VIAGGIO STUDIO A PALERMO - PROGRAMMA...suggestiva la balconata sul golfo di Termini Imerese e il...
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VIAGGIO STUDIO A PALERMO - PROGRAMMA
(sabato 26 / mercoledì 30 aprile 2012)
SABATO 26 APRILE POMERIGGIO: PALAZZO DEI NORMANNI-CAPPELLA PALATINA
Il Palazzo reale dei Normanni sorge nella posizione più elevata dell'antico nucleo cittadino, proprio
sopra i primi insediamenti punici, le cui tracce sono tuttora visibili nei sotterranei.
La prima costruzione, il Qasr, ossia il Palazzo o Castello, è attribuita al periodo della dominazione
araba della Sicilia (IX secolo). I sovrani Normanni trasformarono il precedente edificio arabo in un
centro complesso e polifunzionale che doveva esprimere tutta la potenza della monarchia. Venne
così realizzata una struttura di edifici turriformi collegati tra di loro con un sistema di portici alternati
a giardini, che ospitava anche laboratori di oreficeria e di produzione di tessuti (il kiraz). Il complesso
era inoltre collegato direttamente alla cattedrale tramite una via coperta.
Nel 1132 sotto il regno di Ruggero II venne costruita la Cappella Palatina, che divenne il baricentro
delle varie strutture in cui il palazzo era articolato.
In seguito, gli Svevi mantennero nel palazzo le attività amministrative, di cancelleria e letterarie,
ospitandovi la scuola poetica siciliana. Tuttavia, il re Federico II vi risedette solo in gioventù.
Gli Angioini prima e gli Aragonesi poi privilegiarono altre sedi a scapito del castello. Il palazzo tornò
a occupare un ruolo importante nella seconda metà del XVI secolo quando i viceré spagnoli lo
elessero a propria residenza, procedendo di pari passo a importanti ristrutturazioni finalizzate sia
alle esigenze di rappresentanza che a quelle militari di tipo difensivo, con la creazione di un sistema
di bastioni.
I Borbone realizzarono ulteriori sale di rappresentanza (la Sala Rossa, la Sala Gialla e la Sala Verde) e
fecero ristrutturare la Sala d'Ercole, così denominata per gli affreschi dedicati alle imprese dell'eroe
mitologico.
SAN GIOVANNI DEGLI EREMITI
Uno dei più importanti e caratteristici monumenti della città, San Giovanni degli Eremiti, fu innalzato
nel 1136 per volontà di Ruggero II nel luogo dove un tempo, sorgeva un antico convento e durante
la dominazione araba, una moschea. Infatti il complesso monastico e la chiesa si ergono sulle
strutture di un precedente edificio fondato, secondo la tradizione, nel VI secolo, da San Gregorio
Magno e dedicato a Santo Ermete, dalla cui storpiatura deriverebbe il titolo degli “Eremiti”. Il
convento, in breve tempo, raggiunse grande ricchezza ed enorme potenza grazie anche a tanti
privilegi concessi dal sovrano normanno. L’Abate era il confessore del Re e il celebrante delle messe
festive della Cappella Palatina. I monaci benedettini neri (da non confondere con i benedettini
bianchi che vivevano nella chiesa vicina di S. Giorgio in Kemonia), invece, avevano trovato nel
chiostro silente la possibilità di raccogliersi in preghiera e meditare. Costruito nel XII secolo, il
chiostro, ancora sopravvive in tutta la sua eleganza, con le candide e snelle colonnine appaiate e il
romantico pozzetto al centro. L'edificio normanno era in decadenza già nel XV secolo e subì un forte
rimaneggiamento nei secoli successivi. Alla fine dell’800 si iniziò un lungo periodo di restauro ad
opera di G. Patricolo e F. Valenti che, dopo le opere di liberazione dalle superfetazioni, ci mostra,
oggi, la chiesa orientata a levante, il chiostro scoperto e alcuni corpi accessori del vecchio
convento. La chiesa è ad unica navata, risultato dall’accostamento di due corpi cubiformi, separati
da alti archi ogivali e coperti ciascuno da una cupola, retta da pennacchi angolari. Il transetto
formato da altri tre elementi cupolati più piccoli si innesta al corpo centrale della navata formando
una “T”. All’esterno l’insieme risulta molto vivace per via delle cupole, variamente sfalsate e coperte
dall’intonaco rossiccio, sui quali emerge la cupoletta rossa del campanile.
Alla destra della chiesa è una sala rettangolare che si fa risalire al X secolo e che un tempo era divisa
in senso longitudinale da colonne e coperta da volte ogivali, di cui rimangono tracce; trasformata
nel XVI secolo fu navata della chiesa vicina. L’edificio conventuale è quasi del tutto scomparso, ma
una volta si articolava attorno all’elegante chiostro, vero centro della vita benedettina. Vicinissimo
al complesso di San Giovanni degli Eremiti sorge la Chiesa di San Giorgio in Kemonia, parrocchia di
S. Giuseppe Cafasso e il grandioso edificio conventuale del Padri Benedettini Bianchi di Santa Maria
di Monte Uliveto, oggi, adibito ad abitazioni private.
DOMENICA 27 APRILE MATTINO: BAGHERIA VILLA PALAGONIA
Venne costruita a partire dal 1715 per conto di Francesco Ferdinando Gravina Cruyllas, principe di
Palagonia, ad opera dell'architetto Tommaso Maria Napoli, con l'aiuto di Agatino Daidone. Altri
lavori, su incarico dei successori del principe, riguardarono nel 1737 le strutture basse che
circondano la villa e nel 1749 le decorazioni interne ed esterne. Il 9 aprile 1787 la villa fu visitata da
Johann Wolfgang von Goethe, che così descrisse la bizzarria degli interni: «I piedi delle sedie sono
segati inegualmente, in modo che nessuno può prendere posto e, davanti all'entrata, il custode del
palazzo invita i visitatori a non fidarsi delle sedie solide perché sotto i cuscini di velluto nascondono
delle spine.» Nel 1885 la villa venne acquistata da privati, che ne sono tuttora in possesso, ed è
parzialmente aperta al pubblico.
Recenti studi ipotizzano una precisa matrice alchemica del XVIII secolo - come per altre ville
bagheresi - alla base di questo edificio. La ripartizione dei cosiddetti Mostri in due settori laterali
della villa (musicanti da una parte e creature deformi dall'altra, con la costante presenza del dio
Mercurio, fautore della trasmutazione della materia) significherebbe la ricerca dell'armonia partendo
dalla musica (Nigredo) sino alla materia (Rubedo).
Il corpo di fabbrica centrale della villa, del tipo tradizionale a blocco chiuso, senza cortili interni, ha
una pianta articolata in due elementi quadrati congiunti da una parte centrale curvilinea. Il piano
terra è attraversato al centro da un passo carraio, che si allarga al centro in uno spazio ovale senza
luce diretta. Il primo piano presenta quattro torrioni agli spigoli e al centro un vestibolo ovale, che
ripete lo spazio del piano inferiore. Da questo si accede al salone delle feste, riccamente affrescato
e con il soffitto coperto da specchi. Oltre questo è presente una sala con la cappella privata. Dal
lato opposto si trova una sala da biliardo e sui lati gli appartamenti privati, costituiti da un serie di
stanze l'una dietro l'altra. Al piano nobile si accede dal piano di campagna per mezzo di una
scalinata a doppia tenaglia, con balaustre in pietra che ne accompagnano l'articolato disegno. Alla
base è affiancata da due sedili in pietra, con schienali a linee spezzate di gusto barocco. A
conclusione del prospetto, al di sopra della trabeazione, vi è un attico con elementi decorativi, tanto
alto da nascondere le falde del tetto, mentre gli spigoli della fabbrica hanno il piano terra
bastionato. Le basse costruzioni che circondano la villa sono riccamente decorate da statue in
calcarenite d'Aspra, che raffigurano vari personaggi mescolati con animali fantastici e figure
caricaturali, dette Mostri. A metà del viale d'ingresso si trova il cosiddetto Arco del Padreterno; fu
invece demolito alla metà del XX secolo il grande Arco dei Tre Portoni (in dialetto Tri Purtuna),
all'inizio del viale.
VILLA VALGUARNERA
Villa Valguarnera è una delle ville settecentesche di Bagheria di maggiore interesse, sia per la qualità
architettonica del complesso sia per la sua posizione nel paesaggio bagherese.
La costruzione iniziò nel 1712 su progetto di Tommaso Maria Napoli, architetto, domenicano,
progettista negli stessi anni della vicina Villa Palagonia, in contatto con l'ambiente romano, che
introduce un linguaggio architettonico di matrice berniniana e una chiarezza compositiva vicina agli
esempi più avanzati del settecento italiano, in particolare piemontese. Nella composizione
planimetrica si ravvisano elementi derivanti da matrici esoteriche ed alchemiche, come ad esempio
nell'icnografia claviforme e nella valorizzazione della vicina altura (Montagnola di Valguarnera, 105
m) - sulla cui sommità fu realizzata una balaustrata ottagonale - come percorso simbolico dalla terra
alla sfera celeste, con sette sedili di sosta in numero pari alle sette fasi della trasformazione
alchemica. Alla morte dell'architetto nel 1725, la villa non era ancora finita e fu poi
significativamente modificata. In particolare, intorno al 1780, Giovan Battista Cascione Vaccarini fu
l'autore dei nuovi prospetti e della sala ovale al piano nobile. Di grande interesse la teoria di saloni
interni affrescati da Elia Interguglielmi e le statue marmoree di coronamento dell'attico opera di
Ignazio Marabitti. Un tempo l'edificio era circondato da un vasto parco, arricchito di coffe-house,
statue ed architetture neoclassiche. Considerata già da Giuseppe Pitrè la più sontuosa fra le ville
bagheresi, deve la sua fama anche ai tanti personaggi illustri che vi soggiornarono. Particolarmente
suggestiva la balconata sul golfo di Termini Imerese e il Monte Catalfano. La villa fu edificata dai
Principi Valguarnera ed ancora oggi è di proprietà dei loro eredi, i Principi Alliata di Villafranca. Il
complesso è in fase di restauro da molti anni. Negli anni cinquanta vivranno a villa Valguarnera
Fosco Maraini e Topazia Alliata di Salaparuta con la figlia Dacia, presso i genitori che risiedevano
nella villa. Nonostante l'interno parco sia soggetto a vincoli di inedificabilità assoluta dal 1913,
ospita un intero quartiere abusivo.
DOMENICA 27 APRILE POMERIGGIO: MONREALE (DUOMO)
La cattedrale di Santa Maria Nuova è il principale luogo di culto di Monreale, in provincia di Palermo,
sede vescovile dell'arcidiocesi omonima.
Costruita a partire dal 1174 per volere di Guglielmo II d'Altavilla, re di Napoli e Sicilia dal 1166 al
1189, è famosa per i ricchi mosaici bizantini che ne decorano l'interno.
La costruzione del grande tempio venne avviata nel 1174 e terminò nel 1267. Esso venne concepito
dapprima come chiesa dell'annessa abbazia territoriale benedettina, indipendente dalla cattedra di
Palermo. Nel 1178, l'abate Guglielmo ottenne che fosse eretta l'arcidiocesi metropolitana di
Monreale e la chiesa abbaziale ne divenne la cattedrale.
Nei secoli successivi alla costruzione, la cattedrale subì alcune modifiche. Nel Cinquecento, su
progetto di Giovanni Domenico Gagini e Fazio Gagini, venne costruito il portico lungo il fianco
sinistro, mentre quello della facciata principale fu aggiunto nel XVIII secolo. Sempre nel Cinquecento
fu realizzata gran parte del pavimento interno. Nel 1811 un incendio distrusse il soffitto, che fu
ricostruito tra il 1816 e il 1837. In tale occasione vennero realizzati i nuovi stalli del coro in stile
neogotico.
Il vasto interno della cattedrale ha pianta a croce latina con transetto poco sporgente che di fatto è
una continuazione ai lati del presbiterio delle navate laterali. Le navate, terminante ciascuna con
un'abside semicircolare, sono divise da colonne antiche con pulvino e capitelli anch'essi antichi con
clipei di divinità che sostengono archi a sesto acuto di tipo arabo. I soffitti sono a travature scoperte
dipinti nelle navate e a stalattiti di tipo arabo nella crociera, quest'ultimi rifatti nel 1811 dopo un
incendio che aveva distrutto parte del tetto. Il pavimento, completato nel XVI secolo è musivo, con
dischi di porfido e granito e con fasce marmoree intrecciate a linee spezzate.
Il presbiterio, rialzato di alcuni gradini rispetto al resto della chiesa, occupa interamente l'area della
crociera, nella quale è cinto da transenne neogotiche, e dell'abside maggiore. Ospita, nella crociera,
su due file gli stalli lignei del coro, in stile neogotico e, sotto l'arco absidale, contrapposti, il trono
reale e la cattedra episcopale. L'altare maggiore barocco è una raffinata opera del 1711, eseguita
dall'argentiere romano Luigi Valadier.
Le pareti del capocroce e della navata centrale sono, superiormente, rivestite da mosaici di scuola
bizantina a fondo oro, eseguiti tra il XII e la metà del XIII secolo da maestranze in parte locali e in
parte veneziane, formatesi alla scuola bizantina. Questi mosaici raffigurano storie cicliche dell'Antico
e del Nuovo Testamento; nel catino absidale mediano è la colossale figura del Cristo Pantocratore.
Sul fianco destro è il sarcofago in porfido di Guglielmo I, morto nel 1166, e quello marmoreo di
Guglielmo II il Buono. Sul lato sinistro, dentro tombe ottocentesche, si trovano le spoglie di
Margherita di Navarra e di Sicilia, moglie di Guglielmo I, e dei figli Ruggero ed Enrico.
Le cappelle del Crocifisso e di San Benedetto sono due notevoli esempi del barocco siciliano.
Il tesoro della cattedrale conserva, fra le altre cose, arredi sacri (anche di fattura francese), una
cassetta di rame smaltato del XIII secolo ed un reliquario della Sacra Spina (della corona di Cristo),
risalente al periodo gotico.
SANTA ROSALIA,
Il santuario, costruito intorno al XVII secolo sulla base di precedenti edifici religiosi in onore della
nuova santa patrona della città, si trova all'interno di un anfratto di roccia, quasi sulla cima del
Monte Pellegrino; all'interno è presente una grossa quantità d'acqua che viene canalizzata verso
l'esterno. Il santuario custodisce le ossa di Santa Rosalia, che secondo la tradizione sarebbero state
trovate sul monte da un cacciatore nel 1624 mentre la peste flagellava la città. Sempre secondo la
tradizione, grazie al ritrovamento la peste venne sconfitta e il senato palermitano le dedicò il
santuario.
Nel santuario sono presenti molti ex voto depositati dai fedeli.
ZISA - CUBA
Il Castello della Zisa (dall’arabo “magnifico”, “splendido”) fu costruito in piena dominazione
normanna, ed è una delle più significative testimonianze dell’arte arabo-normanna in Sicilia. La
costruzione, voluta da Guglielmo? d'Altavilla, fu progettata da architetti arabi e terminata nel 1175,
sotto il regno di Guglielmo II. In epoca normanna, il castello fu usato come residenza estiva.
Osservando l’edificio, si nota subito lo stile architettonico di origine araba a cui i sovrani normanni
si ispiravano tantissimo. In effetti, i Normanni, subentrati agli Arabi nella dominazione dell'Isola,
furono fortemente attratti dalla cultura dei loro predecessori. I sovrani vollero residenze ricche e
fastose come quelle degli emiri ed organizzarono la vita di corte sul modello di quella araba,
adottandone anche il cerimoniale ed i costumi. Fu così che la Zisa, come tutte le altre residenze
reali, venne realizzata alla maniera "araba" da maestranze di estrazione musulmana, tenendo a
modello i palazzi dell'Africa settentrionale e dell'Egitto, a conferma dei forti legami che la Sicilia
continuò ad avere, in quel periodo, con il mondo culturale islamico del Mediterraneo.
La Zisa delle origini era inserita nel grande parco reale di caccia del Genoardo (paradiso in terra), che
si estendeva ad occidente della città. Tutti gli edifici reali ricadenti in esso (oltre alla Zisa, il palazzo
dell'Uscibene e i padiglioni della Cuba e della Cuba soprana) erano circondati da splendidi giardini,
irrigati ed abbelliti da fontane e grandi vasche, utilizzate anche come peschiere.
La costruzione è a pianta quadrangolare, sul cui prospetto principale si aprono finestre bifore e tre
vani ricchi di fregi, decorazioni, stucchi e soffitti a stalattiti. All'interno del castello sono bellissime
camere decorate in stile arabo, la più famosa delle quali è sicuramente la sala centrale che presenta
un elegante mosaico e una fontana al centro. Sulla volta dell’arco di ingresso sono dipinti alcuni
diavoli che hanno alimentato una misteriosa leggenda: si dice che siano i custodi di un incantesimo
che nasconde il tesoro dell’imperatore; durante la festa dell’Annunziata essi si muovono, storcono
la coda e non è possibile contarli con esattezza. Col passare dei secoli, la struttura subì varie
modifiche; nel Trecento fu realizzata la merlatura, distruggendo parte dell'iscrizione in lingua araba
che coronava l'edificio. Nel Seicento, il castello divenne residenza di Don Giovanni di Sandoval: fu
realizzato lo stemma dei due leoni all’ingresso, si modificarono molti ambienti e le finestre sui
prospetti. Col la morte dei Sandoval nel 1808, divennero proprietari i Notarbatolo, principi di Sciara,
che utilizzarono la Zisa fino al 1950 quando la Regione Sicilia espropriò il castello. Negli anni ‘80 il
castello, restaurato, fu restituito alla pubblica fruizione.
Le sale della Zisa ospitano un piccolo museo che espone significativi manufatti di matrice artistica
islamica, provenienti da vari paesi del Mediterraneo. Tra questi sono di particolare rilevanza le
eleganti musciarabia, paraventi lignei a grata (composti da centinaia di rocchetti incastrati fra di
loro) e utensili di uso comune o di arredo (candelieri, ciotole, bacini, mortai) realizzati
prevalentemente in ottone, con decorazioni incise e spesso impreziosite da agemine (fili e lamine
sottili) d’oro e d’argento.
LUNEDI’ 28 APRILE MATTINO: Duomo,
La prima chiesa viene costruita nel IV secolo. Nel 604 la cattedrale è consacrata alla Vergine Maria, di cui
è pervenuta, probabilmente, la cripta, a pianta basilicale e forma quadrata. Nell’831 i saraceni
conquistano e saccheggiano Palermo, e trasformano la cattedrale in una moschea, ma nel 1072 i
normanni restituiscono la chiesa al culto cristiano. Nel 1184-1185 è completata la ricostruzione della
nuova cattedrale. La chiesa fu modificata ancora più volte, ma lo sviluppo in pianta della nuova
cattedrale risentì sempre dei forti influssi religioso-architettonici precedenti.
La facciata principale sulla via Bonello presenta decorazioni dovute a maestri lapicidi trecenteschi e
quattrocenteschi. L'aspetto goticheggiante deriva dalla presenza delle torri a bifore e colonnine e dalle
merlature ad archetti che corrono lungo tutto il fianco destro della costruzione.
Il fianco destro della costruzione presenta le caratteristiche torrette avanzate e l'ampio portico in stile
gotico-catalano (l'attuale accesso), eretto intorno al 1465, si affaccia sulla piazza. Il portale di questo
ingresso è opera di Antonio Gambara, eseguita nel 1426, mentre i battenti lignei sono del Miranda
(1432). La Madonna a mosaico è del XIII secolo.
La parte absidale stretta fra le torricelle è quella più originale del XII secolo, mentre la parte più
manomessa è il fianco sinistro. La facciata sud-occidentale, che guarda l'arcivescovado, va riferita ai
secoli XIV-XV.
L'interno, che ha subito profonde trasformazioni tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento, è a
croce latina con tre navate divise da pilastri con statue di santi che facevano parte della decorazione
della tribuna del Gagini.
Nella navata destra, la prima e la seconda cappella, comunicanti fra di loro, custodiscono le tombe
imperiali e reali dei normanni.
Il sarcofago di Federico II è sormontato da un baldacchino con colonne in porfido e l'urna è sorretta da
due coppie di leoni; insieme a quelli di Federico II sono stati conservati anche i resti di Pietro II
d’Aragona. Le altre tombe sono quelle di Costanza d'Aragona (1183-1222), sorella del re d'Aragona e
moglie di Federico II, di Gugliemo, duca d'Atene figlio di Federico III d'Aragona, e dell’imperatrice
Costanza d'Altavilla.
Sul pavimento della navata centrale è stata realizzata, durante i rifacimenti moderni, una meridiana in
marmo con tarsie colorate che rappresentano i segni zodiacali, (opera di Giuseppe Piazzi astronomo
valtellinese, qui collocata nell'anno 1801). Il ricco altare del Sacramento, in bronzo, lapislazzulo e marmi
colorati, è stato realizzata su disegno di Cosimo Fanzago (XVII secolo). Nel presbiterio si dispone il
bellissimo coro ligneo tardo-quattrocentesco in stile gotico-catalano e il trono episcopale, ricomposto in
parte con frammenti d'antichi mosaici del XII secolo.
A destra del presbiterio si trova la cappella di Santa Rosalia, patrona di Palermo, con le reliquie e l'urna
d'argento, opera seicentesca di Matteo Lo Castro, Francesco Ruvolo e Giancola Viviano, portata in
processione durante la festa patronale il 15 luglio.
Oltre al coro ligneo in stile gotico-catalano del 1466 e ai resti marmorei della tribuna gaginiana riadattati,
di alto interesse artistico sono la statua marmorea della Madonna con Bambino di Francesco Laurana,
eseguita insieme ad altri aiuti nel 1469, la pregiata acquasantiera (posta al quarto pilastro) opera incerta
di Domenico Gagini e la Madonna della Scala eseguita nel 1503 da Antonello Gagini e posta sull'altare
della sacrestia nuova.
MUSEO DIOCESANO
Il percorso cronologico delle opere del Museo inizia nella Sala dei fondi oro (sala II) con le opere di
età normanna e sveva.
Pregevoli, inoltre, della stessa epoca, l'Epistolario della seconda metà del XII secolo e il diploma
esposto con il sigillo dell'imperatore Federico II (sala III).
Ancora nella Sala dei fondi oro (sala II) sono esposte opere dal XIV al XV secolo che evidenziano il
percorso intrapreso dall'arte siciliana dalle influenze toscane sino a quelle spagnole.
Tra le opere del Quattrocento sono esposti dipinti di pittori locali e altre di scultori immigrati come
Domenico Gagini, Pietro de Bonitate e Francesco Laurana (sala VII), che mostrano il travaglio
politico e culturale che Palermo subì allontanandosi dalla cultura toscana del secolo precedente,
passando dagli influssi spagnoli voluti dalla dominazione vicereale a quelli rinascimentali italiani.
Numerose sono le sculture provenienti dalla tribuna marmorea della Cattedrale di Antonello Gagini e
aiuti (dal 1507), smembrata nella ristrutturazione della chiesa progettata da Ferdinando Fuga. Nella
Sala della Tribuna, tra i brani scultorei sono le cornici del grande complesso, caratterizzate dal
repertorio decorativo, ricco di candelabre, grottesche, figure mostruose e di animali, tipico degli inizi
del Cinquecento.
Nel seminterrato (sala IX) sono esposti, inoltre, alcuni dei numerosi
frammenti di marmi mischi seicenteschi, già in chiese barocche della città,
opera delle abili maestranze locali, esempi di maioliche pure di produzione
locale e un pregevolissimo paliotto architettonico d'altare d'argento del
'700.
Nella Sala Mario di Laurito e delle vedute della Città sono visibili numerose
opere del pittore napoletano della prima meta del Cinquecento, tra cui
alcune tele smembrate dal soffitto dipinto del 1536 già della chiesa
dell'Annunziata. Dello stesso artista è la tavola raffigurante Palermo
risparmiata dalla peste, commissionata dal Senato di Palermo nel 1530.
Posteriori dipinti di artisti immigrati
testimoniano ulteriori rapporti culturali tra l'isola e la penisola,
quali quelli di Vincenzo da Pavia (sala III) e Simone de Wobreck.
Ancora un'importante opera che ricorda un'altra miracolosa
liberazione dalla peste e quella raffigurante Santa Rosalia che
intercede per Palermo, città che appare con il suo porto,
dominata dal Monte Pellegrino, opera di Vincenzo La Barbera
del 1624 (sala X).
Tra i dipinti seicenteschi della Sala XII sono quelli di Pietro
Novelli e della sua scuola, determinanti per lo sviluppo della
cultura artistica palermitana di quel periodo, tra cui una
splendida Pietà (1646 circa).
Affianca l'esposizione dei dipinti quella delle suppellettili liturgiche d'argento e dei paramenti sacri.
Nella Sala del Settecento (sala XIII), infine, completando la varietà dei materiali selezionati per
l'attuale percorso del Museo, sono in mostra due teste in stucco di Giacomo Serpotta, sculture in
ceroplastica, dipinti del Settecento, tra cui una tela di Vito D'Anna, il maggior pittore della prima
metà del '700 a Palermo, che raffigura Santa Rosalia, cui è dedicato anche un commovente ritratto
de napoletano Nicola Malinconico seguace di Luca Giordano.
LUNEDI’ 28 APRILE POMERIGGIO: S. M. DELLA CATENA
Venne costruita, al posto di una piccola cappelletta, tra il 1490 e il 1520 a opera dell'architetto
Matteo Carnilivari e prese questo nome poiché su un muro della chiesa era posta un'estremità della
catena che chiudeva il porto della Cala.
L'opera è forse l'esempio più significativo del maturare di un'interpretazione locale del Rinascimento
nell'architettura siciliana e palermitana in particolare, con un connubio di elementi tardo
rinascimentali e gotico-catalani.
Annessa alla chiesa vi è la casa conventuale del 1602, che dal 1844 è sede dell'Archivio di Stato.
L'architettura della chiesa è caratterizzata da una serrata correlazione tra interno ed esterno.
All'interno tre navate sono separate da tozze colonne rinforzate da pilastri rettangolari, all'esterno si
nota una medesima impostazione, con le lesene che percorrono le mura perimetrali e il portico
tripartito da archi catalani. Le colonne, in una ricerca anticlassica, appaiono sproporzionate e
mortificate dall'esuberanza degli archi con le nervature policrome, dalle fantasiose reinterpretazioni
dei capitelli ionici e dagli apparati scultorei minori. Le bifore sono ornatissime e la zona absidale è
caratterizzata da un complesso gioco di spazi a base ottagonale, coordinati dalla concezione
unitaria.
All'interno sono conservate una Natività con Adorazione dei Pastori, tela del XVII secolo di autore
ignoto, una Natività e un'Adorazione dei Magi, bassorilievi del XVI secolo attribuiti a Vincenzo e
Antonello Gagini che scolpirono anche i capitelli delle colonne e i portali d'ingresso.
La prima cappella di destra è dedicata a Santa Brigida, con al centro una tela di pittore ignoto del
XVII secolo che raffigura la santa in gloria.
La seconda cappella contiene l'accesso a un'ex-cappella votiva: la porta era l'antico ingresso della
chiesa. L'affresco in questa cappella risale al XIV secolo ed è la venerata effigie della Vergine delle
Grazie. In esso la Vergine tiene Gesù Bambino in braccio, che assomiglia a un adulto rimpicciolito a
stazza di bambino, poiché secondo i bizantini Gesù, essendo stato sempre molto saggio, non
poteva mai essere stato bambino. Ha anche la testa calva per evidenziare la sua saggezza. Ai
quattro angoli della cappella si trovano le statue di quattro sante: Margherita (asinsitra dell'altare)
Ninfa (a destra dell'altare), Barbara (a sinistra davanti all'affresco) e Oliva (destra). Tutte le statue
sono attribuite ai Gagini.
SAN DOMENICO-ORATORIO DEL ROSARIO
La chiesa venne edificata nel 1458 ed il 1480 in stile rinascimentale, ma la configurazione attuale è
più recente, dipende dalla ricostruzione totale che la chiesa ebbe nel 1640 da parte dell'architetto
Andrea Cirrincione, la facciata invece venne costruita più tardi, nel 1726. Nel 1853 la chiesa divenne
il pantheon dei siciliani illustri che iniziarono a farsi seppellire al suo interno. Recentemente la
chiesa ha subito un profondo restauro che ha riportato alla luce i colori originali.
Lo stile è tipicamente barocco scenografico, il frontone è costellato da due alti campanili, sulla
facciata sono inoltre presenti molte statue in stucco che raffigurano santi e papi, alcune di queste
inserite in nicchie, queste statue sono opera del nipote di Giacomo Serpotta, Giovan Maria
Serpotta. Sempre sulla facciata sono presenti dodici colonne, disposte a coppie, otto di queste
incorniciano la zona centrale e l'ingresso, le altre quattro sono poste alla base dei campanili.
L'interno è molto ampio ed austero in pietra di Billiemi e all'interno sono conservate alcune
importanti opere d'arte del periodo barocco posizionate all'interno di nicchie. Sono presenti otto
colonne per lato, in stile tuscanico, che dividono le tre navate secondo uno schema classico. Per
estensione è una delle più grandi chiese della Sicilia.
L’attiguo Oratorio del Rosario Venne edificato a partire dal 1574 per volere della Compagnia della
Madonna del Rosario.
Ospita notevoli dipinti per esaltare i quali fu commissionata intorno al 1714-1717 a Giacomo
Serpotta la realizzazione al di sopra delle stesse ed entro ovali a stucco e ad altorilievo, episodi
dell'Apocalisse (tra i quali spicca la plasticità del corpo del diavolo che precipita dopo essere stato
cacciato dal Paradiso)e due dell'Antico Testamento, legati ai Misteri del Rosario di cui sono
l'anticipazione ideale.
Nelle nicchie tra i dipinti, l'artista palermitano realizzò inoltre le statue allegoriche delle Virtù, vestite
con pizzi e drappeggi secondo la moda dell'epoca, di derivazione francese.[1] Tra di esse spicca
quella raffigurante la Mansuetudine, che tiene in mano una colomba verso la quale tende la mano
un putto vestito da fraticello.
Sopra la cupola sovrastante l'altare, si trovano altri putti alati eseguiti dal Serpotta che sorreggono
un drappo; nonché gruppi di dame e cavalieri che si affacciano appoggiati ad una balaustra.
Lungo il perimetro dell'Oratorio s’inseriscono gli scanni lignei su cui sedevano i confrati della
Compagnia della Madonna del Rosario, retti da mensole scolpite con soggetti zoomorfi risalenti agli
ultimi anni del Seicento.
La suggestiva bellezza dell'Oratorio ha convinto lo storico dell'arte Rudolf Wittkower ad affermare
che probabilmente non c'è altro luogo in Italia dove la scultura si sia così avvicinata a un vero spirito
rococò.
L'ORATORIO DEL ROSARIO a SANTA CITA
L'Oratorio del Rosario di Santa Cita di Palermo fu edificato nel Seicento dall'omonima Compagnia a
sud della Chiesa di Santa Cita.
Esso rimarca lo schema tipo dell’oratorio come luogo di assemblea e di culto, con funzione liturgica
e allo stesso tempo sociale e con la netta contrapposizione architettonica tra l’esterno
evidentemente modesto e l’interno ampiamente adorno. Un ampio antioratorio conduce all’aula
oratoriale, interamente decorata da Giacomo Serpotta tra il 1686 e il 1718.
Serpotta vi inserì numerosi angeli e putti dalle espressioni e posizioni estremamente libere e
plastiche che sembrano giocare tra di loro, arrampicandosi sulla cornice delle finestre, facendo
capolino da ghirlande floreali, voltando le spalle in maniera irriverente. Gli amorini piangono,
dormono, allacciano le mani intorno alle ginocchia in atteggiamento pensoso.
Al centro vi è un amplissimo panneggio, sostenuto da una folla gioiosa di putti, dove viene
rappresentata la storica Battaglia di Lepanto, celebrazione retorica della vittoria della Fede sui
miscredenti. Ai lati sono raffigurati due giovani emaciati, simbolo degli orrori che la guerra può
provocare.
Tutto intorno vi sono rappresentati i Misteri del Rosario attraverso un raffinato ciclo plastico,
composto da putti, statue allegoriche e teatrini. In alto, al centro, si trova invece la
rappresentazione dell'incoronazione di Maria.
L'altare maggiore, delimitato da pregiate cantorie, è reso ancora più ricco da una bella tela di Carlo
Maratta raffigurante la Madonna del Rosario (1695). Il catino presbiteriale quadrangolare fu decorato
dal Serpotta tra il 1717 e il 1718 con l'aggiunta di due statue raffiguranti Giuditta ed Ester.
L'intervento fu ritenuto necessario per esaltare la magnifica tela dipinta dal Maratta. Lungo il
perimetro dell'Oratorio si trovano gli scanni lignei in ebano intarsiato di madreperla su cui sedevano
i confrati per assistere alle cerimonie religiose e alle adunanze.
MARTEDI’ 29 APRILE MATTINO: CHIESA DEL GESÙ
La chiesa del Gesù nota anche come Casa Professa, è una delle più importanti chiese barocche di
Palermo e dell'intera Sicilia.
L’addobbo interno – “le cui pareti sono coperte da marmi, da tarsie, da statue e da arabeschi senza
fine, che debbono aver costata immensa copia di danaro agli ambiziosi Lojolei i quali ogn’altro
tempio vollero mai sempre offuscare nella città colle loro magnifiche chiese” costituisce un
importante esempio di fusione tra architettura, pittura e decorazione plastica. Particolarmente
vivace è la decorazione a mischio, cioè a tarsie marmoree pregiate, composte a motivi floreali o
figurati.
Riguardo alla decorazione a marmo mischio dell'abside di Casa Professa, “rappresenta
indubbiamente l’apporto più significativo e originale della cultura artistica siciliana alla civiltà del
barocco europeo; integrazione dinamica tra architettura, scultura e pittura, secondo la prassi e
l'estetica secentesche. Addobbo teatrale articolato attraverso ricchi e complessi sistemi concettuali,
la decorazione a mischio e a tramischio (con parti a rilievo) è anche il genere dove con maggiore
chiarezza si coglie il carattere distintivo del barocco siciliano: una collaborazione tra architetti e
scultori, marmorari e pittori che spesso stabilisce confini assai labili tra le diverse categorie
d'artigiani, e che anzi su questa ininterrotta continuità di mestieri fonda la dimensione trionfante del
grande cantiere della Palermo barocca, dalla seconda metà del Seicento ai primi decenni del
Settecento.
S. GIUSEPPE DEI TEATINI
San Giuseppe dei Teatini è stata realizzata, tra il 1612 ed il 1645, dai Chierici Regolari Teatini al
posto di una preesistente chiesa donata loro dalle facoltose Maestranze dei Falegnami. "Sia povera
la cella, sobrio il vitto ma ricca la chiesa": tale regola dell'Ordine Teatino è stata sicuramente
rispettata nel porre in opera la chiesa di Corso Vittorio Emanuele. Lo sfarzo e l'opulenza del barocco
lasciano senza fiato quanti varcano il suo ingresso. Angeli, putti, intarsi dorati, marmi mischi,
pregevoli statue, crocifissi, affreschi, baldacchini policromi, magistrali dipinti su tela e tanto altro
viene offerto ai visitatori che si aggirano incantati tra le 34 imponenti colonne.
All'esterno dell'edificio la grande cupola spicca ed è facilmente visibile da molte zone della città.
All'interno è presente una cripta con una falda acquifera, la cripta non è accessibile, ma è diffusa la
credenza che la sua acqua sia miracolosa
S. M. DELL’AMMIRAGLIO (MARTORANA)
Il grandioso ciclo di mosaici bizantini della chiesa è il più antico di Sicilia. I mosaici della cupola
rappresentano al centro il Cristo, poi scendendo si vedono i quattro arcangeli (tre originali più uno
apocrifo) e i patriarchi, mentre nelle nicchie sono ospitati i quattro evangelisti e infine, nelle volte, i
rimanenti apostoli.
L'abside, distrutta sul finire del Seicento, venne sostituita con l'attuale cappella barocca a tarsie
marmoree.
Nel giugno 1537 Carlo V visitò Palermo. Nel giardino della Chiesa vi erano alberi di aranci ma a luglio
non vi sono i frutti. Le monache per far vedere un giardino bello e ben curato, fecero delle arance di
pasta di mandorle e le colorarono dando al giardino un effetto più vistoso e bello. Inventarono così i
frutti di martorana. Il convento aveva preso nome dalla sua fondatrice, la nobildonna Eloisa
Martorana. Da qui l'espressione "frutta di Martorana".
SANTA CATERINA
La chiesa è attigua ad un monastero fondato nel Trecento dalle suore domenicane. Fu iniziata nel
1566 e portata a termine nel 1596. La cupola e il coro furono aggiunti rispettivamente nella metà del
Settecento e nel 1863. Santa Caterina si affaccia su due piazze: la prima è piazza Pretoria dove
troneggia l'omonima fontana, mentre la seconda è piazza Bellini dove si possono visitare la chiesa
della Martorana e la chiesa di San Cataldo.
Ciò che colpisce di più è la ricca decorazione dell’interno, ad unica navata, tipico dell’età della
Controriforma. L’impianto ad aula consentiva alle suore di partecipare – non viste – ai riti liturgici
dal coro sistemato all’ingresso tramite il sostegno di due colonne. La decorazione degli spazi interni,
così come per molte altre chiese palermitane, è costituita da un sontuoso apparato a marmi mischi,
stucchi ed affreschi che si fondono, in un’unica armonica lettura, con le strutture architettoniche
portanti.
MARTEDI’ 29 APRILE POMERIGGIO: GALLERIA REGIONALE,
Palazzo Abatellis, fulgido esempio di architettura gotico-catalana, risale alla fine del XV secolo e fu
residenza di Francesco Abatellis, maestro Portulano del regno. Alla sua morte il palazzo venne
ereditato dalla moglie, che vi fondò il monastero femminile di Santa Maria della Pietà. La nuova
destinazione d'uso richiese alcuni interventi strutturali, come la costruzione di una cappella e in
seguito della attigua Chiesa di Santa Maria della Pietà. Il palazzo fu gravemente danneggiato durante
la Seconda Guerra Mondiale e restaurato negli anni '50, quando la Soprintendenza ne fece una
Galleria d'arte medievale. Oggi le sale del palazzo ospitano numerose opere d'arte, tra gli altri quelle
di Antonello da Messina, Pietro Novelli, Antoon Van Dyck, Domenico e Antonello Gagini, Filippo
Paladini e Vito D'Anna.
SANTA MARIA DEGLI ANGELI-LA GANCIA facoltativo
L'anno di inizio della sua costruzione è il 1490, quando alcuni frati ottennero da Papa Innocenzo VIII
il permesso di costruire una gancia, cioè un ricovero per malati e bisognosi, al tempo fuori le mura
cittadine, oggi invece collocata al centro della città. Nasce così il convento, affidato ai Frati minori di
San Francesco. Nei primi anni del XVI secolo nasce la chiesa di stile rinascimentale. Da quando la
chiesa è stata completata, più stili artistici si sono sovrapposti, tra cui quello barocco. Vi sono opere
di Gagini, Pietro Novelli e Giacomo Serpotta.
MARTEDI’ 29 APRILE SERA: CENA DEL SALUTO APPACuVI
MERCOLEDI’ 30 APRILE MATTINO: SAN FRANCESCO-SAN LORENZO
L'Oratorio fu costruito intorno al 1570 dalla Compagnia di San Francesco sui resti di un’antica
chiesetta dedicata a San Lorenzo. Fu presto affidato ai frati del vicino convento di San Francesco
che avevano il compito di seppellire i poveri del quartiere Kalsa. Solo successivamente fu
impreziosito dagli stucchi di Giacomo Serpotta che qui lavorò tra il 1699 e il 1706. Sull'altare era
conservato il capolavoro di Caravaggio La Natività, opera del 1609, che fu trafugata nel 1969 e mai
più ritrovata.
SANTA MARIA DI PORTO SALVO
La chiesa venne progettata da Antonello Gagini nel primo quarto del XVI secolo, i lavori per
realizzarla iniziarono nel 1526 e terminarono dopo oltre 30 anni. Nel 1536 Antonello Gagini morì e
l'opera venne continuata dai due figli, Antonino e Giacomo. La chiesa subì un notevole
ridimensionamento nel 1581 a causa del prolungamento del Cassaro che ne tagliò una parte.
All'interno della chiesa troviamo tre navate separate da colonne marmoree, sui lati sono presenti
delle cappelle che portano impronti stilistiche tardo-gotiche. Il tetto è affrescato da una volta
stellata opera di Antonio Scaglione. Sono presenti alcune opere quali L'Annunciazione di Giovan
Paolo Fonduli, una Madonna del Rosario, un trittico su legno Madonna fra Santa Maria Maddalena e
Sant'Antonio, l'Ultima Cena, varie tele di scuola novelliana.
MERCOLEDI’ 30 APRILE POMERIGGIO: tardo pomeriggio partenza da Palermo
Itinerario del Gattopardo a Palermo L’organizzazione è a cura dell’Associazione “ Parco culturale del
Gattopardo” di cui è responsabile è il signor Anselmi Michele che
spesso svolge il ruolo di guida in prima persona.
La passeggiata “tomasiana” in Palermo si svolgerà nel pomeriggio del
29 aprile, durerà circa ore 2,30 ed inizierà alle 15.30. Raggiungeremo il
luogo di partenza (Largo delle Tredici Vittime, lato via Cavour) in taxi.
L’itinerario è molto suggestivo perché si snoda nel centro storico della
città. Visiteremo alcuni luoghi citati nel “Gattopardo” o connessi alla
vita dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il percorso sarà
arricchito dalla lettura di brevi brani del romanzo e di altri scritti.
Eccovi l’itinerario dettagliato: “Tra le due case del Principe” – L’itinerario ripercorre gran parte dei
luoghi del centro storico di Palermo che fanno da sfondo a episodi del
romanzo, si svolge attraverso i due quartieri marinari, la Loggia e la
Kalsa, e congiunge le due estreme dimore dello scrittore: la casa di via
Lampedusa, in cui Giuseppe era nato nel 1896 e che fu costretto ad
abbandonare dopo i bombardamenti del ’43, e la casa di via Butera,
l’ultima in cui visse e dove immaginava che sarebbe morto. Fra questi
due estremi si svolge il percorso denso di riferimenti all’opera letteraria
di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Sul canovaccio narrativo che
integra notizie storiche, biografiche e di costume sono innestate le
letture espressive di passi scelti tratti da I Ricordi d’infanzia e da Il
Gattopardo (parti : I, VI, VII). Percorso : Piazza XIII vittime, Via Cavour,
Via Lampedusa, Via Bara, Via Valverde, Via dei Bambinai,
Piazzetta Meli, Piazza San Domenico, San Giacomo alla Marina, la
Cala, la Chiesa della Catena, Porta Felice, Mura delle Cattive.
NB:
Attualmente si sono prenotate 18 persone, ma possiamo raggiungere
un massimo di 20/22. Il costo della guida è di € 150,00 che
suddivideremo tra i partecipanti e raccoglieremo al momento della
passeggiata.