· Web viewQuesta vita è vita eterna. Il vangelo di Giovanni distingue tra la vita come bios e la...

22
SETTIMANA DELLA CHIESA MANTOVANA Lunedì 18 settembre 2017, Cattedrale di Mantova VITA IN CRISTO. DONO DA ACCOGLIERE Intervento del vescovo Marco Busca 1 VITA è la parola-guida della serata e attorno ad essa ruotano alcuni passaggi che attirano la nostra attenzione e il nostro interesse: - Vita - Vita donata - Vita accolta - Vita generata VITA Il nostro Sinodo diocesano è stato animato dal desiderio espresso dai Greci a Filippo: “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21). Ma il desiderio cresce e lo stesso Filippo chiede a Gesù: “«Signore, mostraci il Padre e ci basta». Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,8). Gesù porta al Padre, uno apre sull’altro. Mi sovviene il ricordo di un’esperienza che ho vissuto quando un amico mi ha invitato a casa sua e mi ha introdotto nella sua famiglia: uno presentava l’altro, conoscevo l’uno attraverso l’altro. In quella famiglia c’erano delle persone in relazione e la relazione era la via della conoscenza; non autopresentazioni, ma ciascuno si premurava di presentare l’altro, ciascuno aveva tante cose da dire sull’altro, me lo svelava, me lo faceva incontrare. Il modo di esistere nell’amore era un po’ come il ‘cognome’ di quelle persone. 1 Il testo è stato rivisto dal vescovo stesso. 1

Transcript of  · Web viewQuesta vita è vita eterna. Il vangelo di Giovanni distingue tra la vita come bios e la...

Page 1:  · Web viewQuesta vita è vita eterna. Il vangelo di Giovanni distingue tra la vita come bios e la vita come zoé, cioè vita dell’Eterno. Gesù lo precisa: “Questa è la vita

SETTIMANA DELLA CHIESA MANTOVANA

Lunedì 18 settembre 2017, Cattedrale di Mantova

VITA IN CRISTO. DONO DA ACCOGLIERE

Intervento del vescovo Marco Busca1

VITA è la parola-guida della serata e attorno ad essa ruotano alcuni passaggi che attirano la nostra attenzione e il nostro interesse:

- Vita- Vita donata- Vita accolta- Vita generata

VITA

Il nostro Sinodo diocesano è stato animato dal desiderio espresso dai Greci a Filippo: “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21). Ma il desiderio cresce e lo stesso Filippo chiede a Gesù: “«Signore, mostraci il Padre e ci basta». Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,8). Gesù porta al Padre, uno apre sull’altro.

Mi sovviene il ricordo di un’esperienza che ho vissuto quando un amico mi ha invitato a casa sua e mi ha introdotto nella sua famiglia: uno presentava l’altro, conoscevo l’uno attraverso l’altro. In quella famiglia c’erano delle persone in relazione e la relazione era la via della conoscenza; non autopresentazioni, ma ciascuno si premurava di presentare l’altro, ciascuno aveva tante cose da dire sull’altro, me lo svelava, me lo faceva incontrare. Il modo di esistere nell’amore era un po’ come il ‘cognome’ di quelle persone.

Così è per la Santa Trinità: sono tre Persone (persona significa “essere in relazione”); l’una apre sull’altra: lo Spirito manifesta il Figlio, il Figlio presenta il Padre. E il loro nome comune? È VITA: vita come comunione. Vita beata, felice perché legata alle persone che si amano.

Quando Gesù dice: “Io sono la Vita, chi crede in me ha la vita, sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10) – ma potremmo citare tanti altri passi del NT come ad esempio: Chi ha il Figlio ha la vita” (1Gv 5,12) – capiamo che non sta parlando di vita biologica (cioè della natura psico-somatica che ci fa sperimentare la vita come energia, movimento) ma della vita come relazione. Questo è il modo di esistere di Dio: uno nell’altro. “Tu Padre sei in me e io in Te” (Gv 17,21).

Questa vita è vita eterna. Il vangelo di Giovanni distingue tra la vita come bios e la vita come zoé, cioè vita dell’Eterno. Gesù lo precisa: “Questa è la vita eterna, che conoscano te, Padre, e colui 1 Il testo è stato rivisto dal vescovo stesso.

1

Page 2:  · Web viewQuesta vita è vita eterna. Il vangelo di Giovanni distingue tra la vita come bios e la vita come zoé, cioè vita dell’Eterno. Gesù lo precisa: “Questa è la vita

che hai mandato” (Gv 17,3). In questo contesto il verbo ‘conoscere’ non significa avere delle informazioni, ma comunicare a questa vita in forza di una partecipazione alla vita dell’Eterno. Da sempre Dio ha pensato di estendere il suo modo di esistere agli uomini e di attirarli nel flusso della sua comunione. Nei cieli, secondo il suo beneplacito, Dio ci ha predestinati a partecipare alla sua vita. Nell’iconografia cristiana Dio è spesso rappresentato con un occhio che allude alla visione del Padre: mentre contempla e ama il suo Figlio vede in Lui anche tutti noi, ci pensa a immagine del suo Figlio, ci immagina come partecipi della vita di amore che ha con il suo Figlio. Nell’unigenito Figlio Gesù è pensata e amata l’umanità. Il Figlio contiene in sé la molteplicità dei figli. La benedizione che il Padre ci ha dato nel Figlio dall’eternità si attua nel tempo.

Dio, in un unico atto, dona all’uomo la vita e la vita come relazione, dona il bios perché riceva la zoé.

La creazione è il Giardino della relazione: tutto è cibo perché nutre la relazione di Adamo con Dio, ogni elemento dell’Eden ricorda Dio e stringe a lui (la brezza, i fiori, i frutti, Eva…). La pienezza di vita è pienezza di relazione. Il peccato di Adamo è l’interruzione della relazione con Dio e perciò è una diminuzione dell’essere di Adamo. Volendo essere il padre di se stesso, Adamo perde la vita come relazione e, tagliato fuori il soffio divino, non gli resta che un’esistenza biologica, chiusa nella sua autonomia. Cambia il modo di esistere dell’uomo: fa la sua comparsa l’uomo ricurvo su se stesso, che chiamiamo ‘individuo’, non più costituito dalle relazioni, segnato dal limite, dalla mortalità, dall’isolamento. Perdere la relazione con Dio ha significato per l’uomo la perdita della gloria, di una vita avvolta dallo Spirito, una vita che manifesta Dio e perciò è incorruttibile e beata.

L’uomo, degradato a un livello di vita più basso e insufficiente alle sue aspirazioni di felicità, di durata, di pienezza, ha nostalgia della vita perduta. Cerca di recuperare la sua grandezza o verso l’alto percorrendo una via ‘ideale’ (si sforza di correggere e perfezionare la sua natura limitata e deficitaria) oppure verso il basso, soddisfacendo i suoi impulsi e desideri passionali.

VITA DONATA

La vita (come vita relazionale) non è un prodotto dell’uomo. L’uomo peccatore è protagonista e gestore della vita; immagina di poter produrre anche l’amore, di gestire i rapporti, di conquistare il rapporto perduto con Dio mediante i suoi sforzi e le sue prestazioni. Questo profilo traspare dalle parole di quel tale che rivolge a Gesù la domanda: “Cosa devo fare per avere la vita eterna?” (Mc 10,17). Soffermiamoci su questa scena evangelica. L’accento cade sugli sforzi che l’uomo deve compiere per elevarsi all’altezza del cielo, secondo il cliché religioso delle osservanze, delle pratiche legate ai comandamenti, delle opere buone. È un’impostazione del rapporto con Dio secondo la mentalità dei doveri da osservare per essere graziati, per “meritare” e ottenere in premio la benevolenza di Dio. Il tale ha fatto tutto, ma Gesù gli dice: “Una cosa sola ti manca” che possiamo tradurre anche così: “Uno ti manca” (Mc 10,21). L’aspetto di vita che non può darsi – e che è decisivo – è la relazione con il Padre, l’unico che può generare nell’uomo la vita eterna che desidera. Ma questo eccede le possibilità dell’uomo, perché questa vita è una partecipazione alla vita di Dio, è il suo Soffio.

Riguardo alla religione basata sull’osservanza delle leggi, l’apostolo Paolo ammonisce che “la lettera uccide” (2Cor 3,6); è morta e non può conferire la vita (cf Gal 3,21), perché la legge non ti

2

Page 3:  · Web viewQuesta vita è vita eterna. Il vangelo di Giovanni distingue tra la vita come bios e la vita come zoé, cioè vita dell’Eterno. Gesù lo precisa: “Questa è la vita

mette in rapporto con Dio. È la fede, cioè l’accoglienza che apre a ricevere questa vita. La fede ridotta a legge, a religione secondo la mentalità dei doveri e dei meriti, è un giogo pesante proprio perché non conferisce la Vita (cf Gal 5,1), a differenza del giogo di Gesù che è dolce (cf Mt 11,29-30). Fallito l’incontro con Gesù, con la Grazia, l’uomo se ne va triste perché torna a sottostare al giogo della sua religiosità senza Padre, chiuso nella sua bravura senza relazione che da vita. Molti se ne sono andati dalla Chiesa perché non hanno trovato nel cristianesimo la gioia della comunione; hanno sperimentato un camminare dietro a Cristo senza vedere più in lui la perla preziosa, il tesoro che ti impone di rifare la classifica di tutti i tesori umani. La lieta notizia dell’amore del Padre è stata ridotta a un imperativo etico, a una serie di valori astratti senza linfa vitale.

Gesù apre la via per passare dalla lettera allo Spirito e dice al suo interlocutore: Segui me. È nella Pasqua di Gesù che l’umanità è rifatta e si apre il passaggio al Padre. La nostra Pasqua personale è il battesimo. Nelle acque battesimali un modo di esistenza muore e ne appare un altro: nuore l’uomo vecchio (l’individuo) e il peccatore viene rigenerato come persona in relazione. Dal grembo battesimale emerge l’uomo nuovo che ha il volto del figlio.

Il battesimo rimane per molti cristiani come un pacco regalo ricevuto e mai aperto. Anche perché si è stati battezzati da piccoli, in molti casi non si è vissuto in contesti umani in cui si respirava una cultura secondo il battesimo. Non manca il dono, manca la scoperta e l’accoglienza del dono. Usando ancora un’immagine: è possibile conservare la candela ricevuta nel battesimo senza accenderla. Il fuoco vivo dello Spirito riaccende la fede così che il dono della vita nuova possa ardere, consumarsi nella relazione con il Padre e fondersi con le altre candele dei battezzati e formare il corpo ecclesiale.

VITA ACCOLTA

Accogliere il dono battesimale, non significa accogliere un’idea, un’informazione in più, aderire a un programma etico nobile e impegnativo, ma accogliere il dono di una relazione che rende partecipi della vita di Dio che è comunione. La soglia da oltrepassare per entrare in questa vita è la nostra adesione. Ricordate che il rito del battesimo prevede quelle interrogazioni: rinunci? (al modo di esistere contrario al Regno, secondo il peccato e la logica divisiva di Satana), credi? (che significa aderisci, ti unisci a Cristo).

Ci sono delle resistenze all’accoglienza della Vita, anche in chi è già battezzato. All’origine delle chiusure c’è il sospetto che Dio non è paterno, non è il padre che genera vita. Si insinua un sordo rancore contro Dio percepito come avversario della nostra felicità, come antagonista di una vita promettente. Il peccato ha sporcato l’immagine di Dio: il Volto del Padre è come andato in dissolvenza, sostituito dalla faccia oscura e dura di un padrone che impone, che vieta, che esige e non è mai soddisfatto, chiede cose che costano sacrificio, procura sofferenze e promette ritorsioni, in una parola: è nemico della vita e della gioia.

Questo sordo rancore ha come sua causa la legge che è maledizione perché ci tiene schiavi di questo Dio percepito come padrone severo (cf Rm 8). Ne è uscita la religione dei no, del tu devi /non devi. C’è una versione moderna di questo sordo rancore contro Dio, avvertita su scala universale: di fronte agli stermini, all’olocausto, ai genocidi ci si chiede dov’è Dio e perché permette tanta sofferenza, specie il dolore degli innocenti.

3

Page 4:  · Web viewQuesta vita è vita eterna. Il vangelo di Giovanni distingue tra la vita come bios e la vita come zoé, cioè vita dell’Eterno. Gesù lo precisa: “Questa è la vita

Ho fatto queste riflessioni per dire che l’accoglienza della Vita in Cristo ha come premessa necessaria quella di purificare l’immagine di Dio, cioè di svelare nell’uomo interiore la vera identità di Dio. E questo processo spirituale porterà a purificare anche l’immagine che l’uomo ha di se stesso, soprattutto lo guarirà dal sospetto che serpeggia dentro: io non sono amabile, io devo comprare l’amore, io devo meritarlo. La radice del peccato si manifesta nella diffidenza verso ogni tipo di relazione, non solo con Dio ma anche con gli altri: si fa strada la convinzione che la relazione ha un costo che penalizza, che fare spazio a un altro significa perdere se stessi, rinunciare ad affermare se stessi. È la logica secondo la mentalità dell’individuo: solo se mi faccio valere, se sono l’epicentro della realtà affermo il mio valore assoluto, come diversità e unicità rispetto agli altri.

L’accoglienza implica un momento negativo della purificazione, della liberazione da questo modo di esistere individuale. È il versante di morte iscritto nel battesimo. Nella lettera ai Romani Paolo dice: “Non siete più schiavi, per ricadere nella paura ma figli” (cf 8,15). E figli liberi! Per accogliere la vita nuova bisogna accettare questa morte: “Rinunciate a Satana?” Significa rinunciare al modo di esistere dell’individuo. Due uomini convivono anche dentro il cuore del battezzato: il vecchio e il nuovo. Quale dei due avrà il sopravvento? Quello che nutriamo di più. Ogni giorno sentiremo le spinte dell’uomo vecchio che tenta di riprendere potere sul trono del cuore. Dobbiamo intervenire per non assecondare i suoi richiami e questa è la ‘mortificazione’ che consiste nel non accogliere ciò che potrebbe rinforzare la mentalità individuale. Ma ben più importante è concentrarsi sulla accoglienza di ciò che irrobustisce la creatura nuova, che genera in noi vita relazionale, che ci rende più persone. Occuparsi della crescita dell’uomo nuovo significa concentrarsi sulle fonti che nutrono la vita nuova con lo Spirito di Cristo: la liturgia dell’altare e del cuore, l’ascolto della Parola, la vita ecclesiale, il servizio.

L’accoglienza avviene non senza lo Spirito Santo

Prima della sua Pasqua Gesù promette: “Apertamente vi parlerò del Padre” (Gv 16,25). Dopo la Pasqua si apre il tempo in cui lo Spirito ci guiderà alla verità intera (cf Gv 16,13) che è la conoscenza piena di Dio come Padre e dell’uomo come figlio.

Lo Spirito ci dischiude il vero volto di Dio: Padre tenerissimo che non ha risparmiato il suo Figlio per noi. Conduce gli uomini alla piena verità ‘teo-logica’, evangelizza le profondità del cuore e dell’immaginario per andare a correggere quella conoscenza di Dio distorta dal peccato che alimenta il sospetto e il rancore verso di Lui. Per darci la vera conoscenza del Padre, lo Spirito deve convincere l’uomo quanto al peccato che è rifiutare Dio. Gesù usa addirittura il verbo più forte del rigetto che è ‘odiare me e il Padre mio’ (cf Gv 15,24).

Nella preghiera per eccellenza allo Spirito Santo la Chiesa prega così: “Facci conoscere l’amore del Padre” (Veni creator). Lo Spirito effonde nei cuori la sua rugiada, ci comunica l’amore del Padre – cioè la sua relazione con noi – e non solo ci da una conoscenza astratta ma il sentimento vivo della paternità di Dio. Non solo ci fa conoscere il Padre ma ci fa ‘essere’ nel Padre (cf 1Gv 4,13), ci dà accesso al mistero intimo di Dio, ci nasconde con Cristo in Dio (cf Col 3,3), nel seno del Padre.

4

Page 5:  · Web viewQuesta vita è vita eterna. Il vangelo di Giovanni distingue tra la vita come bios e la vita come zoé, cioè vita dell’Eterno. Gesù lo precisa: “Questa è la vita

Conoscere il Padre è la vita eterna (cf Gv 17,3): vita non come astrazione, vita come rapporto concreto, da persona a persona, che significa sperimentare, percepire. Lo Spirito è presenza-amore del Padre. Lo Spirito ci infonde il sentimento-percezione esperienziale della figliolanza.

La relazione è triangolare: non io e Dio, ma io-lo Spirito e il Padre. L’esperienza della paternità è mediata: partecipiamo alla figliolanza di Gesù; agisce in noi lo Spirito del Figlio suo, lo Spirito che grida in noi: “Abbà! Padre!”. (Gal 4,6)

Un padre della Chiesa, Diadoco di Fotica (fine IV secolo), scrive che lo Spirito si comporta come una madre che insegna al proprio bambino a dire ‘papà’ e ripete tale nome con lui, finché lo porta all’abitudine di chiamare il padre anche nel sonno. Sboccia così il sentimento filiale che riconosce in Dio l’Abba, il caro padre. Questa è la “rinascita dallo Spirito”.

Aiuterebbe la presa di coscienza di questa vita che pulsa dentro il fatto di proclamare con grande solennità nelle nostre liturgie il Padre nostro. Quest’anno potremmo essere particolarmente attenti a questo ‘apice’ della liturgia: tutta la preghiera ci porta al Padre.

L’accoglienza è una sinergia, implica un dialogo tra lo Spirito e la libertà

Solo lo Spirito conosce la volontà di Dio su di me e mi può suggerire, ispirare come io posso diventare quel volto di figlio/a da presentare come dono al Padre. Nessuno conosce come il Padre vuole generare in me la vita filiale se non lo Spirito che mi è dato alla maniera di una unzione che permane in me e che da dentro mi istruisce (cf 1Gv 2,20.27). Allo Spirito sono legati verbi dinamici, di movimento in avanti: muove, guida, parla delle cose future. “Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito, costoro sono figli di Dio” (Rm 8,14). Più il battezzato è sintonizzato con la volontà del Padre suggerita dallo Spirito e più è generato come figlio. Più accoglie questa vita e più cresce in questa identità. Quella del cristiano è una identità personale, cioè relazionale: Tu es, ergo sum (Tu sei Padre, io sono figlio). L’identità è dinamica, come cresce la conoscenza nelle relazioni umane così cresce la conoscenza tra noi e il Padre. C’è un approfondimento continuo della identità per strati successivi e sempre più profondi (come le scatole cinesi). La vocazione cristiana è comune a tutti: è la chiamata alla figliolanza, ma c’è come una vocazione nella vocazione, è la chiamata a personalizzare in maniera originale la figliolanza. Tutti figli, ma nella molteplicità delle figliolanze. Ogni santo ha realizzato in pienezza la figliolanza, ma nessun santo è la fotocopia di un altro.

Crescere come figlio nel tempo significa che il mio volto personale si delinea e appare sempre più nitido e caratterizza la mia identità in maniera stabile: questo significa entrare nel riposo di Dio, nella relazione stabile che da felicità. La terra promessa era terra di felicità per il popolo ebraico, la carne di Cristo è la nostra terra promessa: raggiunta la comunione con Lui siamo portati nella vita della santa Trinità e questo è il nostro riposo, la nostra felicità.

Riconoscere e accogliere Dio come proprio Padre è possibile in Cristo, nella sua Pasqua, che significa nella manifestazione del vero volto di Dio come Padre, misericordia infinita, che perdona le colpe, rigenera il peccatore, ridona il volto di figlio. Dentro questa esperienza pasquale cambia l’idea che uno ha di se stesso: sono figlio/a non schiavo, non figliastro sgradito, fuggiasco perché colpevole. Quello della figliolanza è il sentimento stabile del cuore del cristiano che prevale su ogni sensazione del peso delle colpe, del fallimento della vita.

5

Page 6:  · Web viewQuesta vita è vita eterna. Il vangelo di Giovanni distingue tra la vita come bios e la vita come zoé, cioè vita dell’Eterno. Gesù lo precisa: “Questa è la vita

L’accoglienza è una attività costante e dall’approfondimento della relazione con il Padre dipende il consolidarsi dell’identità filiale

Diventare figlio/a, accogliere il dono battesimale, è un processo che dura tutta la vita. Detto con una parola - a prima vista difficile – la vita intera è il processo della nostra “cristificazione”. Portiamo già l’immagine del Figlio come abbozzata e lungo la nostra storia si delineano le forme e i colori, così che il volto del cristiano assomiglia sempre più a quello di Gesù.

Non si è stati battezzati una volta per poi uscire dal fonte battesimale! Il rito liturgico è stato compiuto in un giorno preciso, ma lungo tutta la vita restiamo immersi nella grazia ricevuta e ogni giorno diventiamo più figli. La vita in Cristo si vive nella misura in cui viene accolta.

Ogni istante della vita umana, nelle diverse circostanze, lo possiamo vivere alla maniera di Gesù, da figli, uniti alla sua Pasqua, oppure da increduli, da individui, affermando una mentalità non-filiale. L’istante diventa battesimale: se lo accogli come un’occasione per fare la tua Pasqua lo condividi con il Padre e quell’istante segna un momento di crescita, un approfondimento della tua identità filiale; se lo vivi in autonomia, organizzando le cose senza tener conto del Padre, rafforzi la tua identità di individuo. Non c’è altra possibilità di approccio all’istante: o siamo aperti o siamo chiusi alla relazione; l’effetto è che a ogni situazione rispondo con un atteggiamento che mi rafforza come individuo o come persona.

Il ragionamento però è più complesso perché in noi non ci sono dei Sì e dei No ‘netti’, ‘pieni’, detti una volta per tutte. I nostri Sì iniziano timidamente e si compiono progressivamente. La libertà si apre allo Spirito a poco a poco. Lo Spirito attira e non fa violenza; per questo alla persona dello Spirito si associa spesso la caratteristica dell’umiltà: Lui è la pienezza, vorrebbe comunicarci tutto il dono di Dio, ma poi si adatta alle nostre misure, è umile e si infila sotto le pieghe della nostra umanità. L’umiltà dello Spirito è resa nell’iconografia attribuendogli il colore bianco, il colore che si mescola a tutti gli altri colori, si confonde con loro, diventa un tutt’uno con loro.

Più la nostra volontà accoglie lo Spirito e più avviene l’innesto in Cristo, istante dopo istante, e aderendo in ogni istante alla volontà del Padre per noi in quella circostanza avviene una introduzione più profonda alla comunione, stringiamo un legame più stretto con il Padre, siamo più figli, consentiamo al Padre di amarci e di generarci come figli. Ogni consenso è un accesso alla relazione. Avviene una conformazione a Cristo sempre più forte nella vita: i nostri pensieri si inseriscono sul pensiero di Cristo, c’è una trasformazione della mentalità, della sensibilità, della volontà, dell’operatività.

Per capire questo processo di filiazione progressiva lo dobbiamo guardare nei santi. Li paragono a un cristiano visto alla lente di ingrandimento: il santo è un figlio maturo, con un rapporto perfetto con il Padre, fatto di confidenza, di infanzia spirituale, di gioia nel compiere la sua volontà. Se vogliamo capire l’esperienza filiale guardiamo i santi: in loro accade ciò che in modo più debole avviene in ogni credente, ma ciascuno di noi è un santo potenziale. La vocazione personale è realizzare il ‘mio’ volto perfetto di figlio, figlia. Nei santi, la piena accoglienza genera la somiglianza perfetta a Cristo.

6

Page 7:  · Web viewQuesta vita è vita eterna. Il vangelo di Giovanni distingue tra la vita come bios e la vita come zoé, cioè vita dell’Eterno. Gesù lo precisa: “Questa è la vita

Chi è più disponibile ad accogliere la vita in Cristo sono i poveri. È curioso che quando Gesù ha proposto il Vangelo del Regno, questa bella notizia l’hanno accolta soprattutto i poveri, gli afflitti, i perduti, i peccatori, gli esclusi dal sistema religioso, tutti coloro che non erano già consolati, soddisfatti della vita umana, perché in questa vita della natura soffrivano: il dolore fisico, il limite morale, l’insoddisfazione, la paura di morire, la nausea del peccato (se fare un peccato può essere piacevole, stare nel modo di vita del peccato è pesante). Costoro sperimentano il limite come luogo della comunione: nelle loro vite umane ferite e diminuite si crea la feritoia per l’ingresso della Vita risorta di Cristo.

È molto importante sottolineare che questa Vita non è una teoria elaborata, accessibile a pochi, ma è una Salvezza per chi non ce la fa più. I misteri del Regno li hanno colti soprattutto i piccoli, quelli che non erano dotti, nobili, potenti, ma ritenuti la spazzatura del mondo. Quello di stasera non è un discorso ad alto livello che va bene per pochi che sono già bravi e attrezzati a capire le cose di chiesa; la promessa di Vita è dono per i poveri che si riconoscono bisognosi e si aprono a riceverlo.

Impariamo a convocare i poveri nella chiesa, non solo ad assisterli. Sono ospiti privilegiati alla mensa del Regno e proprio costoro diventano gli annunciatori efficaci del dono per altri poveri.

Più accogliamo questa Vita e più si rinnova il nostro sguardo sulla vita

In Gesù è la Vita. San Giovanni dice che la Vita è Luce per gli uomini (cf 1,2-3). Questa Vita di comunione illumina, cioè dà una ‘visione’ sulla vita umana, ce la fa interpretare, ci rende capaci di leggerla in profondità.

Come guardare la vita umana da credenti, da battezzati? Ho cercato di far comprendere questa sera come la vita è multistrato. C’è bios e c’è zoé, c’è la vita come fatto naturale e c’è la vera Vita che è la partecipazione alla relazione che Gesù ha con il Padre. “Io sono la Vita e la Verità”: la vita vera è Cristo, Vita nostra. Ci è donato un occhio luminoso che è capace di guardare in modo congiunto i vari livelli della vita. Non c’è un solo livello di vita. Uno sguardo che non tiene insieme i vari livelli, non simbolico, non è cristiano. La vita non è monostrato ma multistrato.

Gesù a Nicodemo dice che bisogna “rinascere” (cf Gv 3,5-6). Nicodemo dapprima pensa monostrato: come è possibile tornare nel grembo della madre e nascere dalla natura una seconda volta? Gesù dice che si tratta di nascere ‘di nuovo’, ‘dall’alto’. Significa che Dio trasmette all’uomo la vita per il tramite dei genitori che concepiscono e partoriscono una vita biologica (la carne e sangue) ma che – con la loro fede – sono gli strumenti attraverso cui il Padre ci rigenera dall’alto. Lo sguardo simbolico-sapienziale dei cristiani sulla vita è multistrato: la vita biologica ci è data per ricevere un’altra vita, non più vita dalla carne e dal sangue, ma da acqua che è Spirito. Lo esprime bene san Paolo quando dice: “Questa vita che vivo nel corpo la vivo nella fede in Gesù che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). La vita cristiana non è un’altra vita, è la vita umana che unita a quella di Cristo diventa divino-umana. Accogliere questa Vita significa trasfigurare/trasformare la nostra umanità perché diventi umanità in Cristo.

Tutto si trasforma se lo guardiamo sui due livelli. Facciamo qualche esempio: la ricchezza e i beni che ci appartengono raggiungono il loro compimento non nel possesso e nel godimento sensibile ma quando diventano l’ambito per scambiarsi l’amore e dunque la felicità. Così pure la verità dell’eros e della corporeità si compie non nell’istante magico del godimento individuale ma nella vita di

7

Page 8:  · Web viewQuesta vita è vita eterna. Il vangelo di Giovanni distingue tra la vita come bios e la vita come zoé, cioè vita dell’Eterno. Gesù lo precisa: “Questa è la vita

coppia come amore coniugale. Il compimento dell’umano nella divino-umanità di Gesù si vede soprattutto nelle esperienze di vita diminuita: il corpo sofferente, malato, menomato. Dove sta il compimento di una vita umana, a quali condizioni (da quando e fino a quando) è degna di essere vissuta?

Voglio riferirvi a riguardo la testimonianza che mi ha raccontato lo zio di un bambino vissuto meno di due ore; scrive così: “Ha vissuto tutta la sua vita nelle braccia di sua mamma e suo papà. È stata una forte esperienza di fede perché questa è l’essenza del cristiano: quella di vivere da figlio”. È stato battezzato, è diventato figlio del Padre e tutta la sua esistenza è stata lì nelle braccia dei genitori che lo hanno poi affidato alle mani del Padre. Se quei genitori avessero deciso di abortire (come aveva suggerito la maggior parte delle persone) quel bambino non sarebbe nato, ma sarebbe rimasto solo un numero e loro non sarebbero diventati genitori. Con la loro accoglienza quel bimbo non è rimasto solo un numero, e loro hanno vissuto l’esperienza vera della genitorialità. È passato attraverso questa vita e nel breve tratto di due ore l’ha portata a compimento: è stato figlio di un uomo e una donna che l’hanno concepito nell’amore, ha dato loro l’esperienza di essere genitori, ha ricevuto la vita di Dio e vi è entrato subito in pienezza.

LA VITA GENERATA

Generare Vita

Generare è un verbo che ‘include’. Se ci chiediamo: dove nasce un bimbo? La risposta è: dall’amore di due che si uniscono; è l’amore dei due che include il terzo e che lo genera alla vita.

La Chiesa genera nel battesimo, quando libera l’uomo da un modo di esistere che produce morte – quello dell’individuo (che comporta solitudine, tristezza, separazione) – e lo genera alla comunione, che è il modo di vivere di Dio e porta con sé pienezza, beatitudine, durata. L’Eucaristia nutre ripetutamente questa Vita ricevuta nel battesimo.

Siccome questa vita è relazionale uno non la impara da sé stesso, ma gli viene trasmessa. Nelle iniziazioni pagane (anche nelle nuove iniziazioni culturali di matrice non religiosa) uno impara ad affrontare la vita da se stesso, da protagonista, da autosufficiente. Il complesso dei passaggi iniziatici serve a far vedere che passa dallo stato infantile o giovanile a quello adulto perché non ha più bisogno degli altri: è un uomo in grado di fare se stesso.

Nell’iniziazione cristiana il processo è inverso: per i cristiani essere introdotti nella vita in Cristo significa dis-individualizzarsi sempre più e assumere capacità di relazioni sempre più ampie, comprensive, inclusive per dilatarsi a misura del Corpo intero di Cristo. Il cristiano maturo, pienamente introdotto in questa vita, è dunque un universo in espansione che include in sé l’intera comunione dei santi e dei viventi (uomini del presente e del passato, creature cosmiche e esseri angelici).

Il vero valore della Tradizione è la trasmissione di fede che genera Vita. La Vita in Cristo non mi è passata in astratto, ma attraverso tante relazioni con i credenti di oggi, di ieri, gente che non ho mai visto ma che incontro nella comunione dei santi. Sant’Efrem, sant’Anselmo, San Luigi mi accompagnano ad apprendere l’arte di come si accoglie la vita di Dio.

Nella Chiesa noi apprendiamo il modo di esistenza di Dio che è l’amore. Ma l’amore non è una maniera di comportarsi, né un sentimento nei confronti degli altri; è la Vita di comunione accolta che poi si esprime nelle tante forme della vita comunitaria. Nella Chiesa c’è l’apprendistato

8

Page 9:  · Web viewQuesta vita è vita eterna. Il vangelo di Giovanni distingue tra la vita come bios e la vita come zoé, cioè vita dell’Eterno. Gesù lo precisa: “Questa è la vita

dell’amore di Dio: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio perché Dio è amore” (1Gv 4,7-8). Possiamo fare comunità nella misura in cui accogliamo il dono della comunione che Dio ci fa. La Chiesa diventa il luogo della comunione e la comunione dei fratelli mi genera come persona capace di accogliere l’amore del Padre e di trasmetterlo e condividerlo con i fratelli: “Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti” (1Gv 5,1-2).

La missione di annunciare il dono e invitare ad accoglierlo

La vita di comunione (l’essere ‘uno dentro l’altro’) è un dono ricevuto dall’alto. Prima che oggetto di una teoria, il dono chiede di essere mostrato. Le teorie si dimostrano, la Vita la mostrano coloro che la vivono.

Far vedere il dono è la nostra missione. “Vedranno le vostre opere buone e glorificheranno il Padre vostro” (Mt 5,16). Qui non si tratta di opere esteriori, attività o strutture, ma dell’opera che ricorda Dio, che rinvia a Lui come Padre, che lo testimonia e manifesta. E quest’opera non può che essere la figliolanza e la vita dei figli ricorda il Padre. Ma questo significa che la figliolanza è visibile e riconoscibile dalla fraternità.

Noi possiamo essere anche una ‘Chiesa brava’, composta da individui bravi (circa la moralità e alcune forme religiose e le cose meritevoli che facciamo) ma non essere una ‘Chiesa bella’, quella che possono realizzare le persone che nel loro essere in comunione, una dentro l’altra, manifestano una modalità di esistenza che l’umanità attende, ma che non può produrre con le sue forze. Mostrare una umanità teofanica (che vive in sé la vita di Dio) non è una delle tante cose da fare, è la rivelazione di ciò che siamo. “Cristiano diventa ciò che sei” (Ignazio di Antiochia).

La missione non consiste nel creare una vita parallela a quella del mondo. Gesù ci ha chiesto di muovere il mondo dall’interno e di essere fermento. Ci ha chiesto di essere lievito dentro la pasta, non di essere ‘la pagnotta’. Non tanto perché diminuiamo di numero dobbiamo riconoscerci nelle metafore del lievito, del sale, del piccolo gregge, ma perché questa è la dinamica del Regno. Viene dal di dentro delle pieghe della storia, attraverso uomini e donne rigenerati che si coinvolgono con gli altri uomini e donne e manifestano un’umanità nuova che diventa fermento di rinnovamento nei vari ambienti del mondo.

La Chiesa vive tutto ciò che è umano; di diverso cosa portiamo? La Lettera a Diogneto2 descrive i cristiani in questi termini:

I cristiani non si differenziano dal resto degli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per usanze; non hanno città proprie, né un linguaggio distinto, né praticano una vita stravagante; abitano città barbare; pur seguendo nel vestito, nel vitto e nel resto della vita le usanze del luogo, danno prova di una forma della loro vita sociale meravigliosa e, per riconoscimento di tutti, straordinaria. Abitano la loro patria, ma come forestieri, partecipano a tutto come buoni cittadini e accettano tutti gli oneri come ospiti di passaggio. Ogni terra straniera è loro patria, ed ogni patria è straniera. Vivono nella carne ma non secondo la carne. Trascorrono la loro vita sulla terra, ma la loro cittadinanza è quella del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma, con il loro modo di vivere, sono superiori alle leggi.

2 A Diogneto 5,8-9.9

Page 10:  · Web viewQuesta vita è vita eterna. Il vangelo di Giovanni distingue tra la vita come bios e la vita come zoé, cioè vita dell’Eterno. Gesù lo precisa: “Questa è la vita

La lettera a Diogneto ci conferma che la novità dei cristiani è il loro modo di esistere e di vivere le cose che intessono l’umanità: questo ci distingue. Certamente la novità di vita dei cristiani consiste anche negli aspetti morali che li contraddistinguono, ma questo si spiega a partire dal modo di vivere dell’uomo rigenerato che è s-possessato da sé, libero da sé, con una mentalità della persona che declina in tutti i settori della vita, da quelli della cittadinanza a quelli professionali, culturali, familiari.

Stare dentro la pasta del mondo per rivelare l’amore del Padre: qui si apre tutto il discorso circa la creatività che è l’inventiva che i cristiani ricevono dallo Spirito per far arrivare, negli ambienti in cui condividono la vita con gli altri uomini, la manifestazione dell’amore affinché lo percepiscono.

Lo spazio dell’annuncio dall’interno del mondo: l’amicizia come lievito del Regno

Per San Giovanni Crisostomo l’amicizia è “aver riguardo dell’anima del prossimo come della propria”. Secondo questo padre della chiesa evangelizzare attraverso l’amicizia è lo specifico del cristiano laico: “Come gli apostoli ebbero il compito di insegnare… così voi vi assumerete quello di stringere amicizia. Questa sarebbe un’opera più valida di quella di risuscitare i morti? Non c’è nessuno che amato, voglia odiare. Cominciamo noi ad essere affabili senza aspettare che lo sia il prossimo”.

Il cristiano sta in mezzo a tanti non credenti, avvicinandoli come amici crea un’apertura perché lo Spirito li tocchi con la testimonianza dell’amore cristiano: “Se il tuo amico non è ancora unito a te come fratello, amalo perché lo diventi” (Agostino).

Andare all’essenziale dell’annuncio: il kerigma

Papa Francesco ci ricorda che il primo annuncio o kerigma deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Questo annuncio è il primo in senso qualitativo perché è il principale (cf EG nn. 164-165). Il kerigma ha una struttura semplicissima, ma molto densa.

C’è un nucleo costituito da due fatti: Gesù è morto – Gesù è risuscitato (cf At 2,22-36). Il motivo della Pasqua è semplice: per i nostri peccati – per la nostra giustificazione (cf Rm 4,25).

Nel brano di Tito che abbiamo ascoltato (3,4-7), l’annuncio è un po’ più lungo:

“Apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo, che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna”.

Il contenuto dell’annuncio è l’amore del Padre (la filantropia). Il mediatore del dono della figliolanza è Cristo che ci rende giusti, non per le opere giuste, ma per la misericordia. Il dono ci è comunicato nell’acqua battesimale in cui agisce lo Spirito (il battesimo è l’attualità del dono). Lo scopo è donarci la vita eterna: rinnovare la natura umana infettata dal peccato e dalla morte e rimetterci in comunione, ciò che non era più possibile a noi.

10

Page 11:  · Web viewQuesta vita è vita eterna. Il vangelo di Giovanni distingue tra la vita come bios e la vita come zoé, cioè vita dell’Eterno. Gesù lo precisa: “Questa è la vita

Il kerigma ha per oggetto la persona di Gesù. Alla base dell’annuncio cristiano c’è Gesù, cioè una persona viva, non un sistema di dottrine o un’etica: qui sta la forza del kerigma e la sua attualità.

Il nostro mondo è post-cristiano, pagano. La Chiesa è chiamata a evangelizzare oggi annunciando il Vangelo, la lieta notizia, tornando al suo centro. Come ha fatto Gesù che annunciava in modo diretto ed essenziale: il Regno è presente, è un tesoro, una perla…se vuoi entrare sarai beato. Così era pure la predicazione degli apostoli che andava subito al cuore del messaggio: nella Pasqua c’è la rivelazione di Dio e la nostra salvezza.

Il Nuovo Testamento ci indica due componenti nella trasmissione della fede: il kerigma che annuncia il dono e l’insegnamento o didachè che presenta norme etiche per un retto agire da parte dei credenti e si riassume nel comandamento della carità.

La fede nasce dall’ascolto del kerigma che annuncia il dono della vita nuova in Cristo. Da qui bisogna partire se si vuole rendere i cuori sensibili all’amore del Padre che si è manifestato nella Pasqua di Gesù. Non bisogna partire con i richiami ai valori etici, agli impegni dell’uomo che l’uomo sente impossibili da realizzare con le sue sole forze. L’ethos dell’uomo nuovo sarà la crescita in uno stile di comportamento come quello di Gesù che è possibile perché si è con Gesù. L’imitazione è possibile perché c’è la comunione.

Impugnare la spada dello Spirito che è il kerigma è la condizione per avere oggi una nuova evangelizzazione. Agli inizi la Chiesa ha annunciato a uomini che erano illetterati, pescatori, pastori parlando come si parla a un bambino con poche parole semplici che veicolano la potenza dell’evento. È la stoltezza della predicazione di cui parla Paolo (cf 1Cor 1,18-28). Nei secoli questo bambino è diventato un adulto ‘dotto’ a cui si è potuto parlare elaborando un discorso complesso, astratto, concettuale e quel semplice messaggio è diventato una biblioteca. Oggi, a motivo dei processi culturali e storici, i nostri interlocutori sono tornati ad essere dei bambini, sotto il profilo delle conoscenze di fede. Bisogna allora che il nostro annuncio sia molto semplice, un kerigma che può ancora attrarre perché dice alle persone l’essenziale: c’è un Padre che ti ama, che in Cristo ti ha perdonato, ti ha rigenerato, ti ha elevato alla dignità di essere anche tu, in Cristo, suo figlio.

La nostra Chiesa ha una forte tradizione teologica e dogmatica, di riflessione, di pensiero, ma rischia di trovarsi svantaggiata se sotto questo patrimonio immenso di dottrina, leggi, istituzioni non si ritrova quel nucleo essenziale capace per se stesso di suscitare la fede. Se metti addosso all’uomo di oggi, digiuno di ogni conoscenza di Cristo, tutto il peso di questa dottrina, lo appesantisci. Gli uomini saranno attratti da un annuncio semplice e efficace che li mette in contatto diretto con Cristo e fa loro sperimentare la potenza dello Spirito. Il kerigma è potente: è sufficiente venga annunciato e, se viene accolto con un briciolo di fede, l’annuncio diventa realtà.

Le nostre attività pastorali generano alla Vita in Cristo?

Nella lettera pastorale invito tutte le comunità, i gruppi, le associazioni a spingersi in una creatività pastorale: lo Spirito ha una grande inventiva, se siamo attenti alle sue ispirazioni ci suggerisce come evangelizzare nei nostri ambienti.

Circa i metodi pastorali e le attività, io penso che negli ultimi decenni abbiamo avuto una esagerata fiducia nelle metodologie, negli strumenti, nelle strategie per aggregare, spiegare, attirare. Noi

11

Page 12:  · Web viewQuesta vita è vita eterna. Il vangelo di Giovanni distingue tra la vita come bios e la vita come zoé, cioè vita dell’Eterno. Gesù lo precisa: “Questa è la vita

siamo chiamati a testimoniare la Vita che è luce degli uomini: si tratta di farla vedere, farla risplendere. Questa Luce (che è la Vita in Cristo accesa nel battesimo, come indica la candela consegnata al papà del battezzato) ha bisogno di un luogo in cui stare e – vi chiedo un po’ di immaginazione – le candele, che sono le vite accese dei battezzati, stanno nella ‘lanterna’ della Chiesa. Ammettiamo che i vetri siano le attività che la Chiesa svolge: vetri chiari e trasparenti per permettere a questa luce di risplendere e illuminare il mondo. Il rischio – quando abbiamo troppa fiducia nelle strategie pastorali – è di curarsi del vetro dimenticando la luce, di interessarsi più dell’aspetto del vetro (colorarlo, decorarlo, cesellarlo…); ma così i vetri della lanterna si sono inspessiti e la luce fa fatica a irradiarsi. L’attenzione finisce sulle attività in se stesse piuttosto che sulla loro efficacia nel generare alla fede. Facciamo attenzione a non curare la lanterna… più della Luce, con la conseguenza che il mondo sprofonda nell’ignoranza del buio, per mancanza di irradiazione. I nostri vetri (le nostre attività ecclesiali) devono ridiventare trasparenti. Essere ciò per cui il Signore ha voluto la lanterna della Chiesa: perché sia luce nel mondo, mostrando uomini e donne nuovi in Cristo.

La creatività pastorale ‘sana’, efficace, dipende da alcuni cristiani che hanno accolto la Vita in modo maturo (la candela del loro battesimo è accesa e splende) e si chiedono: ‘cosa ci suggerisce lo Spirito per far risplendere in questa comunità la luce della Vita?’.

Gli strumenti pastorali è bene siano leggeri, sobri… perché deve risplendere la Luce attraverso ciò che siamo e facciamo e non altri aspetti. Giovanni Paolo II, tracciando una pista per il nuovo millennio ha detto: “Prima di programmare iniziative concrete, occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo cristiano” (Novo Millennio Ineunte, 43).

Invito tutta la nostra Chiesa ad arrivare alla Veglia pasquale come al punto di convergenza del cammino di questo anno, di tutti i cammini personali e comunitari. Camminiamo verso questo apice dell’esperienza dell’accoglienza della Vita nuova. Tutto il percorso che faremo in questi mesi ci porti ad accogliere questa vita donata, accolta e che desideriamo trasmettere per generare altri alla gioia di avere un Padre che li ama.

Padri e madre nel generare

L’uomo è con-creatore, insieme a Dio Padre, di questa Vita in Cristo. Siamo “madri” gli uni degli altri, diceva San Francesco; chi è rigenerato genera la Vita in altri. Educare-formare a questa vita significa aiutare la persona a purificare gli aspetti in cui manifesta ancora la mentalità dell’individuo, del protagonista, significa dis-individualizzare.

Per generare a una vita come relazione, da individui a persone, la bonifica avviene attraverso la novità delle relazioni; la nostra risorsa sono le persone: sono gli incontri che educano e formano personalità nuove. Permettete che faccia un esempio: recentemente una ragazza che ha partecipato al Grest estivo mi ha detto che l’aspetto più bello era l’amicizia degli animatori tra di loro che li aiutava a fare le cose insieme.

Nei sacerdoti, nelle persone di vita consacrata, in tanti laici rinnovati dallo Spirito possiamo vedere il carisma del generare alla vita nuova attraverso il servizio dell’accompagnamento. Chi ha una relazione stabile con lo Spirito diventa punto di riferimento generativo di fede: vive gli aspetti della

12

Page 13:  · Web viewQuesta vita è vita eterna. Il vangelo di Giovanni distingue tra la vita come bios e la vita come zoé, cioè vita dell’Eterno. Gesù lo precisa: “Questa è la vita

sua umanità in relazione a Dio, nella forma di Gesù, e la sua stessa vita suscita interesse e domande: “insegna anche a me a stare in relazione con lo Spirito”. Con i consigli, con il modo gratuito e maturo con cui impostano la loro relazione, questi padri e queste madri ti aiutano a cercare e trovare la volontà di Dio per te. Non ti portano davanti a concetti ma ti offrono ‘parole di vita’ che gettano semi dello Spirito nel buon terreno del cuore.

Passi in comune per “accogliere” la Vita

Nella lettera sono descritti alcuni passi che vogliamo vivere insieme nelle comunità e che possono accompagnare tutti in questo processo di accoglienza della Vita nuova in Cristo, rivisitando la sorgente del Battesimo. Li riprendo anche questa sera e li pongo alla vostra attenzione, all’attenzione di quanti si raduneranno nell’incontro delle unità pastorali e nelle diverse sedi dove si riflette sul cammino delle comunità durante l’anno e si fanno scelte di percorsi, di proposte, di iniziative (consigli pastorali, gruppo catechisti, liturgico, operatori della carità … e le diverse espressioni di vita e di servizio delle comunità).

- Sperimentare cammini mistagogici di riscoperta del battesimo con spunti catechistici, biblici (lectio del brano di Nicodemo), dal commento all’immagine artistica dell’anno.

- In Avvento: la settimana dell’ascolto. “Accoglietevi gli uni gli altri”: capacità di ospitare, includere l’altro. “Ora viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo” (Prefazio di Avvento). Nelle le comunità si prevede di sospendere le diverse attività per concentrarsi sull’ascolto che è dimensione fondamentale della nostra fede: ascolto della Parola, ascolto dei fratelli, ascolto della propria coscienza.

- In Quaresima: la settimana del perdono. La riconciliazione è sorella del battesimo. In una settimana che chiamiamo del perdono ogni comunità valorizza la celebrazione comunitaria della Riconciliazione. Potranno scaturire cammini di riconciliazione familiare, sociale, comunitaria con gesti concreti di perdono, di sollecitudine verso le vittime del male e delle ingiustizie. Vogliamo evidenziare l’aspetto comunitario della conversione anche con una liturgia penitenziale presieduta dal vescovo in ognuno dei 7 vicariati.

- Convergere sulla Veglia pasquale, cuore di tutto il percorso di riscoperta della vita nuova scaturita dal Crocifisso Risorto e apice per far rivivere il dono battesimale in una accoglienza più profonda.

- Proclamare con grande solennità nelle nostre liturgie il Padre nostro: tutta la preghiera infatti ci porta al Padre.

- 24 ore per il Signore. Come Diocesi, vogliamo caratterizzare questa giornata come memoria della Redenzione, invitando i gruppi ecclesiali e le comunità parrocchiali a vivere un ‘pellegrinaggio’ in sant’Andrea, con tempi di riflessione, di preghiera comunitaria e personale sul valore delle Reliquie del Preziosissimo Sangue.

Le parrocchie (o anche le unità pastorali) che lo desiderano potranno prevedere brevi esperienze di esercizi spirituali ispirandosi ai contenuti della lettera pastorale. Gli uffici diocesani sono disponibili all’animazione. Infine ricordo che il Centro pastorale diocesano con i suoi diversi uffici svolge un servizio di mediazione per favorire l’accoglienza della proposta diocesana, ma anche per sostenere la creatività

13

Page 14:  · Web viewQuesta vita è vita eterna. Il vangelo di Giovanni distingue tra la vita come bios e la vita come zoé, cioè vita dell’Eterno. Gesù lo precisa: “Questa è la vita

della vita delle comunità. Potremo contare sul Centro per strumenti e sussidi utili ad accompagnare i diversi passi e modulare dei possibili percorsi.

Ci aiutiamo a camminare insieme, lasciandoci guidare da quello Spirito che abita in ciascuno e in tutti e con abbondanza elargisce doni perché si manifesti la Vita che è donata, di nuovo accolta e che diventa capace di generare. È la vita in Cristo.

14