Viste, maggio 2006
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1 Giu / Lug 2006 Viste Giu / Lug 2006 Viste 1
Giu / Lug 2006 Viste 32 Giu / Lug 2006 Viste
Giu / Lug 2006 Viste 54 Giu / Lug 2006 Viste
Andrea Tucci
Eccoci qua finalmente a introdurre il risul-
tato del sondaggio sull’immagine
dell’Italia, degli italiani e dei nostri prodot-
ti. Il primo, mi dicono, mai effettuato.
L’obiettivo della collaborazione con la NetRatings era quello di sinte-
tizzare attraverso un sondaggio eseguito su un campione di 5.000
persone il giudizio su Brand Italia, in altre parole la percezione che i
giapponesi hanno di una serie di valori intangibili e di sensazioni
anche emotive raggruppate sotto il nome ITALIA.
Non volendo togliervi gusto della lettura dei grafici, delle risultanze
numeriche e delle classifiche, in questo editoriale, vi riporto sola-
mente alcuni spunti di riflessione.
Tutti gli italiani che approdano in Giappone per lavoro, credo che
condividano la sensazione di sorpresa nel vedere quanto l’Italia sia
visibile ed apprezzata; spesso nel nostro giudizio ipercritico ce ne
meravigliamo. Ma perché poi? Abbiamo un’immagine forte, supporta-
ta dal nostro passato, dalla storia e dalle opere e dall’arte che ci
rende un Paese veramente unico al mondo con una possibilità d’of-
ferta turistica sicuramente impareggiabile. Abbiamo una cucina tra le
migliori al mondo, prodotti alimentari d’indubbia qualità che difendia-
mo con passione e tifo quasi calcistico quando si discute nei confronti
dei prodotti dei nostri cugini d’oltralpe.
Abbiamo poi il vantaggio indiscusso di un marchio assolutamente
riconoscibile, e nessun creativo (e ne abbiamo tanti) si è dovuto
sforzare per produrlo: lo stivale.
Quanti altri paesi possono vantare una forma geografica così facil-
mente riconoscibile? Insomma nasciamo fortunati.
Fino a qui motivi d’orgoglio, ma il sondaggio mette purtroppo anche
in evidenza che nel paese all’avanguardia in molti settori tecnologici,
che vanta il sistema di trasporti pubblici più efficiente al mondo, dove
il tasso di criminalità è indubbiamente basso, i suoi cittadini non
riconoscono nell’Italia la posizione di paese produttore di tecnologie
sofisticate e innovative, ritengono l’Italia un paese pericoloso e con
un sistema di trasporti pubblici inefficiente.
C’è, in questo, sicuramente qualcosa da sfatare, ma c’è anche molto
su cui riflettere e lavorare, per permettere di riequilibrare l’immagine
dell’Italia in Giappone.
A mio avviso il messaggio è chiaro. Siamo privilegiati nella relazione
con questo paese per una sorta di attrazione fatale, ma come tutti gli
innamoramenti, questi possono essere temporanei, dobbiamo lavo-
rare per mettere in mostra, il frutto del genio italico, che non è solo
creatività e fantasia ma anche innovazione tecnologia, organiz-
zazione e concretezza. Insomma abbiamo tutti un bel po’ di lavoro
da fare. Buona lettura.
Attrazione fataleP
un
tod
iV
iste
Giu / Lug 2006 Viste 7
Pio d'Emilia
A differenza dei nostri cugini francesi – maanche di americani e giapponesi, tutti appas-sionati di sondaggi – a noi italiani non piaceessere giudicati. Chissà, forse abbiamopaura di non essere amati, cosa che la mag-
gior parte degli italiani considererebbe, al tempo stesso, giusta ed inaudita.Bene, questo sondaggio commissionato dalla Camera di Commercio, ilprimo in assoluto realizzato in Giappone, ci deve innanzitutto rassicu-rare. Siamo amati. Eccome. Possiamo arrivare al punto di dire che la“simpatia” che il nostro Paese suscita in Giappone è probabilmentesuperiore a quella che suscita tra i suoi stessi cittadini. Scrive Rampini, nel suo brillante e tempestivo Cindia, (Mondadori, 2006)che è in atto in Cina una nuova forma di globalizzazione: l’Italian Way ofLife. L’Italia è divenuta simbolo di raffinatezza nell’arredamento, nella ga-stronomia, nelle varie declinazioni del design. Un fenomeno che sta esplo-dendo in Cina, ma che è certamente nato in Giappone e che non riguar-da solo il fatturato dei brands o della ristorazione. Il fenomeno è di pro-porzioni storiche, ha ricadute in ogni settore, e sta cambiando le abitudinidei giapponesi. Si pensi alla popolarità della nostra lingua: non solo vieneusata (magari anche a sproposito) per commercializzare ogni sorta diprodotto, dalle autovetture alla biancheria intima, ma è anche diventata laseconda lingua straniera più studiata, dopo l’inglese. “Ciao”, come aParigi e a New York, è entrato nel linguaggio comune, anche perché lopuoi usare durante l’intero arco della giornata, a differenza dei suoi equiva-lenti locali. Il calcio italiano (prima dell’ultimo sfacelo) rivaleggia, talvoltasupera in popolarità basket e football americano: i giovani giapponesi nonconoscono a memoria le squadre del loro campionato, ma ti declinano laclassifica della Serie A senza la minima esitazione. La moda disegnata aMilano, Firenze (presto a Shangai?) detta legge più dei jeans o delle Nike.E nelle case giapponesi, accanto alla soya, cominciano ad essere massic-ciamente presenti olio di oliva e aceto balsamico.Peccato, verrebbe da dire, che gli unici a non accorgercene – e ad appro-fittarne - siamo proprio noi italiani. Sempre pronti a piangerci addosso, a
lamentare la latitanza delle istituzioni, a percorrere scorciatoie, a cercarealleati improvvisati e accordicchi vendi e fuggi anziché rischiare, finendo perregalare alla concorrenza locale – e talvolta addirittura straniera – l’uso eabuso del made in Italy. Pensiamo al fenomeno Ikea, il colosso svedese chesta invadendo l’Asia. I suoi famosi divani sono ancora prodotti dalla premia-ta ditta pugliese Natuzzi (sia pure delocalizzata da anni in Cina), e la “linea”di design semplice ed essenziale che la ditta svedese offre ricalca quelle pro-poste, già vent’anni fa, da aziende italiane come Cassina e Artemide. Oratutto ciò si può capire per certi settori “pesanti”, cui l’Italia, per riffa o perraffa, ha da tempo rinunciato. Non avendo l’alta velocità non abbiamo treniad alta velocità da vendere, siamo fuori dal grande business Airbus, ci restala Finmeccanica che fa quel che può. Ma possibile che dobbiamo rinunciareanche al monopolio “culturale”, oltre che commerciale, della pizza e delcaffè? Dopo aver ceduto agli Starbucks, ai Pronto e ai Caffè Veloce il copy-right dell’ esupuresso, shingule o dabulu che sia, ecco che un altro settoread altissima potenziale di sviluppo, quello della pizza al taglio, è stato con-quistato da Salvatore’s Pizza, una multinazionale usa-nippo-coreana.Possibile che nessun imprenditore italiano abbia saputo “fiutare” pertempo, come altri hanno saputo fare in altri settore della ristorazione –come il catering - l’enorme opportunità che si presentava, all’internodella vera e propria rivoluzione gastroculturale in atto in Giappone? Ma questo sondaggio ci offre altri spunti di riflessione. Ci ricorda,innanzitutto, la necessità di stimolare la “comunicazione”. E non solo intermini di promozione culturale – settore dove molto è stato fatto emolto si sta facendo – ma anche nel campo dell’università, della ricerca,delle tecnologie. Pian piano, chissà, riusciremo a far capire ai nostri amicigiapponesi che dietro alla Ferrari, ma anche al mondo della moda,esistono sofisticate tecnologie che poi producono l’eccellenza, il prodot-to vincente. E che per realizzare l’eccellenza, non basta essere “simpati-ci”, ma anche seri, precisi e, presumibilmente, affidabili sul lavoro.Infine, non lamentiamoci troppo del fatto che nonostante tutto siamoancora percepiti come il paese delle belle arti, della cultura, dellaqualità della vita. Andiamone orgogliosi. Mica è poco.
Specchio delle mie brameE
dito
riale
ICCJ Consiglio Direttivo2006
Presidente OnorarioMario BOVAAmbasciatore d’Italia in Giappone
PresidenteAndrea TUCCIAlitalia Linee Aeree S.p.A
Vice PresidenteFabrizio CAZZOLIDucati Japan Ltd
ConsiglieriVittorio DI BELLOBanca di RomaRomano MAZZUCCOR&M Japan CoLuca PERRINOPlastwood S.r.l Adriano VILLAPavia & Ansaldo Studio Legale Paolo MATTIOLI Marposs K.K. Renzo VILLAStudio di Consulenza Aziendale VillaFlavio GORI Savino Del Bene Japan Co. Ltd
ICCJEnokizaka Building 3F, 1-12-12 Akasaka Minato-Ku,107-0052 TokyoTel + 81.3.3560.1100Fax +81.3.3560.1105E-mail: [email protected]
Segretario GeneraleDavide CASCINI
L’Italia come un “sogno”, da visitare e dove abitare (davanti a Stati Uniti,
Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna): questo è il dato lusinghiero
che emerge dal sondaggio promosso dalla Camera di Commercio Italiana
a Tokyo sull’immagine del nostro Paese in Giappone.
E l’Italia non è soltanto pizza, moda o cucina ma è anche macchinari,
automobili in cui – più che nelle analoghe produzioni di altri Paesi –
si coniugano design, tecnologia, slancio estetico. Siamo dunque di
fronte ad una percezione da parte giapponese di un felice connubio
di valori estetici e capacità industriali che deve far pensare: una sim-
biosi di valori artistici e tecnologici che ha certo un suo ruolo nell’in-
durre il giapponese medio a fantasticare di vivere nel nostro Paese.
E tuttavia permangono radicate le riserve mentali che si palesano
nelle critiche sui ritardi in termini di competitività, di affidabilità di
infrastrutture e servizi e, non ultima, di sicurezza personale.
Esiste dunque un obbligo di lavorare più a fondo per colmare le
lacune esistenti, per assicurare un’informazione più corretta e dif-
fusa, per conquistare la fiducia del Giappone che
conta: comparto tecnologico-industriale, realtà
delle piccole e medie imprese, grande
finanza.
Non si inizia certamente da zero.
Da una parte lo stesso sondaggio
conferma i nostri successi in settori di
grande rilevanza (design, oreficeria,
alta moda, gastronomia,
a b b i g l i a m e n t o ) .
Dall’altra, il grande sfor-
zo promozionale degli ultimi 5 anni ha maturato straordinari risul-
tati che invitano a continuare allo stesso livello di iniziativa.
È, infatti, in atto un impegno capillare delle nostre strutture pub-
bliche e private per aumentare la presenza dell’Italia su tutto il terri-
torio giapponese. In questo ambito è stata varata in particolare dalla
nostra Ambasciata una metodologia di azioni impostata su progetti
speciali che, focalizzando gli interventi promozionali su precise prio-
rità, riescano più efficacemente a mobilitare le risorse umane e
finanziarie, razionalizzandone l’impiego e stimolando le collabo-
razioni tra diversi organismi attivi in Giappone o residenti in Italia.
Sempre più questo indirizzo richiede che si marci insieme - settore
pubblico, aziende private, comparto
bancario – per rafforzare l’efficienza
del “Sistema Italia” e renderlo
capace di penetrare la società giap-
ponese, per raggiungere quindi
regioni come il Kansai, Aichi, il
Kyushu, il Tohoku, il cui PIL è pari a
quello della Corea del Sud e dove il
reddito pro-capite si aggira sui 35
mila euro annuali.
La crescita ormai consolidata dell’e-
conomia giapponese è un’opportu-
nità che va colta. A tale fine va com-
pletata l’immagine di un’Italia in
grado di fornire produzioni industri-
ali – anche nel settore dei macchi-
a cura deII’Ambasciata d’Italia a Tokyo
Am
ba
sciata
Insistere sulla promozione nari di alta gamma. E una presentazione integrata dei nostri diver-
si aspetti promozionali può essere la metodologia più idonea a
sviluppare una potente forza di attrazione.
Il prodotto commerciale, culturale, turistico e tecnologico va pro-
mosso i l più possibi le simultaneamente muovendo dalla
percezione, ben diffusa in questo Paese, che i prodotti italiani
sono di grande qualità.
Il sondaggio mostra chiaramente
che coloro che hanno visitato
l’Italia almeno una volta sono tor-
nati con un’immagine realistica-
mente positiva lasciandosi alle
spalle il Paese dei “mandolini”. È la
riprova che i risultati si vedono se,
con costanza, testardaggine e pro-
fessionalità, si riesce a far accostare
il mondo giapponese alla società e
cultura italiane.
Da tale constatazione si è
partiti per potenziare le
nostre istituzioni sul terri-
torio attraverso la realiz-
zazione dello Sportello
Unico ad Osaka, la nomi-
na di due corrispondenti
consolari a Nagoya e
Sendai e l’apertura di due
“antenne” dell’ICE a
Fukuoka e Sendai.
Gli straordinari successi –
anche in termini di
ricadute economiche per
la nostra industria – dell’anno dell’Italia in Giappone del 2001-2002
e del Padiglione italiano di Aichi dell’anno scorso sono un esempio
della capacità, tutta italiana, di fondere classicità e contempo-
raneità.
Il nuovo obiettivo per tutte le istituzioni italiane qui presenti sarà
ora la “Primavera Italiana 2007”, rassegna di eventi a tutto campo
che tra il marzo e il luglio
dell’anno prossimo
lancerà, con obiettivi
promozionali mirati,
un’immagine dell’Italia
contemporanea. Senza
dimenticare i settori che
continuano a trainare
l’interesse giapponese
nei nostri confronti
(moda, design, cucina
etc), si promuoverà la
conoscenza di ambiti meno noti dell’eccellenza italiana della te-
cnologia e dell’industria.
Sotto i riflettori giapponesi, accanto ai beni maggiormente associati
al nostro Paese (automobili, gioielleria, macchine utensili), vi sarà la
nostra produzione areonautica e aerospaziale, elettronica, farma-
ceutico-chimica e di macchine di precisione, nonché la ricerca nel
campo della nanotecnologia, della robotica, delle biotecnologie.
Quel 21% degli intervistati che ritiene che il nostro Paese sia cam-
biato in meglio (contro il 2% in peggio) dimostra che vi sono
potenzialità da cogliere. Il pubblico giapponese – soprattutto fem-
minile – è stato in gran parte conquistato con l’eleganza, la creati-
vità, la sensibilità artistica. Ora va insegnato ai giapponesi che
dietro alla bellezza del prodotto italiano c’è un’azienda, un’indu-
stria, una tecnologia di alto valore aggiunto in grado di competere
nel difficile mondo della globalizzazione.
Giu / Lug 2006 Viste 98 Giu / Lug 2006 Viste
ENIT
È fuor di dubbio che l’Italia goda in Giappone di
un’immagine straordinaria. L’elevato flusso di turisti
nipponici verso il nostro Paese, il loro amore per il
nostro patrimonio culturale, il grandissimo apprez-
zamento per il made in Italy e la nostra gastrono-
mia, sono tutti fattori che hanno contribuito a far
nascere e a corroborare un rapporto di amicizia
perfino sorprendente per la sua intensità e diffu-
sione. Basta andare in giro per le città italiane, dal
Nord al Mezzogiorno, per imbattersi in continu-
azione in gruppi di turisti giapponesi affascinati
dalle bellezze artistiche del nostro Paese, seduti ai
nostri ristoranti o intenti a selezionare prodotti di
grande qualità nelle nostre boutiques.
Come dimostra il sondaggio della NetRatings, com-
missionato dalla Camera di Commercio Italiana in
Giappone, l’Italia è di gran lunga il Paese più amato
dai giapponesi (82%). Supera perciò per la simpatia
che suscita non solo la Francia (72%), ma anche la
Gran Bretagna (70%). È il Paese che vorrebbero visitare (62%
contro il 51% della Francia). Questo è un dato molto significativo
perché mette in luce quali e quante opportunità il Giappone rap-
presenti per l’Italia: è la più importante economia del mondo, dopo
gli Stati Uniti, che oggi cresce costantemente grazie alla domanda
per consumi e per investimenti: rappresenta da sempre un mercato
chiave per i prodotti italiani, non solo per quelli che richiamano lo
stile di vita italiano, ma anche per la nostra tecnologia.
Uno degli aspetti sui quali riflettere viene messo in luce dal-
l’indagine, ed è il seguente: l’Italia gode di un’immagine più
affascinante presso i giapponesi che hanno visitato il nostro Paese
rispetto a coloro che non lo hanno ancora fatto. Questo dato
dimostra che dovremo riuscire a rappresentare meglio all’estero gli
aspetti positivi del nostro Paese, come culla della cultura e del-
di Umberto VattaniPresidente ICE
ICE
Il Giappone mercato strategico:bisogna farlo crescere
l’arte e fucina di produzioni uniche di eccellenza.
Questa esigenza è stata colta dall’ICE, che da anni ha posto il
Giappone al centro della propria attività. Dopo il successo della
rassegna “Italia in Giappone 2001”, le iniziative sull’Italian Design
e il made in Italy si sono moltiplicate, e sono state accompagnate
da eventi di forte impatto quali, ad esempio, il “Festival Italiano”
al Tokyo Dome, organizzato d’intesa con lo Yomiuri Shimbun.
Giova ricordare anche la partecipazione italiana all’Esposizione
Universale di Aichi 2005, il cui padiglione è stato uno dei più visi-
tati ed ha riscosso unanime apprezzamento (87% dei visitatori).
Ulteriore dimostrazione dell’attenzione dell’Italia per il Giappone,
è la decisione dell’ICE di rafforzare la propria rete in Giappone,
aprendo nuovi uffici.
Sulla scia di questo grande sforzo promozionale, le nostre
esportazioni continuano a crescere, in particolare nei settori nei
quali gli imprenditori italiani sono da sempre protagonisti: la moda
e la gioielleria, l’agroalimentare, l’arredo, la meccanica. In questi
comparti occupiamo posizioni di primo piano ed elevate quote di
mercato, a conferma del fatto che le aziende italiane sono all’a-
vanguardia nonostante la rivalutazione dell’euro e la dinamica dei
prezzi interni.
In questi anni molto è stato fatto ma molto rimane da fare.
L’attività di promozione del made in Italy in Giappone dovrebbe
porsi come obiettivo l’allargamento del mercato, cioè l’amplia-
mento della fascia dei consumatori interessati ai prodotti italiani.
Negli ultimi mesi abbiamo stretto alleanze con i grandi mezzi d’in-
formazione giapponesi quali lo Yomiuri Shimbun, in modo da
amplificare la ricaduta sulla domanda; abbiamo aperto nuovi Uffici
a Sendai e Fukuoka, che si aggiungono a quelli di Tokyo e Osaka;
abbiamo avviato nuove iniziative quali le Fiere Italiane presso i
Grandi Magazzini e le Fiere di Settore. Manifestazioni che hanno
poi registrato grande impatto ci sono state sollecitate dagli stessi
Grandi Magazzini, che bene conoscono la nostra capacità di va-
lorizzare l’unicità dei prodotti e settori di eccellenza (enoagroali-
mentare, design, arredo, artigianato per la casa, moda).
Perché abbiano successo, queste azioni dovrebbero essere ripro-
poste periodicamente e senza soluzione di continuità, in modo da
rafforzare presso il pubblico giapponese il desiderio di cercare i
nostri prodotti sugli scaffali. Possiamo ben dire che la famiglia
giapponese ha imparato ora ad apprezzare la cucina italiana, al
punto da riprodurla anche a casa: ciò spiega l’impennata del no-
stro settore agroalimentare.
In conclusione,
sarebbe difficile non
rendersi conto delle
opportunità offerte da questo
grande Paese. Le nostre aziende
dovrebbero convincersi che, per la
forza della sua economia, per l’elevato standard di vita e il livello
socio-culturale della sua popolazione, il Giappone rappresenta per
l’export italiano un mercato di assoluto valore strategico, che
dovrebbe raggiungere per importanza quelli del Nord America e
dell’Europa.
Giu / Lug 2006 Viste 1110 Giu / Lug 2006 Viste
Il made in Italy è decotto, e si sapeva. Marchio invecchiato, molti
prodotti fatti ormai all’estero; e poi perché in inglese, quando il
mondo adora l’italiano? La novità è un’altra, e non è migliore: sta
entrando in crisi la nostra immagine e la nostra identità culturale.
La “marca Italia”, in altre parole. La cosa strana è questa: non ce
ne accorgiamo. Anzi, siamo convinti del contrario.
Da quindici anni, intervistando mezzo milione di persone nel
mondo, Young & Rubicam, colosso della pubblicità e della comuni-
cazione, studia i Paesi come “marchi globali” attraverso il Brand
Asset Valuator (Bav). Ecco un’anteprima dell’ultima ricerca: l’Italia
ha un buon potenziale dovunque (e non è una sorpresa). Ma, dal
2002/2003, ha registrato un brusco calo. Resta attraente in
Svizzera, Germania e Russia. Ma declina nel Regno Unito, in Francia,
in Olanda, in Spagna e nell’Europa centro-orientale. Giù anche in
Giappone e negli Usa (soprattutto nord-est). In India e in Cina -
sostiene Young & Rubicam - l’Italia ha “un’immagine sfocata”.
Perché sarà difficile correggere questa situazione? In primo luogo
perché l’autopercezione è diversa. Il 90% degli italiani, secondo la
ricerca, si vede “indipendente e progressista” (gli stranieri che
pensano questo di noi sono il 56%). Il 61% dei connazionali asso-
cia a sé questi aggettivi: “affidabile, diretto, concreto”. Purtroppo
in Francia, UK, Germania, Spagna, Usa e Giappone solo il 18% la
pensa così.
Seconda complicazione. Se anche ammettesse il calo d’immagine,
ognuno di noi darebbe la colpa a qualcun altro (se lo scaricabarile
fosse uno sport olimpico, a Torino avremmo vinto tutto).
L’opposizione pensa sia
colpa di Berlusconi (che
invece ha funzionato
come detonatore di
stereotipi: ecco perché
poteva risparmiarsi le
corna, i paragoni con
Gesù e - già che c’era - lo
strapotere televisivo). Lui,
ovviamente, ritiene che la
responsabilità sia dei criti-
ci disfattisti (anche quest’articolo patriottico, probabilmente, verrà
messo tra gli atti dell’accusa).
Molti in Italia pensano sia colpa delle istituzioni, le istituzioni se la
prendono con l’industria, l’industria con l’Ice, l’Ice con l’Enit, l’Enit
con le ambasciate e i consolati. Ambasciate e consolati, per
tradizione, tacciono: ma sono sicuro che anche loro hanno pronta
una lista di colpevoli. Magari le regioni, il cui attivismo - visto alla
Bit di Milano nei giorni scorsi - è ammirevole (soprattutto quando
si rivolge al pubblico, e non si risolve in gite all’estero per gli asses-
sori). Ma dobbiamo ricordarci che turisti e investitori prima scelgo-
no un Paese (maiuscolo) poi un paese (minuscolo). Per gli americani,
F irenz e è alla periferia di Roma e a un salto dalla Sicilia. A
Shanghai ho conosciuto cinesi entusiasti d’essere stati in Italia.
Alla domanda “Dove?”, continuavano a rispondere “In Italy!!”.
Per riassumere: la nostra “marca nazionale” ha bisogno d’una rin-
di Beppe Severgnini
Op
inio
ne
IlmadeinItalyèdefunto, l’Italiano
Giu / Lug 2006 Viste 1312 Giu / Lug 2006 Viste
frescata. Qualcuno se ne sta convincendo. Il Gruppo Reti, con
Progetto Italia di Telecom, ha riunito un gruppo di lavoro coordi-
nato da Giampaolo Fabris. Centromarca, l’associazione dell’indus-
tria di marca, ci ha appena dedicato un convegno. Aspen, il 20
marzo, discuterà di “marca nel mercato globale”. Chiunque vinca
le elezioni di aprile sfrutti questi contributi, e si dia una mossa. Noi
italiani abbiamo il genio, il gusto, la gioia, la grinta, la gentilezza e
la generosità: sei G importanti e (per ora) riconosciute nel mondo.
Coraggio. Il made in Italy è defunto, ma l’Italia no.
Corriere della sera,
23/02/2006
Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, questo articolo apparso sul Corriere della Sera
ENIT
Grazie… Come si è trovato in Italia?
Bene, anche se è un paese un po’ complicato… Mi ricordo di aver
avuto difficoltà a aprire un conto in banca. Mi chiedevano in con-
tinuazione documenti nuovi, allucinante… (sorride)
Si racconta in giro che non le piaccia il cibo italiano e che mentre
viveva a Roma mangiasse spesso sushi…
Ma non è vero! Chi ha detto queste cose? A me la cucina italiana
piace eccome! Però cenate troppo tardi…
Cioè?
Scrivo tutti i giorni
dalle quattro alle dieci
del mattino. La sera
vado a dormire molto
presto, tra le nove e le
dieci. Quando ero in
Italia era un problema.
In Italia si cena verso le
otto, otto e mezzo… a
quell’ora io ero già
stanchissimo. Dopo il
primo mi si chiudevano
gli occhi e se arrivavo al dessert lo mangiavo dormendo…
Dal punto di vista letterario quello in Italia è stato un periodo
molto proficuo…
Inte
rvista
Paese stupendo, ma che fatica aprire un conto in banca!
Giu / Lug 2006 Viste 1514 Giu / Lug 2006 Viste
Sì, lì ho scritto Dance Dance Dance. La ragazza dello Sputnik,
inoltre, è ambientato in Grecia… sempre in Italia ho portato a ter-
mine Tokyo Blues, il romanzo che poi mi dato la popolarità inter-
nazionale. Le voglio fare una confidenza a proposito di questo
libro: all’inizio il titolo non era questo, ma “Il giardino sotto la
pioggia” (lo dice in italiano, n.d.r.) “Ame no niwa”. Il titolo è stato
cambiato solo a metà dell’opera…
Ma allora lei parla italiano!
No no… però mentre ero in Italia io e mia moglie abbiamo iniziato
a studiare la vostra lingua. In verità io studiavo greco, era lei che
studiava l’italiano… però qualche parola la ricordo ancora adesso.
Quando si vive in un paese straniero è importante capire un po’ la
lingua, altrimenti non si riescono a leggere nemmeno i titoli dei
giornali e non si capisce cosa succede intorno a noi.
Legge mai qualche autore italiano?
Sfortunatamente ci sono pochi autori italiani contemporanei
tradotti in giapponese... Mi piace Moravia e poi conosco i classici
come Dante e Boccaccio.
Lei è anche un grande appassionato di cinema… ha visto recente-
mente qualche film italiano?
No… però ho visto i film di Pasolini, un intellettuale molto radi-
cale… Mi piace molto Antonioni. Adesso, però, quando rivedo i
suoi film mi sembra di notare un certo scarto temporale, si vede
che sono film di un’altra epoca. Quelli di Fellini, invece, mi sem-
brano senza tempo.
Durante il periodo trascorso in Italia ha vissuto a Roma ma non
solo…
Ho abitato anche a Palermo, ma solo per un mese… In quella città
mi è stato difficile instaurare rapporti di completa fiducia con le
persone. Palermo è una città molto particolare, con una mentalità
particolare. Nel periodo in cui ci sono stato io era in corso il pro-
cesso per mafia: lo si sentiva molto nell’aria… comunque è una
città molto interessante.
Che cosa le piaceva fare mentre era in Italia?
Sono andato spesso ad ascoltare l’opera. In Sicilia ci sono tanti
teatri e in tutte le città che ho visitato sono andato a teatro. Mi
piace l’atmosfera calda che si respira nei vostri teatri: la gente
canta durante l’esecuzione, applaude… che bello! Sono rimasto
colpito dal fatto che la gente partecipi veramente agli spettacoli,
anche se gli italiani, talvolta, sono un po’ troppo rumorosi…
Andare a teatro in Giappone è completamente diverso: tutti sono
composti e silenziosi… che noia! Ricordo che una volta, mentre
ero in Italia, sono andato a ascoltare un’opera di Respighi quasi
per caso. Non conoscevo questo autore e sono andato a teatro
senza essermi preparato prima: non ho capito niente e mi sono
quasi addormentato...
Quali sono i suoi programmi futuri?
Sto pensando di fare un viaggio in Europa. Oramai sono più di
dieci anni che non vengo in Italia e mi piacerebbe tornarci…
Credo che in questi anni sia cambiata parecchio…
Intervista allo scrittore Haruki Murakami
di Stefania Viti
Haruki Murakami, icona mondiale della letteratura contempo-
ranea, da anni intrattiene un rapporto speciale col nostro paese:
venti anni fa, quando decise di lasciare il Giappone, scelse di sta-
bilirsi proprio in Italia. E proprio nel nostro paese Murakami ha
composto alcuni dei suoi capolavori, da Tokyo Blues-Norwegian
Wood, (Feltrinelli) che lo lanciò sulla scena internazionale a Dance
Dance Dance (Einaudi). I romanzi di Murakami, che alterna l’atti-
vità di scrittore a quella di traduttore e saggista, sono ormai dei
classici e vendono milioni di copie in tutto il mondo. Umibe no
Kafuka (Kafka sulla spiaggia) il romanzo che uscirà prossimamente
in Italia per Einaudi nella traduzione di Giorgio Amitrano, è stato
inserito dal New York Times, tra i migliori dici libri del 2005: tra-
guardo raro per un giapponese, possibile se si tratta di Murakami.
Autore visionario e surreale, amatissimo dai ragazzi, è accompa-
gnato dalla fama di uomo schivo e misterioso, allergico a interviste
e mondanità…
Come mai ha accettato la nostra intervista?
Me lo ha chiesto al momento giusto: se fossi stato nel mezzo della
stesura di un romanzo non avrei accettato. In questo momento
sto traducendo e scrivendo un saggio: una sorta di riflessione per-
sonale sul rapporto che esiste tra la corsa e la scrittura, tra salute
fisica e mentale. Per me è molto importante, io sono da anni un
maratoneta… Inoltre ho vissuto in Italia per un po’ di tempo. È
stato un bel periodo e gli italiani mi piacciono molto…
Giu / Lug 2006 Viste 1716 Giu / Lug 2006 Viste
Osservando i risultati del sondaggio (interessante ed utile) sul-
l’immagine dell’Italia in Giappone, sorgono, nella mente di un
addetto alla promozione del Turismo Italiano, alcune domande
spontanee.
1) Perchè i sistemi produttivi italiani che offrono beni e servizi
(tra cui quelli relativi al turismo) sul mercato giapponese, nono-
stante gli sforzi e l’azione di coordinamento e convincimento
della Camera di Commercio e dell’Ambasciata d’Italia a Tokyo,
vanno, più o meno, ognuno per conto suo?
2) Quale economia di scala potrebbe venir raggiunta da azioni
promozionali congiunte in Giappone tra i vari sistemi produttivi
italiani?
3) Quale potrebbe essere l’utilizzo delle risorse risultanti dalle
economie di scala raggiunte?
4) Quali sono i settori della nostra economia maggiormente in
sofferenza in Giappone che potrebbero meglio beneficiare di
una promozione integrata “di sistema”?
Dal sondaggio, emerge chiaramente che l’Immagine della Marca
Italia in Giappone esercita un forte impatto globale sul mercato:
troppi e troppo diversificati sono i settori produttivi italiani e,
conseguentemente, le linee di penetrazione del mercato per non
pensare che l’Italia sia già entrata a far parte del “quotidiano”
nella vita dei giapponesi.
Argomenti di interesse italiano, prodotti, costume, lifestyle,
design, gastronomia, stanno permeando la vita di ogni giorno e
tutti i cittadini di questo Paese, naturalmente, subiscono l’influs-
so (positivo) di marchi di eccellenza italiana, aiutati in questo dal
clima favorevole instauratosi e dall’immagine percepita della vita
italiana, avvertita dai giapponesi come più rilassante rispetto allo
stress del comune cittadino.
Tutto ciò invoglia i giapponesi (e, soprattutto “le” giapponesi), a
comprare italiano ed ad un diverso stile di vita, che vorrebbe
assomigliare a quello che viene creduto sia il nostro stile di vita.
A questo punto, occorre che le strategie di promozione tengano
conto del clima favorevole all’Italia e del processo evolutivo del
mercato, reagendo con tempestività a quanto possa agevolare la
nostra economia.
Alcune convenzioni tra ICE/MAE ed ENIT/MAE, nella quale si fa
anche tesoro delle risorse contenute negli Istituti Italiani di
Cultura all’estero, vanno in questa direzione e la promozione
congiunta delle Istituzioni, grazie anche all’ottimo clima istau-
ratosi, è già una realtà che si sviluppa sempre di più.
Probabilmente potrebbero venir ottenute ulteriori sinergie tra gli
operatori di settori omogenei, con il risultato di possibili pro-
mozioni intersettoriali, ad esempio, tra operatori dell’enoga-
stronomia italiana in Giappone e la promozione dell’Italia come
meta di destinazione turistica, oppure tra le organizzazioni che
allestiscono mostre su beni culturali italiani e le Regioni dalle
quali gli oggetti esposti provengono, offrendo ai visitatori
opportuno materiale promozionale.
Un esempio banale potrebbe essere la messa a disposizione
degli ospiti dei ristoranti italiani di materiale promozionale sulle
Regioni Italiane alle quali la cucina del ristorante si ispira, o, pari-
menti, offrire agli acquirenti di vini italiani, anche informazioni
sulle zone di produzione vinicola quali mete di destinazione tu-
ristica, nella quale assaporare quello stile di vita e quei sapori
che alimentano, oltre che il corpo, anche l’immaginario.
Il successo del Turismo Italiano in Giappone non dipenderà cer-
tamente dalla promozione congiunta ma dalla competitività del
nostro Paese sul difficile rapporto prezzo/qualità dei servizi di
accoglienza, ma, viste le scarse risorse allocate e l’insufficiente
attenzione da parte delle diverse aree politiche alla promozione
all’estero dell’Italia come meta di vacanza, potrebbe senz’altro
essere utile non disperdere quel poco su cui si può contare.
Un’iniziativa che fa ben sperare sarà senz’altro la promozione
congiunta dell’immagine Italia nell’ambito della “Primavera
Italiana 2007“, in programma dal 21 marzo alla fine di giugno:
in quell’occasione la concentrazione di eventi italiani non potrà
non superare il livello di soglia di attenzione del mercato.
Potrebbe essere questa un’ulteriore occasione per dimostrare
che si può fare promozione anche se le risorse a disposizione e
l’attenzione del mondo politico, non sono certamente pari a
quelle dei paesi concorrenti.
La collaborazione tra le Istituzioni sarà certamente la “guidance
line” alla quale si presterà sempre più attenzione: non credo
che, date le linee di austerità che il nuovo Governo del Paese
dovrà osservare, rimarrà molta scelta.
Sistema Italia e Promozione Globaledi Enrico MartiniDirettore ENIT, Tokyo
Turism
o
Leader nel settore viaggi, H.I.S è una delle più importanti fab-
briche del turismo del paese del Sol Levante. Dopo nemmeno
trent’anni dalla sua nascita è presente in 47 paesi con 57 uffici
diretti e vanta un organico di oltre 3.000 impiegati. Fin dagli anni
‘80, quando un viaggio all’estero era ancora appannaggio di
pochi, H.I.S. ha cercato di rendere accessibile il viaggio a un mag-
gior numero di persone possibili, conciliando sicurezza, qualità e
buoni prezzi. “La filosofia della nostra azienda può essere riassun-
ta in due parole: “free travel” – spiega Bobby A. Haque, H.I.S.
General Manager. Questo significa non solo rendere il viaggio
accessibile al maggior numero di persone possibili, ma anche per-
sonalizzarlo, adeguandolo alle esigenze individuali dei nostri clien-
ti. Negli anni ’80 la maggior parte dei giapponesi viaggiava in
gruppo e il nostro modo di concepire il viaggio era nuovo: i primi
a recepire questo nuovo stile sono stati i giovani. Anche oggi,
infatti, la fascia che va dai 20 ai 40 anni è il nostro punto forte”.
Nel mercato giapponese si stanno però affacciando altre tipologie
di clienti: i baby boomers – gli ultra 50enni in pensione – saranno
una delle fasce più consistenti del futuro. “Non siamo specializzati
in questo segmento di mercato – continua Haque - anche se il tar-
get degli “active senile” è sicuramente una fascia d’età impor-
tante su cui bisogna investire”.
L’Europa è una delle mete più richieste e in essa l’Italia fa la parte
del leone. “Mentre Francia e Inghilterra sono identificate con le
rispettive capitali, Parigi e Londra, l’offerta italiana è variegata sia
per luoghi che per cose da fare e vedere – spiega Haque. I clienti
di solito si fermano in Italia svariati giorni e anche nei pacchetti in
cui sono presenti itinerari che toccano altri paesi il soggiorno
medio in Italia è sempre piuttosto lungo. Le mete preferite sono le
grandi destinazioni, Roma, Firenze, Milano o Venezia. Sta emer-
gendo anche l’Italia minore, ma prima di concentrarci in quella
direzione mi sento di dire, continua Haque, che per H.I.S. le grandi
città hanno ancora molto da offrire. Va aggiunto, inoltre, che gra-
zie alla varietà dell’offerta italiana, il cliente è facilmente fideliz-
zabile: chi va in Italia una prima volta, con molte probabilità ci
ritorna”. Come emerge dai risultati del sondaggio il Bel Paese è
descritto con aggettivi che si collegano alla sfera femminile: bello,
pieno d’arte e di buon cibo, con uno stile di vita che sembra
esercitare un’attrattiva irresistibile soprattutto per le donne.
“Effettivamente è così – conferma Haque. La maggior parte dei
clienti che scelgono l’Italia sono donne. La fascia d’età è molto
ampia, ma sono soprattutto le ragazze tra i 20 e i 30anni a
rimanere affascinate dall’Italia. Ultimamente però si sta affaccian-
do sul mercato un nuovo tipo di cliente, la coppia formata da
madre e figlia. Proprio per loro abbiamo creato pacchetti e offerte
speciali. Gli uomini, quando viaggiano in Italia lo fanno di solito
Italia: un paese che ha ancora moltoda offrire ma carente nei servizi
per accompagnare mogli o fidanzate. Non si tratta però di una
discriminante relativa all’Italia: semplicemente gli uomini, quando
viaggiano da soli o tra amici, cercano altre cose”. L’immagine
dell’Italia è positiva e a rendere ancora più bello il nostro paese ci
pensano gli italiani. Aperti, solari, trendy e simpatici sono molto
amati dai giapponesi. “L’Italia è indubbiamente una meta vincente
e per noi semplice da promuovere. Molto più che per altri paesi il
carattere degli italiani piace ai giapponesi. Peccato che poi tutto
non funzioni come dovrebbe… i problemi più sentiti sono gli
scioperi e i ritardi dei mezzi di trasporto, che mettono in difficoltà
anche noi organizzatori. Il problema della sicurezza nelle città
come quello dei borseggiatori, invece, non scoraggiano il cliente a
partire. A scoraggiarlo sono semmai le file e le difficoltà nel preno-
tare i biglietti nei musei”. I nostri marchi sono tra i più apprezzati
in tutto il mondo, e fare shopping in Italia è sempre stato una
delle attrattive del nostro Paese. “È ancora così - continua Haque -
anche se con l’arrivo dell’euro le cose sono cambiate e adesso è
tutto più caro. Ma anche il cliente giapponese è
cambiato, si è evoluto ed è diventato un consuma-
tore più consapevole rispetto a qualche anno fa.
Prezzo e qualità sono due leve di mercato fonda-
mentali, ma non ce n’è una più importante dell’al-
tra: il segreto sta nel saperle bilanciare ”. Negli ulti-
mi due anni in Italia il turismo ha vissuto un leggero
calo, anche se il settore sembra in ripresa. “Il calo
effettivamente c’è stato. L’Italia è un paese che si
vende da se ma deve investire di più nella pro-
mozione. Più che la televisione sono le riviste ad
avere un grosso impatto sulle ragazze giapponesi:
molte di loro si presentano in agenzie con le riviste,
chiedendo di questo o quel posto. Oggigiorno c’è
poi da considerare anche internet e le infinite possi-
bilità che offre.” Sebbene l’Italia sia ancora ai primi
posti nelle preferenze dei clienti che vogliono recar-
si in Europa, altri paesi si stanno affacciando sul mercato.
“Ultimamente stanno emergendo l’Europa centrale e paesi come
la Croazia e l’Europa dell’est - continua Haque – ma siamo ancora
molto lontani dai numeri che facciamo con l’Italia…”. La politica
di H.I.S. è quella di seguire da vicino il cliente, per questo ha
sviluppato una rete di agenzie dirette nelle principali destinazioni.
Due uffici si trovano anche in Ital ia, a Roma e Firenze.
“Accompagnare il cliente per mano, cercando di essergli il più vici-
no possibile anche all’estero fa parte della nostra strategia di
sviluppo – conclude Haque. Assumiamo molto personale locale,
ma spesso dobbiamo mandare il nostro a lavorare fuori. Il
Giappone è un mercato particolare e la lingua non è un problema
da sottovalutare. Quando però decidiamo di inviare personale
giapponese in Italia dobbiamo affrontare un grosso problema,
quello dei visti. Ci vuole mediamente un anno per ottenere un
visto di lavoro. Questo non invoglia e non aiuta l’espansione com-
merciale in Italia”.
Giu / Lug 2006 Viste 1918 Giu / Lug 2006 Viste
Intervista a Bobby A. Haque, General Manager H.I.S.
di Stefania Viti
Turism
o
ENIT
Giu / Lug 2006 Viste 2120 Giu / Lug 2006 Viste
Dai sondaggi, come tutti sanno, emergono molte verità che per lo
più si adattano all’oggetto della ricerca nel suo complesso. Non sem-
pre è semplice dunque estrapolare un dato settoriale isolandolo dal
contesto e dai vari fattori che influenzano il risultato finale.
Per quanto riguarda la Scienza e la Tecnologia il sondaggio ha forni-
to un risultato non inatteso. Difficilmente si poteva pensare che da
un campionamento bilanciato sul “giapponese medio”, potesse
emergere un risultato di grande attenzione alle nostre eccellenze
della ricerca o della industria hi-tech. In fin dei conti, con molta pro-
babilità, anche “l’italiano medio” avrebbe risposto al questionario di
Viste nello stesso modo.
Il fatto è che le nostre eccellenze S&T sono spesso “nascoste”.
Prendiamo ad esempio quello che il sondaggio ci indica come il
prodotto maggiormente associato dal pubblico giapponese all’im-
magine dell’Italia: la pasta. Questo prodotto, di larghissimo consumo
ed ormai entrato nelle abitudini alimentari di moltissimi Paesi è, infat-
ti, frutto di una serie di conoscenze scientifiche (in biologia, chimica,
impiantistica, informatica etc) elevate dall’Italia a livelli di assoluta
eccellenza mondiale. E la stessa cosa può dirsi per gli altri settori
“vincenti” della nostra economia, quali l’Alta Moda e l’abbigliamen-
to, il design, la gioielleria e l’industria del cuoio, per i quali vi è una
forte dissociazione tra il contenuto scientifico-tecnologico del
prodotto e l’immagine che ne ha il consumatore.
Al riguardo, pare interessante fare un’ulteriore considerazione: dal
sondaggio emerge che il pubblico giapponese percepisce l’Italia
come un Paese poco competitivo, tecnologicamente poco avanzato
e con bassa produttività industriale. Allo stesso tempo, l’Italia viene
vista come un Paese che produce beni di grande qualità ed innova-
tivi, ritenuti poi particolarmente adatti al sofisticato ed esigente mer-
cato giapponese. Come spiegare questa apparente contraddizione?
Probabilmente con la considerazione che l’Italia non è associata alla
produzione di prodotti di largo e quotidiano consumo (medicine,
telefoni cellulari, televisori, apparecchi audio-video etc), il cui evi-
dente contenuto high-tech aiuta l’associazione Scienza-Paese. Al
contrario, molto probabilmente, i settori in cui abbiamo una leader-
ship a livello mondiale si giovano di un’ immagine di produzioni
”home made”, in qualche modo legate a modelli semi-artigianali in
grado di garantire una qualità diversa, più “personalizzata” e di più
elevato livello. Un’ immagine che, per tornare a quanto detto
poc’anzi, occulta una realtà produttiva ben differente.
Al di là di quanto precede, dalla nostra esperienza rileviamo invece
che la percezione che dell’Italia hanno gli “addetti ai lavori” con cui
intratteniamo rapporti di collaborazione è quella di un Paese con
importanti eccellenze tecnologiche, ciò che vale soprattutto per co-
loro che hanno avuto pregresse esperienze di lavoro da noi.
Proprio per questo, l’Ambasciata ha avviato, ormai da 3 anni, 4
Laboratori Congiunti che, sia all’interno delle più prestigiose università
giapponesi, sia in Italia, vedono quotidianamente ricercatori ed esperti
italiani e giapponesi lavorare a diretto contatto su progetti comuni.
Nei settori ad altissimo contenuto tecnologico della robotica avanzata,
delle nanotecnologie e della prevenzione dei disastri naturali già
l’immagine in Giappone del nostro Paese sta mutando.
Vanno viste in tale prospettiva molte delle iniziative in programma
nell’ambito della “Primavera Italiana 2007”. Le esposizioni ed i semi-
nari a carattere scientifico e tecnologico previsti in tale contesto si pre-
figgono infatti l’obiettivo di contribuire alla diffusione di un immagine
più moderna ed attuale dell’Italia, anche attraverso presentazioni di
facile ed immediata comprensione per il grande pubblico.
Le Scienze e le Tecnologie non...“Viste”a cura dell’Ambasciata d’Italia a Tokyo
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Un messaggio emerge chiaro e impietoso dal sondaggio sull’im-
magine che si ha in Giappone dell’Italia. Il Giappone non ci vede
come partner tecnologico.
Con buona pace di chi come lo scrivente si arrabatta quotidiana-
mente a cercare di convincere gli amici giapponesi che in Italia vi
sono eccellenze tecnologiche, degne di considerazione per col-
laborazione e investimento, il sondaggio fornisce una fotografia
inequivoca. Germania e Regno Unito sono partner tecnologici
affidabili, l’Italia no.
Difficile sorprendersene: alcuni esempi, che attingono a una pur
limitata esperienza quale la mia (sono in Giappone da poco meno
di cinque anni) sembrano confermare l’esistenza di un problema,
suggerendo alcune considerazioni.
A ottobre di due anni fa, una società giapponese legata alla for-
nitura di contenuti multimediali per telecomunicazioni rileva il
50% del Grenoble calcio, squadra francese di serie B, per 1,3 mi-
lioni di euro, oltre farsi carico dei debiti. Qualche settimana
prima, la stessa società aveva acquisito in Francia altre due
aziende e stretto alleanze in Scandinavia e Germania. Negli stessi
mesi, un'altra società, sempre giapponese e attiva nel medesimo
settore, compie operazioni analoghe nel Regno Unito, in Spagna
e in altri Paesi europei. Il tutto per decine di milioni di euro.
Una chiacchierata con il management delle due aziende rivela
che l'Italia non era nel mirino perché non sapevano pressoché
nulla del mercato italiano.
Qualche mese più tardi, durante la primavera 2005, due start-up
tecnologiche si affacciano contemporaneamente sul mercato del
venture capital giapponese alla ricerca di finanziamenti. Una è
italiana e ha sviluppato un software per la sincronizzazione e la
gestione in remoto di apparecchi mobili come telefoni cellulari.
L’altra, norvegese, ha messo a punto un software per la televi-
sione digitale on-demand. Entrambe dispongono di una buona
tecnologia, sviluppata in modo proprietario e di cui detengono
di Ludovico CiferriFar East & Australasia Senior Advisor, Torino Wireless
Sotto il vestito....un Bel Paese
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24 Giu / Lug 2006 Viste Giu / Lug 2006 Viste 25
non sia possibile utilizzarle in modo diverso, forse più efficace.
Una terza considerazione è, per dirla con crudezza, che spesso “il
Paese non c’è”. Quante volte è capitato, credo a molti di noi, di
andare avanti salvo scoprire poi che “dietro l’azienda non c’era”:
perché non era pronta come aveva invece detto di essere, perché
aveva cambiato strategia o idea, perché il management aveva liti-
gato, o semplicemente per pura cialtroneria locale. Chi lavora su
questo mercato sa che in Giappone un errore si paga molto caro
in termini economici, che della nostra flessibilità agli amici giap-
ponesi interessa relativamente poco, che se una trading house è
interessata a investire qualche decina di milioni di euro in
un’azienda italiana il minimo che si possa fare è salire al volo su
un aereo e venire in Giappone. Diversamente verrebbe naturale
pensare che il mercato giapponese, e più in generale quello asia-
tico, non siano considerati strategici. Come peraltro il governo
uscente aveva ben dimostrato nei fatti.
Per finire, resta da rispondere al quesito forse principale. Posto
che sia possibile lavorare per promuovere in Giappone un’im-
magine diversa del nostro Paese, attenta agli aspetti tecnologici,
sarebbe utile farlo? Il costo che ne deriverebbe potrebbe esser
giustificato in termini economici, che so da un maggior contribu-
to del settore al prodotto nazionale lordo, da un maggior flusso
di imposte dirette verso l’erario e così via? Se anche migliorassi-
mo l’immagine “tecnologica” dell’Italia in Giappone, ciò
aiuterebbe a vendere più vestiti, occhiali, auto, motociclette?
Onestamente non saprei, sono questioni di politica economica
che vanno lasciate ai politici. Chi scrive sommessamente avanza
comunque un dubbio: che di sole mutande griffate, caciotte di
latte biologico di capra d’Alta valle e di vino più o meno doc un
Paese difficilmente possa vivere a lungo.
Ci sono cose di cui tutti dovremmo esser orgogliosi in campo sci-
entifico e tecnologico. Dovremmo convincerci che dopo Galilei e
Golgi abbiamo avuto personalità del calibro dei vari Fermi e
Natta, cui son seguiti in anni più recenti imprenditori come Enzo
Ferrari, scienziati come Carlo Rubbia e tecnologi come Federico
Faggin, il padre del moderno microprocessore.
Se provassimo a convincere anche i nostri amici giapponesi che è
stato proprio grazie al nostro stile di vita che son potuti nascere e
crescere cervelli di quel calibro… se cercassimo di spiegare loro
che è da quel melting-pot sociale che è il nostro Paese che può
uscire il genio creativo italiano… forse capiremmo tutti un po’
meglio che sotto il vestito…c’è un Paese.
anche la proprietà intellettuale. Il management è in tutte e due i
casi dotato di esperienza significativa, buono è anche il mercato
potenziale per entrambe le soluzioni.
Ottenere un appuntamento che sia espressione di un reale inte-
resse e non di pura cortesia nei confronti dello scrivente, si rivela
molto più impegnativo per l’azienda italiana che per quella
norvegese. Alla fine, la start-up italiana viene finanziata nella
Silicon Valley, dove oggi prospera pur mantenendo il proprio cen-
tro ricerca e sviluppo del software nella (ridente) Padania (in
Lombardia un buon ingegnere informatico costa praticamente
come un indiano a Bangalore, offrendo tuttavia qualche difficoltà
gestionale in meno). L’azienda norvegese chiude.
Più recentemente, promuovendo in Giappone Torino Wireless, il
distretto tecnologico italiano impegnato fra l’altro nello sviluppo
di Galileo, il sistema europeo di navigazione satellitare, ci si
imbatte in una primaria manifatturiera giapponese che produce
apparecchi elettronici. L’incontro volge al meglio e si inizia a
ragionare in termini di sviluppo congiunto di un semiconduttore
(chip) per ricevere il segnale del sistema Galileo nei telefoni cellu-
lari così come in tutti gli apparecchi mobili di prossima gene-
razione (navigatori per automobili, pda per flotte vendita ecc.)
Senonché quando si comincia a parlare di tecnologia e di speci-
fiche competenze l’interlocutore giapponese sembra incerto,
quasi dubitasse del track-record italiano. L’incertezza prende
corpo in una domanda apparentemente innocua, in realtà rivela-
trice: “voi fate lo stesso lavoro del gruppo di xy in Germania?”.
La risposta italiana è netta: “siamo loro partner nella realiz-
zazione di applicazioni basate su Galileo, in particolare per la
parte di sviluppo dei semiconduttori, dove siamo noi a guidare il
progetto”. Superata la sorpresa, l’incontro si distende all’insegna
del “se lavorate con i tedeschi allora siete affidabili”.
Una prima considerazione è, a mio sommesso avviso, che dunque
un problema effettivamente esista. Si potrebbe disquisire all’in-
finito sulla reale entità del fenomeno, ma dubitarne l’esistenza
sarebbe sciocco.
Una seconda considerazione è che il problema persiste nono-
stante tutti gli sforzi fatti per promuovere un’immagine diversa
dell’Italia. In questo non sta un giudizio negativo sull’operato di
chi è a ciò preposto, quanto piuttosto una considerazione a par-
tire dai risultati. Se il problema sussiste, gli sforzi non sono
dunque stati sufficienti. Che di più non si potesse fare perché le
risorse sono limitate per tutti, in particolare in questi ultimi anni,
è probabilmente vero, ma non cambia i termini della questione.
Ci si deve allora domandare se date le risorse limitate disponibili
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Tecnologia, innovazione, competitività.
Parole che non vengono di solito associate all’Italia, alla sua
tradizione e alle sue persone. Il nostro Paese è maggiormente
conosciuto per il mondo dell’arte, la cultura, lo sport, la cucina o
ancora l’estro e la genialità.
Pochi invece sanno che, grazie a Finmeccanica, alle sue aziende
e al patrimonio di conoscenze e di ricerca che in
esse si sviluppa, l’Italia è in grado oggi più che
mai di competere sulla frontiera dell’innovazione,
aiutando il Paese a non subire la crescente com-
petizione globale, ma a giocare piuttosto un
ruolo da protagonista.
Finmeccanica è il primo gruppo italiano e tra i
principali al mondo nel settore dell’aerospazio,
della difesa e della sicurezza, con eccellenze in
attività quali l’elicotteristica, i velivoli addestra-
tori, i materiali compositi, l’elettronica e le teleco-
municazioni.
Nel corso del 2005 il Gruppo, che conta quasi
57.000 dipendenti nel mondo, di cui circa 15.000
all’estero, ha impresso una decisa accelerazione
rispetto ai principali driver della sua strategia
industriale: la crescita organica, l’internazionaliz-
zazione sui mercati e la redditività hanno fatto di
Finmeccanica un player riconosciuto sulla scena
internazionale, con un dinamismo apprezzato
dagli investitori e dalla stampa. Oggi con ricavi
per 11 miliardi di Euro, ordini per oltre 15 miliardi
di Euro, investimenti in Ricerca & Sviluppo pari al 15% del valore
della produzione, Finmeccanica è posizionata tra le prime dieci
aziende al mondo.
Il mercato dell’aerospazio, difesa e sicurezza, in forte evoluzione
già dagli anni ’90, sta conoscendo importanti rivolgimenti dettati
dalle nuove caratteristiche delle minacce e dalle esigenze di
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L’alta tecnologia made in Italy sicurezza imposte ai Governi. Nello specifico, ci sono alcuni se-
gmenti tecnologici il cui peso è sempre più importante nelle
architetture di difesa e sicurezza: l’elettronica, le comunicazioni,
i satelliti e la radaristica costituiscono lo scheletro dei nuovi siste-
mi per la “homeland protection”. A ciò si affianca la rilevanza
strategica delle piattaforme (elicotteri, aerei, navi, satelliti), il cui
valore aggiunto risiede nella capacità di essere parte di un si-
stema integrato. Queste motivazioni hanno spinto Finmeccanica
da un lato a favorire la concentrazione sul proprio core business
dell’aerospazio, difesa e sicurezza, dall’altro a ricercare opportu-
nità su mercati tecnologicamente qualificati e in cui poter svilup-
pare soluzioni complesse per rispondere nella maniera più
idonea ai requisiti del cliente.
A titolo di esempio, proprio nell’ultimo biennio, sono stati con-
clusi importanti accordi nei settori dell’elettronica e nelle comu-
nicazioni per la difesa (con l’inglese Bae Systems), nel campo dei
satelliti (con la francese Alcatel) e nell’elicotteristica (con l’acqui-
sizione del 100% di Agusta Westland). In particolare l’acqui-
sizione di importanti assett nel Regno Unito ha portato
Finmeccanica ad essere i l primo fornitore straniero del
Ministero della Difesa in quel paese. L’attenzione rivolta alle
opportunità create dal mercato si è ovviamente accompagnata
ad una politica di rafforzamento e valorizzazione delle compe-
tenze tecnologiche del gruppo.
L’eccellenza dell’alta tecnologia made in Italy ha conquistato
anche i mercati più complessi, garantendo all’Italia una fines-
tra di visibilità, credibilità e di riconoscimento del proprio
“saper fare”: un esempio per tutti è quello della vittoria della
gara per l’elicottero presidenziale negli USA, la versione ame-
ricana dell’EH101.
Particolarmente attivi sono anche i settori Energia e Trasporti,
Giu / Lug 2006 Viste 2726 Giu / Lug 2006 Viste
a cura di Finmeccanica
Sopra: l'elicottero presidenziale USA, versione americanadell' EH 101. A sinistra l’ATR 42
Giu / Lug 2006 Viste 2928 Giu / Lug 2006 Viste
dove il Gruppo Finmeccanica ha ottenuto importanti successi
commerciali in diversi paesi al mondo e riconoscimenti dal
mercato finanziario grazie alla quotazione in borsa nei
primi mesi dell’anno di Ansaldo STS (sistemi ferroviari e
segnalamento).
Ovviamente l’area asiatica è per Finmeccanica, e
per l’Italia, un riferimento primario in termini di
politica di sicurezza, penetrazione industriale
e collaborazione tecnologica. Il Giappone in
particolare è tra i mercati più qualificati per
le sue capacità tecnologiche.
Finmeccanica, attraverso la Agusta Westland leader
mondiale nel settore dell’ala rotante, ha avviato la
fornitura di 14 elicotteri EH101 alla Marina
Giapponese, grazie ad un accordo con la
Kawasaki Heavy Industries per la produzione
su licenza dell’elicottero di maggior succes-
so a livello internazionale. A ciò si
aggiungono le vendite di 12 AW139
(contratto annunciato al recente
salone aeronautico di
Singapore) e di diversi
A109, questi ultimi già
da tempo operanti nel
paese.
La Finmeccanica, attraverso la propria controllata Alenia
Aeronautica, sta inoltre promuovendo in questi ultimi mesi il
proprio ATR42 nella versione da pattugliamento marittimo
per soddisfare un requisito della Japan Coast Guard e,
in collaborazione con l’industria aeronautica
inglese, sta iniziando a presentare le caratteri-
stiche tecniche del velivolo da difesa
Eurofighter per un prossimo fabbisogno
della Forza Aerea Giapponese.
Sul tema delle collaborazioni industriali la Finmeccanica
è in prima linea nel programma per il futuro aereo da
trasporto civile Boeing 787 Dreamliner, di cui sono
partner anche importanti aziende giapponesi, ed
inoltre l’azienda mantiene rapporti di cooperazione
nel settore Spazio con le aziende giapponesi
attraverso i rapporti esistenti tra le rispettive
Associazioni Nazionali Spaziali.
Tradizione e innovazione: due termini
che il mondo ed in particolare il
Giappone, auspichiamo e credi-
amo, imparerà ad associare
all’Italia e all’alta tecnologia
Finmeccanica.
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Un modello dell'EuroFigther
Giu / Lug 2006 Viste 3130 Giu / Lug 2006 Viste
Fa compagnia a Leonardo da Vinci e Michelangelo. È più
conosciuto di Del Piero e Giorgio Armani. Nella Top Ten degli
italiani più famosi in Giappone, Girolamo Panzetta batte tutti.
“Nessuno è profeta a casa propria” dice un antico proverbio, e
sembra scritto proprio per lui:
Girolamo è semisconosciu-
to in Italia ma famosissi-
mo in Giappone.
Inseguito dagli sponsor,
amato dalle fans, Giro-
san, come lo chiamano
qui, appare in spot com-
merciali e in talk show
televisivi. Al suo atti-
vo vanta 19 l ibr i
sul l ’ I ta l ia , t iene
una rubr ica su
Leon, un famosa
rivista di moda
g i a p p o n e s e ,
scr ive recen-
s ioni di c ine-
ma, fa il com-
m e n t a t o r e
sportivo alla tele-
v is ione e di recente ha
iniziato a fare pure il doppia-
tore per un film della Disney.
Girolamo, con tutte le cose che fai ti manca solo di fare l’at-
tore…
Effettivamente potrebbe capitare anche quello. Ne stiamo par-
lando coi miei manager…
Ma dove trovi l’energia per fare tutte queste cose?
Non lo so… So solo che le persone che pensano che la mia vita
sia fatta solo di feste si sbagliano di grosso. Ci sono anche
quelle, perché fanno parte del mio lavoro, ma in pochi sanno
che spesso resto ai party solo il tempo per farmi fotografare.
Lavoro moltissimo tutti i giorni e adesso, coi mondiali, pure di
notte… Ho veramente pochissimo tempo per la mia vita privata
e mi dispiace.
Già, la tua vita privata: le malelingue dicono che il tuo successo
sia dovuto a un matrimonio eccellente…
Sul serio? Certo mia moglie è ed è stata di grande aiuto: 17
anni fa, quando sono arrivato in Giappone, lavoravo nell’azien-
da di mio suocero e poi studiavo. Sempre con mia moglie ho
scritto i miei libri. Vengo comunque da una buona famiglia, che
mi ha permesso di stare qui e studiare senza troppi problemi.
Pochi sanno che mi sono anche laureato in economia, mentre in
Italia avevo studiato architettura per qualche anno…
Ma come hai iniziato a lavorare in tv?
Quasi per caso. Un giorno andai a accompagnare un mio amico
a un provino alla NHK: lo feci anche io e mi presero. Mi ritrovai
così catapultato in un programma di lingua italiana: facevo la
parte del cameriere e non dicevo una parola. Però parlavo con
gli occhi, con la faccia, con la mia espressione. Fu un successo e
mi assegnarono un programma di lingua. A differenza di quan-
to era successo fino a quel momento creammo qualcosa di
nuovo, un nuovo modo d’insegnare. Eravamo attori più che
insegnanti: l’idea era quella di unire lo stile alla grammatica. Fu
un successo, tanto che dopo di noi molti hanno cercato d’imi-
tarci…
Secondo te, perché Giro-san piace così tanto ai giapponesi?
Credo che il mio più grande talento sia la spontaneità, riuscire a
trasmettere quello che sento. Non mi piacciono le cose costruite
e nelle mie scelte seguo molto l’istinto. Inoltre quando faccio
qualcosa cerco di farlo con il massimo della sincerità e della
responsabilità possibile: c’è studio e preparazione dietro a ogni
cosa che scrivo o che dico. Non si può andare in video e parlare
a vanvera: la tv non perdona e i giapponesi sono informatissimi
su tutto. Inoltre c’è anche un pizzico di fortuna, forse sono cap-
itato al posto giusto al momento giusto. I giapponesi sono
molto curiosi e oggi come oggi Giro-san rappresenta uno “stile
di vita”, quella parte “vivace” che i giapponesi tendono a non
esternare. Lo stile italiano…
Però molti ti accusano di vendere un’immagine stereotipata
dell’Italia…
Credo che chi la pensa così conosca poco il mio lavoro. Ho scrit-
to libri di cucina perché, personalmente, mi piace cucinare. Ma
ho fatto reportage anche su tanti altri aspetti dell’Italia. Nel far
conoscere l’Italia ai giapponesi bisogna andare per gradi.
Adesso loro apprezzano e conoscono soprattutto la parte estetica
e storica del nostro paese: lavoriamo tutti insieme per farci
conoscere sempre di più e sempre meglio. Io sono disponibile.
Credo, infatti, che mi si possa dire di tutto ma non che non mi
sto dando da fare per portare alto il nome dell’Italia nel
mondo…
Assolutamente… non a caso tra qualche mese diventerai
Cavaliere della Repubblica Italiana….
Sì, sono molto felice e ringrazio tutti già da adesso.
Eppure dicono che tu sia un tipo snob, che difficilmente rispon-
di al telefono…
Inconvenienti del mestiere… Come dicevo prima ho pochissimo
tempo libero e non riesco a stare dietro a tutto. Pensa che mi
capita di avere in segreteria anche 30 messaggi al giorno. Come
faccio a rispondere a tutti? In più, gran parte del mio tempo è
gestito dal mio manager e talvolta non riesco a programmare
nemmeno una pizza con gli amici…
Che effetto ti fa ritrovarti accanto a Leonardo da Vinci e a
Michelangelo?
Ho sentito un brivido sulla schiena quando ho letto i risultati del
sondaggio. Insomma, Leonardo è Leonardo… Però per quello
che mi riguarda non è un risultato arrivato dal niente: è il frutto
di tanto lavoro.
Girolamo, alla fine, chi è Giro-san?
Un uomo che ha imparato a sorridere.
Girolamo Panzetta: la faccia italiana del Giapponedi Stefania Viti
Inte
rvista
32 Mar / Apr 2006 Viste Giu / Lug 2006 Viste 33
PRIMAVERA ITALIANA
UNA SERIE DI EVENTI DI ALTA QUALITÁ SONO IN PROGRAMMA TRA MARZO E GIUGNO 2007.
LA MODA, LA CUCINA, LA CULTURA, LA TECNOLOGIA, LO CHARME:IL MEGLIO DELL’ITALIA NEL 21mo SECOLO
OBIETTIVI:
Presentazione di prodotti italiani che contengono commercio, innovazione tecnologica, cultura e turismo.
Rafforzamento della rete di partnerships che lega Italia e Giappone.
Offerta ai partner giapponesi pubblici e privati di maggiori opportunitá di accesso al mercato,alla cultura e alla societá italiana.
Incremento degli investimenti bilaterali.Valorizzazione dei tesori della cultura italiana attraverso mostre, concerti, arte.
2001L’anno dell’Italia in Giappone
2005Expo di Aichi: Padiglione ItalianoFestival Italiano - Tokyo Dome
2007
Giu / Lug 2006 Viste 35
Produciamo beni di grande qualità, abbiamo aziende famose nei rispettivi
settori, teniamo in gran cura l’ambiente, e, soprattutto, siamo “simpati-
ci”, “dotati di senso artistico” ed “alla moda”. Scusate se è poco, signori.
Il Giappone ci vuole bene. E così pure i giapponesi, gentil (e sempre più
determinante per i mercati) sesso in testa. Forzando un po’ i risultati di
questo sondaggio – il primo mai condotto in Giappone con criteri profes-
sionali (vedi box), verrebbe da dire che rappresentiamo quasi un modello.
Ed infatti siamo il paese più gettonato per un’eventuale trasloco: il 23%
degli intervistati (grafico1) si trasferirebbe volentieri a vivere da noi,
nonostante il rischio di impazzire alle stazioni, subire pesanti ritardi nei
trasporti, doversi confrontare con la microcriminalità e la burocrazia.
Insomma, l’immagine dell’Italia – e degli italiani – in Giappone sembra
essere più che positiva. Ma quanto di questa straordinaria e rassicurante
realtà dipende da antichi e fruttuosi incontri, da un’attrazione risalente,
se non all’arrivo dei primi gesuiti, quanto meno all’epoca Meiji, quando
assieme a quelli di altre nazioni, studiosi, artisti ed “esperti” italiani del
calibro di Chiossone e Fontanesi ebbero occasione di “mostrare sul
campo” l’arte del “fare” italiana? (Per chi non lo sapesse, Chiossone
regalò ai giapponesi la loro prima cartamoneta, diventando il primo diret-
tore della locale Zecca). Quanto hanno, viceversa, contribuito a rafforzare
– e se possibile traghettare nel tempo, modificandone alcuni aspetti - le
recenti rassegne promozionali, l’anno dell’Italia in Giappone, il Padiglione
Italiano di Aichi e tante altre manifestazioni pubbliche e private che negli
ultimi anni si sono succedute? E soprattutto, quanto siamo stati – e
siamo – capaci di capitalizzare questa naturale predisposizione, questo
valore aggiunto culturale che offre al made in Italy il Giappone ed i giap-
ponesi? Come mai il nostro interscambio, pur in costante aumento, non
esplode?
L’Italian Way Of Life detta legge in Giappone.Nononostante servizi inadeguati, microcriminalità e (quantomeno percepita) inaffidabilità sul lavoro, siamo di granlunga il paese straniero più “simpatico”, quello dove i giap-ponesi andrebbero volentieri a vivere.Ma soprattutto, facciamo tendenza. Dai modelli delleautovetture, la ristorazione, brands e spot pubblicitari,l’Italia e l’italiano spopolano. Ma non ne approfittiamo.E ad incassare sulla nostra immagine finiscono spesso peressere aziende straniere
di Pio d’Emilia
Mad for Italy
So
nd
ag
gio
0
5
10
15
20
25
30
35
Mi sento vicino alla sua popolazione Mi piacerebbe viverci Apprezzo i valori morali di questopaese
Mi piacerebbe lavorare con personedi questo paese
Potrei pensare di lavorare con unaazienda di questo paese
Indice di gradimento per Paese (grafico 1)
Al campione è stato richiesto l’apprezzamento rispetto a ciascun paese.Il più alto gradimento per l’ Italia è espresso con “mi sento vicino alla sua popolazione “e “vorrei viverci”.Le percentuali di apprezzamento per gli Stati Uniti d’America appaiono più alte rispetto a ogni altro paese,sebbene l’ impressione generale “mi piace molto” e “mi piace” sia bassa .Il gradimento espresso con “mi sento vicino alla sua popolazione”, “vorrei lavorare con le persone di questo paese”e “potrei pensare di lavorare per una compagnia di quel paese” è più alto per gli Stati Uniti d’ America con una per-centuale del 30 % o più. La percentuale di quelli che hanno affermato “mi piacerebbe viverci” è più alta per l’Italia con il 23% e quella di“apprezzo i valori morali” è più alta per la Germania con il 27% .
Base: Tutto il campione (5.000) / Italia Francia Gran Bretagna Germania Spagna U.S.A
29
13
1618
15
31
23
17 17
1314
2223
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6
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0%
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50
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80
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
Immagine dell’Italia (grafico 2)
La frase “l’Italia produce beni di buona qualità " viene menzionata dal 61% del campione, seguita da “indu-strie/aziende di successo” (24%) e “ protegge l’ambiente” (20%). L’affermazione “ha un sistema di trasporti pubblici non soddisfacente” viene menzionata dal 28% di tutticoloro che hanno visitato l’Italia ed è di 15 punti maggiore rispetto alla totalita’ di coloro che hanno risposto.
Tutti Uomini Donne Hanno visitato l'Italia
6157
66
72
24 23 2428
20 1921 21
1513
16
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28
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9 108
119 10 11
8
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9 810
7 86
117 5 4 6 5 4 3 5 3
Produce beni di buona qualitàIndustrie/aziende di successoProtegge l’ambienteCompetitivoSistema di trasporto pubblico non soddisfacenteTecnologia avanzata
1.2.3.4.5.6.
Rilevante nella comunitàeconomica globaleAlta disoccupazioneSicuroAlta produttività industrialeSviluppo notevoleSi adatta rapidamente ai cambiamenti dell’economia globale
7.8.9.
10.11.12.
Base: Tutto il campione (5.000) /
0%
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140
160
180
200
Immagine degli Italiani (grafico 3)
Sono state elencate al campione 27 caratteristiche ed è stata richiesta l’immagine percepita re-lativa alla popolazione di ciascun paese. Gli italiani sono fortemente percepiti come “simpatici” (64%), “creativi” (61%), “alla moda”(56%). Ma anche “intraprendenti” (42%). La media delle caratteristiche positive associate è7.0, la più alta tra i 6 paesi presi in considerazione dal sondaggio.I Giapponesi hanno un’ampia varietà di percezioni rispetto all’immagine degli Italiani. Sia inpositivo che in negativo.Tra i difetti principali che ci vengono attribuiti troviamo la mancanza diprecisione, di serietà sul lavoro, di affidabilità e di discrezione. Curioso il dato sull’intelligenza:siamo considerati molto creativi, ma appena il 5% degli intervistati ci considera particolarmente“intelligenti”. Settore in cui sono gli inglesi a trionfare con il 38% dei consensi (grafico 3b)In generale la percentuale tende ad aumentare, sia in positivo che negativo, tra coloro chehanno visitato l’Italia. Con un’unica eccezione. Mentre nel campione generale il 14% ci consi-dera poco ordinati, la percentuale si riduce drasticamente al 3% tra coloro che sono stati in Italia.
Tutti Hanno visitato
64
79
61
72
56
66
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151614
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18
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9 8 8 8 8 85
85 5 4 4 4 3 4 4
Base: Tutto il campione (5.000) / Hanno visitato (715) /
La linea blu indica il divario di percentuale tra il campionetotale e coloro che hanno visitato l’Italia..
Simpatici
Dotatidisenso
artistico
Alla
moda
Intraprendenti
Spiritosi
Am
ichevoli
Creativi
Sexy
Romantici
Emotivi
Dinam
ici
Generosi
Irresponsabili
Gentili
Flessibili
Orgogliosi
Ordinati
Fuorimoda
Discreti
Sensibili
Affidabili
Indipendenti
Conservatori
Intelligenti
Lavoratori
Seri
Precisi
gra
fico 1
gra
fico 2
gra
fico 3
Giu / Lug 2006 Viste 3736 Giu / Lug 2006 Viste
Tra attrazione e stereotipi
Ad una prima lettura, il sondaggio della NetRatings è al tempo stesso
rassicurante e spietato. L’immagine dell’Italia (grafico 2) è forte, positi-
va, condivisa da tutte le generazioni e, pur con un certa differenzia-
zione, dai sessi, diffusa su tutto l’arcipelago. Ma è desolatamente
ancorata ai vecchi stereotipi. Ci consoli il fatto che questa tara si appli-
ca a tutti i nostri concorrenti: se noi siamo “simpatici”, “alla moda” e
“creativi” (ma anche “intraprendenti”, virtù che contraddistingue gli
americani, secondo il 40% degli intervistati), i francesi sono decisa-
mente più “eleganti” di noi, gli spagnoli più sexy, gli inglesi più con-
servatori ed educati, i tedeschi “capaci” e “seri” e gli americani, l’ab-
biamo visto (iper) attivi (80% delle risposte).
Interessante notare (grafico 3) un elemento che diventerà una
costante del sondaggio. Tra tutti gli intervistati, coloro che sono già
stati almeno una volta in Italia tendono ad “alzare il voto”. Scopriamo
così che, in questa categoria, il 57% degli intervistati ci considera
“amichevoli”, contro appena il 42% di quelli che in Italia non ci sono
mai andati. Interessante, no? I nostri uomini d’affari in Giappone, i
nostri “espatriati” – visto che di turisti ce ne sono pochi, in giro -
danno evidentemente un’immagine meno “amichevole” del barista di
Piazza del Popolo. Evidentemente non c’è solo il buon Donati (cfr.
intervista al direttore dell’Istituto di Cultura, pag. 45) che si fa carico,
nelle nostre stazioni, dei poveri turisti giapponesi alla ricerca del bina-
rio perduto. Ed essere gentili paga: alla fine le impressioni finiscono
nei sondaggi. Le cose peggiorano un po’ sul fondo scala, laddove si
parla di lacune, vizi e difetti. A parte una buona dose di “irrespon-
sabilità” (ce l’attribuiscono il 28% di coloro che non sono mai stati in
Italia, ed il 44% di quelli che invece ci hanno visto “giocare in casa”),
“affidabilità”, “serietà”, “scrupolosità” sono qualità che, rispettiva-
mente, appena l’8.8%, il 4.4% ed il 4.3% dei giapponesi ci riconosce.
Il che significa che oltre il 90% - oltre che poco intelligenti, ci consi-
dera decisamente inaffidabili, poco seri, anche sul lavoro. Per non par-
lare dell’essere “ordinati”. Mentre il 15% del campione generale ci
riconosce questa qualità, la percentuale crolla al 4% tra coloro che
sono stati in Italia.
Un dato che deve farci riflettere, ma che non sembra di facile
rimozione. Anche perché, come ci ricorda nel suo brillante articolo
Beppe Severgnini partiamo da autopercezioni completamente
opposte: oltre il 60% degli italiani si considera “affidabile”, “concre-
to” e “deciso”. Come facciamo a ridurre il gap?
Interessanti le “sintesi d’immagine” per ciascun paese illustrate dai
grafici 3a e 3b. Assieme ai nostri cugini francesi e – sorprendente-
mente – agli americani, risultiamo un popolo “con le curve”: con forti
connotati positivi e negativi. Siamo simpatici ma innaffidabili, così
come gli americani sono attivi ma “freddi”, i francesi “eleganti” ma
“poco amichevoli”, gli spagnoli “sexy” ma anche un po’ sciatti. Altra
storia per tedeschi (che peraltro vengono percepiti come molto
romantici, oltre che seri e affidabili) e inglesi, le cui curve sono decisa-
mente… piatte. Sono popoli seri, ma anche un po’ noiosi, tutto somma-
to. Diciamo che gli amici giapponesi si fidano più di loro, ma vengono
più volentieri a cena con noi. L’ideale – ed infatti spesso così succede – è
portarsi appresso i contratti, e firmarli al momento del sorbetto.
So
nd
ag
gio
0
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Simp
atici
Immagine percepita. Le prime cinque caratteristiche, Paese per Paese (grafico 3a)
Simp
atici
Creativi
Alla
mo
da
Intrap
rend
enti
Spirito
si
Am
ichevo
li
Creativi
Sexy
Ro
man
tici
Emo
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Din
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Gen
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Irrespo
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Gen
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Flessibili
Creativi
Alla
mo
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Intrap
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enti
Spirito
si
Alla
mo
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Creativi
Org
og
liosi
Ro
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Sexy
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Am
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ipen
den
ti
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Sommario relativo all’immagine percepita della popolazione di ciascun Paese (grafico 3b)
Le seguenti 15 caratteristiche, che sono risultate le più citate riguardo agli Italiani, sono state selezionate anche dai graficiriguardanti gli altri paesi e messe a confronto.Le caratteristiche più ricorrenti riguardo agli Italiani, rispetto agli altri paesi, sono: “simpatici”, “creativi”, “sexy”, “ge-nerosi”, “irresponsabili” e “ gentili”.“Dinamici” e “ intraprendenti” sono le caratteristiche più citate nei confronti degli statunitensi.
Base: Tutto il campione (5.000) /
%
100
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0Tutti Visitato
Alta Qualità
Immagine dei prodotti italiani (grafico 4)
Al campione è stata chiesta un’opinione sulla qualità dei prodotti italiani in una scala da 1 a 5.Scala da 1 a 5: sono pienamente d’accordo, sono d’accordo, non sono d’accordo, non sono perniente d’accordo e non so.Coloro che hanno risposto “sono pienamente d’accordo“ e “sono d’accordo“ a proposito di “laqualità dei prodotti italiani è buona“ sono il 63% di tutto il campione. Quelli che hanno visita-to l’Italia sono ancora più convinti: arriviamo al 76%.Seguono “mi piacerebbe saperne di più“ (60%), “innovativi“ (45%) e “adatti al mercato giap-ponese“ (44%). Tra coloro che hanno visitato l’Italia, il 68% cita tale frase come propria percezione del Paese,24 punti in più rispetto a tutto il campione.
Non so Non sono per niente d’accordo Non sono d’accordoSono d’accordo Sono pienamente d’accordo
Base: Tutto il campione (5.000) / Hanno visitato (715) /
23
12
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2
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Tutti Visitato
Vorrei sapere di più sui prodotti italiani
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14
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16
Tutti Visitato
Innovativi
31
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6
15
28
45
10
Tutti Visitato
Adatti al mercato Giapponese
34
18
40
4
15
16
60
8
Tutti Visitato
Prezzo troppo alto
36 15
Tutti Visitato
Prezzo ragionevole
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18
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4
2
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2 1
1
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8
42
36
5
1
2
2
Italiani Francesi Spagnoli Inglesi Tedeschi U.S.A
Italiani Francesi Spagnoli Inglesi Tedeschi U.S.A
Italiani
Tedeschi Inglesi
Francesi
Spagnoli
U.S.A
MetodologiaIl sondaggio sull'Immagine dell'Italia in Giappone è statocommissionato dalla Camera di Commercio Italiana inGiappone alla società di ricerca NetRatings. La metodologiautilizzata è stata una ricerca via web. Il campione è statoselezionato secondo criteri di sesso/età/area geografica: perquesti dati ci si è basati sui dati del censimento. Il campioneutilizzato è stato selezionato casualmente attraverso i com-puter della società NetRatings: a questo sono state postedelle domande di scrematura che hanno poi portato all’i-dentificazione il campione desiderato. Per realizzare questosondaggio sono state spedite 105.000 (100%) e-mail. Ilnumero di risposte pervenute sono state 7.875 (7,5%), dicui 5.000 (4,8%) sono state ritenute valide e calcolate nellerisposte.
gra
fico 3
ag
rafico
3b
gra
fico 4
38 Giu / Lug 2006 Viste Giu / Lug 2006 Viste 39
Made in Italy: qualità e riconoscibilità del prodotto
Il 63% degli intervistati (76% tra quelli che sono stati in Italia) considera i
prodotti italiani, in generale, di “alta qualità” (grafico 4). Il prodotto ita-
liano più gettonato (grafico 5a) è la pasta: il 90-92% degli intervistati lo
cita, facendolo seguire dai “brands” (71-84%), abbigliamento (56%-
71%), design (55%-70%), cibo (46-58%), capi di pelle (46-70%), vino
(38-56%), artigianato (29-46%) e autovetture (29-36%). Nella classifica
compaiono anche cosmetici, profumi, motocicli e gioielli. Ma i sofisticati
strumenti di misurazione della Marposs e gli elicotteri della Finmeccanica
passano inosservati. In compenso emerge timidamente – in linea con un
fenomeno che è oramai continentale, se non globale – il caffè. Un sim-
bolo, come a suo tempo è stata la pasta e la pizza. Protagonista di una
“rivoluzione culturale” che coinvolge tutte le antiche civiltà del tè.
Peccato, come ha giustamente notato Federico Rampini, nel suo appe-
na uscito Impero di Cindia (Strade Blu, Mondadori, 2006), che a guidare
le armate dell’esupuresso, dabulu o singulu che sia, o del kapuchino e
perfino delle recenti, più sofisticate entries come il makkiato non ci siano i
Segafredo, gli Illy e le Lavazza, presenti ma marginali per numeri e fat-
turato, ma aziende americane come la Starbucks, che sta al caffè come la
Kraft sta al reggiano. Tutto ciò, ci segnala Rampini, sta succedendo in
Cina. Ma è già successo, ahimè, in Giappone.
L’Impero della Pasta (ma anche moda & design)
Dal grafico 5a, dedicato alla somma dei prodotti più importanti associati
ai vari paesi, risulta che il prodotto “simbolo” dell’Italia è la pasta. Per la
Francia è il vino, per la Germania le autovetture, per la Spagna (la cui
“immagine” in tutto il sondaggio è ancora molto sfocata) il cibo in ge-
nerale, per il Regno Unito musica ed alcolici, per gli Usa la cine-
matografia. Ma la performance dell’Italia è molto positiva anche su altri
settori: brands, tessile, abbigliamento, design e alimentare. Ulteriori ele-
menti di interesse ci vengono forniti dalla serie di grafici che individuano
la popolarità dei prodotti per fasce di età (grafico 6). Ed ecco che in con-
trotendenza rispetto al settore turistico (dove l’Italia è più gettonata dai
baby boomers che dai giovani) troviamo che sui prodotti di maggior suc-
cesso (a parte la pasta ed il vino), e cioè moda, design, brands etc, nella
So
nd
ag
gio
Pasta0
%
20
10
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40
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100
Immagine Paese/Prodotti (grafico 5b)
I 17 prodotti/articoli maggiormente associati all’Italia sono elencati nel seguente grafico, insieme ad un sommariodei prodotti associati agli altri paesi, per confrontare le varie differenze.I prodotti maggiormente associati all’Italia sono: “pasta, marchi, vestiti, design, cibo, pelletteria, artigianato emacchinari tessili”. “Marchi, vestiti, design e cibo” per l’Italia sono vicini alla percentuale di associazione della Francia. “Vino, profumi e cosmesi” sono spesso associati alla Francia, “auto” alla Germania e “film e musica” agli StatiUniti d’America.
Base: Tutto il campione (5.000) /
March
i
Vestiti
Desig
n
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Pelletteria
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o
Artig
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to
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Gio
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Italia Francia Spagna Gran Bretagna Germania U.S.A
Italia
Francia
Germania
Gran Bretagna
Stai Uniti dÅfAmerica
Spagna
0%
20
10
30
40
50
60
70
80
90
100
Prodotti associati all’Italia (grafico 5a)
Al campione viene chiesto di associare una lista di prodotti o articoli a ciascun paese, ovveroItalia, Francia, Stati Uniti d’America, Gran Bretagna, Spagna e Germania. La media dei prodottiassociati è di 6.3.Il prodotto italiano maggiormente citato è la “ pasta”, che rappresenta il 90% di tutto il cam-pione. Seguito da “marchi” (71%), “vestiti” (56%) e “design” (55%).Coloro che hanno visitato l’Italia citano più spesso la “pelletteria” (70% vs. 46% del totale).
Tutti Hanno visitato
9092
71
84
56
71
55
70
46
58
46
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38
56
29
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20
27
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15
21
15
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14
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1215
11108 8
6 6 5 3 3 3 3 32
32
32 2 1 2 1 2 1 2
Base: Tutto il campione (5.000) / Hanno visitato (715) /
PastaPasta
March
i
Vestiti
Desig
n
Cib
o
Pelletteria
Vin
o
Artig
ianato
Au
to
Profu
mo
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Gio
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Mu
sica
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Macch
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lici
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Macch
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0%
20
10
30
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50
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100
Sommario dei prodotti associati a ciascun Paese (grafico 6)
Francia U.K Germania Spagna U.S.A Italia
Marchi
Vestiti
Design
Cibo
Pelletteria
Vino
Artigianato
Auto
Profumie
cosmesi
Gioielli
Moto
Film
Musica
Caffé
Macchinaritessili
Alcolici
gra
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fascia giovani andiamo meglio dei francesi (nostri massimi competitors)
mentre più andiamo avanti nell'età più il gap si riduce fino ad invertirsi a
favore dei francesi. Il che ci consente alcune riflessioni. Trattasi di un
trend coniugato al normale cambiamento di gusti legato all'età (i giovani
tradizionalmente più eclettici e superficiali, più classici e conservatori gli
adulti) - oppure siamo di fronte ad una enorme rendita di posizione che
se opportunamente gestita – accompagnando cioè i giovani nella loro
crescita e nei loro consumi – ci consente di guardare con tranquillità al
futuro? Il quesito non è da poco, soprattutto se osserviamo l’ulteriore
divisione tra “lifestyle” e “industria”, laddove tuttti i prodotti italiani che
attengono allo stile di vita guidano decisamente le scelte dei giovani. Sul
tema, invitiamo il lettore a leggere l’ottimo contributo di Davide Sesia,
presidente di Prada Japan a pag. 52.
Italia e Giappone, più vicini di quanto non sembri
Chi ha vissuto in Giappone per un po’ di tempo l’ha già percepito per
conto suo. Ma ora abbiamo una conferma statistica. Più che l’America, i
giapponesi sognano l’Italia. I giapponesi (grafico 4) si sentono ancora più
“vicini” - agli Stati Uniti (31%), subito seguiti dall’Italia (29%) e a lunga
distanza dagli altri 4 paesi presi in considerazione (Francia 13%,
Germania 18%, Spagna 15%, Regno Unito 16%). Ma è l’Italia il paese
dove preferirebbero vivere (23%) contro il 22% che preferirebbe gli Stati
Uniti). Neanche troppo negativo il dato sull’ipotesi di lavorare con gli ital-
iani. Il 17% degli intervistati dichiara di apprezzare l’idea, una per-
centuale inferiore a quella espressa nei confronti di Stati Uniti (31%),
Germania (24%) e Regno Unito (18%), ma superiore a Spagna (10% e
anche Francia (12%). La percentuale si abbassa ancora di più tuttavia, e
torniamo al problema dell’affidabilità, questa volta riferita al nostro ma-
nagement per quanto riguarda l’idea di lavorare per un’azienda italiana.
Solo l’11% si dichiara entusiasta dell’idea, contro il 33% di coloro che
invece firmerebbero subito un contratto di assunzione con un’azienda
Usa. Varrebbe davvero la pena di approfondire l’argomento, perché è
evidente che il risultato dell’indagine, almeno per questo particolare
aspetto, si fonda su una mancanza totale di informazione. Per come fun-
ziona – e per come si sta evolvendo – il mercato del lavoro giapponese,
sempre più attento al rispetto delle leggi e alla tutela dei lavoratori, c’è da
chiedersi perché risulti ancora più attraente un sistema – quello ameri-
cano – che di garanzie ne offre molto poche. Molto interessante anche il
risultato della domanda sui “valori condivisi”. Il 27% degli intervistati
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Prodotti associati a ciascun Paese in base all’età: 20-29 anni (grafico 6a)
Stile di vita / Industria /
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Prodotti associati a ciascun Paese in base all’età: 30-39 anni (grafico 6b)
Marchi
Vestiti
Design
Pelletteria
Cibo
Vino
Auto
Profumie
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Artigianato
Gioielli
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Caffè
Film
Alcolici
Musica
Romanzi
Tè Macchinaritessili
Macchinariagricoli
Arm
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Ind.Aerospaziale
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Prodotti associati a ciascun Paese in base all’età: 40-49 anni (grafico 6c)
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Tè Macchinaritessili
Macchinariagricoli
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Francia Gran Bretagna Germania Spagna U.S.A Italia
Francia Gran Bretagna Germania Spagna U.S.A Italia
Francia Gran Bretagna Germania Spagna U.S.A Italia
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Giu / Lug 2006 Viste 4342 Giu / Lug 2006 Viste
dichiara di condividere i “valori morali” espressi dagli Stati Uniti, ma ben il
23% preferisce invece quelli italiani. La stessa percentuale riservata alla
Germania. Sarà anche un luogo comune ma è difficile negare che i giap-
ponesi incarnino – o piuttosto anelino – alla sintesi tra l’efficientismo
prussiano e l’epicureismo romano: basta osservarli in fabbrica e seguirli, la
sera, all’onsen.
Vale, a nostro avviso, quanto accennato nell’editoriale di questo numero.
Il Giappone, per essere il primo paese dove il fenomeno è iniziato, rap-
presenta la punta di iceberg di una sorta di stimolante “italianizzazione”
che da anni sta rappresentando una realtà non solo commerciale (si
pensi a tutti i modelli di autovetture “Corolla”, “Serena”, “Lucida”, ai
titoli delle riviste, alla pubblicità e gli spot televisi, sempre più intrisi di
vocaboli italiani) ma anche culturale e sociale. Oltre al successo della cuci-
na italiana – fenomeno che oramai non riguarda soltanto la ristorazione,
ma è entrato nelle abitudini familiari domestiche – si pensi alla velocità
con cui si è imposto il concetto di mangiar fuori, su tavolini sistemati sul
marciapiede. O dei bar dove poter consumare in piedi. Fenomeni
sconosciuti fino a qualche anno fa e che oggi stanno esplodendo non
solo nelle grandi città, ma ovunque, anche nelle provincie più lontane
dell’arcipelago. Anche in questo caso, riteniamo che le opportunità per le
aziende italiane siano enormi, e che vadano colte senza aspettare o pre-
tendere troppo dalle istituzioni, ma riscoprendo il fascino del rischio.
Quanto è cambiata la nostra immagine e uno sguardo al futuro
Essendo questo il primo sondaggio del genere, dovremo aspettare il
prossimo per darci una risposta. Il grafico 7 (change of impression
about Italy), che pur ci fornisce alcuni dati, non è molto attendibile. Alla
domanda se l’immagine dell’Italia fosse, negli ultimi 6 anni, cambiata in
meglio o peggio, il 66% non ha riscontrato un cambiamento, con il
32% di coloro che hanno visitato l’Italia almeno una volta in questi
anni che invece hanno percepito un netto cambiamento in positivo.
Anche in questo caso, i giovani sembrano essere più generosi, nel loro
giudizio, dei più anziani. Ma, ripetiamo, si tratta di un dato poco
attendibile: su quali basi gli intervistati esprimono il loro giudizio? Su un
viaggio o più d’uno? Insomma, per avere risposte più attendibili ad un
quesito di fondamentale importanza – anche per valutare l’impatto
delle manifestazioni promozionali, oltre al “giudizio” dei giapponesi
che si recano in Italia – dovremo attendere il prossimo sondaggio che
ovviamente ci auguriamo la Camera vorrà di nuovo ordinare. Da qui a
qualche anno. Quanto al futuro (economico) del nostro paese, tema
dell’ultima domanda (grafico 8) ci consoli osservare che, pur in assenza
di un dato omogeneo di comparazione, e nonostante il 66% degli
intervistati non si sbilanci, il 31% dei giapponesi è “ottimista” rispetto
al nostro futuro. Anche qui, chi è stato in Italia di recente è più
ottimista degli altri: la percentuale sale infatti al 42%. Un recente
sondaggio di “Repubblica” forniva dati molto meno rassicuranti: oltre il
70% degli intervistati – cittadini italiani – esprimeva il timore di un
futuro sempre più difficile, con il 57% convinto che sarebbe diventato
più povero, ed il 65% “più triste e stressato”. Speriamo abbiano
ragione gli amici giapponesi. È bello sentirsi amati.
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Prodotti associati a ciascun Paese in base all’età: 50-65 anni (grafico 6d)
Machi
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Come è cambiata la nostra immagine (grafico 7)
Al campione è stato domandato se negli ultimi 4 anni gli è capitato di avere un cambiamentodi impressione relativa all’Italia.
Scala da 1 a 6: è migliorata, è migliorata leggermente, non è cambiata, un po’ peggiorata, completamente peggiorata e non so.Quelli che hanno affermato "non è cambiata" rappresentano la percentuale più alta con il66%. Tra coloro che hanno visitato l’Italia, il 32 % ha affermato "è migliorata" , " è migliorata leg-germente".In base all’età, le persone dai 20 ai 29 anni pensano "è migliorata", "è migliorata legger-mente", più spesso rispetto alle fasce d’età più avanzate, con il 26%.
Non so Completamente peggiorata Peggiorata leggermenteNon è cambiata Migliorata leggermente È migliorata
Base: Tutto il campione (5.000) / 20-29 (715) / 30-39 (715) / 40-49 (715) / 50-65 (715) / Hanno visitato (715)
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Futuro dell’ economia italiana (grafico 8)
Al campione è stato domandato di rispondere riguardo al futuro economico dell’Italia in unascala da 1 a 5.
Scala da 1a 5: molto ottimista, abbastanza ottimista, abbastanza pessimista, molto pessimistae non so.
Quelli ottimisti sul futuro dell’Italia (molto ottimisti e abbastanza ottimisti) sono il 31% deltotale di tutto il campione. La percentuale di quelli che hanno risposto "non so" è la più alta con il 60%.Quelli cha hanno visitato l’Italia sono più ottimisti degli altri, 42% vs. 31%.
Non so Completamente peggiorata Peggiorata leggermenteNon è cambiata Migliorata leggermente
Base: Tutto il campione (5.000) / 20-29 (715) / 30-39 (715) / 40-49 (715) / 50-65 (715) / Hanno visitato (715)
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Stile di vita / Industria /
Francia Gran Bretagna Germania Spagna U.S.A Italia
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1 Giu / Lug 2006
Emiliano di nascita, toscano
d’adozione e di “carattere”,
Umberto Donati è il nuovo
direttore dell’Istituto Italiano
di Cultura. “Iniziato” al
Giappone da Umberto
Agnelli, del quale è stato
per molti anni stretto colla-
boratore e amico personale,
ha diretto negli ultimi anni
le grandi operazioni pro-
mozionali: dalla rassegna
Italia in Giappone 2001, al
Padiglione Italia ad Aichi
2005, di cui è stato Commissario Generale. Sposato con una giap-
ponese e, di recente, padre felice di una bimba, Donati è certa-
mente la persona più adatta per commentare i risultati di questo
primo grande sondaggio sull’immagine dell’Italia in Giappone.
Uomo di idee ma anche di azione – memorabili le sue trattative
“all’ultimo sangue” ad Aichi, per strappare permessi e concessioni
– non c’è dubbio che, sotto la sua guida, l’Istituto cambierà faccia.
Se non facciata.
A proposito, novità sulla spinosa vicenda?
Per ora no. Speravo di non dovermene occupare, ed invece pare
che dovrò farlo. Il problema esiste, e non sarà di facile soluzione.
Per intanto, sto compiendo un po’ di visite di cortesia…In
Giappone funziona così.
Bene direttore, non infierirò sulla questione. Che peraltro ha risvolti
divertenti…una protesta del genere sarebbe comprensibile a Firenze
o forse a Kyoto, ma non nella giungla architettonica di Tokyo….
Bene, cominciamo. Innanzitutto, ben arrivato. O bentornato, visto
che un piede, in Giappone, ce l’hai sempre lasciato. Ci conosciamo
da anni e quindi consentimi di evitare l’ipocrisia del lei. E grazie per
aver accettato di voler commentare i risultati di questo sondaggio
della Camera. Un sondaggio che da un lato ci conferma, come dire,
che il Giappone ama l’Italia in modo passionale, quasi commovente.
Ma dall’altro sembra sminuire tutti i grandi sforzi promozionali com-
piuti negli ultimi anni. Sembrerebbe che nonostante Italia in
Giappone 2001, il sofisticato allestimento del Padiglione italiano ad
Aichi, tutte operazioni da te guidate, la nostra immagine non si sia
spostata granchè. L’italiano più conosciuto, in Giappone, dietro ai
maestri del rinascimento e davanti ai calciatori, è Girolamo
Panzetta….Fatica sprecata?
No. Fatica lunga. Da rinnovare. Come ben sai si viaggia su tempi
lunghi, in questo paese. Tu fai una cosa oggi, ma il risultato lo vedi a
distanza di anni. Intanto qualche elemento positivo c’è: mi sembra
che tra le aziende più conosciute spicchino quelle automobilistiche:
Ferrari, Fiat, Lamborghini. Non penso che nel riconoscere questi
marchi, i giapponesi ne colgano solo l’aspetto esteriore, del design,
piuttosto che dello status symbol. Ci sarà anche la consapevolezza di
una grande tecnologia, no? Piuttosto sorprende l’assenza della
Ducati. Qui in Giappone non solo è uno status symbol, ma con le
Porte aperte all’Istituto
Giu / Lug 2006 Viste 45
Inte
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Umberto Donati, Direttore dell'IstitutoItaliano di Cultura di Tokyo
di Pio d’Emilia
Colloquio con Umberto Donati, Direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Tokyo
46 Giu / Lug 2006
Cominciamo col dire che Chirac è sulla scena politica da trent’anni, e
che durante l’anno della Francia in Giappone è venuto per ben tre
volte portandosi appresso ogni volta mezza confindustria. Che i
politici italiani ignorino il Giappone e che cancellino le visite all’ultimo
momento è un fatto noto, ma neanche drammatico. Certo la pre-
senza politica è utile, soprattutto se legata ad una particolare perso-
nalità nota per il suo interesse per il Giappone. Quanto al fenomeno
Panzetta anche qui, non ci trovo nulla di male. Ammiro molto il per-
sonaggio e penso abbia contribuito enormemente a promuovere
l’immagine dell’Italia. Tanto di cappello.
Dal sondaggio appare evidente, anche nel settore culturale, la totale
latitanza della contemporaneità. Passi per l’arte, per la musica, per la
letteratura. Ma il cinema?
Purtroppo anche nel cinema siamo fermi. Inutile negarcelo. Noi pos-
siamo fare tutti gli sforzi che vogliamo, e lo stiamo facendo con il
Festival del Cinema Italiano organizzato assieme all’Asahi
Shinbun…ma è inutile girarci intorno. Vai a fare un sondaggio in
Italia, a chiedere chi è l’attore, l’attrice, il regista più famoso
e/o amato. Alla fine spunterebbero fuori ancora i nomi
di Mastroianni, della Loren, di Fellini e Pasolini.
Non ci sono “icone” contemporanee...
Ci torniamo più avanti, sul cinema. L’Istituto di
Cultura, tutt’ora al centro di una curiosa polemica
per via della facciata, considerata da un gruppo di
cittadini potenti (la protesta è guidata dal presi-
dente del gruppo editoriale Yomiuri, Tsuneo
Watanabe, per tanti anni partner di operazioni
promozionali con l’Italia, n.d.r) di un colore troppo
vistoso, è stato appena restaurato. E guarda caso,
per la prima volta, sulla poltrona di direttore non
siede, come tradizione ha sin qui voluto, uno
yamatologo, uno studioso, ma un manager. Cosa
cambierà nella sua gestione?
Qualche idea ce l’ho, ovviamente, Ma per i primi
mesi ho deciso di stare in silenzio, ascoltare e
osservare. Il mio primo obiettivo, a proposito di poltrona (ride, n.d.r.)
è di cambiare questa che mi sono ritrovato, di una scomodità unica.
Del resto, se posso fare una prima piccola esternazione, nonostante
la sua recente ristrutturazione, questo istituto
manca già di spazio. Sto cercando, in
qualche modo, di
recenti affermazioni nel Moto GP ha anche assunto una visibilità
mediatica che in qualche modo mi aspettavo venisse registrata nel
sondaggio. Lo trovo molto strano e me lo spiego solo con i tempi
lunghi della metabolizzazione. Sono sicuro che se ripetiamo il
sondaggio fra cinque anni, la Ducati avrà un suo posto al sole…
E magari anche Finmeccanica, nessuno la conosce…
Già. Immagino che pochi giapponesi sappiano che l’Italia produce
elicotteri… e che li vendiamo anche a loro…
Tra le “qualità” che il sondaggio ci attribuisce non ce ne è una che
richiami il concetto di affidabilità. Gli intervistati arrivano al punto di
prendere in considerazione l’idea di lavorare in una “azienda ita-
liana”, ma temono l’impatto di un manage-
ment poco efficace…
Il discorso dell’affidabilità è molto lungo e
complicato. E coinvolge aspetti culturali non
facilmente superabili. Ma restiamo un atti-
mo sul discorso delle tecnologie. Sulla man-
cata percezione dell’Italia come paese ad
alto tasso tecnologico. Questo in parte
dipende dal fatto che le nostre “eccellenze”
tecnologiche non si manifestano nel prodot-
to finale di largo consumo, ma fanno piut-
tosto parte della componentistica o di pro-
cessi di collaborazione e di ricerca più vasti.
Prendiamo i freni della Brembo. Chi lo sa che li montano anche alcu-
ni modelli giapponesi? E chi lo sa che buona parte dell’industria
automobilistica giapponese, per garantire il suo proverbiale controllo
di qualità, si affida ai sofisticati strumenti di misurazione di un’azien-
da italiana, la Marposs?
Oppure pensiamo alla robotica, settore dove siamo in prima linea,
ma solo in alcuni specifici settori. Ricordo che quando sono venuti ad
Aichi quelli della Sant’Anna, a vedere la straordinaria l’orchestra
robotica della Toyota, un dirigente commentò che, in questa “vir-
tuale” partita, l’Italia può aspirare a fornire uno o due giocatori. Non
possiamo organizzare una squadra da soli, ma alla fine è la nostra
mezz’ala a fare goal…
Il sondaggio però parla chiaro: siamo ancora il paese della pasta e
della dolce vita…
E dici poco? Guarda che tanto per cominciare dietro il mondo della
pasta ci sono secoli di studi e ricerche, ed una tecnologia sofisticatis-
sima che non ha rivali al mondo. E quanto alla dolce vita, che chia-
merei piuttosto attenzione alla qualità della vita, i giapponesi, che
non sono meno esteti e voluttuosi di noi, invidiano da sempre la no-
stra “arte del vivere”. Basta vedere come stanno scoprendo le città di
provincia, l’agriturismo, gli itinerari alternativi, enogastronomici e via
discorrendo. Se solo potessimo evitare l’impatto terribile che in nostri
amici subiscono quando arrivano in Italia,
quando debbono confrontarsi con il nostro
abominevole sistema dei trasporti….
Ci stavamo arrivando. L’inadeguatezza,
chiamamola così, dei trasporti pubblici ed in
generale dei servizi figura al top assoluto
delle caratteristiche negative. Prima ancora
della microcriminalità….
Beh, mi sembra evidente. Per chi viene dal
Giappone approdare ad una stazione, ma
anche ad un aeroporto italiano è un
incubo. Io viaggio spesso in treno, usanza
che ho acquisito proprio grazie all’espe-
rienza giapponese, e quando sono in Italia mi faccio spesso carico
di dare una mano ai poveri giapponesi che vagano per le stazioni
in cerca del binario perduto.... L’evento più drammatico per loro è
quando viene cambiato il binario all’ultimo momento, con annun-
ci incomprensibili, spesso solo in italiano. Da noi succede quotidia-
namente, qui, come ben sai, mai.
Non c’è dubbio. E lasciamo perdere i ritardi. Altra iattura. Cambiamo
argomento. Personaggi famosi. Mentre per i francesi sono presenti
personalità politiche, primo fra tutti Chirac, dell’economia e della cul-
tura, noi, a parte il “fenomeno” tutto locale Panzetta, siamo fermi ai
maestri del rinascimento. E a Totti e Del Piero.
Inte
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Giu / Lug 2006 Viste 4948 Giu / Lug 2006
vedere se è possibile rinnovare la convenzione con la Kajima, cercan-
do di strappare qualche spazio in più. Pensavo all’ipotesi di proporre
l’allungamento del comodato d’uso sul resto del palazzo, in cambio
di un piano in più…ma mi dicono che oramai la convenzione è fir-
mata ed è difficile cambiarla. Certo, se fossimo costretti ad affittare
eventuali spazi aggiuntivi ai prezzi di mercato non se ne parla.
Peccato. Perché la mia intenzione è quella di “aprire” l’Istituto…
Aprirlo?
Sì, spalancarlo, renderlo un centro culturale vivo, nel quale oltre alle
attività istituzionali, i corsi di lingua, le mostre, le varie manife-
stazioni, la comunità italiana e giapponese legata all’Italia possa darsi
appuntamento anche in modo informale…A proposito. Quando
esce la vostra rivista?
A metà giugno, se tutto va bene….
Perfetto, allora proviamo a fare un annuncio, con riserva perché mi
sta venendo in mente in questo momento. Ho intenzione di mettere
a disposizione l’auditorium per vedere i mondiali…che te ne pare?
Ottima idea, lo scrivo?
Scrivilo. Poi vediamo. Magari poi quei pochi italiani che ci sono
preferiscono vedersi le partite in gruppi di amici, nella proprie
case…visto che saranno tutte a tarda notte…ma io la proposta la
faccio.
Altre idee concrete?
Vedere se è possibile sviluppare anche un caffè…rendere accogliente
lo spazio esterno. Dall’Italia mi sono portato delle bellissime panchine
di legno….così la gente può fermarsi a chiacchierare…
Direttore, alziamo il tiro, però. Parliamo di promozione. Di rapporti
con i partner giapponesi. Indispensabili, ma talvolta limitanti. Penso
all’Italia Matsuri organizzato al Tokyo Dome due anni fa, un’ope-
razione commerciale – a detta
dello Yomiuri finita anche in perdi-
ta – di livello culturale discutibile:
tutti ricordano i “gondolieri”
veneziani che parlavano val-
dostano…e altre improvvisazioni
sul genere. Non possiamo percor-
rere altre strade? C’è
qualche nuova strategia
all’orizzonte?
Beh, la cosa non è sem-
plice. La collaborazione
con enti e istituzioni giap-
ponesi è fuori discussione,
vista la penuria di risorse
finanziarie pubbliche. Poi
certo, l’esperienza inseg-
na…ed è forse ora di trac-
ciare nuove linee guida….
Tipo?
Beh, per esempio cercare
di imporre di più il nostro
pensiero, il nostro “prodot-
to”, la nostra filosofia. I
nostri amici giapponesi tendono ad essere un po’ testoni: se deci-
dono di promuovere un progetto vogliono farlo a modo loro. E spes-
so è difficile interloquire, perché i soldi li mettono loro…Ma a
volte forse dovremmo insistere di più, abbandonare quell’at-
teggiamento in base
al quale tutto som-
mato “in Giappone
si fa così”….
Un’idea concreta?
Ti ripeto, sono appe-
na arrivato e non ho
ancora progetti con-
creti. Certo è che rispetto al passato
bisogna cercare di produrre eventi cul-
turali che producano immediate e visibili
declinazioni diverse. La “Primavera ita-
liana”, la nuova rassegna fortemente
voluta dall’Ambasciatore Bova e in programma l’anno prossimo, mi
sembra cogliere questa esigenza. Prendiamo un progetto concreto,
quello di una mostra sulla Galleria Nazionale di Parma, sui Farnese.
Bene: dovremo allargare il discorso espositivo, nelle forme più svari-
ate possibili, a quello che rappresenta oggi Parma. E allora giochi a
tutto campo, puoi parlare di polo agroalimentare europeo, del
parmigiano, di Max Mara, del fenomeno della pasta Barilla, con il
suo sofisticato indotto di tecnologie e arte del vivere…E' un punto a
cui tengo moltissimo: legare la tecnologia alla cultura, ho cercato di
farlo con il Padiglione di Aichi, e cercherò di proseguire sulla stessa
strada…
Quindi non solo corsi di lingue…
I corsi di lingue sono la nostra linfa. Funzionano benissimo e
vanno se possibile ulteriormente rafforzati e diversificati. Tra l’altro
rappresentano quasi il 50% delle nostre misere entrate! Ho pen-
sato anche ad una sorta di tessera di fidelizzazione. Ce l’hanno
tutti oggigiorno, dai supermarket ai cinema. Mi sembra giusto stu-
diarne una anche per i nostri utenti…
Torniamo per un attimo al Festival del Cinema. Così come è strut-
turato, e pur registrando ogni anno un netto aumento di presen-
ze, non può decollare più di tanto. Il fatto che sia “targato” Asahi
gli impedisce di raggiungere una dimensione culturale più impor-
tante e diffusa, come avviene per il Festival del Cinema Francese di
Yokohama…
Di questo ne abbiamo parlato di
recente con i dirigenti di Filmitalia,
con il presidente Giovanni Galoppi,
che poi è venuto qui in
occasione del Festival.
Certo, a tutti pia-
cerebbe un ulteri-
ore salto di
qualità e di
quantità. Ma ancora una volta, è una que-
stione di risorse. Io non so quanto lo stato
francese sborsi per promuovere il loro festival.
So che nel nostro caso Filmitalia si occupa di
organizzare la delegazione di attori e registi,
l’Istituto paga le sottotitolature ma poi per il
resto del conto passa l’Asahi…Come dire, a
sognare si fa presto. Ma poi se non ci sono i
quattrini….
Cambiamo argomento. I giapponesi amano
l’Italia. Sia quelli che non ci sono mai andati, sia,
Inte
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La lapide con il legato del barone Mitsui che nel 1939 regalò il terreno all’Italia: “... siano questi muschi e queste mura simbolo d’amicizia eterna tra Roma e Yamato“
Giu / Lug 2006 Viste 5150 Giu / Lug 2006
e ancor di più, quelli che ci sono stati e spesso ci ritornano? E questo
nonostante tutti i disservizi di cui parlavamo prima…come lo spieghia-
mo?
Con il grande livello culturale dei giapponesi e con la loro naturale
attrazione per tutto ciò che è bello. Compresa, ovviamente, la qualità
della vita. Io sono convinto che i giapponesi quando pensino alla
qualità della vita pensino all’Italia. Non a Roma, Firenze, Milano. Alla
provincia. A Viterbo, ad Ascoli Piceno, piuttosto che a Lucca. E infatti il
turismo giapponese sta scoprendo la provincia.
Finalmente.
Bene. Proviamo a tirare un po’ le somme,
direttore. Come coniugare pasta Barilla,
Totti e nanotecnologie? E soprattutto,
come venderle come parte integrante
della nostra immagine?
Innanzitutto evitando le dicotomie.
Cultura e tecnologia oggi deb-
bono marciare sullo stesso
piano. La gente deve capire
che dietro il mondo produtti-
vo della pasta ci sono macchi-
nari sofisticatissimi che solo
l’Italia produce. Allo stesso
tempo, bisogna riconoscere il
valore “tecnologico” di certe produzioni artigiane. Ci sono gli scienziati, i
grandi ricercatori, ma anche i maestri vetrai e i produttori di parmigiano.
Sono tutti tecnologhi, o no? Viceversa, bisogna individuare l’elemento
culturale, che almeno nel nostro caso rappresenza condizione e “condi-
mento” essenziale del progresso tecnologico. Prendiamo la Ferrari. Lo
dicevamo prima. Non sarà mica solo una questione di saper costruire
degli ottimi motori, no? Dietro la Ferrari, come dietro al parmigiano, ci
sono secoli di cultura, di arte del vivere. Che evidentemente i giappone-
si, a differenza di altri popoli, riescono ad apprezzare, e forse ad
invidiarci, proprio perché tutto sommato sono così simili a noi.
Grazie direttore, e tanti auguri di buon lavoro da parte di “Viste” e
dell’intera Camera di Commercio
Grazie a voi. Aspetta un attimo. Conosci qualcuno a Tsukiji?Non hai
girato un documentario sul mercato del pesce, anni fa?
Sì. Perché? C’è una sorta di “sindaco” che comanda. Nominato diret-
tamente dal governatore di Tokyo.
Volevo proporre una bella mostra del pittore Massimo Catalani, sai
quello che dipinge il cibo…
A Tsukiji? Non mi risulta che abbiano spazi espositivi.. E poi se vuoi fare
bingo, dovresti organizzare al volo una mostra di Alberto Sughi, il pit-
tore plagiato dal “maestro” Wada…
Beh, possono sempre inventarsene uno. Di spazio, ne hanno più di me
e io questa mostra vorrei proprio farla…Quanto a Sughi…lo sto già
cercando!
Inte
rvista
Questo intervento prende spunto dai risultati del sondaggio a
cura della Camera di Commercio Italiana in Giappone Research
Report on Perceived Italian Image in Japan al fine di esprimere
opinioni personali sulla fascia di mercato di lusso delle giovani
giapponesi.
I beni fashion della fascia alta di mercato comprendono
abbigliamento, scarpe e piccola pelletteria, borse e accessori. Il
“mercato del lusso” si distingue per due caratteristiche: una
materiale, relativa al valore aggiunto che il prodotto contiene in
quanto tale, per processi di lavorazione e materiali utilizzati pre-
giati, e una “sentimentale”, ossia tutto quello che convince o
auto-convince il consumatore di un marchio di lusso del fatto
che si tratti di un prodotto o di un servizio destinato
non a tutti.
Nel lasso di tempo che va
dalla metà degli
anni ‘80 fino al
2005, il mer-
cato dei
prodotti di
l u s s o
impo r -
da prodotti di altra natura. Esso è, inoltre, quasi a
totale appannaggio delle consumatrici giappone-
si: soltanto l’11-13% circa è destinato alla fascia
maschile.
In questo mercato i marchi italiani hanno un peso
rilevante e i dati statistici dimostrano che sono in
crescita. Come risulta dai dati del sondaggio, la
fascia di mercato che premia i marchi italiani è
quella delle 20-30enni, con maggiore concen-
trazione nella fascia 30enni. Varie ragioni pos-
sono spiegare questo fenomeno.
“Fattore paese”: le consumatrici di questa fascia
di età, per loro formazione culturale e per status
sociale, sono quelle che hanno più tempo per
dedicarsi alla documentazione di paesi stranieri e,
nello specifico, dell’Italia. Quello che differenzia
queste consumatrici da quelle di età più elevata,
40-50enni e oltre, è un fattore sociale e non un
fattore di predisposizione nei confronti del
prodotto italiano. Le donne sui 40-50 anni, molto
spesso hanno figli e vivono una realtà che non
permette loro di avere tempo libero sufficiente
per dedicarsi alla documentazione sul prodotto e
sui paesi stranieri. Parallelamente, esse vengono
meno documentate dal mercato. Tuttavia, ultimamente, si sta
assistendo a una crescita nell’attenzione verso il “bello” nel-
l’ambito del fashion nella fascia delle 40-50enni, come dimostra
il numero delle riviste di moda nate apposta per queste con-
sumatrici. Possiamo attenderci, dunque, che d’ora in poi l’inte-
resse di queste consumatrici nei confronti dei prodotti italiani
sia destinato ad aumentare.
“Fattore della riconoscibilità dei prodotti italiani”, da sempre
sinonimo di qualità: questo concetto ormai è entrato nella con-
vinzione popolare delle donne giapponesi.
tati dal resto del mondo è più che triplicato: circa 400 miliardi
di yen a metà degli anni ‘80, quasi 2.000 miliardi di yen nel
biennio ’90-’91, intorno ai 1.700 miliardi di yen nel 1996. Nel
2005 questo mercato arriverà ragionevolmente a posizionarsi
sui 1.500 miliardi di yen. Da un lato, questi dati ci indicano la
dimensione del mercato e ci confermano il fatto che l’atten-
zione verso questo tipo di prodotto esiste e si sta consolidando.
Dall’altro ci indicano che i due picchi rilevati nelle importazioni
sono stati di natura macroeconocmica: il picco del ’91 cor-
risponde alla bubble-economy, quello del ’96 era stato spinto
da una politica in cui l’abbassamento artificiale dei tassi d’inte-
resse ha incrementato la domanda interna
del mercato.
In Giappone il mercato del lusso
è formato per circa il 43-
45% da borse e
accessori,
per un 20% da
abbig l iamento,
per i l 10% da
scarpe e la
restante parte
“Fattore psicologico”: si tratta di una predispo-
sizione da parte delle giovani donne giapponesi
ad appropr iars i , anche mater ia lmente, del
prodotto di lusso. Svincolate da qualsiasi tipo di
obbligo sociale, culturale e religioso (quest’ultimo
come è inteso in Occidente) esse riescono a dare
pieno sfogo ad un concetto di bellezza che ha
due dimensioni: la bellezza di se stesse come per-
sone e la bellezza del prodotto che si vuole
possedere. Propr io i l prodotto i ta l iano è
riconosciuto e riconoscibile sotto questo punto di
vista.
L’ultimo, importantissimo, fattore lo definirei
“assenza di aristocrazia del consumatore”. In
Giappone, più che in altri mercati, la mancanza di
distinzione di classe comporta una mancanza di
divisione di età, che diventa un aspetto quasi
accessorio. È per questo che le fasce più giovani
di clienti consumano anche di più di quelle più
adulte. Il ruolo sociale che queste consumatrici
hanno sviluppato durante gli anni del boom eco-
nomico assume una dimensione culturale: il
prodotto di lusso è entrato a far parte della loro
cultura. Un marchio che riesca a dare a queste
consumatrici non soltanto una dimensione di prodotto, ma
anche una dimensione culturale è sicuramente un marchio de-
stinato al successo in questo paese. All’elemento culturale si
associa un fenomeno sociale: il bel prodotto non aiuta la con-
sumatrice a identificarsi con una fascia di età più adulta, ma
piuttosto a identificarsi in quella stessa fascia di età. Poiché il
mercato giapponese è dominato da una classe media abbiente,
nasce al suo interno la necessità di distinzione tra diverse indi-
vidualità. Fino a 15-20 anni fa, in Giappone il concetto d’indi-
vidualità era molto più debole di oggi. Prevaleva un’idea di
Le giovani giapponesi: sempre piùlanciate verso l’individualità
Giu / Lug 2006 Viste 5352 Giu / Lug 2006 Viste
di Davide SesiaPresidente Prada Japan Co., Ltd.
Mo
da
54 Giu / Lug 2006 Viste Giu / Lug 2006 Viste 55
italiana come Prada abbia deciso di fare l’investi-
mento italiano singolo più elevato dal secondo
dopoguerra in questo paese, di grande successo
architettonico, d’immagine e culturale, un
Epicentro ad Aoyama, è significativo di una mag-
giore presa di coscienza in senso individuale da
parte delle consumatrici. Non si tratta solo di un
negozio, ma di un centro di attrazione culturale.
La dimensione culturale che il bello rappresenta
in quella zona rende conscia la consumatrice di chi è e di che
cosa vuole. Non è un caso che quel quartiere sia frequentato
soprattutto da giovani donne di età media tra i 30 e i 35 anni.
D’altra parte il processo di evoluzione delle donne giapponesi
tende da sempre verso una maggiore individualità. Esso è,
inoltre, un fenomeno omogeneo che si riscontra anche nelle
campagne.
A completamento di quanto precede, si rendono necessarie
alcune considerazioni generali sulla realtà imprenditoriale ita-
liana in questo mercato, tema che da anni anima i dibattiti all’in-
terno della comunità italiana stabile a Tokyo. Se da un lato essa
non manca di iniziativa, essa manca di una certa propensione
all’investimento diretto, che poi è l’unico modo che permetta di
gestire pienamente l’immagine del proprio marchio in questo
mercato. Molto spesso gli italiani affidano la trasmissione del
messaggio della propria immagine al solo prodotto, convinti che
il solo fatto di esportarlo possa bastare. Spesso, aspetti fonda-
mentali come il controllo su tutta la catena distributiva, la cura
dell’immagine e la presentazione del prodotto, sono percepiti
come elementi accessori. È dimostrabile che chi ha avuto il co-
raggio di investire direttamente in questo mercato si trova oggi
in una posizione di successo. Alla base di questo atteggiamento
possono esserci vari fattori, tra i quali un’avversione al rischio
molto più elevata rispetto a altri paesi o la struttura del tessuto
economico italiano, formato da piccole e medie imprese che non
riescono a affrontare il mercato giapponese, che necessita di
investimenti medi molto elevati. Per questi ed altri fattori, la pre-
senza diretta degli italiani in Giappone è più limitata che in altre
realtà o nei confronti di altre realtà. Tuttavia, non credo che
questa mancanza di propensione all’investimento diretto sia
dovuta alla mancanza di un supporto istituzionale adeguato. In
un’economia che si dovrebbe basare sul libero mercato, non ci si
può di certo affidare a un’autorità pubblica per la promozione di
un investimento privato. Sono le aziende che devono trovare la
forza e la motivazione per muoversi e investire: il ruolo delle isti-
tuzioni pubbliche può essere, dunque, importante ma non
trainante. Si dibatte, inoltre, della mancanza di un certo positivo
lobbysmo, di un certo spirito di gruppo, all’interno della comu-
nità economica italiana in loco; il fatto che non ci sia, o che ci sia
molto meno rispetto a realtà di altre nazioni, dove si dibatte
maggiormente di certi temi è, a mio avviso, eccessiva autocritica.
Dall’eccessiva autocritica, bisognerebbe tendere a un’eccessiva
auto-azione, cioè operare “eccessivamente” sul mercato. Solo in
questo modo si aumenterebbe il peso relativo dell’Italia e, di
conseguenza, si creerebbe uno spirito di gruppo più forte. La
lobby, infatti, non nasce da sé: essa si crea quando c’è una
determinata dimensione media delle imprese sul mercato e,
tutto sommato, adesso il nostro paese ha una forma di lobby
adeguata al suo peso relativo in loco. Inutile aspirare a un
grande salto quando il ponte non è stato ancora completato.
gruppismo, ora si sta sviluppando un’idea d’individualità e indi-
vidualismo. Non si tratta però di un concetto “ad personam”,
come lo pensiamo noi in Europa. Si tratta, piuttosto, di un con-
cetto d’individualismo allargato e del tipo sintetizzabile in “io in
quanto noi”. La fascia di clientela delle 20-30enni è diventata
molto più adulta sia nel “creare” la propria fascia di mercato e
pertanto la propria identità, sia molto più matura e selettiva nel
giudicare quell’ambito culturale rappresentato da un marchio.
Non è un caso che in questo mercato si stia sviluppando un
fenomeno di creatività individuale della moda. Capita sempre
più spesso, per esempio, di vedere ragazze che abbinano un
paio di jeans a poco prezzo con un top di un marchio di lusso:
anche questo è individualismo. Molte ragioni, anche socio-
logiche, possono spiegare questa particolare propensione al
bello delle giovani consumatrici giapponesi. Una delle ragioni
principali è sicuramente quella che abbiamo già citato, cioé il
fatto che le 20-30enni sono, più di altre, prive di ostacoli sociali
verso la tensione all’espressione individuale. Inoltre, tutta la
società giapponese è in lenta, ma costante trasformazione: per
esempio, sono sempre più numerose le consumatrici economi-
camente indipendenti, ci si sposa più tardi ed è aumentata
anche l’offerta d’informazione.
Un altro elemento collegato allo sviluppo dell’individualità è
l’aumento del numero dei negozi su strada. Negli anni ’80 i
consumatori giapponesi si dirigevano prevalentemente negli
shopping-mall e nei grandi magazzini. In quel periodo i Romen-
Ten, ossia i negozi su strada, rappresentavano lo 0,4 – 0,5% del
totale, mentre nel 2004-2005 sono cresciuti al 7%. Questo
dato non deve trarre in inganno e convincere che i grandi ma-
gazzini siano in crisi. Essi rappresentano sempre il fulcro della
distribuzione in questo paese: ruolo che deriva da un fat-
tore storico, dalla loro forza nella distribuzione, da
affinità culturali con questo popolo. Hyakkaten, in
giapponese significa proprio “il posto delle 100
cose”. Questa parola è nata per indicare un
luogo che ti soddisfa pienamente e che
soddisfa pienamente un concetto
architettonico e sociale fondamentale
della cultura giapponese: la comodità,
intesa come funzionalità, in spazi limi-
tati, idea quasi estranea alla cultura
europea.
La crescita dei negozi su strada in aree
di Tokyo come Ginza, Aoyama e
Omotesando è un esempio e una con-
seguenza del cambiamento delle con-
sumatrici giapponesi verso se stesse e
verso il prodotto. Il fatto che una società
Mo
da
Giu / Lug 2006 Viste 5756 Giu / Lug 2006 Viste
Nonostante la globalizzazione e la concorrenza dei nuovi mercati,
un gruppo di casa nostra è più solido e profittevole che mai. La
Giorgio Armani S.p.A. ha chiuso il 2005 con un record: il fattura-
to netto consolidato è arrivato a 1.428 milioni di euro, con una
crescita, rispetto al 2004, del +10%. Una posizione finanziaria
netta eccezionalmente solida che vanta un saldo positivo di 443
milioni di euro a fine dell’anno e con un programma d’ investi-
menti pari a 104 milioni di euro, 36 dei quali destinati al retail. Il
successo di Giorgio Armani S.p.A è spiegabile in tre fattori.
Strategia di crescita organica, cioè diversificazione della pro-
duzione ed allargamento delle categorie merceologiche. Politica
d’integrazione verticale con l’acquisizione di tutte le aziende che
compongono la filiera, ovvero totale controllo sulla qualità del
prodotto. Il fattore umano Giorgio Armani, uno stilista che ha
saputo unire genialità creativa e abilità imprenditoriale. Non è un
caso che Armani sia uno tra gli uomini italiani più conosciuti in
Giappone. Un uomo dal forte carisma che è diventato un simbo-
lo, sinonimo di stile e made in Italy. È proprio lo “stile italiano”
ad emergere come una delle caratteristiche più apprezzate dai
giapponesi e probabilmente non soltanto da loro. A proposito del
recente sondaggio sull’immagine dell’Italia in Giappone effettua-
to dalla Camera di Commercio, Fabrizio Lavezzari, Vicepresidente
di Giorgio Armani Japan commenta: “Italia è sinonimo di stile nel
senso più ampio del termine. Si tratta di un valore aggiunto,
qualcosa che ci viene riconosciuto da tutti perché fa parte del
nostro DNA, della nostra storia, della nostra cultura. Un
knowhow, insomma, che non si acquisisce in un giorno e che va
protetto ed esportato nel giusto modo. Riusciamo a fare prodotti
straordinari perché siamo un paese di artigiani molto specializzati
e creativi. Non a caso eccelliamo in prodotti ad alto contenuto
tecnologico, sebbene siano in pochi a saperlo e a riconoscerce-
lo.” Nonostante la crescita esponenziale dei mercati limitrofi, il
Giappone si conferma, anche per la Giorgio Armani, il primo
mercato dell’area asiatica. “Uno dei problemi più spinosi che
dobbiamo affrontare nel mercato giapponese è quello delle
quote – spiega Lavezzari. Noi siamo una multi-brand e grazie alla
diversificazione del prodotto riusciamo a contenere questo pro-
blema. Non tutte le aziende italiane si trovano, però, nella nostra
situazione. A questo proposito occorre una riflessione: noi italiani
abbiamo tante qualità, ma quando ci troviamo in difficoltà non
siamo bravi come gli amici francesi a promuoverci come Sistema.
Inoltre, a differenza di loro, siamo meno corporativi. Un atteggia-
mento che si rivela al tempo stesso un pregio e un limite. Un pre-
gio perché è dalle realtà locali che traiamo la nostra forza. Un
limite perché le sfide che ci troviamo ad affrontare in quest’epoca
globalizzata non possono più essere vinte da soli. Proprio la
Camera di Commercio dovrebbe diventare il punto di raccordo
per le aziende”. Un altro dei problemi più gravi che affligge il set-
tore della moda è quello dei falsi e delle imitazioni. “Anche in
Giappone esiste questo problema. È soprattutto il settore degli
accessori, che è una parte importante in questo mercato, a
rimanerne vittima. Anche in questo caso un po’ di lobbying da
parte delle aziende italiane per spingere le istituzioni locali a
sanzionare più severamente i fals if icatori sarebbe
necessario.”commenta Lavezzari.
Dai risultati del sondaggio emerge un dato piuttosto sorpren-
dente. I beni di consumo made in Italy catturano l’attenzione
soprattutto di un pubblico giovane: l’apprezzamento decresce
con l’aumento dell’età, a vantaggio dei prodotti francesi. “Nel
nostro caso non è l’età la discriminante principale, ma il prezzo. Il
bene di lusso necessita di una disponibilità di spesa tale che risul-
ta appannaggio naturale di una fascia di clientela medio-alta –
spiega Lavezzari. L’offerta del nostro marchio è comunque così
vasta da raggiungere anche altri segmenti di mercato, dunque i
più giovani”. Un’immagine, quella di Armani, talmente forte che
sembra poter fare quasi a meno dell’appellativo made in Italy.
“Essere made in Italy è sempre un vantaggio e una garanzia –
conclude Lavezzari. L’ immagine che l’Italia ha esportato nel
mondo è positiva. Stereotipata e limitata, forse, ma positiva. In
fin dei conti è proprio questa immagine a stare alla base del no-
stro successo. Adesso ci aspetta un compito difficile ma possibile:
essa va integrata. Ma sarebbe meglio dire, completata. Bisogna
far capire a chi ci sta davanti che siamo gente allegra ma non leg-
gera. Che vendiamo beni di consumo ma che siamo dei profes-
sionisti. Che dietro a una scarpa, una borsa, un vestito c’è cre-
atività ma anche tecnologia avanzata”.
Allegri sì, ma serissimi sul lavoro
Mo
da
a cura di Stefania VitiColloquio con Fabrizio Lavezzari, Vicepresidente Giorgio Armani Japan
Quando mi trovo a leggere questo tipo di analisi (peraltro inte-
ressante, in quanto basata su un campione qualitativamente
rappresentativo della popolazione giapponese, utilizzatrice "di
massa" del web), il primo pensiero che mi assale è: ma cosa
direbbero gli italiani del Giappone? Risposta immediata: bizzarri
stereotipi e commenti, sia positivi che negativi, ispirati da un
buon grado di ignoranza rispetto al Paese del Sol Levante.
Va detto che spesso i sondaggi, proprio per loro natura,
inducono alla stereotipazione: immaginatevi la faccia del resi-
dente inglese che scopre che il suo Paese è famoso in Giappone
per il tè nero... come se la rivoluzione industriale, il modello
anglosassone di democrazia e l’alta finanza
non contassero nulla...!
Pertanto, non mi stupisco più di
tanto per la percezione giap-
ponese della nostra imma-
gine fatta di “pasta,
marchi prest ig ios i ,
gente allegra e alla
moda che v ive in
luoghi belli e ricchi
d’arte ma pericolosi
e socialmente disor-
ganizzati”…. Infatti,
a parte la conside-
razione sulla gente allegra, sexy e creativa, di cui ringrazio i
generosi giapponesi (ormai gli italiani non ridono più tanto,
sono pure piuttosto arroganti e in quanto alla creatività, il nord
dell’Europa ci fa ormai concorrenza…), in effetti l’Italia è ancora
bellissima, nonostante gli attacchi continui del brutto, indubbia-
mente non è il Paese più sicuro del mondo e, ahimè, non è un
modello di efficienza… E meno male che le donne giapponesi
(le maggiori ammiratrici del nostro Paese) non sanno che il mas-
chio italiano single vive convenientemente a casa con mammina
fino a 40 anni….
Comunque sia, dal sondaggio emerge chiaramente che i giap-
ponesi amano l’Italia, la conoscono meglio degli altri Paesi
europei e sono desiderosi di approfondirne ulteri-
ormente la conoscenza. È un trend che
dura da anni ed è una splendida
notizia per tutte le imprese italiane
presenti in Giappone!
Personalmente poi ,
l ’aver v isto spon-
taneamente nominate
Ferrari, Fiat e Alfa
Romeo come prime
tre Aziende italiane
mi ha procurato un
brivido di piacevole
Tiziana Alamprese, Direttore Marketing Fiat Auto Japan
Me
ccan
ica
Non angosciamoci: è bello essere amati, comunque!
ottimismo...
Quindi, non angosciamoci col chiederci perché in questa
percezione non emerga maggiormente l’Italia del settore industri-
ale, che ha raggiunto l ’eccel lenza tecnologica, etc.. .
Fondamentalmente, neanche noi italiani (in patria e all’estero) ne
siamo convinti sostenitori, afflitti come siamo da un costi-
tuzionale vittimismo e sfiducia in noi stessi e assolutamente suc-
cubi dei miti di tecnologia ed efficienza che altri Paesi (Germania,
USA…e anche il Giappone) hanno costruito, ovviamente sulla
base di solidi presupposti e che hanno saputo diffondere nel
tempo attraverso convergenti operazioni di immagine – Paese.
E qui sta il punto: una Nazione è come un Brand e specie in un
mercato come il Giappone il branding è un’attività assoluta-
mente premiante per i prodotti di importazione (e tra l’altro
scarsamente praticata dalle Aziende giapponesi!).
Dunque, ecco l’invito di un’umile esploratrice del marketing,
appassionata da sempre di Giappone e orgogliosa di rappre-
sentare in questo Paese i Marchi Italiani che hanno maggior-
mente contribuito alla storia dell’Auto mondiale:
lavoriamo tutti insieme per rafforzare il Brand Italia, capitaliz-
zando sui valori che ci vengono riconosciuti e che anche gli altri
Paesi ci invidiano e ci ammirano da sempre, senza commettere
l’errore di voler dimostrare a tutti i costi l’eccellenza nelle aree
che non fanno parte dei valori percepiti.
Piuttosto, lasciamo che i nostri partners e clienti giapponesi
restino piacevolmente sorpresi dalla qualità del nostro lavoro e
dei nostri prodotti e servizi: nulla meglio del word by mouth
riesce ad influenzare i cambiamenti di percezione!
L’identità di questo affascinante Brand va dunque orientata,
rafforzata e protetta, attraverso un mirato "piano marketing"
condiviso da tutte le Istituzioni italiane in Giappone, con obiet-
tivi chiari e a lungo termine, che coinvolga le Aziende, i Marchi
e le Associazioni, offrendo loro una struttura dinamica e coe-
rente di attività e iniziative e ricevendo in cambio contributi fat-
tivi e concreti.
L’esperienza del Padiglione Italia alla Expo di Aichi dello scorso
anno si colloca indubbiamente come un valido esempio di ques-
ta modalità integrata di lavorare, che ha un obiettivo impor-
tante: far sì che il Brand Italia significhi qualcosa di più del
"fatto in Italia": l’Italia che fa!
Giu / Lug 2006 Viste 5958 Giu / Lug 2006 Viste
Giu / Lug 2006 Viste 6160 Giu / Lug 2006 Viste
Non vendiamo oggetti, vendiamo sogni. Concetto così spesso
ripetuto nei marketing slogan di molte aziende che forse è pro-
prio vero, almeno per l’Italia che emerge dal sondaggio sull’im-
magine del nostro Paese in Giappone.
Vorrei dare al mio commento sui risultati di questo sondaggio un
taglio più commerciale che sociologico, cercando di individuare
su quali punti fare leva per trasformare in risultati ed azioni con-
crete i preziosi messaggi che dall’indagine derivano.
Se dovessi identificare il settore di punta dell’Italia secondo
questo sondaggio, andrei per quello delle sensazioni forti, pas-
sione ed emozioni. Ammetto che come settori merceologici siano
piuttosto lontani da quelli delle tradizionali statistiche ma sembra
che il termine Italia sia la parola d’ordine che attiva i sensi di
queste tre aree.
Partendo dall’inizio del sondaggio, ad una lecita ed ovvia doman-
da di apertura: “l’Italia ti piace o no?”, ne abbiamo immediata-
mente il primo esempio: registriamo un considerevole 82% di
risposte affermative, il più alto, e non di poco, tra i 6 paesi a
confronto. Mano a mano
che procediamo, l’associa-
zione tra l’Italia, le sue
genti, i suoi prodotti e la
sfera emozionale è una
continua r iconferma
ancora più evidente nel
raffronto con le altre 5 paesi che ci
accompagnano nell’inchiesta.
Gli italiani sono cheerful, gli inglesi sono
conservative. Noi produciamo pasta e
vino e gli americani producono arma-
menti. I tedeschi sono organizzati e noi
siamo creativi, i francesi sono ele-
ganti ma noi siamo cool.
Fin qui forse nulla di nuovo. Se
approfondiamo nel settore dei
prodotti e dei marchi, ancora una
volta scopriamo un altro concetto
a molti noto: l’eclusività. I marchi
e i prodotti sono quelli del lusso,
della moda, della produzione
“artigianale” o percepita tale.
Ancora ci ritroviamo nella sfera
delle emozioni. Lungi da noi la
produzione di massa anche se la
pasta risulta il prodotto più asso-
ciato all’Italia in assoluto, forse
perché l’immagine che
ne diamo è che la pasta
per gli italiani è come il
carburante per le automobili: un requisito di base, una con-
dizione al contorno.
Ma faremmo un errore se ci limitassimo a trarre da questa
indagine l’ovvietà del suo messaggio e trascurassimo le oppor-
tunità di riflessione – e dunque di successiva azione.
Il campione intervistato ci comunica che siamo speciali ed unici,
palesemente inconfondibili, siamo stati in grado di stabilire una
immagine chiara e specifica di chi siamo, cosa produciamo e
dove lo facciamo. Lo sappaimo fare con un pacchetto aggiuntivo
che si chiama emozione e passione. Gli altri fanno altre cose.
Questi sono i nostri punti di forza. Sviluppiamoli facendo atten-
zione che non manchino mai nei requisiti dei nostri prodotti,
oggetti o servizi che siano. Il mercato ci dice che questo è ciò
che ci si aspetta dall’Italia.
Recentemete va di moda il
termine intel l igenza
emozionale. Un noto pro-
duttore di motocicli giap-
ponese ha coniato il ter-
mine ”emotional technol-
ogy”. L’emozione è un
business da non sottova-
lutare e a quanto pare
siamo la nazione che ne
ha in abbondanza. Come
me, molt i i tal iani qui in
Giappone rappresentano
aziende, siamo manager. Forse
una quota delle nostre attività
dovrebbe essere dedicata alla cura del lato emozionale del nostro
business. Forse dovremmo essere un po’ piú… manager
emozionali.
di Fabrizio CazzoliPresidente, Ducati Japan
Me
ccan
ica
Manager emozionali
Giu / Lug 2006 Viste 6362 Giu / Lug 2006 Viste
Molti giapponesi si preparano a tifare Italia come seconda squadra
del cuore durante il mondiale di Germania.
Il sentore che gli azzurri siano molto amati in Giappone si sta
trasformando in certezza, man mano che, all’avvicinarsi della ker-
messe tedesca, sempre più amici e colleghi giapponesi mi
chiedono dove andrò a vedere le partite e se sia possibile aggre-
garsi.
“Gli azzurri sono adorati in Giappone – conferma Fumiko
Yamazaki, 30 anni, che si occupa di organizzare eventi culturali a
Tokyo – Io tiferò Italia, così come mia mamma e il mio capo, che
una volta durante un viaggio di lavoro in Italia mi obbligò ad
andare a Napoli per vedere una partita al San Paolo, anche se il
Napoli era oramai in Serie B”
Incuriosito, ho deciso di fare un salto da Kamo Sports a Shibuya,
uno dei tanti negozi di una catena dedicata esclusivamente al cal-
cio ed il cui proprietario è un ex-commissario tecnico del
Giappone.
Kamo è un vero tempio per il culto del pallone. Nei sette piani del
palazzo, ribattezzato con orgoglio the Tower of Football, si vende
tutto ciò che possa deliziare gli appassionati: dagli accessori neces-
sari per giocare, alle divise ufficiali delle nazionali per i mondiali di
Germania.
Piccolo particolare: al pianterreno, il commesso addetto alla cassa
veste la casacca degli azzurri. Quando gli chiedo se tifa Italia o se
cambia maglia ogni giorno per ragioni di par-condicio commer-
ciale – magari su indicazione della gestione preoccupata di
vendere tutto il campionario – fa no-no con la testa e indica una
teca accanto al registratore di cassa. È la sua foto – e altre 6 di
altrettanti commessi – con Alex del Piero, in visita al negozio.
“Tifo Italia davvero – commenta il cassiere che si chiama Yuta
Fukuda – ma le magliette vendono bene comunque. Sono le più
vendute dopo quelle di Giappone, Brasile e Inghilterra. La maglia
numero 7 degli inglesi, quella di Beckham, vende tantissimo.”
Beh, fino a qui, niente sorprese. Il Giappone è una scelta ovvia. Il
Brasile, in fondo, pure. Non solo perché Zico, il CT del Giappone,
è brasiliano. E nemmeno perché è la squadra che ha vinto di più,
compreso l’ultimo mondiale che si è svolto in Giappone e in Corea
nel 2002. Ma anche a causa della relazione speciale tra i due
paesi. In Brasile vive, infatti, la più folta comunità di giapponesi al
di fuori della madre patria.
L’Inghilterra capitalizza il massiccio investimento fatto dal
Manchester United, prima squadra a creare i megastore monocolo-
re in Asia, quando Beckham non si era trasferito ancora a Madrid.
Ma l’Italia? Certo, anche noi abbiamo vinto molto, come
Germania e Argentina, d’altronde. Squadre come Milan e
Juventus hanno giocato molte finali di Coppa Intercontinentale a
Tokyo negli ultimi 20 anni. E Toto Schillaci è stato uno dei primi
grandi nomi a venire a giocare in Giappone negli anni 90, con-
tribuendo al successo della neonata J-League.
“Ci sono molte super-star nella squadra italiana – azzarda una
motivazione Yuta – vendiamo tantissime magliette di Totti, Del
Piero e Buffon”
Certo, le super-star aiutano, vedi effetto Beckham per gli inglesi,
ma non bastano. E poi da quando in qua è un portiere, benché il
migliore, a far battere più forte il cuore dei tifosi?
O forse la febbre azzurra dei giapponesi è una moda transitoria,
una delle tante che attraversano il paese alla velocità della luce?
Sennonché buona parte del Giappone aveva già tifato Italia
durante lo scorso mondiale, quando la regione del Sendai aveva
accolto gli azzurri in ritiro a Casa Azzurri, un complesso ancora in
esistenza, con il calore degno di uno stadio italiano.
“Durante lo scorso mondiale andai a vedere Italia – Croazia a
Kashima – ricorda Fumiko – Sul trenino che portava i tifosi allo
stadio, ero una delle poche persone in abiti civili, il resto era vesti-
to di azzurro. Erano tutti giapponesi.” Tipicamente femminili le
motivazioni di Fumiko e di altre ragazze a cui ho fatto la stessa
domanda. A quanto pare “alcuni giocatori sono proprio carini e le
maglie sono molto ben disegnate.” Ulteriore conferma di una pas-
sione scatenata dall’elemento “stile”. Lo stile Italia.
Quali le origini di questo amore, quali le diverse motivazioni, una
cosa è certa: il tifo azzurro dei giapponesi potrebbe non superare
lo scoglio degli ottavi di finale, quando l’Italia potrebbe incontrare
proprio il Giappone, se quest’ultimo riuscisse a qualificarsi alle
spalle del Brasile, probabile vincitore del girone.
“Tiferò Italia, così come molti dei miei amici – conclude infatti Ryo
Ikegami, un collega di 35 anni – almeno fino agli ottavi di finale …”
Poi si vedrà. Appunto, si vedrà.
di Federico FregniBloomberg
Ca
lcio
Febbre Azzurra in Giappone
Bello, raffinato e solare, Hidetoshi Nakata, simbolo del calcio nel
paese del Sol Levante, sembra quasi un italiano. Parla la nostra lingua
con l’accento un po’ romano, è disponibile, non lesina battute e sta
al gioco, non solo quello a centrocampo. Dopo sette anni trascorsi in
Italia dove ha militato nella Roma, nel Perugia e nella Fiorentina, al
nostro paese deve essersi affezionato per forza: “In Italia sono stato
molto bene. Mi piace la gente, che è allegra e
positiva e il vostro cibo. Inoltre adoro il clima
che avete…ho vissuto a Roma, una città stu-
penda”. E un po’ più italiano Nakata lo è
diventato davvero: il 15 maggio, presso la
residenza privata dell’Ambasciatore d’Italia a
Tokyo Mario Bova, il calciatore è stato insigni-
to con l’alta onorificenza dell’Ordine della
Stella della Solidarietà, diventando uno tra i
più giovani cavalieri della Repubblica Italiana.
Un riconoscimento importante, concesso a
tutti coloro che si sono contraddistinti nella
promozione dell’Italia nel mondo. Ma anche
un auspicio per una carriera incoronata anco-
ra da tanti successi, come ha commentato
l’Ambasciatore Bova mentre decorava la giac-
ca di Nakata con la prestigiosa stella. L’Italia
porta fortuna a questo calciatore ed è proprio
il caso di dire che
la buona stella gli
ha sorriso anche
questa volta: pochi
minuti dopo la
cerimonia Nakata
è stato infatti uffi-
cialmente convo-
cato in nazionale
da Zico e andrà ai prossimi mondiali in Germania. “Incontrare l’Italia
sarebbe bellissimo – ha continuato Nakata. Conosco tutti i giocatori e
con molti di loro sono amico. Il Giappone però si trova ad affrontare
un primo turno difficile: Australia e Croazia sono due squadre da non
sottovalutare, per non parlare del Brasile. Speriamo d’incontrarci, ma
se non dovesse accadere tiferò certamente l’Italia”. Parole lu-
singhiere, che arrivano in un momento in cui
il nostro calcio è scosso da uno tra i più grossi
scandali sportivi di tutti i tempi. “Mi dispiace
per tutto quello che sta accadendo, ma non
mi piace fare polemica - commenta il calcia-
tore - né in campo, né fuori. Adesso che
gioco nel Bolton in Inghilterra, noto delle dif-
ferenze col calcio italiano. Mi sembra che agli
inglesi piaccia ancora lo spettacolo, che giu-
dichino i giocatori da come giocano. In Italia,
invece, le cose sono un po’ cambiate: la
gente è attenta soprattutto al risultato,
indipendentemente da come uno gioca.
Spero che il calcio italiano torni presto a
essere quello che era, uno degli spettacoli più
belli del mondo”. L’immagine di Nakata ha
sicuramente aiutato la diffusione di questo
sport nel paese del Sol Levante: riviste speci-
alizzate seguono la nostra Serie A anche
oltreoceano e tra i più popolari beniamini della gente ci sono proprio
alcuni calciatori italiani (Del Piero, Totti, Baggio), come il sondaggio
della Camera dimostra. “In Giappone il calcio è uno sport giovane –
commenta Nakata. C’è ancora molto da fare, ma siamo sulla buona
strada”. L’Italia e il Giappone sono più vicini di quello che sembrano
e Nakata è sicuramente una figura importante nel dialogo tra i due
paesi. “Però gli italiani sono sempre in ritardo - conclude sorridendo -
e i ragazzi che vanno in motorino sono davvero spericolati!” Come
dire: nessuno è perfetto…
di Stefania Viti
Ca
lcio
Una stella per Nakata
Giu / Lug 2006 Viste 6564 Giu / Lug 2006 Viste
Giu / Lug 2006 Viste 6766 Giu / Lug 2006 Viste
È appena diventato Cavaliere del Lavoro, ma la sua giornata
tipo non cambia. Di giorno corre di qua e di là, ma alle 18 in
punto, cascasse il mondo, è alla Bettola, in Ginza, il “suo” ris-
torante. “Sì, questo lo sento davvero mio, mi ci sono affeziona-
to e non penso che lo lascerò mai. Ha le dimensioni giuste per
soddisfare la mia clientela”.
Una clientela fedelissima. Ed equamente divisa tra indigeni e
italiani (oltre a non pochi espatriati di altre nazionalità). Ochiai,
oramai da quasi trent’anni, mette
d’accordo tutti. Giapponesi dal palato
fine, capaci di distinguere tra l’ita-
meshi improvvisato e la vera cucina
originale italiana, rispettosa di ingredi-
enti, condimenti e – assolutamente –
presentazione. Ma anche gli italiani
che vivono a Tokyo lo portano in
palmo di menù: la Bettola, diciamolo,
è famosa proprio per il fatto che tra i
fornelli c’è quel giapponese che mette
in fila tanti italiani…
Con Ochiai ci conosciamo da tanti
anni. Dal 1982, per esattezza, quando
un gruppetto di italiani scoprì che da Granata, un ristorante si-
tuato nel seminterrato dell’ex TBS Building di Akasaka, si man-
giava davvero bene. Tra i fornelli, appena rientrato da una serie
di “tirocini per caso” in Italia, c’era Ochiai.
Ricordi? Si veniva spesso con il consigliere d’ambasciata Dino
Volpicelli, oggi ambasciatore, il compianto Franco Landuzzi,
g r a n d e
dirigente
de l l ’ En i t ,
Vittorio Volpi,
l’ex direttore della
Banca Commerciale….eri il
nostro mito. Sei stato il primo a portare la bruschetta, la pasta
all’arrabbiata, le lasagne. E a creare nel ristorante un ambiente
davvero italiano, per niente imbalsa-
mato…
Bei tempi. Vi presentavate all’ultimo
momento, senza nemmeno preno-
tare…il posto c’era sempre…
Adesso in certi locali, Bettola compre-
sa, bisogna prenotare con un mese
d’ant ic ipo. Ma cosa è successo?
Perché voi giapponesi siete diventati
così pazzi per la cucina italiana? Ma
soprattutto, com’è che la fate così
bene? Non c’è paragone al mondo.
Oramai a Tokyo si mangia italiano
meglio della media italiana…Qual è il
segreto di questo successo?
La serietà. I giapponesi, dunque anche i cuochi, sono persone
molto serie, che si impegnano per ottenere sempre il massimo,
senza compromessi o scorciatoie. In più c’è il fatto che la cucina
italiana è di per sé molto adatta al palato e allo stomaco dei
giapponesi…
A colloquio con lo chef Tsutomu Ochiai: trent’anni dalla parte del gusto
di Pio d’Emilia
Tu sei partito dalla Francia…
Già, come tutti i cuochi, probabilmente. Un giorno ero a Lione,
dovevo rientrare in Giappone, ma l’aereo non partì e mi
offrirono un settimana extra: Spagna o Italia. Scelsi l’Italia,
Roma. Andavo a pranzo e cena fuori ogni giorno e ogni volta
restavo deluso. Abituato ai piatti sofisticati d’oltralpe, la cucina
italiana mi sembrava elementare, povera, scontata. All’inizio fu
una delusione. Poi, improvvisamente, mi resi conto della sua
vera qualità. Era buona.
Detto fatto. Ochiai rientra in Giappone, contatta il padrone
della catena Zakuro (Melograno, in giapponese) e si fa affidare
il ristorante Granata nel TBS Building. Dove nacque il mito.
La cucina italiana ha molto in comune con la nostra cucina
kaiseki, anche se nella presentazione spesso non si è così rigo-
rosi. Ma quanto alla scelta degli ingredienti, alla loro qualità e
alla loro coniugabilità gastroetica non vi è dubbio che le due
culture si avvicinano. Ed ecco perché a noi giapponesi piace la
cucina italiana. Perché, pur diversa, è così simile alla nostra.
La sera si andava tutti a mangiareda Granata...
Cu
cina
Giu / Lug 2006 Viste 6968 Giu / Lug 2006 Viste
“Sumimasen, sorry, da che parte si va per il Palazzo Imperiale,
koukyou dochira desuka?” C’erano una volta guide che mette-
vano in guardia sull’ atteggiamento dei giapponesi accostati per
strada nell’ intento di domandare una semplice informazione:
“saranno amichevoli con voi se penseranno di dover sfoggiare il
loro internazionalismo davanti a parenti o amici, ma vi scanse-
ranno senza pietà se li avvicinerete da soli o in luoghi appartati”.
Una trentina di anni fa, quando arrivai per la prima volta in
Giappone come corrispondente Ansa, anche con i tassisti non
erano insolite esperienze del genere: se si era finiti in una zona
periferica si rischiava di essere piantati in asso da conducenti
restii, forse solo per timidezza, a far salire e a confrontarsi con
un cliente che non avesse gli occhi a mandorla.
Adesso l’italiano sperduto nei dedali urbani del Sol
Levante non corre più rischi del genere,
anzi. Se un tempo la conversazione si spingeva fino a rivelare la
nazionalità, la parola I-ta-ri-a era accolta con una specie di
incredulità e imbarazzo: tanto, tanto lontano, eppoi quella guer-
ra assieme finita male... I più curiosi arrivavano a domandare:
“ma che lingua si parla da voi, il tedesco o lo spagnolo?” A dire
il vero nemmeno ai francesi, pudori bellici a parte,
andava poi tanto meglio: “esiste davvero una
l ingua francese? Ah sì , che
curiosità! Però adesso anche
voi parlate tutti americano!”
Difficile dar torto a chi la pensava così in una
Tokyo americanizzata, costellata di Harry’s bar e di
ragazzetti vestiti come Elvis Presley. Ogni tanto in giro per
Roppongi, e poi dappertutto per i l centro, scendevano
improvvisamente quelli della Settima Flotta con tanto di candide
uniformi: ma attenti a quando si sbronzano perchè la fanno da
padroni ed è meglio non venire alle mani, l’unico rimedio è
starne alla larga.
Ora, rispetto alla metà degli anni settanta, il
mito Usa sembra essersi dissolto:
sono anzi Italia e Francia
ad avere conquistato il cuore
dei ventenni o giù di lì. Anche nei sob-
borghi delle città giapponesi più remote il locale
che vuol essere alla moda tende a inalberare un’insegna
con un paio di parole italiane e francesi talora prive di senso e
copiate chissà dove.
Ma la differenza è soprattutto nel contatto umano. Anche per
chi sappia poco il giapponese, dopo qualche parola è distin-
guibile un …kara? che indica inequivocabilmente la curiosità
dell’interlocutore sulla provenienza dello straniero. A-me-ri-ka-
jin? No, iie, i-ta-ri-a-jin desu! Fate l’esperienza ovunque e
ovunque vedrete l’esitazione sciogliersi subito in un sorriso. Sì,
ovviamente il calcio, le Ferrari, Gucci, Versace e tutto il resto, ma
intanto anche nell’angolo più remoto del Giappone è ormai
impossibile trovare qualcuno che non sia stato nella Penisola o
non abbia un parente o un amico che vi sia stato. Roma,
Venezia, Firenze, Milano: quasi tutti sanno fare bene una di-
stinzione fra città che una trentina di anni fa erano al massimo
fra le nozioni acquisite sui sussidiari.
Dal sorriso ad altre curiosità e poi ancora al sorriso: l’Europa,
l’Italia sono ormai vicine e parlano a un’immaginazione, a una
creatività che non permettono più di omologare il Giappone nei
ranghi degli imitatori irregimentati e privi di personalità. Ormai,
nell’arcipelago della duttilità, i criteri della produzione di massa
mutuati dall’America hanno trovato di che coniugarsi in maniera
originale con la ricerca di una raffinatezza di gusto tutto
europeo. Trent’anni fa, al tempo incontrastato delle coche e
delle pepsi, era quasi impensabile: ma adesso i milioni di distribu-
tori automatici affastellati per le strade di tutto il Giappone con-
tengono meno cola che bevande al caffè e al cacao con nomi
italiani o francesi, veri o inventati di sana pianta. Ma il simbolo
perfetto in proposito potrebbe essere un giocattolo-sorpresa
appena lanciato a Tokyo per inondare i prati durante la prossima
estate: è un frisbee di plastica colorata, che sembra tutto ameri-
cano ma che in uno scatto si trasforma... in un pallone da calcio.
dé
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u
Italia e Giappone, trent’anni dopodi Pier Luigi Zanattacorrispondente Ansa da Tokyo
Quando Hidetoshi Nakata, il 15 maggio scorso, ha ricevuto una
onorificenza da parte dell’ambasciatore Mario Bova a nome del
Presidente della Repubblica per il suo ruolo di promotore della
conoscenza del calcio italiano in Giappone, ha ringraziato non solo
con cortesia formale giapponese, ma con
un pizzico di calore in più che gli è proba-
bilmente derivato dagli anni passati in
Italia. Intervistato poco dopo su cosa non
gli fosse piaciuto del nostro Paese, ha
risposto con un concetto che appariva
come un capolavoro di diplomazia. “Beh,
non si è mai in orario!”. Dicendolo, Nakata
sapeva di non offenderci, ma di provocare
un sorriso reciproco, se non una risata.
È questo un punto su cui riflettere in riferi-
mento al sondaggio illustrato in questo
numero: si può
leggerne i risul-
tat i con moti
ist intivi di per-
pless ità, ma
siamo sicuri che
nel complesso ci
Giu / Lug 2006 Viste 7170 Giu / Lug 2006 Viste
si possa sorprendere più di tanto? “L’immagine che i giapponesi
mostrano di avere degli italiani è in linea con la retorica che abbia-
mo trasmesso nel mondo”, osserva Pietro Ginefra, responsabile
della Banca d’Italia a Tokyo: il filo di compiacimento con cui ci pre-
sentiamo come un popolo più simpatico e divertente di quelli
nordici - con un surplus di affettuosità e giocosità e un relativo
deficit di seriosità o persino di affidabilità - ha tessuto l’immagi-
nario degli altri. Di più: “Le critiche al sistema - continua Ginefra -
mi sembrano in linea con quelle che farebbero gli italiani: i servizi
di trasporto pubblico non sono efficienti e il livello di “ordine” pub-
blico, in vari sensi, è basso”. Una visione stereotipata dell’Italia,
insomma, trova la sua giustificazione nelle indulgenze verso noi
stessi e nella nostra stessa rassegnazione all’inefficienza dei servizi
pubblici. Il problema è che il pre-giudizio culturale da noi stessi ali-
mentato sembra portare a conseguenze economiche limitative
dello spettro di potenzialità insito nel sistema. Ci vantiamo di
essere un popolo allegro? Ci piace mangiare bene e vestire bene?
Ecco allora la prevalenza assoluta, nei ratings del
sondaggio, dei prodotti agroalimentari (con l’ag-
giunta della moda), e del richiamo turistico con-
nesso a un immaginario di evasione che forse fa
premio su un più profondo legame culturale.
Chissà quanto possa aver inciso, si chiede Ginefra,
l’identificazione dell’Italia come un Paese “metala-
vorativo” – “il regno delle vacanze” - sulle scelte di
investimento delle società giapponesi, se il
retropensiero dei manager è quello per cui nel Bel
Paese non si va a lavorare. Un aspetto che diventa
tanto più problematico in quanto oggi si sposa con
un altro sostrato culturale che ci gioca contro:
nella mente degli imprenditori nipponici, l’euro
“tende a diluire l’Italia nel più vasto contesto
europeo”. Sul versante contrario, si rafforza la
questione: quali maggiori opportunità commerciali si aprirebbero
per i nostri settori produttivi se la percezione diffusa delle caratte-
ristiche del nostro Paese si modificasse includendo le tante forme
di modernità italiana che noi stessi, finora, abbiamo fatto poco per
veicolare? E quanti sforzi occorreranno perché l’immagine del
Paese possa passare dal filtro dei consumi di massa e di un passato
immenso verso un bilanciamento equilibrato, che ponga sul piatto
le spinte del Paese – tecnologiche e non – verso il futuro? È scon-
certante leggere questo sondaggio in parallelo con i volumi del
rapporto della missione Iwakura - il
grande viaggio esplorativo nei Paesi
dell’Occidente compiuto da una
delegazione giapponese nella se-
conda metà dell’Ottocento (poco
dopo la forzata apertura del Sol
Levante al mondo) - sul quale si è
aperta di recente una mostra al
museo della Dieta. In alcuni pas-
saggi, i funzionari nipponici
scrivono: ecco il Paese del dolce-
far-niente e dal passato monumen-
tale, dove la vita sembra più bella e
la natura più rilassata, così diverso
dalla Germania che abbiamo appe-
na visitato. Si trattava di 130 anni
fa e della prima volta in cui i giap-
ponesi mettevano il naso fuori dal loro arcipelago, e già l’Italia
appena unificata appariva il regno di una bellezza languida che
trascura l’efficienza. Aggiungiamo il precedente storico premoni-
tore secondo cui il primo dialogo in Italia tra giapponesi e italiani
riguardò la moda: fu quello, nel 1585, in cui l’amante veneziana
del signore di Livorno chiese lumi a un giovane principe del Kyushu
(portato dai gesuiti) sulla qualità e la manifattura dei tessuti del
kimono. Capitalizzare sull’esistente, per cercare però di andare
oltre, può e deve diventare l’obiettivo primario del sistema-Italia nel
ricalibrare la propria presenza nel Paese dei Segni, in un’ottica che
dovrà necessariamente superare quella del breve termine.
di Stefano Carrer Il Sole 24 Ore
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Fedeli alla linea
Giu / Lug 2006 Viste 7372 Giu / Lug 2006 Viste
Diciamo che non amo molto i sondaggi. E quindi neanche
questo, che non ho mai considerato necessario, anche se alla
fine – grazie alla professionalità con il quale è stato effettuato -
può essere utile a quegli operatori italiani (purtroppo non tanti)
interessati a una maggiore e sistematica conoscenza di ciò che il
mercato giapponese si aspetta di ricevere dai produttori italiani.
Svolgendo qui in Giappone, già da vari decenni, la mia attività
professionale, i risultati del sondaggio non mi hanno né stupito,
né deluso. Piuttosto, hanno rappresentato una conferma di
quanto, lavorando a stretto contatto con i giapponesi, ho potuto
verificare “sul campo”.
Molto più di altri mercati, quello giapponese è enormemente
influenzabile e di fatto influenzato dall’enorme impatto dei
media, sia nazionali che locali: sia sotto forma di notizie, sia
come veicoli di promozione. Prova dello strapotere dei media è
che il personaggio fra gli italiani contemporanei più conosciuto
dai giapponesi è Girolamo Panzetta, figura costruita in modo
formidabile dai media locali ma sconosciuta in Italia.
Soltanto negli ultimi decenni - e comunque ancora in piccola
percentuale rispetto al totale della popolazione - si è avuto un
afflusso di turisti giapponesi verso l'Italia, che ha dato la possi-
bilità di conoscere direttamente la realtà italiana. Ciò risulta otti-
mamente evidenziato dalla differenza di opinioni fra chi ha visi-
tato e chi invece non è mai stato in Italia.
Trovo naturale che il consumatore giapponese non abbia una
conoscenza dei prodotti italiani di alta tecnologia sia perchè
l’Italia soltanto in tempi relativamente recenti è entrata in questo
campo sia perché i prodotti sono destinati ad un uso specifico e
primariamente industriale e non di largo consumo.
Poco attendibili, ritengo, i commenti sui cambiamenti dell'Italia
negli ultimi 4-6 anni. Quanti degli intervistati sono in grado di
rispondere a questa domanda? Quanti sono stati in Italia sia 4-6
anni fa che, poniamo, l’anno scorso?
Più obbiettivo il commento di chi risponde “non saprei” sul
futuro dell'Italia. Quanti italiani sono in grado di dare una rispo-
sta più concreta a questa domanda?
E veniamo alle grandi rassegne promozionali organizzate di
recente. L’anno dell’Italia in Giappone - nel 2001 – ed il
Padiglione italiano ad Aichi – avrebbero probabilmente generato
risultati più positivi (mi riferisco al lato commerciale) se organiz-
zate e sviluppate in altra maniera.
Purtroppo l’Anno dell'Italia in Giappone 2001 è stata una inizia-
tiva puramente politica - era infatti in mano al Ministero degli
Esteri – senza adeguato coinvolgimento di enti e associazioni
proposte al commercio,
industria, ecc.
Di quella manifestazione
rimane il ricordo, per chi
era presente alla serata
inaugurale, delle modelle
f luttuanti nel l 'ar ia
appese a palloni. Scena indubbiamente elettrizzante, ma appena
sufficiente per confermare, appunto, lo stereotipo italiano che
emerge dal sondaggio: allegro-artistico-fantasioso-leggero-alla
moda.
La stessa cosa vale per il Padiglione italiano all’Expo di Aichi,
nonostante tutti gli sforzi compiuti per accreditarne il “concet-
to” di “arte del vivere”. Il pubblico, temo, non l’ha visitato per
apprendere che l’Italia è piena di opere d’arte antiche - di
questo il giapponese medio è già abbondantemente informato e
oramai consapevole - ma per avere una visione diretta di marchi
italiani famosi nel settore automobilistico e, diciamocelo franca-
mente, soprattutto per sedere a tavola in uno dei pochi ristoranti
decenti dell’Expo che prometteva, tra l’altro, ciò di cui i giap-
ponesi oggi vanno decisamente pazzi: autentico cibo italiano.
di Glauco PompilioPresidente Eureco Japan
Chi semina male, peggio raccoglie
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A sinistra: il padiglione italiano ad Aichi 2005Sotto: Girolamo Panzetta