevolenza. Ancora: un segno di croce sul-la fronte ai figli prima che escano da casa,quasi un invio e un gesto di affidamento.Come Gesù che non sempre dice se vuoi,anche papà e mamma possono dire “an-date!” ovvero ”cercate, studiate, lavorate”. In-fatti, quando si tratta di una decisione disicuro bene per sé ed i suoi, l’adulto di fa-miglia non esita a dare l’ordine, né si per-de a chiedere consensi. E la risposta nonpuò essere che l’obbedienza. Non è diffi-cile, se lo si vuole, individuare l’angolodell’incontro dove, con modalità e orariopportuni, con gesti ben scelti, si posso-no vivere occasioni di benessere e di cre-scita umana e spirituale: si pensi alla pre-ghiera di coppia e di famiglia, a una lettu-ra condivisa, ad una sosta improvvisa peruna luce da chiedere o un grazie da espri-mere, la benedizione serale ai figli, il chie-dersi perdono dopo un forte contrasto. Sicrea così una consuetudine-tradizione chediviene come la radice che sostiene e ali-menta ogni persona ed arricchisce di con-tenuto e stile la vita della famiglia. Si trat-ta di organizzare al meglio i ritmi coniuga-li e familiari, perché si rinsaldi l’unione el’attitudine all’aiuto reciproco, non di-menticando di usarsi reciprocamente mi-sericordia. È un piccolo, ma fondamenta-le apporto alla costruzione del Regno.

Pasqualina Tuscano

[email protected]

gennaio/marzo 2007 - n. 1 Vita somasca

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Il momento

ripetitivo

del mettersi

a tavola

può essere

trasformato

dalla serenità

del dialogo

in occasione unica

per incoraggiare,

correggere,

ricucire

e rafforzare

i legami familiari

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Il Comandamento nuovo di Gesù, filo con-duttore della prossima GMG, ha un’altra par-ticolarità rispetto alla regola d’oro citata daGesù e presente nel libro del Levitico: «Amail prossimo tuo come te stesso» (Lc 10, 27 e Lv 18, 5).Si tratta della diversa formulazione del ver-bo amare. Infatti si passa dalla seconda per-sona singolare alla seconda plurale: da amaad amatevi. È una gran bella differenza, per-ché l’amore non è più solo un esercizio di

ascesi personale, ma si apre alla comunionee alla reciprocità. Infatti dagli Apostoli, chericevettero per primi quel comando e perprimi lo attuarono, nacque la prima comuni-tà, la Chiesa. Gli Atti degli Apostoli la de-scrivono con tratti semplici, ma affascinanti:«La moltitudine di coloro che eran venuti alla fedeaveva un cuore solo e un’anima sola» (At 4, 32). Unospecchio dell’amore che fa uno il Dio trino:la Trinità. Anche san Girolamo ne rimase pro-fondamente affascinato, al punto che ognigiorno, lui e i suoi compagni, pregavano chela Chiesa tornasse “a quello stato di santità chefu al tempo degli Apostoli”. Il fatto è che san Gi-rolamo (sempre quando non aveva ancora il“san” davanti) faceva di tutto perché questaesperienza di comunione la vivessero lui coni suoi ragazzi, i suoi compagni e tutte le per-sone di buona volontà che incontrava nel suocammino. Era il fuoco che l’aveva entusia-smato all’inizio del suo percorso di conver-sione insieme ai suoi amici del Divino Amore,conosciuti a Venezia, ma che avevano nelcuore la Chiesa intera. È questo fuoco che gliaveva permesso di realizzare non semplicicase famiglia per orfani, ma autentiche comuni-tà di cristiani rinnovati, esempio e provocazio-ne in una comunità cristiana ormai allo sban-do. Allora, perché non guardarsi attorno e ve-dere i membri del proprio gruppo o dellapropria comunità con occhi nuovi: sono fra-telli con cui impegnarci nel reciproco amo-re. Sarebbe un’iniezione di vita cristiana chenon solo rinnoverebbe noi, ma anche gli am-bienti dove viviamo. Ne sarebbe contentoGirolamo, ma più ancora Gesù che è mortoin croce proprio per portare la Trinità fra gliuomini e gli uomini nella Trinità.

Roberto Frau

www.giovani

Alla luce della GMG 2007

Perché

non guardarsi

attorno

e vedere

i membri

del proprio

gruppo

o della propria

comunità

con occhi nuovi?

Amatevi

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Nel numero precedente avevamo iniziato uncammino dentro di noi lasciandoci con unaregola di cui far tesoro: seguire sempre lapropria coscienza, mai andarle contro. Oggimetteremo a punto l’equipaggiamento ne-cessario per il viaggio.In genere però quando ci si equipaggia si in-dossano abiti protettivi, si riempiono gli zai-ni di strumenti utili, talvolta ci si arma. Quibisogna fare esattamente l’opposto: disar-marsi di tutto. Infatti c’è un presupposto in-dispensabile perché la nostra coscienzapossa esprimersi con chiarezza: che non cidifendiamo da essa. Non è facile, occorreavere del fegato. Un istinto primordiale cispinge a difenderci ad oltranza, a salvarci adogni costo, anche uccidendo la verità se que-sta ci è scomoda. Non è raro assistere (quan-do non siamo noi addirittura i protagonisti)a discussioni nelle quali le persone coinvol-te si dimenano per prevalere, criticano, ac-cusano, feriscono, ma senza mettersi vera-mente in gioco, senza riuscire a chiedersi: mitrovo davvero dalla parte della ragione? Chetristezza. Per seguire la voce della coscien-

za è necessario il coraggio di essere pronti ariconoscere i propri punti deboli, a togliercile maschere, a correggere i giudizi sugli al-tri, a rivedere le nostre convinzioni. Costa,ma il premio meraviglioso è la verità. Chi loraggiunge proverà la gioia di vivere nellarealtà e di iniziare a capire veramente il mon-do intorno a lui. E sarà libero dalla schiavitùdi voler avere sempre l’ultima parola. Il Van-gelo ci incoraggia: «Chi cercherà di salvare la pro-pria vita la perderà, chi invece la perde la salverà»(Lc 17, 33).C’è stato un uomo molto vicino a Dio, di no-me Atenagora, che ha vissuto tutto questo eha lasciate scritte delle parole luminose: «Bi-sogna riuscire a disarmarsi. Io questa guerra l’ho fat-ta. Per anni e anni. È stata terribile. Ma ora sonodisarmato. Non ho più paura di niente, perché“l’amore scaccia la paura”. Sono disarmato dalla vo-lontà di spuntarla, di giustificarmi a spese degli altri.Non tengo particolarmente alle mie idee, ai miei pro-getti. Se me ne vengono proposti altri migliori, li ac-cetto volentieri. Ciò che è buono, vero, reale, dovun-que sia, è il meglio per me».

Michele Marongiu

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Per seguire la voce della coscienza è necessario il coraggio di essere pronti a riconoscere i propri punti deboli, a toglierci le maschere,a correggere i giudizi sugli altri,a rivedere le nostre convinzioni

Dentro di me

Equipaggiamento

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Problemi d’oggi

Si fa un gran parlare delbullismo. Ma che cos’è? Eperché i ragazzi anzichépensare a studiare, quan-do è il momento, e a gioca-re, quando è il momento,pensano a vessare, pic-chiare, essere insolenti, ar-roganti con i compagni ocomunque con altri ragaz-zi? Qual è la molla che fascattare questo comporta-mento?I giovani tendono ad esse-re annoiati, vanno a scuolasenza sapere dove voglio-no arrivare. Certo, fino ad

un certo punto, la scuola èobbligatoria. I ragazzi nonci pensano che questa ob-bligatorietà esiste proprio,paradossalmente, per ga-rantire la libertà di sceltadella propria vita. Vivonoquesto obbligo come unacostrizione, con il risultatoche non si impegnano a vo-ler sapere le cose. Quindila chiusura mentale che nederiva porta a nutrire ran-core verso la scuola, comese fosse sua la colpa dellapropria svogliatezza. Edecco che inizia l’insolenza,

l’arroganza come a dimo-strare che, anche se non sistudia, si è forti lo stesso. Esi crede di dimostrarlo conle mani, con la violenza. Madov’è finita la carità cristia-na? Non mi riferisco certoal buonismo, al pietismo,al formalismo. Di questo èpieno il mondo, troppopieno. Mi riferisco alla cu-riosità dei ragazzi per gli al-tri ragazzi, curiosità che è lascintilla necessaria perchési accenda il fuoco dell’in-teresse dell’altro. Non cer-to alla curiosità fine a se

Perché il bullismoLa strada del bullismo porta a un dolore morale

più intenso e doloroso di quello fisico

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stessa, che fa diventare in-vadenti ed arroganti, ap-punto. E allora, la com-passione do-v’è finita? Non interessa più niente diniente. I ragazzi hannotroppo e troppo facilmen-te: questo è innegabile.Hanno un modo decaden-te di vivere e non sono con-tenti. Da un lato le famigliesono troppo permissive,non hanno il coraggio diprendere delle posizioniche potrebbero causaretensioni, dall’altro si giusti-ficano nei modi più svaria-ti. Non sto certo facendoconfronti tra il passato ed ilpresente. Sto semplice-mente facendo delle con-statazioni sull’attualità ba-sate sulla mia esperienzaprofessionale. È importante che i ragazziricomincino a fare progettiper la propria vita. Che sia-no consapevoli della stra-da che hanno imboccato e

dove questa strada li por-ta. Se è la strada che li por-ta dove vogliono arrivare ono. Devono rendersi contodai primi risultati se è lastrada giusta. Se vedonoche la strada che hannopreso è quella della vio-lenza, devono sapere chequesta li porta al dolore, undolore morale molto più in-tenso e doloroso di quellofisico. E un dolore di que-sto genere non è solo il pro-prio, ma diventa anchequello della loro famiglia edelle persone che voglionoloro bene. Perciò l’amorenon deve essere solo teo-rico e quindi dato per scon-tato, ma deve essere mes-so in conto in ogni istante:l’affetto per sé, per la pro-pria famiglia e per il pros-simo. Il bullo non dimostra certodi avere amor proprio,quello che lo anima è solol’egoismo: la soddisfazionemomentanea di un impul-

so, senza valutarne le con-seguenze morali indivi-duali e sociali. E se una persona non sa da-re amore a se stesso, comefarà a darlo agli altri?

Elena Santomartinopsicologa, psicoterapeuta

Si manifesta con atteggiamenti di intimidazione, sopraffazione, oppressione fisica o psicologica, commesse da un soggetto forte, il bullo, nei confronti di un soggetto debole, la vittima.Queste azioni hanno due caratteristiche distintive: sono intenzionali e ripetute nel tempo.Il fenomeno riguarda sia i maschi chele femmine e tende a manifestarsi nelle fasce di età dai 7/8 ai 14/18 annie soprattutto in ambito scolastico. Talvolta le prepotenze si verificano anche nel tragitto casa-scuola e più in generale alle fermate degli autobus, sui mezzi di trasporto,nei locali e luoghi di ritrovo di massa.

Che cos’é il bullismo

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La giornata è una delle piùbelle di gennaio. Qui da noiil freddo dell’inverno si fasentire soprattutto in que-sto mese, ma oggi il sole,arrivato presto, sta scaldan-do bene e il tepore è pri-maverile. Approfittiamo perriporre il presepe, le statui-ne, le luminarie. Per primacosa diamo l’assalto alcipresso del parco che perventi giorni ha avuto la glo-ria di essere l’albero diNatale. Con la scala doppia,le prolunghe elettriche, inastri colorati, le bocced’argento e oro, i tubi lumi-nosi, tutto viene calato inun battibaleno. «Come si fa infretta a smontare!»: èl’osservazione che mi fannoi ragazzi. Per addobbarlo,infatti, sono stati impegnatiper diversi pomeriggi, edecco che ora tutto è finito.Poi attacchiamo il presepe.Le prime a sparire nelloscatolone sono le statuedella capanna. I ragazzi sele passano di mano inmano. Qualcuno, prima diavvolgerle nella carta digiornale, vi stampa unbacio. «Perché non c’è sanGirolamo nel presepe?» chiedeil più piccolo. «È venuto almondo tanto tempo dopo»,rispondo. Poco convinto;

l’aquilotto contrattacca:«Ma se è un santo, nel presepedovrebbe esserci anche lui. Nelpresepe ci mettiamo i santi,vero?». Questa idea deisanti nel presepe mi suonastrana eppure la condivido.Non che immagini un pre-sepe con san Francesco,santa Chiara, san Girolamo,san Vincenzo, don Bosco eMadre Teresa. Comunque mi piace l’idea

che i pastori, i magi e tutta lapovera gente comune chemettiamo nel presepe siasanta. Santa nel senso cheviene a partecipare dellasantità stessa di Dio. Sono lì per vedere il Bam-bino e lui, senza dubbio,dona loro molto di più diquel che riceve. La curiositàe l’affetto vengono ricam-biati con l’amore. E siccomeè amore divino, ciò li rende

senz’altro santi. Ho tra lemani l’asino, mentre formu-lo questa tesi di teologiaruspante. Lo incarto in frettaperché sento già che mi siallungano le orecchie.Eppure il Catechismo dicela stessa cosa. Dice che ilbattezzato è santo perchéabita in lui la vita stessa diDio e il suo amore. È consa-crato totalmente a Dio e tra-sformato da lui a immaginedella sua purezza e perfe-zione. È una creatura nuovae, perciò, può dirsi santo. Mipare di capire, allora, che lasantità del cristiano è giàuna condizione oggettiva.San Paolo, rivolgendosi nel-le sue lettere ai cristiani, lichiama santi: i santi che sono aRoma, Corinto... . E li esorta avivere come si addice a santi, arivestirsi cioè «come eletti diDio, santi e amati, di sentimentidi misericordia, di bontà, di umil-tà, di mansuetudine, di pazien-za». Esiste veramente, allo-ra, la condizione oggettivadel cristiano che lo rendesanto, figlio di Dio, in comu-nione addirittura con laSantissima Trinità, in pos-sesso per partecipazionedegli stessi beni che il Figliodi Dio possiede per natura.E quindi in forza di ciò, il cri-stiano è veramente Dio per

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Santial quadrato

Vita della Chiesa

il battezzatoè santo

perché abita in lui

la vita stessadi Dio

e il suo amore

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partecipazione, uguale a luie suo compagno. Mentre sono nello strettosottoscala, urto qualcosa elo scatolone pieno di statui-ne oscilla con il rischio dimandar tutto in frantumi.Svelto, però, faccio contrap-peso e il prezioso involucroè salvo. Torna al suo postoconsueto per rimanerci finoall’anno prossimo. Certoche abbiamo una condizio-ne davvero straordinarianoi cristiani - arrivo a pen-sare. Siamo santi! Abbiamoil diritto di metterci davantial Padre che è nei cieli conlo stesso atteggiamento diGesù perché lo Spirito cirende capaci di gridare:«Papà!».È chiaro che questa condi-zione privilegiata espone ilcristiano ad una tensionecontinua verso la pienamaturità in Cristo, verso lasantità completa. È fuoridiscussione: il battesimonon è un episodio conclusoin se stesso. Sono chiamatoa viverlo nella continuitàdei giorni e degli anni.Senza una coerente vita difede e una conversionecontinua quel dono restasenza frutto. I ragazzi disopra mi chiamano persapere se possono portarvia la scala dall’albero.Rispondo, e tra me e meconcludo che, forse, è ridut-tivo chiamare santi soltanto

quelli che hanno vissuto levirtù in modo eroico.Potremmo definirli, magari,santi al quadrato perché allasantità per vocazionehanno corrisposto una vitadavvero santa. Ma santi losi è innanzitutto gratuita-mente, per dono, perchébattezzati figli di Dio. Spengo la luce del sottosca-la. Resto al buio e provouna vaga sensazione di di-sagio. Anche questo èsegno che siamo chiamati

ad essere figli della luce enon delle tenebre. «Se que-st’anno abbiamo fatto il presepecon i santi normali», dico alprimo ragazzo che mi vieneincontro, carico come unsomaro di nastri e stellefilanti, «l’anno prossimo mette-remo nel presepe i santi al qua-drato. E tra questi il più vicinoalla grotta sarà san Girolamo».Mi guarda e non capisce.«Boh, sarà una questione dimatematica», pensa tra sé.

Augusto Bussi Roncalini

gennaio/marzo 2007 - n. 1 Vita somasca

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Il battesimo

non è un episodio

concluso

in se stesso.

Sono chiamato

a viverlo

nella continuità

dei giorni

e degli anni.

Senza una coerente

vita di fede

e una conversione

continua

quel dono

resta senza frutto

G. PERSICCI;San Girolamo presenta gli orfani alla Vergine; edicola votiva, manufatto in cemento

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Anniversario

Santa Maria Maggiore, aTreviso, il santuario marianoda centoventicinque anniretto dai padri somaschi, sista preparando a celebrarequesto anniversario per illuogo di culto tanto caro

all’Ordine somasco, all’inte-ra diocesi di Treviso, e nonsolo, dato il flusso di pelle-grini, soprattutto malati, checontinuano a frequentarlo.La Vergine Maria, san Giro-lamo Miani, il Servo di Diofratel Righetto (FedericoCionchi il sagrestano veg-gente), continuano ad esse-re ancor oggi punti di riferi-mento della devozione po-polare in questo angolo diterra veneta. È bastato ungrido d’allarme del parrocoper richiamare l’attenzionedella Curia di Treviso, dellaRegione Veneto, del Mini-stero dei Beni Culturali edella Soprintendenza: «San-ta Maria Maggiore è in pericolo»,un pericolo di staticità,dovuto ad infiltrazionid’acqua che stavano arre-cando un grave danno all’in-tero complesso edilizio.L’opera di sensibilizzazioneche ne è seguita ha coinvol-to la cittadinanza trevigianae di-versi privati. Oggi lachiesa appare diversa: sonostate ripulite le pareti inter-ne, si è intervenuto sul cam-panile e sulle pareti ester-ne; gli affreschi cinquecen-teschi di LudovicoFiumicelli e di GiovanniPietro Meloni, in battistero,sono salvi. «Sono contento -

afferma p. Luigi Bassetto -perché in tanti hanno dimostratosensibilità e vero amo-re verso lanostra basilica. Maria è semprestata nel cuore dei trevigiani».Attorno alle iniziative delparroco e della comunitàparrocchiale si sono mos-seanche altre realtà: gli Amicidei Musei di Treviso hannovoluto il restauro di una teladel 1883 raffigurante sanGiuseppe, ai cui piedi sierge il cupolone di sanPietro, opera della pittricetrevigiana Rosa Borto-lan;sono state altresì resta-urate diverse tele apparte-nenti a valenti pittori delCinquecento e Seicento ve-neto, dal Pozzoserrato aBartolomeo Orioli. La Fon-dazione Cassamarca, autenticovolano di promozione cultu-rale, ha voluto far rivivere unaffresco seicentesco Pro-spet-tive architettoniche (1683 ca.) diPier Antonio Cerva che oggisovrasta il tempietto internodedicato a Maria, dietro ilquale c’è l’antica immaginedevozionale della MadonnaGrande, appartenente allascuola di Tommaso daModena.A fine maggio si farà granfesta attorno ai padri soma-schi, per un grazie alla loroopera e alla Madona Granda.

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Custodi di Mariada 125 anni

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dossier Vita somasca

I fioretti di padre GirolamoI fioretti di padre Girolamo

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Nasce a Venezia nel 1486. Da giovane, ave-va sognato di intraprendere una brillantecarriera militare. Partì per la guerra congrande entusiasmo e il vivo desiderio dipassare alla storia per le sue grandi im-prese. Fatto prigioniero, fu prodigiosa-mente liberato dalla Vergine. Convertitosia Dio e profondamente rinnovato, nel suoardente desiderio di seguire la via del Cro-cifisso e di imitare Cristo, suo Maestro, sifece povero e offrì se stesso, corpo e ani-ma, al servizio dei poveri. Si prodigò, inmodo speciale, per i bambini orfani e sen-za casa. Incominciò a cercarli per le stradedella città e li sfamava. Questi, avevano bi-sogno di una casa e anche di un padre: de-cise pertanto di assumere questo compito.Oltre a provvedere alle necessità materia-li, Girolamo pensò di dare loro un’adegua-ta preparazione per la vita. Volle che im-parassero a leggere e scrivere e un me-stiere, conforme alle necessità e alle incli-nazioni di ognuno. Nel febbraio del 1531,lasciò il suo abito da patrizio per indossa-

re quello dei poveri. Uscì di casa sua e an-dò a vivere con loro, per sempre. Deside-rò moltissimo che i suoi ragazzi crescesse-ro come buoni cristiani. Li educava nellalealtà, bontà, spirito di sacrificio, laborio-sità e senso di responsabilità. Il suo amo-re generoso e la sua azione di misericordianon ebbe limiti. La lunga carovana umanadolente composta da poveri, ammalati,moribondi, bambini orfani, soli, senza ca-sa, abbandonati, affamati, ultimi ed emar-ginati… incontrarono in lui un cuore di padre.Per i molti amici che, come lui, volevanoimpegnarsi totalmente a servire i poveri ela gioventù abbandonata, Girolamo fondòla Compagnia dei Servi dei Poveri, oggi chiama-ta Congregazione dei Padri Somaschi. Nel-la sua eroica dedizione agli appestati, con-trasse la peste. Morì l’8 febbraio 1537. I san-ti non muoiono. Nel 1767, il papa Clemen-te XIII lo proclamò santo e, nel 1928, il pa-pa Pio XI lo presentava alla Chiesa comePatrono universale degli orfani e della gioventù or-fana e abbandonata.

dossier

Una vitaintensa,

quella di san

Girolamo,vissuta in

profonditàe in modo

radicale(tutto

o niente).Dopo

la sua con-versione ela scoperta

del Cristosofferente,

decide di amarloe servirlo

nei poveri,nei deboli

e nei piùpiccoli.

L’amore eil servizioagli altri,

diventanola ragionedella sua

esistenza.Lo testi-moniano

questi fioretti

tratti daidocumenti

della tradizione

somasca

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Le bravate dei santi

Un bel mattino, che c’era nell’aria un soli-cello da innamorare, l’allegra schiera degliorfanelli se ne andava verso la Certosa di Pa-via per vedere quella bella chiesa e pregar-vi il Signore e ricrearsi anche con una pas-seggiatina. Se ne andavano dunque verso laCertosa cantando e saltellando, con certe ri-sate fresche che ringiovanivano il cuore,quand’ecco ti sbucano dal bosco due grossilupi. Che occhi e che denti! Questa volta nonsi scappa. E si attaccano tutti quei figlioli al-la sottana del padre Girolamo, gli si abbrac-

ciano alle gambe, gli afferrano le mani, e stril-lano con lo spavento nel cuore e negli occhi.«Non temete, figlioli, non temete - dice padre Gi-rolamo - lasciate fare a me». E si fa incontro ailupi tracciando un bel segno di croce suquelle bocche spalancate e le due fiere sirincamminano per il bosco con la coda fra lezampe.Anche san Francesco d’Assisi, il santo fratel-lo del sole, delle tortorelle, dell’acqua pre-ziosa e casta e di tutte le creature, aveva am-mansito così il feroce lupo di Gubbio.

gennaio/marzo 2007 - n. 1 Vita somasca

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Un bel giorno, a Venezia, padre Girolamousciva da san Marco, la basilica tutta d’orodentro e fuori come un sole, sulla piazzaGrande, che una uguale al mondo non la tro-vi, tanto è bella. Gli si fa incontro un certouomo che, ad occhio e croce - senti quel chedice - capisci che deve avere qualche affarecon i nipoti per il commercio della lana. Neldiscorso ecco che ad un certo punto quellosi scalda, s’infuoca come il ferro nella bracedella forgia, e comincia a vociare. Padre Gi-rolamo, che è un gentiluomo ammodo, cer-ca di calmarlo e di fargli intendere buone ra-gioni. Macché. Quello, con fare da bifolco,sbotta con una litania di escandescenze e fi-nisce per minacciarlo: «Ma non sapete, messerGirolamo, ch’io vi strapperò la barba pelo a pelo?».Questo è troppo. Stavolta vedrai che il pa-trizio difenderà il suo onore coperto di in-sulti così villani in faccia a tanti concittadini.

Sa il fatto suo anche lui.E invece no. Senti che cosa gli rispose:«Quando a Dio così piaccia, eccomi pronto; e fa di mequel che ti piace». E protende il mento verso ilrivale; poi sorride rivolto ancora a quel po-veraccio, che prima resta lì confuso, poi sene va come un cane frustato. «Povero lui, seavesse osato qualche anno fa!» commenta la gen-te. Sicuro. Allora la mano sarebbe corsa allaspada, la spada avrebbe lasciato il foderoe… una volta fuori, non ti assicuro come cisarebbe tornata. Ora invece…

Le bravate dei santi

Al lupo, al lupo!Al lupo, al lupo!

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dossier

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I due bestemmiatoriIn una casa vecchia, lungo le rive dell’Addain Val san Martino, vivevano due fratelli. Siodiavano a morte e l’odio era di antica data.Se s’incontravano per via erano risse terribi-li, che la gente non osava avvicinarsi. Un gior-no appunto si incontrarono così. Non si era-no ancora visti, che il sangue montò loro al-la testa e fu un uragano di imprecazioni,d’ingiurie, di minacce, di bestem-mie. Cosa ci avesse da fare Diotra loro, io non lo so. Ma fucosì; sembravano im-bestialiti. Proprioallora passavadi là padre Gi-rolamo,

con la bisaccia a spalla e con il passo stan-co. Aveva piovuto durante il giorno; e s’eraaffaticato come non poche volte andando al-la cerca dei suoi ragazzi sotto l’acqua e inmezzo al fango. A sentire quelle ingiurie equelle bestemmie prova una stretta al cuo-re e si getta tra i due per separarli. Li prega,li scongiura a mettere fine a quello scanda-lo. «O figlioli, che torto avete ricevuto da Dio e dal-la beatissima Vergine, per ingiuriarli così con la vo-

stra lingua? No, no; basta, per carità!». Ma è inu-tile. Quelli hanno il cuore di pietra. Allora pa-dre Girolamo piangendo si butta ginocchio-ni in mezzo alla strada, prende a mani pie-ne il fango, se ne riempie la bocca e masti-candolo: «Dal momento che voi non volete smet-terla di bestemmiare, dice, neanche io finirò di farepenitenza con la mia bocca, perché il grande Iddio,

che voi offendete così gravemente con lavostra, di lassù non vi fulmini». Equella santa bocca, che da tan-ti anni per mortificazione e pe-

nitenza non conoscepiù che pane du-

ro ed acqua,continua a

masticare il fango della strada. Cessano al-lora di litigare. Le loro labbra hanno un tre-mito di commozione. Si guardano negli oc-chi. Si abbracciano con le lacrime di penti-mento e di perdono. Sono riconciliati tra lo-ro e con Dio. Ha vinto il padre Girolamo ilquale, contento, riprende la sua bisaccia, ilsuo bastone, la sua strada con passo stanco,ripulendosi con il dorso della mano le lab-bra ancora sporche di fango.

I due bestemmiatori

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gennaio/marzo 2007 - n. 1 Vita somasca

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Inverno 1536. Di neve ce n’era venuta un me-tro o quasi. Nella madia della Valletta nonc’è che tre pagnottelle e ci sono quasi cen-to bocche in casa che hanno fame perché siavvicina il mezzogiorno; e scender giù alpaese è impossibile senza strada, con tuttaquella neve. Neanche a pensarci. E allorache si fa? «Figlioli - dice padre Girolamo - con-fidiamo in Dio. Lui, che ha sfamato tante migliaia diebrei nel deserto ed ha saziato la fame della gen-te che lo seguiva con pochi pani; Lui, che be-nedice tutte le creature e prepara il cibo agliuccelli dell’aria e agli animali della terra, que-sto buon Dio si prenderà cura di noi». Tutti sirinfrancano. I figlioli si siedono ansiosiintorno ai tavoli del refettorio. Padre Gi-rolamo si inginocchia e prega. Poi si al-za, prende quei tre pani, vi traccia len-tamente un gran segno di croce e li se-mina fiducioso nel grembo della sua ve-ste. Essi fruttificano una messe dipagnottelle che bastano per tutti;e ce n’è d’avanzo.Ma che sapore gustoso, quel pane! Era il pane del miracolo. Tant’è vero che le sue briciole, conservate dal buon

Martino, un orfanello che ungiorno diventò prete, in-ghiottite in un bicchierinod’acqua comune, guariva-no i malati.

A Bergamo, nella casa degli orfani. Stavol-ta intervengono gli Angeli! È l’ora della refezione. La dispensa perònon conserva neppure un quarto di pa-gnottella. Si starà a stomaco vuoto que-st’oggi? Hanno fame, poveri ragazzi, e chie-dono il pane. «Figlioli - dice padre Girolamo - venite con me».Si levano tutti e vanno nella chiesetta. «Ab-biate fiducia e preghiamo tutti insieme, da bravi: Pa-

dre nostro che sei nei cieli… dacci oggi il nostro pa-ne quotidiano… Basta così, figlioli, basta così. An-diamo al refettorio».Entrano. Che bellezza! Sulle tovaglie can-dide, al posto di ciascuno c’è pane bianco,c’è companatico, c’è vino rosso scintillante!Un pranzo gustoso e allegro come quello -dicevano - non l’avevano fatto mai! Sfido io: veniva né più né meno che dalParadiso!

Il pane per tutti

Un pranzo dal Paradiso

Il pane per tutti

Un pranzo dal Paradiso

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Quando il Duca di Milano, Francesco IISforza, principe buono, ma infelice e sven-turato, gli mandò in regalo una borsa dimonete d’oro, padre Girolamo si fece se-rio e disse a chi gliela presentava in nomedel Signore: «La generosità del signor Duca vatroppo in là della nostra condizione. Rendetegli pu-re le grazie che ben si merita, ma ricordategli chenoi ci perderemmo un troppo gran tesoro, se, ve-

nuti a Milano poverelli, ce ne patissimo copertid’oro. Se egli sa fare buon uso delle sue ricchezze,lasci che ancor noi facciamo buon uso della nostrapovertà».E così, scevro ed intatto da quella peceche invischia le anime alla terra, resta fe-lice d’aver dal Principe un vecchio tettoper riparare i suoi piccoli e godersi tutta ladolce compagnia di madonna povertà.

Alla conquista di MilanoUn giorno decide di portarsi a Milano. Partecon una piccola schiera di ragazzi. A piedi.Sostando la notte dove era possibile.L’indomani padre Girolamo riparte. Ha lafebbre. Non importa. Si mette egualmentein marcia con i suoi piccoli. La forza del ma-le lo assale violentemente durante il cam-mino. Ad un certo punto barcolla e cade perstrada. Si trascina faticosamente fino ad un

vecchio casolare. Attorno a lui, con il cuorein gola e gli occhi lucidi di pianto, i suoi ra-gazzi non sanno cosa fare e lo chiamano pernome, insistentemente. Passa di là un cava-liere del Duca di Milano e vuol condurlo inuna casa poco lontana. Ma non c’è posto pertutti. E allora: «Dio vi rimeriti, risponde il febbri-citante, Dio vi rimeriti della vostra carità, mio buonfratello. Ma io non posso abbandonare questi miei fi-

glioli, con i quali voglio vivere e morire». I ragazzisi strinsero ancora di più a lui, mentre ilcavaliere si allontanava. Soli, con il lo-ro Padre ammalato, lontani da tutti. E

forse per lui è la fine, Ma sono nel-le mani di Dio.

Ed ecco all’improvviso alcuniservi del Duca giungere dicorsa. Adagiano su una ca-valcatura il santo e pian pia-no seguendo la schiera deifanciulli, giungono a Mila-

no. Dio ci aveva pensato;voleva lasciarlo ancoracon i suoi figlioli, e padreGirolamo non finiva più di

rendergli grazie.

La borsa dell’oroLa borsa dell’oro

Alla conquista di Milano

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gennaio/marzo 2007 - n. 1 Vita somasca

Alla Valletta, quando si costruì la casa nuo-va, non c’era acqua; e non c’erano neppure,lassù, le grondaie a cantare e a raccogliere lapioggia quando il cielo la mandava. Biso-gnava portarsela da Somasca, l’acqua. Trop-po di lontano, troppo faticoso per quei po-veri ragazzi, e troppo tempo ci voleva. E poi,alle volte, non bastava, e quei figlioli, per di-re solo di loro, dovevano patire la sete. Chefarci? Pure non c’era modo di trovarne lassùdi acqua, fra quelle rocce che ti pen-dono sul capo, aride e asciutte. Ungiorno d’estate, che l’arsura sifaceva sentire troppo e i figlio-li avevano tanta, ma tanta se-te, padre Girolamo si ingi-nocchiò là davanti ad unaroccia; pregò pochi momen-ti, ma ci mise tanto cuore dafare violenza a quello di Dio.Ed ecco, vedi che si alza, siavvicina alla rupe e ci posa un

dito, proprio là dov’è più asciutta. E quandolo toglie, quel dito, dalla roccia secca e du-ra, spiccia fuori uno zampillo d’acqua limpi-da e fresca che ti gela i denti. Sono quattro-cento anni che spiccia e non si ferma mai;perché fa tanto bene a corpi e alle anime.

Un giorno d’estate, che il sole scottava comea toccarlo, una schiera di vispi figlioli se neva verso la Certosa di Pavia e cantano congioia. Ma quelle piccole gole canore come so-no asciutte! Che sete, poverini! E padre Gi-rolamo batte alla porta del convento. Vienead aprire un fraticello dalla barba che gli tre-ma sotto il mento quando sorride. «Per amordi Gesù - fa padre Girolamo - avete un po’ d’acquaper questi figlioli?». «Ma sicuro, padre, ma sicuro! Evoi bravi figlioli, sedetevi qui all’ombra, che io ve laporto subito». Padre Girolamo e i figlioli lo rin-graziano con un sorriso. E il fraticello ritornacon un bel secchio d’acqua e nell’altra mano

tiene un bicchiere di vinello. «Questo è per voi,padre. È vino leggero, ma è fresco e, con questo caldo,vi farà bene». «Oh, troppo buono per me, troppo buo-no. Anche questo è per i figlioli». E svelto vuota ilbicchiere nel secchio. Toh! Quell’acqua lì nonè più acqua: si è fatta vino rosso scintillante.E che colore, che profumo! Si beve prima congli occhi che con la gola. Ne bevono tutti congran piacere; anche il buon fraticello dallabella barba che gli trema sotto il mento quan-do sorride, perché quello… «È il vino del mi-racolo!» esclama, facendo schioccare la lingua.«Sì - risponde il santo - il miracolo che Dio ha ope-rato per l’innocenza di questi figlioli”.

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Acqua dalla rupe

Ma il vino è meglio

Acqua dalla rupe

Ma il vino è meglio

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Un brutto giorno cominciarono a verificarsidei fatti strani nelle ore notturne. Il demo-nio, invidioso di tanto candore, agitava i ra-gazzi e faceva loro pronunciare parole scon-venienti e brutte. Spaventava i fanciulli conrumori paurosi e fantasmi orrendi. Terroriz-zati, poveretti, fuggivano dai loro lettucci e

si stringevano tremanti alle ginocchia di pa-dre Girolamo. Lui li consolava con parole fi-duciose nella Mamma del cielo. Poi diedeordine che cantassero mattina e sera tuttiinsieme la salve Regina. Non ci volle altro.Satana di fronte a Maria si sentì impotente,schiacciato, e non li molestò più.

Il suo catechismo

Paura nella notte

Il suo catechismo

Paura nella notte

Sul mattino, padre Girolamo con il gruppo dei suoi orfani giungono al paese inalberan-do il vessillo della Croce. Entrano in chiesa e poi, usciti sulla piazza, fanno squillare un

campanello. La gente incuriosita si affaccia alle finestre ed alle por-te. Vuol sapere che c’é. Alcuni si avvicinano al gruppo dei ra-

gazzetti tutti raccolti intorno a quel buon Padre dall’aria cosìmansueta e sorridente. Egli ha incominciato a parlare. La vo-ce si passa per le vie del paese. Ora ci sono tutti, lì, ad ascol-tarlo. E, con parole semplici, esortando ad accogliere ogni

giorno la parola di Dio, inizia a spiegare loro le cose più im-portanti della fede che tanti non ricordano più. Poi divide i

fanciulli in gruppi attorno a ciascuno dei suoi orfani. Que-sti cominciano il loro lavoro e così l’istruzione conti-

nua a lungo, con pazienza, ripetendo più e più volte,finché quei piccoli hanno imparato. Lui invece siprende cura dei grandi: ma di tanto in tanto passaa dare un’occhiata ai suoi catechisti; - oh, lo sannodisimpegnare bene essi il loro ufficio e gli ascolta-tori stanno tutti così attenti - si sofferma a spiega-re, a raccontare, a infervorare. Fa domande e vuo-

le risposte, e così inizia da lui quel metodo ca-techistico che poi la Chiesa approverà ed

estenderà universalmente. Tutti ne so-no innamorati e non vogliono più

partire di lì. Ma quando padre Gi-rolamo raduna la sua schiera e sor-ridente saluta tutti invitandoli adamare il Signore, ad obbedire allasua santa Legge, a frequentare i sa-

cramenti e la preghiera, allora nonsanno più trattenere le lacrime.

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Si stava in casa un pomeriggio a sbrigare le faccende, quand’ecco, là nel bosco dietro la ca-sa, si sente uno che grida, poveretto, certo per qualche grosso male. Padre Girolamo lascialì tutto, e, con le maniche ancora rimboccate, corre a vedere che cosa c’è, e riconosce, là perterra, che si dimena come un disperato, un legnaiolo di Somasca. «La mia gamba - grida quel-lo - la mia gamba! Oh povera la mia gamba!». Poveretto davvero: si è dato un colpo di scure sul-lo stinco, e s’è spezzato l’osso. Padre Girolamo si avvicina, prende quella po-vera gamba fra le mani: «Non è nulla, brav’uomo, non è nulla - dice - guardate quiche non è nulla!». E quello guarda, e non c’è nulla davvero; proprio così. Quel-la gamba ora, la vede bene, è sana più dell’altra. Le piaghe, le ferite, i ma-li di ogni sorta che padre Girolamo guarì ovunque, non li puoi con-tare. Aveva un brevetto specialissimo: un unguento meraviglio-so, veramente magico, che guariva tutto, le piaghe e il mal digola, la febbre e il mal di denti, la peste e anche la rogna.Mah! I santi sono furbacchioni; per amore dell’umiltà cerca-no di nascondere tutto quello che fanno, specialmente lecose prodigiose. Ma un bel mattino la gente non ci credettepiù alla potenza dell’unguento portentoso e disse che ilbrevetto di padre Girolamo era uno solo: la sua santità ele sue preghiere. Era esattamente vero!

C’era a Mozzanego, in quel di Bergamo, unapovera vedova, tanto buona e pia, che ave-va per sua consolazione un figliolo ancoragiovanetto. Ma un brutto giorno il ragazzo siammala. Corrono dal medico, ma non puòfarci nulla. Neanche i baci e le carezze dellamamma possono salvarlo. Ed ecco lì sul suolettuccio, il piccolo morto, tutto bianco comeil lenzuolo. Ed in ginocchio lì vicino, che strin-ge quella testolina fra le mani e la bacia e lacarezza come se voglia ritornargli la vita, c’èla mamma; ha gli occhi gonfi e rossi, ma le la-crime non ne ha più: le ha versate tutte. «Ma-ria, c’è qui padre Girolamo che passa per la carità, vo-lete che glielo diciamo?». «Oh, sí! Se fosse venuto abenedirmi questo povero figliolo…». Glielo dicono.Padre Girolamo è sulla porta. Entra, posa labisaccia in quel cantuccio e: «Buona donna -dice - state allegra e ringraziate il Signore, perché il

vostro figliodorme». E siavvicina al lettuc-cio, piega le ginocchia aterra e prega come sa pregaresoltanto lui. Poi prende fra le sue la mani-na bianca del piccolo morto e gli dice: «Alza-ti su, figliolo!». E quello si alza a sedere sul let-to, si struscia gli occhi come fanno i ragazzialla sveglia del mattino, poi getta le bracciaal collo della mamma sorridente.«Ve lo dicevo che dormiva il vostro figliolo, ve lo dice-vo». Ma quella con la gioia negli occhi e labocca senza parole, si getta a baciargli la sot-tana, mentre egli esce, la bisaccia a tracolla,a riprendere la via.

gennaio/marzo 2007 - n. 1 Vita somasca

La gamba del boscaiolo

Il morto vive

La gamba del boscaiolo

Il morto vive

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Come scordarla?Come scordarla?La devozione a Maria fu una delle distinzio-ni più luminose di padre Girolamo. Fu unadelle cure sue più assidue quella di inse-gnare ai suoi piccoli orfani l’amore alla loroMadre del Cielo. Ovunque. Ai crocicchi del-le vie, che, se non hanno sempre ilsorriso del sole, hanno peròsovente quello d’unadolce Madonna, eglisostava sempre peril saluto di un’AveMaria, quandopassava, solo, conla bisaccia sullespalle. Ma se ave-va con sé i suoi ra-gazzi, allora si fa-cevano, lì nella stra-da, una bella cantati-na; ed erano note co-sì soavi e devote, che lagente si commuoveva esentiva la voglia di esse-re più buona.Qualcuno an-che si voltavae si strusciavagli occhi perasciugare unalacrima furtiva.Le chiese ed isantuari mariani, incon-trati sul suo cammino, ricevevanosempre il tributo di amore e di riconoscen-za che quella anima santa, anche per unistante solo, non sapeva negare a Colei chel’aveva messo sul cammino diritto. I pittori l’hanno rappresentato così: ai piedidi Maria, che, fra una schiera di angioli ri-denti, si stringe al seno il dolce Bambino be-nedicente, san Girolamo, padre degli orfani

e della gioventù abbandonata, con le manitese verso l’alto ad offrire alla beata signorail dono del ringraziamento e dell’amore.Nel giorno, durante le ore del lavoro, tutta lacasa risuonava delle voci argentine dei fan-

ciulli che cantavano lodi a Maria.Cantavano alternativamen-

te in due cori il santo ro-sario, tutti insieme il

Pater di ogni decina,e vi aggiungevano,infine, con alternamelodia le litaniedella Madonna. Seentrava qualchepersona a visitare lacasa, l’accoglievanocon il saluto festosodell’Ave Maria.Pareva che la buonaMamma degli orfani

fosse per casa eognuno la

chiamasseaccanto a sé e la godesse vicina. Tutte lestanze e i laboratori echeggiavano del gio-condissimo canto, che era un paradiso,e chi ci passava dappresso, a udirlo, prova-va nel cuore un sentimento devoto di letiziaspirituale.

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Sono gli ultimi giorni di gennaio del 1537.In tutti i paesi della Valle di San Martino siè diffusa la peste. Anche a Somasca c’è pri-ma un colpito, poi due, poi tre, poi… non valla pena contarli, se non per andare a confor-tare; ce n’è per tutte le case. Padre Girolamo scende dal suo eremo, siprodiga di giorno e di notte; di giorno per as-sistere e di notte per seppellire i morti ap-pestati.

La lavanda dei piedi

Si era ai primi di febbraio. Tornò a casa do-po aver seppellito un orfanello, che gli tre-mavano le gambe. Aveva il volto acceso e ibrividi della febbre. Fece chiamare subito ifiglioli che erano su, alla Valletta; li fece se-dere tutti attorno, si cinse ai fianchi un pan-no bianco e con un bacile colmo d’acqua pas-sò davanti a ciascuno a lavargli i piedi, e li

asciugò e vi depose un bacio. Era la suafine. Come Gesù, che volle, prima dimorire, lavare i piedi ai suoi. Non ce lafaceva più. Letti non ce n’erano più per

accoglierlo. Si offrirono della buonagente di Somasca, certi signori Ondei,che gli cedettero un lettuccio in una

stanza larga come un faz-zoletto.

Prima di coricarsi padre Girolamo prende,con mano tremante, un pennello intinto nelrosso, s’avvicina vacillando alla parete difronte e vi traccia lentamente una grande cro-ce con largo gesto; poi, contento, si adagiasul suo giaciglio. Ma i suoi occhi sono ancoralà, sempre a quella parete, su quella Croce,conforto e luce delle ultime ore. Come erastata, del resto, anche durante la vita.

Visione di gloria

Pochi giorni prima un orfanello ebbe un’e-sclamazione di gioia affermando pubblica-mente: «Ho visto una splendida sedia in Cielo consu scritto: questa è la sedia di Girolamo Miani!». Pa-dre Girolamo zittì l’innocente fanciullo, matutti avevano ben capito. Ora, mentre muo-re, mentre raccomanda agli orfani e a tutti diseguire la via del Crocifisso, alle lacrime diviva commozione si unisce la certezza che,perdendo un padre sulla terra, avranno unsicuro intercessore presso Dio. E non essisoltanto!

«Esortava tutti a seguire la via delCrocifisso, disprezzare il mondo,amarsi l’un l’altro, avere cura dei po-veri, e diceva che chi faceva tali operenon era mai abbandonato da Dio»(Anonimo, 1537).

E se ne andò così...E se ne andò così...

La croce vermiglia

Il testamento spirituale

stanza larga come un fazzoletto.

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«Mi mancherebbe il tempo se volessi narrare ad una ad una tutte le sue opere di misericordia cristiana. In esse consumò tutti i beni che possedeva.Si ritirò dagli affari, depose l’abito civile, indossò un vestito di panno grezzo, color giallastro con mantellino, calzò scarpe grosse.Scelse alcuni fanciulli incontrati mentre andava mendicando e, presa una bottega vicina alla chiesa di san Rocco, vi aprì una scuola così originale che nemmeno Socrate con tutta la sua sapienza fu mai degno di vedere.Mi mostrava il suo lettuccio così angusto che assomigliava più ad un sepolcro che ad un letto.Era uno spettacolo edificante in tempi corrotti da tanti vizi vedere un nobile veneziano, vestito alla rusticana, in compagnia di molti poveri andare per le campagne a zappare, tagliare miglio e compiere altri lavori del genere.Credo che fosse giunto all’età di cinquantasei anni, dodici dei quali aveva speso in una vita austera e cristiana,quando piacque al benignissimo Dio, il quale dona eterni beni per piccole fatiche,di chiamarlo alla patria celeste.Esortava tutti a seguire la via del Crocifisso, a disprezzare il mondo, ad amarsi l’un l’altro ed avere cura dei poveri; assicurava che coloro che compiono tali opere non sono mai abbandonati da Dio».

(Anonimo)

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La parrocchia somasca disan Francesco al Campovive un periodo di grossenovità. Nell’ottobre scor-so, mons. Severino Polet-to, cardinale di Torino, haaffidato ai somaschi an-che la cura pastorale del-la parrocchia contigua disan Maurizio Canavese.Tale evento offre la possi-bilità di una collaborazio-ne concreta e più incisivanel tessuto ecclesiale esociale del territorio.L’assunzione della nuovaparrocchia, è stata lettacome prezioso segno deitempi, ricordando la par-ticolare sensibilità eccle-siale di san Girolamo: «Tipreghiamo per la tua infinitabontà di riformare il popolo cri-stiano a quello stato di santità,che fu al tempo dei tuoi apo-stoli». La parrocchia è illuogo in cui, grazie all’an-nuncio della Parola el’amministrazione dei Sa-cramenti, cresce in santi-tà la Chiesa, come popolodi Dio. È anche il luogodella comunione fraternae solidale, da costruireogni giorno. «Sullo stile delnostro Santo, che i vescovichiamavano per organizzare lacarità nella loro diocesi, - af-

ferma p. Adriano Serra -privilegiamo la dignità umanain diversi modi: ci occupiamodei ragazzi a rischio di CasaMiani , promuoviamol ’animaz ione d i numeros igruppi adolescenziali e giova-nili, visitiamo gli ammalati,prestiamo attenzione specialealla situazione critica di alcunefamiglie, aiutiamo i poveri eformiamo educatori cristianicapaci di assumere responsa-bilmente l’animazione di sva-riati settori della pastorale par-rocchiale». La parrocchia ri-sulta davvero una bellainvenzione, perché, infondo, è la casa di tutti: inessa tutti possono e de-vono sentirsi a casa loro.Nella parrocchia ognunoha la possibilità di fare lascoperta fondamentale diessere amato da Dio e cheLui è Padre di tutti. Anchela responsabilità è di tut-ti, come afferma il Decre-to sull’Apostolato dei Lai-ci (n. 10): «La parrocchia of-fre un luminoso esempio diapostolato comunitario, fon-dendo insieme tutte le diversi-tà umane che vi si trovano e in-serendole nell’universalità del-la Chiesa. I laici, in strettaunione con i loro sacerdoti, ap-portino alla comunità della

Chiesa i propri problemi e quel-li del mondo, nonché le que-stioni concernenti la salvezzadegli uomini, perché siano esa-minati e risolti con il concorsodi tutti; diano, secondo le pro-prie possibilità, il loro contri-buto ad ogni iniziativa aposto-lica e missionaria della propria

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La casa di tutti

Nostre opere

La parrocchia non è una struttura, un territorio, un edificio: è la Chiesa presente tra le case degli uomini

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Nostre opere

A Martina Franca, cittadinadi cinquantamila abitanti,in provincia di Taranto,proprio all’imbocco dellaValle d’Itria, tra il verde e ilbruno del terreno sassoso,biancheggiata dai trulli, ca-ratteristiche costruzioni inpietra di forma conica, sor-ge il Villaggio del Fanciul-lo, di fianco alla splendidachiesa di Sant’Antonio deiCappuccini.

La storia

La comunità somasca iniziala sua presenza nel 1961quando viene chiamata a

gestire una grande struttu-ra realizzata dal Comunenegli anni ’50, per accoglie-re orfani di guerra e bam-bini provenienti da fami-glie economicamente di-sagiate. Numerosi sonostati i ragazzi che hannotrovato in essa una rispostaper crescere e superare ledifficoltà della vita. Quantipassi da quel primo esor-dio! La storia ci fa sapereche negli anni ’70 la comu-nità decise di interrompe-re l’accoglienza istituziona-lizzata, ritenendola nonadeguata ai bisogni dei mi-

nori, passando così dall’i-stituto di massa al piccoloistituto di tipo familiare.Questo nuovo stile di rela-zioni, più personalizzato,avrebbe permesso di ave-re maggiore coscienza del-le ferite che segnavano ilvissuto dei ragazzi. Il Vil-laggio avviò l’accoglienzadi minori in famiglia nel1988, allorché due coppiecon esperienza educativa esensibilità al disagio accol-sero l’invito a condividereil nuovo progetto ed a met-tersi personalmente in gio-co. Inizia così una collabo-razione che, pur cono-scendo alti e bassi, si an-drà allargando e affinandosempre più, mettendo inluce la bontà della sceltaoperata dai religiosi e dal-le famiglie, volendo porta-re qualcosa di nuovo an-che nel modo di operare:si punta sul lavoro di rete,poiché ritenuto assai piùefficace rispetto alla mes-sa in gioco di famiglie iso-late, scarsamente suppor-tate dai servizi pubbliciterritoriali.Nel corso degli anni,l’esperienza ha incontratouna certa resistenza ad es-

Accoglierein casa propria

Il villaggio

del fanciullo

ha inteso

proporre

un modello

di accoglienza

che avesse

un respiro

culturale

e profeticamente

cristiano

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gennaio/marzo 2007 - n. 1 Vita somasca

sere accettata, configuran-dosi come una modalità diaccoglienza innovativa ri-spetto a quella prevista daleggi e regolamenti regio-nali. Di contro, i Tribunaliper i minorenni della Pu-glia si sono mostrati atten-ti e interessati alla nuovaconfigurazione del Villag-gio, ritrovandovi una buo-na risposta alle esigenzedei piccoli. Si è dovuto, in-fine, attendere il 2004 perarrivare ad una Legge re-gionale che desse infine ri-conoscimento legislativo aquesta particolare forma diaccoglienza familiare.

Il presente e il futuro

Oggi si continua con co-stanza sulla strada intra-presa, coinvolgendo fami-glie e singoli che accolganoin casa propria, facendo af-fido quasi fosse una cosanaturale. Il cammino si èvenuto strutturando cosìda puntare sempre più sul-la sensibilizzazione, for-mazione e accompagna-mento di chi accetta di de-dicarsi all’affido; l’aspettocomunitario, inoltre, trovasempre più risalto.L’esperienza di MartinaFranca, portata avanti fratante difficoltà, insieme adaltre iniziative realizzatecon il “MoVi” regionale econ le associazioni della“Rete Bambini Famiglie e Ra-

gazzi al Sud”, permette di af-fermare che il Villaggio, neldare risposta al disagio ditanti ragazzi, ha inteso an-che proporre un modellodi accoglienza che avesseun respiro culturale e pro-feticamente cristiano: met-tersi insieme per il benedell’altro, farsi solidali e in-tessere relazioni capaci diaccostare il prossimo. Afronte della cultura delladelega, il corresponsabi-lizzarsi come volto attivodella carità cristiana, chia-ma in causa donne e uomi-ni di buona volontà.Nel rapporto religiosi-laici,è chiara la percezione cheper la Congregazione so-masca non si tratta solo dicollaborazione dei laici al-le opere, né tanto meno di

supplenza, ma di vita eidentità, avendo comeFondatore un laico ed es-sendo nata nel contesto diun movimento essenzial-mente laicale. All’internodi questa esperienza cari-smatica è nato in alcuni ildesiderio di una certa for-ma di consacrazione laica-le, che diventa arricchi-mento per la Congregazio-ne e stimolo a perseguirecon fiducia nuove strade,dove la multiforme attivitàdel nostro apostolato èmanifestazione della crea-tività dello Spirito, che hapensato e voluto la fami-glia somasca come insiemedi persone e di identità di-verse, ma accomunate dal-l’unico carisma.

[email protected]

mettersi insieme

per il bene

dell’altro,

farsi solidali

e intessere

relazioni

capaci

di accostare

il prossimo

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Nostre opere

Da più di due anni nellanostra comunità sonogiunti i padri Somaschi:una nuova realtà religiosaper la diocesi di Bari, perla città di Bitonto e soprat-tutto per la comunità par-rocchiale di san Leucio.Noi giovani pensiamo chela realtà somasca ha un fa-scino tutto suo dovuto alsuo fondatore, san Girola-mo Emiliani. Un grandeuomo che spende tutta lavita per i suoi ragazzi di-mostrando che «dai diaman-ti non nasce niente, dal letamenascono i fiori», come diceuna canzone di Fabrizio deAndrè. Infatti, ci sono real-

tà materiali preziose a cuici si aggrappa ferocemen-te, ma sono cose freddecome pietre, incapaci didare vita. Ci sono invecerealtà semplici e quotidia-ne capaci di generare e nu-trire. I fiori, o meglio legioie, nascono paradossal-mente dal letame, ossiadalla povertà, dal distacco,da ciò che sembra scartoper il mondo ed è invecedotato ancora d’energia.Noi abbiamo troppo ed èper questo che non siamopiù capaci di pensare ingrande, sognare, sperare,progettare e soprattuttoascoltare: ascoltare la voce

di chi cerca amore, ascol-tare l’urlo silenzioso di chiè solo con se stesso. Aprir-si all’amore è pericoloso!Per questo rimaniamo,spesso, indifferenti alprossimo che ci tende lamano e ci comportiamo co-me il sacerdote della para-bola che vedendo l’uomoferito sul ciglio della stra-da prosegue il suo cammi-no. Come Girolamo, nondobbiamo badare al sacer-dote, ma prendere esem-pio dal Samaritano. Il suocome il nostro Dio, è il Diodell’Amore che ci chiededi osare per amore e diconsiderare che la nostravita deve essere la rispo-sta all’esigenza di un po-polo. Siamo corresponsa-bili gli uni degli altri, per-ché riceviamo la vita den-tro un popolo e in relazio-ne con gli altri. Le variechiamate allora sono sem-pre per gli altri, per i biso-gnosi e per le necessità deifratelli. Diceva Don Albe-rione: «immensi sono i bisognidell’umanità, ma le opere si fan-no solo se ci sono le persone»,ovvero uomini e donnedisposti a donarsi per glialtri. Quanto fatichiamo ad

Giovani somaschie ragazzi a rischioLe due facce di san Girolamo

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accettare l’altro: invece diaccoglierlo come una ric-chezza lo etichettiamo,considerandolo un poten-ziale pericolo. Arroccatisulle nostre pseudo-veritàe sicurezze, abbiamo pau-ra di metterci in gioco, diaprirci all’alterità e di ac-cettare la sfida del dialogo. Con questo spirito noi gio-vani abbiamo accettato laproposta dei religiosi so-maschi di sostenere il pro-getto comunale “Incontrarsinella comunità”, come impe-gno a confrontarci con ladevianza minorile che staprendendo piede nel no-stro paese. Da sempre sa-pevamo che questi ragaz-zi, dif f icil i da gestire,avrebbero rappresentatouna novità per noi, sempli-ci animatori d’oratorio.Normalmente davanti allenovità, al non conosciuto esperimentato si ha un po’paura, si è insicuri. È soloaprendosi con coraggio ecoinvolgendosi in primapersona nella nuova espe-rienza che si può vincereogni timore e pian pianoacquistare sicurezza in sestessi. In questo sensol’esperienza ci ha fatto ma-turare, dandoci maggioreconsapevolezza delle no-stre potenzialità, dei no-stri doni e dei nostri limiti.È stata la dialettica delconfronto che ci ha cam-

biati: un confronto con noistessi, con i ragazzi, con larealtà del nostro paese esoprattutto con l’ambientein cui viviamo. Si sono in-crociate storie diverse,nella condivisione di unapiccola, ma intensa partedella giornata. A contattocon questi ragazzi abbia-mo capito che oggi, comeal tempo di Girolamo, c’èun mondo a parte nel no-stro paese, un mondo fat-to di bambini e ragazzi la-sciati per strada con il lorodestino tra le mani, dovespesso la parola famiglia èun’utopia; la società prefe-risce catalogarli come ra-gazzi a rischio, ma fa benpoco, perché pensa che c’èbisogno di grandi gestaper aiutarli e non ha anco-ra capito che hanno solobisogno di un qualcosa che

tutti possono donare:amore! Sì, perché nessunoè così ricco da poterne fa-re a meno, né così poveroda non poterlo donare.Tutto ciò si può spiegarecon le parole di Benedet-to XVI nell’enciclica Deuscaritas est: «l’amore nella suapurezza e nella sua gratuità è lamiglior testimonianza del Dionel quale crediamo e dal qualesiamo spinti ad amare. Il cri-stiano sa quando è tempo di par-lare di Dio e quando è giusto ta-cere e lasciar parlare solamentel’Amore», perché parlared’Amore non è come farparlare l’Amore. La nostragrande speranza è che ilprogetto comunale “Incon-trarsi nella comunità” diventiun cammino continuo conquesti ragazzi e che siaponte tra il loro mondo e lanostra città. A. R.

gennaio/marzo 2007 - n. 1 Vita somasca

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Vita e missione

Capita spesso che, quan-do meno te l’aspetti, Ge-sù viene a bussare allaporta e ti chiede di esse-re accolto. E quando faiquesta esperienza scopri,come scoprì san Girolamocinquecento anni fa, cheogni persona è tempiodello Spirito santo e chequando vivi con questaconsapevolezza, vivi larealtà del Corpo mistico.Alla fine scopri che nellavita, nulla è a caso.Tempo fa, mentre noi Mis-sionarie Figlie di san Gi-rolamo della Comunità diElmas (Cagliari), eravamoimpegnate nell’imbianca-re una parte della casa incollaborazione con i vo-

lontari, arriva un ragazzo afarci visita. Non è un ra-gazzo qualsiasi, è “un ex”dei padri, è un nostro fi-glio. La sua visita non èpoi tanto inaspettata, vi-sto che da quando è an-dato a vivere per contosuo ha sempre mantenutoi contatti anche con noi re-ligiose. Da subito però cirendiamo conto che non èuna visita come le altre. Èabbastanza agitato epreoccupato. Ha bisognodi condividere con noi ledifficoltà degli ultimi tem-pi. Non tutto ci è chiaro,forse ha sperperatol’eredità che gli abbiamodato, ma insieme ad ungruppo di volontari, deci-

diamo di dargli l’appoggionecessario. Quel giornodecide di rimanere ad aiu-tarci ad imbiancare, il rap-porto inizia sotto una nuo-va luce: è sulla via del ri-torno. Nei giorni successi-vi continua a farci visita econtinua a condividere lasua vita passata con alcu-ne di noi. Capiamo che piùdi tutto ha bisogno di unambiente accogliente do-ve poter andare a vivere edi un lavoro con uno sti-pendio che gli permettadi pagarsi i debiti. Ci atti-viamo immediatamentecon l’aiuto dei volontaripresenti in occasione del-la prima visita. Vieneospitato a casa di uno diloro e gli troviamo un la-voro nuovo e ben retri-buito. Continuano le con-fidenze; iniziamo a capirela gravità di alcune suescelte passate. Si mostrapentito e chiede a noi diaiutarlo a rinascere: vuolevivere una vita normalesenza sotterfugi. La nostradisponibilità c’è, lui ri-esce a farsi apprezzare estimare dal nuovo datoredi lavoro e dal nuovo co-inquilino, ma quando me-no te l’aspetti, la giustiziaumana viene a chiedertidi pagare il conto. Pocoimporta se tu hai già capi-to di aver sbagliato, il con-to si paga: dopo poco più

Un posto in casa nostraa cura di Giusy Cogoni

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di un mese di nuova vita,il ragazzo viene arrestatoper un reato commessodiciotto mesi prima. A noiviene subito in mentel’immagine del figliol pro-digo: il ragazzo aveva giàriconosciuto di aver sba-gliato e si era già messo incammino verso il padre. È la vigilia della festa del-l’Immacolata. Anche que-sto non è un caso. Chie-diamo alla Madonna diBonaria di non abbando-nare il ragazzo nel terribi-le impatto con la realtàpenitenziaria. La notizia viene data al TGregionale, e rimbalza im-mediatamente nelle no-stre case. C’è una mobili-tazione generale tra i no-stri amici e volontari. Di-versi di loro ci chiamanoper rendersi disponibiliad aiutarlo: troppo grandela discrepanza tra la no-stra rappresentazionementale del ragazzo e ladescrizione dello stessoemersa dal servizio delcronista del TG. Ma luinon ha bisogno di un aiu-to, ha bisogno di essereaccolto a casa nostra, habisogno di una fissa di-mora e chi garantisce perlui per poter chiedere gliarresti domiciliari. Convo-chiamo una riunione pervalutare disponibilità esoluzioni.

La riunione sta per finire,ma non abbiamo ancoratrovato un luogo ideale:non ci serve solo una ca-mera, c’è bisogno di unambiente familiare sere-no e ricco di relazioni af-fettive. L’ideale sarebbeuna famiglia, ma troppodifficile gestire con deibambini in casa lo stato diagitazione di un ragazzochiuso in gabbia e il con-tinuo controllo dei carabi-nieri. Ad un certo puntointerviene un volontariodicendo: «io e mia moglie ciabbiamo pensato, a casa c’è unposto anche per lui: anche no-stro figlio sarà contento». Il ca-lore di questa famiglia incinque mesi farà poi quel-

lo che qualsiasi terapiapsicologica non avrebbepotuto fare in dieci anni. Il percorso giudiziale nonè ancora finito, ma sicura-mente è iniziato il percor-so di rinascita ad una vitanuova come lui stesso miha scritto il giorno dell’an-niversario dell’arresto:«sono contento anch’io perquesta nuova vita che sono ri-uscito ad avviare grazie al vo-stro aiuto che mi ha dato la pos-sibilità di permettermi questo».Anche noi, Missionarie disan Girolamo, siamo con-tente, perché questo no-stro fratello era morto edè tornato in vita, era per-duto ed è stato ritrovato.

Silvia Carboni

gennaio/marzo 2007 - n. 1 Vita somasca

˙A casa nostra

c?� un posto

anche per lui¨.

Il calore

di una famiglia

ha fatto

in cinque mesi

quello che

nemmeno

una terapia

psicologica

avrebbe

potuto fare

in dieci anni

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San Girolamo non finisce mai di stupire:se lo conosci, in qualche modo lo segui e lo ami

a cura di Renato Ciocca

Nostra storia

È capitato a tante persone:giovani pieni di entusia-smo, coniugi, sacerdoti se-colari, militari in cerca di unservizio più umano alla Pa-tria: ed è capitato anche alei! Ma chi è questa lei? Èuna donna semplice nelvestire, nel parlare, nelcamminare, oserei direelegante nella sua non ele-ganza. Non particolarmen-te fine nei lineamenti, lemani poco curate, ma gliocchi… gli occhi si accen-

dono ogni volta che parlicon lei di arte, di san Fran-cesco. Sì, perché è origina-ria di quella terra bellissi-ma che è l’Umbria. Terraverde smeraldo che confi-na col cielo turchino e ti fasentire fratello di santi. E lesue mani trascurate, quan-do dalle materie più umilifanno nascere forme ricchedi colori e di tristezza, allo-ra diventano armoniose edanzano la danza dell’arte.Trasformano velocemente

tutto quello che sfiorano.Carta da giornale, tela, cre-ta, cera, cartone da pacchisi animano quasi d’incantoe narrano la melanconiadella vita che trascorre ine-sorabile lasciando dietrodi sé i segni del dolore edella morte. Ha girato ilmondo per mostrare in tut-te le sue sfaccettature la tri-stezza dell’uomo modernoraramente mitigata dalladolcezza di un sorriso. Haesposto a Parigi, Toronto,Tokio, Los Angeles, Tunisi,Quebeck City…Ora vive a Rapallo. È LiaFoggetti. Anche lei non co-nosceva Girolamo Miani.Un giorno le capitò un in-contro che terminò con ildono di una breve biogra-fia del santo. La divorò lanotte stessa e rimase fol-gorata all’istante. Affidòcon prontezza ad una let-tera le sue impressioni e isuoi sentimenti: «il librettoavuto dalle sue mani è stato perme un mattone di fuoco. Mi cre-da, l’ho letto male, accecata dalpianto fatto di gratitudine e dirabbia. Ho trovato un fratello, unfratello come Francesco d’Assisi,un mio fratello che avrei potutoconoscere prima, prima, ma che

Il fascino di un santo

LIA FOGGETTI;

San Girolamo,

terracotta

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ora non lascerò più. Ora lavore-rò su lui e per lui, semplicemen-te. Mi basterà una croce rossa di-segnata sulla parete, l’essenzialedella nostra esistenza». Parolesgorgate dal cuore e tipi-che dell’ardente mistici-smo umbro. E dalle paroleè passata subito ai fatti. Lagioia della scoperta di unfratello si è materializzatain un busto del Miani rea-lizzato in creta. La creta è lamateria di cui Dio Creatoresi è servito per plasmare ilprimo uomo. L’artista che lalavora con le mani si avvi-cina a Dio perché con il suospirito creativo estrae dal-la terra informe una figurae con il soffio dell’arte la vi-vifica. In qualche modo an-che l’artista trasmette allasua creatura una parte del-la sua personalità. In que-sta opera la Foggetti ha sa-puto cogliere e fonderedue aspetti fondamentalidella personalità del Mia-ni: il suo ardente mistici-smo e la sua fervente cari-tà verso il prossimo. Dalvolto del Santo traspare losplendore dell’anima acontatto con Dio nelle lun-ghe notti passate in pre-ghiera all’eremo di Soma-sca, in ginocchio davanti alCrocifisso, fino all’ultimosguardo velato dal dolore,fisso sulla croce vermiglia.Dalle sue labbra esce, co-me in un sospiro, la sua più

dolce e familiare invoca-zione: «Dolcissimo Gesù nonessermi giudice, ma salvatore».I suoi occhi manifestano unsorriso appena percepibi-le che prende corpo dal-l’intimo del suo spirito; unospirito che gioisce e chepregusta la certezza di es-sere amato per sempre daDio. Sono rivolte al cielo;anche le mani deformi peril troppo lavoro si innalza-no verso l’alto e parlanodell’amore operoso versoil prossimo: dei morti ap-pestati seppelliti notte-tempo, degli orfanellimondati dalla scabbia edalla tigna e accarezzaticon cuore di padre, delle

messi falciate per aiutare icontadini sfiduciati, dellepiaghe curate, dei panimoltiplicati per sfamare isuoi bimbi, dei colpibattuti sul petto per chie-dere perdono, di quellacroce vermiglia tracciatacon mano incerta:l’essenziale della sua e no-stra esistenza.Una vita condensata in unosguardo e in due ruvidemani. Un messaggio di spe-ranza in un mondo dovetrionfa il dolore,l’emarginazione, la morte.Lia Foggetti, incontrando ilMiani, ha scoperto che lasua missione non è ancorafinita. �

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LIA FOGGETTI;

San Girolamo

liberato,

olio su tela

San Girolamo

e la Vergine,

olio su tela

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Novità editoriale

Una bottega per gli orfaniLasciato il castello di Que-ro sul Piave, Girolamo ri-tornò a Venezia con l’ideadi abbandonare ogni formadi attività politica e darsicompletamente a Dio. Eb-be amorevolmente curadella cognata, vedova diLuca, e dei nipoti. Ammini-strò senza alcun utile per-sonale il commercio dellalana di loro proprietà e ma-turò una radicale trasfor-mazione spirituale. Decisi-vo fu l’incontro nel 1527 con

il vescovo Giampietro Ca-rafa (il futuro Paolo IV),Gaetano Tiene e i primiTeatini, approdati a Vene-zia dopo essere scampatial sacco di Roma. Essi lotrascinarono in una travol-gente attività per gli altriquando, durante la gravis-sima carestia dell’anno se-guente, una folla di conta-dini affamati si riversò incittà. Sfamò, vestí, ospitò ilmaggior numero possibiledi poveri, vagando di not-te per assistere gli infermie seppellire i cadaveri ab-bandonati. In una baraccaallestita dal governo vene-ziano accolse e soccorse unmondo cosmopolita di mi-serabili derelitti prove-nienti dalla laguna, dallaterraferma, dalla Schiavo-nia: centotré poveri neiquali il Miani riconobbe eservì Gesù Cristo. Supera-ta l’emergenza, provvide aifanciulli orfani mendicanti,rilevando una bottega inprossimità di san Basilio epoi san Rocco. Istitutì perloro un’opera di assistenzae di lavoro, mentre realiz-zava una comunità model-lata sulla Chiesa dei tempidegli Apostoli. Scelse lapovertà assoluta, con unadonazione ai nipoti di tutti

i suoi beni per seguire Cri-sto, rispondendo all’invito:«Se vuoi essere perfetto, và, ven-di quello che hai, dallo ai poveri,poi vieni e seguimi». Non fumai sacerdote. Mentre eraal servizio degli Incurabili,dal Carafa fu mandato aBergamo per realizzareopere analoghe a quelleveneziane. Raggiunse lacittà con un gruppo di orfa-ni nella primavera avanza-ta del 1532. Bruciando del-la carità divina, volle unirea Dio il maggior numeropossibile di cristiani, inco-minciando dai bambini or-fani, orfane, vergini e pro-stitute convertite. Nacque-ro scuole religiose, fondatesul lavoro, la devozione ela carità. Il lavoro era unodei tre pilastri che sorreg-gevavo la formazione deiragazzi. Dopo aver appresoi primi rudimenti erano col-locati a padrone con stru-mento notarile, che tutela-va l’apprendistato di unmestiere. Accanto al lavo-ro, gli orfani imparavano aleggere e a scrivere e quelminimo di nozioni neces-sarie per l’inserimento di-gnitoso nella vita sociale.L’esempio della santa vitadel Miani fu contagioso: co-involse sacerdoti e laici ad

Il lavoro,pilastro della formazione

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unirsi con lui a Cristo nellaCompagnia dei servi deipoveri. Essa fu denomina-ta dal popolo “I poveri delMiani”, fondata a Bergamonel 1532: una confraternitasenza voti, senza un supe-riore, in cui la povertàevangelica radicale e il ser-vizio agli orfani rendevanovisibile la consacrazione aCristo. Parallelamente fon-dò una confraternita fem-minile per l’assistenza del-le orfane e alle convertite.L’amministrazione econo-mica delle opere la de-mandò a un gruppo di cit-tadini. Come un incendia-rio diede vita alla congre-

gazione di orfani a Soma-sca, Milano, Como, Pavia eBrescia. Da questa compa-gnia che nasce prima delConcilio di Trento, avrà ori-gine nel 1568 la Congrega-zione dei padri Somaschi.

Un rozzo sasso per lettoSomasca, un paese sul con-fine tra Venezia e il ducatodi Milano, divenne per luie per i suoi compagni il luo-go della pace. Qui trascorse gliultimi mesi della sua vitadedicandosi al lavoro neicampi con gli orfani e i con-tadini, alla evangelizzazio-ne della gente, alla peni-tenza flagellandosi e dor-

mendo sopra un sasso roz-zamente ridotto a forma diletto, e alla contemplazio-ne di Dio nella solitudinedi una grotta. Contratta lapeste mentre assisteva icolpiti dal male, morì in po-chi giorni nella notte tra il 7e l’8 febbraio 1537.«Parevache avesse il paradiso in manoper la sicurezza sua - scrisse untestimone -. Faceva diverseesortazioni ai suoi e sempre conla faccia così allegra e ridente cheinnamorava e inebriava dell’a-more di Cristo chiunque lo guar-dava». La sua preghierapreferita era: «DolcissimoGesù, non vogliate essermi giu-dice ma salvatore». �

I CRISTIANI E IL LAVOROStoria, figure, dottrinaTeresio Bosco - pp. 160, LDC, 2006

A cura della CONFAP e degli enti religiosi ad essa associati, esce questo volume che ripercorre la storia di operosità e di pensiero costruita dai santi dediti all’amore del prossimo che lavora. Due elenchi di santi o quasi santi coprono il periodo degli ultimi cinque secoli, con i due acuti momenti dell’inizio del libero mercato e libero commercio del ’500 e della rivoluzione industriale, a partire dalla metà del ’700.Un’ultima parte, la dottrina sociale della Chiesa, riassume gli interventi principali di Leone XIII e Giovanni Paolo II, nonché di Benedetto XVI con la sua prima enciclica.Viene infine riportato il capitolo sul lavoro del Compendio della dottrina sociale della Chiesa, curato dall’organismo vaticano della giustizia e della pace.Preziose risultano le schede su ciascuno dei santi chiamati a umanizzare il lavoro e a prendersi cura di coloro che spesso dal lavoro erano schiacciati. Tra esse, quella di san Girolamo Emiliani, con dati aggiornati alle ultime ricerche e alla più sicura ricostruzione della sua vicenda di fondatore.

In libreria

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a cura di Mario Ronchetti

ProfiliC’era una volta

«Le storie di un tempo incomin-ciavano così. E allora, affidandomiai ricordi di una sessantina d’annifa, torno a quel c’era una volta ilcollegio Trevisio di Casale Monfer-rato. Lo varcai che ero ragazzottodi una decina d’anni, accompa-gnato dal babbo che conosceva evi-dentemente qualche somasco.Pensò di mettermi in collegio comesemiconvittore e mi ritrovai a do-ver studiare, volente o nolente, conun prefetto che guardava tutti dasotto un paio di occhiali con spes-se lenti. Mio padre e mia madre,impegnati fortemente nella vitaecclesiale, furono aiutati dai pre-sbiteri di quel tempo a farmi di-ventare un uomo e un buon catto-lico. Sulla mia strada ricordo tan-ti padri somaschi, che mi hanno

aiutato a crescere. Ricordo il retto-re p. Frumento, che aveva comeintercalare una frase che non hodimenticato: “occhi a me”, e poi unaltro rettore, il caro amico p. Bian-chini, che mi voleva molto bene. Epoi Blangero, Landini, Cocino,Baravalle, Vacca, Bosso, Vaira,Capra, Massaia…».Con gli occhi lucidi e tantanostalgia in cuore, lascio cheprosegua spontaneamenteil suo racconto. «Ho tenuto neltempo i fili dell’amicizia e della ri-conoscenza. Ormai alle soglie deisettantacinque anni, come vecchiogiornalista pubblicista, continuo ascrivere per giornali cattolici. Hotenuto cari tutti i numeri di VitaSomasca, non me ne manca nes-suno. Rivedo volti amici e le co-

pertine realizzate anche a casa miada p. Natalino Capra. Con lui cifu un’amicizia speciale, legata al-la comune passione fotografica. Miinsegnò a fotografare, a stampare,ad amare la fotografia, che mi tor-nò utile anche nel lavoro futuro. Loandai a trovare anche al Villaggiodella Gioia di Narzole e poi volò inparadiso, troppo presto».Chi parla è Luigi Busto, natoa Casale Monferrato nel1932. Suo babbo Emilio, do-po alcuni anni di ginnasiopassati in seminario, avevascelto la vita del matrimo-nio. Impiegato alla Procuradella Repubblica della città,aveva sposato mamma Leti-zia, una donna bella e dol-cissima. Entrambi impegna-ti nella vita della chiesa, han-no operato nell’Azione Cat-tolica e nella San Vincenzo.Sua mamma, pur con tre figli(Luigi, Pier Paolo e Giovan-ni) ha sempre lavorato nelvolontariato cattolico: ogniforma di bene l’ha sempreattratta. «A Natale e a pasqua si pranzavain casa con tanti poveri; mammae papà mi portavano con loro a vi-sitare alcune famiglie bisognose al-le quali si portavano pacchi di vi-veri e si pagavano alcune bollettedella luce. Io sono cresciuto sere-namente. Frequentavo l’oratoriodel sacro Cuore retto dai salesiani,dove c’era la mia parrocchia. Poiiniziò l’avventura con i somaschi.Ne conobbi molti, e con i padriBianchini, Landini, Bianco, Ca-

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pra, Massaia e Vacca, mi legaimaggiormente. Padre Pio Bian-chini fu il mio direttore spiritualee penso sia stato colui che mag-giormente ha segnato la mia vitaadolescenziale. Lo rividi anche sul-l’Aventino di Roma e qualche vol-ta tornò a Casale Monferrato peri ritrovi degli ex. A questi incontriconobbi anche i “pezzi grossi” co-me p. Pierino Moreno, p. Mazza-rello e p. Luppi. Nel 1971 rividianche l’arcivescovo di Reggio Ca-labria mons. Giovanni Ferro, chefu il primo rettore del Trevisio, coni padri Camia, Cocino, Bergese,Vaira ed altri ancora».Gli chiedo se san Girolamo,fondatore dei padri soma-schi, ha influito in qualchemodo nella sua vita. «Con ungruppo di una quarantina di gio-vani, negli anni sessanta, fon-dammo un centro sociale che chia-mammo Federico Ozanam e cheinserimmo in una vecchia casermadimessa, ricettacolo di gente pove-ra, immigrata, senza tetto e con lo-ro anche lenoni e prostitute. Fuuna bellissima esperienza che du-rò una quindicina d’anni e che cimise di fronte a mille problemi.Dal nostro gruppo forgiato da que-sto impegno, uscirono un prete,mio fratello Pier Paolo, ora diret-tore della Caritas a Casale, un dia-cono e una suora. Trovavamo po-sti di lavoro per disoccupati, dava-mo pane e denari, ricevendo inmaggior misura. Amicizia com-presa».Luigi Busto ha due figli, Mau-rizio sposato con Elisa e pa-

dre di due ragazzi e Albertosposato con Caterina e papàdi Elena. Ci tiene a sottoli-neare: «Sono due bellissime fa-miglie che camminano nel solcoche i “vecchi” hanno tracciato edadditato». Lui invece, nel2009, celebrerà le nozzed’oro con la sua amata mo-glie Maria Rosa. Gli dico diiscrivermi da subito nella li-sta degli invitati, non vorreimancare a quell’appunta-mento.Infine, mi dice: «da troppo tem-po il collegio Trevisio, fondato daAndrea Trevigi nel 1623, ha per-so i padri somaschi e così i ricordisi sbiadiscono sempre più. Ma a lo-ro va un grazie senza fine, per averseminato anche nel mio orticello,

semi buoni, che mi auguro abbia-no dato buoni frutti».Gli chiedo un ultimo mes-saggio.«Invito tutti ad essere testimoni delVangelo nel vissuto di ogni giorno.Noi siamo la Chiesa, dobbiamo es-sere la brezza dello Spirito, dob-biamo essere onesti in un mondoche ogni giorno perde sempre piùquei valori che i padri, naturali espirituali, ci hanno insegnato;dobbiamo essere esempio per i no-stri figli, perché continuino a lorovolta a tenere la via maestra».A questo punto, non mi ri-mane altro che dirgli: «gra-zie, Gigi, per la tua amicizia col-tivata e mantenuta nel corso de-gli anni e per la tua sincera testi-monianza». �

Ho tenuto

nel tempo

i fili dell’amicizia

e della

riconoscenza

Ormai alle soglie

dei settantacinque

anni, come vecchio

giornalista

pubblicista,

continuo a scrivere

per giornali cattolici

Ho tenuto cari

tutti i numeri

di Vita Somasca,

non me ne manca

nessuno

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Flash da...

Il 2 dicembre scorso, nella parrocchia Nostra.Signora di Guadalupe, p. Juan Carlos GómezQuitián, è stato ordinato presbitero. Il no-vello sacerdote, 28 anni, membro della Pro-vincia Andina, ha fatto suo il motto di san Gi-rolamo: «con loro voglio vivere e morire». Dedicherà la sua vita nel campo della gio-

ventù a rischio, con i ragazzi di strada, gli or-fani, i tossicodipendenti e i ragazzi svincola-ti dal conflitto armato. Nella stessa occasione, in un clima festoso edi grande partecipazione di parenti, amici econoscenti, il religioso John Jesús JiménezErazo, ha ricevuto l’ordinazione diaconale.

Commovente e molto significativo è statol’incontro degli ex allievi svoltosi l’ottobrescorso al Villaggio della Gioia di Narzole. Unagioiosa giornata tra amici, densa di ricordi escambi di esperienze. La settantina di par-tecipanti è stata rallegrata dalla graditissimapresenza di p. Luigi Boero. Entusiasta pro-

motore di tale iniziativa, che si ripete da di-versi anni, è il signor Brunet Mauro ([email protected] - 0165844911), residente in Co-urmayeur, che da queste pagine invita vec-chi e nuovi ex allievi a non mancare all’ap-puntamento di quest’anno: prima domenicadi ottobre 2007.

Nel minuscolo villaggio di Juragambita, sul-le propaggini della cordigliera orientale del-le Ande, il 7 gennaio, padre Rafael AntonioGómez Arias, ha celebrato il 25° anniversa-rio di ordinazione sacerdotale. Numerosi ipartecipanti, soprattutto la gente semplicee campesina del posto, a significare che la

vocazione è come un seme gettato in una co-munità che nasce e si sviluppa grazie al con-corso di tutti. Attualmente p. Rafael Antonio,in qualità di preposito provinciale, è re-sponsabile della Provincia Andina, animan-do le nuove comunità sparse per il vasto ter-ritorio colombiano ed ecuadoriano.

Il 28 dicembre scorso, il p. Joseph Ravi Ban-danadham, del Commissariato dell’India, èstato ordinato presbitero con la partecipa-zione festosa di numerose persone, parentie amici e confratelli somaschi. Durante la ce-lebrazione presideduta da mons. GovinduJoji, vescovo di Nalgonda, non sono manca-

te le danze tipiche folcloristiche secondo lacultura locale. Al sacerdote novello auguria-mo un apostolato fecondo in terra indiana,in mezzo a tanta gioventù a rischio, testimo-niando, sull’esempio di san Girolamo, cheDio è un padre buono che ama tutti, soprat-tutto i piccoli, i deboli, gli ultimi e i poveri.

La comunitá parrocchiale dell’Immacolata hacelebrato il 22 dicembre scorso il 50° anni-versario di ordinazione sacerdotale di p. Er-nesto Germanetto. La celebrazione eucari-stica è stata presieduta da SE. mons. Vitto-rio Mondello, arcivescovo metropolita diReggio Calabria. Numerose le autoritá pre-

senti, gli amici e i confratelli di p. Ernesto.L’Amministrazione comunale gli ha dedicatoun concerto di musica sacra. Il sindaco gli haconferito l’onorificenza dell’iscrizione all’al-bo d’onore della cittá e la consegna simbo-lica delle chiavi come segno di gratitudine,riconoscenza ed amore.

Zetaquira (Colombia)

Narzole (Cuneo)

Bogotá (Colombia)

Villa san Giovanni (Reggio Calabria)

Dharmaram – Nalgonda (India)

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gennaio/marzo 2007 - n. 1 Vita somasca

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Il 14 gennaio, nella chiesa dell’Assunta, do-po tanti anni di attesa e di speranza, si so-no visti i primi frutti della presenza somascanegli U.S.A.. Il nuovo membro dell’Ordine sichiama Romualdo López Delgado e haemesso la professione perpetua. Confratel-li, amici, parenti e conoscenti hanno parte-

cipato a questo evento. La professione diRomualdo, messicano di origine, è il fioriredi una speranza messa a dura prova da tan-ti anni di lavoro e di semina: il cammino èormai tracciato perché altri possano seguir-ne le orme per dare nuova vita alla fonda-zione USA dei padri somaschi.

Houston (Texas)

Il 28 dicembre scorso, in un clima festoso, circondato da tanti confratellisomaschi, parenti e amici, pronuncia la formula della sua professione: «Nel-la ferma volontà di offrirmi totalmente a Dio, che mi ha chiamato a seguire più da vici-no Cristo, ad imitazione di san Girolamo, per sempre, faccio voto di castità, povertà e ob-bedienza. Il Signore accolga questa mia offerta».Originario di Guicán (Colombia), giovane religioso della Provincia Andi-na, stava portando a termine i suoi studi di teologia: un anno e mezzo dal-l’ordinazione sacerdotale. Cinque giorni dopo, il 3 gennaio, avverte un do-lore intenso; non può ricevere aiuto medico opportuno nel centro di sa-lute del suo paesello sulle Ande a 3000 metri d’altezza. L’ospedale più vi-cino si trova a tre ore, su e giù per le strade strette delle sue montagne.Lungo il cammino sopraggiunge la morte. D’animo generoso, disponibilee gioviale: perché Signore lo hai chiamato a trent’anni, nel fiore della suagiovinezza? Però, sia fatta la tua volontà. Dal cielo, Eliéser, continua a re-galarci il suo sorriso e il suo aiuto sincero.

Il Signore lo ha chiamato, il 18 dicembre scorso, all’età di 85 anni. Uomodi vera cultura, appassionato di letteratura, teatro, arte, musica lirica esinfonica; ma pure interessato alle novità più recenti. Tutto però sapevasottoporre al suo spirito critico: sensibile, competente, caustico se ne-cessario, personale, mai incline alle mode correnti. Nella sua fede mo-strava la semplicità degli umili di cuore, quasi una ingenuità infantile,quella dei piccoli del Vangelo. Con la professione religiosa si era piena-mente affidato alla volontà del Padre. Come sacerdote, ha svolto la suamissione predicando la Parola nelle affascinanti lezioni del suo insegna-mento nei nostri seminari, nel collegio Gallio e in altri collegi della Lom-bardia; poi più direttamente come pastore d’anime in zone socialmentedisagiate. Ha sperimentato l’ora del Getsemani, vissuta nel contrasto tral’accettazione della volontà del Padre e la malattia, particolarmente fa-ticosa per uno spirito attivo e pieno di risorse. Finalmente la resurrezio-ne e l’ingresso nella vita nuova senza fine.

Fratel Eliéser Esteban Estupiñán

Padre Giuseppe Casati

In memoria

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«Sta ancora piovendo, non posso giocare al pallo-ne… Dovrei farlo adesso oppure dopo il compito?...Mi sento triste… Che programma ci sarà staseraalla televisione?... Ho paura di mamma quandoscopre che ho rotto il vaso di porcellana… Il babbomi rimprovererà… È una cosa terribile essere rim-proverati dal babbo… Mio fratellino mi ha propriofatto arrabbiare…». E così via. Questo film si va continuamente proiet-tando non solamente nella mente di Pieri-no, ma di ogni persona.Se in questo preciso istante, smettiamo difare ciò che stiamo facendo e ascoltiamoquello che ci accade dentro, scopriremoche è in corso un monologo, un discorsoche facciamo con noi stessi: si tratta del no-stro dialogo interiore permanente. Sono i pen-sieri automatici, a malapena percettibili,che ci diciamo nel corso della giornata.Questo costante parlarci dentro è il modoin cui percepiamo, descriviamo, interpre-tiamo e giudichiamo la realtà, quello checi succede attorno.Nel loro lavoro educativo, gli educatori so-maschi si rendono conto che i ragazzi nonsono turbati tanto dalle cose, ma da ciò cheessi pensano sulle cose. Ci sono pensieriche guariscono e pensieri che ammalano eche possono causare tristezza, ansia e rab-bia. Infatti, il dialogo interiore può essere disegno positivo o di segno negativo aseconda della visione che si ha della vita,cioè dei pensieri guida e dei valori che gui-dano la nostra esistenza. Per un educato-re, e quindi anche per papà e mamma,risulta molto importante insegnare albambino, fin da piccolo, a pensare in mo-do positivo.I passi da fare sono i seguenti: 1 esamina-re il proprio dialogo interiore di adulto (ren-dersi conto delle proprie reazioni emotivee irrazionali); 2 ascoltare e prestare atten-zione ai pensieri abituali del bambino (a

volte, possono essere di tipo irrazionale,assolutista, catastrofico, esagerato, intol-lerante, ecc.); 3 far capire al bambino il con-cetto di dialogo interiore (dentro di noi ci di-ciamo delle cose, dal modo con cui parlia-mo a noi stessi possiamo sentirci meglio opeggio); 4 dimostrare al bambino comepensare positivamente, con il nostro mo-do di essere, pensare e di reagire coeren-temente; 5 aiutare il bambino a corregge-re e a trasformare i suoi pensieri negativiin positivi, perché lo fanno sentire bene, alposto giusto e al momento giusto, in pacecon la vita, con se stesso e con gli altri.Pensieri, emozioni, intelligenza e cuorevanno sempre a braccetto. Diventare con-sapevoli del proprio dialogo interiore è mol-to importante per vivere da protagonisti lapropria vita. Infatti la consapevolezza deipropri pensieri negativi - nei confronti dise stessi, degli altri, del futuro - ci permettedi scoprire quali idee stanno provocandoil nostro malessere emotivo che può sfo-ciare in comportamenti inappropriati.Lo stesso Gesù, attento conoscitore del-l’animo umano, un giorno dice alla gente:«Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c’è nullafuori dell’uomo che, entrando in lui, possa conta-minarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo acontaminarlo». E una volta in casa, lontanodalla folla, dice ai discepoli: «Siete anche voicosì privi di intelletto? Non capite che tutto ciò cheentra nell’uomo dal di fuori non può contaminarlo,perché non gli entra nel cuore. Ciò che esce dal-l’uomo, questo sì contamina l’uomo. Dal di dentroinfatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le in-tenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adulte-ri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, in-vidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste co-se cattive vengono fuori dal di dentro e contamina-no l’uomo» (Mt 7).Controllare ogni tanto il film dei nostri pen-sieri, può aiutarci enormemente. �

Il film in testa

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a cura di Romario

Pillole somasche

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a cura di Luigi Amigoni

IN COPPIA CON DIOPagine bibliche da leggere in duePaolo Curtaz - pp. 178, SAN PAOLO, 2006

C’è molta sapienza nel libro di questo giovane parroco valdostano,sci e scarponi ai piedi, che conosce la Bibbia bene da saperla spie-gare senza virtuosismi ed è “culturalizzato” quanto basta per capi-re e chiamare per nome le situazioni quotidiane. Lo si vede benein due degli ultimi capitoli, dedicati ai “bersagli falliti” e alle con-vivenze (che dalle sue parti - dice -hannoanche una certa approvazione sociale). Idiversi casi di ognuna di queste modali-tà di esprimere una certa fragilità affetti-va trovano risposte di alto profilo, anco-rate al Vangelo della indissolubilitàmatrimoniale e anche alle riflessioni val-dostane di papa Ratzinger, del quale,quando sale ai piedi del Gran Paradiso,l’autore è parroco. E tuttavia guai a ridur-re il libro (e il matrimonio cristiano) allesole “obiezioni esistenziali”. È più ammi-revole lo sforzo - riuscito - di fondare ildiscorso sull’innanoramento, sulla sessualità, sul dono di sé, sullaconcretezza dell’amore, nella convinzione che «non è in crisi il matri-monio cristiano, ma la possibilità stessa di amarsi». La radicalità evangeli-ca, cioè Cristo, supera il “tu devi fare” a cui si soccombe quasi ine-sorabilmente, per dire “tu diventi capace di amare”. In coppia conDio non si è mai in due e tanto meno da soli.

FINO AI CONFINI DELLA TERRAEssere missionari oggiBruno Maggioni - Luigina Barella - pp. 143, ANCO-RA, 2006

«Nell’anno della speranza e dei testimoni» culminato a Verona nell’ottobre2006, si può inscrivere nella ufficialità delle persone degne di unricordo ammirato anche Luigina Barella, sguardo intelligente ebuono verso il prossimo, morta Como a 61 anni, a ridosso della finedel convegno ecclesiale. Si è occupata diVangelo e di evangelizzatori, di convegnidi studio e di iniziative propagandistiche,di viaggi sul campo e di accoglienza dimissionari in rientro, e sempre nella con-cretezza dell’ amicizia estesa a tanti,della conoscenza documentata dei pro-blemi, della serietà critica fatta amorealla Chiesa. «Missionaria con la penna», halavorato, molto a tempo totale e semprea cuore pieno, per le pagine missionariedel settimanale diocesano comasco e peri periodici del Pime Mondo e missione e Asianews. Nella sua ultima fatica, divisa con il biblista alla cui scuola ècresciuta, ci sono i profili e le situazioni ben conosciute di «quelli dicasa», i missionari della sua diocesi e di altri istituti di missioneoperanti nella sua terra. Con un panorama (su Asia, Africa e Americalatina) che ingloba i fronti impervi dell’annuncio esigente e leopere della fantasia della carità. Sapendo - annota Bruno Maggioniche non si fa missione per essere numerosi e dovunque, ma per rive-

lare un amore gratuito di Dio che è già universale.IL LIBRO ROSSO DEI MARTIRI CINESIA cura di Gerolamo Fazzini - pp. 271, SAN PAOLO,2006

Al gran mercato cinese, fortuna degli analisti di oggi, ci si riferisceda tutte le parti, e con opposti motivi. Per non oscuri interessi sitende anche a contrattare il silenzio sul passato appena trascorsodel regime comunista, instaurato con la proclamazione della

Repubblica popolare nel 1949 dopo laguerra contro i nazionalisti; blindato conil “grande balzo in avanti” di Mao degli anni1958-62 (fonti cinesi parlano per questoperiodo di 50 milioni di morti per causenon naturali; e complessivamente diforse 80 milioni per il tutto periodomaoista); sfociato in caricatura con larivoluzione culturale delle guardie rosse,a fine anni ’60; e praticamente deideolo-gizzato, tra passi ambigui che hannoperò preservato l’impianto politico, neiprimi anni ’80, dai successori-archiviatori

del “grande timoniere” morto nel 1976. Questo volume sui martiricinesi, fatto di cinque documenti di stretta pertinenza ecclesiasti-ca, è un debito alla memoria di tante persone che hanno soffertoe pagato cara la loro fede e il loro inserimento nella Chiesa catto-lica e una prova di attenzione per i contemporanei che, «nemicisenza fucile» quali sono considerati - come testimonia nella introdu-zione il cardinale di Hong Kong, cinese - professano il loro credocristiano, subendo ancora mirati soprusi e calcolate violenze.Nello stesso tempo l’opera insinua la forma morbida, senza dazi dipena, con cui il regime ha messo all’incasso l’esaurirsi del suoaccanimento antireligioso. E ce n’è anche per la storia del pensie-ro, interprete delle idee e dei movimenti, che ha assorbito senzaforti traumi e senza dibattimenti ciò che a lungo e di cruento si èsvolto oltre la cortina di bambù.

IN NOME DELLA MADREErri De Luca- pp. 79, FELTRINELLI, 2006

La emme iniziale di Miriàm (Maria, in ebraico) è di grafia diversa daquella finale; è gonfia e ha un’apertura verso il basso. È una emme

incinta. De Luca, napoletano, più che cin-quantenne, autodidatta di lettere e con-tenuti ebraici e tuttavia in cerca di fede,splendido narratore, trova anche nelsegno alfabetico la grandiosa semplicitàdella madre che vive con intatta consa-pevolezza la sorpresa immeritata dell’o-rigine e segue nell’intensità calda deisentimenti il primo svolgersi del piùbenedetto frutto del seno. La serenità diMaria («egli non viene da un sudore di abbracci,ma dal vento asciutto di un annuncio») poggiaanche sulla forza di Josef che la ama e la

difende dai pettegolezzi con magnanimità pare all’acume: «Tu sei lapiù speciale eccezione e loro (i maligni di Nazaret) non hanno cuore sufficienteper intenderla e giudicarla. È una faccenda che ha bisogno di amore a primavista, mentre loro si ingarbugliano sui codici, le usanze». È scritto in coperti-

Recensioni

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˙Conlorovoglio viveree

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