VIRUS E PANDEMIE - Clitt · 2020. 7. 21. · Wuhan. Il mercato di animali vivi è un classico...

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All’inizio del 2020 ci siamo accorti che parole come virus, vaccini, prevenzione, isolamento hanno un significato molto più forte di quanto potessimo pensare. Per questo abbiamo deciso di ragionare insieme sui virus emergenti e su quelli che da più anni vivono tra noi: influen- za, HIV, papillomavirus e gli ormai fa- miliari coronavirus. Alcuni di questi virus sono stagionali, con altri combattiamo da così tanto tempo che abbiamo trovato il modo di conviverci. Ma erano decenni che non dovevamo affrontare un virus nuovo e contagioso come SARS-CoV-2. Quando abbiamo realizzato questo fa- scicolo, le informazioni su SARS-CoV-2 erano ancora parziali e in continuo ag- giornamento. Ma gli spunti per comin- ciare a ragionare non mancano: perché le scuole sono rimaste chiuse a lungo? perché sono state necessarie misure di isolamento cosi severe? sarà possibile avere un vaccino anti-coronavirus? 1. LA PANDEMIA DI COVID- 19 Che cosa sono i virus? L’origine e la diffusione del virus SARS-CoV-2 Arrestare il contagio: misure di sicurezza, farmaci e vaccini Tutto è connesso: lo stretto rapporto tra pandemia, ambiente e società Se dopo aver letto questi articoli avrai voglia di approfondire ancora o vedere gli aggiornamenti su questi temi, vai di- rettamente alla fonte: Aula di Scienze. Inquadra il simbolo qui in basso con la app GUARDA! per accedere diretta- mente da smartphone e tablet. 2. ALTRI VIRUS INTORNO A NOI Dall’animale all’essere umano: i virus dell’influenza AIDS: una pandemia lunga quarant'anni Alla scoperta del papillomavirus e del suo vaccino 3. STRUMENTI E MODELLI PER STUDIARE LE EPIDEMIE Che cosa fanno gli epidemiologi? Modelli numerici per le epidemie SOMMARIO GUARDA! VIRUS E PANDEMIE © CDC/SCIENCE PHOTO LIBRARY/AGF

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All’inizio del 2020 ci siamo accorti che parole come virus, vaccini, prevenzione, isolamento hanno un significato molto più forte di quanto potessimo pensare. Per questo abbiamo deciso di ragionare insieme sui virus emergenti e su quelli che da più anni vivono tra noi: influen-za, HIV, papillomavirus e gli ormai fa-miliari coronavirus. Alcuni di questi virus sono stagionali, con altri combattiamo da così tanto tempo che abbiamo trovato il modo di

conviverci. Ma erano decenni che non dovevamo affrontare un virus nuovo e contagioso come SARS-CoV-2.Quando abbiamo realizzato questo fa-scicolo, le informazioni su SARS-CoV-2 erano ancora parziali e in continuo ag-giornamento. Ma gli spunti per comin-ciare a ragionare non mancano: perché le scuole sono rimaste chiuse a lungo? perché sono state necessarie misure di isolamento cosi severe? sarà possibile avere un vaccino anti-coronavirus?

1. LA PANDEMIA DI COVID-19

• Che cosa sono i virus?• L’origine e la diffusione del virus

SARS-CoV-2• Arrestare il contagio: misure

di sicurezza, farmaci e vaccini• Tutto è connesso: lo stretto

rapporto tra pandemia, ambiente e società

Se dopo aver letto questi articoli avrai voglia di approfondire ancora o vedere gli aggiornamenti su questi temi, vai di-rettamente alla fonte: Aula di Scienze. Inquadra il simbolo qui in basso con la app GUARDA! per accedere diretta-mente da smartphone e tablet.

2. ALTRI VIRUS INTORNO A NOI

• Dall’animale all’essere umano: i virus dell’influenza

• AIDS: una pandemia lunga quarant'anni

• Alla scoperta del papillomavirus e del suo vaccino

3. STRUMENTI E MODELLI PER STUDIARE LE EPIDEMIE

• Che cosa fanno gli epidemiologi?• Modelli numerici per le epidemie

SOMMARIO

GUARDA!

VIRUS E PANDEMIE

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La cellula è la struttura più semplice dotata di vita autonoma, cioè in gra-do di svolgere le funzioni vitali fon-damentali: produrre energia e ripro-dursi. In natura esiste però un tipo di organizzazione biologica ancora più semplice di quella cellulare: si tratta dei virus.Le dimensioni di un virus variano da 20 a 500 nm. Un virus, quindi, è circa mille volte più piccolo di una cellula e si può osservare solo con il micro-scopio elettronico. I virus sono mol-to numerosi e si trovano in ogni tipo di ambiente; tutti insieme costitui-scono la cosiddetta virosfera. Sono

state classificate circa 5000 diverse specie virali, ma si stima che in natu-ra ne esista almeno un milione; i vi-rus sono migliaia di volte più abbon-danti dei batteri.L’osservazione delle particelle virali al microscopio elettronico ha rivelato una straordinaria varietà di forme. Tutti i virus sono costituiti da un in-volucro di proteine di forma geome-trica, detto capside, che racchiude una molecola di DNA (Figura 1) o di RNA (Figura 2): in pratica, un virus è una «scatola» che contiene un’infor-mazione ereditaria. Un virus non è ca-pace di riprodursi da solo: per farlo ha

Figura 1 L’adenovirus, che causa il raffreddore, è un virus a DNA.

Capsideproteico

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Figura 2 I virus responsabili dell’influenza sono virus a RNA.

Capsideproteico

Involucro esterno

Glicoproteina

Acido nucleico (RNA)

bisogno di penetrare all’interno di una cellula, in un processo chiamato infezione, e usare le strutture cellula-ri per replicare il proprio genoma e produrre le proteine del capside. In questo modo si producono nuove par-ticelle virali che escono dalla cellula. I virus quindi sono parassiti intracel-lulari obbligati. Molte specie di virus sono del tutto innocue, ma alcune causano gravi malattie umane; altre arrecano danni all’agricoltura e all’al-levamento. Di conseguenza, molte ri-cerche si sono concentrate sulle loro modalità di infezione e sugli effetti che hanno sugli organismi ospiti.

Che cosa sono i virus?

1. LA PANDEMIA DI COVID-19

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L’origine e la diffusione del virus SARS-COV-2di Giovanni Maga e Lara Rossi

I coronavirus (CoV) sono una fami-glia di virus a RNA che deve il suo nome alle proteine che, sporgendo dall’involucro del virus, formano del-le caratteristiche punte che ricordano una corona (Figura 1). Fino al 2019 erano noti sei coronavirus umani: quat-tro virus che causano malattie con sintomi lievi simili al raffreddore e due virus che provocano infezioni più gravi: il coronavirus SARS-CoV, responsabile della sindrome respira-toria acuta grave o SARS, e il virus MERS-CoV, che provoca la sindrome respiratoria mediorientale o MERS.

COVID-19: da CO per corona, VI per virus, D per disease e 19 per l’anno in cui si è manifestata. MERS: Middle East Respiratory Syndrome. SARS: Severe Acute Respiratory Syndrome.

Figura 1 Le proteine dell’involucro del coronavirus ricordano le punte di una corona.

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A questi coronavirus si è aggiunto, alla fine del 2019, il nuovo virus SARS-CoV-2, responsabile della pan-demia di COVID-19, una malattia che può portare a polmoniti anche gravi.I coronavirus sono molto comuni in diverse specie animali (soprattutto i pipistrelli), ma talvolta possono ac-quisire la capacità di infettare anche gli esseri umani con il cosiddetto «salto di specie». Questo è quello che è accaduto con l’epidemia di SARS in Cina nel 2003, con l’epidemia di MERS del 2012 in Medio Oriente e, in-fine, con la COVID-19 che ha causato dapprima un’epidemia in Cina, sfo-ciata poi in una pandemia globale tuttora in corso.

Qual è stata l’origine dell’epidemia di COVID-19?I primi casi di COVID-19 sono stati registrati il 31 dicembre 2019 in

Cina, a Wuhan, dove il focolaio ha probabilmente avuto origine nel mercato cittadino. A fine gennaio non era ancora chiaro come si fosse evoluto questo nuovo coronavirus, ma i dati epidemiologici delle autori-tà sanitarie cinesi confermavano la trasmissione diretta da umano a umano. Questo ha spinto il governo cinese ad avviare misure straordina-rie di contenimento, ponendo sotto quarantena Wuhan e altre città. Gra-zie a queste misure, fino alla fine del mese di gennaio la maggior parte dei casi è rimasta confinata al territorio cinese. I casi registrati in altri Paesi erano tutti «casi importati», cioè ri-guardavano persone che erano tran-sitate per la Cina, dove avevano ra-gionevolmente contratto l’infezione. Anche i primi due casi di coronavi-rus in Italia, individuati il 30 genna-io, riguardavano una coppia di turi-sti cinesi che avevano contratto l’in-fezione fuori dal nostro Paese. L’an-damento iniziale dell’epidemia non sembrava quindi far pensare al ri-schio di una disseminazione al di fuori della Cina o dei Paesi limitrofi. In Italia, l’emergenza ha avuto inizio con il primo caso ufficiale di tra-smissione secondaria sul territorio: il 18 febbraio un giovane paziente di Codogno (il cosiddetto «paziente 1») è risultato positivo al coronavirus pur non avendo viaggiato in Asia o in altri Paesi. Il suo contagio doveva essere avvenuto in Italia, a dimostra-zione del fatto che il virus era in cir-colazione anche nel nostro Paese.

Trasmissione secondaria: nelle zoonosi, cioè le malattie infettive provenienti dagli animali, si distin-guono la trasmissione primaria (dall’animale all’umano) e la tra-smissione secondaria (da umano a umano).

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Come previsto dai protocolli sanitari, dopo aver individuato il primo caso italiano si è cercato di tracciare i con-tatti precedenti del «paziente 1» per risalire al cosiddetto «paziente 0», ov-vero la persona che avrebbe trasmes-so per prima il virus. In caso di epide-mia, conoscere il «paziente 0» è fon-damentale per aiutare a capire i per-corsi e le zone in cui potrebbe diffon-dersi il virus e per attuare le misure preventive più opportune per circo-scrivere il focolaio. La ricerca, però, non ha portato ad alcun risultato cer-to; come suggeriscono le prime inda-gini epidemiologiche, è probabile che il virus fosse in circolazione nel nostro Paese già da alcune settimane.Inizialmente, l’emergenza era confi-nata a due focolai nel Nord Italia: uno a Codogno, in Lombardia, e uno a Vo’, in Veneto (Figura 2); per limi-tare la diffusione del virus da queste zone, il governo italiano ha istituito attorno a questi comuni le cosiddette «zone rosse» per vietare gli sposta-menti degli abitanti. Con il passare dei giorni, però, il nu-mero di persone positive al virus an-che al di fuori di queste zone è anda-to aumentando, costringendo il go-verno ad adottare misure sempre più restrittive: la sera del 7 marzo le mi-sure di contenimento sono state este-se a tutta la Lombardia e ad altre 14 province del Nord Italia. Poi, il 9 mar-

Codogno

Milano

Torino

Bologna San Marino

Roma

GenovaFirenzeMonaco

ITALIA

CROAZIA

Figura 2 I primi due focolai epidemici italiani sono comparsi a Codogno, in provincia di Lodi, e a Vo’, in provincia di Padova.

zo, il Presidente del Consiglio Giu-seppe Conte ha comunicato in una conferenza stampa il contenuto del decreto nominato «Io resto a casa» che vietava contatti, assembramenti e spostamenti non indispensabili su tutto il territorio nazionale. A distanza di pochi giorni, l’11 mar-zo, è arrivato infine un ulteriore giro di vite con la chiusura in tutto il Pae-se di locali, negozi e altre attività non essenziali. Nel quadro dell’emergenza CO-VID-19, l’11 marzo è stato un giorno importante non solo per il nostro Pa-ese; in quella data l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha in-fatti dichiarato ufficialmente l’infe-zione da SARS-CoV-2 una pandemia.

Pandemia: l’OMS definisce pande-mia la diffusione a livello globale di una nuova malattia infettiva.

Oltre alla Cina e all’Italia, a metà marzo il virus ha infatti iniziato a propagarsi rapidamente anche in molti Paesi europei e nel continente americano, costringendo questi Paesi ad adottare misure di contenimento analoghe a quelle già varate in Italia nei giorni precedenti (Figura 3). Il 17 marzo, l’Unione Europea ha in-fine annunciato la chiusura delle frontiere esterne per limitare la pro-pagazione del virus nel mondo.

NORDAMERICA

SUDAMERICA

EUROPA ASIA

AUSTRALIA

AFRICA

Figura 3 La diffusione del virus SARS-Cov-2 nel mondo ad aprile 2020. La pandemia ha avuto origine a dicembre 2019 da Wuhan, in Cina.

Come si è originato il coronavirus SARS-COV-2?I coronavirus sono naturalmente presenti nei pipistrelli, dai quali il vi-rus può passare ad altri mammiferi, come lo zibetto nel caso della SARS e il dromedario nel caso della MERS. Il salto di specie avviene grazie a una modifica nel patrimonio genetico del virus che lo rende in grado di infetta-re nuove specie animali, tra cui an-che gli esseri umani. Nel caso del virus SARS-CoV-2, il fo-colaio dell’infezione sembra essere stato il mercato del pesce di Wuhan. Il mercato di animali vivi è un classico moltiplicatore di infezio-ni e può favorire il salto di specie per diversi motivi: la presenza di un alto numero di persone, la vicinanza con animali selvatici e la manipolazione di animali vivi. Per limitare l’insor-genza di future epidemie, le autorità sanitarie cinesi stanno cercando di impedire alcune pratiche rischiose, come la macellazione di animali sel-vatici e il consumo di carne cruda, ma questi aspetti costituiscono solo una parte delle situazioni a rischio. Come dimostrano altre recenti epi-demie virali, nel territorio cinese convergono anche altre condizioni che favoriscono l’insorgenza e la dif-fusione di nuove infezioni. In Cina, la vicinanza tra esseri umani e ani-

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mali (selvatici e domestici) è favorita non solo dai mercati di animali vivi, ma anche dai numerosi allevamenti intensivi; a questo si aggiunge il fatto che la Cina si trova al centro di molte rotte migratorie di uccelli che possono trasferire e diffondere i virus attra-verso il territorio.

Il salto di specie è un evento partico-larmente comune nel caso dei virus a RNA come i coronavirus, che hanno un tasso di mutazione molto elevato: quando duplica il suo genoma, il vi-rus commette numerosi errori, gene-rando altri virus con genomi alta-mente variabili. Alcuni di questi pos-sono acquisire nuove caratteristiche, tra cui la capacità di infettare cellule di specie diverse da quella di origi-ne. Per capire come si è originato un nuovo virus e decifrare le sue caratte-ristiche biologiche è quindi indi-spensabile studiare il suo genoma, che costituisce una sorta di archivio dei passaggi evolutivi subiti dal vi-rus. Queste informazioni sono utili anche per sviluppare nuovi farmaci e vaccini e per evitare, quando possibi-le, che le circostanze che hanno favo-rito la formazione di nuovi virus si ripresentino in futuro. Le prime analisi condotte sul geno-ma di SARS-CoV-2 nel febbraio 2020 hanno evidenziato una chiara somi-glianza con il virus SARS-CoV, re-sponsabile dell’epidemia di SARS (con cui il nuovo coronavirus condi-

vide il 79,6% del genoma) e una so-miglianza ancora maggiore (96%) con un altro coronavirus rinvenuto nei pipistrelli (Figura 4). In uno stu-dio successivo, pubblicato dalla rivi-sta Nature Medicine (marzo 2020), l’a-nalisi bioinformatica della proteina spike virale (la proteina che il virus adopera per legarsi alle cellule uma-ne e infettarle) ha messo in luce un importante adattamento rispetto ad altri coronavirus, ovvero la capacità di legarsi al recettore umano ACE2, lo stesso usato dal virus responsabile della SARS.È interessante notare che, secondo analisi bioinformatiche precedenti, la capacità di SARS-CoV-2 di legarsi ad ACE2 avrebbe dovuto essere infe-riore rispetto a quella del virus della SARS: il risultato ha quindi colto di sorpresa i ricercatori e, indirettamen-te, ha confermato che il virus è il pro-dotto di un imprevedibile evento di selezione naturale (e non di una ma-nipolazione genetica condotta in la-boratorio), che ha modellato un sito di legame precedentemente scono-sciuto. Il recettore di SARS-CoV-2 sembra quindi aver sviluppato un adattamento specifico verso il recet-tore ACE2 intraprendendo quella che, dal punto di vista bioinformati-co, era la soluzione meno prevedibile. Per quanto riguarda l’analisi del ge-noma virale nel suo complesso, lo studio di Nature Medicine ha confer-mato che la struttura generale del ge-

Figura 4 I pipistrelli sono tra i principali «animali-serbatoio» dei coronavirus.

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noma di SARS-CoV-2 è molto simile a quello di un coronavirus che infet-ta i pipistrelli. Questo dato suggeri-sce che il virus dei pipistrelli, e non quello della SARS, potrebbe essere il più probabile progenitore da cui si è evoluto il virus SARS-CoV-2. Tutta-via, lo studio mette in luce anche un altro punto fondamentale: la regione genomica che, nel virus SARS-CoV-2, codifica per la proteina che lega il re-cettore umano ACE2 assomiglia di più alla sequenza presente in un al-tro coronavirus trovato nei pangoli-ni. Questa scoperta, se confermata, avvallerebbe l’ipotesi che il nuovo coronavirus sia il prodotto di un evento naturale di ricombinazione tra due coronavirus diversi che, in circostanze ancora da chiarire, si sono venuti a trovare contemporane-amente nello stesso ospite e si sono scambiati reciprocamente parti del genoma. Da questo scambio sarebbe nato un nuovo virus con caratteristi-che mai viste prima: SARS-CoV-2.

Come si trasmette e quali rischi comporta?Come avviene per la maggior parte delle infezioni respiratorie, anche il virus SARS-CoV-2 si trasmette attra-verso la saliva, i colpi di tosse e gli starnuti, che spargono nell’ambiente goccioline (o droplet) che veicolano il virus. A seconda del peso, queste goc-cioline possono cadere a distanze di-verse: si stima che nella maggior par-te dei casi la caduta si verifichi nel raggio di circa un metro, da cui la raccomandazione di mantenersi al-meno a questa distanza dalle altre persone. La trasmissione può avveni-re per contatti diretti e ravvicinati con persone infettate dal virus oppure tramite contatti indiretti, per esempio toccando una superficie infetta e portandosi poi le mani contaminate alla bocca, al viso, al naso e agli oc-chi. La trasmissione tramite aerosol, con il virus in sospensione nell’aria, non è ancora stata dimostrata.

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Nella maggior parte dei casi, il virus è trasmesso da persone con sintomi evidenti (mal di gola, raffreddore, tosse, starnuti, febbre o, nei casi più gravi, difficoltà respiratorie e polmo-nite), tuttavia alcuni studi suggeri-scono che anche persone asintomati-che o con sintomi molto lievi possa-no essere infettive. Il periodo di in-cubazione del virus SARS-CoV-2 è stato stimato tra un minimo di 2 e un massimo di 14 giorni (il periodo più comune, secondo l’OMS, è di circa 5 giorni).

Periodo di incubazione: tempo che passa dal momento dell’infe-zione alla comparsa dei sintomi.

Il coronavirus SARS-CoV-2 causa sin-tomi respiratori che ricordano quelli di un raffreddore o di un’influenza e che, in circa l’80% dei casi, decorrono senza complicazioni. Tuttavia, rispet-to alle consuete infezioni stagionali, l’epidemia di COVID-19 si caratteriz-za per una maggiore percentuale (cir-ca il 20% dei casi) di sintomi respira-tori severi e critici, con polmoniti che possono portare all’insufficienza re-spiratoria e alla necessità di ricorrere a cure di terapia intensiva (Figura 5). Il dato più preoccupante riguarda, in particolare, l’alto tasso di letalità nelle persone con più di 60 anni e che pre-sentano malattie croniche.

Figura 5 Gravità dei sintomi nei pazienti italiani affetti da COVID-19 (dati aggiornati al 27 aprile 2020; fonte ISS).

Critico

AsintomaticoSevero17,5%

Pauci-sintomatico

Sintomatico15,4%

13,3%

2%

Lieve35,5%

16,3%

I dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) aggiornati al 27 aprile 2020 mo-strano un tasso di letalità medio in Italia del 12,6%; guardando però alle diverse fasce d’età, si nota chiara-mente che la letalità aumenta pro-gressivamente (Figura 6): nei bambi-ni, nei giovani e negli adulti (fascia 0-59 anni) il tasso di letalità varia da 0,1 al 2,5% e nella fascia d’età 60-69 sale al 9,8%; dai 70 anni in su il tasso di letalità si impenna, variando dal 24,1% fino al 28,9%: questo significa che muoiono tra 24 e 29 persone circa ogni 100 ammalati con più di 70 anni. Se confermati, tali dati indiche-rebbero un tasso di letalità superiore a quello della SARS (calcolato intorno al 10%) e paragonabile, almeno per le fasce della popolazione più a rischio, a quello della MERS (circa 32%).

Tasso di letalità: proporzione di decessi dovuti a una malattia sul totale di persone affette da quella malattia.

Anche bambini e adolescenti posso-no contrarre l’infezione, ma la malat-tia decorre in generale senza gravi complicanze. Non esistono quindi fa-sce d’età immuni all’infezione e, an-che se i sintomi sono lievi o assenti, i giovani possono essere comunque un veicolo dell’infezione.Oltre all’età, anche la genetica po-trebbe giocare un ruolo nel rendere alcune persone più vulnerabili di al-

Figura 6 Percentuale dei pazienti italiani affetti da COVID-19 divisi per età (dati aggiornati al 27 aprile 2020; fonte ISS).

1,8%

Età 0-18

39,0%

31,8%

27,4%

19-50 51-70 >70

tre. I primi studi epidemiologici indi-cano che, nonostante uomini e don-ne contraggano l’infezione con ugua-le probabilità, i maschi hanno un tas-so di letalità leggermente più alto (pari al 54,8%). Un’analisi prelimina-re pubblicata dal rivista Nature ha in-dividuato una possibile causa nei po-limorfismi del recettore ACE2, la proteina usata dal virus per infettare le cellule umane.

Polimorfismo genetico: presenza di più alleli di uno stesso gene all’interno di una specie (con frequenza superiore all’1%).

Il gene che codifica per il recettore ACE2 si trova sul cromosoma X; nel caso in cui uno specifico polimorfi-smo sia responsabile di un’aumenta-ta vulnerabilità all’infezione, le don-ne eterozigoti potrebbero essere più protette, perché presentano due co-pie del gene, anziché una sola come avviene nei maschi.

Rispondi in 5 righea. Quali sono state, negli ultimi

dieci anni, le principali epidemie causate da coronavirus?

b. Che cosa significa che un virus ha compiuto un «salto di specie»?

c. Perché i mercati di animali vivi sono moltiplicatori di infezioni?

Fascia d’età (anni)

Deceduti [numero (%)]

Letalità (%)

0-9 2 (0%) 0,1%10-19 0 (0%) 0%20-29 8 (0%) 0,1%30-39 49 (0,2%) 0,3%40-49 223 (0,9%) 0,9%50-59 903 (3,6%) 2,5%60-69 2708 (10,9%) 9,8%70-79 7191 (29%) 24,1%80-89 10050 (40,6%) 28,9%

≥90 3646 (14,7%) 24,6%Non noto 0 (0%) 0%

Totale 24780 (100%) 12,6%

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Arrestare il contagio: misure di sicurezza, farmaci e vaccinidi Giovanni Maga e Lara Rossi

Per interrompere la catena del con-tagio (Figura 1), cioè il passaggio di virus da una persona all’altra, è im-portante conoscere alcune delle sue caratteristiche biologiche, come la modalità di trasmissione e il tempo di sopravvivenza al di fuori dell’orga-nismo. Tutti i virus, per propagarsi, hanno bisogno di un organismo in cui ri-prodursi; le particelle virali però pos-sono sopravvivere per un certo pe-riodo anche quando sono rilasciate nell’ambiente, per esempio con uno starnuto o un colpo di tosse. Il perio-do di sopravvivenza su diverse su-perfici dipende dal virus e dalle con-dizioni ambientali. Nel caso del coronavirus SARS-CoV-2 una risposta definitiva non è ancora disponibile: un primo studio sembra indicare che il virus possa so-pravvivere fino a 24 ore sulle super-fici di cartone e fino a 2-3 giorni sulla plastica e sull’acciaio inossidabile. Tuttavia, come molti altri virus, an-che i coronavirus sono sensibili all’a-zione del sapone e dei disinfettanti a base di etanolo (soluzioni al 60-70%) o di ipoclorito di sodio (0,1%): la prima raccomandazione è quindi quella di lavarsi spesso le mani e di pu-lire le superfici con interventi di sani-ficazione, come quelli previsti per i mezzi di trasporto pubblico oppure per le scuole.Per contenere la diffusione di un vi-rus che si trasmette per via aerea, la misura più efficace è quella del di-stanziamento sociale: una distanza di almeno un metro evita che il virus, veicolato dalle goccioline di saliva, si trasmetta da un individuo all’altro. Questo è il motivo per cui, per argina-re il nuovo coronavirus, molti Paesi compresa l’Italia hanno deciso di

Figura 1 Come prevenire la diffusione del coronavirus.

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Per prevenire l’infezione da coronavirus segui queste raccomandazioni.

SARS-CoV-2Virus respiratorio chesi trasmette con la saliva,la tosse e gli starnuti, oppure per contatto con superfici contaminate.

Per prevenire il contagio:

rimani a casa se hai la febbre o altri sintomi

evita strette di mano e abbracci

lavati le mani in modo accurato con il sapone o con un gel igienizzante

evita di toccarti gli occhi, la bocca eil naso: le mani sono tra i principali veicolidel contagio

disinfetta di frequente le superfici che possono essere contaminate

indossa la mascherina; se non ce l’hai, starnutisci e tossisci nell’incavo del gomito o in un fazzoletto

mantieni la distanza di 1-2 metri dalle altre persone

evita gli assembramenti e i luoghi affollati

chiudere le scuole e di limitare gli spostamenti non indispensabili, in modo da evitare gli assembramenti di persone. Oltre a proteggere le fasce della po-polazione più a rischio, il rispetto di queste indicazioni aiuta a ridurre la pressione sul sistema sanitario e li-mita i rischi per medici, infermieri e tutti coloro che lavorano negli ospe-dali o a contatto con i contagiati. Queste sono le persone su cui il siste-ma sanitario fa affidamento per con-tenere l’emergenza ma sono anche le più esposte al rischio di contagio: a fine aprile, in Italia, oltre 20 000 ope-ratori sanitari sono risultati positivi al coronavirus e più di 150 sono dece-duti a causa dell'infezione.

Come si identificano le persone infette?Le misure di contenimento sono fon-damentali per arginare l’infezione, ma per estinguerla del tutto è indi-spensabile testare più persone possi-bili e isolare quelle infette. Per dimostrare che una persona è sta-ta contagiata dal SARS-CoV-2 è ne-cessario eseguire un tampone farin-geo. Questa procedura consiste nel prelevare, con l’aiuto di un tampone di cotone attaccato a un bastoncino (una sorta di cotton fioc), un campione di muco dalla mucosa della gola che viene inviato in laboratorio. Qui il campione viene prima trattato con detergenti per inattivare il virus ed

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evitare il contagio degli operatori; si procede poi all’estrazione dell’RNA virale e alla sua amplificazione me-diante una tecnica chiamata RT-PCR, una versione modificata della PCR che rileva l’RNA eventualmente presente nel campione.Se il tampone è positivo, il laborato-rio di analisi procede con ulteriori indagini molecolari, per esempio per analizzare il genoma virale e moni-torare l’eventuale evoluzione di nuo-vi ceppi. A seconda della gravità dei sintomi, i pazienti che risultano po-sitivi possono rimanere in quarante-na nella propria abitazione oppure essere ricoverati in strutture ospeda-liere. Se il tampone è negativo, l’analisi viene comunque ripetuta su un se-condo prelievo per ridurre il rischio di falsi negativi, cioè di pazienti risul-tati negativi al primo test ma in real-tà infetti e quindi potenzialmente contagiosi.Il test del tampone è utile anche per distinguere l’infezione da coronavi-rus da altre infezioni stagionali che causano sintomi simili, come quella da virus influenzale oppure il raf-freddore.L’uso dei tamponi e la ricerca di trac-ce del genoma virale sono in genere riservati a chi manifesta sintomi evi-denti o è stato a contatto con persone infette. Tuttavia, per un’analisi epi-demiologica accurata, è importante

ampliare il ventaglio di screening e includere quante più persone possi-bili: solo in questo modo si può avere una stima realistica delle persone che hanno contratto il virus, con o senza sintomi, ed evidenziare chi è già guarito.Per individuare entrambe queste ca-tegorie di persone diversi laboratori stanno mettendo a punto dei test sie-rologici per rilevare in modo rapido la presenza nel sangue di anticorpi specifici contro il coronavirus SARS-CoV-2 (Figura 2).

Anticorpo: proteina prodotta dal sistema immunitario come forma di difesa; detto anche immunoglo-bulina. Ogni anticorpo riconosce uno specifico antigene.

Questi test vanno alla ricerca di due tipi di immunoglobuline: le IgM, che si formano nelle fasi precoci della ma-lattia e scompaiono qualche settima-na dopo la guarigione, e le IgG, che emergono solo in un secondo tempo (circa due settimane dopo la compar-sa dei primi sintomi) ma che riman-gono in circolo molto più a lungo. Le IgG sono tra le armi che il sistema im-munitario usa per garantire la memo-ria immunitaria, ovvero la protezione nei confronti di una seconda infezio-ne da parte dello stesso virus. La dura-ta della memoria immunitaria varia però in base all’agente patogeno e da

Figura 2 Per spegnere un’epidemia virale è importante identificare tutte le persone positive attraverso test mirati.

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persona a persona: in alcuni casi può durare per tutta la vita; in altri casi la protezione svanisce nel tempo. Nel caso del virus SARS-CoV-2, è an-cora troppo presto per sapere se l’im-munità sviluppata dalle persone con-valescenti sarà duratura; i test siero-logici potrebbero però essere di gran-de aiuto per valutare quante persone, almeno nel breve periodo, potrebbe-ro essere protette da una nuova infe-zione.Se prendiamo il caso di una persona asintomatica, il test sierologico può dare quattro risultati diversi.

• Presenza delle sole IgM: è proba-bile che la persona si trovi in una fase precoce della malattia e, an-che se i sintomi sono assenti, non è da escludere che possano emer-gere a breve; è indispensabile con-fermare la positività con un tam-pone, perché la persona è molto probabilmente infettiva.

• Presenza di IgM e IgG: la perso-na è in una fase intermedia, in cui può essere ancora infettiva; il ri-sultato va abbinato a un test con il tampone.

• Presenza delle sole IgG: la perso-na è in convalescenza o comunque in una fase molto avanzata della malattia; per essere sicuri che la persona non sia più infettiva, è ne-cessario confermare la negatività con un tampone.

• Assenza di IgM e IgG: la persona non presenta anticorpi specifici, quindi non ha contratto l’infezio-ne; questo caso però potrebbe an-che riferirsi a una persona che è en-trata in contatto il virus da pochis-simi giorni e quindi non ha ancora sviluppato una risposta immuni-taria specifica; per confermare se la persona è positiva, è necessario un tampone.

Come si può vedere, l’interpretazio-ne dei dati deve tener conto non solo del risultato in sé, ma anche della sto-ria clinica del paziente; a questo sta-dio dell’epidemia, con il virus ancora in circolazione nella popolazione,

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i soli test sierologici non sarebbero quindi sufficienti come test diagno-stici (servirebbe sempre anche il tampone) e non basterebbero a di-chiarare il rischio di contagio supera-to. Estesa a gran parte della popola-zione, questa analisi potrebbe però iniziare a dare un quadro più com-pleto dell’andamento dell’epidemia nelle diverse regioni e mettere in luce quale percentuale della popola-zione è stata coinvolta: questo è un primo passo indispensabile per poter allentare alcune delle restrizioni e passare alla fase successiva della ge-stione dell’epidemia.

Possiamo usare vecchi farmaci per un nuovo virus?La pandemia di COVID-19 è difficile da gestire per la mancanza di un vac-cino e di farmaci specifici. Normal-mente, le infezioni causate da coro-navirus sono trattate con tre diversi farmaci:• antivirali attivi contro i virus

a RNA;• interferone-alfa per stimolare la

risposta immunitaria;• farmaci antinfiammatori per so-

stenere le funzioni vitali dei pa-zienti colpiti.

Nel caso del virus SARS-CoV-2, molti pazienti hanno mostrato un aggrava-mento dei sintomi che ha spinto i medici a cercare altri farmaci da af-fiancare a queste terapie aspecifiche. In casi come questo, in cui non c’è il tempo di sviluppare e testare nuovi farmaci specifici per il nuovo agente patogeno, si può ricorrere al drug re-positioning (traducibile come «ripo-sizionamento del farmaco»), una strategia basata sulla sperimentazio-ne di farmaci già approvati per il trat-tamento di altre malattie. Per esem-pio, nel corso dell’attuale epidemia di coronavirus i medici cinesi hanno cercato di alleviare i sintomi dei pa-zienti più gravi usando farmaci anti-virali per l’HIV o per Ebola.

Un secondo esempio di drug reposi-tioning è dato dal tocilizumab che, a differenza dei precedenti, non agisce come antivirale ma interviene sul versante della risposta immunitaria; normalmente, il tocilizumab è infat-ti usato come inibitore del sistema immunitario nel trattamento dell’ar-trite reumatoide. La scelta di usare un immunosop-pressore è giustificata dal fatto che alcuni dei pazienti più gravi hanno mostrato i segni caratteristici della cosiddetta «tempesta di citochine», una risposta immunitaria eccessiva-mente violenta caratterizzata dal ri-lascio di grandi quantità di molecole infiammatorie come l’interleuchi-na-6 (o IL-6). Una volta innescata, questa sindrome colpisce diversi or-gani, impedendone la normale fun-zione; in questi casi l’insufficienza multiorgano può essere fatale. In questo quadro clinico, spegnere la ri-sposta immunitaria e la tempesta di citochine utilizzando un farmaco come il tocilizumab che blocca il re-cettore per l’IL-6 può quindi rivelarsi una mossa vincente.

Tra i farmaci approvati dall’Agenzia Italiana per il Farmaco (Aifa) per la COVID-19 ci sono anche la clorochi-na e l’idrossiclorochina. Queste mo-lecole di sintesi mimano la struttura e la funzione della chinina, il princi-pio attivo contenuto nel primo far-maco antimalarico della storia, il chi-nino. Non è la prima volta che queste molecole vanno incontro a un «ripo-sizionamento»: dopo essere state im-piegate per anni come antimalarici, la clorochina e l’idrossiclorochina sono oggi tra i principali farmaci im-munomodulatori per alcune malattie autoimmuni, come l’artrite reuma-toide e il lupus eritematoso.La nuova applicazione di queste mo-lecole nel trattamento dell’infezione da SARS-CoV-2 si basa su alcuni stu-di del passato che dimostravano l’ef-ficacia di questa molecola nell’inibi-re la replicazione dei coronavirus, in particolare del virus responsabile

dell’epidemia di SARS del 2003. Inol-tre, i risultati di uno recente studio preliminare, che raccoglie i dati rela-tivi a più di 100 pazienti cinesi, sem-brano indicare che la clorochina mi-gliori il decorso della malattia nei pazienti con polmonite da SARS-CoV-2.Il meccanismo d’azione della cloro-china e dell’idrossiclorochina è du-plice e si basa su un’azione antivirale unita all’azione immunomodulato-ria già conosciuta. L’azione antivirale consiste nel bloccare la penetrazione del virus all’interno delle cellule; stu-di in vitro e in vivo hanno dimostra-to che queste molecole causano un aumento del pH degli endosomi che si formano quando il virus si fonde con la membrana plasmatica per pe-netrare all’interno delle cellule. Inol-tre, questi farmaci sembrano interfe-rire con i meccanismi di glicosilazio-ne dei recettori cellulari usati da co-ronavirus SARS-CoV-2 per aderire alle cellule umane. All’azione anti-virale si aggiunge poi l’azione immu-nomodulatoria, molto importante per impedire che i pazienti sviluppino la tempesta di citochine.Dati preliminari suggeriscono inol-tre che la somministrazione di cloro-china nelle fasi precoci della malat-tia potrebbe diminuire il tempo di infettività dei pazienti. Questo porte-rebbe a un ulteriore beneficio, per-ché limiterebbe la diffusione del vi-rus nella popolazione.

Un’ulteriore strategia terapeutica è data dalla sieroterapia, una forma di immunizzazione passiva che preve-de di isolare dal siero di persone con-valescenti gli anticorpi anti-SARS-Cov-2 e di iniettarli in altre persone.

Immunizzazione passiva: il termine «passivo» distingue la sieroterapia dalla vaccinazione, che è invece una forma di immunizza-zione «attiva» in cui il sistema im-munitario è stimolato per attivare la memoria immunitaria.

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È una procedura che conferisce una protezione immunitaria molto rapi-da che, pur non essendo duratura, permette di evitare l’infezione in per-sone esposte a un rischio certo (scopo profilattico) o di mitigare i sintomi della malattia (scopo terapeutico). Que-sta procedura è già usata nella prati-ca clinica per altre malattie, per esempio nella profilassi della rabbia.La sieroterapia e il riposizionamento di farmaci sono strategie terapeuti-che di emergenza ma per il futuro sarà necessario sviluppare farmaci specifici, in grado di interferire con la replicazione del virus SARS-CoV-2.

Come si crea un nuovo vaccino per SARS-Cov-2?Alla fine del 2019, quando il virus SARS-Cov-2 ha iniziato a circolare in Cina, non erano disponibili vaccini contro nessuno dei coronavirus che infettano gli esseri umani. La diffu-sione della pandemia di COVID-19 ha però dato nuovo vigore a questo ramo della ricerca e all’inizio di apri-le 2020 erano già più di 70 i vaccini in via di sviluppo in tutto il mondo. Si tratta di uno sforzo collettivo sen-za precedenti, che coinvolge sia enti privati sia istituti accademici pubbli-ci e organizzazioni no profit. Normalmente, il processo di svilup-po e di immissione in commercio di un vaccino richiede, come per qualsi-asi farmaco, un periodo di circa dieci anni (Figura 3). Questo lungo perio-do di tempo serve per svolgere tutte

Ricercaesplorativa

Testpreclinici

Studio clinico di fase 1

Studio clinico di fase 2

Studio clinico di fase 3

Post-omologazione

Depositodel brevetto

Autorizzazione allacommercializzazione

Identificazione del farmaco candidato

Test in vitro e sperimentazioneanimale

~1-3 anni

Tolleranzanell’essere umano

~3-5 anni

Efficaciasull’essere umano

Studio su ampia scala

Monitoraggiocontinuo

~8-12 anni ~20 anniDurata totale

Figura 3 Le fasi di sviluppo di un farmaco.

le fasi di sperimentazione pre-clini-ca (in laboratorio e in modelli anima-li) e clinica (negli esseri umani) neces-sarie per dimostrare che il vaccino è sicuro ed efficace. In casi eccezionali, queste tappe possono essere accelera-te, come sta accadendo per il vaccino anti-COVID-19; se la sperimentazio-ne procederà senza intoppi, forse po-tremo avere un vaccino disponibile al pubblico nell’arco di 12-18 mesi.

Le piattaforme tecnologiche utiliz-zate sono molto diverse e vanno dal-le più tradizionali a quelle più inno-vative: nella lista compaiono vaccini costituiti da virus inattivati, vaccini con vettori virali (sia replicanti sia non replicanti), vaccini basati su pro-teine ricombinanti e anche formulazio-ni mai testate prima per malattie in-fettive, come vaccini basati sull’ino-culo di una molecola di RNA. Proprio di quest’ultima categoria fa parte il vaccino sperimentale chiamato mRNA-1273, che induce le cellule dell’organismo a esprimere una pro-teina virale per attivare la risposta immunitaria. I test preliminari nei modelli animali hanno dato risultati promettenti e negli Stati Uniti è stata avviata la sperimentazione di fase 1 per testare la sicurezza del vaccino in diversi dosaggi. Se i risultati saranno promettenti, si procederà alla speri-mentazione di fase 2 con l’arruola-mento di un maggior numero di par-tecipanti (centinaia o migliaia) per valutare l’efficacia del vaccino, ovvero la capacità di indurre una risposta immunitaria specifica.

Un secondo tipo di vaccino, attual-mente in fase 2, è stato invece svilup-pato in Cina; si tratta di un vaccino ricombinante basato su un vettore adenovirale contenente l’intera se-quenza genica che codifica per la pro-teina spike, il recettore usato dal virus per penetrare nelle cellule umane. L’obiettivo è quello di attivare una ri-sposta immunitaria che neutralizzi la proteina non appena il virus viene a contatto con l’organismo, spegnendo l’infezione sul nascere.

Un vaccino efficace sarà fondamen-tale anche per evitare epidemie fu-ture. Anche nel caso in cui il virus responsabile della COVID-19 mutas-se, l’esperienza accumulata nel corso delle attuali sperimentazioni aiuterà ad accelerare la produzione di vacci-ni aggiornati, in grado di ostacolare le versioni mutate del virus, proprio come accade con i vaccini messi a punto ogni anno per contrastare l’in-fluenza stagionale.

Rispondi e ricercaa. Quali informazioni si possono

ottenere dal tampone faringeo? E dai test sierologici?

b. In che cosa consiste il drug repositioning?

c. Aiutandoti con una ricerca in Rete, prepara un elenco dei vaccini anti-coronavirus attualmente in studio negli esseri umani. Su quale strategia si basano?

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Dopo lo spaesamento dei primi gior-ni di epidemia in Italia, nelle settima-ne di marzo le voci di alcuni scienzia-ti e media si sono concentrate sulla relazione tra il virus SARS-CoV-2 e l’ambiente in cui viviamo. Sono così emerse alcune ipotesi che, se confer-mate, ci potrebbero aiutare a capire come prevenire la prossima epide-mia, come far ripartire l’economia e la società in modo sostenibile per tutti, e persino come imparare da questa tragedia a rispondere all’e-mergenza climatica in atto.

Quali sono le origini dei virus?La collaborazione tra virologi, ecolo-gi e climatologi ha dimostrato già da alcuni anni che un utilizzo insoste-nibile del territorio aumenta il peri-colo di diffusione delle zoonosi.

Zoonosi: malattie virali o batteri-che dannose per l’essere umano e provenienti da altre specie animali.

Le zoonosi conosciute sono molto numerose (oltre 200 secondo l’OMS) e il loro studio costituisce uno dei settori di maggior interesse della me-dicina umana e veterinaria. Sono zo-onosi la rabbia, la leptospirosi, l’an-trace, la SARS, la MERS, la febbre gialla, la dengue, Ebola, HIV, Chikun-gunya e i coronavirus, ma anche la più diffusa influenza.

Il 75% delle malattie umane finora conosciute deriva da animali e il 60% delle malattie emergenti è sta-teo trasmesso da animali selvatici. Le popolazioni di animali selvatici sono spesso, infatti, «serbatoi» di virus e batteri con i quali hanno imparato a

convivere, avendo evoluto nel tempo una capacità di resistenza fisiologica o immunità alle patologie causate da questi agenti. La deforestazione delle aree tropica-li (5 milioni di ettari di foreste vengo-no eliminati ogni anno solo in questa zona della Terra) e la rapida diffusio-ne delle attività umane (agricoltura, estrazione di minerali, allevamento, urbanizzazione) in territori prima dominati dagli alberi, e dalle specie animali a loro legate, aumenta le pro-babilità di contatto tra gli esseri uma-ni e gli animali «serbatoio».La distruzione o il degrado dell’habi-tat forestale di una specie può spin-gerla ad avvicinarsi alle città, fre-quentando parchi e giardini come «sostituti» dell’habitat naturale or-mai perduto. È quello che si è verifi-cato per il virus Ebola in Costa d’A-vorio, Repubblica Democratica del Congo e Gabon, del quale sono stati vettori pipistrelli e scimpanzé spinti a frequentare le aree urbane dopo la perdita del loro habitat naturale.Talvolta è invece il cambiamento

climatico a facilitare la diffusione di virus e batteri zoonotici in territori precedentemente non interessati da queste malattie: è il caso del virus Zika, trasmesso dalla puntura di una zanzara del genere Aedes (Figura 1), il cui habitat, un tempo limitato a una stretta fascia intorno al tropico, si sta velocemente espandendo verso nord a causa dell’aumento delle tem-perature e dell’umidità atmosferica. La deforestazione comunque è corre-sponsabile anche in questo caso: al-cuni studi hanno dimostrato che fo-reste degradate dal prelievo eccessi-vo di alberi ospitano con maggiore facilità pozze d’acqua ferma nelle quali si accumula l’acqua piovana, non più «bloccata» dalle chiome del-la foresta: un terreno di coltura idea-le proprio per le larve delle zanzare.Anche il commercio di specie selva-tiche può causare il diretto contatto con parti di animali ed esporre gli es-seri umani al contatto con virus o al-tri agenti patogeni di cui quell’ani-male può essere un ospite, attraverso lo scambio di liquidi. È lo spillover

Figura 1 Un esemplare femmina di Aedes albopictus.

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Tutto è connesso: lo stretto rapporto tra pandemia, ambiente e societàdi Giorgio Vacchiano

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(salto di specie): il virus o il batterio passa a infettare gli umani, che non sono dotati delle difese immunitarie adeguate a contrastarlo. Questo pro-cesso si è già verificato molte volte nella storia recente: i virus dell’AIDS (che si è adattato alla specie umana a partire dalla variante presente nelle scimmie delle foreste dell’Africa Centrale), della SARS, della MERS, dell’influenza suina H1N1 e appunto di Ebola hanno tutti una provenien-za animale, e per alcuni di essi il ruo-lo della deforestazione e della fram-mentazione delle foreste primarie è stato provato con solidità.

Nel caso di SARS-CoV-2, si pensa che la specie serbatoio sia il pipistrello «ferro di cavallo», in cui già nel 2015 un coronavirus simile a quello at-tualmente in circolo era stato identi-ficato da un team di ricercatori statu-nitensi e cinesi. Questi pipistrelli sono ampiamente diffusi nella Cina meridionale e in tutta l’Asia, il Medio Oriente, l’Africa e l’Europa, e sono tra i mammiferi con più «familiarità» con i virus, probabilmente a causa della loro abitudine a formare, per il riposo o il letargo, concentrazioni impressionanti (fino a un milione di individui in un solo sito), e per la ca-pacità di volare che li porta a diffon-dere e contrarre virus su aree molto estese. Il passaggio tra pipistrelli ed

esseri umani potrebbe essere avve-nuto proprio nel «mercato umido» di Wuhan (dove vengono commer-cializzati e macellati animali selvati-ci vivi, Figura 2), eventualmente con l’«assistenza» di una terza specie inter-media - un’ipotesi così prevedibile da essere stata descritta accuratamente da un saggio scientifico (Spillover, di David Quammen) già diversi anni fa, in tempi non sospetti.

Virus e qualità dell’aria: una relazione pericolosa?Uno dei primi effetti della quarante-na, prima in Cina poi nella Pianura Padana, è stata la riduzione del traffi-co pubblico e privato e il rallenta-mento o la chiusura di molte attività industriali. Lo stop alle auto ha cau-sato una forte riduzione degli ossidi di azoto, uno degli inquinanti più pericolosi, prodotto proprio dalle au-tomobili e dalle centrali di produzio-ne dell’energia e capace di irritare il nostro apparato respiratorio, provo-care bronchiti croniche, asma ed en-fisema polmonare.Secondo Legambiente Lombardia, la riduzione di ossidi di azoto dovuta al contenimento dell’epidemia è com-presa tra il 30 e il 40% rispetto alla media del periodo – una riduzione individuata anche dai sensori del sa-

Figura 2 Un mercato di polli a Xining in Cina.

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tellite Sentinel 5P dell’Agenzia Spa-ziale Europea. Purtroppo, questo ef-fetto non ha riguardato altri inqui-nanti altrettanto diffusi come le pol-veri sottili, che in Pianura Padana vengono prodotte non solo dal traffi-co, ma anche dagli impianti di riscal-damento (17%), dalle attività agrico-le e zootecniche (19%) e a quelle in-dustriali (16%, dati ARPA Emilia-Ro-magna – progetto Prepair): settori che hanno rallentato solo in piccola parte.L’accumulo e il movimento delle polveri sottili, inoltre, dipendono dalle condizioni meteo. Per questi motivi, molte città nel mese di marzo hanno fatto registrare livelli ancora alti di polveri, anche a causa di con-dizioni meteo che hanno prolungato la loro permanenza (assenza di piog-gia, alta pressione) o che hanno addi-rittura aggiunto alla nostra aria altre polveri di provenienza naturale (come nell’evento straordinario del 28-29 marzo, che ha portato sull’Ita-lia polveri provenienti dai deserti dell’Asia centrale).In ogni caso, la riduzione di alcuni tipi di inquinanti come effetto della quarantena ha spinto alcuni a con-cludere che la pandemia di SARS-CoV-2 avrebbe dimostrato quanto sia «semplice» migliorare la qualità dell’aria che respiriamo, o addirittu-ra che avrebbe un effetto netto posi-tivo sulla salute umana, evitando un maggior numero di decessi da inqui-namento di quanti ne possa causare come patologia diretta (secondo l’A-genzia Europea per l’Ambiente, le morti premature da inquinamento atmosferico in Italia sono 76 000 ogni anno).Entrambe le conclusioni sembrano però affrettate. Da un lato, occorre te-ner conto dell’impatto del coronavi-rus su tutti i settori della società, in particolare degli impatti indiretti sulle fasce svantaggiate (ammalati, carcerati, persone diversamente abi-li, persone che necessitano sostegno psicologico, persone senza fissa di-mora, donne a rischio di violenza, e i

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numerosissimi poveri di molti stati del mondo). È probabile che i decessi indiretti dovuti al deterioramento di queste situazioni già al limite, se con-teggiati, portino a un bilancio da COVID-19 molto più grave rispetto alle sole morti da inquinamento. In secondo luogo, è vero che il lockdown ha drasticamente abbassato i livelli di ossidi di azoto (Figura 3), ma bloc-care mobilità e attività produttive è una soluzione difficilmente realizza-bile sul lungo termine e che non sa-rebbe accettata da parte della società.Una seconda ipotesi che sta cercando conferma negli studi scientifici è quella di un possibile ruolo degli in-quinanti nell’aumentare la vulnera-bilità alla COVID-19. L’OMS ha con-fermato che i fumatori hanno un ri-schio almeno doppio di necessitare terapia intensiva in seguito al conta-gio rispetto ai non fumatori. Per quanto riguarda il legame tra l’inqui-namento dell’aria e le infezioni respi-

Figura 3 Esempi di dati raccolti da Sentinel 5P sulla situazione degli ossidi di azoto presenti nell’aria in Cina. I quattro grafici mostrano la variazione registrata da dicembre 2019 a marzo 2020.

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ratorie, diversi studi nel mondo di-mostrano che l’elevata concentrazio-ne di inquinanti atmosferici provoca un aumento nei tassi di ricoveri per patologie respiratorie.Tra gli inquinanti, il PM2.5 e il PM10 (con diametro medio rispettivamen-te >2,5 μm e >10 μm), una volta inala-ti possono depositarsi nelle vie aeree superiori e raggiungere poi i polmo-ni. Quindi è plausibile che una espo-sizione cronica a questi inquinanti possa rendere l’organismo meno pronto a rispondere all’infezione, a causa di stati infiammatori polmona-ri o di altre patologie croniche corre-late all’inquinamento atmosferico (diabete, malattie cardiovascolari) e che sono al tempo stesso fattori di co-morbidità noti di COVID-19.Secondo i più recenti dati, l’Italia si colloca attualmente al secondo posto in Europa per decessi da PM2.5, e al primo posto per i decessi da biossido di azoto. Vista l’elevata mortalità ri-

scontrata nei siti industriali conta-minati, e il recente rapido aumento dei decessi in zone molto industria-lizzate (come quelle di Bergamo e Brescia), direttamente o indiretta-mente legati a COVID-19, è plausibi-le che l’inquinamento atmosferico sia coinvolto nell’aumento della mortalità nel nostro Paese.Esiste infine una terza ipotesi, in re-altà molto tenue, avanzata tra gli al-tri da SIMA (Società Italiana di Medici-na Ambientale) in un recente comuni-cato ancora da verificare da parte del-la comunità scientifica. Secondo SIMA, il particolato potrebbe essere un vettore del virus, che sarebbe in grado di aderire alle polveri per qual-che ora e quindi acquisterebbe una maggiore capacità infettiva nelle aree a maggior inquinamento atmo-sferico. Questa ipotesi è sostenuta da un esiguo numero di studi scientifici sul comportamento di altri virus (come il morbillo) e da correlazioni

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molto dubbie tra il numero di conta-giati e la qualità dell’aria nelle due settimane precedenti alle misure in alcune province italiane (Figura 4). Anche qui l’ipotesi non è del tutto impossibile, ma per essere conferma-ta ha bisogno di prove molto robuste, che non si basino su una semplice correlazione (da cui non si può evin-cere un rapporto causa-effetto).

La reazione alla COVID-19: una lezione di adattamento?Da più parti si sono sottolineate le apparenti analogie dell’emergenza sanitaria con l’emergenza climatica. Alcune somiglianze sono evidenti: la scala globale, la necessità di unire comportamenti individuali e politi-che statali per risolvere il problema, la minaccia che non fa differenze tra i diversi strati della società – ma che ha nei più deboli il bacino di maggio-re vulnerabilità – la corrispondenza apparente di alcune soluzioni come la riduzione dei trasporti e delle atti-vità produttive.Le due crisi sono anche in parte lega-te, perché è dimostrato che il cambia-mento climatico può facilitare la dif-fusione delle zoonosi e dei loro vetto-ri animali in territori che non ne era-no normalmente interessati (come abbiamo visto nel caso del virus

PM10 (μg/m3)0 - 22 - 55 - 1010 - 2020 - 3030 - 4040 - 5060 - 7575 - 100100 - 150150 - 200> 200

Figura 4 La concentrazione di PM10 nella Pianura Padana il 14 gennaio 2020.

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Zika). Inoltre, il lockdown sta facendo sperimentare a tutti comportamenti che potrebbero contribuire a mitiga-re la crisi climatica, come il ricorso al telelavoro o la riduzione dei consumi di beni «non essenziali».Le somiglianze però sembrano termi-nare qui. Infatti, il cambiamento cli-matico è un problema di difficile so-luzione proprio perché le sue conse-guenze non vengono percepite come immediate minacce alla salute (no-nostante in realtà lo siano). È difficile pensare che le soluzioni per rispon-dere all’emergenza sanitaria siano at-tuabili ed efficaci anche per la crisi del clima. Non sono attuabili perché difficil-mente la società accetterebbe misure drastiche che, per risolvere l’emer-genza climatica, dovrebbero essere praticamente definitive. E non sono efficaci perché, come sta emergendo per la Cina, l’interruzione del 75% delle attività produttive è risultata in una diminuzione delle emissioni di CO2 di appena il 25%. Per di più, la natura «riduttiva» di queste misure sta avendo un impatto drammatico sull’economia, dimostrando che que-sto genere di emergenze va affronta-to con una visione complessiva della società, a partire dal potenziamento del welfare e dell’equità sociale.Infine, ogni effetto accidentalmente positivo per il clima delle misure in

atto rischia di essere vanificato dall’effetto di «rimbalzo»: la ripresa dell’economia potrebbe, in molte parti del mondo tradursi in un allen-tamento delle norme a tutela dell’ambiente e del clima, che ri-schiano di essere le prossime «vitti-me» indirette della pandemia.

Che cosa ci aspetta per il futuro?L’emergenza sanitaria in atto e la continua minaccia della crisi clima-tica ci inducono a ritenere che le uni-che soluzioni sostenibili (nel senso di «accettabili» ma anche «durevoli nel tempo») sono quelle sistemati-che. Per limitare il riscaldamento globale non avrebbe senso limitare solo le attività più emissive: sono in-vece necessarie soluzioni «positive», che coniughino la riduzione delle emissioni con lo sviluppo umano di tutti i popoli della Terra. Nel concreto, questo significa com-piere una radicale decarbonizzazio-ne della nostra economia, orientan-do il sistema produttivo, fiscale, eco-nomico, finanziario, sociale e politi-co verso attività compatibili con il mantenimento del clima entro i limi-ti che favoriscono il benessere uma-no. E forse è proprio questa l’oppor-tunità più autentica nascosta in que-sta pandemia.

Rispondi e ricercaa. Quali ipotesi cercano di

spiegare la relazione tra qualità dell’aria e diffusione del virus?

b. Nella tua regione di residenza, il livello degli ossidi di azoto si è modificato nel periodo gennaio-giugno 2020? Aiutati con una ricerca in Rete.

c. Esiste un legame tra inquinameto atmosferico e infezioni respiratorie?

d. Quali abitudini potresti modificare per diminuire il tuo impatto ambientale?

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Ogni anno, a partire da metà ottobre fino a fine dicembre, in Italia si svol-ge la campagna vaccinale per l’in-fluenza stagionale. La finestra di tempo è indicata dal Ministero della Salute in base alla nostra situazione climatica e l’andamento mostrato dalle passate epidemie influenzali nel nostro Paese. Per fare chiarezza sul tema influenza abbiamo inter-pellato Giovanni Cattoli, veterina-rio e direttore della Struttura Com-plessa SCS5 Ricerca e Innovazione dell’Istituto Zooprofilattico Speri-mentale delle Venezie.

Perché l’influenza è una malattia da non sottovalutare?L’influenza è un’infezione di tipo vi-rale che colpisce soprattutto naso, gola e bronchi, e meno spesso i pol-moni (Figura 1). L’infezione dura generalmente una settimana ed è caratterizzata da improvvisi picchi di febbre alta, dolori muscolari, mal di testa, tosse, mal di gola e naso che cola. Nella maggior parte dei casi la guarigione avviene spontaneamen-te dopo alcuni giorni, senza l’inter-vento del medico o senza assumere farmaci specifici, con le sole accor-tezze di rimanere al caldo e al riposo (spesso forzato a causa della febbre alta) e di reintegrare i liquidi persi.L’influenza può però causare conse-guenze anche gravi nelle cosiddette

Figura 1 Nelle persone giovani e in salute l’influenza può essere superata facilmente, ma va monitorata con attenzione nelle «categorie a rischio».

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«categorie a rischio» come quelle in-dicate dal Ministero della Salute e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): neonati, bambini, adulti sopra i 65 anni, e individui soggetti a malattie collegate all’appa-rato respiratorio. Proprio per la sua capacità di diffondersi rapidamente e per le conseguenze che potrebbe cau-sare a una grossa fetta di popolazio-ne, l’influenza è una malattia forte-mente monitorata.

Quale virus causa l’influenza?Il virus che si cela dietro i sintomi dell’influenza è un virus a RNA, della famiglia Orthomyxoviridae. Esistono tre tipi di influenza: A, B e C.

I virus A, più comuni e diffusi, sono poi ulteriormente suddivisi in sotto-tipi, a seconda delle differenti glico-proteine di superficie (neuramini-dasi ed emoagglutinina), che si trova-no sull’involucro proteico (o capsi-de) che racchiude e protegge il geno-ma virale; esistono vari tipi di glico-proteine N e H che si possono combi-nare in forma assortita. Per esempio, il virus dell’influenza aviaria di cui si è sentito parlare nel 2005 è un virus H5N1, mentre il virus dell’influenza suina (o messicana) di cui abbiamo letto nel 2009 è un virus H1N1.Parliamo di virus «aviario» o «suino» anche in casi di contagio umano per-ché, sebbene ogni virus abbia una specie animale in cui si moltiplica e prospera, i virus influenzali sono fles-sibili, e magari disponibili ad adattar-

Dall’animale all’essere umano: i virus dell’influenzadi Giulia Bianconi e Angela Simone

2. ALTRI VIRUS INTORNO A NOI

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si ad altri ospiti occasionali. Eppure, secondo recenti ricerche, in origine tutti i virus influenzali che conoscia-mo oggi erano di derivazione aviaria. I virus della influenza stagionale umana, così come quelli dell’influen-za dei maiali o dei cavalli, altro non sono che virus i cui geni si sono origi-nati da lontani progenitori virali che circolavano negli uccelli. Con il tem-po si sarebbero evoluti e «specializza-ti» divenendo capaci di infettare e tra-smettersi in questi nuovi ospiti, fino ad adattrsi al punto tale che ora circo-lano esclusivamente o quasi in queste specie (da qui il termine, per esempio, di influenza umana «stagionale»). Questa sequenza temporale – virus aviario che si trasmette ad altre spe-cie, conseguente specializzazione nella specie attaccata e continue mu-tazioni successive – è un processo in continuo divenire, perché il virus in-fluenzale, è proprio il caso di dirlo, possiede uno scaltro dinamismo. Per fortuna il passaggio da una specie all’altra non è poi così semplice.

Che cosa accade nel passaggio dall’animale all’essere umano?Anche ai nostri giorni può accadere che virus influenzali «classicamen-te» aviari, cioè che circolano di solito negli uccelli, incontrino nuovi ospi-ti, per esempio specie di uccelli do-mestici (polli, tacchini, anatre dome-stiche) e da questi ultimi o diretta-mente da uccelli selvatici passino anche a specie ospiti evolutivamente più lontane, quali mammiferi (suini, cani, cavalli, esseri umani). L’incontro tra un virus aviario e un nuovo ospite può però avere esiti dif-ferenti.• Nella maggior parte dei casi si ri-

tiene che, nel nuovo ospite, il virus non sia per nulla capace di replicar-si e quindi non causi nessuna infe-zione, o riesca a farlo in maniera molto limitata, causando infezione lieve e senza malattia evidente.

• In altri casi, il virus riesce ad adat-tarsi in un tempo più o meno bre-ve, si replica nel nuovo ospite e può causare malattie più o meno gravi, a seconda di quanto si replica e in quali organi, ma non riesce però a trasmettersi tra i nuovi ospiti.

• In ultimo, il virus può riuscire ad adattarsi al nuovo ospite al punto tale che non solo si replica bene, ma riesce anche a trasmettersi tra questi nuovi ospiti, causando una malattia infettiva e contagiosa lie-ve o grave.

Quali fattori rendono più dinamica la vita virale?Diversi fattori favoriscono i passaggi da una specie all’altra. In primo luo-go bisogna vedere quanto rapida-mente il virus acquisisce mutazioni genetiche tali da farlo replicare all’in-terno di organismi animali differen-ti: in generale, la capacità di adatta-mento del virus dipende dalla capa-cità del suo codice genetico di mutare velocemente durante la replicazione, generando progenie di virus mutanti tali da favorire la loro replicazione in un nuovo ospite.Un secondo fattore è il tempo a dispo-sizione del virus per circolare libera-mente e indisturbato in una determi-nata area, cosa che accade nelle zone chiamate endemiche. Più si lasciano occasioni e tempo al virus degli uccel-li di incontrare nuove specie, maggio-

ri saranno le probabilità che questo virus prima o poi riesca ad adattarsi selezionando e favorendo le progenie più adatte. Per questo è importante la sorveglianza negli animali e negli umani: prima ci si accorge dell’incon-tro tra un virus e una nuova specie, prima li si combatte e circoscrive, li-mitando le occasioni di nuovi incon-tri e il rischio di adattamento.

Perché il maiale è stato una fonte di epidemia virale?Dall’altra parte della barricata, nella battaglia contro il virus influenzale, non tutti gli ospiti hanno la stessa ca-pacità di resistenza: il maiale in parti-colare sembra essere più sfortunato da questo punto di vista (Figura 2). Tutto inizia con l’aggancio del virus alla superficie delle cellule respirato-ri: infatti il virus per entrare nelle cellule di un ospite e replicarsi (dan-do cioè inizio a un’infezione) deve es-sere in grado di riconoscere le cellule giuste. Le cellule normalmente espongono sulla loro superficie nu-merose proteine che servono a diver-se funzioni fisiologiche. Alcune di queste proteine, chiamate recettori cellulari per il virus, sono usate dai vi-rus per «riconoscere» le cellule giu-ste da infettare, attaccarsi ad esse e iniziare il ciclo replicativo. Ogni vi-rus adattato a una certa specie ha im-parato a riconoscere uno specifico re-cettore cellulare. Così i virus influen-

Figura 2 Il passaggio all’essere umano dell’influenza H1N1 è stata mediata dal maiale, ma la fonte dell’infezione sarebbero gli uccelli che avrebbero contagiato i suini presenti negli allevamenti.

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zali aviari riconoscono recettori spe-cifici presenti nell’apparato respira-torio degli uccelli; i virus influenzali umani, invece, recettori specifici per l’apparato respiratorio umano.Nell’apparato respiratorio del maiale sono presenti cellule che portano sul-la loro superficie recettori tipici degli uccelli, ma anche recettori umani. Ne consegue che, nell’apparato respira-torio del maiale, sia un virus influen-zale umano sia un virus influenzale dei polli hanno probabilità più eleva-te che in altri ospiti di replicarsi nella stessa cellula. È facile ora immagina-re che due virus diversi che replicano il loro materiale genetico nella stessa cellula e nello stesso tempo possano anche generare progenie che portano materiale genetico «misto» (i cosid-detti virus ricombinanti, cioè parti-celle virali che portano sia geni del virus aviario infatti sia geni del virus umano). Alcuni di questi virus ricom-binanti possono avere caratteristiche nuove: per esempio il loro nuovo ge-noma può renderli capaci di infettare ospiti differenti o renderli più patoge-ni o in grado di trasmettersi più velo-cemente perché in grado di sfuggire alla risposta immunitaria dell’ospite, creando così i presupposti per la ge-nerazione di un virus pandemico.In un certo senso il maiale è più per-missivo riguardo ai virus influenzali e accetta la replicazione a livello re-spiratorio di diversi ceppi virali, non solo quello dell’influenza suina «clas-sica», ma anche quelli aviari e umani. Ecco perché lo potremmo definire un sorvegliato speciale dal punto di vista epidemiologico. Non è comunque il caso di cambiare le nostre abitudini alimentari perché non ci sono prove che il virus dell’influenza si trasmetta per via alimentare, con cibo lavorato o cotto in modo appropriato.

Perchè il vaccino influenzale va rifatto ogni anno?La ricorrenza annuale di virus in-fluenzali potrebbe farci pensare che

basti vaccinarsi una volta sola per ri-manere protetti a lungo. Purtroppo però non è così, perché i virus dell’in-fluenza mutano molto rapidamente e l’immunità acquisita con un vacci-no o con la malattia naturale non protegge da una nuova infezione l’anno successivo. Per questo è neces-sario ri-vaccinarsi a ogni stagione in-fluenzale (Figura 3).La buona notizia però è che si può ar-rivare «preparati» all’ondata stagio-nale. Questo perché le stagioni, e quindi l’inverno, cadono in periodi diversi nell’emisfero australe rispet-to a quello boreale, dandoci così l’op-portunità di conoscere in anticipo i ceppi virali circolanti. Infatti, i virus che causano l’epidemia a Sud dell’E-quatore (dove è inverno quando da noi è estate) saranno con buona pro-babilità quelli che colpiranno l’emi-sfero settentrionale nel nostro perio-do invernale.

L’identificazione dei virus influenza-li circolanti è operata da una rete di laboratori-sentinella distribuiti in tutto il mondo (Global Influenza Sur-veillance and Response System). I dati raccolti sono poi inviati all’OMS che pubblica le raccomandazioni riguar-do alla composizione dei vaccini. Di solito, la composizione vaccinale per la stagione influenzale nell’emisfero Nord è stabilita dall’OMS nel mese di febbraio, mentre quella per l’emisfe-

Figura 3 Il virus influenzale muta rapidamente e bisogna rifare il vaccino influenzale ogni anno. Il vaccino è consigliato soprattutto ai bambini, agli anziani e alle persone con malattie croniche.

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ro Sud nel mese di settembre. L’OMS provvede anche a fornire ai produt-tori di vaccini i ceppi virali di riferi-mento, così da garantire un’identica composizione antigenica per tutti i vaccini prodotti da ditte diverse.In questo modo c’è tutto il tempo per procedere alla preparazione del nuo-vo vaccino, poiché la stagione in-fluenzale alle nostre latitudini rag-giunge la massima intensità tra di-cembre e febbraio dell’anno dopo: ci sono quindi circa 7-8 mesi per essere pronti alla nuova campagna di vacci-nazione. E in questo lasso di tempo è molto improbabile che una variante compaia, perché è necessario un cer-to numero di «generazioni» perché una variante si stabilisca all’interno della popolazione virale in misura tale da avere un impatto significati-vo sull’andamento dell’epidemia.

Rispondi in 5 in righea. Che differenze esistono tra

l’influenza stagionale e altri tipi di influenza, come l’«aviaria» e la «suina»?

b. Perché è necessario vaccinarsi ogni anno contro l’influenza?

c. Come avviene il salto del virus tra specie diverse?

d. Oltre al pollame e ai suini, quali altri animali hanno trasmesso virus pericolosi per la salute umana?

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AIDS: una pandemia lunga quarant’annidi Giovanni Maga

L’AIDS è spesso considerato la peste del XX secolo. Qual è la ragione di que-sta analogia? Tra il 1347 e il 1351 l’Eu-ropa fu decimata dalla «peste nera», un terribile flagello arrivato dall’Asia, il cui effetto fu talmente devastante che ancora oggi rappresenta nell’im-maginario collettivo l’epidemia per antonomasia. Purtroppo l’immagine non è soltanto una suggestione, per-ché il flagello dell’AIDS è, se possibi-le, ancora più spaventoso della peste: oltre 20 milioni di morti soltanto ne-gli ultimi dieci anni, 38 milioni di persone infette nel 2018, con un tasso di crescita delle nuove infezioni di quasi 2 milioni ogni anno (Figura 1). La mortalità è in diminuzione grazie alle terapie sempre più efficaci, ma nel 2018 si sono registrati oltre 750 000 decessi. E non va dimenticato che oltre 1,5 milioni di bambini oggi sono infetti, 160 000 si infettano ogni anno e 100 000 di loro muoiono a cau-sa dell’AIDS (dati aggiornati al 2018). Il nome per esteso dell’AIDS è sindro-me da immunodeficienza acquisita (Acquired Immunodeficiency Syndro-me) : l’infezione è infatti caratterizza-ta da un insieme di sintomi che si pre-sentano contemporaneamente (da cui sindrome) e che hanno origine nel cedimento delle difese immunitarie (immunodeficienza) a opera di un agen-te trasmissibile (acquisita). L’HIV, il virus che causa l’AIDS, è stato isolato nel 1983 da Luc Montagnier all’Istitu-to Pasteur di Parigi e da Robert Gallo al National Cancer Institute negli Sta-ti Uniti.In Italia, dall’inizio dell’epidemia si stima che siano morte circa 40 000 persone; 157 000 sono infette e dal 2010 si registrano stabilmente ogni anno circa 3-4000 nuovi casi. La mo-dalità di trasmissione più frequente in Italia e in Europa sono i rapporti sessuali che rendono conto dell’80%

Figura 1 Un grande nastro rosso, simbolo della lotta all’AIDS, appeso all'ingresso della Casa Bianca in occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS che si celebra ogni anno l’1 dicembre.

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delle nuove infezioni (etero > 41%, omo 39%). Il problema maggiore che si riscontra è l’arrivo del paziente all’attenzione del medico quando la malattia è già avanzata, anche dopo anni dal momento in cui la persona ha contratto il virus. Per capire come ciò possa accadere è prima necessario comprendere il meccanismo con cui questa infezione distrugge le nostre difese immunitarie.

Quali sono gli effetti del virus HIV sul nostro corpo?Grazie al sistema immunitario il no-stro organismo sa contrastare gli at-tacchi dei batteri, dei funghi, dei protozoi che incontriamo quotidia-namente nel cibo o nell’aria. Si trat-ta di microrganismi per lo più inno-cui per gli individui sani: un sistema immunitario integro li distrugge senza che vi sia alcun effetto collate-rale. Ma l’HIV attacca proprio le cel-lule del sistema immunitario, in particolare quelle che in superficie presentano il recettore CD4. Alcune di queste cellule, chiamate linfociti T helper, sono indispensabili stimola-tori della reazione di difesa contro le infezioni.

Quando l’HIV si replica all'interno di una di queste cellule spesso ne causa la morte e, se per caso la cellula non muore per azione diretta del virus, il sistema immunitario la identifica co-munque come infetta e la elimina. In questo modo il sistema immunitario si autodistrugge sopprimendo una del-le sue componenti più importanti. Proprio la continua diminuzione di linfociti T helper è infatti la causa dell’immunodeficienza che porta alla comparsa dei sintomi dell’AIDS nei pazienti infetti da HIV.Quando la barriera contro le infezio-ni comincia a cedere compaiono i sin-tomi delle cosiddette infezioni op-portunistiche.

Infezioni opportunistiche: ma-lattie causate da microrganismi che «approfittano» della debolezza dell’organismo per infettarlo.

Non c’è distretto dell’organismo che sia risparmiato da queste infezioni, che includono encefaliti, meningiti, retiniti, polmoniti, tubercolosi, mico-si, esofagiti e disturbi intestinali. L’HIV favorisce inoltre la comparsa di tumori rari, come il sarcoma di Ka-posi, dato dalla proliferazione dell’her-pes virus di tipo 8.

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Che cos’è la fase di latenza?Il decorso dell’infezione da HIV è sub-dolo. Quando un individuo entra in contatto con il virus, spesso non svi-luppa sintomi evidenti, al più un lie-ve malessere che si risolve da solo in poco tempo. Questo perché il sistema immunitario reagisce con prontezza e tiene sotto controllo l’infezione. Tuttavia il virus non viene eliminato, anzi continua a replicarsi con vigore. Si stima che ogni giorno un individuo infetto da HIV produca 10 miliardi di particelle virali, che vengono rapida-mente distrutte dal sistema immuni-tario senza dare sintomi, anche se il virus fin dall’inizio annienta un gran numero di cellule. Questa fase asinto-matica viene detta fase di latenza.

Fase di latenza: intervallo di tempo compreso tra il momento dell’infezione e la comparsa dei primi sintomi.

Non appena la quantità di cellule uc-cise è tale da compromettere la capa-cità dell’organismo di rispondere alle infezioni, appaiono i primi sintomi.Il tempo necessario perché dalla fase di latenza asintomatica si passi alla malattia conclamata è variabile: per in-dividui in buona salute, in media pas-sano da 2 a 10 anni. Poi il declino del sistema immunitario è irreversibile e il paziente muore rapidamente per ef-fetto delle infezioni opportunistiche. Il lungo periodo di latenza contribui-sce alla disseminazione del virus: in-fatti in questa fase è facile che gli indi-vidui, inconsapevoli di essere infetti, non prendano precauzioni e dunque trasmettano il virus ad altri. Così si spiega come l’AIDS abbia potuto dif-fondersi in ogni angolo del pianeta.Ritornando alla situazione italiana, oltre il 60% dei casi diagnosticati ogni anno riguarda pazienti che van-no dal medico perché affetti da infe-zioni atipiche (polmoniti resistenti agli antibiotici, infezioni fungine, gravi gastroenteriti). Sono il segnale che il sistema immunitario sta ceden-

do. Quindi queste persone scoprono di essere affette da HIV dopo anni dall’incontro del virus. Anni durante i quali non solo il loro sistema immu-nitario si è progressivamente indebo-lito, ma hanno anche inconsapevol-mente trasmesso l’infezione ad altre persone. Per questo il numero di nuo-ve infezioni in Italia (e in generale nel mondo) è sicuramente sottostimato. Gli epidemiologi calcolano che in Ita-lia ci siano attualmente in circolazio-ne almeno 15 000 persone che hanno contratto l’infezione e non lo sanno.

È dunque importante avere consape-volezza dei propri comportamenti sessuali e, se si pensa di aver corso un rischio di infezione con un rapporto non protetto (cioè senza aver usato il preservativo), ricorrere al test siero-logico (Figura 2). Si tratta di un pre-lievo di sangue a cui tutti possono ac-cedere, che rileva la presenza di anti-corpi anti-HIV prodotti dal nostro organismo: segno sicuro di una infe-zione in atto. Il test va fatto almeno 3 settimane dopo l’evento di rischio, per lasciare il tem-po all’organismo di produrre abba-stanza anticorpi per essere rilevati e va ripetuto a distanza di sei mesi, per confermare il risultato. Esistono an-che test rapidi, acquistabili in farma-cia, che sono in grado di dirci se ab-biamo contratto l’infezione da una goccia di sangue ottenuta pungendo-si un polpastrello. Se si risulta positi-vi, niente panico. Come vedremo tra

Figura 2 Il test sierologico, da eseguire almeno 3 settimane dopo un evento a rischio di infezione, rileva la presenza di anticorpi anti-HIV nel sangue.

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poco, oggi i farmaci riescono a garan-tire a una persona infetta di non pro-gredire nella forma conclamata di AIDS. L’importante è iniziare la tera-pia in tempo; quindi, se si è positivi, è essenziale contattare il proprio medi-co per le valutazioni del caso.

Come si trasmette il virus?Il virus HIV si trasmette attraverso il contatto con il sangue o fluidi cor-porei come lo sperma, in cui i linfo-citi infetti sono particolarmente con-centrati. Da ormai vent’anni sono stati introdotti test in grado di indivi-duare il virus nel sangue e negli emo-derivati usati per le trasfusioni; oggi perciò l’infezione si trasmette princi-palmente tramite rapporti sessuali non protetti o lo scambio di siringhe tra tos-sicodipendenti.Nell’ultimo decennio il numero di nuove infezioni in Europa occiden-tale e negli Stati Uniti si è stabilizza-to. Grazie alle politiche di prevenzio-ne alcune aree geografiche, come l’A-frica subsahariana e l’Estremo Orien-te, hanno visto diminuire il numero di nuovi casi di un terzo negli ultimi dieci anni. Va ricordato però che l’A-frica è ancora il continente dove si re-gistra il maggior numero di nuove infezioni: quasi due milioni all’anno, due terzi del totale mondiale. Ci sono poi zone dove invece l’epidemia si sta allargando a macchia d’olio, come l’Europa orientale e l’Asia centrale:

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qui i casi si sono triplicati negli ulti-mi dieci anni. Tirando le fila, possia-mo dire che la pandemia di HIV è oggi «a macchia di leopardo»: ci sono aree del mondo in cui è sotto control-lo, e altre in cui invece è ancora in ra-pida diffusione.

Come ci possiamo difendere dal virus HIV?Oggi, le armi più efficaci per difen-dersi dall’infezione sono i farmaci. Dall’infezione di HIV però non si gua-risce mai (tra poco vedremo perché) e il virus rimane nel nostro organismo per tutta la vita. I farmaci impediscono che il virus si moltiplichi, evitando la distruzione del sistema immunitario, ma questo richiede che la terapia venga mante-nuta per tutta la vita. Oggi le terapie garantiscono un’aspettativa di vita delle persone infette pari a quella dei sani, ma a due condizioni: • che il paziente assuma i farmaci in

modo costante e corretto;• che la terapia sia iniziata prima

che il virus abbia danneggiato troppo il sistema immunitario.

Un indice che si usa per determinare il momento ottimale per iniziare la terapia è il numero di linfociti T CD4 presenti nel sangue. Normal-mente sono 1000-1200 per mm3 di sangue: se scendono sotto i 500/ mm3 è un segnale che qualche cosa non va; se i valori sono inferiori a 350/ mm3 c’è il rischio di sviluppare i primi sin-tomi dell’AIDS, cioè le infezioni op-portunistiche. Oggi si considera il momento ottimale per l’inizio della terapia con valori di CD4 compresi tra 500 e 350/mm3.

Le terapie sono basate su molecole specificamente sviluppate per bloc-care l’azione di enzimi essenziali per le diverse fasi del ciclo vitale del vi-rus. Per capire come agiscono i far-maci è necessario ricordare in che modo il virus HIV interagisce con la cellula infetta. È da queste conoscen-

ze, infatti, che sono stati identificati i bersagli molecolari più promettenti contro cui sviluppare inibitori.

In che modo il virus HIV infetta le cellule? Una caratteristica di HIV è quella di inserire il suo genoma all’interno dei cromosomi. L’HIV è il rappresentan-te più noto della famiglia dei cosid-detti retrovirus, ossia virus il cui ge-noma, fatto di RNA, è dapprima con-vertito in DNA a opera di un partico-lare enzima, chiamato trascrittasi inversa, ed è poi integrato nel DNA cellulare. La sintesi delle proteine vi-rali può avvenire solo dopo questo passaggio, con la trascrizione del DNA virale in mRNA e la sua tradu-zione in catene di amminoacidi gra-zie ai ribosomi cellulari. Quando l’HIV penetra in una cellula bersaglio (una delle cellule del siste-ma immunitario che il virus indivi-dua tramite il recettore di superficie CD4), si spoglia del rivestimento esterno e libera il suo genoma nel ci-

toplasma. A questo punto la trascrit-tasi inversa, che è già associata al ge-noma di HIV, converte l’RNA virale in una doppia elica di DNA, detta provirus. Il provirus entra quindi nel nucleo e si inserisce all’interno dei cromosomi cellulari, là dove essi vengono più frequentemente tra-scritti in mRNA, grazie all’azione dell’enzima virale integrasi (anch’es-so già ancorato al genoma virale). Il DNA del provirus si stabilisce quindi in modo permanente nel genoma dell’ospite e da questa posizione non si muoverà più per tutta la vita della cellula (Figura 3).L’archiviazione del genoma virale in questi «serbatoi» cellulari avviene già nei primi giorni dell’infezione, quando la persona non si accorge di avere contratto il virus perché non ha sintomi o ne manifesta di molto lievi o generici (febbre, mal di testa, linfonodi dolenti, disturbi gastroin-testinali) che passano nel giro di qualche giorno.Le cellule che contengono il provirus possono esprimere i geni virali, e quindi fabbricare nuove particelle vi-

Figura 3 Le principali tappe del ciclo infettivo del virus HIV.

recettore CD4recettore CD4

1. Il virus HIV penetra nella cellula agganciandosi al recettore CD4.

2. Il genoma virale a RNA viene retrotrascritto, generando un DNA a doppio filamento (provirus).

trascrittasi inversa

RNA virale

provirus3. Il provirus si integra nel genoma della cellula.

4. A partire dal provirus vengono generate copie del genoma e delle proteine del virus.

5. si assemblanonuove particelle virali.

6. Le nuove particelle virali fuoriesconodalla cellula einiziano un nuovo ciclo infettivo.

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rali (virioni), oppure conservare l’in-formazione genetica del virus archi-viata anche per decenni. Le cellule con il provirus integrato sono come bombe a scoppio ritardato: in un mo-mento non prevedibile potranno sca-tenare una nuova ondata di replica-zione virale, dando il via a un’infezio-ne. Per questo, una volta infetti non è possibile, con le terapie al momento disponibili, eliminare le cellule «si-lenti» che contengono il genoma del virus ma non producono ancora nuo-ve particelle virali. I farmaci oggi in uso agiscono quindi su altri fronti, in-terferendo con l’ingresso del virus tramite il recettore CD4, con la retro-trascrizione, con l’integrazione del provirus e con la produzione di nuo-ve particelle virali. Combinando tre differenti farmaci, la terapia attuale è in grado di bloccare indefinitamente la replicazione del virus, fin tanto che il paziente assume i farmaci.

Quanti ceppi di HIV esistono?Quando parliamo dell’agente che causa l’AIDS usiamo quasi sempre una sola sigla, HIV. In realtà, ne sono noti almeno due tipi: il tipo 1, più co-mune, e il tipo 2, frequente soprat-tutto in alcune regioni dell’Africa oc-cidentale. Inoltre, esistono almeno 11 sottotipi di HIV-1, indicati con le lettere dalla A alla K. Nell’America settentrionale, in Australia e in Euro-pa occidentale predomina il sottoti-po B, mentre in Asia sono prevalenti C ed E. Gli altri sottotipi sono presen-ti quasi solo in Africa.L’insieme di questi ceppi è il risulta-to dell’evoluzione del virus durante i suoi viaggi intorno al mondo, del suo alto tasso di mutazione e dell’incon-tro tra sottotipi diversi quando un medesimo ospite è infettato da due ceppi (da questi incontri si sono ad esempio originati i virus ibridi AB, AE, BC, AG).La grande variabilità di HIV è il principale problema che rallenta lo sviluppo di un vaccino. Infatti, per

essere efficace, il vaccino dovrebbe essere in grado di indurre una rispo-sta immunitaria contro non uno ma dozzine di diversi tipi di HIV. Tutta-via, l’individuazione di porzioni in-varianti (che non cambiano tra i di-versi ceppi) sta aiutando molto la ri-cerca di un vaccino, che purtroppo al momento non c’è ancora.

Come si è evoluto HIV?Ora che gli scienziati sanno leggere e confrontare le sequenze del genoma, è possibile paragonare gli RNA dei diversi tipi di HIV-1 e, in base alle dif-ferenze, ricostruire il «cammino» del virus, dalla sua comparsa negli uma-ni a oggi. Le mutazioni nei genomi si accumulano nel tempo con una velo-cità nota, diversa per tipo di virus. Contando il numero delle differenze fra i genomi di virus originariamente identici, si può calcolare il tempo passato da quando si sono diversifi-cati dal loro antenato comune, e rico-struire il loro cammino evolutivo.Questo metodo, chiamato orologio molecolare, consente di disegnare gli alberi filogenetici di qualunque specie vivente e anche dei virus. La maggior parte dei sottotipi di HIV-1 si concentra in Africa. Poiché il numero di varianti di un virus è lega-to al tempo necessario all’accumulo di mutazioni, è verosimile che l’area geografica più ricca di sottotipi sia anche quella in cui il virus ha circola-to più a lungo, ossia la sua area di ori-gine. L’orologio molecolare indica quindi che HIV-1 è un virus africano.L’analisi filogenetica ha dimostrato che il virus HIV deriva da SIVcpz, un retrovirus molto simile a HIV-1 che infetta gli scimpanzé e che a un certo punto ha acquisito, con un salto di specie, la capacità di infettare stabil-mente gli esseri umani. I primi casi di AIDS sono stati identificati negli Stati Uniti nel 1981, ma un’analisi re-trospettiva su campioni prelevati in Africa tra il 1959 e il 1982 ha messo in luce casi più antichi. Il primo sem-

bra essere stato, nel 1959, un ma-schio congolese: ciò significa che il virus circolava già in Africa centrale almeno vent’anni prima che lo si in-dividuasse negli Stati Uniti.L’orologio molecolare non è purtrop-po molto preciso, ma alcune stime recenti indicano che il progenitore di tutti i ceppi di HIV-1 circolanti in questo momento sia comparso nella specie umana in un periodo impreci-sato tra il 1880 e il 1924. Ciò non im-plica che la prima infezione umana del SIVcpz mutato sia avvenuta in quel periodo: significa solo che il vi-rus HIV-1 attualmente in circolazio-ne deriva da quel particolare ceppo che infettava l’essere umano alla fine dell’Ottocento.È anche possibile che SIVcpz abbia fatto più di una volta il salto di specie nella popolazione umana. Le mag-giori città dell’Africa centrale, fra cui le odierne Kinshasa e Brazzaville, sono nate e cresciute all’inizio del Novecento, attirando grandi masse di persone. È possibile che l’ondata migratoria dalle aree rurali ai nuovi insediamenti urbani abbia favorito la diffusione del virus, dando così ini-zio all’epidemia.Come ha fatto HIV-1 a passare dalle scimmie all’uomo? Un importante veicolo di trasmissione dell’HIV-1 è il sangue infetto; anche SIVcpz sem-bra passare da uno scimpanzé all’al-tro attraverso le ferite che questi ani-mali si procurano combattendo per il predominio del territorio, delle femmine o del branco. Poiché gli abi-tanti delle zone rurali dell’Africa si nutrono anche di scimpanzé, è possi-bile che il passaggio sia avvenuto tra-mite il sangue di uno scimpanzé in-fetto durante la macellazione o il consumo di carne cruda.

Rispondi in 5 righea. Come si trasmette l’HIV?b. In che cosa consiste la fase latente

dell’infezione da HIV?c. Come è avvenuto il salto di specie

di HIV?

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Da qualche anno in Italia è stato in-trodotto un nuovo vaccino gratuito, non obbligatorio, somministrato alle ragazze e ai ragazzi intorno ai dodici anni di età. Si tratta del vaccino con-tro il papillomavirus, responsabile del tumore al collo dell’utero. Lo Human Papilloma Virus (o HPV) è un virus a DNA con un piccolo dia-metro (50 nm) e un genoma di 8000 coppie di basi. Il capside virale, cioè l’involucro proteico che protegge il genoma, è composto da 72 unità pro-teiche (capsomeri) organizzate in una struttura icosaedrica (Figura 1). Gra-zie alla biologia molecolare oggi sono stati individuati più di 120 HPV, chia-mati sottotipi e contrassegnati con dei numeri (HPV 6, 11, 16, 18, ecc). Di questi, una quarantina interessano il basso tratto genitale femminile e l’ap-parato ano-genitale maschile.

Nonostante oggi si conoscano molte caratteristiche morfologiche di que-sto virus, esso è rimasto pressoché sconosciuto fino agli anni Settanta.

Figura 1 Una ricostruzione al computer della struttura di un papillomavirus umano. In azzurro sono mostrati i capsomeri, cioè le strutture proteiche a forma di stella che sporgono dalla superficie del capside.

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I papillomavirus infatti sono difficili da coltivare in laboratorio e si repli-cano solo in cellule differenziate. Per molto tempo si è pensato che le ver-ruche e i condilomi fossero causati da uno stesso virus, e che le differenti manifestazioni fossero legate a diver-sa espressione virale nei diversi orga-ni. Solo con l’avvento della biologia molecolare è stato possibile mettere in luce l’eterogeneità dei diversi cep-pi virali.La maggior parte dei papillomavirus causa malattie non gravi sia a livello di pelle sia di mucose: si stima che il 75% della popolazione entri in con-tatto con uno di questi virus almeno una volta nella vita. Sono soprattut-to alcuni, tra i 120 isolati, quelli re-sponsabili del tumore alla cervice uterina.

Come si trasmettono i papillomavirus?L’infezione da HPV è considerata una malattia sessualmente trasmessa (o MST) per contatto, la più comune negli USA con 6,2 milioni di nuovi casi all’anno, seconda per costi sani-tari dopo l’HIV. Il papillomavirus è considerato uno dei più importanti agenti cancerogeni che siano mai stati identificati dalla IARC (l’Agen-zia Internazionale che studia gli Agenti e le Sostanze Cancerogene). Come tutte le malattie sessualmente trasmesse, l’infezione da HPV ha maggiore incidenza tra i 20 e i 40 anni di età e la sua prevalenza è parti-colarmente alta nelle donne di 20-24 anni sessualmente attive, poi dimi-nuisce. La fonte principale dell’infe-zione è il rapporto sessuale, ma è pos-sibile una trasmissione, anche se più

rara, nell’ambito familiare e ospeda-liero attraverso indumenti, asciuga-mani, servizi igienici, così come av-viene per le verruche. Un’altra via di contagio è il parto, quando il papillo-mavirus può essere trasmesso al neo-nato attraverso secrezioni vaginali infette. Il virus non oltrepassa però la barriera della placenta durante la gravidanza, dal momento che non entra nel circolo sanguigno.Infine, un’ulteriore via di trasmissio-ne è rappresentata dall’autoinoculo, ovvero dal trasporto del virus nello stesso soggetto da una parte all’altra del corpo. In questo caso l’infezione si estende localmente grazie a micro-traumi o strofinamenti.

Che cosa succede quando un virus entra nel nostro organismo? Il virus penetra nella cute e nelle mu-cose attraverso piccole lesioni dei tessuti. Infezioni di batteri, funghi, altri microrganismi o microtraumi che danneggiano e distruggono gli strati epiteliali superficiali favorisco-no la penetrazione del virus nelle cel-lule dello strato più profondo, chia-mato basale, dell’epitelio. Qui i virio-ni perdono il loro involucro proteico e il genoma raggiunge il nucleo della cellula dove si stabilisce mantenen-do una sua indipendenza rispetto al DNA cellulare.A questo punto può succedere che l’infezione si arresti grazie alle difese immunitarie dell’organismo o che il virus persista nella cellula. In questo ultimo caso il virus rimane nell’epi-telio, non va nel circolo sanguigno, non danneggia la cellula e entra nel-la fase di latenza, eludendo la sorve-

Alla scoperta del papillomavirus e del suo vaccinodi Giulia Bianconi

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glianza del sistema immunitario. Di conseguenza non troviamo anticorpi circolanti, se non tardivamente e po-chi. In questa fase non si hanno sin-tomi. L’infezione latente è evidenzia-bile solo con le tecniche di biologia molecolare.Non è noto per quanto possa persi-stere la latenza: secondo alcuni auto-ri può persistere anche molto a lun-go (anni). Inoltre non sappiamo quanti casi di infezione latente pro-grediscano alla infezione subclinica o clinica. Un dato certo è che la persi-stenza a lungo di uno stesso HPV ad alto rischio in un soggetto sia la con-dizione necessaria per la trasforma-zione tumorale. Quando passa dalla forma latente alla fase replicativa attiva, il virus si moltiplica durante la differenziazio-ne delle cellule epiteliali, passando dallo strato basale a quello superfi-ciale del tessuto. Si possono avere due tipi di lesioni: infezione visibile a occhio nudo nell’apparato ano-ge-nitale o infezione visibile solo con strumenti a ingrandimento e specifi-ci reagenti (colposcopia), visibile al microscopio ottico in cellule prele-vate, fissate e colorate (Pap test), o in una biopsia (esame istologico).L’infezione da papillomavirus pre-senta in genere pochi sintomi: anche le forme cliniche che colpiscono i ge-nitali esterni generalmente sono asintomatiche: possono sovra-infet-tarsi con germi opportunisti e causa-re prurito o bruciore, ma spesso si manifestano con la comparsa pro-gressiva di piccole escrescenze carno-se non dolenti. Le forme piatte, subcliniche – evidenziabili con un Pap test o una colposcopia – sono asintomatiche e non causano mani-festazioni visibili o palpabili.In sintesi, l’infezione latente può ri-manere tale, può progredire a infe-zione subclinica o clinica e poi regre-dire in presenza di una buona rispo-sta immunitaria. Infine, sotto l’in-fluenza di specifici cofattori, l’infe-zione può subire una trasformazione in senso neoplastico.

Qual è il rapporto fra infezione da HPV e cancro alla cervice uterina?Il papillomavirus umano ad alto ri-schio è definito «causa necessaria, ma non sufficiente» per lo sviluppo del carcinoma della cervice uterina. Importante è infatti anche il ruolo di altri cofattori, i cui effetti si combina-no in modo sinergico:• la persistenza dello stesso ceppo di

virus HPV ad alto rischio per molti anni;

• la risposta immunitaria dell’ospi-te; infatti, in casi di deficit di im-munità cellulo-mediata si accen-tua l’espressione della infezione da HPV (per esempio, in stato di gravidanza, in soggetti HIV siero-positivi o con AIDS, in pazienti trapiantati in terapia con immu-nosoppressori);

• il fumo di sigaretta, soprattutto le nitrosammine e altri agenti cance-rogeni derivati dal tabacco;

• l’uso prolungato del contraccetti-vo orale, che sembra aumentare di 4 volte il rischio di incidenza di cancro nelle donne con HPV ad al-to rischio.

Come funziona il vaccino contro il papillomavirus?Nel 2008 è partita in Italia la campa-gna di vaccinazione anti-papillo-mavirus. Quando è stata introdotta, la vaccina-zione era raccomandata (e gratuita) solo nelle ragazze che avessero com-piuto 11 anni. Tuttavia, il Piano Na-zionale Vaccini 2017-2019 ha sottoli-neato l’importanza di includere nella campagna di vaccinazione anche i ragazzi della stessa età, sia per pro-teggerli da alcune rare forme di tu-more che possono colpire anche i maschi (carcinoma del pene, dell’ano e dell’orofaringe) sia per arginare la circolazione del virus nella popola-zione e proteggere così anche le don-ne che non siano state vaccinate.

Al momento sono disponibili nel no-stro Paese tre vaccini:• il vaccino bivalente è efficace con-

tro i due principali tipi di HPV re-sponsabili del tumore della cervi-ce uterina (16 e 18);

• il vaccino tetravalente, oltre a proteggere contro HPV 16 e 18, protegge contro altri due tipi (6 e 11) responsabili dei condilomi ge-nitali;

• l’ultimo vaccino garantisce una protezione contro nove tipi di HPV (oltre a HPV 6, 11, 16 e 18 an-che i tipi ad alto rischio 31, 33, 45, 52, 58).

Nonostante i tipi di HPV conosciuti siano molto numerosi, si stima che questi vaccini siano in grado di inter-cettare quelli più pericolosi per la sa-lute; i sette tipi di HPV che possono causare tumori (16, 18, 31, 33, 45, 52, 58) sono da soli responsabili della maggior parte (89%) delle neoplasie anogenitali associate a virus HPV. Tuttavia, poiché la vaccinazione non protegge da tutti i tipi di virus HPV ad alto rischio oncogeno è importan-te che, a partire dai 25 anni, anche le ragazze vaccinate si sottopongano al regolare test di screening per il tumore della cervice uterina (ogni tre anni se si esegue il Pap test oppure ogni cin-que anni se si usa il test specifico per rilevare la presenza di HPV). A dodici anni dalla introduzione del vaccino, la copertura vaccinale nel nostro Paese è abbastanza buona (quasi il 50%, ma con ampie varia-zioni da regione a regione); purtrop-po, questo valore è ancora lontano dalla soglia ottimale (95%) necessa-ria a spegnere la diffusione del virus nella popolazione.

Rispondi e ricercaa. Quali sono i cofattori che

predispongono alla comparsa del tumore causato da HPV?

b. Aiutandoti con la Rete, riporta in un grafico le percentuali di ragazzi vaccinati negli ultimi anni nei diversi Paesi europei.

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L’epidemiologia è la disciplina che studia la distribuzione delle malattie o di altri eventi sanitari in una popo-lazione (per esempio le morti, gli in-fortuni, le risposte ai farmaci o ai vaccini ecc.) e ne indaga le cause o i fattori che ne modificano la frequen-za. In generale, quindi, l’epidemiolo-gia è la scienza che ci permette di stu-diare lo stato di salute delle popola-zioni e di indagare cosa lo determini.Ne può logicamente seguire la do-manda su che cosa sia la salute. Qui ci riferiamo alle indicazioni dell’Or-ganizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che identifica lo stato di salu-te con lo stato di «benessere fisico, mentale e sociale».

Che cos’è l’epidemiologia?L’epidemiologia ha tre branche prin-cipali: descrittiva, analitica e speri-mentale.L’epidemiologia descrittiva analiz-za la salute di una popolazione (gli alunni di una classe, i lavoratori di una fabbrica, gli abitanti di una citta-dina o di un’intera nazione) in rela-zioni a variabili spaziali, temporali e individuali. L’epidemiologia descrit-tiva risponde alle domande: dove, quando, chi si ammala? Gli studi de-scrittivi possono portare a formulare ipotesi su eventuali relazioni causa-effetto che esistono tra fattori di ri-schio e malattia.

L’epidemiologia analitica si occupa della relazione causa-effetto e verifi-ca un’associazione tra un fattore e una malattia. Risponde alla doman-da: perché ci ammaliamo? Gli studi descrittivi e analitici implicano quin-di la semplice osservazione di quanto accade nella realtà.Nell’epidemiologia sperimentale, invece, i ricercatori intervengono at-tivamente introducendo un elemen-to nuovo: somministrano un farma-co o un vaccino, forniscono indica-zioni per eventuali cambiamenti del-lo stile di vita, effettuano modifiche nell’ambiente di vita e di lavoro. L’e-pidemiologia sperimentale si propo-ne quindi di valutare l’efficacia di in-terventi sanitari e risponde alla do-manda: funziona?

Qual è il ruolo dell’igiene?L’epidemiologia offre alla sanità pubblica gli strumenti per program-mare gli interventi più idonei e rap-presenta un pilastro fondamentale dell’igiene, la disciplina che ha come obiettivo promuovere e conservare la salute individuale e collettiva at-traverso la prevenzione delle malat-tie. L’igienista o il medico di sanità pubblica non visitano i pazienti, né usano particolari attrezzature dia-gnostiche, ma usano l’epidemiolo-gia. I dati epidemiologici costante-mente aggiornati consentono infatti

di eseguire una «fotografia» dello stato di salute della popolazione e di identificare le cause e i principali fat-tori di rischio delle malattie. Solo in questo modo è possibile progettare e realizzare adeguati interventi di pre-venzione e organizzazione delle strutture sanitarie.Facciamo l’esempio di SARS-CoV-2. Il 31 dicembre 2019 le autorità cinesi informano l’OMS che a Wuhan si è verificata una serie di casi di polmo-nite atipica, la cui causa è sconosciu-ta. Si comincia immediatamente a cercarne la causa: il 19 gennaio 2020 viene identificato un virus che la scienza non conosceva, emerso da un serbatoio animale. Poi si segnalano i prima casi fuori confine; il 30 genna-io l’OMS dichiara l’emergenza globa-le e l’11 marzo la pandemia.

Per gli epidemiologi è importante ri-costruire la catena di contagio per capire dove e come un’epidemia è emersa e si è diffusa. In questo modo si conoscono alcuni aspetti chiave: la modalità di trasmissione dell’infezio-ne; il periodo di incubazione, cioè il pe-riodo di tempo che intercorre fra il contagio e lo sviluppo dei sintomi; la contagiosità, cioè la capacità dell’a-gente patogeno di trasmettersi da un ospite a un altro.Nel caso dell’infezione da coronavi-rus, queste conoscenze sono state fondamentali per mettere in atto le strategie preventive utili al conteni-

Che cosa fanno gli epidemiologi?di Antonella Amendola

3. STRUMENTI E MODELLI PER STUDIARE LE EPIDEMIE

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mento dell’infezione (isolamento, quarantena) e alla mitigazione (di-stanziamento sociale). Il monitorag-gio epidemiologico consente, inoltre, di valutare l’efficacia delle misure.

Come si studia un’epidemia?Un’epidemia è la diffusione di una malattia che colpisce contemporane-amente un grande numero di indivi-dui: in questo senso si riferisce quasi solo a malattie infettive. L’indagi-ne di un’epidemia deve preferibil-mente avvenire sul luogo dove que-sta si è verificata e deve essere svolta da un gruppo multidisciplinare: epi-demiologi, microbiologici, medici clinici, infettivologi. Alcuni enti na-zionali (in Italia l’Istituto Superiore di Sanità, ISS) e internazionali (come l’OMS o il Centro Europeo il Control-lo delle Malattie, ECDC) hanno la ca-pacità di costruire velocemente squa-dre in grado di intervenire in diversi contesti.Per esempio, nel 2003, per identifica-re la causa della SARS, in poche setti-mane l’OMS ha attivato 11 laboratori di 10 Paesi in una ricerca multicentri-ca. Il network è stato ideato su model-lo di quello già esistente per la sorve-glianza dell’influenza stagionale. Lo stesso gruppo è stato attivato per far fronte all’emergenza SARS-CoV-2.Nell’indagine di un’epidemia biso-gna innanzitutto confermare che si tratti effettivamente di un evento epidemico. Nel caso di una malattia già presente nella popolazione, si de-vono raccogliere informazioni detta-gliate sul numero di casi osservati nel passato. Inoltre, si deve decidere come identificare i casi stessi. Occor-re, cioè, stabilire una definizione di caso in base a precisi sintomi (per esempio febbre, difficoltà respirato-rie.), caratteristiche microbiologiche (conferma di laboratorio) o epide-miologiche (contatti con altri casi, storia di viaggi, ecc.). È quindi fondamentale monitorare l’andamento dell’epidemia con un’a-

nalisi temporale (curva epidemica), spaziale (distribuzione geografica) e delle caratteristiche personali dei casi (gruppo di età, sesso, occupazio-ne). Lo studio della distribuzione dei casi nel tempo è una delle fasi che ri-chiedono maggiore attenzione. La forma della curva epidemica, infatti, fornisce già importanti informazioni sulle modalità di trasmissione della malattia (Figura 1).Nel caso di una sorgente puntifor-me, limitata cioè a un’unica sorgente in un preciso momento, i casi di ma-lattia si distribuiscono intorno a un picco e la curva si presenta con una rapida salita e una discesa più gra-duale, la cui ampiezza corrisponde

Figura 1 I tre grafici mostrano l’andamento dell’epidemia nel caso di sorgente puntiforme, sorgente comune continua e curva epidemica propagata.

l’ampiezza della curva è circa uguale al tempo di incubazione

Sorgente puntiforme

Num

ero

di ca

si

0Tempo

5

10

15

20

Sorgente comune continuaN

umer

o di

casi

0Tempo

5

10

15

20

Curva epidemica propagata

Num

ero

di ca

si

0Tempo

5

10

approssimativamente al periodo di incubazione. È il caso, per esempio, di un’epidemia di origine alimentare nella quale la sorgente di infezione è rappresentata da un alimento conta-minato consumato in un preciso mo-mento.Nel caso di una sorgente comune continua, i casi di malattia si distri-buiscono in un periodo di tempo più lungo, come per esempio nel caso della contaminazione di una sorgen-te di rifornimento idrico di un grup-po di abitazioni.Nei focolai a trasmissione interuma-na la curva epidemica propagata è causata dal passaggio del patogeno da una persona suscettibile a un’al-

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tra, attraverso una trasmissione di-retta da persona a persona. Questo tipo di curva è caratterizzata da una serie di picchi irregolari che corri-spondono ognuno al nuovo gruppo di persone infettate.

Che cosa sono le misure preventive?Formulate le ipotesi sulla causa, an-cor prima della conclusione dell’in-dagine, bisogna immediatamente adottare le misure preventive ge-nerali e passare alla verifica delle ipotesi con adeguati studi analitici. La conferma della causa di malattia consente di mettere in atto strategie di controllo mirate per interrompe-re la catena di trasmissione e conte-nere i contagi.Per limitare il più possibile la diffu-sione dell’epidemia, gli interventi dovrebbero essere messi in atto nei tempi più brevi possibili. Per questo il lavoro di chi si occupa di epidemia è spesso frenetico.I tipi di intervento per interrompere l’epidemia possono essere vari: la ri-mozione dell’alimento infetto nel caso di epidemie alimentari, la vacci-nazione o l’isolamento per le malat-tie che si trasmettono da persona a persona.Una pandemia rappresenta un even-to eccezionale: è caratterizzata dalla diffusione globale di un nuovo agen-te infettivo nei confronti del quale

l’intera popolazione mondiale non ha difese. In queste situazioni le mi-sure sono finalizzate principalmente alla mitigazione (Figura 2), cioè a «spalmare» il numero di casi di ma-lattia in un periodo di tempo suffi-cientemente lungo da garantire le adeguate cure sanitarie. In altre paro-le, bisogna per prima cosa garantire l’integrità del sistema sanitario.

A che cosa serve l’epidemiologia molecolare?Un efficace controllo delle malattie infettive dipende dalla combinazio-ne di due fattori principali:• dalla rapidità di individuazione e

caratterizzazione degli agenti che causano la malattia;

• dalla predisposizione di sistemi di sorveglianza epidemiologica per verificare l’andamento delle ma-lattie e l’effetto dei programmi di controllo e prevenzione.

Nell’ultimo decennio, in seguito a l’insorgere di fenomeni che favori-scono la rapida diffusione di nuovi agenti patogeni (velocità di trasporto di merci e persone, urbanizzazione, aumento della popolazione.) «essere preparati» è diventato lo slogan cen-trale delle strategie di contrasto alle epidemie. Non si può pensare di or-ganizzare una rete di controllo e ri-sposta efficace mentre è in corso un’epidemia: è necessario che strut-ture ed organizzazione siano in piedi

Figura 2 L’abbattimento della curva epidemica riduce il numero di casi positivi, evitando così di saturare il sistema sanitario.

Casi

gio

rnal

ieri

Tempo dall’inizio dell’epidemia

Picco dell’epidemia

Riduzione delpicco dell’epidemia

Capacità massimadel sistema sanitario

Casi di infezione senza

misure restrittive

Casi di infezione con misure restrittive

prima che un focolaio epidemico si possa manifestare.In questo contesto è utile lo sviluppo dell’epidemiologia molecolare e della bioinformatica. Attraverso l’impiego di sofisticati metodi bioin-formatici è infatti possibile analizza-re un’enorme mole di dati genetici ottenuti dal sequenziamento del ge-noma dei ceppi patogeni, tracciando-ne così la loro storia evolutiva alla luce delle loro relazioni reciproche di discendenza e di affinità.

L’analisi filogenetica, che mette in relazione le distanze genetiche tra i diversi ceppi di un virus, è uno stru-mento fondamentale per la ricostru-zione delle catene di contagio e la sorveglianza delle infezioni, in parti-colare di quelle emergenti. Questa analisi consente di ottenere informa-zioni sull’origine e la modalità di espansione delle epidemie e sul tas-so di riproduzione di base R0.

R0: in un’epidemia, il numero di casi secondari che può essere gene-rato da un caso indice.

Queste analisi permettono inoltre di ricostruire gli eventi di trasmissione e riconoscere i movimenti di un mi-crorganismo tra un’area geografica e un’altra: queste analisi sono l’oggetto di studio di una disciplina chiamata filogeografia. Per esempio, nei primi mesi del 2020 gli scienziati hanno isolato il genoma del virus SARS-CoV-2 da numerosi pazienti affetti da COVID-19. L’anali-si di questi genomi e il loro confronto reciproco hanno permesso di ottene-re due risultati importanti (Figura 3):• ricostruire i legami filogenetici

che collegano il virus SARS-CoV-2 ai coronavirus responsabili della SARS (SARS-CoV) e della MERS (MERS-CoV), e ad altri coronavi-rus rinvenuti nei pipistrelli;

• tracciare, nel corso della pande-mia, l’evoluzione di diversi sottoti-pi virali rinvenuti in varie regioni del mondo.

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Figura 3 Una versione semplificata dell’albero filogenetico realizzato dai bioinformatici dei Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna (fonte: Ceraolo C e Giorgi FM, JMV 2020). I rami dell’albero mettono in evidenza le relazioni e le distanze genetiche tra ceppi di coronavirus umani isolati da pazienti con COVID-19, SARS e MERS e ceppi isolati nel serbatoio animale (pipistrello).

Guangdong GuangdongShenzhen GuangdongShenzhen Shenzhen ArizonaShenzhen WashingtonWuhan IllinoisCalifornia Wuhan, mercato del pesce Foshan Shenzhen CinaCina GuangdongWuhan, mercato del pesceWuhanNonthaburi, ThailandiaWuhanWuhanZhejiangNonthaburi, ThailandiaWuhanWuhanWuhanWuhanWuhanWuhanWuhanGuangdongGuangdongGuangdongZhejiangFoshanFoshanWuhanWuhanWuhanWuhanGuangdongWuhanAustraliaCaliforniaTaiwanFranciaFranciaWuhanGermaniaWuhanGuangdongItaliaItaliaShenzhen

Hong KongCinaCinaUSACanadaCanadaPaesi Bassi, Beta-coronavirus umanoGedda, MERS

Yunnan CinaHong KongCinaHong KongCina

Coronavirus di pipistrello

SARS-CoV-2coronavirus umanoresponsabile della COVID-19

SARS-CoVcoronavirus umano responsabile della SARS

MERS-CoVcoronavirus umanoresponsabile della MERS

Questi risultati, che dovranno essere arricchiti e aggiornati progressiva-mente fino all’esaurimento della pandemia, permetteranno di moni-torare nel tempo l’evoluzione del vi-rus SARS-CoV-2; abbinando questi ri-sultati ai dati clinici ed epidemiolo-gici raccolti in diverse parti del mon-do, sarà inoltre possibile verificare se, nel corso della pandemia, il virus sta mutando verso forme più o meno pericolose.

Quali scelte deve fare un epidemiologo? Quello dell’epidemiologo o del medi-co di sanità pubblica è un mestiere di fondamentale importanza per la so-cietà: il loro compito è quello di met-terci in guardia e proteggerci dalle minacce alla nostra salute. Si tratta, però, di un compito spesso ingrato, come si può vedere anche dalle numerose critiche mosse all’Or-

ganizzazione Mondiale della Sanità nel corso della pandemia di CO-VID-19. Se non si interviene pronta-mente, un focolaio limitato può in-nescare un’epidemia locale e questa, a sua volta, scatenare una pandemia. Se si mette in guardia l’opinione pubblica su un rischio infettivo che poi non si concretizza, si può essere accusati di aver causato un inutile al-larmismo, con tutte le conseguenze che questo può provocare a livello economico e sociale. E, infine, se si interviene in modo così efficace da stroncare un’epidemia sul nascere, diventa poi difficile dimostrare che sia stato proprio quell’intervento a cambiare il corso degli eventi e non ci si trovi invece di fronte a un natu-rale esaurimento del fenomeno.

Rispondi in 5 righea. Quali sono le tre principali

branche di studio dell’epidemiologia? Descrivi gli obiettivi di ciascuna di esse.

b. Qual è la differenza tra misure di contenimento e misure di mitigazione?

c. Quali effetti hanno sulla curva epidemica gli interventi di mitigazione?

d. Di che cosa si occupa la filogeografia? Quali informazioni può fornire nel corso di un’epidemia?

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Modelli numerici per le epidemiedi Federico Tibone

A quale ritmo si diffonde nella popo-lazione il contagio durante un’epide-mia? E quale frazione della popola-zione viene contagiata? Un semplice modello matematico permette di esplorare queste domande attraverso la simulazione al computer di alcu-ni aspetti chiave del fenomeno. Gli esempi che seguono sono basati su semplici formule iterative e sull’uso del foglio elettronico per eseguire i calcoli e produrre i grafici.È bene sottolineare che i dati nume-rici che citeremo sono puramente esemplificativi. Per avere previsioni applicabili alle epidemie reali occor-re – come minimo – conoscere l’effet-tivo valore del tasso di contagio e la sua evoluzione nel tempo.

Il contagio in una popolazione che si mescola liberamente

All’inizio di un’epidemia, quando le persone infette sono poche, ognuna contagia un certo numero di persone con cui viene a contatto; ciascuna persona contagiata a sua volta ne contagia poi altre, e così via. Questo processo «a catena» determina un aumento esponenziale del numero delle persone contagiate.Chiamiamo Nk il numero totale dei contagiati al giorno k dall’inizio dell’epidemia. Questo numero è lega-to a quello dei contagiati al giorno precedente, k–1, dalla formula:

[1] Nk = Nk–1 + C · Nk–1

dove il coefficiente C rappresenta il tasso di contagio, ossia la rapidità con cui l’infezione si diffonde. La formu-la dice semplicemente che, in ogni dato giorno, il numero dei contagiati è quello del giorno precedente a cui

si aggiunge il numero di nuovi con-tagiati, pari a C · Nk–1: ognuno dei già contagiati, che erano Nk–1, ha tra-smesso il contagio ad altri al ritmo C.La formula [1] equivale a:

C = (Nk – Nk–1)/Nk–1

quindi il tasso di contagio C misura l’aumento percentuale quotidiano del numero di contagiati.In generale si avrà C = E · p, dove E è il numero di persone con cui ogni persona infetta viene a contatto in media ogni giorno e p è la probabilità che il singolo contatto produca un contagio.

Il modello esponenziale [1] si applica soltanto alle prime fasi dell’epide-mia. Quando una frazione significa-tiva della popolazione è stata conta-giata, infatti, il ritmo di diffusione del contagio necessariamente si ridu-ce. Il motivo è che, tra le persone con cui ogni contagiato viene a contatto, alcune sono già infette e non posso-no quindi costituire nuovi contagi. Questo effetto si può simulare adot-

tando il cosiddetto modello logisti-co, cioè modificando la formula nel modo seguente:

[2] Nk = Nk–1 + C ⋅ Nk–1 ⋅ (1 – Nk–1/P )

dove nel nuovo fattore (1 – Nk–1/P ), che abbiamo aggiunto a secondo membro, P rappresenta la popolazio-ne totale. Il fattore tra parentesi (1 – Nk–1/P ) ri-duce il numero di nuovi contagi al passare del tempo. Questo fattore in-fatti è praticamente uguale a 1 all’ini-zio dell’epidemia, quando Nk–1/P <<1, e il suo valore si riduce sempre più man mano che la frazione infetta del-la popolazione (cioè Nk–1/P ) aumen-ta avvicinandosi a 1. Nella situazio-ne-limite in cui l’intera popolazione è infetta, si ha Nk–1/P = 1 e il fattore tra parentesi si annulla; a questo punto non sono più possibili ulterio-ri contagi e il modello correttamente prevede che si abbia Nk = Nk–1: da un giorno al successivo il numero dei contagiati non cambia più.La curva continua della Figura 1 mo-stra la previsione del modello [2] per

Figura 1 L’evoluzione della frazione di popolazione contagiata: confronto tra il modello esponenziale e il modello logistico.

Giorni

0,0000 6 12 18 24 30 36 42 48 54 60 66 72 78 84 90

0,200

0,400

0,600

0,800

1,000

Fraz

ione

del

la p

opol

azio

ne co

ntag

iata

EsponenzialeLogistico

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una popolazione P = 100 000 perso-ne, in cui inizialmente ci sono N0 = 10 persone infette, con un tasso di contagio che vale C = 0,25 / gior-no; va sottolineato che qui il valore di C rimane costante nel tempo.Il grafico mostra la frazione infetta della popolazione Nk/P in funzione del tempo. L’andamento ha la carat-teristica forma a S chiamata curva lo-gistica.Nell’esempio considerato, dopo circa 35 giorni, la curva logistica inizia a discostarsi in modo significativo dal-la crescita esponenziale [1] (vedi cur-va tratteggiata nella figura 1).Quando poi, dopo circa 40 giorni, metà della popolazione risulta conta-giata (Nk/P = 0,5), la pendenza della curva logistica inizia a diminuire: ciò significa che il tasso di aumento del numero dei contagiati si riduce pro-gressivamente. In altre parole, la curva, che prima era concava (con Nk che cresceva sem-pre più), dopo circa 40 giorni diventa convessa (con Nk che cresce sempre meno): il ritmo di diffusione del con-tagio inizia a ridursi e in seguito ral-lenta sempre più. La Figura 2 mostra l’incremento quo-tidiano del numero dei contagi (Nk – Nk–1).A conferma di quanto detto sopra, nel caso della curva logistica dopo circa 40 giorni si raggiunge il picco dei contagi. Fino a quel momento, ogni giorno si registrava sempre un aumento della persone infette; dal picco in avanti, invece, il numero delle persone contagiate ogni giorno diminuisce progressivamente. Come mostrato nella Figura 1, alla fine della simulazione con il modello logistico si raggiunge – in modo asin-totico – il contagio dell’intera popo-lazione, cioè Nk/P = 1. Ricordiamo che il modello fa questa previsione nell’ipotesi che il valore del tasso di contagio C rimanga costante nel tempo.Vediamo ora invece che cosa può ac-cadere se si mettono in atto misure volte a mitigare la diffusione dell’epi-

Figura 2 Il numero quotidiano di nuovi contagi previsto dal modello esponenziale e dal modello logistico.

Nuov

i con

tagi

ati q

uotid

iani

Giorni

00 4 12 16 24 28 36 40 48 52 60 64 72 76 84 88

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8 20 32 44 56 68 80 92

EsponenzialeLogistico

demia nella popolazione, riducendo così il valore del tasso di contagio C al passare del tempo.

L’effetto di una limitazione dei contatti tra le personeFinora abbiamo considerato una po-polazione che durante l’epidemia si mescola liberamente, nel senso che le persone continuano a incontrarsi in modo casuale (e quindi potenzial-mente a contagiarsi a vicenda) come avveniva prima dell’infezione.Se invece all’inizio dell’epidemia si mettono in campo misure volte a li-

mitare i contatti tra le persone, allo-ra l’effetto sarà quello di ridurre il tasso di contagio C.La Figura 3 riassume le previsioni di diverse versioni del modello logisti-co per questo tipo di situazione. Ora i grafici mostrano di nuovo il totale dei contagiati dall’inizio dell’epidemia.Nella figura 3 la curva logistica di-scussa sopra (il grafico blu con C = costante) è messa a confronto con due varianti del modello in cui il valore di C si riduce nel tempo: la cur-va rossa e la curva verde.La curva rossa mostra ciò che accade se si suppone che durante l’epidemia C si riduca linearmente nel tempo: (C = 0,25 · (1 – t/T), dove t è l’istante

Figura 3 L’evoluzione della frazione di popolazione contagiata: confronto tra tre varianti del modello logistico basate su diverse ipotesi per il tasso di contagio C.

Giorni

0 6 12 18 24 30 36 42 48 54 60 66 72 78 84 900,000

0

0,200

0,400

0,600

0,800

1,000

Fraz

ione

del

la p

opol

azio

ne co

ntag

iata C costante

C cala linearmente nel tempoC ridotta a 1/10 dopo 30 giorni

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di tempo considerato e T è la durata dell’epidemia). Questo è ciò che po-trebbe succedere se le persone, im-paurite del contagio, smettono gra-dualmente di frequentare altre per-sone. In tale scenario la diffusione del contagio viene rallentata e nel nostro esempio si stabilizza quando è stato infettato l’80% della popolazio-ne. Questo valore potrebbe poi non crescere più se, grazie all’isolamento, le persone infette guariscono e svi-luppano una resistenza verso il pato-geno prima di contagiare altri; in tal caso può instaurarsi una «immunità di gregge» (herd immunity) che pro-tegge il resto della popolazione dal contagio. L’immunità di gregge più efficace è quella raggiunta attraverso la somministrazione su larga scala di un vaccino (Figura 4).

Immunità di gregge: capacità di una popolazione di resistere agli effetti di un’infezione; questa capa-cità cresce all’aumentare della por-zione di popolazione che diventa immune all’infezione. L’immunità si può acquisire sia contraendo l’in-fezione in modo naturale sia con il vaccino e ha una durata variabile a seconda del patogeno.

Figura 4 L’evoluzione dell’epidemia in assenza di qualsiasi misura di contenimento (A) e in seguito allo sviluppo dell’immunità di gregge (B). L’immunità di gregge può essere amplificata dall’impiego di un vaccino.

A. Senza misure di contenimento

B. Immunità di gregge

il paziente 0infetta unasola persona

immunizzato o vaccinatonon immunizzato ma sanoinfettato e contagioso

il paziente 0infetta duepersone

... che infettano due persone ciascuno

il paziente 0infetta duepersone

il paziente 0infetta duepersone

il paziente 0infetta duepersone

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La curva verde mostra invece ciò che accade se, circa 30 giorni dopo l’ini-zio dell’epidemia, il valore di C nell’arco di una settimana si riduce di un fattore 10; questo è ciò che po-trebbe succedere se si limita in modo radicale la libertà di movimento del-la popolazione (per esempio, chie-dendo alle persone di restare in casa e di non uscire salvo che per motivi di emergenza). In questo scenario la diffusione del contagio rallenta ancora di più: in pratica la curva blu viene «stirata» su tempi 10 volte più lunghi, così da alleggerire la pressione immediata sul sistema sanitario e da guadagnare tempo per lo sviluppo di cure o vac-cini specifici.

La Figura 5 mostra il confronto tra l’incremento quotidiano dei contagi previsto dal modello logistico di base rispetto a quello previsto dalle altre due varianti:• nel caso della curva rossa il picco

dei contagi viene «schiacciato»: si sposta in avanti nel tempo rispetto al caso della curva logistica e la sua altezza si riduce;

• nel caso della curva verde il picco dei contagi viene raggiunto poco dopo l’entrata in vigore delle mi-sure restrittive, poi il numero dei contagi giornalieri si riduce e infi-ne riprende a salire, ma molto len-tamente.

Come fare la simulazione numerica con il foglio elettronicoChi lo desidera può scaricare dal sito Zanichelli (https.//su.zanichelli.it/virus_pandemie) o dall’app GUAR-DA! il foglio elettronico usato per le simulazioni delle figure mostrate in questo articolo. Il foglio elettronico è disponibile sia nella versione .ods per Calc di LibreOffice oppure nella versione .xls per Microsoft Excel.Per capire a fondo i modelli e le loro implicazioni, è sempre consigliabile

Figura 5 Il numero quotidiano di nuovi contagi previsto dalle tre varianti del modello logistico.

Giorni

00 4 8 12 16 20 24 28 32 36 40 44 48 52 56 60 64 68 72 76 80 8884

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

Nuo

vi co

ntag

iati

quot

idia

ni

C costanteC cala linearmente nel tempoC ridotto a 1/10 dopo 30 giorni

fare esperimenti numerici di perso-na. Per esplorare con le simulazioni numeriche diversi possibili scenari, si può usare il foglio elettronico con l’approccio chiamato in inglese what if..? («che cosa succederebbe se..?») .

Un primo esercizio, semplice ma istruttivo, consiste nel far variare se-paratamente i tre parametri princi-pali (N0, P e C ) per vedere come il loro valore influenza l’evoluzione dell’epidemia.Un esercizio più impegnativo consi-ste nel raffinare il modello per tener conto del fatto che i contagiati dopo un certo tempo guariscono, cioè svi-luppano immunità al patogeno, e non possono quindi più trasmettere il contagio. Come cambierà allora la forma del picco dei contagi?Per simulare questo effetto si può, per esempio, sottrarre ogni giorno dal numero dei contagiati, a partire dal giorno 15 dell’epidemia, il nume-ro di coloro che erano contagiati 15 giorni prima (supponendo così che, nel tempo trascorso, siano ormai di-ventati immuni e quindi e non siano più in grado di trasmettere la malat-tia ad altri).Un efficace approfondimento del tema della modellazione delle epide-mie si può trovare nel video Exponen-

tial Growth and epidemics disponibile su YouTube in inglese con la possibi-lità di avere sottotitoli in italiano.

Rispondi e ricercaa. Quale fase di un’epidemia può

essere descritta mediante un modello esponenziale?

b. Quali sono i vantaggi del modello logistico?

c. Che cosa rappresenta il picco dei contagi?

d. Come si modifica la curva del modello logistico in seguito all’introduzione di misure di contenimento e di migrazione? (quarantena, distanziamento sociale ecc.)

e. Scarica il foglio elettronico allegato e applica il modello per simulare l’andamento delle curve epidemiche.

Foglio elettronico per simulare curveepidemiche

Exponential Growth and epidemics

GUARDA!

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ALTRE LETTURE PER APPROFONDIRE

• Occhio ai virus, Maga G., Zanichelli, Bologna, 2012• I virus non aspettano, Capua I., Marsilio, 2012• Virus e batteri, La Placa M., Il Mulino, Bologna, 2011• Spillover, Quammen D., Adelphi, Milano, 2014• Epidemie, Rezza G., Carocci, Roma, nuova edizione 2020• I dardi di Apollo, Pigoli G., UTET, Novara, 2009• I vaccini nell’era globale, Rappuoli R. - Vozza L., Zanichelli, Bologna, 2009• Il quarto cavaliere, Nikiforuk A., Mondadori, Milano, 2008• Contagio, Pulcinelli C. - Girardi E. - Greco P., Editori Riuniti, 2003• Il nemico invisibile, Crawford D., Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002• Epidemia. Storia della grande influenza del 1918 e della ricerca di un virus

mortale, Gina Kolata, Mondadori, Milano, 2000• Batteri spazzini e virus che curano, Maga G., Zanichelli, Bologna, 2016• Virus, microbi e vaccini. Viaggio nella storia della medicina: le malattie infettive,

Frontali, C., Editoriale Scienza, Trieste, 2012

ALCUNI SITI DI INFORMAZIONE SCIENTIFICA

• aulascienze.scuola.zanichelli.it/2020/03/05/speciale-coronavirus, la sezione dell’Aula di Scienze di Zanichelli che raccoglie gli approfondimenti dedicati alla pandemia di coronavirus

• lescienze.it, la pagina delle rivista Le Scienze, l’edizione italiana di Scientific American

• nature.com/news, la sezione di notizie giornaliere della rivista scientifica internazionale Nature

• iss.it/coronavirus, la pagina dell’Istituto Superiore di Sanità dedicata al coronavirus e alla pandemia di COVID-19

• epicentro.iss.it, il portale a cura del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute

• gimbe.org, a cura della Fondazione GIMBE - Evidence for Health• who.int, il sito della World Health Organization (Organizzazione

Mondiale della Sanità)• cdc.gov, il sito dei Centers for Disease Control and Prevention del

governo statunitense• nih.gov/health-information/coronavirus, la pagina dei National Institutes of

Health dedicata agli aggiornamenti sul coronavirus

Redazione: Lara Rossi, Claudio Dutto

Progetto grafico, impaginazione e disegni: Studio Emmegrafica+, Bologna

2020 VIRUS*FASCICOLO SUPERIORI ISBN 978-88-08-42955-1

9 788808 4295511 2 3 4 5 6 7 8 9 (02L)