VIAGGIO NELL’ALDILA’ - Ars Europa · poi sconteranno la loro pena in Purgatorio e saranno...

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VIAGGIO NELL’ALDILA’ LA DIVINA COMMEDIA PER I RAGAZZI

ESTRATTO di

INFERNO

Adattamento testi Cinzia Ligas

Illustrazioni

Fausto Crepaldi

ARS EUROPA EDIZIONI :: ©2006 - All rights reserved ::

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Prima edizione – dicembre 2006 ISBN 88-902223-7-9

Collana Ad Maiora

Ars Europa Edizioni

Corso Venezia 44 – Milano www.arseuropa.org

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Indice • Introduzione pag. 6 • Canto I pag. 7 • Canto II pag. 21 • Canto III pag. 27 • Canto IV pag. 38 • Canto V pag. 44 • Canto VI pag. 52 • Canto VII pag. 59 • Canto VIII pag. 67 • Canto IX pag. 77 • Canto X pag. 83 • Canto XI pag. 91 • Canto XII pag. 96 • Canto XIII pag. 106 • Canto XIV pag. 115 • Canto XV pag. 121 • Canto XVI pag. 128 • Canto XVII pag. 133 • Canto XVIII pag. 141 • Canto XIX pag. 147 • Canto XX pag. 156

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• Canto XXI pag. 163 • Canto XXII pag. 171 • Canto XXIII pag. 179 • Canto XXIV pag. 189 • Canto XXV pag. 194 • Canto XXVI pag. 202 • Canto XXVII pag. 210 • Canto XXVIII pag. 216 • Canto XXIX pag. 223 • Canto XXX pag. 229 • Canto XXXI pag. 237 • Canto XXXII pag. 243 • Canto XXXIII pag. 253 • Canto XXXIV pag. 260 Gli autori pag. 269

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Introduzione Questo libro nasce per diffondere tra le giovani generazioni l’amore per la Divina Commedia, il capolavoro di Dante Alighieri. Una delle difficoltà più grandi che i ragazzi incontrano nella lettura del poema nasce proprio dal quel linguaggio elevato, simbolico e rimato che fa la grandezza stessa dell’opera, ma che, a settecento anni dalla sua stesura, appare arcaico e talvolta incomprensibile ai più giovani. Come risolvere questo problema e insegnare a quanti più ragazzi possibile ad amare una delle opere più grandi della nostra letteratura? Si è pensato di decodificare e proporre in italiano moderno, con una sintassi semplice e un lessico adeguato ai tempi, la grandiosa vicenda ultraterrena raccontata dal grande poeta fiorentino. La storia, narrata in terza persona e illustrata con tavole in 3D dalla forte valenza evocativa, vede Dante e Virgilio percorrere le buie strade dell’Inferno, contemplare la giustizia divina che punisce coloro che nella vita hanno avuto disprezzo per gli altri e ascendere sino alla liberazione dal male e alla purificazione. Naturalmente questa narrazione vuole semplicemente essere propedeutica al passaggio successivo, ovvero la lettura del poema di Dante, scoprendone, dopo averne conosciuto la trama, le valenze stilistiche, ritmiche, letterarie e poetiche di cui il capolavoro dell’Alighieri è emblema. Gli autori

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Canto I La notte era tenebrosa. La luna, sebbene piena, era nascosta dietro nubi minacciose e dense, che ricoprivano la volta del cielo. Una sottile nebbia si spandeva intorno rendendo incerto il cammino. Durante Alaghieri, conosciuto da tutti con il diminutivo di Dante, politico fiorentino e poeta, figlio di Alaghiero di Bellincione, quella notte del 7 aprile del 1300, aveva trentacinque anni. Considerando la durata della vita media di un uomo, era giunto circa a metà della sua esistenza. Dopo la morte della sua adorata Bice o come alcuni la chiamavano, Beatrice, il suo amore angelicato e platonico che lo aveva ispirato ad elevarsi ad una concezione di vita sempre più perfetta, si sentiva sbandato, solo, disperato e per cercare di superare queste angosciose sensazioni, aveva cominciato a frequentare dubbie compagnie e ad assumere comportamenti non consoni all’uomo corretto e onesto che sempre egli era stato. Improvvisamente, al ritorno da una di quelle vuote serate gaudenti che lo lasciavano però sempre abbattuto e più malinconico di prima, nemmeno lui capì come accadde, si ritrovò perso nel buio, in una foresta inestricabile, senza ricordare da dove veniva, senza sapere dove andare per uscirne.

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Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura

ché la diritta via era smarrita. Inferno, I canto, vv 1-3

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Così come la sua anima si era sperduta nella selva del peccato, lui vagava senza meta e pieno di terrore in quel bosco buio e spaventoso. Negli anni a venire, anche solo ripensare a quei momenti gli avrebbe fatto gelare il sangue nelle vene. Era un luogo desolato e angoscioso ed era solo e disperato. Soltanto il terrore della morte potrebbe essere paragonabile a ciò che provò in quei momenti. Fu un lungo viaggio doloroso, allucinante, terribile. Eppure, anche in quell’abominio, Dante riuscì a scorgere momenti di giustizia da rivelare ai posteri, ed è proprio a causa di ciò che, in seguito, decise di raccontare questo suo cammino, anche nei frangenti più penosi. Come iniziò tutto? Lui stesso non era in grado di dirlo. Quasi un buco nella memoria gli avrebbe impedito di ricordare in che modo, esattamente, e quando perse la strada. Intontito dal sonno, ricordava solo che, dopo aver a lungo vagato, per l’intera notte, affannosamente, cercando di uscire da quel tenebroso labirinto di fronde, si ritrovò finalmente ai piedi di una collina illuminata dal sole. Era la mattina dell’ otto aprile, ed era Venerdi Santo. Si calmò e come un naufrago che, scampato il pericolo, riesce a raggiungere la riva, riguarda indietro e vede con sollievo e orrore insieme, l’enorme massa d’acqua che stava per inghiottirlo, così la sua anima

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si volse e riguardò l’orribile intrigo di sterpi e rami nel folto bosco buio, di peccati e insidie, che non fu mai superato da nessuno. Si riposò poichè era esausto. Poi, decise di continuare il cammino e cominciò a scalare il colle. Lì vi era la luce e la salvezza e lui voleva guadagnarne la cima. Ma la strada per raggiungerla, purtroppo, non era priva di ostacoli. Era ancora all’inizio della salita che gli si parò davanti una veloce lince dal mantello maculato, aggressiva e che gli impediva il cammino. Ricordò che la lince era il simbolo dell’invidia e proprio come questo meschino peccato, lei voleva corrompere la sua anima, strapparle la purezza e impedirle di giungere alla salvezza. Cercò di scansarla, ma se la ritrovò davanti più di una volta, sempre pronta ad aggredirlo e a impedire il suo avanzare. Era però giunta l’alba e il sole luminoso si trovava in quel periodo dell’anno nella costellazione dell’Ariete, proprio come quando Dio aveva creato l’intero Universo. Questo fatto parve al poeta un buon auspicio e gli diede la speranza di riuscire a evitare i morsi e gli artigli di quell’animale selvatico.

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Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza,

e molte genti fé già viver grame

Inferno, I canto, vv 49-51

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Si era quasi convinto di potercela fare, quando la paura lo paralizzò nuovamente. Davanti a lui era apparso un enorme leone. Correva nella sua direzione, famelico e rabbioso, facendo orgogliosamente ondeggiare la sua criniera, pronto a straziarlo con i suoi artigli. Con sguardo superbo ruggì, facendo tremare l’aria intorno a lui e terrorizzando Dante nel più profondo del suo essere. Il peccato che simboleggiava, la superbia, gli avrebbe impedito di raggiungere la cima del colle che tanto desiderava. Le sue speranze, ormai ridotte al lumicino, furono completamente spente nel vedere avanzare un terzo, spaventoso, feroce animale. Era una avida lupa, che lo fissava con occhi pieni di infinita cupidigia, ingorda e insaziabile, magrissima. L’avidità, repellente sentimento che fa vivere miseramente infinite persone, lo avrebbe vinto, non aveva più alcuna possibilità. Era nuovamente sospinto verso il buio spaventoso della foresta maledetta da quelle immonde bestie e si sentiva come un uomo un tempo ricco e fortunato che viene poi ghermito dalla miseria e che a causa di ciò si angoscia, piange e si dispera. Mentre precipitava, nella sua folle corsa, apparve dinanzi a lui un fantasma. Era troppo. Quasi impazzito dal terrore gridò “Abbi misericordia di me, chiunque tu sia, uomo o spirito in pena”. Lui gli rispose, tranquillo.

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“Non sono più un uomo, ma lo sono stato. I miei genitori furono lombardi, ebbero entrambi Mantova come città natale. Nacqui quando regnava Giulio Cesare, ma non feci in tempo a conoscerlo, e vissi a Roma, quando era imperatore Cesare Ottaviano Augusto, nel tempo lontano dell’antica Roma, quando gli uomini credevano ancora nelle false divinità. Sono stato poeta. Fui io a comporre l’Eneide, l’opera che narra la vicenda di Enea, il figlio di Anchise che fuggì da Troia quando fu distrutta dal rovinoso incendio appiccato dai greci.” Non faceva paura. Era uno spirito buono. Continuò, vedendo che Dante ruzzolava verso il basso: “Perché ritorni verso quella spaventosa foresta invece di risalire e raggiungere la cima illuminata del colle, dove saresti salvo e felice?” Dante l’aveva riconosciuto, ma desiderava averne la conferma. Non gli pareva possibile e con un po’ di imbarazzo gli chiese:” Ma sei proprio Virgilio? Sei tu quello che ha generato con le sue parole un così grande fiume di sapienza?” Lui lo guardò e assentì.

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Poeta fui, e cantai di quel giusto figliuol d’Anchise che venne di Troia,

poi che ’l superbo Iliòn fu combusto

Inferno, I canto, vv 73 - 75

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“ Onore e luce di tutti gli altri poeti, di quelli che oggi lo sono e quelli che un giorno lo saranno, io spero che abbia un qualche valore ai tuoi occhi il grande amore che ho sempre sentito per l’Eneide, la tua eccelsa opera, che ho studiato con passione. Tu sei sempre stato il mio idolo, il mio maestro, il mio autore preferito. Ho trovato proprio nel tuo modo di comporre l’ispirazione a scrivere versi nello stile che oggi mi permette di essere stimato come letterato e poeta dai miei contemporanei.” gli disse sollevato e felice di stare accanto a un così grande artista del passato. Poi, indicandogli da lontano la lupa, angosciato, gli raccontò le sue peripezie: “ Vedi, è a causa di quell’animale feroce che mi sono voltato indietro. Aiutami a sfuggirgli, perché mi fa rabbrividire di terrore”. “Ti conviene prendere un’altra strada, se ti vuoi salvare. Quella lupa non ha mai permesso a nessuno di superarla, uccidendo chi si avventurava nel suo territorio. - gli rispose Virgilio - E’ così aggressiva e feroce da non saziarsi mai e una volta terminato l’orrido pasto ha ancora più fame di prima di iniziarlo. Si trova bene con molti animali, unendosi a loro, e così continuerà a lungo con molti di loro, fino a quando non verrà il cane da caccia, il vendicatore che la farà morire fra atroci dolori.”

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Mentre parlava del cane da caccia, Dante credette che volesse alludere alla Santissima Trinità che, come lui ben sapeva, si sarebbe servita dell'Impero e della Chiesa per la sua opera di salvezza. “Questo veltro, questo cane da caccia – continuò Virgilio (e Dante si convinse che volesse intendere l’Imperatore Arrigo VII) – si ciberà solo di valore, di amore e di sapienza e le sue terre supereranno i confini nazionali. Diventerà la salvezza dell’Italia per la quale la giovane Camilla, principessa guerriera dei Volsci morì e per cui si immolarono anche Eurialo e Niso, antichi troiani, e Turno, re degli antichi Rutuli.” Continuò ancora l’antico poeta romano.” La inseguirà per mare e per monti e infine la ricaccerà nell’Inferno, dal quale è fuggita.” Poi, osservando Dante con attenzione gli disse:” Credo che ti converrebbe seguirmi. Io ti farò da guida e ti porterò fuori da qui, facendoti intraprendere un viaggio nei luoghi dell’oltretomba. Sentirai le urla disperate e vedrai le antiche anime sofferenti che gridano a causa della loro dannazione eterna. Incontrerai poi coloro che pur essendo immersi nel fuoco sono contenti, perché sanno che prima o poi sconteranno la loro pena in Purgatorio e saranno ammessi in Paradiso.

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Se poi vorrai continuare a salire nel regno degli spiriti felici, ti lascerò nelle mani di un’altra anima, molto più degna di me. Infatti io non posso entrare in Paradiso, perché sono stato ribelle alla legge di Colui che comanda lassù e il Signore Iddio non vuole che io ti sia guida nella Sua città celeste. Lui infatti ha potere in ogni luogo, ma quello è il Suo regno. Beato l’essere umano che ha il permesso di entrarvi...” mormorò Virgilio con una nota di rimpianto nella voce. Allora Dante gli rispose con decisione :” Poeta, in nome di quel Dio che tu non hai conosciuto, ti prego, fammi scampare da questi luoghi terrificanti e da mali ancora peggiori e portami dove mi hai detto, sino alle porte del Paradiso, passando per il regno di quelle anime infelici, dannate per sempre.” A queste parole Virgilio annuì, iniziò a camminare e Dante gli si accodò.

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Gli autori

Cinzia Ligas Scrittrice e semiologa, è una delle maggiori esperte in Italia di Net Semiology, Art Semiology e Comunicazione Polisemantica,  scrive  romanzi,  sceneggiature,  saggi di  comunicazione e  svolge  redazioni e  revisioni di  testi e consulenze per svariate agenzie, aziende, enti della Pubblica Aministrazione e Web agency in tutta Italia.   Contitolare della casa di produzione video, multimedia e web Blumedia Art, svolge il ruolo di media integrated communication manager.   Studiosa di  storia medievale, ha pubblicato Sacrum  Iter,  romanzo  interattivo ambientato nel 1300  tra Aosta e Roma ed è stata direttore responsabile della rivista online Età Medievale.  Coautrice con Fausto Crepaldi del romanzo LʹEretico, di Veneficium, di Striges, di Ambrogio, immortale, ha curato la  sceneggiatura del  cortometraggio A.D. 1300,  tratto dal  romanzo Sacrum  Iter e  i documentari  storici Con gli occhi del Pellegrino e  I Cammini della Fede in Lombardia.   Per contattarla scrivere a [email protected] 

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Fausto Crepaldi Regista e media  integrated art director, è esperto  in strumenti e tecniche di comunicazione visiva. Contitolare di Blumedia Art, casa di produzione video, multimedia e web di Milano.   Appassionato  di  arte,  ha  curato  lʹesposizione  di  alcune mostre  e  la  pubblicazione  dei  relativi  cataloghi. Ha curato varie produzioni in formato digitale ed ha collaborato a diverse realizzazioni cinematografiche.   Ha diretto vari cortometraggi storici tra cui AD 1300, Vita del Pellegrino e Con gli occhi del pellegrino e curato varie produzioni multimediali e Web relative ad argomenti medievali, quali i siti Canto ambrosiano , Età Medievale e I CD ROM Pellegrinaggio sulla Via Francigena, I Cammini della Fede in Lombardia e Le vie della Fede.   Eʹ  autore,  insieme  a  Cinzia  Ligas  dei  romanzi  storici  lʹEretico,  Sacrum  Iter,  Veneficium,  Striges,  e  Ambrogio, immortale, oltre a vari saggi di comunicazione.  Per contattarlo scrivere a [email protected] 

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