Viaggio nella geomorfotografia. Intervista a Sirio Ciccacci

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Viaggio nella geomorFOtografia Intervista a Sirio Ciccacci Di Marco Bertagni & Cristiano Tancredi

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Viaggio nella geomorFOtografia

Intervista a Sirio CiccacciDi Marco Bertagni & Cristiano Tancredi

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Abbiamo incontrato nel suo studio, presso il Dipartimento di Scienze della Terra de l’Università La Sapienza di Roma, Sirio Ciccacci, docente e gemorfologo con alle spalle una trentennale esperienza d’insegnamento e ricerca sul campo. Lo abbiamo intervistato cercando di capire quale può essere l’apporto fornito dalla fotografia nello studio di una materia complessa e affascinante come la geomorfologia. Quello che è emerso dalla nostra chiacchierata è l’immagine di un uomo mai “domo” nel raccontare il profondo legame con la “sua” Terra. Un rapporto viscerale che non si è consumato ma piuttosto rafforzato con gli anni.

Dalla stanza 201 al mondo...

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Marco Bertagni intervista Sirio

Ciccacci

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Uno sguardo attento sui fenomeni

“Avere una prospettiva completa e multidisciplinare del modo in cui si svolgono i diversi fenomeni te ne fa avere una visione diversa.

Avevo la pretesa di raccontare il mondo della geomorfologia attraverso foto tutte mie ma non ci sono riuscito per via della difficoltà di fotografare alcuni ambienti naturali. Se commento una mia immagine riesco a parlare per ore perché c'è tutto un percorso dietro che mi ha portato a immortalare quel paesaggio, in questo caso l'immagine diviene la sintesi di tutto l'ambiente studiato.

Ho tre grandi passioni: la fotografia, i viaggi la geomorfologia. Unendo queste componenti è venuto fuori il mio lavoro e il mio modo di insegnare. Sono una persona a cui piace sperimentare e sono convinto che la geografia si faccia con i piedi e con gli occhi, perché se vuoi capire a fondo una cosa devi andarla a vedere, non si possono insegnare cose che non si sono sperimentate sulla propria pelle. Da ragazzo mi regalarono un Atlante e cominciai a segnarci sopra tutti i luoghi che volevo visitare: c'erano centinaia di croci sulle carte, ora sono diventate una ventina.”

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Essere un gemorfologo aiuta nella contemplazione oggettiva della realtà?

“Credo che una delle cose fondamentali dell’analisi di una determinata situazione sia anche valutarne la pericolosità. Io sono un teorico della geomorfologia contemplativa. Per poter ricavare emozioni da un paesaggio bisogna sapere anche cosa c’è dietro tutta quella meraviglia, conoscere i processi che lo hanno generato, perché è alto il rischio di limitare tutto alla sola emotività. C’è da aggiungere però che la conoscenza fine a se stessa è arida se non ci si aggiunge l’elemento emozionale. La geomorfologia, a seconda di come viene affrontata, può essere una materia splendida o arida allo stesso tempo. Ciò che emerge oggi nello studio delle realtà è una mancanza di interdisciplinarietà, che inevitabilmente porta a conoscenze parziali dei territori.”

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Esistono in Italia e nel mondo ambienti non antropizzati?

“In Italia ormai tutti gli ambienti sono stati antropizzati, nel mondo esistono ancora scenari naturali, ma un minimo di contaminazione umana compare a volte anche nei luoghi più inaccessibili. Forse i soli deserti caldi e freddi hanno ancora una certa purezza.

Stando così le cose, la geomorfologia ci può far risalire alle origini della terra e al mondo prima dell’uomo. Questa scienza – collegata in maniera stretta con la geografia – ci consente quindi di capire meglio il disegno e la genesi del nostro pianeta”

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Nelle analisi geomorfologiche l’uso della cartografia è un elemento importante?

“Direi che è sempre fondamentale. Spesso il lavoro sulla carta rappresenta il momento di preparazione prima di qualsiasi intervento diretto. Oggi la cartografia moderna supportata dalle immagini aree e satellitari aiuta molto a comprendere la geomorfologia di un territorio, ma spesso ricostruire la storia di quest'ultimo non è facile a causa del mancato aggiornamento di carte storiche. Tendenzialmente per fare un’analisi attendibile si arriva fino ad elaborazioni cartografiche degli anni ‘40 del secolo scorso.”

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Cambiamenti climatici: la loro matrice è esclusivamente antropica?

“Per una visione ambientalista corretta bisogna tenere in considerazione tutte le variabili che potrebbero influire su tale processo. L’effetto della componente antropica è evidente, ma puntare tutto su un solo aspetto, spesso genera analisi parziali. Siamo portati a pensare con una mentalità di matrice antropocentrica, che viviamo in un sistema chiuso alienato dal resto dell’universo, in cui l’animale uomo decide, conosce e determina tutto. Questa visione pecca di una presunzione senza eguali, soprattutto perché conosciamo veramente poco di quello che ci circonda. Con la nostra conoscenza arriviamo a comprendere le realtà a noi più prossime, ignorando le altre, sulle quali facciamo delle elucubrazioni che comunque sono positive per la nostra vita, e per la vita di tutti i giorni. Anche la scienza ha i suoi limiti: ma in realtà non sono i limiti della disciplina, bensì quelli dell’uomo e della sua forma mentis. E con essa dobbiamo fare i conti.”

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L’importanza delle immagini nella geomorfologia

“Ho sentito come mia necessità quella di inserire immagini nella didattica. Oggi i ragazzi leggono con difficoltà testi che non siano farciti di rappresentazioni. In circa mille immagini fotografiche, schemi e illustrazioni, vengono presentate le principali forme del rilievo terrestre, classificate in funzione degli agenti e dei processi geomorfologici che le hanno generate. Le fotografie sono state selezionate in modo da essere al contempo significative dal punto di vista scientifico e di impatto immediato dal punto di vista estetico. I testi che accompagnano le immagini, seppure puntuali e rigorosi per il loro contenuto scientifico, sono volutamente sintetici e semplificati al massimo in modo da poter essere intesi senza difficoltà anche da un'utenza più ampia di non specialisti.”

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