Viste, maggio 2006

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Rivista ufficiale della Camera di Commercio Italiana in Giappone

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Giu / Lug 2006 Viste 54 Giu / Lug 2006 Viste

Andrea Tucci

Eccoci qua finalmente a introdurre il risul-

tato del sondaggio sull’immagine

dell’Italia, degli italiani e dei nostri prodot-

ti. Il primo, mi dicono, mai effettuato.

L’obiettivo della collaborazione con la NetRatings era quello di sinte-

tizzare attraverso un sondaggio eseguito su un campione di 5.000

persone il giudizio su Brand Italia, in altre parole la percezione che i

giapponesi hanno di una serie di valori intangibili e di sensazioni

anche emotive raggruppate sotto il nome ITALIA.

Non volendo togliervi gusto della lettura dei grafici, delle risultanze

numeriche e delle classifiche, in questo editoriale, vi riporto sola-

mente alcuni spunti di riflessione.

Tutti gli italiani che approdano in Giappone per lavoro, credo che

condividano la sensazione di sorpresa nel vedere quanto l’Italia sia

visibile ed apprezzata; spesso nel nostro giudizio ipercritico ce ne

meravigliamo. Ma perché poi? Abbiamo un’immagine forte, supporta-

ta dal nostro passato, dalla storia e dalle opere e dall’arte che ci

rende un Paese veramente unico al mondo con una possibilità d’of-

ferta turistica sicuramente impareggiabile. Abbiamo una cucina tra le

migliori al mondo, prodotti alimentari d’indubbia qualità che difendia-

mo con passione e tifo quasi calcistico quando si discute nei confronti

dei prodotti dei nostri cugini d’oltralpe.

Abbiamo poi il vantaggio indiscusso di un marchio assolutamente

riconoscibile, e nessun creativo (e ne abbiamo tanti) si è dovuto

sforzare per produrlo: lo stivale.

Quanti altri paesi possono vantare una forma geografica così facil-

mente riconoscibile? Insomma nasciamo fortunati.

Fino a qui motivi d’orgoglio, ma il sondaggio mette purtroppo anche

in evidenza che nel paese all’avanguardia in molti settori tecnologici,

che vanta il sistema di trasporti pubblici più efficiente al mondo, dove

il tasso di criminalità è indubbiamente basso, i suoi cittadini non

riconoscono nell’Italia la posizione di paese produttore di tecnologie

sofisticate e innovative, ritengono l’Italia un paese pericoloso e con

un sistema di trasporti pubblici inefficiente.

C’è, in questo, sicuramente qualcosa da sfatare, ma c’è anche molto

su cui riflettere e lavorare, per permettere di riequilibrare l’immagine

dell’Italia in Giappone.

A mio avviso il messaggio è chiaro. Siamo privilegiati nella relazione

con questo paese per una sorta di attrazione fatale, ma come tutti gli

innamoramenti, questi possono essere temporanei, dobbiamo lavo-

rare per mettere in mostra, il frutto del genio italico, che non è solo

creatività e fantasia ma anche innovazione tecnologia, organiz-

zazione e concretezza. Insomma abbiamo tutti un bel po’ di lavoro

da fare. Buona lettura.

Attrazione fataleP

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Pio d'Emilia

A differenza dei nostri cugini francesi – maanche di americani e giapponesi, tutti appas-sionati di sondaggi – a noi italiani non piaceessere giudicati. Chissà, forse abbiamopaura di non essere amati, cosa che la mag-

gior parte degli italiani considererebbe, al tempo stesso, giusta ed inaudita.Bene, questo sondaggio commissionato dalla Camera di Commercio, ilprimo in assoluto realizzato in Giappone, ci deve innanzitutto rassicu-rare. Siamo amati. Eccome. Possiamo arrivare al punto di dire che la“simpatia” che il nostro Paese suscita in Giappone è probabilmentesuperiore a quella che suscita tra i suoi stessi cittadini. Scrive Rampini, nel suo brillante e tempestivo Cindia, (Mondadori, 2006)che è in atto in Cina una nuova forma di globalizzazione: l’Italian Way ofLife. L’Italia è divenuta simbolo di raffinatezza nell’arredamento, nella ga-stronomia, nelle varie declinazioni del design. Un fenomeno che sta esplo-dendo in Cina, ma che è certamente nato in Giappone e che non riguar-da solo il fatturato dei brands o della ristorazione. Il fenomeno è di pro-porzioni storiche, ha ricadute in ogni settore, e sta cambiando le abitudinidei giapponesi. Si pensi alla popolarità della nostra lingua: non solo vieneusata (magari anche a sproposito) per commercializzare ogni sorta diprodotto, dalle autovetture alla biancheria intima, ma è anche diventata laseconda lingua straniera più studiata, dopo l’inglese. “Ciao”, come aParigi e a New York, è entrato nel linguaggio comune, anche perché lopuoi usare durante l’intero arco della giornata, a differenza dei suoi equiva-lenti locali. Il calcio italiano (prima dell’ultimo sfacelo) rivaleggia, talvoltasupera in popolarità basket e football americano: i giovani giapponesi nonconoscono a memoria le squadre del loro campionato, ma ti declinano laclassifica della Serie A senza la minima esitazione. La moda disegnata aMilano, Firenze (presto a Shangai?) detta legge più dei jeans o delle Nike.E nelle case giapponesi, accanto alla soya, cominciano ad essere massic-ciamente presenti olio di oliva e aceto balsamico.Peccato, verrebbe da dire, che gli unici a non accorgercene – e ad appro-fittarne - siamo proprio noi italiani. Sempre pronti a piangerci addosso, a

lamentare la latitanza delle istituzioni, a percorrere scorciatoie, a cercarealleati improvvisati e accordicchi vendi e fuggi anziché rischiare, finendo perregalare alla concorrenza locale – e talvolta addirittura straniera – l’uso eabuso del made in Italy. Pensiamo al fenomeno Ikea, il colosso svedese chesta invadendo l’Asia. I suoi famosi divani sono ancora prodotti dalla premia-ta ditta pugliese Natuzzi (sia pure delocalizzata da anni in Cina), e la “linea”di design semplice ed essenziale che la ditta svedese offre ricalca quelle pro-poste, già vent’anni fa, da aziende italiane come Cassina e Artemide. Oratutto ciò si può capire per certi settori “pesanti”, cui l’Italia, per riffa o perraffa, ha da tempo rinunciato. Non avendo l’alta velocità non abbiamo treniad alta velocità da vendere, siamo fuori dal grande business Airbus, ci restala Finmeccanica che fa quel che può. Ma possibile che dobbiamo rinunciareanche al monopolio “culturale”, oltre che commerciale, della pizza e delcaffè? Dopo aver ceduto agli Starbucks, ai Pronto e ai Caffè Veloce il copy-right dell’ esupuresso, shingule o dabulu che sia, ecco che un altro settoread altissima potenziale di sviluppo, quello della pizza al taglio, è stato con-quistato da Salvatore’s Pizza, una multinazionale usa-nippo-coreana.Possibile che nessun imprenditore italiano abbia saputo “fiutare” pertempo, come altri hanno saputo fare in altri settore della ristorazione –come il catering - l’enorme opportunità che si presentava, all’internodella vera e propria rivoluzione gastroculturale in atto in Giappone? Ma questo sondaggio ci offre altri spunti di riflessione. Ci ricorda,innanzitutto, la necessità di stimolare la “comunicazione”. E non solo intermini di promozione culturale – settore dove molto è stato fatto emolto si sta facendo – ma anche nel campo dell’università, della ricerca,delle tecnologie. Pian piano, chissà, riusciremo a far capire ai nostri amicigiapponesi che dietro alla Ferrari, ma anche al mondo della moda,esistono sofisticate tecnologie che poi producono l’eccellenza, il prodot-to vincente. E che per realizzare l’eccellenza, non basta essere “simpati-ci”, ma anche seri, precisi e, presumibilmente, affidabili sul lavoro.Infine, non lamentiamoci troppo del fatto che nonostante tutto siamoancora percepiti come il paese delle belle arti, della cultura, dellaqualità della vita. Andiamone orgogliosi. Mica è poco.

Specchio delle mie brameE

dito

riale

ICCJ Consiglio Direttivo2006

Presidente OnorarioMario BOVAAmbasciatore d’Italia in Giappone

PresidenteAndrea TUCCIAlitalia Linee Aeree S.p.A

Vice PresidenteFabrizio CAZZOLIDucati Japan Ltd

ConsiglieriVittorio DI BELLOBanca di RomaRomano MAZZUCCOR&M Japan CoLuca PERRINOPlastwood S.r.l Adriano VILLAPavia & Ansaldo Studio Legale Paolo MATTIOLI Marposs K.K. Renzo VILLAStudio di Consulenza Aziendale VillaFlavio GORI Savino Del Bene Japan Co. Ltd

ICCJEnokizaka Building 3F, 1-12-12 Akasaka Minato-Ku,107-0052 TokyoTel + 81.3.3560.1100Fax +81.3.3560.1105E-mail: [email protected]

Segretario GeneraleDavide CASCINI

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L’Italia come un “sogno”, da visitare e dove abitare (davanti a Stati Uniti,

Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna): questo è il dato lusinghiero

che emerge dal sondaggio promosso dalla Camera di Commercio Italiana

a Tokyo sull’immagine del nostro Paese in Giappone.

E l’Italia non è soltanto pizza, moda o cucina ma è anche macchinari,

automobili in cui – più che nelle analoghe produzioni di altri Paesi –

si coniugano design, tecnologia, slancio estetico. Siamo dunque di

fronte ad una percezione da parte giapponese di un felice connubio

di valori estetici e capacità industriali che deve far pensare: una sim-

biosi di valori artistici e tecnologici che ha certo un suo ruolo nell’in-

durre il giapponese medio a fantasticare di vivere nel nostro Paese.

E tuttavia permangono radicate le riserve mentali che si palesano

nelle critiche sui ritardi in termini di competitività, di affidabilità di

infrastrutture e servizi e, non ultima, di sicurezza personale.

Esiste dunque un obbligo di lavorare più a fondo per colmare le

lacune esistenti, per assicurare un’informazione più corretta e dif-

fusa, per conquistare la fiducia del Giappone che

conta: comparto tecnologico-industriale, realtà

delle piccole e medie imprese, grande

finanza.

Non si inizia certamente da zero.

Da una parte lo stesso sondaggio

conferma i nostri successi in settori di

grande rilevanza (design, oreficeria,

alta moda, gastronomia,

a b b i g l i a m e n t o ) .

Dall’altra, il grande sfor-

zo promozionale degli ultimi 5 anni ha maturato straordinari risul-

tati che invitano a continuare allo stesso livello di iniziativa.

È, infatti, in atto un impegno capillare delle nostre strutture pub-

bliche e private per aumentare la presenza dell’Italia su tutto il terri-

torio giapponese. In questo ambito è stata varata in particolare dalla

nostra Ambasciata una metodologia di azioni impostata su progetti

speciali che, focalizzando gli interventi promozionali su precise prio-

rità, riescano più efficacemente a mobilitare le risorse umane e

finanziarie, razionalizzandone l’impiego e stimolando le collabo-

razioni tra diversi organismi attivi in Giappone o residenti in Italia.

Sempre più questo indirizzo richiede che si marci insieme - settore

pubblico, aziende private, comparto

bancario – per rafforzare l’efficienza

del “Sistema Italia” e renderlo

capace di penetrare la società giap-

ponese, per raggiungere quindi

regioni come il Kansai, Aichi, il

Kyushu, il Tohoku, il cui PIL è pari a

quello della Corea del Sud e dove il

reddito pro-capite si aggira sui 35

mila euro annuali.

La crescita ormai consolidata dell’e-

conomia giapponese è un’opportu-

nità che va colta. A tale fine va com-

pletata l’immagine di un’Italia in

grado di fornire produzioni industri-

ali – anche nel settore dei macchi-

a cura deII’Ambasciata d’Italia a Tokyo

Am

ba

sciata

Insistere sulla promozione nari di alta gamma. E una presentazione integrata dei nostri diver-

si aspetti promozionali può essere la metodologia più idonea a

sviluppare una potente forza di attrazione.

Il prodotto commerciale, culturale, turistico e tecnologico va pro-

mosso i l più possibi le simultaneamente muovendo dalla

percezione, ben diffusa in questo Paese, che i prodotti italiani

sono di grande qualità.

Il sondaggio mostra chiaramente

che coloro che hanno visitato

l’Italia almeno una volta sono tor-

nati con un’immagine realistica-

mente positiva lasciandosi alle

spalle il Paese dei “mandolini”. È la

riprova che i risultati si vedono se,

con costanza, testardaggine e pro-

fessionalità, si riesce a far accostare

il mondo giapponese alla società e

cultura italiane.

Da tale constatazione si è

partiti per potenziare le

nostre istituzioni sul terri-

torio attraverso la realiz-

zazione dello Sportello

Unico ad Osaka, la nomi-

na di due corrispondenti

consolari a Nagoya e

Sendai e l’apertura di due

“antenne” dell’ICE a

Fukuoka e Sendai.

Gli straordinari successi –

anche in termini di

ricadute economiche per

la nostra industria – dell’anno dell’Italia in Giappone del 2001-2002

e del Padiglione italiano di Aichi dell’anno scorso sono un esempio

della capacità, tutta italiana, di fondere classicità e contempo-

raneità.

Il nuovo obiettivo per tutte le istituzioni italiane qui presenti sarà

ora la “Primavera Italiana 2007”, rassegna di eventi a tutto campo

che tra il marzo e il luglio

dell’anno prossimo

lancerà, con obiettivi

promozionali mirati,

un’immagine dell’Italia

contemporanea. Senza

dimenticare i settori che

continuano a trainare

l’interesse giapponese

nei nostri confronti

(moda, design, cucina

etc), si promuoverà la

conoscenza di ambiti meno noti dell’eccellenza italiana della te-

cnologia e dell’industria.

Sotto i riflettori giapponesi, accanto ai beni maggiormente associati

al nostro Paese (automobili, gioielleria, macchine utensili), vi sarà la

nostra produzione areonautica e aerospaziale, elettronica, farma-

ceutico-chimica e di macchine di precisione, nonché la ricerca nel

campo della nanotecnologia, della robotica, delle biotecnologie.

Quel 21% degli intervistati che ritiene che il nostro Paese sia cam-

biato in meglio (contro il 2% in peggio) dimostra che vi sono

potenzialità da cogliere. Il pubblico giapponese – soprattutto fem-

minile – è stato in gran parte conquistato con l’eleganza, la creati-

vità, la sensibilità artistica. Ora va insegnato ai giapponesi che

dietro alla bellezza del prodotto italiano c’è un’azienda, un’indu-

stria, una tecnologia di alto valore aggiunto in grado di competere

nel difficile mondo della globalizzazione.

Giu / Lug 2006 Viste 98 Giu / Lug 2006 Viste

ENIT

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È fuor di dubbio che l’Italia goda in Giappone di

un’immagine straordinaria. L’elevato flusso di turisti

nipponici verso il nostro Paese, il loro amore per il

nostro patrimonio culturale, il grandissimo apprez-

zamento per il made in Italy e la nostra gastrono-

mia, sono tutti fattori che hanno contribuito a far

nascere e a corroborare un rapporto di amicizia

perfino sorprendente per la sua intensità e diffu-

sione. Basta andare in giro per le città italiane, dal

Nord al Mezzogiorno, per imbattersi in continu-

azione in gruppi di turisti giapponesi affascinati

dalle bellezze artistiche del nostro Paese, seduti ai

nostri ristoranti o intenti a selezionare prodotti di

grande qualità nelle nostre boutiques.

Come dimostra il sondaggio della NetRatings, com-

missionato dalla Camera di Commercio Italiana in

Giappone, l’Italia è di gran lunga il Paese più amato

dai giapponesi (82%). Supera perciò per la simpatia

che suscita non solo la Francia (72%), ma anche la

Gran Bretagna (70%). È il Paese che vorrebbero visitare (62%

contro il 51% della Francia). Questo è un dato molto significativo

perché mette in luce quali e quante opportunità il Giappone rap-

presenti per l’Italia: è la più importante economia del mondo, dopo

gli Stati Uniti, che oggi cresce costantemente grazie alla domanda

per consumi e per investimenti: rappresenta da sempre un mercato

chiave per i prodotti italiani, non solo per quelli che richiamano lo

stile di vita italiano, ma anche per la nostra tecnologia.

Uno degli aspetti sui quali riflettere viene messo in luce dal-

l’indagine, ed è il seguente: l’Italia gode di un’immagine più

affascinante presso i giapponesi che hanno visitato il nostro Paese

rispetto a coloro che non lo hanno ancora fatto. Questo dato

dimostra che dovremo riuscire a rappresentare meglio all’estero gli

aspetti positivi del nostro Paese, come culla della cultura e del-

di Umberto VattaniPresidente ICE

ICE

Il Giappone mercato strategico:bisogna farlo crescere

l’arte e fucina di produzioni uniche di eccellenza.

Questa esigenza è stata colta dall’ICE, che da anni ha posto il

Giappone al centro della propria attività. Dopo il successo della

rassegna “Italia in Giappone 2001”, le iniziative sull’Italian Design

e il made in Italy si sono moltiplicate, e sono state accompagnate

da eventi di forte impatto quali, ad esempio, il “Festival Italiano”

al Tokyo Dome, organizzato d’intesa con lo Yomiuri Shimbun.

Giova ricordare anche la partecipazione italiana all’Esposizione

Universale di Aichi 2005, il cui padiglione è stato uno dei più visi-

tati ed ha riscosso unanime apprezzamento (87% dei visitatori).

Ulteriore dimostrazione dell’attenzione dell’Italia per il Giappone,

è la decisione dell’ICE di rafforzare la propria rete in Giappone,

aprendo nuovi uffici.

Sulla scia di questo grande sforzo promozionale, le nostre

esportazioni continuano a crescere, in particolare nei settori nei

quali gli imprenditori italiani sono da sempre protagonisti: la moda

e la gioielleria, l’agroalimentare, l’arredo, la meccanica. In questi

comparti occupiamo posizioni di primo piano ed elevate quote di

mercato, a conferma del fatto che le aziende italiane sono all’a-

vanguardia nonostante la rivalutazione dell’euro e la dinamica dei

prezzi interni.

In questi anni molto è stato fatto ma molto rimane da fare.

L’attività di promozione del made in Italy in Giappone dovrebbe

porsi come obiettivo l’allargamento del mercato, cioè l’amplia-

mento della fascia dei consumatori interessati ai prodotti italiani.

Negli ultimi mesi abbiamo stretto alleanze con i grandi mezzi d’in-

formazione giapponesi quali lo Yomiuri Shimbun, in modo da

amplificare la ricaduta sulla domanda; abbiamo aperto nuovi Uffici

a Sendai e Fukuoka, che si aggiungono a quelli di Tokyo e Osaka;

abbiamo avviato nuove iniziative quali le Fiere Italiane presso i

Grandi Magazzini e le Fiere di Settore. Manifestazioni che hanno

poi registrato grande impatto ci sono state sollecitate dagli stessi

Grandi Magazzini, che bene conoscono la nostra capacità di va-

lorizzare l’unicità dei prodotti e settori di eccellenza (enoagroali-

mentare, design, arredo, artigianato per la casa, moda).

Perché abbiano successo, queste azioni dovrebbero essere ripro-

poste periodicamente e senza soluzione di continuità, in modo da

rafforzare presso il pubblico giapponese il desiderio di cercare i

nostri prodotti sugli scaffali. Possiamo ben dire che la famiglia

giapponese ha imparato ora ad apprezzare la cucina italiana, al

punto da riprodurla anche a casa: ciò spiega l’impennata del no-

stro settore agroalimentare.

In conclusione,

sarebbe difficile non

rendersi conto delle

opportunità offerte da questo

grande Paese. Le nostre aziende

dovrebbero convincersi che, per la

forza della sua economia, per l’elevato standard di vita e il livello

socio-culturale della sua popolazione, il Giappone rappresenta per

l’export italiano un mercato di assoluto valore strategico, che

dovrebbe raggiungere per importanza quelli del Nord America e

dell’Europa.

Giu / Lug 2006 Viste 1110 Giu / Lug 2006 Viste

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Il made in Italy è decotto, e si sapeva. Marchio invecchiato, molti

prodotti fatti ormai all’estero; e poi perché in inglese, quando il

mondo adora l’italiano? La novità è un’altra, e non è migliore: sta

entrando in crisi la nostra immagine e la nostra identità culturale.

La “marca Italia”, in altre parole. La cosa strana è questa: non ce

ne accorgiamo. Anzi, siamo convinti del contrario.

Da quindici anni, intervistando mezzo milione di persone nel

mondo, Young & Rubicam, colosso della pubblicità e della comuni-

cazione, studia i Paesi come “marchi globali” attraverso il Brand

Asset Valuator (Bav). Ecco un’anteprima dell’ultima ricerca: l’Italia

ha un buon potenziale dovunque (e non è una sorpresa). Ma, dal

2002/2003, ha registrato un brusco calo. Resta attraente in

Svizzera, Germania e Russia. Ma declina nel Regno Unito, in Francia,

in Olanda, in Spagna e nell’Europa centro-orientale. Giù anche in

Giappone e negli Usa (soprattutto nord-est). In India e in Cina -

sostiene Young & Rubicam - l’Italia ha “un’immagine sfocata”.

Perché sarà difficile correggere questa situazione? In primo luogo

perché l’autopercezione è diversa. Il 90% degli italiani, secondo la

ricerca, si vede “indipendente e progressista” (gli stranieri che

pensano questo di noi sono il 56%). Il 61% dei connazionali asso-

cia a sé questi aggettivi: “affidabile, diretto, concreto”. Purtroppo

in Francia, UK, Germania, Spagna, Usa e Giappone solo il 18% la

pensa così.

Seconda complicazione. Se anche ammettesse il calo d’immagine,

ognuno di noi darebbe la colpa a qualcun altro (se lo scaricabarile

fosse uno sport olimpico, a Torino avremmo vinto tutto).

L’opposizione pensa sia

colpa di Berlusconi (che

invece ha funzionato

come detonatore di

stereotipi: ecco perché

poteva risparmiarsi le

corna, i paragoni con

Gesù e - già che c’era - lo

strapotere televisivo). Lui,

ovviamente, ritiene che la

responsabilità sia dei criti-

ci disfattisti (anche quest’articolo patriottico, probabilmente, verrà

messo tra gli atti dell’accusa).

Molti in Italia pensano sia colpa delle istituzioni, le istituzioni se la

prendono con l’industria, l’industria con l’Ice, l’Ice con l’Enit, l’Enit

con le ambasciate e i consolati. Ambasciate e consolati, per

tradizione, tacciono: ma sono sicuro che anche loro hanno pronta

una lista di colpevoli. Magari le regioni, il cui attivismo - visto alla

Bit di Milano nei giorni scorsi - è ammirevole (soprattutto quando

si rivolge al pubblico, e non si risolve in gite all’estero per gli asses-

sori). Ma dobbiamo ricordarci che turisti e investitori prima scelgo-

no un Paese (maiuscolo) poi un paese (minuscolo). Per gli americani,

F irenz e è alla periferia di Roma e a un salto dalla Sicilia. A

Shanghai ho conosciuto cinesi entusiasti d’essere stati in Italia.

Alla domanda “Dove?”, continuavano a rispondere “In Italy!!”.

Per riassumere: la nostra “marca nazionale” ha bisogno d’una rin-

di Beppe Severgnini

Op

inio

ne

IlmadeinItalyèdefunto, l’Italiano

Giu / Lug 2006 Viste 1312 Giu / Lug 2006 Viste

frescata. Qualcuno se ne sta convincendo. Il Gruppo Reti, con

Progetto Italia di Telecom, ha riunito un gruppo di lavoro coordi-

nato da Giampaolo Fabris. Centromarca, l’associazione dell’indus-

tria di marca, ci ha appena dedicato un convegno. Aspen, il 20

marzo, discuterà di “marca nel mercato globale”. Chiunque vinca

le elezioni di aprile sfrutti questi contributi, e si dia una mossa. Noi

italiani abbiamo il genio, il gusto, la gioia, la grinta, la gentilezza e

la generosità: sei G importanti e (per ora) riconosciute nel mondo.

Coraggio. Il made in Italy è defunto, ma l’Italia no.

Corriere della sera,

23/02/2006

Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, questo articolo apparso sul Corriere della Sera

ENIT

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Grazie… Come si è trovato in Italia?

Bene, anche se è un paese un po’ complicato… Mi ricordo di aver

avuto difficoltà a aprire un conto in banca. Mi chiedevano in con-

tinuazione documenti nuovi, allucinante… (sorride)

Si racconta in giro che non le piaccia il cibo italiano e che mentre

viveva a Roma mangiasse spesso sushi…

Ma non è vero! Chi ha detto queste cose? A me la cucina italiana

piace eccome! Però cenate troppo tardi…

Cioè?

Scrivo tutti i giorni

dalle quattro alle dieci

del mattino. La sera

vado a dormire molto

presto, tra le nove e le

dieci. Quando ero in

Italia era un problema.

In Italia si cena verso le

otto, otto e mezzo… a

quell’ora io ero già

stanchissimo. Dopo il

primo mi si chiudevano

gli occhi e se arrivavo al dessert lo mangiavo dormendo…

Dal punto di vista letterario quello in Italia è stato un periodo

molto proficuo…

Inte

rvista

Paese stupendo, ma che fatica aprire un conto in banca!

Giu / Lug 2006 Viste 1514 Giu / Lug 2006 Viste

Sì, lì ho scritto Dance Dance Dance. La ragazza dello Sputnik,

inoltre, è ambientato in Grecia… sempre in Italia ho portato a ter-

mine Tokyo Blues, il romanzo che poi mi dato la popolarità inter-

nazionale. Le voglio fare una confidenza a proposito di questo

libro: all’inizio il titolo non era questo, ma “Il giardino sotto la

pioggia” (lo dice in italiano, n.d.r.) “Ame no niwa”. Il titolo è stato

cambiato solo a metà dell’opera…

Ma allora lei parla italiano!

No no… però mentre ero in Italia io e mia moglie abbiamo iniziato

a studiare la vostra lingua. In verità io studiavo greco, era lei che

studiava l’italiano… però qualche parola la ricordo ancora adesso.

Quando si vive in un paese straniero è importante capire un po’ la

lingua, altrimenti non si riescono a leggere nemmeno i titoli dei

giornali e non si capisce cosa succede intorno a noi.

Legge mai qualche autore italiano?

Sfortunatamente ci sono pochi autori italiani contemporanei

tradotti in giapponese... Mi piace Moravia e poi conosco i classici

come Dante e Boccaccio.

Lei è anche un grande appassionato di cinema… ha visto recente-

mente qualche film italiano?

No… però ho visto i film di Pasolini, un intellettuale molto radi-

cale… Mi piace molto Antonioni. Adesso, però, quando rivedo i

suoi film mi sembra di notare un certo scarto temporale, si vede

che sono film di un’altra epoca. Quelli di Fellini, invece, mi sem-

brano senza tempo.

Durante il periodo trascorso in Italia ha vissuto a Roma ma non

solo…

Ho abitato anche a Palermo, ma solo per un mese… In quella città

mi è stato difficile instaurare rapporti di completa fiducia con le

persone. Palermo è una città molto particolare, con una mentalità

particolare. Nel periodo in cui ci sono stato io era in corso il pro-

cesso per mafia: lo si sentiva molto nell’aria… comunque è una

città molto interessante.

Che cosa le piaceva fare mentre era in Italia?

Sono andato spesso ad ascoltare l’opera. In Sicilia ci sono tanti

teatri e in tutte le città che ho visitato sono andato a teatro. Mi

piace l’atmosfera calda che si respira nei vostri teatri: la gente

canta durante l’esecuzione, applaude… che bello! Sono rimasto

colpito dal fatto che la gente partecipi veramente agli spettacoli,

anche se gli italiani, talvolta, sono un po’ troppo rumorosi…

Andare a teatro in Giappone è completamente diverso: tutti sono

composti e silenziosi… che noia! Ricordo che una volta, mentre

ero in Italia, sono andato a ascoltare un’opera di Respighi quasi

per caso. Non conoscevo questo autore e sono andato a teatro

senza essermi preparato prima: non ho capito niente e mi sono

quasi addormentato...

Quali sono i suoi programmi futuri?

Sto pensando di fare un viaggio in Europa. Oramai sono più di

dieci anni che non vengo in Italia e mi piacerebbe tornarci…

Credo che in questi anni sia cambiata parecchio…

Intervista allo scrittore Haruki Murakami

di Stefania Viti

Haruki Murakami, icona mondiale della letteratura contempo-

ranea, da anni intrattiene un rapporto speciale col nostro paese:

venti anni fa, quando decise di lasciare il Giappone, scelse di sta-

bilirsi proprio in Italia. E proprio nel nostro paese Murakami ha

composto alcuni dei suoi capolavori, da Tokyo Blues-Norwegian

Wood, (Feltrinelli) che lo lanciò sulla scena internazionale a Dance

Dance Dance (Einaudi). I romanzi di Murakami, che alterna l’atti-

vità di scrittore a quella di traduttore e saggista, sono ormai dei

classici e vendono milioni di copie in tutto il mondo. Umibe no

Kafuka (Kafka sulla spiaggia) il romanzo che uscirà prossimamente

in Italia per Einaudi nella traduzione di Giorgio Amitrano, è stato

inserito dal New York Times, tra i migliori dici libri del 2005: tra-

guardo raro per un giapponese, possibile se si tratta di Murakami.

Autore visionario e surreale, amatissimo dai ragazzi, è accompa-

gnato dalla fama di uomo schivo e misterioso, allergico a interviste

e mondanità…

Come mai ha accettato la nostra intervista?

Me lo ha chiesto al momento giusto: se fossi stato nel mezzo della

stesura di un romanzo non avrei accettato. In questo momento

sto traducendo e scrivendo un saggio: una sorta di riflessione per-

sonale sul rapporto che esiste tra la corsa e la scrittura, tra salute

fisica e mentale. Per me è molto importante, io sono da anni un

maratoneta… Inoltre ho vissuto in Italia per un po’ di tempo. È

stato un bel periodo e gli italiani mi piacciono molto…

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Giu / Lug 2006 Viste 1716 Giu / Lug 2006 Viste

Osservando i risultati del sondaggio (interessante ed utile) sul-

l’immagine dell’Italia in Giappone, sorgono, nella mente di un

addetto alla promozione del Turismo Italiano, alcune domande

spontanee.

1) Perchè i sistemi produttivi italiani che offrono beni e servizi

(tra cui quelli relativi al turismo) sul mercato giapponese, nono-

stante gli sforzi e l’azione di coordinamento e convincimento

della Camera di Commercio e dell’Ambasciata d’Italia a Tokyo,

vanno, più o meno, ognuno per conto suo?

2) Quale economia di scala potrebbe venir raggiunta da azioni

promozionali congiunte in Giappone tra i vari sistemi produttivi

italiani?

3) Quale potrebbe essere l’utilizzo delle risorse risultanti dalle

economie di scala raggiunte?

4) Quali sono i settori della nostra economia maggiormente in

sofferenza in Giappone che potrebbero meglio beneficiare di

una promozione integrata “di sistema”?

Dal sondaggio, emerge chiaramente che l’Immagine della Marca

Italia in Giappone esercita un forte impatto globale sul mercato:

troppi e troppo diversificati sono i settori produttivi italiani e,

conseguentemente, le linee di penetrazione del mercato per non

pensare che l’Italia sia già entrata a far parte del “quotidiano”

nella vita dei giapponesi.

Argomenti di interesse italiano, prodotti, costume, lifestyle,

design, gastronomia, stanno permeando la vita di ogni giorno e

tutti i cittadini di questo Paese, naturalmente, subiscono l’influs-

so (positivo) di marchi di eccellenza italiana, aiutati in questo dal

clima favorevole instauratosi e dall’immagine percepita della vita

italiana, avvertita dai giapponesi come più rilassante rispetto allo

stress del comune cittadino.

Tutto ciò invoglia i giapponesi (e, soprattutto “le” giapponesi), a

comprare italiano ed ad un diverso stile di vita, che vorrebbe

assomigliare a quello che viene creduto sia il nostro stile di vita.

A questo punto, occorre che le strategie di promozione tengano

conto del clima favorevole all’Italia e del processo evolutivo del

mercato, reagendo con tempestività a quanto possa agevolare la

nostra economia.

Alcune convenzioni tra ICE/MAE ed ENIT/MAE, nella quale si fa

anche tesoro delle risorse contenute negli Istituti Italiani di

Cultura all’estero, vanno in questa direzione e la promozione

congiunta delle Istituzioni, grazie anche all’ottimo clima istau-

ratosi, è già una realtà che si sviluppa sempre di più.

Probabilmente potrebbero venir ottenute ulteriori sinergie tra gli

operatori di settori omogenei, con il risultato di possibili pro-

mozioni intersettoriali, ad esempio, tra operatori dell’enoga-

stronomia italiana in Giappone e la promozione dell’Italia come

meta di destinazione turistica, oppure tra le organizzazioni che

allestiscono mostre su beni culturali italiani e le Regioni dalle

quali gli oggetti esposti provengono, offrendo ai visitatori

opportuno materiale promozionale.

Un esempio banale potrebbe essere la messa a disposizione

degli ospiti dei ristoranti italiani di materiale promozionale sulle

Regioni Italiane alle quali la cucina del ristorante si ispira, o, pari-

menti, offrire agli acquirenti di vini italiani, anche informazioni

sulle zone di produzione vinicola quali mete di destinazione tu-

ristica, nella quale assaporare quello stile di vita e quei sapori

che alimentano, oltre che il corpo, anche l’immaginario.

Il successo del Turismo Italiano in Giappone non dipenderà cer-

tamente dalla promozione congiunta ma dalla competitività del

nostro Paese sul difficile rapporto prezzo/qualità dei servizi di

accoglienza, ma, viste le scarse risorse allocate e l’insufficiente

attenzione da parte delle diverse aree politiche alla promozione

all’estero dell’Italia come meta di vacanza, potrebbe senz’altro

essere utile non disperdere quel poco su cui si può contare.

Un’iniziativa che fa ben sperare sarà senz’altro la promozione

congiunta dell’immagine Italia nell’ambito della “Primavera

Italiana 2007“, in programma dal 21 marzo alla fine di giugno:

in quell’occasione la concentrazione di eventi italiani non potrà

non superare il livello di soglia di attenzione del mercato.

Potrebbe essere questa un’ulteriore occasione per dimostrare

che si può fare promozione anche se le risorse a disposizione e

l’attenzione del mondo politico, non sono certamente pari a

quelle dei paesi concorrenti.

La collaborazione tra le Istituzioni sarà certamente la “guidance

line” alla quale si presterà sempre più attenzione: non credo

che, date le linee di austerità che il nuovo Governo del Paese

dovrà osservare, rimarrà molta scelta.

Sistema Italia e Promozione Globaledi Enrico MartiniDirettore ENIT, Tokyo

Turism

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Page 11: Viste, maggio 2006

Leader nel settore viaggi, H.I.S è una delle più importanti fab-

briche del turismo del paese del Sol Levante. Dopo nemmeno

trent’anni dalla sua nascita è presente in 47 paesi con 57 uffici

diretti e vanta un organico di oltre 3.000 impiegati. Fin dagli anni

‘80, quando un viaggio all’estero era ancora appannaggio di

pochi, H.I.S. ha cercato di rendere accessibile il viaggio a un mag-

gior numero di persone possibili, conciliando sicurezza, qualità e

buoni prezzi. “La filosofia della nostra azienda può essere riassun-

ta in due parole: “free travel” – spiega Bobby A. Haque, H.I.S.

General Manager. Questo significa non solo rendere il viaggio

accessibile al maggior numero di persone possibili, ma anche per-

sonalizzarlo, adeguandolo alle esigenze individuali dei nostri clien-

ti. Negli anni ’80 la maggior parte dei giapponesi viaggiava in

gruppo e il nostro modo di concepire il viaggio era nuovo: i primi

a recepire questo nuovo stile sono stati i giovani. Anche oggi,

infatti, la fascia che va dai 20 ai 40 anni è il nostro punto forte”.

Nel mercato giapponese si stanno però affacciando altre tipologie

di clienti: i baby boomers – gli ultra 50enni in pensione – saranno

una delle fasce più consistenti del futuro. “Non siamo specializzati

in questo segmento di mercato – continua Haque - anche se il tar-

get degli “active senile” è sicuramente una fascia d’età impor-

tante su cui bisogna investire”.

L’Europa è una delle mete più richieste e in essa l’Italia fa la parte

del leone. “Mentre Francia e Inghilterra sono identificate con le

rispettive capitali, Parigi e Londra, l’offerta italiana è variegata sia

per luoghi che per cose da fare e vedere – spiega Haque. I clienti

di solito si fermano in Italia svariati giorni e anche nei pacchetti in

cui sono presenti itinerari che toccano altri paesi il soggiorno

medio in Italia è sempre piuttosto lungo. Le mete preferite sono le

grandi destinazioni, Roma, Firenze, Milano o Venezia. Sta emer-

gendo anche l’Italia minore, ma prima di concentrarci in quella

direzione mi sento di dire, continua Haque, che per H.I.S. le grandi

città hanno ancora molto da offrire. Va aggiunto, inoltre, che gra-

zie alla varietà dell’offerta italiana, il cliente è facilmente fideliz-

zabile: chi va in Italia una prima volta, con molte probabilità ci

ritorna”. Come emerge dai risultati del sondaggio il Bel Paese è

descritto con aggettivi che si collegano alla sfera femminile: bello,

pieno d’arte e di buon cibo, con uno stile di vita che sembra

esercitare un’attrattiva irresistibile soprattutto per le donne.

“Effettivamente è così – conferma Haque. La maggior parte dei

clienti che scelgono l’Italia sono donne. La fascia d’età è molto

ampia, ma sono soprattutto le ragazze tra i 20 e i 30anni a

rimanere affascinate dall’Italia. Ultimamente però si sta affaccian-

do sul mercato un nuovo tipo di cliente, la coppia formata da

madre e figlia. Proprio per loro abbiamo creato pacchetti e offerte

speciali. Gli uomini, quando viaggiano in Italia lo fanno di solito

Italia: un paese che ha ancora moltoda offrire ma carente nei servizi

per accompagnare mogli o fidanzate. Non si tratta però di una

discriminante relativa all’Italia: semplicemente gli uomini, quando

viaggiano da soli o tra amici, cercano altre cose”. L’immagine

dell’Italia è positiva e a rendere ancora più bello il nostro paese ci

pensano gli italiani. Aperti, solari, trendy e simpatici sono molto

amati dai giapponesi. “L’Italia è indubbiamente una meta vincente

e per noi semplice da promuovere. Molto più che per altri paesi il

carattere degli italiani piace ai giapponesi. Peccato che poi tutto

non funzioni come dovrebbe… i problemi più sentiti sono gli

scioperi e i ritardi dei mezzi di trasporto, che mettono in difficoltà

anche noi organizzatori. Il problema della sicurezza nelle città

come quello dei borseggiatori, invece, non scoraggiano il cliente a

partire. A scoraggiarlo sono semmai le file e le difficoltà nel preno-

tare i biglietti nei musei”. I nostri marchi sono tra i più apprezzati

in tutto il mondo, e fare shopping in Italia è sempre stato una

delle attrattive del nostro Paese. “È ancora così - continua Haque -

anche se con l’arrivo dell’euro le cose sono cambiate e adesso è

tutto più caro. Ma anche il cliente giapponese è

cambiato, si è evoluto ed è diventato un consuma-

tore più consapevole rispetto a qualche anno fa.

Prezzo e qualità sono due leve di mercato fonda-

mentali, ma non ce n’è una più importante dell’al-

tra: il segreto sta nel saperle bilanciare ”. Negli ulti-

mi due anni in Italia il turismo ha vissuto un leggero

calo, anche se il settore sembra in ripresa. “Il calo

effettivamente c’è stato. L’Italia è un paese che si

vende da se ma deve investire di più nella pro-

mozione. Più che la televisione sono le riviste ad

avere un grosso impatto sulle ragazze giapponesi:

molte di loro si presentano in agenzie con le riviste,

chiedendo di questo o quel posto. Oggigiorno c’è

poi da considerare anche internet e le infinite possi-

bilità che offre.” Sebbene l’Italia sia ancora ai primi

posti nelle preferenze dei clienti che vogliono recar-

si in Europa, altri paesi si stanno affacciando sul mercato.

“Ultimamente stanno emergendo l’Europa centrale e paesi come

la Croazia e l’Europa dell’est - continua Haque – ma siamo ancora

molto lontani dai numeri che facciamo con l’Italia…”. La politica

di H.I.S. è quella di seguire da vicino il cliente, per questo ha

sviluppato una rete di agenzie dirette nelle principali destinazioni.

Due uffici si trovano anche in Ital ia, a Roma e Firenze.

“Accompagnare il cliente per mano, cercando di essergli il più vici-

no possibile anche all’estero fa parte della nostra strategia di

sviluppo – conclude Haque. Assumiamo molto personale locale,

ma spesso dobbiamo mandare il nostro a lavorare fuori. Il

Giappone è un mercato particolare e la lingua non è un problema

da sottovalutare. Quando però decidiamo di inviare personale

giapponese in Italia dobbiamo affrontare un grosso problema,

quello dei visti. Ci vuole mediamente un anno per ottenere un

visto di lavoro. Questo non invoglia e non aiuta l’espansione com-

merciale in Italia”.

Giu / Lug 2006 Viste 1918 Giu / Lug 2006 Viste

Intervista a Bobby A. Haque, General Manager H.I.S.

di Stefania Viti

Turism

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ENIT

Page 12: Viste, maggio 2006

Giu / Lug 2006 Viste 2120 Giu / Lug 2006 Viste

Dai sondaggi, come tutti sanno, emergono molte verità che per lo

più si adattano all’oggetto della ricerca nel suo complesso. Non sem-

pre è semplice dunque estrapolare un dato settoriale isolandolo dal

contesto e dai vari fattori che influenzano il risultato finale.

Per quanto riguarda la Scienza e la Tecnologia il sondaggio ha forni-

to un risultato non inatteso. Difficilmente si poteva pensare che da

un campionamento bilanciato sul “giapponese medio”, potesse

emergere un risultato di grande attenzione alle nostre eccellenze

della ricerca o della industria hi-tech. In fin dei conti, con molta pro-

babilità, anche “l’italiano medio” avrebbe risposto al questionario di

Viste nello stesso modo.

Il fatto è che le nostre eccellenze S&T sono spesso “nascoste”.

Prendiamo ad esempio quello che il sondaggio ci indica come il

prodotto maggiormente associato dal pubblico giapponese all’im-

magine dell’Italia: la pasta. Questo prodotto, di larghissimo consumo

ed ormai entrato nelle abitudini alimentari di moltissimi Paesi è, infat-

ti, frutto di una serie di conoscenze scientifiche (in biologia, chimica,

impiantistica, informatica etc) elevate dall’Italia a livelli di assoluta

eccellenza mondiale. E la stessa cosa può dirsi per gli altri settori

“vincenti” della nostra economia, quali l’Alta Moda e l’abbigliamen-

to, il design, la gioielleria e l’industria del cuoio, per i quali vi è una

forte dissociazione tra il contenuto scientifico-tecnologico del

prodotto e l’immagine che ne ha il consumatore.

Al riguardo, pare interessante fare un’ulteriore considerazione: dal

sondaggio emerge che il pubblico giapponese percepisce l’Italia

come un Paese poco competitivo, tecnologicamente poco avanzato

e con bassa produttività industriale. Allo stesso tempo, l’Italia viene

vista come un Paese che produce beni di grande qualità ed innova-

tivi, ritenuti poi particolarmente adatti al sofisticato ed esigente mer-

cato giapponese. Come spiegare questa apparente contraddizione?

Probabilmente con la considerazione che l’Italia non è associata alla

produzione di prodotti di largo e quotidiano consumo (medicine,

telefoni cellulari, televisori, apparecchi audio-video etc), il cui evi-

dente contenuto high-tech aiuta l’associazione Scienza-Paese. Al

contrario, molto probabilmente, i settori in cui abbiamo una leader-

ship a livello mondiale si giovano di un’ immagine di produzioni

”home made”, in qualche modo legate a modelli semi-artigianali in

grado di garantire una qualità diversa, più “personalizzata” e di più

elevato livello. Un’ immagine che, per tornare a quanto detto

poc’anzi, occulta una realtà produttiva ben differente.

Al di là di quanto precede, dalla nostra esperienza rileviamo invece

che la percezione che dell’Italia hanno gli “addetti ai lavori” con cui

intratteniamo rapporti di collaborazione è quella di un Paese con

importanti eccellenze tecnologiche, ciò che vale soprattutto per co-

loro che hanno avuto pregresse esperienze di lavoro da noi.

Proprio per questo, l’Ambasciata ha avviato, ormai da 3 anni, 4

Laboratori Congiunti che, sia all’interno delle più prestigiose università

giapponesi, sia in Italia, vedono quotidianamente ricercatori ed esperti

italiani e giapponesi lavorare a diretto contatto su progetti comuni.

Nei settori ad altissimo contenuto tecnologico della robotica avanzata,

delle nanotecnologie e della prevenzione dei disastri naturali già

l’immagine in Giappone del nostro Paese sta mutando.

Vanno viste in tale prospettiva molte delle iniziative in programma

nell’ambito della “Primavera Italiana 2007”. Le esposizioni ed i semi-

nari a carattere scientifico e tecnologico previsti in tale contesto si pre-

figgono infatti l’obiettivo di contribuire alla diffusione di un immagine

più moderna ed attuale dell’Italia, anche attraverso presentazioni di

facile ed immediata comprensione per il grande pubblico.

Le Scienze e le Tecnologie non...“Viste”a cura dell’Ambasciata d’Italia a Tokyo

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Page 13: Viste, maggio 2006

Un messaggio emerge chiaro e impietoso dal sondaggio sull’im-

magine che si ha in Giappone dell’Italia. Il Giappone non ci vede

come partner tecnologico.

Con buona pace di chi come lo scrivente si arrabatta quotidiana-

mente a cercare di convincere gli amici giapponesi che in Italia vi

sono eccellenze tecnologiche, degne di considerazione per col-

laborazione e investimento, il sondaggio fornisce una fotografia

inequivoca. Germania e Regno Unito sono partner tecnologici

affidabili, l’Italia no.

Difficile sorprendersene: alcuni esempi, che attingono a una pur

limitata esperienza quale la mia (sono in Giappone da poco meno

di cinque anni) sembrano confermare l’esistenza di un problema,

suggerendo alcune considerazioni.

A ottobre di due anni fa, una società giapponese legata alla for-

nitura di contenuti multimediali per telecomunicazioni rileva il

50% del Grenoble calcio, squadra francese di serie B, per 1,3 mi-

lioni di euro, oltre farsi carico dei debiti. Qualche settimana

prima, la stessa società aveva acquisito in Francia altre due

aziende e stretto alleanze in Scandinavia e Germania. Negli stessi

mesi, un'altra società, sempre giapponese e attiva nel medesimo

settore, compie operazioni analoghe nel Regno Unito, in Spagna

e in altri Paesi europei. Il tutto per decine di milioni di euro.

Una chiacchierata con il management delle due aziende rivela

che l'Italia non era nel mirino perché non sapevano pressoché

nulla del mercato italiano.

Qualche mese più tardi, durante la primavera 2005, due start-up

tecnologiche si affacciano contemporaneamente sul mercato del

venture capital giapponese alla ricerca di finanziamenti. Una è

italiana e ha sviluppato un software per la sincronizzazione e la

gestione in remoto di apparecchi mobili come telefoni cellulari.

L’altra, norvegese, ha messo a punto un software per la televi-

sione digitale on-demand. Entrambe dispongono di una buona

tecnologia, sviluppata in modo proprietario e di cui detengono

di Ludovico CiferriFar East & Australasia Senior Advisor, Torino Wireless

Sotto il vestito....un Bel Paese

Giu / Lug 2006 Viste 2322 Giu / Lug 2006 Viste

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24 Giu / Lug 2006 Viste Giu / Lug 2006 Viste 25

non sia possibile utilizzarle in modo diverso, forse più efficace.

Una terza considerazione è, per dirla con crudezza, che spesso “il

Paese non c’è”. Quante volte è capitato, credo a molti di noi, di

andare avanti salvo scoprire poi che “dietro l’azienda non c’era”:

perché non era pronta come aveva invece detto di essere, perché

aveva cambiato strategia o idea, perché il management aveva liti-

gato, o semplicemente per pura cialtroneria locale. Chi lavora su

questo mercato sa che in Giappone un errore si paga molto caro

in termini economici, che della nostra flessibilità agli amici giap-

ponesi interessa relativamente poco, che se una trading house è

interessata a investire qualche decina di milioni di euro in

un’azienda italiana il minimo che si possa fare è salire al volo su

un aereo e venire in Giappone. Diversamente verrebbe naturale

pensare che il mercato giapponese, e più in generale quello asia-

tico, non siano considerati strategici. Come peraltro il governo

uscente aveva ben dimostrato nei fatti.

Per finire, resta da rispondere al quesito forse principale. Posto

che sia possibile lavorare per promuovere in Giappone un’im-

magine diversa del nostro Paese, attenta agli aspetti tecnologici,

sarebbe utile farlo? Il costo che ne deriverebbe potrebbe esser

giustificato in termini economici, che so da un maggior contribu-

to del settore al prodotto nazionale lordo, da un maggior flusso

di imposte dirette verso l’erario e così via? Se anche migliorassi-

mo l’immagine “tecnologica” dell’Italia in Giappone, ciò

aiuterebbe a vendere più vestiti, occhiali, auto, motociclette?

Onestamente non saprei, sono questioni di politica economica

che vanno lasciate ai politici. Chi scrive sommessamente avanza

comunque un dubbio: che di sole mutande griffate, caciotte di

latte biologico di capra d’Alta valle e di vino più o meno doc un

Paese difficilmente possa vivere a lungo.

Ci sono cose di cui tutti dovremmo esser orgogliosi in campo sci-

entifico e tecnologico. Dovremmo convincerci che dopo Galilei e

Golgi abbiamo avuto personalità del calibro dei vari Fermi e

Natta, cui son seguiti in anni più recenti imprenditori come Enzo

Ferrari, scienziati come Carlo Rubbia e tecnologi come Federico

Faggin, il padre del moderno microprocessore.

Se provassimo a convincere anche i nostri amici giapponesi che è

stato proprio grazie al nostro stile di vita che son potuti nascere e

crescere cervelli di quel calibro… se cercassimo di spiegare loro

che è da quel melting-pot sociale che è il nostro Paese che può

uscire il genio creativo italiano… forse capiremmo tutti un po’

meglio che sotto il vestito…c’è un Paese.

anche la proprietà intellettuale. Il management è in tutte e due i

casi dotato di esperienza significativa, buono è anche il mercato

potenziale per entrambe le soluzioni.

Ottenere un appuntamento che sia espressione di un reale inte-

resse e non di pura cortesia nei confronti dello scrivente, si rivela

molto più impegnativo per l’azienda italiana che per quella

norvegese. Alla fine, la start-up italiana viene finanziata nella

Silicon Valley, dove oggi prospera pur mantenendo il proprio cen-

tro ricerca e sviluppo del software nella (ridente) Padania (in

Lombardia un buon ingegnere informatico costa praticamente

come un indiano a Bangalore, offrendo tuttavia qualche difficoltà

gestionale in meno). L’azienda norvegese chiude.

Più recentemente, promuovendo in Giappone Torino Wireless, il

distretto tecnologico italiano impegnato fra l’altro nello sviluppo

di Galileo, il sistema europeo di navigazione satellitare, ci si

imbatte in una primaria manifatturiera giapponese che produce

apparecchi elettronici. L’incontro volge al meglio e si inizia a

ragionare in termini di sviluppo congiunto di un semiconduttore

(chip) per ricevere il segnale del sistema Galileo nei telefoni cellu-

lari così come in tutti gli apparecchi mobili di prossima gene-

razione (navigatori per automobili, pda per flotte vendita ecc.)

Senonché quando si comincia a parlare di tecnologia e di speci-

fiche competenze l’interlocutore giapponese sembra incerto,

quasi dubitasse del track-record italiano. L’incertezza prende

corpo in una domanda apparentemente innocua, in realtà rivela-

trice: “voi fate lo stesso lavoro del gruppo di xy in Germania?”.

La risposta italiana è netta: “siamo loro partner nella realiz-

zazione di applicazioni basate su Galileo, in particolare per la

parte di sviluppo dei semiconduttori, dove siamo noi a guidare il

progetto”. Superata la sorpresa, l’incontro si distende all’insegna

del “se lavorate con i tedeschi allora siete affidabili”.

Una prima considerazione è, a mio sommesso avviso, che dunque

un problema effettivamente esista. Si potrebbe disquisire all’in-

finito sulla reale entità del fenomeno, ma dubitarne l’esistenza

sarebbe sciocco.

Una seconda considerazione è che il problema persiste nono-

stante tutti gli sforzi fatti per promuovere un’immagine diversa

dell’Italia. In questo non sta un giudizio negativo sull’operato di

chi è a ciò preposto, quanto piuttosto una considerazione a par-

tire dai risultati. Se il problema sussiste, gli sforzi non sono

dunque stati sufficienti. Che di più non si potesse fare perché le

risorse sono limitate per tutti, in particolare in questi ultimi anni,

è probabilmente vero, ma non cambia i termini della questione.

Ci si deve allora domandare se date le risorse limitate disponibili

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Page 15: Viste, maggio 2006

Tecnologia, innovazione, competitività.

Parole che non vengono di solito associate all’Italia, alla sua

tradizione e alle sue persone. Il nostro Paese è maggiormente

conosciuto per il mondo dell’arte, la cultura, lo sport, la cucina o

ancora l’estro e la genialità.

Pochi invece sanno che, grazie a Finmeccanica, alle sue aziende

e al patrimonio di conoscenze e di ricerca che in

esse si sviluppa, l’Italia è in grado oggi più che

mai di competere sulla frontiera dell’innovazione,

aiutando il Paese a non subire la crescente com-

petizione globale, ma a giocare piuttosto un

ruolo da protagonista.

Finmeccanica è il primo gruppo italiano e tra i

principali al mondo nel settore dell’aerospazio,

della difesa e della sicurezza, con eccellenze in

attività quali l’elicotteristica, i velivoli addestra-

tori, i materiali compositi, l’elettronica e le teleco-

municazioni.

Nel corso del 2005 il Gruppo, che conta quasi

57.000 dipendenti nel mondo, di cui circa 15.000

all’estero, ha impresso una decisa accelerazione

rispetto ai principali driver della sua strategia

industriale: la crescita organica, l’internazionaliz-

zazione sui mercati e la redditività hanno fatto di

Finmeccanica un player riconosciuto sulla scena

internazionale, con un dinamismo apprezzato

dagli investitori e dalla stampa. Oggi con ricavi

per 11 miliardi di Euro, ordini per oltre 15 miliardi

di Euro, investimenti in Ricerca & Sviluppo pari al 15% del valore

della produzione, Finmeccanica è posizionata tra le prime dieci

aziende al mondo.

Il mercato dell’aerospazio, difesa e sicurezza, in forte evoluzione

già dagli anni ’90, sta conoscendo importanti rivolgimenti dettati

dalle nuove caratteristiche delle minacce e dalle esigenze di

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L’alta tecnologia made in Italy sicurezza imposte ai Governi. Nello specifico, ci sono alcuni se-

gmenti tecnologici il cui peso è sempre più importante nelle

architetture di difesa e sicurezza: l’elettronica, le comunicazioni,

i satelliti e la radaristica costituiscono lo scheletro dei nuovi siste-

mi per la “homeland protection”. A ciò si affianca la rilevanza

strategica delle piattaforme (elicotteri, aerei, navi, satelliti), il cui

valore aggiunto risiede nella capacità di essere parte di un si-

stema integrato. Queste motivazioni hanno spinto Finmeccanica

da un lato a favorire la concentrazione sul proprio core business

dell’aerospazio, difesa e sicurezza, dall’altro a ricercare opportu-

nità su mercati tecnologicamente qualificati e in cui poter svilup-

pare soluzioni complesse per rispondere nella maniera più

idonea ai requisiti del cliente.

A titolo di esempio, proprio nell’ultimo biennio, sono stati con-

clusi importanti accordi nei settori dell’elettronica e nelle comu-

nicazioni per la difesa (con l’inglese Bae Systems), nel campo dei

satelliti (con la francese Alcatel) e nell’elicotteristica (con l’acqui-

sizione del 100% di Agusta Westland). In particolare l’acqui-

sizione di importanti assett nel Regno Unito ha portato

Finmeccanica ad essere i l primo fornitore straniero del

Ministero della Difesa in quel paese. L’attenzione rivolta alle

opportunità create dal mercato si è ovviamente accompagnata

ad una politica di rafforzamento e valorizzazione delle compe-

tenze tecnologiche del gruppo.

L’eccellenza dell’alta tecnologia made in Italy ha conquistato

anche i mercati più complessi, garantendo all’Italia una fines-

tra di visibilità, credibilità e di riconoscimento del proprio

“saper fare”: un esempio per tutti è quello della vittoria della

gara per l’elicottero presidenziale negli USA, la versione ame-

ricana dell’EH101.

Particolarmente attivi sono anche i settori Energia e Trasporti,

Giu / Lug 2006 Viste 2726 Giu / Lug 2006 Viste

a cura di Finmeccanica

Sopra: l'elicottero presidenziale USA, versione americanadell' EH 101. A sinistra l’ATR 42

Page 16: Viste, maggio 2006

Giu / Lug 2006 Viste 2928 Giu / Lug 2006 Viste

dove il Gruppo Finmeccanica ha ottenuto importanti successi

commerciali in diversi paesi al mondo e riconoscimenti dal

mercato finanziario grazie alla quotazione in borsa nei

primi mesi dell’anno di Ansaldo STS (sistemi ferroviari e

segnalamento).

Ovviamente l’area asiatica è per Finmeccanica, e

per l’Italia, un riferimento primario in termini di

politica di sicurezza, penetrazione industriale

e collaborazione tecnologica. Il Giappone in

particolare è tra i mercati più qualificati per

le sue capacità tecnologiche.

Finmeccanica, attraverso la Agusta Westland leader

mondiale nel settore dell’ala rotante, ha avviato la

fornitura di 14 elicotteri EH101 alla Marina

Giapponese, grazie ad un accordo con la

Kawasaki Heavy Industries per la produzione

su licenza dell’elicottero di maggior succes-

so a livello internazionale. A ciò si

aggiungono le vendite di 12 AW139

(contratto annunciato al recente

salone aeronautico di

Singapore) e di diversi

A109, questi ultimi già

da tempo operanti nel

paese.

La Finmeccanica, attraverso la propria controllata Alenia

Aeronautica, sta inoltre promuovendo in questi ultimi mesi il

proprio ATR42 nella versione da pattugliamento marittimo

per soddisfare un requisito della Japan Coast Guard e,

in collaborazione con l’industria aeronautica

inglese, sta iniziando a presentare le caratteri-

stiche tecniche del velivolo da difesa

Eurofighter per un prossimo fabbisogno

della Forza Aerea Giapponese.

Sul tema delle collaborazioni industriali la Finmeccanica

è in prima linea nel programma per il futuro aereo da

trasporto civile Boeing 787 Dreamliner, di cui sono

partner anche importanti aziende giapponesi, ed

inoltre l’azienda mantiene rapporti di cooperazione

nel settore Spazio con le aziende giapponesi

attraverso i rapporti esistenti tra le rispettive

Associazioni Nazionali Spaziali.

Tradizione e innovazione: due termini

che il mondo ed in particolare il

Giappone, auspichiamo e credi-

amo, imparerà ad associare

all’Italia e all’alta tecnologia

Finmeccanica.

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Un modello dell'EuroFigther

Page 17: Viste, maggio 2006

Giu / Lug 2006 Viste 3130 Giu / Lug 2006 Viste

Fa compagnia a Leonardo da Vinci e Michelangelo. È più

conosciuto di Del Piero e Giorgio Armani. Nella Top Ten degli

italiani più famosi in Giappone, Girolamo Panzetta batte tutti.

“Nessuno è profeta a casa propria” dice un antico proverbio, e

sembra scritto proprio per lui:

Girolamo è semisconosciu-

to in Italia ma famosissi-

mo in Giappone.

Inseguito dagli sponsor,

amato dalle fans, Giro-

san, come lo chiamano

qui, appare in spot com-

merciali e in talk show

televisivi. Al suo atti-

vo vanta 19 l ibr i

sul l ’ I ta l ia , t iene

una rubr ica su

Leon, un famosa

rivista di moda

g i a p p o n e s e ,

scr ive recen-

s ioni di c ine-

ma, fa il com-

m e n t a t o r e

sportivo alla tele-

v is ione e di recente ha

iniziato a fare pure il doppia-

tore per un film della Disney.

Girolamo, con tutte le cose che fai ti manca solo di fare l’at-

tore…

Effettivamente potrebbe capitare anche quello. Ne stiamo par-

lando coi miei manager…

Ma dove trovi l’energia per fare tutte queste cose?

Non lo so… So solo che le persone che pensano che la mia vita

sia fatta solo di feste si sbagliano di grosso. Ci sono anche

quelle, perché fanno parte del mio lavoro, ma in pochi sanno

che spesso resto ai party solo il tempo per farmi fotografare.

Lavoro moltissimo tutti i giorni e adesso, coi mondiali, pure di

notte… Ho veramente pochissimo tempo per la mia vita privata

e mi dispiace.

Già, la tua vita privata: le malelingue dicono che il tuo successo

sia dovuto a un matrimonio eccellente…

Sul serio? Certo mia moglie è ed è stata di grande aiuto: 17

anni fa, quando sono arrivato in Giappone, lavoravo nell’azien-

da di mio suocero e poi studiavo. Sempre con mia moglie ho

scritto i miei libri. Vengo comunque da una buona famiglia, che

mi ha permesso di stare qui e studiare senza troppi problemi.

Pochi sanno che mi sono anche laureato in economia, mentre in

Italia avevo studiato architettura per qualche anno…

Ma come hai iniziato a lavorare in tv?

Quasi per caso. Un giorno andai a accompagnare un mio amico

a un provino alla NHK: lo feci anche io e mi presero. Mi ritrovai

così catapultato in un programma di lingua italiana: facevo la

parte del cameriere e non dicevo una parola. Però parlavo con

gli occhi, con la faccia, con la mia espressione. Fu un successo e

mi assegnarono un programma di lingua. A differenza di quan-

to era successo fino a quel momento creammo qualcosa di

nuovo, un nuovo modo d’insegnare. Eravamo attori più che

insegnanti: l’idea era quella di unire lo stile alla grammatica. Fu

un successo, tanto che dopo di noi molti hanno cercato d’imi-

tarci…

Secondo te, perché Giro-san piace così tanto ai giapponesi?

Credo che il mio più grande talento sia la spontaneità, riuscire a

trasmettere quello che sento. Non mi piacciono le cose costruite

e nelle mie scelte seguo molto l’istinto. Inoltre quando faccio

qualcosa cerco di farlo con il massimo della sincerità e della

responsabilità possibile: c’è studio e preparazione dietro a ogni

cosa che scrivo o che dico. Non si può andare in video e parlare

a vanvera: la tv non perdona e i giapponesi sono informatissimi

su tutto. Inoltre c’è anche un pizzico di fortuna, forse sono cap-

itato al posto giusto al momento giusto. I giapponesi sono

molto curiosi e oggi come oggi Giro-san rappresenta uno “stile

di vita”, quella parte “vivace” che i giapponesi tendono a non

esternare. Lo stile italiano…

Però molti ti accusano di vendere un’immagine stereotipata

dell’Italia…

Credo che chi la pensa così conosca poco il mio lavoro. Ho scrit-

to libri di cucina perché, personalmente, mi piace cucinare. Ma

ho fatto reportage anche su tanti altri aspetti dell’Italia. Nel far

conoscere l’Italia ai giapponesi bisogna andare per gradi.

Adesso loro apprezzano e conoscono soprattutto la parte estetica

e storica del nostro paese: lavoriamo tutti insieme per farci

conoscere sempre di più e sempre meglio. Io sono disponibile.

Credo, infatti, che mi si possa dire di tutto ma non che non mi

sto dando da fare per portare alto il nome dell’Italia nel

mondo…

Assolutamente… non a caso tra qualche mese diventerai

Cavaliere della Repubblica Italiana….

Sì, sono molto felice e ringrazio tutti già da adesso.

Eppure dicono che tu sia un tipo snob, che difficilmente rispon-

di al telefono…

Inconvenienti del mestiere… Come dicevo prima ho pochissimo

tempo libero e non riesco a stare dietro a tutto. Pensa che mi

capita di avere in segreteria anche 30 messaggi al giorno. Come

faccio a rispondere a tutti? In più, gran parte del mio tempo è

gestito dal mio manager e talvolta non riesco a programmare

nemmeno una pizza con gli amici…

Che effetto ti fa ritrovarti accanto a Leonardo da Vinci e a

Michelangelo?

Ho sentito un brivido sulla schiena quando ho letto i risultati del

sondaggio. Insomma, Leonardo è Leonardo… Però per quello

che mi riguarda non è un risultato arrivato dal niente: è il frutto

di tanto lavoro.

Girolamo, alla fine, chi è Giro-san?

Un uomo che ha imparato a sorridere.

Girolamo Panzetta: la faccia italiana del Giapponedi Stefania Viti

Inte

rvista

Page 18: Viste, maggio 2006

32 Mar / Apr 2006 Viste Giu / Lug 2006 Viste 33

PRIMAVERA ITALIANA

UNA SERIE DI EVENTI DI ALTA QUALITÁ SONO IN PROGRAMMA TRA MARZO E GIUGNO 2007.

LA MODA, LA CUCINA, LA CULTURA, LA TECNOLOGIA, LO CHARME:IL MEGLIO DELL’ITALIA NEL 21mo SECOLO

OBIETTIVI:

Presentazione di prodotti italiani che contengono commercio, innovazione tecnologica, cultura e turismo.

Rafforzamento della rete di partnerships che lega Italia e Giappone.

Offerta ai partner giapponesi pubblici e privati di maggiori opportunitá di accesso al mercato,alla cultura e alla societá italiana.

Incremento degli investimenti bilaterali.Valorizzazione dei tesori della cultura italiana attraverso mostre, concerti, arte.

2001L’anno dell’Italia in Giappone

2005Expo di Aichi: Padiglione ItalianoFestival Italiano - Tokyo Dome

2007

Page 19: Viste, maggio 2006

Giu / Lug 2006 Viste 35

Produciamo beni di grande qualità, abbiamo aziende famose nei rispettivi

settori, teniamo in gran cura l’ambiente, e, soprattutto, siamo “simpati-

ci”, “dotati di senso artistico” ed “alla moda”. Scusate se è poco, signori.

Il Giappone ci vuole bene. E così pure i giapponesi, gentil (e sempre più

determinante per i mercati) sesso in testa. Forzando un po’ i risultati di

questo sondaggio – il primo mai condotto in Giappone con criteri profes-

sionali (vedi box), verrebbe da dire che rappresentiamo quasi un modello.

Ed infatti siamo il paese più gettonato per un’eventuale trasloco: il 23%

degli intervistati (grafico1) si trasferirebbe volentieri a vivere da noi,

nonostante il rischio di impazzire alle stazioni, subire pesanti ritardi nei

trasporti, doversi confrontare con la microcriminalità e la burocrazia.

Insomma, l’immagine dell’Italia – e degli italiani – in Giappone sembra

essere più che positiva. Ma quanto di questa straordinaria e rassicurante

realtà dipende da antichi e fruttuosi incontri, da un’attrazione risalente,

se non all’arrivo dei primi gesuiti, quanto meno all’epoca Meiji, quando

assieme a quelli di altre nazioni, studiosi, artisti ed “esperti” italiani del

calibro di Chiossone e Fontanesi ebbero occasione di “mostrare sul

campo” l’arte del “fare” italiana? (Per chi non lo sapesse, Chiossone

regalò ai giapponesi la loro prima cartamoneta, diventando il primo diret-

tore della locale Zecca). Quanto hanno, viceversa, contribuito a rafforzare

– e se possibile traghettare nel tempo, modificandone alcuni aspetti - le

recenti rassegne promozionali, l’anno dell’Italia in Giappone, il Padiglione

Italiano di Aichi e tante altre manifestazioni pubbliche e private che negli

ultimi anni si sono succedute? E soprattutto, quanto siamo stati – e

siamo – capaci di capitalizzare questa naturale predisposizione, questo

valore aggiunto culturale che offre al made in Italy il Giappone ed i giap-

ponesi? Come mai il nostro interscambio, pur in costante aumento, non

esplode?

L’Italian Way Of Life detta legge in Giappone.Nononostante servizi inadeguati, microcriminalità e (quantomeno percepita) inaffidabilità sul lavoro, siamo di granlunga il paese straniero più “simpatico”, quello dove i giap-ponesi andrebbero volentieri a vivere.Ma soprattutto, facciamo tendenza. Dai modelli delleautovetture, la ristorazione, brands e spot pubblicitari,l’Italia e l’italiano spopolano. Ma non ne approfittiamo.E ad incassare sulla nostra immagine finiscono spesso peressere aziende straniere

di Pio d’Emilia

Mad for Italy

So

nd

ag

gio

0

5

10

15

20

25

30

35

Mi sento vicino alla sua popolazione Mi piacerebbe viverci Apprezzo i valori morali di questopaese

Mi piacerebbe lavorare con personedi questo paese

Potrei pensare di lavorare con unaazienda di questo paese

Indice di gradimento per Paese (grafico 1)

Al campione è stato richiesto l’apprezzamento rispetto a ciascun paese.Il più alto gradimento per l’ Italia è espresso con “mi sento vicino alla sua popolazione “e “vorrei viverci”.Le percentuali di apprezzamento per gli Stati Uniti d’America appaiono più alte rispetto a ogni altro paese,sebbene l’ impressione generale “mi piace molto” e “mi piace” sia bassa .Il gradimento espresso con “mi sento vicino alla sua popolazione”, “vorrei lavorare con le persone di questo paese”e “potrei pensare di lavorare per una compagnia di quel paese” è più alto per gli Stati Uniti d’ America con una per-centuale del 30 % o più. La percentuale di quelli che hanno affermato “mi piacerebbe viverci” è più alta per l’Italia con il 23% e quella di“apprezzo i valori morali” è più alta per la Germania con il 27% .

Base: Tutto il campione (5.000) / Italia Francia Gran Bretagna Germania Spagna U.S.A

29

13

1618

15

31

23

17 17

1314

2223

20

23

27

15

20

17

12

18

24

10

31

119

14

18

6

33

0%

20

10

30

40

50

60

70

80

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

Immagine dell’Italia (grafico 2)

La frase “l’Italia produce beni di buona qualità " viene menzionata dal 61% del campione, seguita da “indu-strie/aziende di successo” (24%) e “ protegge l’ambiente” (20%). L’affermazione “ha un sistema di trasporti pubblici non soddisfacente” viene menzionata dal 28% di tutticoloro che hanno visitato l’Italia ed è di 15 punti maggiore rispetto alla totalita’ di coloro che hanno risposto.

Tutti Uomini Donne Hanno visitato l'Italia

6157

66

72

24 23 2428

20 1921 21

1513

16

1113

15

10

28

11 1012

9 108

119 10 11

8

15

9 810

7 86

117 5 4 6 5 4 3 5 3

Produce beni di buona qualitàIndustrie/aziende di successoProtegge l’ambienteCompetitivoSistema di trasporto pubblico non soddisfacenteTecnologia avanzata

1.2.3.4.5.6.

Rilevante nella comunitàeconomica globaleAlta disoccupazioneSicuroAlta produttività industrialeSviluppo notevoleSi adatta rapidamente ai cambiamenti dell’economia globale

7.8.9.

10.11.12.

Base: Tutto il campione (5.000) /

0%

20

10

30

40

50

60

70

80

90

100

0

40

20

60

80

100

120

140

160

180

200

Immagine degli Italiani (grafico 3)

Sono state elencate al campione 27 caratteristiche ed è stata richiesta l’immagine percepita re-lativa alla popolazione di ciascun paese. Gli italiani sono fortemente percepiti come “simpatici” (64%), “creativi” (61%), “alla moda”(56%). Ma anche “intraprendenti” (42%). La media delle caratteristiche positive associate è7.0, la più alta tra i 6 paesi presi in considerazione dal sondaggio.I Giapponesi hanno un’ampia varietà di percezioni rispetto all’immagine degli Italiani. Sia inpositivo che in negativo.Tra i difetti principali che ci vengono attribuiti troviamo la mancanza diprecisione, di serietà sul lavoro, di affidabilità e di discrezione. Curioso il dato sull’intelligenza:siamo considerati molto creativi, ma appena il 5% degli intervistati ci considera particolarmente“intelligenti”. Settore in cui sono gli inglesi a trionfare con il 38% dei consensi (grafico 3b)In generale la percentuale tende ad aumentare, sia in positivo che negativo, tra coloro chehanno visitato l’Italia. Con un’unica eccezione. Mentre nel campione generale il 14% ci consi-dera poco ordinati, la percentuale si riduce drasticamente al 3% tra coloro che sono stati in Italia.

Tutti Hanno visitato

64

79

61

72

56

66

42

50

42

54

42

57

41

53

40

52

38

50

36

51

3841

31

46

28

44

26

43

23

33

151614

312

18

1114

9 8 8 8 8 85

85 5 4 4 4 3 4 4

Base: Tutto il campione (5.000) / Hanno visitato (715) /

La linea blu indica il divario di percentuale tra il campionetotale e coloro che hanno visitato l’Italia..

Simpatici

Dotatidisenso

artistico

Alla

moda

Intraprendenti

Spiritosi

Am

ichevoli

Creativi

Sexy

Romantici

Emotivi

Dinam

ici

Generosi

Irresponsabili

Gentili

Flessibili

Orgogliosi

Ordinati

Fuorimoda

Discreti

Sensibili

Affidabili

Indipendenti

Conservatori

Intelligenti

Lavoratori

Seri

Precisi

gra

fico 1

gra

fico 2

gra

fico 3

Page 20: Viste, maggio 2006

Giu / Lug 2006 Viste 3736 Giu / Lug 2006 Viste

Tra attrazione e stereotipi

Ad una prima lettura, il sondaggio della NetRatings è al tempo stesso

rassicurante e spietato. L’immagine dell’Italia (grafico 2) è forte, positi-

va, condivisa da tutte le generazioni e, pur con un certa differenzia-

zione, dai sessi, diffusa su tutto l’arcipelago. Ma è desolatamente

ancorata ai vecchi stereotipi. Ci consoli il fatto che questa tara si appli-

ca a tutti i nostri concorrenti: se noi siamo “simpatici”, “alla moda” e

“creativi” (ma anche “intraprendenti”, virtù che contraddistingue gli

americani, secondo il 40% degli intervistati), i francesi sono decisa-

mente più “eleganti” di noi, gli spagnoli più sexy, gli inglesi più con-

servatori ed educati, i tedeschi “capaci” e “seri” e gli americani, l’ab-

biamo visto (iper) attivi (80% delle risposte).

Interessante notare (grafico 3) un elemento che diventerà una

costante del sondaggio. Tra tutti gli intervistati, coloro che sono già

stati almeno una volta in Italia tendono ad “alzare il voto”. Scopriamo

così che, in questa categoria, il 57% degli intervistati ci considera

“amichevoli”, contro appena il 42% di quelli che in Italia non ci sono

mai andati. Interessante, no? I nostri uomini d’affari in Giappone, i

nostri “espatriati” – visto che di turisti ce ne sono pochi, in giro -

danno evidentemente un’immagine meno “amichevole” del barista di

Piazza del Popolo. Evidentemente non c’è solo il buon Donati (cfr.

intervista al direttore dell’Istituto di Cultura, pag. 45) che si fa carico,

nelle nostre stazioni, dei poveri turisti giapponesi alla ricerca del bina-

rio perduto. Ed essere gentili paga: alla fine le impressioni finiscono

nei sondaggi. Le cose peggiorano un po’ sul fondo scala, laddove si

parla di lacune, vizi e difetti. A parte una buona dose di “irrespon-

sabilità” (ce l’attribuiscono il 28% di coloro che non sono mai stati in

Italia, ed il 44% di quelli che invece ci hanno visto “giocare in casa”),

“affidabilità”, “serietà”, “scrupolosità” sono qualità che, rispettiva-

mente, appena l’8.8%, il 4.4% ed il 4.3% dei giapponesi ci riconosce.

Il che significa che oltre il 90% - oltre che poco intelligenti, ci consi-

dera decisamente inaffidabili, poco seri, anche sul lavoro. Per non par-

lare dell’essere “ordinati”. Mentre il 15% del campione generale ci

riconosce questa qualità, la percentuale crolla al 4% tra coloro che

sono stati in Italia.

Un dato che deve farci riflettere, ma che non sembra di facile

rimozione. Anche perché, come ci ricorda nel suo brillante articolo

Beppe Severgnini partiamo da autopercezioni completamente

opposte: oltre il 60% degli italiani si considera “affidabile”, “concre-

to” e “deciso”. Come facciamo a ridurre il gap?

Interessanti le “sintesi d’immagine” per ciascun paese illustrate dai

grafici 3a e 3b. Assieme ai nostri cugini francesi e – sorprendente-

mente – agli americani, risultiamo un popolo “con le curve”: con forti

connotati positivi e negativi. Siamo simpatici ma innaffidabili, così

come gli americani sono attivi ma “freddi”, i francesi “eleganti” ma

“poco amichevoli”, gli spagnoli “sexy” ma anche un po’ sciatti. Altra

storia per tedeschi (che peraltro vengono percepiti come molto

romantici, oltre che seri e affidabili) e inglesi, le cui curve sono decisa-

mente… piatte. Sono popoli seri, ma anche un po’ noiosi, tutto somma-

to. Diciamo che gli amici giapponesi si fidano più di loro, ma vengono

più volentieri a cena con noi. L’ideale – ed infatti spesso così succede – è

portarsi appresso i contratti, e firmarli al momento del sorbetto.

So

nd

ag

gio

0

20

10

30

40

50

60

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90

Simp

atici

Immagine percepita. Le prime cinque caratteristiche, Paese per Paese (grafico 3a)

Simp

atici

Creativi

Alla

mo

da

Intrap

rend

enti

Spirito

si

Am

ichevo

li

Creativi

Sexy

Ro

man

tici

Emo

tivi

Din

amici

Gen

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Irrespo

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ili

Gen

tili

Flessibili

Creativi

Alla

mo

da

Intrap

rend

enti

Spirito

si

Alla

mo

da

Creativi

Org

og

liosi

Ro

man

tici

Sexy

Simp

atici

Emo

tivi

Sexy

Gen

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Am

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Co

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Org

og

liosi

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Intellig

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Intellig

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Seri

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Meto

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Din

amici

Intrap

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enti

Simp

atici

Am

ichevo

li

Ind

ipen

den

ti

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20

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100

Sommario relativo all’immagine percepita della popolazione di ciascun Paese (grafico 3b)

Le seguenti 15 caratteristiche, che sono risultate le più citate riguardo agli Italiani, sono state selezionate anche dai graficiriguardanti gli altri paesi e messe a confronto.Le caratteristiche più ricorrenti riguardo agli Italiani, rispetto agli altri paesi, sono: “simpatici”, “creativi”, “sexy”, “ge-nerosi”, “irresponsabili” e “ gentili”.“Dinamici” e “ intraprendenti” sono le caratteristiche più citate nei confronti degli statunitensi.

Base: Tutto il campione (5.000) /

%

100

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30

20

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0Tutti Visitato

Alta Qualità

Immagine dei prodotti italiani (grafico 4)

Al campione è stata chiesta un’opinione sulla qualità dei prodotti italiani in una scala da 1 a 5.Scala da 1 a 5: sono pienamente d’accordo, sono d’accordo, non sono d’accordo, non sono perniente d’accordo e non so.Coloro che hanno risposto “sono pienamente d’accordo“ e “sono d’accordo“ a proposito di “laqualità dei prodotti italiani è buona“ sono il 63% di tutto il campione. Quelli che hanno visita-to l’Italia sono ancora più convinti: arriviamo al 76%.Seguono “mi piacerebbe saperne di più“ (60%), “innovativi“ (45%) e “adatti al mercato giap-ponese“ (44%). Tra coloro che hanno visitato l’Italia, il 68% cita tale frase come propria percezione del Paese,24 punti in più rispetto a tutto il campione.

Non so Non sono per niente d’accordo Non sono d’accordoSono d’accordo Sono pienamente d’accordo

Base: Tutto il campione (5.000) / Hanno visitato (715) /

23

12

52

11

2

8

15

60

16

Tutti Visitato

Vorrei sapere di più sui prodotti italiani

19

417

49

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10

14

58

16

Tutti Visitato

Innovativi

31

23

38

6

15

28

45

10

Tutti Visitato

Adatti al mercato Giapponese

34

18

40

4

15

16

60

8

Tutti Visitato

Prezzo troppo alto

36 15

Tutti Visitato

Prezzo ragionevole

46

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18

26

432

34

4

2

22

2 1

1

23

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8

42

36

5

1

2

2

Italiani Francesi Spagnoli Inglesi Tedeschi U.S.A

Italiani Francesi Spagnoli Inglesi Tedeschi U.S.A

Italiani

Tedeschi Inglesi

Francesi

Spagnoli

U.S.A

MetodologiaIl sondaggio sull'Immagine dell'Italia in Giappone è statocommissionato dalla Camera di Commercio Italiana inGiappone alla società di ricerca NetRatings. La metodologiautilizzata è stata una ricerca via web. Il campione è statoselezionato secondo criteri di sesso/età/area geografica: perquesti dati ci si è basati sui dati del censimento. Il campioneutilizzato è stato selezionato casualmente attraverso i com-puter della società NetRatings: a questo sono state postedelle domande di scrematura che hanno poi portato all’i-dentificazione il campione desiderato. Per realizzare questosondaggio sono state spedite 105.000 (100%) e-mail. Ilnumero di risposte pervenute sono state 7.875 (7,5%), dicui 5.000 (4,8%) sono state ritenute valide e calcolate nellerisposte.

gra

fico 3

ag

rafico

3b

gra

fico 4

Page 21: Viste, maggio 2006

38 Giu / Lug 2006 Viste Giu / Lug 2006 Viste 39

Made in Italy: qualità e riconoscibilità del prodotto

Il 63% degli intervistati (76% tra quelli che sono stati in Italia) considera i

prodotti italiani, in generale, di “alta qualità” (grafico 4). Il prodotto ita-

liano più gettonato (grafico 5a) è la pasta: il 90-92% degli intervistati lo

cita, facendolo seguire dai “brands” (71-84%), abbigliamento (56%-

71%), design (55%-70%), cibo (46-58%), capi di pelle (46-70%), vino

(38-56%), artigianato (29-46%) e autovetture (29-36%). Nella classifica

compaiono anche cosmetici, profumi, motocicli e gioielli. Ma i sofisticati

strumenti di misurazione della Marposs e gli elicotteri della Finmeccanica

passano inosservati. In compenso emerge timidamente – in linea con un

fenomeno che è oramai continentale, se non globale – il caffè. Un sim-

bolo, come a suo tempo è stata la pasta e la pizza. Protagonista di una

“rivoluzione culturale” che coinvolge tutte le antiche civiltà del tè.

Peccato, come ha giustamente notato Federico Rampini, nel suo appe-

na uscito Impero di Cindia (Strade Blu, Mondadori, 2006), che a guidare

le armate dell’esupuresso, dabulu o singulu che sia, o del kapuchino e

perfino delle recenti, più sofisticate entries come il makkiato non ci siano i

Segafredo, gli Illy e le Lavazza, presenti ma marginali per numeri e fat-

turato, ma aziende americane come la Starbucks, che sta al caffè come la

Kraft sta al reggiano. Tutto ciò, ci segnala Rampini, sta succedendo in

Cina. Ma è già successo, ahimè, in Giappone.

L’Impero della Pasta (ma anche moda & design)

Dal grafico 5a, dedicato alla somma dei prodotti più importanti associati

ai vari paesi, risulta che il prodotto “simbolo” dell’Italia è la pasta. Per la

Francia è il vino, per la Germania le autovetture, per la Spagna (la cui

“immagine” in tutto il sondaggio è ancora molto sfocata) il cibo in ge-

nerale, per il Regno Unito musica ed alcolici, per gli Usa la cine-

matografia. Ma la performance dell’Italia è molto positiva anche su altri

settori: brands, tessile, abbigliamento, design e alimentare. Ulteriori ele-

menti di interesse ci vengono forniti dalla serie di grafici che individuano

la popolarità dei prodotti per fasce di età (grafico 6). Ed ecco che in con-

trotendenza rispetto al settore turistico (dove l’Italia è più gettonata dai

baby boomers che dai giovani) troviamo che sui prodotti di maggior suc-

cesso (a parte la pasta ed il vino), e cioè moda, design, brands etc, nella

So

nd

ag

gio

Pasta0

%

20

10

30

40

50

60

70

80

90

100

Immagine Paese/Prodotti (grafico 5b)

I 17 prodotti/articoli maggiormente associati all’Italia sono elencati nel seguente grafico, insieme ad un sommariodei prodotti associati agli altri paesi, per confrontare le varie differenze.I prodotti maggiormente associati all’Italia sono: “pasta, marchi, vestiti, design, cibo, pelletteria, artigianato emacchinari tessili”. “Marchi, vestiti, design e cibo” per l’Italia sono vicini alla percentuale di associazione della Francia. “Vino, profumi e cosmesi” sono spesso associati alla Francia, “auto” alla Germania e “film e musica” agli StatiUniti d’America.

Base: Tutto il campione (5.000) /

March

i

Vestiti

Desig

n

Cib

o

Pelletteria

Vin

o

Artig

ianato

Au

to

Profu

mie

cosm

esi

Gio

ielli

Mo

to

Ro

man

zi

Mu

sica

Caffè

Macch

inaritessili

Alco

lici

Italia Francia Spagna Gran Bretagna Germania U.S.A

Italia

Francia

Germania

Gran Bretagna

Stai Uniti dÅfAmerica

Spagna

0%

20

10

30

40

50

60

70

80

90

100

Prodotti associati all’Italia (grafico 5a)

Al campione viene chiesto di associare una lista di prodotti o articoli a ciascun paese, ovveroItalia, Francia, Stati Uniti d’America, Gran Bretagna, Spagna e Germania. La media dei prodottiassociati è di 6.3.Il prodotto italiano maggiormente citato è la “ pasta”, che rappresenta il 90% di tutto il cam-pione. Seguito da “marchi” (71%), “vestiti” (56%) e “design” (55%).Coloro che hanno visitato l’Italia citano più spesso la “pelletteria” (70% vs. 46% del totale).

Tutti Hanno visitato

9092

71

84

56

71

55

70

46

58

46

70

38

56

29

46

29

36

2731

20

27

1619

15

21

15

24

14

25

1215

11108 8

6 6 5 3 3 3 3 32

32

32 2 1 2 1 2 1 2

Base: Tutto il campione (5.000) / Hanno visitato (715) /

PastaPasta

March

i

Vestiti

Desig

n

Cib

o

Pelletteria

Vin

o

Artig

ianato

Au

to

Profu

mo

eco

smesi

Gio

ielli

Mo

to

Film

Mu

sica

Caffé

Macch

inari

tessili

Alco

lici

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man

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100

Sommario dei prodotti associati a ciascun Paese (grafico 6)

Francia U.K Germania Spagna U.S.A Italia

Marchi

Vestiti

Design

Cibo

Pelletteria

Vino

Artigianato

Auto

Profumie

cosmesi

Gioielli

Moto

Film

Musica

Caffé

Macchinaritessili

Alcolici

gra

fico 5

ag

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5b

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Page 22: Viste, maggio 2006

Giu / Lug 2006 Viste 4140 Giu / Lug 2006 Viste

fascia giovani andiamo meglio dei francesi (nostri massimi competitors)

mentre più andiamo avanti nell'età più il gap si riduce fino ad invertirsi a

favore dei francesi. Il che ci consente alcune riflessioni. Trattasi di un

trend coniugato al normale cambiamento di gusti legato all'età (i giovani

tradizionalmente più eclettici e superficiali, più classici e conservatori gli

adulti) - oppure siamo di fronte ad una enorme rendita di posizione che

se opportunamente gestita – accompagnando cioè i giovani nella loro

crescita e nei loro consumi – ci consente di guardare con tranquillità al

futuro? Il quesito non è da poco, soprattutto se osserviamo l’ulteriore

divisione tra “lifestyle” e “industria”, laddove tuttti i prodotti italiani che

attengono allo stile di vita guidano decisamente le scelte dei giovani. Sul

tema, invitiamo il lettore a leggere l’ottimo contributo di Davide Sesia,

presidente di Prada Japan a pag. 52.

Italia e Giappone, più vicini di quanto non sembri

Chi ha vissuto in Giappone per un po’ di tempo l’ha già percepito per

conto suo. Ma ora abbiamo una conferma statistica. Più che l’America, i

giapponesi sognano l’Italia. I giapponesi (grafico 4) si sentono ancora più

“vicini” - agli Stati Uniti (31%), subito seguiti dall’Italia (29%) e a lunga

distanza dagli altri 4 paesi presi in considerazione (Francia 13%,

Germania 18%, Spagna 15%, Regno Unito 16%). Ma è l’Italia il paese

dove preferirebbero vivere (23%) contro il 22% che preferirebbe gli Stati

Uniti). Neanche troppo negativo il dato sull’ipotesi di lavorare con gli ital-

iani. Il 17% degli intervistati dichiara di apprezzare l’idea, una per-

centuale inferiore a quella espressa nei confronti di Stati Uniti (31%),

Germania (24%) e Regno Unito (18%), ma superiore a Spagna (10% e

anche Francia (12%). La percentuale si abbassa ancora di più tuttavia, e

torniamo al problema dell’affidabilità, questa volta riferita al nostro ma-

nagement per quanto riguarda l’idea di lavorare per un’azienda italiana.

Solo l’11% si dichiara entusiasta dell’idea, contro il 33% di coloro che

invece firmerebbero subito un contratto di assunzione con un’azienda

Usa. Varrebbe davvero la pena di approfondire l’argomento, perché è

evidente che il risultato dell’indagine, almeno per questo particolare

aspetto, si fonda su una mancanza totale di informazione. Per come fun-

ziona – e per come si sta evolvendo – il mercato del lavoro giapponese,

sempre più attento al rispetto delle leggi e alla tutela dei lavoratori, c’è da

chiedersi perché risulti ancora più attraente un sistema – quello ameri-

cano – che di garanzie ne offre molto poche. Molto interessante anche il

risultato della domanda sui “valori condivisi”. Il 27% degli intervistati

So

nd

ag

gio

0

20

10

30

40

50

60

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90

100

Pasta

Prodotti associati a ciascun Paese in base all’età: 20-29 anni (grafico 6a)

Stile di vita / Industria /

Stile di vita / Industria /

Stile di vita / Industria /

Marchi

Vestiti

Design

Cibo

Pelletteria

Vino

Profumie

cosmesi

Auto

Artigianato

Gioielli

Alcolici

Caffè

Alcolici

Moto

Musica

Romanzi

Tè Macchinaritessili

Macchinariagricoli

Banchee

assicurazioni

Arm

i

Prodottichimici

Prodottifarmaceutici

Macchinaridi

precisione

Elettronicae

Semiconduttori

Computer

Ind.Aerospaziale

eaeronautica

0

20

10

30

40

50

60

70

80

90

100

Pasta

Prodotti associati a ciascun Paese in base all’età: 30-39 anni (grafico 6b)

Marchi

Vestiti

Design

Pelletteria

Cibo

Vino

Auto

Profumie

cosmesi

Artigianato

Gioielli

Moto

Caffè

Film

Alcolici

Musica

Romanzi

Tè Macchinaritessili

Macchinariagricoli

Arm

i

Macchinaridi

precisione

Banchee

assicurazioni

Prodottichimici

Ind.Aerospaziale

eaeronautica

Computer

Prodottifarmaceutici

Elettronicae

Semiconduttori

0

20

10

30

40

50

60

70

80

90

100

Pasta

Prodotti associati a ciascun Paese in base all’età: 40-49 anni (grafico 6c)

Marchi

Vestiti

Design

Cibo

Pelletteria

Vino

Auto

Artigianato

Profumie

cosmesi

Moto

Gioielli

Film

Musica

Caffè

Alcolici

Romanzi

Tè Macchinaritessili

Macchinariagricoli

Arm

i

Macchinaridi

precisione

Prodottichimici

Elettronicae

Semiconduttori

Banchee

assicurazioni

Ind.Aeronautica

aerospaziale

Prodottifarmaceutici

Computer

Francia Gran Bretagna Germania Spagna U.S.A Italia

Francia Gran Bretagna Germania Spagna U.S.A Italia

Francia Gran Bretagna Germania Spagna U.S.A Italia

gra

fico 6

ag

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6b

gra

fico 6

c

Page 23: Viste, maggio 2006

Giu / Lug 2006 Viste 4342 Giu / Lug 2006 Viste

dichiara di condividere i “valori morali” espressi dagli Stati Uniti, ma ben il

23% preferisce invece quelli italiani. La stessa percentuale riservata alla

Germania. Sarà anche un luogo comune ma è difficile negare che i giap-

ponesi incarnino – o piuttosto anelino – alla sintesi tra l’efficientismo

prussiano e l’epicureismo romano: basta osservarli in fabbrica e seguirli, la

sera, all’onsen.

Vale, a nostro avviso, quanto accennato nell’editoriale di questo numero.

Il Giappone, per essere il primo paese dove il fenomeno è iniziato, rap-

presenta la punta di iceberg di una sorta di stimolante “italianizzazione”

che da anni sta rappresentando una realtà non solo commerciale (si

pensi a tutti i modelli di autovetture “Corolla”, “Serena”, “Lucida”, ai

titoli delle riviste, alla pubblicità e gli spot televisi, sempre più intrisi di

vocaboli italiani) ma anche culturale e sociale. Oltre al successo della cuci-

na italiana – fenomeno che oramai non riguarda soltanto la ristorazione,

ma è entrato nelle abitudini familiari domestiche – si pensi alla velocità

con cui si è imposto il concetto di mangiar fuori, su tavolini sistemati sul

marciapiede. O dei bar dove poter consumare in piedi. Fenomeni

sconosciuti fino a qualche anno fa e che oggi stanno esplodendo non

solo nelle grandi città, ma ovunque, anche nelle provincie più lontane

dell’arcipelago. Anche in questo caso, riteniamo che le opportunità per le

aziende italiane siano enormi, e che vadano colte senza aspettare o pre-

tendere troppo dalle istituzioni, ma riscoprendo il fascino del rischio.

Quanto è cambiata la nostra immagine e uno sguardo al futuro

Essendo questo il primo sondaggio del genere, dovremo aspettare il

prossimo per darci una risposta. Il grafico 7 (change of impression

about Italy), che pur ci fornisce alcuni dati, non è molto attendibile. Alla

domanda se l’immagine dell’Italia fosse, negli ultimi 6 anni, cambiata in

meglio o peggio, il 66% non ha riscontrato un cambiamento, con il

32% di coloro che hanno visitato l’Italia almeno una volta in questi

anni che invece hanno percepito un netto cambiamento in positivo.

Anche in questo caso, i giovani sembrano essere più generosi, nel loro

giudizio, dei più anziani. Ma, ripetiamo, si tratta di un dato poco

attendibile: su quali basi gli intervistati esprimono il loro giudizio? Su un

viaggio o più d’uno? Insomma, per avere risposte più attendibili ad un

quesito di fondamentale importanza – anche per valutare l’impatto

delle manifestazioni promozionali, oltre al “giudizio” dei giapponesi

che si recano in Italia – dovremo attendere il prossimo sondaggio che

ovviamente ci auguriamo la Camera vorrà di nuovo ordinare. Da qui a

qualche anno. Quanto al futuro (economico) del nostro paese, tema

dell’ultima domanda (grafico 8) ci consoli osservare che, pur in assenza

di un dato omogeneo di comparazione, e nonostante il 66% degli

intervistati non si sbilanci, il 31% dei giapponesi è “ottimista” rispetto

al nostro futuro. Anche qui, chi è stato in Italia di recente è più

ottimista degli altri: la percentuale sale infatti al 42%. Un recente

sondaggio di “Repubblica” forniva dati molto meno rassicuranti: oltre il

70% degli intervistati – cittadini italiani – esprimeva il timore di un

futuro sempre più difficile, con il 57% convinto che sarebbe diventato

più povero, ed il 65% “più triste e stressato”. Speriamo abbiano

ragione gli amici giapponesi. È bello sentirsi amati.

So

nd

ag

gio

0

20

10

30

40

50

60

70

80

90

100

Pasta

Prodotti associati a ciascun Paese in base all’età: 50-65 anni (grafico 6d)

Machi

Pelletteria

Design

Vestiti

Cibo

Artigianato

Vino

Auto

Musica

Gioielli

Film

Profumie

cosmesi

Moto

Caffè

Alcolici

Romanzi

Tè Macchinaritessili

Macchinariagricoli

Arm

i

Macchinaridiprecisione

Prodottichimici

Prodottifarmaceutici

Banchee

assicurazioni

Ind.Aerospaziale

eaeronautica

Elettronicae

Semiconduttori

Computer

%

100

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50

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20

10

0 Tutti 20-29 30-39 40-49 50-59 Hanno visitato

Come è cambiata la nostra immagine (grafico 7)

Al campione è stato domandato se negli ultimi 4 anni gli è capitato di avere un cambiamentodi impressione relativa all’Italia.

Scala da 1 a 6: è migliorata, è migliorata leggermente, non è cambiata, un po’ peggiorata, completamente peggiorata e non so.Quelli che hanno affermato "non è cambiata" rappresentano la percentuale più alta con il66%. Tra coloro che hanno visitato l’Italia, il 32 % ha affermato "è migliorata" , " è migliorata leg-germente".In base all’età, le persone dai 20 ai 29 anni pensano "è migliorata", "è migliorata legger-mente", più spesso rispetto alle fasce d’età più avanzate, con il 26%.

Non so Completamente peggiorata Peggiorata leggermenteNon è cambiata Migliorata leggermente È migliorata

Base: Tutto il campione (5.000) / 20-29 (715) / 30-39 (715) / 40-49 (715) / 50-65 (715) / Hanno visitato (715)

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0 Tutti 20-29 30-39 40-49 50-59 Hanno visitato

Futuro dell’ economia italiana (grafico 8)

Al campione è stato domandato di rispondere riguardo al futuro economico dell’Italia in unascala da 1 a 5.

Scala da 1a 5: molto ottimista, abbastanza ottimista, abbastanza pessimista, molto pessimistae non so.

Quelli ottimisti sul futuro dell’Italia (molto ottimisti e abbastanza ottimisti) sono il 31% deltotale di tutto il campione. La percentuale di quelli che hanno risposto "non so" è la più alta con il 60%.Quelli cha hanno visitato l’Italia sono più ottimisti degli altri, 42% vs. 31%.

Non so Completamente peggiorata Peggiorata leggermenteNon è cambiata Migliorata leggermente

Base: Tutto il campione (5.000) / 20-29 (715) / 30-39 (715) / 40-49 (715) / 50-65 (715) / Hanno visitato (715)

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Stile di vita / Industria /

Francia Gran Bretagna Germania Spagna U.S.A Italia

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7g

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8

Page 24: Viste, maggio 2006

1 Giu / Lug 2006

Emiliano di nascita, toscano

d’adozione e di “carattere”,

Umberto Donati è il nuovo

direttore dell’Istituto Italiano

di Cultura. “Iniziato” al

Giappone da Umberto

Agnelli, del quale è stato

per molti anni stretto colla-

boratore e amico personale,

ha diretto negli ultimi anni

le grandi operazioni pro-

mozionali: dalla rassegna

Italia in Giappone 2001, al

Padiglione Italia ad Aichi

2005, di cui è stato Commissario Generale. Sposato con una giap-

ponese e, di recente, padre felice di una bimba, Donati è certa-

mente la persona più adatta per commentare i risultati di questo

primo grande sondaggio sull’immagine dell’Italia in Giappone.

Uomo di idee ma anche di azione – memorabili le sue trattative

“all’ultimo sangue” ad Aichi, per strappare permessi e concessioni

– non c’è dubbio che, sotto la sua guida, l’Istituto cambierà faccia.

Se non facciata.

A proposito, novità sulla spinosa vicenda?

Per ora no. Speravo di non dovermene occupare, ed invece pare

che dovrò farlo. Il problema esiste, e non sarà di facile soluzione.

Per intanto, sto compiendo un po’ di visite di cortesia…In

Giappone funziona così.

Bene direttore, non infierirò sulla questione. Che peraltro ha risvolti

divertenti…una protesta del genere sarebbe comprensibile a Firenze

o forse a Kyoto, ma non nella giungla architettonica di Tokyo….

Bene, cominciamo. Innanzitutto, ben arrivato. O bentornato, visto

che un piede, in Giappone, ce l’hai sempre lasciato. Ci conosciamo

da anni e quindi consentimi di evitare l’ipocrisia del lei. E grazie per

aver accettato di voler commentare i risultati di questo sondaggio

della Camera. Un sondaggio che da un lato ci conferma, come dire,

che il Giappone ama l’Italia in modo passionale, quasi commovente.

Ma dall’altro sembra sminuire tutti i grandi sforzi promozionali com-

piuti negli ultimi anni. Sembrerebbe che nonostante Italia in

Giappone 2001, il sofisticato allestimento del Padiglione italiano ad

Aichi, tutte operazioni da te guidate, la nostra immagine non si sia

spostata granchè. L’italiano più conosciuto, in Giappone, dietro ai

maestri del rinascimento e davanti ai calciatori, è Girolamo

Panzetta….Fatica sprecata?

No. Fatica lunga. Da rinnovare. Come ben sai si viaggia su tempi

lunghi, in questo paese. Tu fai una cosa oggi, ma il risultato lo vedi a

distanza di anni. Intanto qualche elemento positivo c’è: mi sembra

che tra le aziende più conosciute spicchino quelle automobilistiche:

Ferrari, Fiat, Lamborghini. Non penso che nel riconoscere questi

marchi, i giapponesi ne colgano solo l’aspetto esteriore, del design,

piuttosto che dello status symbol. Ci sarà anche la consapevolezza di

una grande tecnologia, no? Piuttosto sorprende l’assenza della

Ducati. Qui in Giappone non solo è uno status symbol, ma con le

Porte aperte all’Istituto

Giu / Lug 2006 Viste 45

Inte

rvista

Umberto Donati, Direttore dell'IstitutoItaliano di Cultura di Tokyo

di Pio d’Emilia

Colloquio con Umberto Donati, Direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Tokyo

Page 25: Viste, maggio 2006

46 Giu / Lug 2006

Cominciamo col dire che Chirac è sulla scena politica da trent’anni, e

che durante l’anno della Francia in Giappone è venuto per ben tre

volte portandosi appresso ogni volta mezza confindustria. Che i

politici italiani ignorino il Giappone e che cancellino le visite all’ultimo

momento è un fatto noto, ma neanche drammatico. Certo la pre-

senza politica è utile, soprattutto se legata ad una particolare perso-

nalità nota per il suo interesse per il Giappone. Quanto al fenomeno

Panzetta anche qui, non ci trovo nulla di male. Ammiro molto il per-

sonaggio e penso abbia contribuito enormemente a promuovere

l’immagine dell’Italia. Tanto di cappello.

Dal sondaggio appare evidente, anche nel settore culturale, la totale

latitanza della contemporaneità. Passi per l’arte, per la musica, per la

letteratura. Ma il cinema?

Purtroppo anche nel cinema siamo fermi. Inutile negarcelo. Noi pos-

siamo fare tutti gli sforzi che vogliamo, e lo stiamo facendo con il

Festival del Cinema Italiano organizzato assieme all’Asahi

Shinbun…ma è inutile girarci intorno. Vai a fare un sondaggio in

Italia, a chiedere chi è l’attore, l’attrice, il regista più famoso

e/o amato. Alla fine spunterebbero fuori ancora i nomi

di Mastroianni, della Loren, di Fellini e Pasolini.

Non ci sono “icone” contemporanee...

Ci torniamo più avanti, sul cinema. L’Istituto di

Cultura, tutt’ora al centro di una curiosa polemica

per via della facciata, considerata da un gruppo di

cittadini potenti (la protesta è guidata dal presi-

dente del gruppo editoriale Yomiuri, Tsuneo

Watanabe, per tanti anni partner di operazioni

promozionali con l’Italia, n.d.r) di un colore troppo

vistoso, è stato appena restaurato. E guarda caso,

per la prima volta, sulla poltrona di direttore non

siede, come tradizione ha sin qui voluto, uno

yamatologo, uno studioso, ma un manager. Cosa

cambierà nella sua gestione?

Qualche idea ce l’ho, ovviamente, Ma per i primi

mesi ho deciso di stare in silenzio, ascoltare e

osservare. Il mio primo obiettivo, a proposito di poltrona (ride, n.d.r.)

è di cambiare questa che mi sono ritrovato, di una scomodità unica.

Del resto, se posso fare una prima piccola esternazione, nonostante

la sua recente ristrutturazione, questo istituto

manca già di spazio. Sto cercando, in

qualche modo, di

recenti affermazioni nel Moto GP ha anche assunto una visibilità

mediatica che in qualche modo mi aspettavo venisse registrata nel

sondaggio. Lo trovo molto strano e me lo spiego solo con i tempi

lunghi della metabolizzazione. Sono sicuro che se ripetiamo il

sondaggio fra cinque anni, la Ducati avrà un suo posto al sole…

E magari anche Finmeccanica, nessuno la conosce…

Già. Immagino che pochi giapponesi sappiano che l’Italia produce

elicotteri… e che li vendiamo anche a loro…

Tra le “qualità” che il sondaggio ci attribuisce non ce ne è una che

richiami il concetto di affidabilità. Gli intervistati arrivano al punto di

prendere in considerazione l’idea di lavorare in una “azienda ita-

liana”, ma temono l’impatto di un manage-

ment poco efficace…

Il discorso dell’affidabilità è molto lungo e

complicato. E coinvolge aspetti culturali non

facilmente superabili. Ma restiamo un atti-

mo sul discorso delle tecnologie. Sulla man-

cata percezione dell’Italia come paese ad

alto tasso tecnologico. Questo in parte

dipende dal fatto che le nostre “eccellenze”

tecnologiche non si manifestano nel prodot-

to finale di largo consumo, ma fanno piut-

tosto parte della componentistica o di pro-

cessi di collaborazione e di ricerca più vasti.

Prendiamo i freni della Brembo. Chi lo sa che li montano anche alcu-

ni modelli giapponesi? E chi lo sa che buona parte dell’industria

automobilistica giapponese, per garantire il suo proverbiale controllo

di qualità, si affida ai sofisticati strumenti di misurazione di un’azien-

da italiana, la Marposs?

Oppure pensiamo alla robotica, settore dove siamo in prima linea,

ma solo in alcuni specifici settori. Ricordo che quando sono venuti ad

Aichi quelli della Sant’Anna, a vedere la straordinaria l’orchestra

robotica della Toyota, un dirigente commentò che, in questa “vir-

tuale” partita, l’Italia può aspirare a fornire uno o due giocatori. Non

possiamo organizzare una squadra da soli, ma alla fine è la nostra

mezz’ala a fare goal…

Il sondaggio però parla chiaro: siamo ancora il paese della pasta e

della dolce vita…

E dici poco? Guarda che tanto per cominciare dietro il mondo della

pasta ci sono secoli di studi e ricerche, ed una tecnologia sofisticatis-

sima che non ha rivali al mondo. E quanto alla dolce vita, che chia-

merei piuttosto attenzione alla qualità della vita, i giapponesi, che

non sono meno esteti e voluttuosi di noi, invidiano da sempre la no-

stra “arte del vivere”. Basta vedere come stanno scoprendo le città di

provincia, l’agriturismo, gli itinerari alternativi, enogastronomici e via

discorrendo. Se solo potessimo evitare l’impatto terribile che in nostri

amici subiscono quando arrivano in Italia,

quando debbono confrontarsi con il nostro

abominevole sistema dei trasporti….

Ci stavamo arrivando. L’inadeguatezza,

chiamamola così, dei trasporti pubblici ed in

generale dei servizi figura al top assoluto

delle caratteristiche negative. Prima ancora

della microcriminalità….

Beh, mi sembra evidente. Per chi viene dal

Giappone approdare ad una stazione, ma

anche ad un aeroporto italiano è un

incubo. Io viaggio spesso in treno, usanza

che ho acquisito proprio grazie all’espe-

rienza giapponese, e quando sono in Italia mi faccio spesso carico

di dare una mano ai poveri giapponesi che vagano per le stazioni

in cerca del binario perduto.... L’evento più drammatico per loro è

quando viene cambiato il binario all’ultimo momento, con annun-

ci incomprensibili, spesso solo in italiano. Da noi succede quotidia-

namente, qui, come ben sai, mai.

Non c’è dubbio. E lasciamo perdere i ritardi. Altra iattura. Cambiamo

argomento. Personaggi famosi. Mentre per i francesi sono presenti

personalità politiche, primo fra tutti Chirac, dell’economia e della cul-

tura, noi, a parte il “fenomeno” tutto locale Panzetta, siamo fermi ai

maestri del rinascimento. E a Totti e Del Piero.

Inte

rvista

Page 26: Viste, maggio 2006

Giu / Lug 2006 Viste 4948 Giu / Lug 2006

vedere se è possibile rinnovare la convenzione con la Kajima, cercan-

do di strappare qualche spazio in più. Pensavo all’ipotesi di proporre

l’allungamento del comodato d’uso sul resto del palazzo, in cambio

di un piano in più…ma mi dicono che oramai la convenzione è fir-

mata ed è difficile cambiarla. Certo, se fossimo costretti ad affittare

eventuali spazi aggiuntivi ai prezzi di mercato non se ne parla.

Peccato. Perché la mia intenzione è quella di “aprire” l’Istituto…

Aprirlo?

Sì, spalancarlo, renderlo un centro culturale vivo, nel quale oltre alle

attività istituzionali, i corsi di lingua, le mostre, le varie manife-

stazioni, la comunità italiana e giapponese legata all’Italia possa darsi

appuntamento anche in modo informale…A proposito. Quando

esce la vostra rivista?

A metà giugno, se tutto va bene….

Perfetto, allora proviamo a fare un annuncio, con riserva perché mi

sta venendo in mente in questo momento. Ho intenzione di mettere

a disposizione l’auditorium per vedere i mondiali…che te ne pare?

Ottima idea, lo scrivo?

Scrivilo. Poi vediamo. Magari poi quei pochi italiani che ci sono

preferiscono vedersi le partite in gruppi di amici, nella proprie

case…visto che saranno tutte a tarda notte…ma io la proposta la

faccio.

Altre idee concrete?

Vedere se è possibile sviluppare anche un caffè…rendere accogliente

lo spazio esterno. Dall’Italia mi sono portato delle bellissime panchine

di legno….così la gente può fermarsi a chiacchierare…

Direttore, alziamo il tiro, però. Parliamo di promozione. Di rapporti

con i partner giapponesi. Indispensabili, ma talvolta limitanti. Penso

all’Italia Matsuri organizzato al Tokyo Dome due anni fa, un’ope-

razione commerciale – a detta

dello Yomiuri finita anche in perdi-

ta – di livello culturale discutibile:

tutti ricordano i “gondolieri”

veneziani che parlavano val-

dostano…e altre improvvisazioni

sul genere. Non possiamo percor-

rere altre strade? C’è

qualche nuova strategia

all’orizzonte?

Beh, la cosa non è sem-

plice. La collaborazione

con enti e istituzioni giap-

ponesi è fuori discussione,

vista la penuria di risorse

finanziarie pubbliche. Poi

certo, l’esperienza inseg-

na…ed è forse ora di trac-

ciare nuove linee guida….

Tipo?

Beh, per esempio cercare

di imporre di più il nostro

pensiero, il nostro “prodot-

to”, la nostra filosofia. I

nostri amici giapponesi tendono ad essere un po’ testoni: se deci-

dono di promuovere un progetto vogliono farlo a modo loro. E spes-

so è difficile interloquire, perché i soldi li mettono loro…Ma a

volte forse dovremmo insistere di più, abbandonare quell’at-

teggiamento in base

al quale tutto som-

mato “in Giappone

si fa così”….

Un’idea concreta?

Ti ripeto, sono appe-

na arrivato e non ho

ancora progetti con-

creti. Certo è che rispetto al passato

bisogna cercare di produrre eventi cul-

turali che producano immediate e visibili

declinazioni diverse. La “Primavera ita-

liana”, la nuova rassegna fortemente

voluta dall’Ambasciatore Bova e in programma l’anno prossimo, mi

sembra cogliere questa esigenza. Prendiamo un progetto concreto,

quello di una mostra sulla Galleria Nazionale di Parma, sui Farnese.

Bene: dovremo allargare il discorso espositivo, nelle forme più svari-

ate possibili, a quello che rappresenta oggi Parma. E allora giochi a

tutto campo, puoi parlare di polo agroalimentare europeo, del

parmigiano, di Max Mara, del fenomeno della pasta Barilla, con il

suo sofisticato indotto di tecnologie e arte del vivere…E' un punto a

cui tengo moltissimo: legare la tecnologia alla cultura, ho cercato di

farlo con il Padiglione di Aichi, e cercherò di proseguire sulla stessa

strada…

Quindi non solo corsi di lingue…

I corsi di lingue sono la nostra linfa. Funzionano benissimo e

vanno se possibile ulteriormente rafforzati e diversificati. Tra l’altro

rappresentano quasi il 50% delle nostre misere entrate! Ho pen-

sato anche ad una sorta di tessera di fidelizzazione. Ce l’hanno

tutti oggigiorno, dai supermarket ai cinema. Mi sembra giusto stu-

diarne una anche per i nostri utenti…

Torniamo per un attimo al Festival del Cinema. Così come è strut-

turato, e pur registrando ogni anno un netto aumento di presen-

ze, non può decollare più di tanto. Il fatto che sia “targato” Asahi

gli impedisce di raggiungere una dimensione culturale più impor-

tante e diffusa, come avviene per il Festival del Cinema Francese di

Yokohama…

Di questo ne abbiamo parlato di

recente con i dirigenti di Filmitalia,

con il presidente Giovanni Galoppi,

che poi è venuto qui in

occasione del Festival.

Certo, a tutti pia-

cerebbe un ulteri-

ore salto di

qualità e di

quantità. Ma ancora una volta, è una que-

stione di risorse. Io non so quanto lo stato

francese sborsi per promuovere il loro festival.

So che nel nostro caso Filmitalia si occupa di

organizzare la delegazione di attori e registi,

l’Istituto paga le sottotitolature ma poi per il

resto del conto passa l’Asahi…Come dire, a

sognare si fa presto. Ma poi se non ci sono i

quattrini….

Cambiamo argomento. I giapponesi amano

l’Italia. Sia quelli che non ci sono mai andati, sia,

Inte

rvista

La lapide con il legato del barone Mitsui che nel 1939 regalò il terreno all’Italia: “... siano questi muschi e queste mura simbolo d’amicizia eterna tra Roma e Yamato“

Page 27: Viste, maggio 2006

Giu / Lug 2006 Viste 5150 Giu / Lug 2006

e ancor di più, quelli che ci sono stati e spesso ci ritornano? E questo

nonostante tutti i disservizi di cui parlavamo prima…come lo spieghia-

mo?

Con il grande livello culturale dei giapponesi e con la loro naturale

attrazione per tutto ciò che è bello. Compresa, ovviamente, la qualità

della vita. Io sono convinto che i giapponesi quando pensino alla

qualità della vita pensino all’Italia. Non a Roma, Firenze, Milano. Alla

provincia. A Viterbo, ad Ascoli Piceno, piuttosto che a Lucca. E infatti il

turismo giapponese sta scoprendo la provincia.

Finalmente.

Bene. Proviamo a tirare un po’ le somme,

direttore. Come coniugare pasta Barilla,

Totti e nanotecnologie? E soprattutto,

come venderle come parte integrante

della nostra immagine?

Innanzitutto evitando le dicotomie.

Cultura e tecnologia oggi deb-

bono marciare sullo stesso

piano. La gente deve capire

che dietro il mondo produtti-

vo della pasta ci sono macchi-

nari sofisticatissimi che solo

l’Italia produce. Allo stesso

tempo, bisogna riconoscere il

valore “tecnologico” di certe produzioni artigiane. Ci sono gli scienziati, i

grandi ricercatori, ma anche i maestri vetrai e i produttori di parmigiano.

Sono tutti tecnologhi, o no? Viceversa, bisogna individuare l’elemento

culturale, che almeno nel nostro caso rappresenza condizione e “condi-

mento” essenziale del progresso tecnologico. Prendiamo la Ferrari. Lo

dicevamo prima. Non sarà mica solo una questione di saper costruire

degli ottimi motori, no? Dietro la Ferrari, come dietro al parmigiano, ci

sono secoli di cultura, di arte del vivere. Che evidentemente i giappone-

si, a differenza di altri popoli, riescono ad apprezzare, e forse ad

invidiarci, proprio perché tutto sommato sono così simili a noi.

Grazie direttore, e tanti auguri di buon lavoro da parte di “Viste” e

dell’intera Camera di Commercio

Grazie a voi. Aspetta un attimo. Conosci qualcuno a Tsukiji?Non hai

girato un documentario sul mercato del pesce, anni fa?

Sì. Perché? C’è una sorta di “sindaco” che comanda. Nominato diret-

tamente dal governatore di Tokyo.

Volevo proporre una bella mostra del pittore Massimo Catalani, sai

quello che dipinge il cibo…

A Tsukiji? Non mi risulta che abbiano spazi espositivi.. E poi se vuoi fare

bingo, dovresti organizzare al volo una mostra di Alberto Sughi, il pit-

tore plagiato dal “maestro” Wada…

Beh, possono sempre inventarsene uno. Di spazio, ne hanno più di me

e io questa mostra vorrei proprio farla…Quanto a Sughi…lo sto già

cercando!

Inte

rvista

Page 28: Viste, maggio 2006

Questo intervento prende spunto dai risultati del sondaggio a

cura della Camera di Commercio Italiana in Giappone Research

Report on Perceived Italian Image in Japan al fine di esprimere

opinioni personali sulla fascia di mercato di lusso delle giovani

giapponesi.

I beni fashion della fascia alta di mercato comprendono

abbigliamento, scarpe e piccola pelletteria, borse e accessori. Il

“mercato del lusso” si distingue per due caratteristiche: una

materiale, relativa al valore aggiunto che il prodotto contiene in

quanto tale, per processi di lavorazione e materiali utilizzati pre-

giati, e una “sentimentale”, ossia tutto quello che convince o

auto-convince il consumatore di un marchio di lusso del fatto

che si tratti di un prodotto o di un servizio destinato

non a tutti.

Nel lasso di tempo che va

dalla metà degli

anni ‘80 fino al

2005, il mer-

cato dei

prodotti di

l u s s o

impo r -

da prodotti di altra natura. Esso è, inoltre, quasi a

totale appannaggio delle consumatrici giappone-

si: soltanto l’11-13% circa è destinato alla fascia

maschile.

In questo mercato i marchi italiani hanno un peso

rilevante e i dati statistici dimostrano che sono in

crescita. Come risulta dai dati del sondaggio, la

fascia di mercato che premia i marchi italiani è

quella delle 20-30enni, con maggiore concen-

trazione nella fascia 30enni. Varie ragioni pos-

sono spiegare questo fenomeno.

“Fattore paese”: le consumatrici di questa fascia

di età, per loro formazione culturale e per status

sociale, sono quelle che hanno più tempo per

dedicarsi alla documentazione di paesi stranieri e,

nello specifico, dell’Italia. Quello che differenzia

queste consumatrici da quelle di età più elevata,

40-50enni e oltre, è un fattore sociale e non un

fattore di predisposizione nei confronti del

prodotto italiano. Le donne sui 40-50 anni, molto

spesso hanno figli e vivono una realtà che non

permette loro di avere tempo libero sufficiente

per dedicarsi alla documentazione sul prodotto e

sui paesi stranieri. Parallelamente, esse vengono

meno documentate dal mercato. Tuttavia, ultimamente, si sta

assistendo a una crescita nell’attenzione verso il “bello” nel-

l’ambito del fashion nella fascia delle 40-50enni, come dimostra

il numero delle riviste di moda nate apposta per queste con-

sumatrici. Possiamo attenderci, dunque, che d’ora in poi l’inte-

resse di queste consumatrici nei confronti dei prodotti italiani

sia destinato ad aumentare.

“Fattore della riconoscibilità dei prodotti italiani”, da sempre

sinonimo di qualità: questo concetto ormai è entrato nella con-

vinzione popolare delle donne giapponesi.

tati dal resto del mondo è più che triplicato: circa 400 miliardi

di yen a metà degli anni ‘80, quasi 2.000 miliardi di yen nel

biennio ’90-’91, intorno ai 1.700 miliardi di yen nel 1996. Nel

2005 questo mercato arriverà ragionevolmente a posizionarsi

sui 1.500 miliardi di yen. Da un lato, questi dati ci indicano la

dimensione del mercato e ci confermano il fatto che l’atten-

zione verso questo tipo di prodotto esiste e si sta consolidando.

Dall’altro ci indicano che i due picchi rilevati nelle importazioni

sono stati di natura macroeconocmica: il picco del ’91 cor-

risponde alla bubble-economy, quello del ’96 era stato spinto

da una politica in cui l’abbassamento artificiale dei tassi d’inte-

resse ha incrementato la domanda interna

del mercato.

In Giappone il mercato del lusso

è formato per circa il 43-

45% da borse e

accessori,

per un 20% da

abbig l iamento,

per i l 10% da

scarpe e la

restante parte

“Fattore psicologico”: si tratta di una predispo-

sizione da parte delle giovani donne giapponesi

ad appropr iars i , anche mater ia lmente, del

prodotto di lusso. Svincolate da qualsiasi tipo di

obbligo sociale, culturale e religioso (quest’ultimo

come è inteso in Occidente) esse riescono a dare

pieno sfogo ad un concetto di bellezza che ha

due dimensioni: la bellezza di se stesse come per-

sone e la bellezza del prodotto che si vuole

possedere. Propr io i l prodotto i ta l iano è

riconosciuto e riconoscibile sotto questo punto di

vista.

L’ultimo, importantissimo, fattore lo definirei

“assenza di aristocrazia del consumatore”. In

Giappone, più che in altri mercati, la mancanza di

distinzione di classe comporta una mancanza di

divisione di età, che diventa un aspetto quasi

accessorio. È per questo che le fasce più giovani

di clienti consumano anche di più di quelle più

adulte. Il ruolo sociale che queste consumatrici

hanno sviluppato durante gli anni del boom eco-

nomico assume una dimensione culturale: il

prodotto di lusso è entrato a far parte della loro

cultura. Un marchio che riesca a dare a queste

consumatrici non soltanto una dimensione di prodotto, ma

anche una dimensione culturale è sicuramente un marchio de-

stinato al successo in questo paese. All’elemento culturale si

associa un fenomeno sociale: il bel prodotto non aiuta la con-

sumatrice a identificarsi con una fascia di età più adulta, ma

piuttosto a identificarsi in quella stessa fascia di età. Poiché il

mercato giapponese è dominato da una classe media abbiente,

nasce al suo interno la necessità di distinzione tra diverse indi-

vidualità. Fino a 15-20 anni fa, in Giappone il concetto d’indi-

vidualità era molto più debole di oggi. Prevaleva un’idea di

Le giovani giapponesi: sempre piùlanciate verso l’individualità

Giu / Lug 2006 Viste 5352 Giu / Lug 2006 Viste

di Davide SesiaPresidente Prada Japan Co., Ltd.

Mo

da

Page 29: Viste, maggio 2006

54 Giu / Lug 2006 Viste Giu / Lug 2006 Viste 55

italiana come Prada abbia deciso di fare l’investi-

mento italiano singolo più elevato dal secondo

dopoguerra in questo paese, di grande successo

architettonico, d’immagine e culturale, un

Epicentro ad Aoyama, è significativo di una mag-

giore presa di coscienza in senso individuale da

parte delle consumatrici. Non si tratta solo di un

negozio, ma di un centro di attrazione culturale.

La dimensione culturale che il bello rappresenta

in quella zona rende conscia la consumatrice di chi è e di che

cosa vuole. Non è un caso che quel quartiere sia frequentato

soprattutto da giovani donne di età media tra i 30 e i 35 anni.

D’altra parte il processo di evoluzione delle donne giapponesi

tende da sempre verso una maggiore individualità. Esso è,

inoltre, un fenomeno omogeneo che si riscontra anche nelle

campagne.

A completamento di quanto precede, si rendono necessarie

alcune considerazioni generali sulla realtà imprenditoriale ita-

liana in questo mercato, tema che da anni anima i dibattiti all’in-

terno della comunità italiana stabile a Tokyo. Se da un lato essa

non manca di iniziativa, essa manca di una certa propensione

all’investimento diretto, che poi è l’unico modo che permetta di

gestire pienamente l’immagine del proprio marchio in questo

mercato. Molto spesso gli italiani affidano la trasmissione del

messaggio della propria immagine al solo prodotto, convinti che

il solo fatto di esportarlo possa bastare. Spesso, aspetti fonda-

mentali come il controllo su tutta la catena distributiva, la cura

dell’immagine e la presentazione del prodotto, sono percepiti

come elementi accessori. È dimostrabile che chi ha avuto il co-

raggio di investire direttamente in questo mercato si trova oggi

in una posizione di successo. Alla base di questo atteggiamento

possono esserci vari fattori, tra i quali un’avversione al rischio

molto più elevata rispetto a altri paesi o la struttura del tessuto

economico italiano, formato da piccole e medie imprese che non

riescono a affrontare il mercato giapponese, che necessita di

investimenti medi molto elevati. Per questi ed altri fattori, la pre-

senza diretta degli italiani in Giappone è più limitata che in altre

realtà o nei confronti di altre realtà. Tuttavia, non credo che

questa mancanza di propensione all’investimento diretto sia

dovuta alla mancanza di un supporto istituzionale adeguato. In

un’economia che si dovrebbe basare sul libero mercato, non ci si

può di certo affidare a un’autorità pubblica per la promozione di

un investimento privato. Sono le aziende che devono trovare la

forza e la motivazione per muoversi e investire: il ruolo delle isti-

tuzioni pubbliche può essere, dunque, importante ma non

trainante. Si dibatte, inoltre, della mancanza di un certo positivo

lobbysmo, di un certo spirito di gruppo, all’interno della comu-

nità economica italiana in loco; il fatto che non ci sia, o che ci sia

molto meno rispetto a realtà di altre nazioni, dove si dibatte

maggiormente di certi temi è, a mio avviso, eccessiva autocritica.

Dall’eccessiva autocritica, bisognerebbe tendere a un’eccessiva

auto-azione, cioè operare “eccessivamente” sul mercato. Solo in

questo modo si aumenterebbe il peso relativo dell’Italia e, di

conseguenza, si creerebbe uno spirito di gruppo più forte. La

lobby, infatti, non nasce da sé: essa si crea quando c’è una

determinata dimensione media delle imprese sul mercato e,

tutto sommato, adesso il nostro paese ha una forma di lobby

adeguata al suo peso relativo in loco. Inutile aspirare a un

grande salto quando il ponte non è stato ancora completato.

gruppismo, ora si sta sviluppando un’idea d’individualità e indi-

vidualismo. Non si tratta però di un concetto “ad personam”,

come lo pensiamo noi in Europa. Si tratta, piuttosto, di un con-

cetto d’individualismo allargato e del tipo sintetizzabile in “io in

quanto noi”. La fascia di clientela delle 20-30enni è diventata

molto più adulta sia nel “creare” la propria fascia di mercato e

pertanto la propria identità, sia molto più matura e selettiva nel

giudicare quell’ambito culturale rappresentato da un marchio.

Non è un caso che in questo mercato si stia sviluppando un

fenomeno di creatività individuale della moda. Capita sempre

più spesso, per esempio, di vedere ragazze che abbinano un

paio di jeans a poco prezzo con un top di un marchio di lusso:

anche questo è individualismo. Molte ragioni, anche socio-

logiche, possono spiegare questa particolare propensione al

bello delle giovani consumatrici giapponesi. Una delle ragioni

principali è sicuramente quella che abbiamo già citato, cioé il

fatto che le 20-30enni sono, più di altre, prive di ostacoli sociali

verso la tensione all’espressione individuale. Inoltre, tutta la

società giapponese è in lenta, ma costante trasformazione: per

esempio, sono sempre più numerose le consumatrici economi-

camente indipendenti, ci si sposa più tardi ed è aumentata

anche l’offerta d’informazione.

Un altro elemento collegato allo sviluppo dell’individualità è

l’aumento del numero dei negozi su strada. Negli anni ’80 i

consumatori giapponesi si dirigevano prevalentemente negli

shopping-mall e nei grandi magazzini. In quel periodo i Romen-

Ten, ossia i negozi su strada, rappresentavano lo 0,4 – 0,5% del

totale, mentre nel 2004-2005 sono cresciuti al 7%. Questo

dato non deve trarre in inganno e convincere che i grandi ma-

gazzini siano in crisi. Essi rappresentano sempre il fulcro della

distribuzione in questo paese: ruolo che deriva da un fat-

tore storico, dalla loro forza nella distribuzione, da

affinità culturali con questo popolo. Hyakkaten, in

giapponese significa proprio “il posto delle 100

cose”. Questa parola è nata per indicare un

luogo che ti soddisfa pienamente e che

soddisfa pienamente un concetto

architettonico e sociale fondamentale

della cultura giapponese: la comodità,

intesa come funzionalità, in spazi limi-

tati, idea quasi estranea alla cultura

europea.

La crescita dei negozi su strada in aree

di Tokyo come Ginza, Aoyama e

Omotesando è un esempio e una con-

seguenza del cambiamento delle con-

sumatrici giapponesi verso se stesse e

verso il prodotto. Il fatto che una società

Mo

da

Page 30: Viste, maggio 2006

Giu / Lug 2006 Viste 5756 Giu / Lug 2006 Viste

Nonostante la globalizzazione e la concorrenza dei nuovi mercati,

un gruppo di casa nostra è più solido e profittevole che mai. La

Giorgio Armani S.p.A. ha chiuso il 2005 con un record: il fattura-

to netto consolidato è arrivato a 1.428 milioni di euro, con una

crescita, rispetto al 2004, del +10%. Una posizione finanziaria

netta eccezionalmente solida che vanta un saldo positivo di 443

milioni di euro a fine dell’anno e con un programma d’ investi-

menti pari a 104 milioni di euro, 36 dei quali destinati al retail. Il

successo di Giorgio Armani S.p.A è spiegabile in tre fattori.

Strategia di crescita organica, cioè diversificazione della pro-

duzione ed allargamento delle categorie merceologiche. Politica

d’integrazione verticale con l’acquisizione di tutte le aziende che

compongono la filiera, ovvero totale controllo sulla qualità del

prodotto. Il fattore umano Giorgio Armani, uno stilista che ha

saputo unire genialità creativa e abilità imprenditoriale. Non è un

caso che Armani sia uno tra gli uomini italiani più conosciuti in

Giappone. Un uomo dal forte carisma che è diventato un simbo-

lo, sinonimo di stile e made in Italy. È proprio lo “stile italiano”

ad emergere come una delle caratteristiche più apprezzate dai

giapponesi e probabilmente non soltanto da loro. A proposito del

recente sondaggio sull’immagine dell’Italia in Giappone effettua-

to dalla Camera di Commercio, Fabrizio Lavezzari, Vicepresidente

di Giorgio Armani Japan commenta: “Italia è sinonimo di stile nel

senso più ampio del termine. Si tratta di un valore aggiunto,

qualcosa che ci viene riconosciuto da tutti perché fa parte del

nostro DNA, della nostra storia, della nostra cultura. Un

knowhow, insomma, che non si acquisisce in un giorno e che va

protetto ed esportato nel giusto modo. Riusciamo a fare prodotti

straordinari perché siamo un paese di artigiani molto specializzati

e creativi. Non a caso eccelliamo in prodotti ad alto contenuto

tecnologico, sebbene siano in pochi a saperlo e a riconoscerce-

lo.” Nonostante la crescita esponenziale dei mercati limitrofi, il

Giappone si conferma, anche per la Giorgio Armani, il primo

mercato dell’area asiatica. “Uno dei problemi più spinosi che

dobbiamo affrontare nel mercato giapponese è quello delle

quote – spiega Lavezzari. Noi siamo una multi-brand e grazie alla

diversificazione del prodotto riusciamo a contenere questo pro-

blema. Non tutte le aziende italiane si trovano, però, nella nostra

situazione. A questo proposito occorre una riflessione: noi italiani

abbiamo tante qualità, ma quando ci troviamo in difficoltà non

siamo bravi come gli amici francesi a promuoverci come Sistema.

Inoltre, a differenza di loro, siamo meno corporativi. Un atteggia-

mento che si rivela al tempo stesso un pregio e un limite. Un pre-

gio perché è dalle realtà locali che traiamo la nostra forza. Un

limite perché le sfide che ci troviamo ad affrontare in quest’epoca

globalizzata non possono più essere vinte da soli. Proprio la

Camera di Commercio dovrebbe diventare il punto di raccordo

per le aziende”. Un altro dei problemi più gravi che affligge il set-

tore della moda è quello dei falsi e delle imitazioni. “Anche in

Giappone esiste questo problema. È soprattutto il settore degli

accessori, che è una parte importante in questo mercato, a

rimanerne vittima. Anche in questo caso un po’ di lobbying da

parte delle aziende italiane per spingere le istituzioni locali a

sanzionare più severamente i fals if icatori sarebbe

necessario.”commenta Lavezzari.

Dai risultati del sondaggio emerge un dato piuttosto sorpren-

dente. I beni di consumo made in Italy catturano l’attenzione

soprattutto di un pubblico giovane: l’apprezzamento decresce

con l’aumento dell’età, a vantaggio dei prodotti francesi. “Nel

nostro caso non è l’età la discriminante principale, ma il prezzo. Il

bene di lusso necessita di una disponibilità di spesa tale che risul-

ta appannaggio naturale di una fascia di clientela medio-alta –

spiega Lavezzari. L’offerta del nostro marchio è comunque così

vasta da raggiungere anche altri segmenti di mercato, dunque i

più giovani”. Un’immagine, quella di Armani, talmente forte che

sembra poter fare quasi a meno dell’appellativo made in Italy.

“Essere made in Italy è sempre un vantaggio e una garanzia –

conclude Lavezzari. L’ immagine che l’Italia ha esportato nel

mondo è positiva. Stereotipata e limitata, forse, ma positiva. In

fin dei conti è proprio questa immagine a stare alla base del no-

stro successo. Adesso ci aspetta un compito difficile ma possibile:

essa va integrata. Ma sarebbe meglio dire, completata. Bisogna

far capire a chi ci sta davanti che siamo gente allegra ma non leg-

gera. Che vendiamo beni di consumo ma che siamo dei profes-

sionisti. Che dietro a una scarpa, una borsa, un vestito c’è cre-

atività ma anche tecnologia avanzata”.

Allegri sì, ma serissimi sul lavoro

Mo

da

a cura di Stefania VitiColloquio con Fabrizio Lavezzari, Vicepresidente Giorgio Armani Japan

Page 31: Viste, maggio 2006

Quando mi trovo a leggere questo tipo di analisi (peraltro inte-

ressante, in quanto basata su un campione qualitativamente

rappresentativo della popolazione giapponese, utilizzatrice "di

massa" del web), il primo pensiero che mi assale è: ma cosa

direbbero gli italiani del Giappone? Risposta immediata: bizzarri

stereotipi e commenti, sia positivi che negativi, ispirati da un

buon grado di ignoranza rispetto al Paese del Sol Levante.

Va detto che spesso i sondaggi, proprio per loro natura,

inducono alla stereotipazione: immaginatevi la faccia del resi-

dente inglese che scopre che il suo Paese è famoso in Giappone

per il tè nero... come se la rivoluzione industriale, il modello

anglosassone di democrazia e l’alta finanza

non contassero nulla...!

Pertanto, non mi stupisco più di

tanto per la percezione giap-

ponese della nostra imma-

gine fatta di “pasta,

marchi prest ig ios i ,

gente allegra e alla

moda che v ive in

luoghi belli e ricchi

d’arte ma pericolosi

e socialmente disor-

ganizzati”…. Infatti,

a parte la conside-

razione sulla gente allegra, sexy e creativa, di cui ringrazio i

generosi giapponesi (ormai gli italiani non ridono più tanto,

sono pure piuttosto arroganti e in quanto alla creatività, il nord

dell’Europa ci fa ormai concorrenza…), in effetti l’Italia è ancora

bellissima, nonostante gli attacchi continui del brutto, indubbia-

mente non è il Paese più sicuro del mondo e, ahimè, non è un

modello di efficienza… E meno male che le donne giapponesi

(le maggiori ammiratrici del nostro Paese) non sanno che il mas-

chio italiano single vive convenientemente a casa con mammina

fino a 40 anni….

Comunque sia, dal sondaggio emerge chiaramente che i giap-

ponesi amano l’Italia, la conoscono meglio degli altri Paesi

europei e sono desiderosi di approfondirne ulteri-

ormente la conoscenza. È un trend che

dura da anni ed è una splendida

notizia per tutte le imprese italiane

presenti in Giappone!

Personalmente poi ,

l ’aver v isto spon-

taneamente nominate

Ferrari, Fiat e Alfa

Romeo come prime

tre Aziende italiane

mi ha procurato un

brivido di piacevole

Tiziana Alamprese, Direttore Marketing Fiat Auto Japan

Me

ccan

ica

Non angosciamoci: è bello essere amati, comunque!

ottimismo...

Quindi, non angosciamoci col chiederci perché in questa

percezione non emerga maggiormente l’Italia del settore industri-

ale, che ha raggiunto l ’eccel lenza tecnologica, etc.. .

Fondamentalmente, neanche noi italiani (in patria e all’estero) ne

siamo convinti sostenitori, afflitti come siamo da un costi-

tuzionale vittimismo e sfiducia in noi stessi e assolutamente suc-

cubi dei miti di tecnologia ed efficienza che altri Paesi (Germania,

USA…e anche il Giappone) hanno costruito, ovviamente sulla

base di solidi presupposti e che hanno saputo diffondere nel

tempo attraverso convergenti operazioni di immagine – Paese.

E qui sta il punto: una Nazione è come un Brand e specie in un

mercato come il Giappone il branding è un’attività assoluta-

mente premiante per i prodotti di importazione (e tra l’altro

scarsamente praticata dalle Aziende giapponesi!).

Dunque, ecco l’invito di un’umile esploratrice del marketing,

appassionata da sempre di Giappone e orgogliosa di rappre-

sentare in questo Paese i Marchi Italiani che hanno maggior-

mente contribuito alla storia dell’Auto mondiale:

lavoriamo tutti insieme per rafforzare il Brand Italia, capitaliz-

zando sui valori che ci vengono riconosciuti e che anche gli altri

Paesi ci invidiano e ci ammirano da sempre, senza commettere

l’errore di voler dimostrare a tutti i costi l’eccellenza nelle aree

che non fanno parte dei valori percepiti.

Piuttosto, lasciamo che i nostri partners e clienti giapponesi

restino piacevolmente sorpresi dalla qualità del nostro lavoro e

dei nostri prodotti e servizi: nulla meglio del word by mouth

riesce ad influenzare i cambiamenti di percezione!

L’identità di questo affascinante Brand va dunque orientata,

rafforzata e protetta, attraverso un mirato "piano marketing"

condiviso da tutte le Istituzioni italiane in Giappone, con obiet-

tivi chiari e a lungo termine, che coinvolga le Aziende, i Marchi

e le Associazioni, offrendo loro una struttura dinamica e coe-

rente di attività e iniziative e ricevendo in cambio contributi fat-

tivi e concreti.

L’esperienza del Padiglione Italia alla Expo di Aichi dello scorso

anno si colloca indubbiamente come un valido esempio di ques-

ta modalità integrata di lavorare, che ha un obiettivo impor-

tante: far sì che il Brand Italia significhi qualcosa di più del

"fatto in Italia": l’Italia che fa!

Giu / Lug 2006 Viste 5958 Giu / Lug 2006 Viste

Page 32: Viste, maggio 2006

Giu / Lug 2006 Viste 6160 Giu / Lug 2006 Viste

Non vendiamo oggetti, vendiamo sogni. Concetto così spesso

ripetuto nei marketing slogan di molte aziende che forse è pro-

prio vero, almeno per l’Italia che emerge dal sondaggio sull’im-

magine del nostro Paese in Giappone.

Vorrei dare al mio commento sui risultati di questo sondaggio un

taglio più commerciale che sociologico, cercando di individuare

su quali punti fare leva per trasformare in risultati ed azioni con-

crete i preziosi messaggi che dall’indagine derivano.

Se dovessi identificare il settore di punta dell’Italia secondo

questo sondaggio, andrei per quello delle sensazioni forti, pas-

sione ed emozioni. Ammetto che come settori merceologici siano

piuttosto lontani da quelli delle tradizionali statistiche ma sembra

che il termine Italia sia la parola d’ordine che attiva i sensi di

queste tre aree.

Partendo dall’inizio del sondaggio, ad una lecita ed ovvia doman-

da di apertura: “l’Italia ti piace o no?”, ne abbiamo immediata-

mente il primo esempio: registriamo un considerevole 82% di

risposte affermative, il più alto, e non di poco, tra i 6 paesi a

confronto. Mano a mano

che procediamo, l’associa-

zione tra l’Italia, le sue

genti, i suoi prodotti e la

sfera emozionale è una

continua r iconferma

ancora più evidente nel

raffronto con le altre 5 paesi che ci

accompagnano nell’inchiesta.

Gli italiani sono cheerful, gli inglesi sono

conservative. Noi produciamo pasta e

vino e gli americani producono arma-

menti. I tedeschi sono organizzati e noi

siamo creativi, i francesi sono ele-

ganti ma noi siamo cool.

Fin qui forse nulla di nuovo. Se

approfondiamo nel settore dei

prodotti e dei marchi, ancora una

volta scopriamo un altro concetto

a molti noto: l’eclusività. I marchi

e i prodotti sono quelli del lusso,

della moda, della produzione

“artigianale” o percepita tale.

Ancora ci ritroviamo nella sfera

delle emozioni. Lungi da noi la

produzione di massa anche se la

pasta risulta il prodotto più asso-

ciato all’Italia in assoluto, forse

perché l’immagine che

ne diamo è che la pasta

per gli italiani è come il

carburante per le automobili: un requisito di base, una con-

dizione al contorno.

Ma faremmo un errore se ci limitassimo a trarre da questa

indagine l’ovvietà del suo messaggio e trascurassimo le oppor-

tunità di riflessione – e dunque di successiva azione.

Il campione intervistato ci comunica che siamo speciali ed unici,

palesemente inconfondibili, siamo stati in grado di stabilire una

immagine chiara e specifica di chi siamo, cosa produciamo e

dove lo facciamo. Lo sappaimo fare con un pacchetto aggiuntivo

che si chiama emozione e passione. Gli altri fanno altre cose.

Questi sono i nostri punti di forza. Sviluppiamoli facendo atten-

zione che non manchino mai nei requisiti dei nostri prodotti,

oggetti o servizi che siano. Il mercato ci dice che questo è ciò

che ci si aspetta dall’Italia.

Recentemete va di moda il

termine intel l igenza

emozionale. Un noto pro-

duttore di motocicli giap-

ponese ha coniato il ter-

mine ”emotional technol-

ogy”. L’emozione è un

business da non sottova-

lutare e a quanto pare

siamo la nazione che ne

ha in abbondanza. Come

me, molt i i tal iani qui in

Giappone rappresentano

aziende, siamo manager. Forse

una quota delle nostre attività

dovrebbe essere dedicata alla cura del lato emozionale del nostro

business. Forse dovremmo essere un po’ piú… manager

emozionali.

di Fabrizio CazzoliPresidente, Ducati Japan

Me

ccan

ica

Manager emozionali

Page 33: Viste, maggio 2006

Giu / Lug 2006 Viste 6362 Giu / Lug 2006 Viste

Molti giapponesi si preparano a tifare Italia come seconda squadra

del cuore durante il mondiale di Germania.

Il sentore che gli azzurri siano molto amati in Giappone si sta

trasformando in certezza, man mano che, all’avvicinarsi della ker-

messe tedesca, sempre più amici e colleghi giapponesi mi

chiedono dove andrò a vedere le partite e se sia possibile aggre-

garsi.

“Gli azzurri sono adorati in Giappone – conferma Fumiko

Yamazaki, 30 anni, che si occupa di organizzare eventi culturali a

Tokyo – Io tiferò Italia, così come mia mamma e il mio capo, che

una volta durante un viaggio di lavoro in Italia mi obbligò ad

andare a Napoli per vedere una partita al San Paolo, anche se il

Napoli era oramai in Serie B”

Incuriosito, ho deciso di fare un salto da Kamo Sports a Shibuya,

uno dei tanti negozi di una catena dedicata esclusivamente al cal-

cio ed il cui proprietario è un ex-commissario tecnico del

Giappone.

Kamo è un vero tempio per il culto del pallone. Nei sette piani del

palazzo, ribattezzato con orgoglio the Tower of Football, si vende

tutto ciò che possa deliziare gli appassionati: dagli accessori neces-

sari per giocare, alle divise ufficiali delle nazionali per i mondiali di

Germania.

Piccolo particolare: al pianterreno, il commesso addetto alla cassa

veste la casacca degli azzurri. Quando gli chiedo se tifa Italia o se

cambia maglia ogni giorno per ragioni di par-condicio commer-

ciale – magari su indicazione della gestione preoccupata di

vendere tutto il campionario – fa no-no con la testa e indica una

teca accanto al registratore di cassa. È la sua foto – e altre 6 di

altrettanti commessi – con Alex del Piero, in visita al negozio.

“Tifo Italia davvero – commenta il cassiere che si chiama Yuta

Fukuda – ma le magliette vendono bene comunque. Sono le più

vendute dopo quelle di Giappone, Brasile e Inghilterra. La maglia

numero 7 degli inglesi, quella di Beckham, vende tantissimo.”

Beh, fino a qui, niente sorprese. Il Giappone è una scelta ovvia. Il

Brasile, in fondo, pure. Non solo perché Zico, il CT del Giappone,

è brasiliano. E nemmeno perché è la squadra che ha vinto di più,

compreso l’ultimo mondiale che si è svolto in Giappone e in Corea

nel 2002. Ma anche a causa della relazione speciale tra i due

paesi. In Brasile vive, infatti, la più folta comunità di giapponesi al

di fuori della madre patria.

L’Inghilterra capitalizza il massiccio investimento fatto dal

Manchester United, prima squadra a creare i megastore monocolo-

re in Asia, quando Beckham non si era trasferito ancora a Madrid.

Ma l’Italia? Certo, anche noi abbiamo vinto molto, come

Germania e Argentina, d’altronde. Squadre come Milan e

Juventus hanno giocato molte finali di Coppa Intercontinentale a

Tokyo negli ultimi 20 anni. E Toto Schillaci è stato uno dei primi

grandi nomi a venire a giocare in Giappone negli anni 90, con-

tribuendo al successo della neonata J-League.

“Ci sono molte super-star nella squadra italiana – azzarda una

motivazione Yuta – vendiamo tantissime magliette di Totti, Del

Piero e Buffon”

Certo, le super-star aiutano, vedi effetto Beckham per gli inglesi,

ma non bastano. E poi da quando in qua è un portiere, benché il

migliore, a far battere più forte il cuore dei tifosi?

O forse la febbre azzurra dei giapponesi è una moda transitoria,

una delle tante che attraversano il paese alla velocità della luce?

Sennonché buona parte del Giappone aveva già tifato Italia

durante lo scorso mondiale, quando la regione del Sendai aveva

accolto gli azzurri in ritiro a Casa Azzurri, un complesso ancora in

esistenza, con il calore degno di uno stadio italiano.

“Durante lo scorso mondiale andai a vedere Italia – Croazia a

Kashima – ricorda Fumiko – Sul trenino che portava i tifosi allo

stadio, ero una delle poche persone in abiti civili, il resto era vesti-

to di azzurro. Erano tutti giapponesi.” Tipicamente femminili le

motivazioni di Fumiko e di altre ragazze a cui ho fatto la stessa

domanda. A quanto pare “alcuni giocatori sono proprio carini e le

maglie sono molto ben disegnate.” Ulteriore conferma di una pas-

sione scatenata dall’elemento “stile”. Lo stile Italia.

Quali le origini di questo amore, quali le diverse motivazioni, una

cosa è certa: il tifo azzurro dei giapponesi potrebbe non superare

lo scoglio degli ottavi di finale, quando l’Italia potrebbe incontrare

proprio il Giappone, se quest’ultimo riuscisse a qualificarsi alle

spalle del Brasile, probabile vincitore del girone.

“Tiferò Italia, così come molti dei miei amici – conclude infatti Ryo

Ikegami, un collega di 35 anni – almeno fino agli ottavi di finale …”

Poi si vedrà. Appunto, si vedrà.

di Federico FregniBloomberg

Ca

lcio

Febbre Azzurra in Giappone

Page 34: Viste, maggio 2006

Bello, raffinato e solare, Hidetoshi Nakata, simbolo del calcio nel

paese del Sol Levante, sembra quasi un italiano. Parla la nostra lingua

con l’accento un po’ romano, è disponibile, non lesina battute e sta

al gioco, non solo quello a centrocampo. Dopo sette anni trascorsi in

Italia dove ha militato nella Roma, nel Perugia e nella Fiorentina, al

nostro paese deve essersi affezionato per forza: “In Italia sono stato

molto bene. Mi piace la gente, che è allegra e

positiva e il vostro cibo. Inoltre adoro il clima

che avete…ho vissuto a Roma, una città stu-

penda”. E un po’ più italiano Nakata lo è

diventato davvero: il 15 maggio, presso la

residenza privata dell’Ambasciatore d’Italia a

Tokyo Mario Bova, il calciatore è stato insigni-

to con l’alta onorificenza dell’Ordine della

Stella della Solidarietà, diventando uno tra i

più giovani cavalieri della Repubblica Italiana.

Un riconoscimento importante, concesso a

tutti coloro che si sono contraddistinti nella

promozione dell’Italia nel mondo. Ma anche

un auspicio per una carriera incoronata anco-

ra da tanti successi, come ha commentato

l’Ambasciatore Bova mentre decorava la giac-

ca di Nakata con la prestigiosa stella. L’Italia

porta fortuna a questo calciatore ed è proprio

il caso di dire che

la buona stella gli

ha sorriso anche

questa volta: pochi

minuti dopo la

cerimonia Nakata

è stato infatti uffi-

cialmente convo-

cato in nazionale

da Zico e andrà ai prossimi mondiali in Germania. “Incontrare l’Italia

sarebbe bellissimo – ha continuato Nakata. Conosco tutti i giocatori e

con molti di loro sono amico. Il Giappone però si trova ad affrontare

un primo turno difficile: Australia e Croazia sono due squadre da non

sottovalutare, per non parlare del Brasile. Speriamo d’incontrarci, ma

se non dovesse accadere tiferò certamente l’Italia”. Parole lu-

singhiere, che arrivano in un momento in cui

il nostro calcio è scosso da uno tra i più grossi

scandali sportivi di tutti i tempi. “Mi dispiace

per tutto quello che sta accadendo, ma non

mi piace fare polemica - commenta il calcia-

tore - né in campo, né fuori. Adesso che

gioco nel Bolton in Inghilterra, noto delle dif-

ferenze col calcio italiano. Mi sembra che agli

inglesi piaccia ancora lo spettacolo, che giu-

dichino i giocatori da come giocano. In Italia,

invece, le cose sono un po’ cambiate: la

gente è attenta soprattutto al risultato,

indipendentemente da come uno gioca.

Spero che il calcio italiano torni presto a

essere quello che era, uno degli spettacoli più

belli del mondo”. L’immagine di Nakata ha

sicuramente aiutato la diffusione di questo

sport nel paese del Sol Levante: riviste speci-

alizzate seguono la nostra Serie A anche

oltreoceano e tra i più popolari beniamini della gente ci sono proprio

alcuni calciatori italiani (Del Piero, Totti, Baggio), come il sondaggio

della Camera dimostra. “In Giappone il calcio è uno sport giovane –

commenta Nakata. C’è ancora molto da fare, ma siamo sulla buona

strada”. L’Italia e il Giappone sono più vicini di quello che sembrano

e Nakata è sicuramente una figura importante nel dialogo tra i due

paesi. “Però gli italiani sono sempre in ritardo - conclude sorridendo -

e i ragazzi che vanno in motorino sono davvero spericolati!” Come

dire: nessuno è perfetto…

di Stefania Viti

Ca

lcio

Una stella per Nakata

Giu / Lug 2006 Viste 6564 Giu / Lug 2006 Viste

Page 35: Viste, maggio 2006

Giu / Lug 2006 Viste 6766 Giu / Lug 2006 Viste

È appena diventato Cavaliere del Lavoro, ma la sua giornata

tipo non cambia. Di giorno corre di qua e di là, ma alle 18 in

punto, cascasse il mondo, è alla Bettola, in Ginza, il “suo” ris-

torante. “Sì, questo lo sento davvero mio, mi ci sono affeziona-

to e non penso che lo lascerò mai. Ha le dimensioni giuste per

soddisfare la mia clientela”.

Una clientela fedelissima. Ed equamente divisa tra indigeni e

italiani (oltre a non pochi espatriati di altre nazionalità). Ochiai,

oramai da quasi trent’anni, mette

d’accordo tutti. Giapponesi dal palato

fine, capaci di distinguere tra l’ita-

meshi improvvisato e la vera cucina

originale italiana, rispettosa di ingredi-

enti, condimenti e – assolutamente –

presentazione. Ma anche gli italiani

che vivono a Tokyo lo portano in

palmo di menù: la Bettola, diciamolo,

è famosa proprio per il fatto che tra i

fornelli c’è quel giapponese che mette

in fila tanti italiani…

Con Ochiai ci conosciamo da tanti

anni. Dal 1982, per esattezza, quando

un gruppetto di italiani scoprì che da Granata, un ristorante si-

tuato nel seminterrato dell’ex TBS Building di Akasaka, si man-

giava davvero bene. Tra i fornelli, appena rientrato da una serie

di “tirocini per caso” in Italia, c’era Ochiai.

Ricordi? Si veniva spesso con il consigliere d’ambasciata Dino

Volpicelli, oggi ambasciatore, il compianto Franco Landuzzi,

g r a n d e

dirigente

de l l ’ En i t ,

Vittorio Volpi,

l’ex direttore della

Banca Commerciale….eri il

nostro mito. Sei stato il primo a portare la bruschetta, la pasta

all’arrabbiata, le lasagne. E a creare nel ristorante un ambiente

davvero italiano, per niente imbalsa-

mato…

Bei tempi. Vi presentavate all’ultimo

momento, senza nemmeno preno-

tare…il posto c’era sempre…

Adesso in certi locali, Bettola compre-

sa, bisogna prenotare con un mese

d’ant ic ipo. Ma cosa è successo?

Perché voi giapponesi siete diventati

così pazzi per la cucina italiana? Ma

soprattutto, com’è che la fate così

bene? Non c’è paragone al mondo.

Oramai a Tokyo si mangia italiano

meglio della media italiana…Qual è il

segreto di questo successo?

La serietà. I giapponesi, dunque anche i cuochi, sono persone

molto serie, che si impegnano per ottenere sempre il massimo,

senza compromessi o scorciatoie. In più c’è il fatto che la cucina

italiana è di per sé molto adatta al palato e allo stomaco dei

giapponesi…

A colloquio con lo chef Tsutomu Ochiai: trent’anni dalla parte del gusto

di Pio d’Emilia

Tu sei partito dalla Francia…

Già, come tutti i cuochi, probabilmente. Un giorno ero a Lione,

dovevo rientrare in Giappone, ma l’aereo non partì e mi

offrirono un settimana extra: Spagna o Italia. Scelsi l’Italia,

Roma. Andavo a pranzo e cena fuori ogni giorno e ogni volta

restavo deluso. Abituato ai piatti sofisticati d’oltralpe, la cucina

italiana mi sembrava elementare, povera, scontata. All’inizio fu

una delusione. Poi, improvvisamente, mi resi conto della sua

vera qualità. Era buona.

Detto fatto. Ochiai rientra in Giappone, contatta il padrone

della catena Zakuro (Melograno, in giapponese) e si fa affidare

il ristorante Granata nel TBS Building. Dove nacque il mito.

La cucina italiana ha molto in comune con la nostra cucina

kaiseki, anche se nella presentazione spesso non si è così rigo-

rosi. Ma quanto alla scelta degli ingredienti, alla loro qualità e

alla loro coniugabilità gastroetica non vi è dubbio che le due

culture si avvicinano. Ed ecco perché a noi giapponesi piace la

cucina italiana. Perché, pur diversa, è così simile alla nostra.

La sera si andava tutti a mangiareda Granata...

Cu

cina

Page 36: Viste, maggio 2006

Giu / Lug 2006 Viste 6968 Giu / Lug 2006 Viste

“Sumimasen, sorry, da che parte si va per il Palazzo Imperiale,

koukyou dochira desuka?” C’erano una volta guide che mette-

vano in guardia sull’ atteggiamento dei giapponesi accostati per

strada nell’ intento di domandare una semplice informazione:

“saranno amichevoli con voi se penseranno di dover sfoggiare il

loro internazionalismo davanti a parenti o amici, ma vi scanse-

ranno senza pietà se li avvicinerete da soli o in luoghi appartati”.

Una trentina di anni fa, quando arrivai per la prima volta in

Giappone come corrispondente Ansa, anche con i tassisti non

erano insolite esperienze del genere: se si era finiti in una zona

periferica si rischiava di essere piantati in asso da conducenti

restii, forse solo per timidezza, a far salire e a confrontarsi con

un cliente che non avesse gli occhi a mandorla.

Adesso l’italiano sperduto nei dedali urbani del Sol

Levante non corre più rischi del genere,

anzi. Se un tempo la conversazione si spingeva fino a rivelare la

nazionalità, la parola I-ta-ri-a era accolta con una specie di

incredulità e imbarazzo: tanto, tanto lontano, eppoi quella guer-

ra assieme finita male... I più curiosi arrivavano a domandare:

“ma che lingua si parla da voi, il tedesco o lo spagnolo?” A dire

il vero nemmeno ai francesi, pudori bellici a parte,

andava poi tanto meglio: “esiste davvero una

l ingua francese? Ah sì , che

curiosità! Però adesso anche

voi parlate tutti americano!”

Difficile dar torto a chi la pensava così in una

Tokyo americanizzata, costellata di Harry’s bar e di

ragazzetti vestiti come Elvis Presley. Ogni tanto in giro per

Roppongi, e poi dappertutto per i l centro, scendevano

improvvisamente quelli della Settima Flotta con tanto di candide

uniformi: ma attenti a quando si sbronzano perchè la fanno da

padroni ed è meglio non venire alle mani, l’unico rimedio è

starne alla larga.

Ora, rispetto alla metà degli anni settanta, il

mito Usa sembra essersi dissolto:

sono anzi Italia e Francia

ad avere conquistato il cuore

dei ventenni o giù di lì. Anche nei sob-

borghi delle città giapponesi più remote il locale

che vuol essere alla moda tende a inalberare un’insegna

con un paio di parole italiane e francesi talora prive di senso e

copiate chissà dove.

Ma la differenza è soprattutto nel contatto umano. Anche per

chi sappia poco il giapponese, dopo qualche parola è distin-

guibile un …kara? che indica inequivocabilmente la curiosità

dell’interlocutore sulla provenienza dello straniero. A-me-ri-ka-

jin? No, iie, i-ta-ri-a-jin desu! Fate l’esperienza ovunque e

ovunque vedrete l’esitazione sciogliersi subito in un sorriso. Sì,

ovviamente il calcio, le Ferrari, Gucci, Versace e tutto il resto, ma

intanto anche nell’angolo più remoto del Giappone è ormai

impossibile trovare qualcuno che non sia stato nella Penisola o

non abbia un parente o un amico che vi sia stato. Roma,

Venezia, Firenze, Milano: quasi tutti sanno fare bene una di-

stinzione fra città che una trentina di anni fa erano al massimo

fra le nozioni acquisite sui sussidiari.

Dal sorriso ad altre curiosità e poi ancora al sorriso: l’Europa,

l’Italia sono ormai vicine e parlano a un’immaginazione, a una

creatività che non permettono più di omologare il Giappone nei

ranghi degli imitatori irregimentati e privi di personalità. Ormai,

nell’arcipelago della duttilità, i criteri della produzione di massa

mutuati dall’America hanno trovato di che coniugarsi in maniera

originale con la ricerca di una raffinatezza di gusto tutto

europeo. Trent’anni fa, al tempo incontrastato delle coche e

delle pepsi, era quasi impensabile: ma adesso i milioni di distribu-

tori automatici affastellati per le strade di tutto il Giappone con-

tengono meno cola che bevande al caffè e al cacao con nomi

italiani o francesi, veri o inventati di sana pianta. Ma il simbolo

perfetto in proposito potrebbe essere un giocattolo-sorpresa

appena lanciato a Tokyo per inondare i prati durante la prossima

estate: è un frisbee di plastica colorata, che sembra tutto ameri-

cano ma che in uno scatto si trasforma... in un pallone da calcio.

jàv

u

Italia e Giappone, trent’anni dopodi Pier Luigi Zanattacorrispondente Ansa da Tokyo

Page 37: Viste, maggio 2006

Quando Hidetoshi Nakata, il 15 maggio scorso, ha ricevuto una

onorificenza da parte dell’ambasciatore Mario Bova a nome del

Presidente della Repubblica per il suo ruolo di promotore della

conoscenza del calcio italiano in Giappone, ha ringraziato non solo

con cortesia formale giapponese, ma con

un pizzico di calore in più che gli è proba-

bilmente derivato dagli anni passati in

Italia. Intervistato poco dopo su cosa non

gli fosse piaciuto del nostro Paese, ha

risposto con un concetto che appariva

come un capolavoro di diplomazia. “Beh,

non si è mai in orario!”. Dicendolo, Nakata

sapeva di non offenderci, ma di provocare

un sorriso reciproco, se non una risata.

È questo un punto su cui riflettere in riferi-

mento al sondaggio illustrato in questo

numero: si può

leggerne i risul-

tat i con moti

ist intivi di per-

pless ità, ma

siamo sicuri che

nel complesso ci

Giu / Lug 2006 Viste 7170 Giu / Lug 2006 Viste

si possa sorprendere più di tanto? “L’immagine che i giapponesi

mostrano di avere degli italiani è in linea con la retorica che abbia-

mo trasmesso nel mondo”, osserva Pietro Ginefra, responsabile

della Banca d’Italia a Tokyo: il filo di compiacimento con cui ci pre-

sentiamo come un popolo più simpatico e divertente di quelli

nordici - con un surplus di affettuosità e giocosità e un relativo

deficit di seriosità o persino di affidabilità - ha tessuto l’immagi-

nario degli altri. Di più: “Le critiche al sistema - continua Ginefra -

mi sembrano in linea con quelle che farebbero gli italiani: i servizi

di trasporto pubblico non sono efficienti e il livello di “ordine” pub-

blico, in vari sensi, è basso”. Una visione stereotipata dell’Italia,

insomma, trova la sua giustificazione nelle indulgenze verso noi

stessi e nella nostra stessa rassegnazione all’inefficienza dei servizi

pubblici. Il problema è che il pre-giudizio culturale da noi stessi ali-

mentato sembra portare a conseguenze economiche limitative

dello spettro di potenzialità insito nel sistema. Ci vantiamo di

essere un popolo allegro? Ci piace mangiare bene e vestire bene?

Ecco allora la prevalenza assoluta, nei ratings del

sondaggio, dei prodotti agroalimentari (con l’ag-

giunta della moda), e del richiamo turistico con-

nesso a un immaginario di evasione che forse fa

premio su un più profondo legame culturale.

Chissà quanto possa aver inciso, si chiede Ginefra,

l’identificazione dell’Italia come un Paese “metala-

vorativo” – “il regno delle vacanze” - sulle scelte di

investimento delle società giapponesi, se il

retropensiero dei manager è quello per cui nel Bel

Paese non si va a lavorare. Un aspetto che diventa

tanto più problematico in quanto oggi si sposa con

un altro sostrato culturale che ci gioca contro:

nella mente degli imprenditori nipponici, l’euro

“tende a diluire l’Italia nel più vasto contesto

europeo”. Sul versante contrario, si rafforza la

questione: quali maggiori opportunità commerciali si aprirebbero

per i nostri settori produttivi se la percezione diffusa delle caratte-

ristiche del nostro Paese si modificasse includendo le tante forme

di modernità italiana che noi stessi, finora, abbiamo fatto poco per

veicolare? E quanti sforzi occorreranno perché l’immagine del

Paese possa passare dal filtro dei consumi di massa e di un passato

immenso verso un bilanciamento equilibrato, che ponga sul piatto

le spinte del Paese – tecnologiche e non – verso il futuro? È scon-

certante leggere questo sondaggio in parallelo con i volumi del

rapporto della missione Iwakura - il

grande viaggio esplorativo nei Paesi

dell’Occidente compiuto da una

delegazione giapponese nella se-

conda metà dell’Ottocento (poco

dopo la forzata apertura del Sol

Levante al mondo) - sul quale si è

aperta di recente una mostra al

museo della Dieta. In alcuni pas-

saggi, i funzionari nipponici

scrivono: ecco il Paese del dolce-

far-niente e dal passato monumen-

tale, dove la vita sembra più bella e

la natura più rilassata, così diverso

dalla Germania che abbiamo appe-

na visitato. Si trattava di 130 anni

fa e della prima volta in cui i giap-

ponesi mettevano il naso fuori dal loro arcipelago, e già l’Italia

appena unificata appariva il regno di una bellezza languida che

trascura l’efficienza. Aggiungiamo il precedente storico premoni-

tore secondo cui il primo dialogo in Italia tra giapponesi e italiani

riguardò la moda: fu quello, nel 1585, in cui l’amante veneziana

del signore di Livorno chiese lumi a un giovane principe del Kyushu

(portato dai gesuiti) sulla qualità e la manifattura dei tessuti del

kimono. Capitalizzare sull’esistente, per cercare però di andare

oltre, può e deve diventare l’obiettivo primario del sistema-Italia nel

ricalibrare la propria presenza nel Paese dei Segni, in un’ottica che

dovrà necessariamente superare quella del breve termine.

di Stefano Carrer Il Sole 24 Ore

jàv

u

Fedeli alla linea

Page 38: Viste, maggio 2006

Giu / Lug 2006 Viste 7372 Giu / Lug 2006 Viste

Diciamo che non amo molto i sondaggi. E quindi neanche

questo, che non ho mai considerato necessario, anche se alla

fine – grazie alla professionalità con il quale è stato effettuato -

può essere utile a quegli operatori italiani (purtroppo non tanti)

interessati a una maggiore e sistematica conoscenza di ciò che il

mercato giapponese si aspetta di ricevere dai produttori italiani.

Svolgendo qui in Giappone, già da vari decenni, la mia attività

professionale, i risultati del sondaggio non mi hanno né stupito,

né deluso. Piuttosto, hanno rappresentato una conferma di

quanto, lavorando a stretto contatto con i giapponesi, ho potuto

verificare “sul campo”.

Molto più di altri mercati, quello giapponese è enormemente

influenzabile e di fatto influenzato dall’enorme impatto dei

media, sia nazionali che locali: sia sotto forma di notizie, sia

come veicoli di promozione. Prova dello strapotere dei media è

che il personaggio fra gli italiani contemporanei più conosciuto

dai giapponesi è Girolamo Panzetta, figura costruita in modo

formidabile dai media locali ma sconosciuta in Italia.

Soltanto negli ultimi decenni - e comunque ancora in piccola

percentuale rispetto al totale della popolazione - si è avuto un

afflusso di turisti giapponesi verso l'Italia, che ha dato la possi-

bilità di conoscere direttamente la realtà italiana. Ciò risulta otti-

mamente evidenziato dalla differenza di opinioni fra chi ha visi-

tato e chi invece non è mai stato in Italia.

Trovo naturale che il consumatore giapponese non abbia una

conoscenza dei prodotti italiani di alta tecnologia sia perchè

l’Italia soltanto in tempi relativamente recenti è entrata in questo

campo sia perché i prodotti sono destinati ad un uso specifico e

primariamente industriale e non di largo consumo.

Poco attendibili, ritengo, i commenti sui cambiamenti dell'Italia

negli ultimi 4-6 anni. Quanti degli intervistati sono in grado di

rispondere a questa domanda? Quanti sono stati in Italia sia 4-6

anni fa che, poniamo, l’anno scorso?

Più obbiettivo il commento di chi risponde “non saprei” sul

futuro dell'Italia. Quanti italiani sono in grado di dare una rispo-

sta più concreta a questa domanda?

E veniamo alle grandi rassegne promozionali organizzate di

recente. L’anno dell’Italia in Giappone - nel 2001 – ed il

Padiglione italiano ad Aichi – avrebbero probabilmente generato

risultati più positivi (mi riferisco al lato commerciale) se organiz-

zate e sviluppate in altra maniera.

Purtroppo l’Anno dell'Italia in Giappone 2001 è stata una inizia-

tiva puramente politica - era infatti in mano al Ministero degli

Esteri – senza adeguato coinvolgimento di enti e associazioni

proposte al commercio,

industria, ecc.

Di quella manifestazione

rimane il ricordo, per chi

era presente alla serata

inaugurale, delle modelle

f luttuanti nel l 'ar ia

appese a palloni. Scena indubbiamente elettrizzante, ma appena

sufficiente per confermare, appunto, lo stereotipo italiano che

emerge dal sondaggio: allegro-artistico-fantasioso-leggero-alla

moda.

La stessa cosa vale per il Padiglione italiano all’Expo di Aichi,

nonostante tutti gli sforzi compiuti per accreditarne il “concet-

to” di “arte del vivere”. Il pubblico, temo, non l’ha visitato per

apprendere che l’Italia è piena di opere d’arte antiche - di

questo il giapponese medio è già abbondantemente informato e

oramai consapevole - ma per avere una visione diretta di marchi

italiani famosi nel settore automobilistico e, diciamocelo franca-

mente, soprattutto per sedere a tavola in uno dei pochi ristoranti

decenti dell’Expo che prometteva, tra l’altro, ciò di cui i giap-

ponesi oggi vanno decisamente pazzi: autentico cibo italiano.

di Glauco PompilioPresidente Eureco Japan

Chi semina male, peggio raccoglie

jàv

u

A sinistra: il padiglione italiano ad Aichi 2005Sotto: Girolamo Panzetta