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LICEO CLASSICO STATALE A. CANOVA 1

Insegnanti accompagnatori:

Frare Roberta

Nola Rita

Pavan Alberto

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CLASSI VB E VD

LICEO GINNASIO “A. CANOVA” TREVISO

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ESSERE CLASSICO

<<Ogni volta che ci confrontiamo con il classico, esso ci mette in questione. […]

Hai capito? Hai ri-immaginato in modo responsabile? Sei pronto ad agire in base alle domande, alle potenzialità di esistenza

trasformata e arricchita che ti ho offerto’?

Il classico possiede il diritto imperioso di esigere e di generare una risposta, una ripetizione attiva, esige una re-azione.

Leggere Platone o Pascal o Tolstoj “in modo classico” significa tentare di condurre una vita diversa.>>

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LA PREPARAZIONE

Lezioni collettive in preparazione agli

spettacoli teatrali

In preparazione al viaggio d’istruzione, in particolare per le rappresentazioni teatrali, sono stati organizzati due incontri nei giorni 14 e 21 maggio, con la collaborazione della classe IIA. Alla quinta ora dei martedì, riunitici in palestra, abbiamo assistito alle esposizioni degli alunni della classe suddetta, che si sono diligentemente impegnati per poterci preparare sulle caratteristiche del teatro greco al fine di una maggior comprensione delle opere e del contesto.

CONTESTO POLITICO E RITUALE

Le rappresentazioni teatrali erano un momento in cui la pòlis si riuniva per celebrare gli antichi miti e i riti religiosi. Non a caso le rappresentazioni avevano luogo durante le Grandi Dionisie, le Piccole Dionisie, le Lenee e le Antesterie.

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LA STRUTTURA

Il teatro greco si divide in tre parti essenziali: cavea (forma semicircolare costituita da gradoni in marmo appoggiati al pendio naturale del colle), orchestra (destinata all’esecuzione della danza e del coro) e la skenè (letteralmente significa tenda, costituita da un edificio a pianta rettangolare); in più si trovavano corridoi e scale.

I PROTAGONISTI DELLO SPETTACOLO

I protagonisti fondamentali erano tre:

- L’attore: colui che rispondeva al coro; dapprima scelti dagli stessi poeti, erano solo maschi che usavano maschere per rendersi riconoscibili (infatti anche se c’erano tanti personaggi gli attori fisici che recitavano erano al massimo tre);

- Il coro: era inizialmente composto da dodici o quindici coreuti; talvolta si divideva in due cori. Il momento dell’entrata del coro è chiamato parodo;

- il pubblico: gli spettatori interagivano spesso durante le tragedie chiedendo il bis o addirittura lanciando oggetti.

LA STRUTTURA DELL’OPERA

Il prologo “è l’intero elemento di una tragedia, che precede l’ingresso del coro”. Il Parodo “è la prima esibizione dell’intero coro”. Gli episodi sono “parti recitate in cui è articolata la vicenda”: rèsis = lungo brano recitato da un personaggio, àgon = fronteggiamento dei diversi punti di vista dei personaggi, discorso verso ver verso o sticomythia concitato dove i personaggi recitano un verso ciascuno, ripresa o antilabe = singolo verso diviso tra due personaggi, monodia o brano cantato da un attore. Gli stasimi sono “canti lirici del coro, tra un episodio e l’altro”. L’esodo è “l’intera parte della tragedia, dopo cui non c’è canto del coro”.

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Il primo giorno è iniziato con un grande entusiasmo da parte di tutti, in particolare di coloro che non avevano mai preso l’aereo e potuto ammirare il nostro paese dall’alto. Appena atterrati a Catania e dopo aver gustato le

specialità sicule-aeroportuali, ci siamo diretti alla Valle dei Templi; il paesaggio del sito ci ha lasciati stupefatti e il caldo, a cui non eravamo abituati, non ha smorzato i nostri animi. Il primo giorno ha soddisfatto di gran lunga le nostre aspettative; siamo rimasti estasiati dallo spettacolo e dall’atmosfera dai sapori

antichi rievocata da quel luogo. Goethe così descrisse questo luogo: ‘’ Certo che a vedere come si sbriciola facilmente il tufo calcareo delle colonne e delle mura, c'è

da meravigliarsi che abbia potuto resistere tanto a lungo. […] da ponente a levante la vista spaziava fino al massiccio roccioso sul quale si scorgevano le mura della città intervallate da fratture e, attraverso e al disopra, i ruderi dei

templi. ’’

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PRIMO GIORNO 27 Maggio

Arrivo all’aeroporto di Catania;; Partenza per la Valle dei Templi, ad Agrigento; Visita della Valle (Tempio di Giove Olimpico, Santuario delle divinità Ctonie, Tempio

di Ercole, Tempio della Concordia, Tempio di Giunone).

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TEMPIO DI GIUNONE

Fu edificato nella seconda metà del V secolo a.C., intorno al 450 a.C. e appartiene come epoca e come stile al periodo del dorico arcaico. Sono stati rilevati segni dell'incendio del 406 a.C. dopo il quale è stato restaurato in età romana. L'edificio è un tempio dorico periptero con 6 colonne sui lati corti (esastilo) e 13 sui fianchi, secondo un canone derivato dai modelli della madrepatria. Attualmente si conserva il colonnato settentrionale con l'epistilio e parte del fregio, mentre i colonnati sugli altri tre lati sono conservati solo parzialmente (mancano 4 colonne e 9 sono smozzate), e senza architrave. Pochi sono gli elementi rimasti della cella di cui rimane la parte bassa della muratura che la delimitata. L'edificio è stato così ricostruito dal Settecento fino ad oggi. Davanti al frontone principale (orientale) ci sono notevoli resti

dell'altare. Al suo interno vi era una statua raffigurante la dea Giunone alla quale si rivolgevano gli sposi e le donne sposate e tradite, anche per condividere il loro destino.

TEMPIO DELLA CONCORDIA

Il tempio più celebre e meglio conservato della Sicilia, ma anche dell’Italia, è quello della Concordia. La sua costruzione venne iniziata nel 440 a.C. Il tempio deve il suo nome ad un’iscrizione di età romana dedicata alla Concordia, divinità che proteggeva lo spirito dell’armonia e delle comunità. A causa di un terreno roccioso venne costruito su un massiccio crepidoma, ovvero una piattaforma di quattro gradini rialzata. Sono presenti due ordini di colonne, uno interno ed uno esterno: 6 nel lato corto e 13 in quello lungo (alte circa 6,72 metri), tutte caratterizzate da venti scanalature. Sono anche interamente conservati i timpani (la parte triangolare interna della cornice). Nel 597 il tempio fu trasformato in basilica Cristiana dal vescovo Gregorio, e ciò comportò che si abbatté il

muro di fondo della cella, si chiusero gli intercolunni e si praticarono dodici aperture arcuate nelle pareti della cella, così da costruire le tre navate canoniche.

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SANTUARIO DELLE DIVINITÀ CTONIE

: I Greci chiamavano col nome di divinità Ctonie le divinità collegate alla Terra. Nel settore occidentale della Collina dei Templi si estendeva una immensa area sacra dedicata al culto delle due dee, Demetra e Persefone, sono narrati inoltre altri culti e miti legati all'immortalità dell'anima, alla vita dopo la morte e al ciclo delle stagioni. Oltre queste due dee erano venerate anche Feronia, analoga etrusca di Persefone, Angizia, maga e incantatrice di serpente e Mefite, divinità sannita. I fedeli pervenivano nel terrazzo a Est della porta dove iniziavano il percorso rituale con le offerte e la visita ai tempietti e alle sale di accoglienza e riunione del portico. Il culto continuava nell'attiguo terrazzo dove si trovavano diversi tempietti, recinti e altari per la celebrazione dei sacrifici di animali che si svolgevano tra canti e profumi d'incenso; dopo il sacrificio la carne dell'animale veniva cucinata e mangiata sul posto da tutti i devoti.

TEMPIO DI ERCOLE

Il Tempio di Eracle (o Ercole) è il più arcaico tra tutti i templi di Agrigento; fu costruito nel VI secolo a.C. La sua attribuzione ad Ercole si deve a una testimonianza di Cicerone ritenuta attendibile nelle Verrine, in cui parla di un tempio dedicato all'eroe non lontano dal foro, contenente una famosa statua di Ercole. L'edificio, è di stile dorico e poggia su un basamento di tre gradini e presenta sei colonne sui lati brevi e quindici sui lati lunghi. L'interno era suddiviso in tre vani: quello centrale (cella) era preceduto da un atrio di ingresso (pronao) e seguito da un vano posteriore (opistodomo). L'edificio subì restauri d'età romana che potrebbe indicare una dedicazione ad altre nuove divinità; una di queste potrebbe essere stata Asclepio, di cui si è rinvenuta una statua di marmo di età

romana proprio all'interno della cella. Le otto colonne che vediamo nel Tempio di Eracle furono ricostruite nel XX secolo.Nel lato opposto delle colonne si vede una mezza colonna, rialzata nell’ Ottocento.

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TEMPIO DI GIOVE OLIMPICO

Il tempio dedicato a Zeus Olimpico è da tempo un cumulo di rovine, ma in passato, fu uno dei templi greci più ammirati e il più grande tempio dorico dell’Occidente. Esso s’innalza sull’area dell’antica agorà, e costituisce un “unicum”, non solo per le proporzioni eccezionali ma anche poiché presenta soluzioni architettoniche nuove e originali che divergono dai canoni dell’architettura dorica greca. I resti monumentali oggi visibili sono ciò che rimane a seguito delle distruzioni di epoca antica e recente, come quella avvenuta nel 18esimo secolo quando le rovine divennero cava di pietra per la costruzione del molo di Porto Empedocle (1749-63) e un terremoto, probabilmente lo stesso che distrusse il Tempio di Ercole e i Templi di Selinunte. Il grandioso edificio (probabilmente del 480 a.C.) era collocato su un’immensa piattaforma rettangolare, che poteva essere raggiunta per mezzo di cinque gradoni, era rivolta ad oriente e occupava una superficie di mq 6407. Al posto del consueto colonnato aperto (peristasi) vi era un muro continuo ritmato da semicolonne doriche (pseudo-peristasi). Internamente il tempio era diviso in tre vani: quello centrale (cella) era preceduto da un atrio di ingresso (pronao) e seguito da

un vano posteriore (opistodomo), delimitati da muri perimetrali scanditi da dodici pilastri sporgenti all'interno.

Elementi della decorazione architettonica della parte superiore del tempio (trabeazione) sono presenti tra le rovine, come i frammenti del frontone scolpito che, secondo la descrizione di Diodoro Siculo, era decorato su un lato da una gigantomachia e sull'altro dalla presa di Troia. Una delle caratteristiche più singolari del tempio sono i Telamoni (immagine) alti circa 8 metri, gigantesche figure mitologiche maschili che sostenevano la trabeazione. Spesso i Telamoni sono interpretati come simbolo dei "barbari" Cartaginesi sconfitti.

TEMPIO DEI DIOSCURI

Castore e Polluce erano due gemelli nati dall’unione di Leda, regina di Sparta, con Giove. Castore era mortale mentre Polluce era immortale. La leggenda vuole che quando Castore morì, Polluce chiese al padre di renderlo mortale per poter riunirsi al

fratello. Zeus lo esaudì e fece in modo che i due tornassero alla vita alternativamente, un giorno ciascuno. La rovina si trova sull'angolo nord-ovest di un edificio templare, che è ricostruibile come un periptero dorico di 6x13 colonne, della metà circa del V secolo a.C.

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Dopo una breve permanenza all’Hotel Akrabello di Agrigento, abbiamo visitato la Villa del Casale di Piazza Armerina. I suoi mosaici elaborati e tutt’ora quasi completamente integri ci sono stati illustrati con cura e precisione da una

simpatica guida. I mosaici ritraevano in modo verosimile la vita quotidiana di coloro che la abitavano e le tradizioni romane. E’ stato interessante notare come

i tipi di pavimentazioni variassero a seconda delle funzioni che assumevano le varie stanze. E’ stata una visita stimolante e necessaria per comprendere gli

aspetti della vita romana che fino ad ora abbiamo appreso solo dai libri. Conclusa la visita ci siamo ristorati in compagnia di alcuni adorabili cani privi di padroni

che li controllassero nell’unico Self-service della zona, in cui il nostro portafoglio è stato eccessivamente alleggerito in rapporto alla qualità; abbiamo avuto,

tuttavia, l’opportunità di conoscerci meglio. Giunti a Morgantina abbiamo potuto ammirare lo splendido paesaggio dall’alto del rilievo da cui si vedeva l’intera città

antica. Il momento più suggestivo è stato il silenzio creatosi quand’eravamo seduti sulle gradinate del teatro di mirabile bellezza.

Una nostra compagna ha trovato il coraggio di esibirsi cantando una canzone dei Queen, per sperimentare l’acustica del teatro. La giornata si è conclusa

splendidamente con la coinvolgente rappresentazione teatrale ‘’Antigone’’ presso il teatro greco di Siracusa.

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SECONDO GIORNO 28 Maggio

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Visita di Piazza Armerina (EN) Visita sito di Morgantina Rappresentazione teatrale “Antigone” nel teatro Greco di Siracusa all’interno del

Parco Archeologico

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PIAZZA ARMERINA

La villa dalla struttura romana del IV sec d.C., di epoca tardo imperiale, apparteneva ad un esponente dell’aristocrazia senatoria romana, forse un governatore di Roma; secondo alcuni studiosi fu, invece, costruita e ampliata su diretta committenza imperiale. La struttura, modificata nel periodo bizantino e altomedievale, abbandonata durante il periodo arabo-normanno, riutilizzata nel rinascimento come insediamento agricolo, caduta in disuso con il successivo abbandono delle campagne, è ora aperta al pubblico in seguito ad un lungo periodo di restauri. E’ possibile infatti ammirare i numerosissimi mosaici, tra i quali quelli de:

- La zona delle terme e la grande latrina.

- La corte porticata d’ingresso e l’arco onorario.

- Il Vestibolo di Polifemo e il porticato del peristilio.

- Gli ambienti di servizio settentrionali, tra cui la stanza della “Piccola Caccia”.

- Il corridoio della “Grande Caccia”

- Gli ambienti di servizio meridionali, tra cui la stanza delle “Palestrite”.

- Gli appartamenti padronali settentrionali con il mosaico che raffigura Ulisse e Polifemo e la stanza con Amore e Psiche.

- Il Triclinio e il portico ovoidale dello xistus.

- La Basilica.

- Sala delle stagioni e sale per gli ospiti

- Gli appartamenti padronali meridionali con il mosaico che raffigura il Mito di Arione e la stanza di Eros e Pan.

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“Palestrite”, conosciuto anche come “Ragazze in bikini”

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“Corridoio della grande caccia”

MORGANTINA

Morgantina è un antica città sicula e greca, venuta alla luce solo dopo alcuni scavi archeologici effettuati nel 1955; si possono

vedere l’Agorà, il Bouleterion, ossia l’edificio in cui ritirava il senato, il teatro e l’area sacra.

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RAPPRESENTAZIONE TEATRALE AL TEATRO GRECO DI SIRACUSA

“ANTIGONE”

Il Teatro Greco di Siracusa rappresenta uno dei patrimoni monumentali più importanti che la Sicilia possiede. Seduti sui grandi scalini di legno e di pietra, martedì 28 maggio 2013 abbiamo assistito alla rappresentazione teatrale della tragedia greca “Antigone”. Quest'opera fu scritta da Sofocle nel V sec. a.C. e narra le vicende di una giovane donna che sceglie di seguire le leggi divine e morali invece che quelle imposte dagli uomini mortali: secondo le deliberazioni del sovrano Creonte chiunque avesse pianto o dato sepoltura a Polinice – fratello di Antigone, sconfitto dal gemello Eteocle - sarebbe stato punito con la morte. Per nulla intimorita, Antigone da sepoltura al fratello defunto per ben due volte, sfidando così l'autorità. Colta sul fatto, Antigone viene portata al cospetto del suo re e zio, il quale, non potendo uccidere una propria consanguinea per consuetudini religiose, decide di condannarla ad una vita di solitudine rinchiudendola in una grotta. Nonostante l'opposizione del popolo e del figlio Emone - promesso sposo di Antigone - Creonte procede ugualmente. Tale decisione determinerà il suicidio di tutte le persone a lui vicine lasciandolo solo con il rimorso per la sua ostinazione.

“Alzato il sipario”, la prima scena si apriva con l'ombra di Giocasta, madre di Antigone, la quale, risalendo dalle profondità dell'Ade, espone gli antefatti delle vicende che seguiranno.

Antigone è la protagonista. E' determinata nei suoi intenti e ha un forte senso della giustizia, poiché osa sfidare le autorità tra gli uomini in favore del volere degli dèi. E' un personaggio emblematico, portatore del valore della filia, il legame affettivo tra fratelli e genitori; ella infatti decide di morire per dare sepoltura a

un suo familiare rinunciando perfino all'amore di Emone. La tenacia e la disperazione della protagonista sono ben rese nella recitazione da parte dell'attrice sia attraverso un tono di voce particolarmente alto e imponente quanto affranto sia dalle corse affannate da un punto all'altro della scena.

Dall'appena citato Emone si ha invece un altro tipo di amore, opposto alla filia: l'eroV. Il promesso sposo, pur sostenendo il padre ed essendo molto legato a lui, come emerge all'inizio della tragedia, ispirato da Cupido si pone a favore di Antigone. Così facendo decide di favorire, al contrario della sua amata l'eroV alla filia. Questo ultimatum trova la sua massima espressione nell'ultima scena del personaggio, il quale, trovata la giovane impiccata, decide di togliersi la vita dopo aver attentato a quella del padre. Emone comunque non ha mai molta intesa di volere a causa dei suoi sentimenti, dei suoi pensieri e delle sue azioni manipolati da Cupido.

Ismene ha un carattere più debole della sorella, in quanto decide di rifugiarsi nelle leggi degli uomini, pur riconoscendo la veridicità delle parole di Antigone. Dunque non la segue nei suoi “crimini”, ma desidera subire lo stesso destino della sorella perché sua complice. Nell'agone con Creonte l'attrice però non esprime bene la disperazione del proprio personaggio, entrando nella parte solo una volta giunta al centro della scena. Questo non è l'unico episodio purtroppo, è stato però il più evidente.

Tiresia è interpretato da una donna che imita un uomo, per indicare la sua dubbia sessualità. Nei testi antichi infatti, a volte ci si riferisce a questo personaggio come una donna, altre volte come un uomo; alcuni ritengono inoltre che fosse un uomo diventato

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in seguito donna. Il suo ruolo nelle tragedie di Sofocle ricorda quello di Cassandra in Virgilio. Egli infatti è nunzio delle profezie divine che mai vengono ascoltate e credute da uomini rinchiusi nelle proprie ostinazioni, diverse seppur simili allo stesso tempo: ci riferiamo a Edipo e Creonte. La cecità è stata resa molto bene - meglio che in “Edipo Re” - attraverso passi incerti, braccia protese al vuoto, sguardi vacui.

La figura della guardia che cattura Antigone è tragicomica. E' l'unico personaggio i cui sentimenti non riguardano disperazione o frustrazione, ma egoismo e quella mellifluità che secoli dopo avrebbe tratteggiato il carattere di don Abbondio in Manzoni. Il vaso di terracotta tra quelli di ferro, per intenderci. Ma perché proprio tragicomica? Tra tutti i personaggi, la guardia è quello dalle parole che fanno scaturire risate e risolini tra gli spettatori, che alleggeriscono momentaneamente la trama. Eppure l'amor proprio del personaggio condanna Antigone, divenendo così il vero, anche se indiretto, prosecutore della pena che la giovane deve scontare o indiretto responsabile di una serie di suicidi. In fin dei conti, se il Fato non avesse concesso a costui di sorprendere Antigone, possiamo essere certi che ella sarebbe stata comunque destinata a ciò che designa il suo nome?

Le musiche della tragedia hanno svolto l'importante funzione di far capire bene agli spettatori le emozioni dei personaggi. Tramite le tracce dal carattere più cupo o dal ritmo più veloce si potevano facilmente comprendere gli stati d'animo dei protagonisti, spesso sconvolti dagli avvenimenti della tragedia,

soprattutto nella parte finale. Le basi musicali hanno quindi aiutato il pubblico a calarsi nella trama, a immedesimarsi nei personaggi, a condividere i loro sentimenti. Hanno anche aiutato a rendere il tutto più suggestivo, evidenziando i frequenti colpi di scena. I costumi dei personaggi erano generalmente semplici e funzionali, ma soprattutto molto verosimili; per esempio il re Creonte indossava degli abiti elaborati, adatti a un re, mentre i soldati portavano l'armatura, riprodotta in modo simile alle testimonianze delle armature degli antichi Greci. Antigone era vestita in modo semplice, di nero, per far capire che era in lutto per i due fratelli defunti e per la mancata sepoltura di Polinice, mentre Ismene no, poiché non approvava i piani di Antigone.

La scenografia era composta da un gigantesco muro di cemento con al centro un portone, delle porte divelte disposte a formare una scala e della sabbia bianca su tutto il palcoscenico del teatro. Una visione abbastanza semplice, ma l’atmosfera che si era creata, anche perché assistevamo all’opera all’interno di un antico teatro greco, e ciò rendeva tutto molto più realistico e a contribuito molto alla buona riuscita della tragedia. È stato d’effetto anche il fatto che, essendo un teatro all’aperto, abbiamo visto il sole tramontare e alla fine della rappresentazione era già buio, esattamente come nella tradizione degli antichi Greci. Nonostante questo, non è stata la scenografia il pezzo forte dell’opera, bensì l’interpretazione che gli attori hanno saputo dare ai loro personaggi, e pensiamo che non avesse un ruolo di fondamentale importanza, ma soltanto di ornamento.

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Ortigia è stata sicuramente uno dei più bei centri storici visitati. Caratteristica è la Piazza del Duomo, che con il suo bianco lucente rifletteva la luce del Sole

creando un’atmosfera estiva e piacevole. La città spiccava per l’allegria della sua gente, che si riflette anche nelle celebrazioni sacre paesane che ci sono state

raccontate. La Fonte Aretusa, sorgente naturale di acqua dolce, unico posto oltre l’Egitto in cui cresce il papiro, dà un tocco esotico alla città dai toni classici.

Passeggiare sul lungomare ha alleggerito la fatica e il caldo accumulati nella mattinata.

Nel pomeriggio siamo stati trasportati in una realtà dal carattere antico, poiché abbiamo visitato il Parco Archeologico di Siracusa. Entrare nell’Orecchio di

Dioniso ci ha permesso di osservare la simbiosi tra natura e arte umana che tanto è apprezzata dal gusto europeo. Ci siamo poi divertiti a far riecheggiare le nostre voci, come delle baccanti. Con l’immagine scioccante degli occhi sanguinanti del

misero Edipo, siamo tornati all’albergo.

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TERZO GIORNO 29 Maggio

Visita di Ortigia (Siracusa): Piazza Archimede, Duomo, Fonte Aretusa, Palazzo Bellomo;

Visita del Parco Archeologico di Siracusa: Foro Romano, Teatro Greco, le Latomie, l’Orecchio di Dionisio

Rappresentazione teatrale “Edipo Re” nel Teatro Greco di Siracusa all’interno del Parco Archeologico

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SIRACUSA Il nome Siracusa deriva dal siculo Syraka o Sùraka (abbondanza d'acqua) per la presenza di molti corsi d'acqua e di una zona paludosa. Siracusa era in origine una

pentapoli, cioè un insieme di cinque città vicine alleate fra loro per motivi amministrativi, militari o politici, costituenti un'unica grande città.

ORTIGIA

Ortigia è il nome dell'isola che costituisce la parte più antica della città di Siracusa rappresentandone la rispettiva circoscrizione. Il suo nome deriverebbe dal greco antico ὄ ρτυξ che significa "quaglia".

PIAZZA ARCHIMEDE

La piazza dedicata ad Archimede, nato a Siracusa nel 287 a.C., è stata aperta tra il 1872 e il 1878 nel centro di Ortigia, all'incrocio dei due principali assi direzionali della città antica, via Dione-via Roma e via Amalfitana-via Maestranza. Al centro della piazza vi è La Fontana d'Artemide, recentemente restituita all'antico splendore da un accurato lavoro di pulitura e restauro. La vasca circolare accoglie un gruppo in cemento, dominato dalla figura della dea della caccia, armata di arco e faretra che ricorda il mito di Aretusa. Questo mito è rievocato anche dalle due figure che accompagnano Artemide, un uomo che

rappresenta Alfeo ed una donna in fuga, che rappresenta Aretusa.

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DUOMO DI SIRACUSA

Edificato nella parte più alta di Ortigia, il Duomo di Siracusa sorge sui resti dell'antico tempio dorico dedicato ad Athena, fatto costruire nel V° secolo a.C. dal tiranno Gelone. Dell'antico tempio, che contava 14 colonne laterali e 6 frontali, sono ancora visibili alcune colonne del peristilio e parte dello stilobate. Il Cristianesimo mutò il tempio di Athena in una chiesa dedicata alla madre del Nazareno e consacrata quale cattedrale nel VII. La trasformazione dell'edificio ha seguito un procedimento semplice: l'edificio centrale, divenne la navata centrale, mentre le navate laterali risultarono dallo spazio

compreso tra questa e i colonnati, inoltre fu rovesciato l'orientamento, per la necessità di volgere ad est il coro della chiesa che occupa il posto della facciata del tempio. La facciata barocca venne ricostruita tra il 1728 ed il 1753. Decorano il prospetto principale le statue raffiguranti la Vergine del Piliere (al centro), Santa Lucia (a destra), San Marziano (a sinistra). Le 2 statue di San Pietro e San Paolo che affiancano la gradinata. Lungo la navata laterale destra si aprono diverse cappelle. Sull'altare vi è una tela raffigurante la Natività della Vergine.

FONTE ARETUSA

La Fonte Aretusa è una sorgente di acqua dolce che sgorga da una grotta presso il mare, nella parte sud-occidentale dell’isola di Ortigia. Simbolo della città sin dai tempi della fondazione greca (734 a.C.), la fonte è cantata da molti poeti, affascinati dalla leggenda di Aretusa e dal luogo incantevole. Secondo la mitologia, la ninfa Aretusa – fedele ancella di Artemide –mentre faceva il bagno, fu scorta dal dio fluviale Alfeo, che se ne invaghì e tentò di sedurla contro la sua volontà. Per salvarsi da Alfeo, Aretusa fuggì ad Ortigia, in Sicilia, dove Artemide la tramutò in fonte. Zeus, commosso, mutò Alfeo in un fiume della Grecia (presso Olimpia),

permettendogli così di raggiungere Aretusa, scorrendo sottoterra.

PALAZZO BELLOMO

Palazzo Bellomo è situato nella parte centrale di Ortigia. Inizialmente era proprietà della famiglia nobile Bellomo, di cui conserva

tuttora il nome; è stato poi ceduto ai frati insieme a palazzo Parisio andando a creare il monastero benedettino; successivamente è

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stato comprato dal re di Sicilia Francesco d'Aragona che lo ha poi donato alla moglie

come regalo. Per questo si uniscono elementi medievali a elementi gotici e svevi.

.FORO ROMANO

Inizialmente l'agorà si trovava nel quartiere di Ortigia, ma per volontà di Gelone, tiranno di Siracusa dal 485 a.C. fino alla sua morte, il foro venne spostato ad Acradina, una delle cinque città che formavano Siracusa. Il foro siracusano è stato testimone delle Verrine di Cicerone, ovvero delle sue orazioni contro Verre. Con la seconda guerra punica Roma aveva riconquistato l'intera isola e aveva

mandato due pretori a governare la città. Tra questi c'era Gaio Licinio Verre, il quale commise atti di ruberie e concussioni in nome del potere che Roma gli aveva dato. Indignato Cicerone, avvocato e politico romano, venne mandato in Sicilia dal senato romano per testimoniare contro Verre. Inoltre Cicerone descrive il foro come immenso e accerchiato da portici.

LATOMIA DEL PARADISO

Una latomia è una cava di pietra o di marmo; il termine deriva dal greco las = pietra e dal verbo temno = tagliare. Le latomie di Siracusa sono le più importanti e furono utilizzate a partire dal V secolo a.C. Divennero celebri soprattutto dopo la guerra del Peloponneso quando Sparta vinse Atene e i suoi soldati furono fatti prigionieri e mandati a lavorare nelle latomie. Le latomie furono utilizzate fino all'epoca romana per costruire la cinta muraria di Siracusa, alcuni monumenti e il quartiere di Neapolis. La latomia del Paradiso si chiama così perché è situata in un luogo lussureggiante e ricco di vegetazione che appunto ricorda il paradiso.

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TEATRO GRECO DI SIRACUSA

L'esistenza di un teatro a Siracusa viene menzionata già alla fine del V secolo a.C. dal mimografo Sofrone, che cita il nome dell’architetto, Damocopos. Non è dimostrato, però, che il passo ricordi questo monumento, potendosi pensare ad altro teatro posto in un altro luogo. Sembra che il teatro sia stato sottoposto a un intervento di ristrutturazione nel III sec. a.C. dopo il 238 e certamente prima della morte di Ierone II nel 215 a.C. La sua costruzione era stata progettata tenendo conto sia della forma naturale del colle Temenite, che della possibilità di sfruttare al

massimo l’acustica. Tipica caratteristica dei teatri greci è anche la valorizzazione della visione panoramica, cui il teatro di Siracusa non doveva essere esente, offrendo la visione dell’arco del porto e dell’isola di Ortigia, oggi non visibili. La cavea aveva un diametro di 138,60 metri, uno dei più grandi del mondo greco, ed era in origine costituita da 67 ordini di gradini, per la maggior parte scavati nella roccia viva e divisi in 9 settori ("cunei") da scalinate. A metà altezza correva una precinzione ("diazoma") che la divideva in due settori.

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RAPPRESENTAZIONE TEATRALE AL TEATRO GRECO DI SIRACUSA

“EDIPO RE”

“L’inesorabile onnipotenza del Fato, la forza devastante della verità, la precarietà della condizione umana”.

Dell’Edipo Re, ritenuto un capolavoro tra tutte le tragedie sofoclee, colpiscono la chiarezza dell’analisi razionale e la percezione delle oscure forze che le sfuggono, non comprensibili nella loro completezza dalla mentalità umana. Venuto a conoscenza dall’oracolo di Delfi di essere destinato ad uccidere il padre e a unirsi alla madre, Edipo fugge da Corinto, all’insaputa dei genitori Polibo e Merope. Lungo il cammino, il giovane ingaggia una lite con dei viandanti, uccidendo l’uomo più anziano. Sconfitta la Sfinge, che opprimeva la città di Tebe, riceve in premio il regno e la mano della regina Giocasta, rimasta vedova di Laio, generando con essa figli. Passati diversi anni, un servo della casa di Polibo annuncia ad Edipo la morte del sovrano di Corinto. Rallegratosi inizialmente per la notizia che smentiva l’oracolo, Edipo viene a sapere di essere in realtà figlio di Laio, l’uomo che ha ucciso per errore, e di Giocasta, sua moglie e madre. Disperato per la sconcertante verità e la conseguente impiccagione di Giocasta, Edipo decide di punirsi accecandosi con le fibbie della veste della madre. Chi avrebbe mai pensato che dopo più di duemilacinquecento anni la rappresentazione di questa tragedia ci avrebbe condotti indietro nel tempo e avrebbe reso noi stessi cittadini di Tebe che assistono alla drammatica sorte del loro re? Suggestivi sono stati il teatro, l’accurata scenografia, i costumi e soprattutto l’interpretazione degli attori, che hanno contribuito a dare nuova vita a un così grande capolavoro. La tragedia ha avuto luogo nel teatro greco di Siracusa, costruito nella sua prima fase nel V secolo a.C., sulle pendici del colle Temenite, modificato nel III secolo a.C. e in seguito in epoca romana.

L’ambientazione è stata abilmente sfruttata da parte del regista Daniele Salvo tramite la creazione di una scenografia che ben si amalgama con il contesto del teatro.

La scenografia è dominata da una grande testa di Sfinge, non si sa se emersa dal suolo o rovinata lì da una alto luogo. Tre scale che non portano da nessuna parte, distribuite nello spazio, accentuano il carattere metafisico dell’immagine. Affascinano inoltre lo spettatore gli effetti scenici realizzati: giochi di fiamme, fiaccole, luci, fumo e soprattutto le lacrime di sangue che scendono dagli occhi della statua della Sfinge.

La scena è dominata dal colore nero della maggior parte dei costumi che consente di ottenere un’atmosfera irreale, onirica, e di infondere al contempo non solo il senso della malattia e del lutto, ma anche del mondo notturno. La complessità del testo richiede una compagnia di altissimo livello, che sappia portare alla luce le più nascoste connessioni e tutte le possibili ambiguità dell’opera. Edipo Re è considerata infatti la madre di tutte le tragedie e come tale va affrontata, con un serissimo e profondissimo lavoro di ricerca recitativa da parte di tutti gli interpreti. Il sistema dei personaggi è aderente al testo di Sofocle, ad eccezione dello spettro della Sfinge, che inizialmente rappresenta la peste, flagello di Tebe, mentre in seguito assume il ruolo di demone vendicatore dei delitti familiari. Tale personaggio può essere paragonato ad “αλαστωρ”, demone presente nelle “Eumenidi” di Eschilo. Nella conclusione, Edipo esce di scena da una porta posta sullo sfondo, oltre la quale un’abbagliante luce collega antefatto e post-fatto mitico, preannunciando l’entrata dell’eroe nel luogo sacro, che avverrà nell’Edipo a Colono. La musica rende l’atmosfera ancora più tragica e solenne, così come il drammatico e profondo canto del coro durante gli stasimi, che invita gli spettatori

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alla riflessione sulle vicende rappresentate. I canti in greco antico accentuano l’angoscia dei personaggi e il clima di mistero che aleggia sin dal principio sulla scena e nell’animo di chi osserva. Il brivido di un’esperienza così toccante rende ancora più prezioso il ricordo del passato.

La già coinvolgente trama della tragedia è stata arricchita dalle musiche suggestive cantate dal coro durante gli stasimi e dalla presenza di un personaggio che non compare in origine nel testo della tragedia: lo spirito della sfinge. Esso all'interno della rappresentazione assume il valore di personificazione della peste e della morte intervenendo nei momenti cruciali della storia e anche durante gli stasimi, cantando l'autentico testo greco di Sofocle, nei versi 180 e 1080, cosa che aumenta la forte emozione provocata dallo spettacolo; tutto ciò incorniciato dal paesaggio della riviera siracusana.

Il profondo messaggio trasmesso dal testo originale traspare efficacemente anche dalla rappresentazione della tragedia. La sconvolgente storia di Edipo vuole farci capire in primo luogo che anche un uomo arrivato al culmine della sua fama e prestigio può ritrovarsi nella più terribile disgrazia per il volere del fato. Portando come esempio la drammatica sventura di Edipo, Sofocle vuole dirci che il più grande dolore è quello che noi stessi ci arrechiamo. Inoltre, come dichiara lo spirito della Sfinge alla fine dello spettacolo:" Onde non si stimi felice nessun mortale guardando al giorno estremo, prima che abbia trascorso il termine di vita senza aver sofferto nulla di doloroso". Ciò che vuole dire

lo spirito della Sfinge, nella tragedia originale il Corifeo, è che ad un uomo potrebbe capitare qualunque cosa in qualunque giorno della sua vita per volere del destino, e dunque avvisa gli uomini di non giudicare mai un uomo prima che la sua vita sia giunta al termine. Nel caso di Edipo infatti la sua esistenza viene completamente sconvolta nel lasso di poco tempo, poiché scopre di essere marito e figlio di Giocasta, padre e fratello dei suoi figli.

Osservando il comportamento di Edipo si può notare il suo doppio ruolo di investigatore – colpevole, e quindi la tragedia può essere considerata il primo giallo della storia.

Il dramma vuole anche rappresentare l'ostinazione dell'uomo anche di fronte ad una verità evidente ma scomoda. L'esempio piú lampante di ciò si può individuare nella discussione tra Tiresia ed Edipo, in cui Edipo nega la terribile profezia annunciata da Tiresia anche se sembra combaciare con la realtà dei fatti. D'altra parte però, in contrapposizione all'ostinazione, si trova la voglia di sapere di Edipo; la tragedia, infatti, è incentrata sulla ricerca della verità: Edipo, indagando senza sosta sull'assassinio di Laio, viene a conoscenza della sua vera identità e del suo sciagurato fato.

Da questa tragedia si ricava anche un interessante scorcio di psicoanalisi umana. Sigmund Freud ricavò dall'opera greca la denominazione di "complesso di Edipo", perifrasi che indica quella tendenza psichica maschile presente in età infantile di aggredire il padre per godere appieno dell'affetto materno (opposto al complesso di Elettra che si manifesta nel sesso femminile).

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Noto è caratterizzata dalla numerosa presenza di chiese e monasteri di ricostruzione recente, in seguito al terremoto del 1693. Dall’alto della

chiesa di S. Chiara abbiamo potuto ammirare due differenti realtà, la Noto antica e quella costruita negli ultimi anni.

Monumentale e maestosa è la chiesa di S. Giorgio a Ragusa che si innalza sulla piazza principale alla cima di una grande scalinata. Ci ha colpito inoltre il Circolo di Conversazione, il primo nato a questo scopo,

dal quale si diffondevano le notizie provenienti dall’Europa.

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QUARTO GIORNO 30 Maggio

Visita del Centro Storico di Noto: San Francesco, Corso Vittorio Emanuele, Piazza

del Municipio, Palazzo Ducezio, Duomo, Piazza XVI Maggio, Fontane d’Ercole, Chiesa di San Domenico;

Visita di Ragusa: Cattedrale, Santa Maria delle Scale, San Giorgio, San Giuseppe.

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DUOMO

L'edificazione della grandiosa basilica barocca ebbe inizio nei primi anni del Settecento e fu ultimata nel 1776. La tipologia della facciata è a torri laterali ed è riferibile ad alcune composizioni francesi del Settecento, cui si ispiravano gli architetti del tempo. È coronata da quattro statue eseguite dallo scultore Giuseppe Orlando e raffiguranti gli evangelisti. La planimetria è a croce latina e a tre navate. Nel 1996 il crollo di uno dei piloni,

a causa di un grave difetto costruttivo mai notato in precedenza, per effetto domino trascinò con sé l'intera cattedrale, lasciando miracolosamente in piedi solo una piccola parte del tamburo. Dopo i lavori di ricostruzione si presenta infatti completamente bianco, così com'era prima della realizzazione dei decori negli anni cinquanta.

Veduta su Palazzo Ducezio (a sinistra) e sul Duomo (a destra)

PALAZZO DUCEZIO

Palazzo Ducezio, sede del Municipio è stato realizzato intorno al 1760. Il salone denominato Sala degli Specchi, a pianta ovale, fu arricchito di stucchi ed ori di stile Luigi XV e di sontuose specchiere alla fine del XIX secolo. La pittura centrale sulla volta, realizzata nel 1826, raffigura una allegoria di Ducezio, re dei siculi, al quale un ufficiale del genio mostra il sito di Neas sul monte Alveria,

sito sul quale in età pre-ellenica, sarà riedificata la città fortificata di Noto Antica, per difendersi dall'attacco dei Greci. La Sala degli Specchi è il salone di rappresentanza della città, e continua oggi ad ospitare delegazioni illustri e manifestazioni di pregio, come la firma del protocollo d'intesa tra gli Otto Comuni UNESCO per la creazione del distretto culturale.

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CORSO VITTORIO EMANUELE E PORTA REALE

Corso Vittorio Emanuele è l’asse portante della città di Noto, scandito da tre piazza e numerosi edifici barocchi. Segna l’inizio del lungo rettilineo l’imponente Porta Reale, monumentale ingresso ad arco di trionfo, eretto nel 1838 in onore di Ferdinando II di

Borbone. La porta è sormontata da un pellicano, simbolo dell'abnegazione nei confronti di Re Ferdinando. Ai due lati si trovano una torre, simbolo di fortezza ed un cirneco (antica razza canina siciliana), simbolo di fedeltà.

CHIESA DI S. CHIARA

Fu progettata da Rosario Gagliardi intorno al 1730 e venne conclusa nel 1758. La chiesa è annessa al preesistente monastero benedettino. L’interno presenta una pianta ovoidale, piuttosto piccola, ma di grande bellezza. Lo stile architettonico barocco si riconosce maggiormente all’interno, grazie alle numerose decorazioni con stucchi e putti. Sulle dodici colonne interne sono presenti le

statue degli apostoli. L'esterno è caratterizzato dalla presenza di una torre campanaria, ornata negli angoli da due capitelli. Nell'altare di destra è conservata la pala del 1854 I Santi Benedetto e Scolastica, del pittore palermitano Salvatore Lo Forte. In quello di sinistra è invece custodita una Madonna col Bambino cinquecentesca in marmo attribuita a Antonello Gagini.

CHIESA DI S. DOMENICO

La chiesa venne costruita tra il 1703 e il 1727 nella piazza XVI maggio ed è considerata una delle più importanti costruzioni del barocco di Noto. Nacque come chiesa conventuale dei Padri Domenicani (ordine religioso mendicante). La facciata è composta da due ordini di colonne, uno ionico e uno dorico. L’interno è a pianta a croce greca, cioè con i quattro bracci della stessa misura, ed è composta da cinque

cupole con degli altari laterali e dipinti settecenteschi. Il bianco è il colore predominante, e tutto l’interno è decorato da stucchi. Accanto si trova l’ex convento dei Padri Domenicani, oggi adibito a scuola. Nel convento si trovano dei mobili settecenteschi e un lavabo del ‘600. È caratterizzato da un portale composto da bugne, cioè pietre sporgenti lavorate.

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RAGUSA - IBLA

Ragusa Ibla, in siciliano “Iusu”, ovvero “che giace sotto”, è la città antica di Ragusa, il suo nucleo originario. È situata sull’altura più bassa ad est e ha mantenuto quasi intatta l’accidentata planimetria medievale e l’aspetto settecentesco, barocco, dovuto alla sua

ricostruzione dopo il fortissimo terremoto del 1693. Il quartiere contiene oltre cinquanta chiese. Molte scene della serie televisiva “Il commissario Montalbano” sono state girate tra le strade di questa barocca cittadina.

PALAZZO NICOLACI

L'edificio è nato come residenza nobiliare urbana della famiglia Nicolaci la quale ha mantenuto la proprietà di un’ala, cedendone l’altra al Comune di Noto. Il palazzo è decorato da diverse balconate con decorazioni magnificamente realizzate e rinchiuse dalla sinuose inferriate ricurve. I mensoloni costituiscono la manifestazione più estrosa ed accentuata del barocco. Le tre serie a destra del portale (il cui architrave,

sostenuto da colonne, è sormontato da un fregio di grifoni in bassorilievo) raffigurano nell'ordine: Sirene, cui i capelli fluenti sulle spalle danno un senso di levità; Chimere, Mascheroni grotteschi. Le tre serie di sinistra (a cominciare dalla più interna): Centauri, dal volto atteggiato a grande sofferenza, Ippogrifi, con le zampe anteriori aggressivamente protese, Sfingi dal volto di bimbo e lo sguardo enigmatico e assente.

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La sfarzosità di Palazzo Nicolaci

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CHIESA DI S. GIORGIO

Fino al 1693 la chiesa sorgeva all'estremità est dell'abitato, dove si trova ancora il grande portale quattrocentesco, di stile gotico-catalano, unica vestigia rimasta dell'antico tempio in seguito al terremoto. Nel 1744 la chiesa venne costruita in una posizione più centrale, con il progetto di Rosario Gagliardi. Il progetto del Gagliardi è caratterizzato dalla monumentale facciata "a torre" che ingloba il campanile nel prospetto e termina con una

cuspide a bulbo, richiamando i tabernacoli lignei, seicenteschi, delle chiese cappuccine. Due coppie di volute fanno da raccordo tra i diversi livelli ospitando, rispettivamente, le statue di S. Giorgio e San Giacomo, in basso, e quelle di S. Pietro e S. Paolo, in alto. Sulla navata centrale prospetta il grande organo a 3368 canne, capolavoro della ditta "Serassi" di Bergamo, che lo volle chiamare "Organum maximum".

CHIESA DI S. GIUSEPPE

Fu edificata a partire dal 1756, per iniziativa delle monache Benedettine dell'attiguo monastero, occupando parte del luogo in cui, prima del terremoto sorgevano la chiesa di San Tommaso ed il suo campanile; i lavori si conclusero nel 1796. La facciata a tre ordini, ricca di intagli e sculture, è ornata dalle grandi statue dei Santi dell'ordine Benedettino: San Benedetto e San Mauro in alto, Santa Gertrude e Santa Scolastica in basso. Mentre due statue più piccole, ai lati del portone d'ingresso, raffigurano S.

Gregorio Magne Sant'Agostino. L'interno rispondente ai canoni dell'architettura monastica, è caratterizzato dalla pianta ovale, che permetteva alle monache, poste nel grande coro sopra il vestibolo d'ingresso e nei coretti laterali, di poter seguire agevolmente i riti sacri senza essere viste. La copertura è costituita da una grande volta a cupola, al centro della quale si trova un affresco di Sebastiano Monaco (1793) che raffigura la Gloria di San Giuseppe con San Benedetto.

CIRCOLO DI CONVERSAZIONE

Palazzo costruito in stile neoclassico, risale al 1850 quando i nobili e gli aristocratici di Ragusa desideravano riunirsi in un luogo per poter discutere lontani dalla gente comune. Situato in Piazza Duomo, una delle principali della antica Ragusa, questo luogo unico nel

suo genere è frequentato soprattutto le persone di una certa età. Ampi saloni dedicati a lettura, giochi e conversazione si alternano a corridoi. L'interno del circolo è arredato con particolare gusto di stampo nobiliare.

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Per il nostro comportamento all’insegna del decus e della dignitas, abbiamo ottenuto in premio qualche ora di sole nella splendida spiaggia di Giardini Naxos;

ci siamo goduti la fresca acqua del mare siciliano, ancora inconsapevoli che mancassero pochissime ore prima di dover lasciare quella calda isola. Dopo tuffi

e schizzi, ci siamo recati ancora con la sabbia addosso a Taormina, cittadina meravigliosa, molto apprezzata anche da Goethe. Qui abbiamo trascorso il

nostro ultimo pomeriggio; ascoltando le parole di ‘’Viaggio in Italia’’ del sovra citato autore, abbiamo ammirato da un’altura l’immenso mare blu che si

estendeva davanti ai nostri occhi. Dato che l’ora della partenza si avvicinava, abbiamo ripercorso il centro di Taormina, dal teatro alla piazza, osservando con

sempre crescente curiosità gli scorci della caratteristica città sicula. L’arrivo all’aeroporto e la consapevolezza dell’imminente ritorno a scuola ricadde su di

noi in modo piuttosto traumatico. Ma, a causa del ritardo del volo aereo, abbiamo avuto l’opportunità di poter trascorrere ancora qualche ora insieme,

ricordando l’esperienza piacevolmente trascorsa.

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QUINTO GIORNO 31 Maggio

Sacrifici umani al Dio Poseidone presso Giardini Naxos Visita di Taormina

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TAORMINA

Diodoro Siculo, nel 14° libro della sua Bibliotheca historica, attesta che i Siculi abitavano la rocca di Taormina, vivendo di

agricoltura e di allevamento di bestiame, già prima dello sbarco dei Greci provenienti dalla vicina città di Naxos.

TEATRO

Il teatro di Tauromenion avrebbe un'origine ellenistica -sulla base dei pochi documenti archeologici potrebbe essere del III secolo a.C. ma si presenta totalmente romano nel suo aspetto oggi visibile. Fu costruito sotto il governo del tiranno Gerone II. Una prima ricostruzione dell'edificio si ebbe in età repubblicana o primo Impero, forse sotto Augusto, per poi essere ampliato nella prima metà del II secolo a.C. nelle forme oggi note. In pieno e tardo Impero l'edificio venne

adattato ad ospitare le venationes (spettacoli di lotta tra gladiatori e bestie feroci), trasformandosi in un vero e proprio anfiteatro: l'orchestra venne mutata in arena sostituendo le gradinate inferiori con un corridoio. Durante il Medioevo, l'edificio scenico e le due turris scalae vennero riutilizzate per ricavarne un palazzo privato. Dal 1983 è sede di Taormina Arte, manifestazione di spettacoli che si svolge tutti gli anni nel periodo estivo.

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VIAGGIO IN SICILIA 27-31 MAGGIO 2013 CLASSI VB E VD

LICEO CLASSICO STATALE A. CANOVA 37

Taormina, 7 maggio 1787

Superata l'alta parete di roccia che s'innalza a picco non lontano dalla spiaggia, si trovano due roccioni collegati da un semicerchio, la cui forma, qualsivoglia

fosse per natura, è stata trasformata dall'arte in modo da farne un emiciclo ad anfiteatro destinato agli spettatori; con l'aggiunta di muri e d'altri annessi in

mattoni si ottennero i corridoi e i porticati necessari. Ai piedi e trasversalmente all'emiciclo a gradini fu costruita la scena, unendo le due rocce e completando

così una gigantesca opera d'arte e natura. Se ci si colloca dal punto più alto occupato dagli antichi spettatori, bisogna riconoscere che mai un pubblico di

teatro si vide davanti qualcosa di simile. Sul lato destro si affacciano castelli dalle rupi sovrastanti; più lontano, sotto di noi, si stende la città e, nonostante le sue

case siano d'epoca recente, occupano certo gli stessi luoghi dove in antico ne sorgevano altre. Davanti a noi l'intero, lungo massiccio

montuoso dell'Etna; a sinistra la sponda del mare fino a Catania, anzi Siracusa; e il quadro amplissimo è chiuso dal colossale vulcano fumante, che nella dolcezza

del cielo appare più lontano e più mansueto, e non incute terrore. Se poi, distogliendoci da questa veduta, ci volgiamo verso i corridoi alle spalle del

pubblico, a mano manca abbiamo tutti i dirupi fiancheggianti la riva sulla quale si snoda la via per Messina; gruppi e balze di scogli nel mare e, lontanissima, la

costa calabra, che solo uno sguardo attento riesce a distinguere dai morbidi ammassi di nuvole(...)In un misero, abbandonato orto contadino mi son seduto

su dei rami d'arancio e mi sono immerso nelle mie fantasie.... Dal "Viaggio in Italia" di Goethe