VIAGGIO DENTRO LA QUOTIDIANITÀ -...

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VIAGGIO DENTRO LA QUOTIDIANITÀ Quando il convitto diventa una possibilità significativa per crescere insieme di Sandra De Carli

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VIAGGIO DENTRO LA QUOTIDIANITÀ

Quando il convitto diventa una possibilità

significativa per crescere insieme

di

Sandra De Carli

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Presentazione

È con orgoglio che presento questo prezioso booklet,frutto del lavoro della dott.ssa Sandra de Carli, stimataconsulente pedagogica dell’Opera, con il preziosocontributo delle educatrici dei convitti di Rovereto, chevuole mettere in valore e comunicare l’esperienza diricchezza fatta all’interno delle strutture convittuali gestitedell’ente.

Nonostante le difficoltà di natura organizzativa egestionale incontrate in questi ultimi anni, infatti,l’ostinazione con la quale l’ente ha voluto conservarequesto servizio del Convitto ha reso possibile la nascita diun modello educativo ancora più attento ed efficace, la cuidignità è confermata anche dall’importante certificazionedi qualità UNI EN ISO 9001.

L’auspicio è che la presenza e l’attività dell’Opera ArmidaBarelli possa continuare a portare frutti importanti eduraturi anche grazie a questa significativa testimonianzasul lavoro educativo che nelle strutture convittuali vieneportato avanti, ogni giorno, con pazienza e costanza,avendo come unica preoccupazione quella di contribuirealla crescita umana e sociale degli studenti.

Il Direttore dell’Opera Armida Barellidott. Bernardo Zanoner

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Prefazione

L’idea di questo booklet è nata dal desiderio di farconoscere e custodire la bellezza del lavoro educativoeffettuato nel corso degli anni all’interno dei convittidell’Opera Armida Barelli 1 . Si tratta di un’attivitàall’apparenza semplice, perché svolta nelle situazioni piùnormali che caratterizzano le giornate degli adolescenti, main realtà colma di una profondità che, sovente, solo unocchio attento e interessato è in grado di cogliere.

Si è voluto, dunque, dare visibilità a questo sforzopaziente, tenace, che porta frutti nel lungo periodo – senon, addirittura, quando gli allievi hanno già concluso daanni la scuola e la relativa permanenza in convitto – percondividere con i genitori e i ragazzi uno sguardo positivoe una posizione umana che consentano ad entrambi divivere questa situazione come un’opportunità di crescitasecondo più aspetti: personale, culturale, nella capacità dientrare in relazione con l’altro e di affrontare le novitàserenamente. Infatti, se i protagonisti principali dell’azioneeducativa sono, com’è ovvio, i ragazzi, occorre ricordareche anche i genitori sono coinvolti nel percorso dei figli evengono da esso trasformati, che ne siano coscienti oppure

1 L'Opera Armida Barelli gestisce tre convitti sul territorio provinciale,uno a Levico Terme e due a Rovereto (denominati "Casa Madre" e"Ginestre"), che ospitano sia ragazzi che ragazze, con prevalenza diqueste ultime.

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no. Laddove i soggetti educanti sono molteplici èindispensabile che siano consapevoli di questo e chevogliano e sappiano collaborare creando sinergia,altrimenti correranno il rischio di vanificare l’uno l’azionedell’altro, con grave danno per il ragazzo interessato.

L’attività educativa quotidiana di cui si parlerà nellepagine seguenti è stata regolarmente oggetto di riflessionee di confronto negli incontri di super e intervisione, ma invista di questo lavoro le educatrici hanno ripercorso il lorooperato tracciando alcune linee fondamentali del loroessere figure adulte – con una esplicita responsabilitàeducativa – e della loro modalità di approccio conadolescenti costretti dalla loro scelta scolastica a trascorrerealcuni anni in convitto, lontani dall’unico ambiente che,fino a quel momento, è stato per loro familiare.

Il quadro che ne è risultato non è – né vuole essere –un trattato di psicologia o di pedagogia, poiché non è natodall’elaborazione di una quantità di dati raccolti e posti aconfronto per verificare ipotesi precedentementeformulate. Al contrario, il contenuto è andato sempre piùprecisandosi all’interno di alcune riunioni di équipe in cuiavevo chiesto alle educatrici di raccontarmi la loroprofessionalità, di dare forma con le loro parole alla figuradell’educatore in convitto, di condividere degli episodisignificativi, che mettessero in evidenza quali elementipossono, in un certo qual modo, favorire un’esperienzapositiva in convitto e quali invece introducono criticità o

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addirittura impediscono lo sviluppo di un clima sereno ecostruttivo.

Ringrazio in modo particolare le educatrici dei dueconvitti di Rovereto, che hanno lavorato per elaborarequesto strumento con grande disponibilità, voglia dimettersi in gioco e di confrontarsi, e con la stessa passionedi cui impregnano quotidianamente la loro azioneeducativa. Un grazie, quindi, a Cristina Bertolini, MiriamBertolini, Lorenza Ciaghi, Lucia Franzinelli, Chiara Iseppi,Lidia Monegatti.

Sandra De Carli

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LE LINEE EDUCATIVE DEI CONVITTIDELL’OPERA ARMIDA BARELLI

L’Opera Armida Barelli ha delineato al suo interno leseguenti linee educative, trasversali a tutte le attività chesvolge al suo interno, e che quindi rappresentanol’orizzonte entro il quale intende muoversi ogni azione eattività educativa anche in convitto.

«La concezione educativa dell’Opera Armida Barellisi fonda sul riconoscimento che:

• ogni persona, nella sua unicità, ha un valore inalienabilee un destino di bene che si realizza nel tempo e nellecircostanze;

• la dimensione comunitaria è costitutiva della personaed il rapporto con gli altri è quindi una fondamentalemodalità di crescita e di arricchimento.

L’Opera si pone quindi, in estrema sintesi, la finalitàdi:

• accompagnare la persona nel prendere coscienza delproprio valore e della propria dignità;

• favorire la capacità della persona di rapportarsi agli altried alla realtà tutta in modo libero, positivo eresponsabile;

• sostenere la persona nella ricerca della propria pienarealizzazione.

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Questa finalità si declina, naturalmente, in obiettivispecifici ed in modalità operative adeguate alle persone cuiil servizio è rivolto.

Per quanto riguarda i convitti, che ospitano personeadolescenti, l’azione educativa è mirata a far sì chel’ospite:

• si senta accolto e seguito con rispetto e considerazione;

• sviluppi la conoscenza e la stima di sé: dei propribisogni, desideri, limiti, potenzialità; .faccia esperienzadi rapporti interpersonali positivi, educandosiall’accoglienza, alla solidarietà, alla valorizzazione dellaspecificità di ognuno;

• maturi un atteggiamento di attenzione ed interesse neiconfronti di persone, cose e fatti, a partire da ciò che lotocca più da vicino;

• sia consapevole che ogni forma di vita sociale, siaspontanea che organizzata, comporta diritti e doveri dalcui rispetto dipende il benessere del singolo e dellacomunità;

• mantenga e rinforzi la motivazione ed il necessarioimpegno nei confronti della propria attività, di studio edi lavoro.

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IL LAVORO EDUCATIVO IN CONVITTO

Le riflessioni emerse dal confronto con le educatricisintetizzano la sostanza del loro lavoro e i tratti essenzialidella figura dell’educatore con le sue caratteristiche ecompetenze.

L’intento che muove la relazione educativa con gliadolescenti è quello di far incontrare loro degli adulti che,nonostante siano diversi rispetto a quelli conosciuti fino aquel momento ed estranei alla loro famiglia, si ponganocon un atteggiamento positivo nei loro confronti. Si tratta,quindi, di inserire figure positive nella già esistente cerchiadi relazioni dei ragazzi, proponendo un rapporto con adulticompetenti… nell’essere adulti. Questo genera una possibilità dicrescita, dove il processo di maturazione avviene insieme,in un clima che si può a buon diritto definire familiare puressendo quello di un luogo che non è la famiglia.

È un tempo prezioso quello che i ragazzi trascorronoin convitto: negli anni di scuola, infatti, essi passano piùtempo lì che a casa, ed è importante che gli educatoriabbiano ben presente questo dato di fatto e aiutino iragazzi a non “sprecare” l’occasione che hanno dinanzi asé.

In buona sostanza, si tratta di voler bene ai ragazzi nelsenso di volere il loro bene, dentro la condivisione dellaquotidianità in una comunità ben più ampia e variegata delloro nucleo familiare, una realtà a loro del tutto

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sconosciuta. È un voler il loro bene nello stare insieme,sapendo condividere gli aspetti positivi e negativi, le gioie ele sofferenze di quella nuova condizione che, in qualchemisura, non hanno abbracciato liberamente (nondimentichiamo che l’opzione del convitto è sempreconseguente alla scelta scolastica). Diventa cosìfondamentale mettere in campo tutti quegli strumenti checaratterizzano una relazione educativa, come l’empatia,l’ascolto, la voglia di confrontarsi, la fermezza e lapazienza, cercando di costruire un clima in cui entrambi iprotagonisti – ragazzi e adulti – respirino entusiasmo,ottimismo, speranza, positività nei confronti della vita edelle possibilità per ciascuno di realizzarsi, di cambiare, diessere.

Ecco allora che tutte le attività che possono e devonoessere proposte, da quelle più ludiche all’aiuto allo studio,diventano opportunità per costruire legami significativi ecapaci di accompagnare i ragazzi nella loro crescita perchéfavoriscono un cambiamento positivo.

Un contributo fondamentale che l’educatore puòriversare nel rapporto con i ragazzi è sicuramente quello dipromuovere condivisione e l’acquisizione di chiavi dilettura diverse rispetto a quelle normalmente diffuse dallamentalità comune, nella consapevolezza che i germi dibene, di bontà, di crescita, di speranza, di stima, direalizzazione che verranno seminati, porteranno frutto,nella maggior parte dei casi, quando la relazione educativasarà terminata. Si tratta di operare nella relazione con una

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generosità che desidera instancabilmente il bene dell’altro,sperando nella sua realizzazione pur senza aver la certezzadell’esito. Analogamente a quanto accade nella relazionetra genitori e figli: quanto di ciò che viene trasmessonell’infanzia ed è a volte tollerato a fatica dai figli, ritornadopo molti anni come eredità preziosa, come trattodeterminante del proprio essere adulto!

Una svolta importante attuata dall’Opera ArmidaBarelli in questi ultimi anni è consistita nel mettere alcentro dell’attenzione, più che la proposta di attivitàludico-sportive (peraltro offerte ai ragazzi in modocontinuativo), un’attenzione alla quotidianità del vivereinsieme, riconoscendo significatività a tutti quei momenti eluoghi che spesso rischiano di essere svuotati di unapossibilità educativa, a volte anche all’interno delle stessefamiglie, ma che in realtà costituiscono la trama di qualsiasipercorso di crescita.

Ecco allora che, in questa prospettiva, il rientro dascuola diviene un momento privilegiato di accoglienza, dicontatto, così come la cena, il dopo cena e il giro dellabuonanotte diventano modalità di incontro, dicondivisione. Le stesse attività che vengono proposte sonoanzitutto l’occasione di entrare in relazione con i convittorie vengono valutate nella loro efficacia non tanto – o nonsolo – a partire dal successo delle iniziative in sé, ma pertutto quello che accade prima e durante la loro attuazione:l’individuazione degli interessi dei destinatari, l’ideazionedel progetto, la proposta, l’invito a partecipare, la

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realizzazione e il coinvolgimento degli altri convittori, leconversazioni che accompagnano i vari momentidell’organizzazione e dello svolgimento. Tutto è,oggettivamente, occasione di costruzione ed educazione, apatto che ce lo si ponga come obiettivo esplicito, e nessunaattività prettamente educativa, per quanto ben organizzatae professionalmente concepita, è in grado di produrre dasola – vale a dire senza un cuore e una mente vigili che laconducano – esiti apprezzabili dal punto di vista educativo.

In un contesto di questo tipo il convitto rappresentasicuramente la possibilità di intraprendere un percorso dicrescita attraverso delle sfide specifiche, che cambiano dianno in anno. Inizialmente il convittore si trova adaffrontare un processo di inserimento in una realtà nuova enormalmente sconosciuta, dove deve imparare una serie dicose importanti e nuove: rapportarsi con altre persone, dietà diverse e di varia provenienza; gestire la proprialontananza da casa; condividere la stanza con altri; adattarsia regole comuni; affrontare una nuova autonomia anche suaspetti quotidiani (rifare il letto, tenere in ordine la camera,rispettare lo spazio altrui, preparare la valigia, amministrarei soldi a propria disposizione…).

Il secondo anno, spesso, vede gli adolescenti più sicuridi sé e capaci di affrontare la realtà convittuale, ma altempo stesso inquieti perché ancora alla ricerca di unapropria identità: non sono più “i piccoli”, i “primini” –come vengono affettuosamente definiti -, spaesati davantial nuovo, ma non sono ancora grandi come gli ospiti di

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terza e rischiano, così, di passare un anno in cui faticano ariconoscersi come persone capaci di incidere sulla vita diconvitto. È una fase di passaggio importante, che spessorappresenta una rampa di lancio per accedere al terzoanno, dove la conclusione del percorso si fa via via piùprossima, così come l’esigenza di essere sempre piùautonomi si insinua in ogni aspetto della vita quotidiana,mettendo in evidenza i progressi e le fragilità su cui ènecessario lavorare ancora.

Nelle prossime pagine vogliamo presentare la vita diconvitto attraverso la narrazione di alcune esperienze fattenegli anni scorsi nei convitti di Rovereto2 , in modo daoffrire un’esemplificazione di come le educatrici cercano dicostruire una relazione efficace con i convittori e irispettivi genitori e della possibile esperienza che unragazzo può fare negli anni di permanenza in convitto.

2 Nei racconti sono stati modificati i nomi e alcuni particolari per nonrendere riconoscibili le persone coinvolte.

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VIVERE LA QUOTIDIANITÀ

«La mattina, chiudendo la porta dell’ufficio per andare a casa,l’educatrice ripensa che, come accade spesso, Anna e Patrizia sonouscite di nuovo sul filo del rasoio per andare a scuola perché ancorafaticano a mettersi d’accordo su chi per prima debba andare in bagno;sforzo comprensibile, soprattutto sapendo che sono figlie uniche e dallaloro condizione di famiglia a tre sono state catapultate in una realtàcon una cinquantina di compagne con cui convivere!

Anche il rientro da scuola, nel pomeriggio precedente, è statocome sempre un po’ caotico: l’educatrice ha dovuto giocare un po’“all’incastro” per ascoltare sia le novità di Beatrice sul suo nuovocucciolo di casa, sia per concordare con Veronica l’ora studio per iltardo pomeriggio.

Dal modulo che registra le entrate e le uscite giornaliere,l’educatrice aveva poi visto che le allieve della stanza 205 non eranorientrate dopo la scuola: come già preannunciato, erano andate aTrento per fare shopping e la sera, in ufficio, davanti ad una tazzafumante di the, puntualmente, c’era stato il resoconto dell’uscita edelle vetrine, davanti agli occhi sbarrati e sognanti delle allieve diprima, che ancora non si azzardano ad avventurarsi per la città diTrento!

Ma stamattina, chiudendo la porta dell’ufficio, l’educatrice haanche pensato che quella stanchezza del lunedì sera, che nelle ragazzesi trasforma in “friccicore”, è ormai passata. Ci sarà ancora tempoprima che arrivi il giovedì ed il convitto si trasformi in un grandesalone di acconciatura, dove le allieve reciprocamente si preparano la

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piega per il fine settimana e l’educatrice si trova a fare qualcheconcessione sull’orario del rientro in camera per finire “l’ultimociuffo” e anche l’ultima chiacchierata! A dire la verità, non si trattasolo del lunedì e del giovedì: l’educatrice ha ben presente che la sera iragazzi non escono quasi mai, anzi, molte volte affermano che, sefosse per loro, si fermerebbero in convitto anche il fine settimana.

La cena sembra sempre un momento di festa con la voce che, adire il vero, a volte si alza un po’ troppo, tanto che non è in usualevedere qualche ragazza schizzare fuori dal refettorio per poter parlarecon la mamma in questo momento che, seppur così fugace, diventa ilvero “cordone” che porta la famiglia in convitto ed il convitto infamiglia».

Un racconto semplice, dove la quotidianità viene vistaattraverso gli occhi delle educatrici, protagoniste a lorovolta della vita del convitto in tutti i suoi ritmi abituali:l’alzata al mattino, l’uscita per andare a scuola, il rientro alpomeriggio, le uscite in città, lo studio, lo svolgimento diqualche attività ludica o sportiva, il consumare insieme lacena, qualche chiacchierata, la buonanotte.

Dal racconto emerge come ci sia un’osservazioneattenta delle ragazze, fin nei più piccoli particolari, checerca di cogliere atteggiamenti e comportamenti per intuireil loro stato emotivo e il loro modo di affrontare la vita.Ascoltare i loro racconti, accogliere i loro pensieri e le loropiccole e grandi confidenze, che possono andare dalladescrizione di una vetrina vista in centro allapreoccupazione per la scuola, dalla fatica del rapporto in

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famiglia o con le amiche ai primi innamoramenti, con ilturbinio di emozioni intense che li contraddistingue, non èuna routine che si trascina distrattamente da un giornoall’altro perché “così sono gli adolescenti e i loro discorsi”.

È, invece, la declinazione di uno sguardo educativoimpregnato di maternage, che spesso non viene colto ecapito dalle stesse convittrici né dai genitori. Il lavoroeducativo che si fa pazientemente nell’alternarsi di giornatesimili le une alle altre e di eventi apparentemente pocoimportanti, non si riduce mai alla mera sorveglianza, mavuole essere qualcosa di più incisivo e profondo, chegiunga a costruire relazioni significative con tutti i ragazzi.Essi sono conosciute per nome, per storia, perprovenienza, per la loro particolarità e unicità. Lostrumento primo per arrivare a questo è l’empatia, di cui cisi serve per cogliere il vissuto di quel certo ragazzo in quelpreciso momento, mantenendo un clima di ascolto e diaccoglienza, ma senza abdicare al proprio ruolo di adulto edi educatore.

Il rapporto con i convittori non è paragonabile aquello dell’amicizia, anche se non può non attingere adalcune dimensioni che sono specifiche della relazioneamicale. Ma la cornice in cui si muovono i protagonistirimane quella di una relazione educativa, in cui vicinoall’empatia, alla confidenza, alla familiarità del contestoentro il quale si sviluppa la relazione, si mettono in campoaltre dimensioni, come quelle dell’asimmetria edell’autorevolezza.

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Una problematica che spesso si incontra è la difficoltà,da parte dei ragazzi e a volte dei loro genitori, nel capirel’importanza di rispettare delle regole. Se, infatti, in unambiente familiare possono essere facilmente modulate infunzione di esigenze particolari legate alla situazionecontingente del ragazzo, in un contesto comunitario essesono meno suscettibili di adattamenti e devono essereapplicate con una fermezza che sovente può esserepercepita come rigidità.

Adattare la regola per quel momento, con quellapersona, in quella circostanza è un processo sempre moltocomplesso da gestire, perché ciò che vuole essere unapersonalizzazione adeguata viene percepito esattamentecosì dall’interessato, ma viene letto come privilegio eingiustizia da parte degli altri, che di quella eccezionevorrebbero automaticamente fare una nuova regola validaper tutti.

Inoltre, sempre più i ragazzi vivono la regola comeun’ingerenza pesante nella loro vita: questo atteggiamentoin parte dipende dall’età adolescenziale, in parte rientra nelnaturale percorso di crescita, ma per altri versi è frutto diuna mancanza di confini e dell’idea che il proprio bisognodi quel momento debba e possa determinare la realtà. Insimili situazioni, quello che le educatrici tentano di fare èporsi, di volta in volta, alcune domande: “A questa tuarichiesta di modificare una regola o una decisione giàpresa, o di assecondare un bisogno in un modo inusualerispetto a quanto si fa con tutti gli altri, rispondo in modo

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affermativo per una scelta educativa o perché non sono ingrado di dire di no, perché ho paura di perdere la relazionecon te, perché ho paura di sostenere un eventualeconflitto?”

È importante che l’educatore in questione – e con luil’intera équipe e la famiglia del ragazzo – si ponga questiinterrogativi e sia poi in grado di non sottrarsi allaresponsabilità di agire nel modo più utile ai fini educativi,qualunque esso sia. Ma per far ciò, è necessario avere ilcoraggio di affrontare la crisi, l’eventuale incomprensioneo ribellione e perfino la minaccia di rottura della relazioneda parte dell’adolescente, rimanendo invece presenti contutta la pazienza e la disponibilità della propria persona euno sguardo che non perda mai di vista la complessità.

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UNA TAZZA DI THE

«Giulia sta frequentando il quarto anno “Beauty Operator” edè da poco rientrata dal periodo di alternanza a Londra. Abita in unpaese del Trentino Alto Adige e tra poco compirà diciotto anni.

Quando è arrivata in convitto si è presentata come una ragazzatimida, che faticava a socializzare sia con i compagni sia con leeducatrici. Da subito è stato chiaro che Giulia soffriva di nostalgia edurante il colloquio iniziale aveva confidato all’educatrice che solo ladeterminazione riguardo alla scelta scolastica l’aveva fatta decidereper l’iscrizione. Quando si presenta l’occasione del colloquioconoscitivo con i genitori, l’educatrice tasta il terreno per capire seGiulia ha raccontato a casa del suo disagio. La famiglia conferma equesto permette all’educatrice di suggerire che l’allieva rientri a casa ametà settimana: tale soluzione è già stata collaudata negli annidall’équipe, come strategia che facilita un inserimento più graduale edefficace. I genitori decidono di fidarsi di quanto proposto e, insiemeall’educatrice, comunicano la decisione a Giulia. La nostalgia diquest’ultima si attenua, ma non sparisce e il disagio che permane faincorrere Giulia in frequenti diverbi con la propria compagna dicamera. Emerge inoltre la sua difficoltà ad affrontare direttamentecon l’amica le questioni inerenti la quotidiana gestione della stanza.

Un giorno, al rientro da scuola, un’educatrice coglie l’occasioneper offrire a Giulia un the e fermarsi a parlare un po’ con lei. Ilclima familiare che si instaura subito tra le due tranquillizza Giulia,al punto che la ragazza decide di confidarsi. Dice di essereconsapevole della sua grande timidezza, cosa che le hanno sempre

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fatto notare anche gli insegnanti alle scuole medie, ma aggiunge che inquel momento, con la compagna di stanza conosciuta lì in convitto,quella sua caratteristica le causa una fatica ancora più grande e leinon sa come affrontare la situazione. Quell’occasionale colloquiopermette all’educatrice di provare ad individuare con Giulia dellesemplici strategie, di rassicurare la ragazza sull’importanza diassecondare il suo desiderio di comunicare con la compagna di stanza.Così inizia quel percorso di crescita che, a volte lentamente a volte condelle accelerazioni sorprendenti, porterà Giulia a vivere con maggiorpositività il convitto.

L’anno successivo la ragazza si presenta più matura ed unasera, in ufficio, davanti ad una tazza fumante di the, viene coinvoltadall’educatrice in una scherzosa discussione tra la musica moderna equella passata. Si viene così a sapere che Giulia suona la chitarra giàda qualche anno e l’educatrice ne approfitta per coinvolgerla inun’iniziativa musicale che interessa gli allievi di convitto. All’inizioGiulia si mostra un po’ titubante, teme di sottrarre tempo preziosoallo studio, ma viene prontamente rassicurata. Anzi, questasituazione diventa l’occasione privilegiata per mostrare alla ragazzaaltre possibilità che il convitto offre ad ogni ospite: un aiuto ed unsostegno allo studio, sia da parte delle educatrici sia nel favorire lacostruzione o l’inserimento in un gruppo di studio con altre convittrici.Tutto questo per impedire alla ragazza di lasciarsi imprigionareancora una volta dalla propria timidezza o dalla paura e spingerlaad appassionarsi a un progetto musicale, che risponde ad un suointeresse e le permetterebbe, nel contempo, di costruire nuove relazionifacendo un ulteriore passo nella realizzazione della propriapersonalità.

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Il terzo anno Giulia inizia l’anno scolastico già proiettata versogli esami finali: è intenzionata ad ottenere un buon punteggio e fin dasubito chiede alle educatrici alcune indicazioni per l’impostazione delportfolio e la correzione di alcuni scritti particolarmente difficoltosi perlei. Anche se si ferma meno con le educatrici in ufficio, non mancamai di fare un piccolo resoconto della giornata al momento del “girodella buona notte”. Il rientro dallo stage la vede ancor piùresponsabile e sicura. Così, il terzo anno, tra stage e studio, trascorrein un batter d’occhio! Ed è bello, innanzitutto per lei, ma anche perle educatrici, vedere come quella ragazza timida ora sia in grado diaffrontare un quarto anno e di spingersi perfino verso esperienze distage all’estero».

L’esperienza appena narrata è una possibileesemplificazione di come il convitto possa rappresentarel’occasione di un percorso di maturazione e dicambiamento. Giulia, ma come lei la maggior parte deiragazzi, ha affrontato le diverse sfide che pone lapermanenza in una realtà convittuale lungo tutto ilpercorso scolastico, dal suo inserimento in prima fino allaqualifica in terza e all’eventuale specializzazione.

Giulia ha dovuto superare innanzitutto la distanza dacasa e l’arrivo in una realtà – quella del convitto, ma anchequella della scuola e della stessa città di Rovereto (che, perquanto piccola rispetto ad altre città italiane, rappresentaun ambiente molto più grande e complesso rispetto allarealtà del piccolo paese di una valle del Trentino) –sconosciuta fino a quel momento. Senza gli abitualiriferimenti e sicurezze, il percorso per lei non è stato

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semplice. Tuttavia, ha saputo avvalersi dell’aiuto delleeducatrici e delle strategie che di volta in volta le venivanoproposte. Come abbiamo potuto vedere, negli anni si èmodificato lo stesso modo di relazionarsi con gli educatori,introducendo nella relazione una sempre maggior capacitàdi autonomia e di decisionalità.

Un elemento fondamentale che facilita l’accettazionedel vivere in convitto è sicuramente la motivazione allaprofessione. I ragazzi che lo scelgono conseguentemente –come dovrebbe essere per tutti – alla scelta del percorsoformativo verso il quale sentono una forte propensione,vivono l’esperienza di convitto realmente comeun’opportunità, e le stesse difficoltà che incontrano, purrimanendo tali, spesso si trasformano in possibilità diconfronto e di crescita. Non bisogna, però, dimenticare,che la sinergia con la famiglia d’origine riveste sempre unagrande importanza nell’azione educativa. Spesso, altermine del percorso formativo, si assiste all’acquisizionedi quella che amo definire “tridimensionalità” nell’identità.Se i ragazzi all’inizio hanno bisogno di esserecontinuamente sostenuti per rimanere “in piedi”, lacrescita e la maturazione della loro identità che si attuagiorno dopo giorno, a scuola e in convitto, li porta adassumere profondità e spessore umano, unatridimensionalità appunto, che permette loro di averesicurezza e stabilità a prescindere dalla presenza diqualcuno che abbia la funzione di cavalletto, di appoggio.Non è certamente un processo che arriva alla sua

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conclusione, ma osservando il comportamento nellediverse situazioni, si possono intravvedere aree difunzionalità, come mostra la storia di Giulia appenaraccontata.

Un elemento importante, che consente di garantire unclima positivo in convitto, è la familiarità che si cerca diinstaurare e mantenere attraverso l’empatia, l’ascolto e lacondivisione di quella quotidianità di cui abbiamo parlatopoc’anzi. Non sono pochi gli episodi in cui i ragazzidichiarano che desidererebbero fermarsi anche nel finesettimana oppure fanno affermazioni come la seguente:“Con gli anni cominci a sentirti come in una secondafamiglia”. In altri casi si verificano dei simpatici equivoci:cercata al telefono dall’educatrice, la ragazza risponde: “Storientrando a casa”. E l’educatrice: “Ma non dovevirientrare in convitto?”. “Sì, appunto”, è la rispostasemplice e immediata che arriva dall’altro capo del filo. Stotornando a casa: è chiaro a tutti che il convitto non è lareale casa e che le educatrici e gli altri convittori non sonola reale famiglia, ma ciò che si può trovare in questo luogoè un’esperienza che, pur in modo diverso, ha lo stessogusto di familiarità e di casa che i ragazzi vivono nelproprio domicilio e nella propria famiglia d’origine. Avolte, purtroppo, - non possiamo nasconderlo – addiritturain modo più significativo che nella propria famiglia, a causadi difficoltà gravi che essa sta attraversando proprio in quelmomento.

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Un altro aspetto importante da sottolineare è come leattività possano davvero diventare un veicolo di relazioneed integrazione. Sai suonare la chitarra? Sai cantare? Saigiocare? Sai fare dei lavoretti manuali? Ebbene, questo puòessere un talento che ti viene riconosciuto e che puòpermetterti di entrare in relazione con gli altri e di donarequalcosa di te alla comunità in cui stai cercando di inserirti.Una valorizzazione che agisce di conseguenzasull’autostima e sull’eterostima, dimensioni che sappiamoessere fondamentali nell’acquisizione di quellatridimensionalità di cui abbiamo parlato in precedenza.

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LA FATICA DI EDUCARE… INSIEME

«Matteo abita in un paesino del Trentino, la sua famiglia haorigini straniere ed è figlio unico. Il padre è un operaio e la madre fale pulizie presso una ditta. I genitori si sono trasferiti in Italia permotivi di lavoro.

Al colloquio d’ingresso Matteo si presenta come un ragazzoestroverso e di compagnia. Il suo sogno sin da quand’era piccolo è difare il parrucchiere e aprire un salone in proprio. Matteo fa subitoamicizia con il resto del convitto, diventando in un certo qual modo illeader del gruppo. Egli inizia però a frequentare compagnie“sbagliate”, esterne al convitto, ed è forte il sospetto da partedell’équipe che abbia cominciato ad abusare di sostanze alcoliche estupefacenti.

Le educatrici notano che lo sguardo di Matteo tende a spegnersi eche il ragazzo continua a lamentarsi di essere sempre stanco.Un’educatrice, in accordo con l’équipe, decide di telefonare alla madreper informarla e condividere con lei la preoccupazione nei confronti delfiglio. La madre ringrazia l’educatrice per l’informazione ricevuta ecomunica che ne parlerà con Matteo. In seguito la madre riferisceall’équipe che il proprio figlio non fa uso di alcolici né di qualsivogliaaltra sostanza.

Dopo questo episodio, però, il rapporto della madre nei confrontidelle educatrici si è incrinato: ad ogni telefonata, per qualsiasicomunicazione, la signora si dimostra distaccata e fredda. Una seraMatteo entra alterato, con l’alito che odora di alcol, e subito si infilanel letto. L’educatrice di turno telefona ai genitori comunicando

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l’accaduto, ma questi ultimi lo minimizzano e affermano con forzache il figlio è solamente stanco.

Qualche giorno dopo Matteo viene sorpreso in camera di due suecompagne, nonostante sappia che si tratta di un comportamentovietato dal regolamento interno sottoscritto. Quando viene contattatala famiglia per annunciare la decisione dell’équipe di applicare unintervento disciplinare, il padre reagisce deridendo le educatrici,l’azione educativa messa in atto e la regola stessa.

Un’altra sera il ragazzo rientra in convitto con un ritardo di 30minuti, senza aver avvisato l’équipe. L’educatrice, dopo aver valutatocon le colleghe il provvedimento da adottare, telefona a casa dell’allievoper comunicare la decisione presa nei confronti di Matteo, ma anchein quest’occasione la madre discolpa il figlio affermando che aveva unimpegno e considera le educatrici troppo severe.

Nonostante la faticosa relazione con Matteo e la sua famiglia, sigiunge al termine dell’esperienza di convitto. L’episodio che suggella laconclusione racconta la mancanza di collaborazione e di alleanzaeducativa che è rimasta negli anni, a dispetto degli sforzi fattidall’équipe per trovare un punto di lavoro comune: la mamma diMatteo, ritirando i bagagli dalla camera del figlio, decide di fumareuna sigaretta nella stanza prima di andar via. Quando l’educatrice lefa notare il divieto, la madre, seccata, butta il mozzicone di sigarettadalla finestra, prende i bagagli di Matteo e se ne va senza salutare».

Come è risaputo, non sempre le esperienze di vita e iprogetti si realizzano secondo i nostri desideri, intenti,obiettivi. A volte questo dipende da fattori esterni, che iprotagonisti della vicenda in un certo qual modo

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subiscono; a volte, invece, gli esiti che non avremmovoluto sono frutto di scelte, di mancate sinergie, diincomprensioni ed equivoci, di contrapposizioni o paure,di incapacità o non volontà di collaborazione. Questoaccade anche, se non soprattutto, in campo educativo.Sono situazioni difficili perché restituiscono un’idea difallimento, di impotenza, di inadeguatezza.

La prima riflessione da fare, allora, è che l’esperienzadel convitto non è adatta ad ogni ragazzo. Ci sonoadolescenti che, pur con difficoltà, sanno inserirsi in unadimensione comunitaria, stare lontani da casa e scegliereun percorso di positività e di crescita. Altri, invece, difronte alla fatica, allo smarrimento o alla improvvisa libertàdal controllo genitoriale vanno giorno dopo giornoassumendo comportamenti di opposizione, ditrasgressione, o scelgono l’amicizia di persone, interne oesterne al convitto, che non li sostengono in un percorsodi crescita. Un po’ come Pinocchio, che nell’andare ascuola da solo, si trova a dover scegliere se continuare perla strada che ha intrapreso o accettare la proposta diLucignolo di andare a visitare il Paese dei balocchi.

Il Paese dei balocchi può assumere volti diversi, più omeno disturbanti, o addirittura pericolosi. È normale cheun ragazzo lontano da casa cerchi nuove strade, nuovimodi di gestire la propria libertà e sia chiamato a crescere,a cambiare, a confrontarsi con nuove modalità di vivere lerelazioni. È appunto il caso di Matteo: appena arriva inconvitto sembra inserirsi con successo al suo interno e gli

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viene in qualche modo riconosciuto dai compagni uncarisma da leader, che però lui non riesce a gestire in modolineare e costruttivo. L’incontro con alcune compagnieparticolari all’esterno del convitto lo porta lentamente acambiare punti di riferimento. Le educatrici si accorgonodi quanto sta succedendo e condividono la loropreoccupazione con la famiglia d’origine del ragazzo, perprovare ad individuare insieme ad essa delle strategie checonsentano di verificare se tali perplessità abbiano unfondamento e, eventualmente, se ve ne siano altrefunzionali ad arginare le modalità comportamentali chelentamente stanno portando Matteo su strade pericolose.

Dopo un’iniziale sintonia tra genitori ed educatrici,qualcosa però viene meno. Anzi, la situazione si rovescia:l’alleanza educativa non è più tra i genitori e le educatrici,ma tra ragazzo e genitori contro la figura delle educatrici etutto ciò che rappresentano.

Da che cosa può dipendere tutto questo?

La risposta è tutt’altro che semplice o scontata. Spessoi genitori, di fronte ad un comportamento inaspettato delfiglio o di fronte a situazioni a rischio, mettono in atto inmodo inconsapevole un meccanismo di negazione dellarealtà: negano il problema, minimizzano il comportamentoscorretto, attribuiscono responsabilità agli altri soggetti (lacattiva compagnia, la rigidità delle regole, l’eccessivaseverità delle educatrici…). Si tratta di un modo perproteggersi dalla paura, dall’ansia, dalla propria impotenza.

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I genitori si sentono incapaci di sostenere una posizione difermezza e/o di contrapporsi al figlio, perché hanno pauradi perderlo e temono la sua reazione di allontanamento.Chiusi in questa posizione di difesa, non si accorgono diavere di fronte un possibile alleato (l’équipe educativa), chedesidera quanto loro il bene del figlio, e ne respingonol’aiuto. Infatti, il tentativo delle educatrici di condividerecon loro la propria preoccupazione verso il ragazzo,attraverso il racconto di episodi, di comportamenti, a voltedi semplici dubbi, non giunge ai genitori come unarichiesta – e, nel contempo, offerta – di collaborazione, masi insinua nella relazione fin lì costruita come un’accusa dicolpevolezza o un giudizio negativo sulla loro capacitàgenitoriale.

In realtà non c’è alcuna colpevolizzazione, ma ilsemplice tentativo di capire insieme le ragioni di undisagio, di rintracciare un senso anche in queicomportamenti inadeguati, che raccontano in una certamisura qualcosa del mondo interno di quel ragazzo.

Gli adolescenti faticano ad esprimere i propri vissuti, adare un nome a ciò che si ritrovano ad affrontare in unmomento così complesso e complicato come è il periododell’adolescenza. Più che attivare un pensiero su di sé edesplorare il proprio mondo interno, tendono ad agire. Èquello che lo psicanalista Jeammet definiva spazio psichicoallargato proprio per sottolineare come l’adolescente tendaa riversare sull’ambiente parte delle funzioni deputate alproprio apparato psichico in difficoltà. Sta all’adulto –

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genitori ed educatori – cercare di cogliere il messaggio chequell’azione o comportamento porta con sé, ascoltandolo eprovando a restituirlo al ragazzo carico di significato, operché è stato possibile comprenderlo ed esplicitarlo, osolamente perché quell’agito viene ritenuto degno diattenzione in quanto espressione del mondo interno dellapersona.

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EDUCARE A PIÙ MANI

«I genitori di Patrizia chiamano le educatrici perché l’ultimapagella della figlia presenta qualche insufficienza.

Al colloquio di conoscenza del primo anno avevano descritto lafiglia come un po’ inquieta, ed essi si erano impensieriti quandoPatrizia aveva espresso il desiderio di frequentare una scuola lontanada casa per diventare parrucchiera, mentre la figlia non si era pernulla preoccupata di questo aspetto. La mamma aveva ammesso, conun po’ di pudore, di aver sofferto più della figlia per il distacco. Neiprimi mesi non vi erano stati problemi, i genitori avevano chiamatomolto spesso in convitto per assicurarsi che Patrizia si comportassecosì “Come le è stato insegnato a casa!”.

Poi, una sera, i genitori sono venuti in convitto per prendere lafiglia, dal momento che si era ammalata. Patrizia era entrata inconvitto il pomeriggio visibilmente sofferente e l’educatrice l’avevafermata in ufficio per misurarle la febbre. La ragazza aveva oppostoun po’ di resistenza: sosteneva di stare bene, che si trattava solo di unpo’ di mal di testa, che era prossima al ciclo… Ma il termometro nonaveva lasciato adito a dubbi! Patrizia si era subito preoccupata per lachiamata a casa: sosteneva di non voler disturbare i genitori poiché sirendeva conto che il viaggio per arrivare in convitto era lungo. Gliocchi le si erano perfino riempiti di lacrime: il papà al lavoro, lamamma con il fratello più piccolo da accudire… ed ora questapreoccupazione in più di dover venire a prendere lei a Rovereto. Ma,sentiti telefonicamente, i genitori si erano dimostrati molto tranquilli

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nel mettersi in viaggio per venire a prendere la figlia e lapreoccupazione della ragazza si era dimostrata ingiustificata.

Nell’ultimo periodo, però, Patrizia esce spesso il pomeriggio e,con l’arrivo dell’ultima pagella, i genitori le chiedono ragione del suocalo nel rendimento scolastico. Non solo: per avere un quadro piùcompleto della situazione, i genitori telefonano in convitto perverificare se, oltre alle uscite pomeridiane, di cui sono a conoscenza,non vi siano altri piccoli segnali che, a così tanti chilometri didistanza, non è loro possibile cogliere. Durante la telefonata la madrenon nasconde la propria preoccupazione e chiede all’educatrice un suoparere: non sa se considerare questo un periodo passeggero oppure seprendere in mano subito la situazione. L’educatrice tranquillizza lamadre e le propone di agire su due fronti: sia a casa che in convitto.In quest’ultimo si concorderà con Patrizia un’ora di studio con leeducatrici una volta in settimana, mentre da casa la madremonitorerà l’effettiva adesione della figlia all’ora di studio. Le uscitedurante i fine settimana saranno decise in base i voti delle verifiche.

Famiglia ed educatrici si danno appuntamento telefonico di lì adun mese per confrontarsi sull’andamento di Patrizia».

In questo racconto, a differenza di quello precedente,viene messa in luce la positività che nasce dallacollaborazione tra genitori ed educatrici. La situazionepresentata è molto semplice, non ha grandi complessità edè stata scelta proprio per questo motivo. Non perché lacollaborazione sia possibile solo in situazioni lineari, ma

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perché di fatto queste rappresentano la maggior parte deicasi.

Inoltre il convitto, non essendo una comunitàterapeutica, non chiede alle educatrici di indagare eintervenire con un intento terapeutico su situazionipersonali e familiari complesse, ma di affiancare i ragazzinel loro percorso di crescita prendendosi cura di loro nellaquotidianità. Certamente il sapere che quel ragazzo stavivendo una particolare situazione non può che aiutare leeducatrici nella loro azione educativa, perché permette lorodi affinare la capacità di ascolto e di empatia, di individuarestrategie che consentano loro di aiutare l’adolescente adaffrontare le relazioni con i compagni e gli eventualiconflitti, di riconoscere in anticipo momenti di difficoltà,scoramento, confusione che egli si ritrova ad attraversare.Ma tutto questo in quella dimensione che più volteabbiamo chiamato “quotidianità”.

Nell’episodio appena raccontato abbiamo una ragazza,Patrizia, che di fronte alla febbre non vuole disturbare igenitori, sapendo che il regolamento prevede che iconvittori, in caso di malattia, rientrino al propriodomicilio. La regola, che sicuramente comporta disagionell’organizzazione familiare, è dettata dal fatto chenell’équipe non è presente alcun operatore concompetenze sanitarie e quindi non è possibilesomministrare farmaci, tanto meno fare diagnosi e stabilireterapie, assumendosi la responsabilità di tenere in strutturaun ospite con problemi di salute che potrebbe trasmettere

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ad altri. I ragazzi, inoltre, nonostante le milleraccomandazioni costantemente ripetute, tra di lorotendono a condividere farmaci, senza rendersi conto dellapericolosità di queste azioni.

Ciononostante, Patrizia non vuole essere di peso aigenitori e riesce a manifestare questa preoccupazioneall’educatrice, che può così aiutarla a depositare i suoitimori nella relazione con loro per esserne infinerassicurata. In un’altra occasione saranno invece i genitoria preoccuparsi (questa volta per il profitto scolastico dellafiglia) e a cercare il confronto con le educatrici per capirecome aiutare la ragazza in un momento critico. Ma in altricasi è vero anche il contrario, come si è già avuto modo didire: sono le educatrici a chiedere collaborazione allafamiglia per sostenere un allievo nel migliore dei modi.

Come si vede, una mutua stima e collaborazione fannosì che le possibili preoccupazioni e difficoltà, i successi e ifallimenti, le strategie e gli interventi diventino come argillache, lavorata a più mani, si trasforma in un’opera educativain grado di rispettare interamente l’unicità e la preziosità diogni singolo ragazzo. Il mantenere un continuo confronto– per telefono o nei vari colloqui, in convitto o durante leudienze generali permette a genitori ed educatrici di nonsentirsi isolati e soli nell’affrontare le sfide educative che iragazzi pongono giorno dopo giorno, ma di tessere quellacontinuità affettiva in grado di sostenere ogni adolescentenel proprio percorso di crescita, sapendo attutire leeventuali cadute e fissare nella memoria le molte conquiste.

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SPORT… MA NON SOLO

«Paolo ha 14 anni e frequenta la classe prima. Sin dall’iniziodell’anno, una volta rientrato in convitto dopo la scuola, trascorre isuoi pomeriggi e le serate davanti al computer ascoltando musicaoppure in aula tv, dove gioca a Xbox.

Non si è affatto integrato nel gruppo degli allievi maschi delconvitto. Si isola e si relaziona soltanto con le educatrici, poco con lecompagne.

Paolo è bravo a scuola: i suoi voti sono tutti positivi. Dalcolloquio con la coordinatrice di classe emerge che anche il suocomportamento è buono e che lui ha le potenzialità per fare molto dipiù.

Da un colloquio con il padre si viene a sapere la difficoltà delfiglio nel farsi degli amici e nel sapersi aprire agli altri, ma anche ilfatto che alla scuola media Paolo giocava a pallavolo. L’educatricecomunica che il convitto offre agli ospiti la possibilità di frequentareagli allenamenti di pallavolo nel tempo extra-scolastico. Il padrerisponde che sarebbe contento se Paolo vi partecipasse.

La settimana successiva, su invito dell’educatrice, Paolo percorrela strada insieme a lei: direzione palestra. Entra in palestradisorientato, timido, non parla. È preso in scarsa considerazione nelmomento in cui i due capitani decidono la formazione delle squadre.In campo è come un pesce fuor d’acqua, ha paura a parlare, aprendere la palla, non si muove. Quando tocca a lui schiacciare, hatutti gli occhi puntati addosso. Fa due tentativi per colpire la palla e,

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quando ci riesce, il punto va alla squadra avversaria. Gli altriragazzi prima lo osservano senza parlare, ma poi iniziano ainteragire direttamente con lui: “Ma lo fai apposta?”, “Tirar, “Nonsi fa così!”. E in sottofondo si sente qualche risata di derisione neisuoi confronti.

Paolo, arrabbiato con se stesso e deluso, sulla strada che liriporta verso il convitto, confida all’educatrice di non voler più giocaree le chiede di non considerare la sua presenza alle Convittiadi3. Sisente preso in giro dagli altri. L’educatrice però non demorde e cercadi far capire a Paolo l’importanza di non arrendersi di fronte alleprime difficoltà: gli fa semplicemente notare che anche i più bravisbagliano, che è importante avere pazienza con se stessi e che nonbisogna smettere di provarci.

Due settimane dopo, durante l’allenamento, qualcosa cambia:Paolo schiaccia dall’alto al primo tentativo e segna due punti per lasquadra… Per la sua squadra e i suoi compagni. Essi lo osservanosenza parlare. Paolo capisce che, se vuole, può riuscire a segnareancora più punti, deve soltanto perfezionare la tecnica.

In campo ora riconosce di ricoprire un ruolo e di occupare unapostazione. Impara a ricevere e a passare la palla, usando entrambele mani. Impara a stare in gruppo, a condividere le regole e aconfrontarsi con gli altri, riconoscendo e rispettando i loro punti divista. Impara anche a scherzare. E così, allenamento dopoallenamento, partita dopo partita, Paolo acquista sicurezza, fino acomunicare all’educatrice la sua taglia per la maglietta delle

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Convittiadi 3 , alle quali parteciperà come giocatore della squadraufficiale di pallavolo maschile».

Le attività extrascolastiche proposte ai ragazzi delconvitto sono ogni anno molto ricche e articolate erichiedono un notevole investimento di tempo ed energiada parte delle educatrici. Non è facile intercettare gliinteressi degli adolescenti, che tendono sempre più a vivereil tempo libero chiusi nelle loro stanze, con i lorosmartphone, chattando sui social network, guardando ifilm che magari hanno scaricato sul tablet o sul PC.Eppure, quando si riesce a costruire qualcosa di avvincentee convincente, i ragazzi rispondono e sanno regalareesperienze molto belle e significative.

Di certo le educatrici non considerano le attivitàludico-sportive come un riempitivo di spazi vuoti, o unmodo per mostrare che sono delle brave educatriciimpegnate. Il primo e grande obiettivo che esse sipongono è aiutare i ragazzi ad essere protagonisti delproprio percorso di crescita attraverso la valorizzazione diquella quotidianità di cui abbiamo parlato a lungo. Ed èproprio nel costruire relazioni semplici, nel qui ed ora cheragazzi ed educatrici si ritrovano naturalmente acondividere, che possono essere colti e esplicitati desideri,interessi, abilità, progettualità.

3 Le “Convittiadi” sono un torneo di calcio, pallavolo e altrediscipline sportive che coinvolge diversi convitti presenti sulterritorio provinciale.

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Tra le righe di molte conversazioni si è potuto scoprire chenumerosi ragazzi giocano a pallavolo, a calcio, amano lamusica, suonano qualche strumento, disegnano, fannofotografie, cantano, recitano, hanno abilità manuali, sonocreativi in tanti modi diversi. E non solo: si pongonodomande su questioni importanti della vita, dei sentimenti,su ciò che accade nel mondo, sul loro desiderio di farequalcosa di buono per gli altri, sulla loro rabbia odisillusione per come sta andando il mondo e così via.

Nei convitti di Rovereto, in questi anni, si è potutodare molto spazio alle attività sportive, cosa che ha portatoa collaborare con altri convitti presenti sul territorioprovinciale per la realizzazione delle Convittiadi.L’obiettivo primo delle educatrici non era certo quello dipartecipare per vincere, ma quello di entrare in relazionecon i ragazzi, di metterli in relazione tra di loro e con altrerealtà, di promuovere un’appartenenza, un gioco disquadra, una sinergia efficace.

Sappiamo che lo sport, soprattutto quello di squadra,porta in sé molti valori fondamentali, come lacollaborazione, il rispetto per gli altri, la capacità disopportare l’eventuale insuccesso o fallimento, di garantirecostanza e impegno, di rispettare le regole, di accettare cheil compagno di squadra non sia stato all’altezza, senzagiudicarlo ma anche senza giustificarlo, chiedendogli unrinnovato impegno. E così via.

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È stata l’esperienza di Paolo, raccontata nel precedenteepisodio, per il quale la partecipazione agli allenamenti dipallavolo ha rappresentato il trampolino di lancio perinserirsi in convitto. Non è stato facile, né per lui né per glialtri. L’iniziale timore e incapacità rischiavano di diventareun impedimento, ma… Quel camminare avanti e indietro,con le educatrici e i compagni, per raggiungere la strutturasportiva è diventata l’occasione per pensare, condividere,incoraggiare, rielaborare, motivare.

Per molti ragazzi lo sport è un’opportunità peraccorgersi che valgono e questo promuove un vissuto diauto ed etero stima, non solo quando sono vincenti, maanche quando venga riconosciuto il proprio atteggiamentocollaborativo. Far sì che si verifichi tutto ciò non èautomatico. E quel che accade nel mondo dello sport,anche ad alti livelli, non parla certo di questo.

Quando si promuove un’attività sportiva e sicoinvolgono in essa i ragazzi, si tratta di immettere unosguardo educativo. La stessa attenzione viene messa anchenella costituzione del gruppo dei tifosi, in modo che lapartecipazione a bordo campo diventi di sostegno, diincitamento per chi è in gara, ma sempre dentro unacorrettezza di comportamento e di lettura di ciò che staaccadendo. Un bel goal o una parata, un assist preciso o undribbling ben riuscito, come una schiacciata a rete o unabattuta imprendibile, rimangono dei gesti atletici di grandebellezza indipendentemente da chi li ha eseguiti.

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Ovviamente, meglio se dalla tua squadra, ma ugualmentespettacolari anche se fatti dall’avversario.

Come si è detto, non sono percorsi semplici néautomatici e richiedono molta pazienza. Tutte le educatricicollaborano perché questo possa accadere e, anche se adoccuparsene in maniera prevalente sono quelle che hannoun interesse verso l’attività sportiva, le iniziative di questotipo non sono unicamente di loro competenza. È un altromodo semplice per mostrare ai ragazzi che l’obiettivo nondeve essere solo la vittoria e che il creare un buon gruppo,capace di dare a tutti un’opportunità, di trovare quali sianoi propri vincoli e le proprie risorse, permette a ciascuno difare più strada. Anche verso la vittoria, che magari nonarriva subito, ma che ha maggiori probabilità di essereraggiunta e mantenuta nel tempo.

In convitto non vengono realizzate solo attivitàsportive, ma anno dopo anno si attuano tante altreiniziative. Una scelta importante è stata quella di uscire dauna visione secondo cui un’attività deve essere fatta solo sela partecipazione dei ragazzi è massiccia. Nelle riunioni diéquipe si è giunti alla decisione che, laddove una propostao attività abbia un profondo significato etico o educativo, ilnumero dei partecipanti non deve essere discriminante.Ciò significa accettare la scommessa che l’educatore haqualcosa da dire e da proporre, non di certo a titolopersonale, ma perché tutta l’équipe ritiene che quell’attivitàcontenga di per sé dei valori fondamentali.

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L’attività non viene imposta, ma sicuramente propostacon una certa forza persuasiva, che usa gli stessi canali deiragazzi: la conversazione in tanti piccoli incontri, colloqui,scambi di battute.

È il motivo per cui si cerca di stimolare lapartecipazione ad alcune attività, come un cineforumtematico o eventi culturali offerti dal territorio nel corsodell’anno, talvolta legati a ricorrenze o avvenimentiimportanti: la giornata della Memoria, la festa della donna,un incontro con un personaggio pubblico portatore diqualche esperienza o valore (ad esempio, l’incontro conLucia Annibali), la visita a qualche mostra o a qualcheluogo significativo dei dintorni (ad esempio, la visita alletrincee o al museo della guerra in occasione dei 100 annidall’inizio della prima guerra mondiale).

Un’attività molto importante che si propone conregolarità è quella del volontariato, che si è andatoconcretizzando attraverso la costruzione di oggettistica peri mercatini solidali di Natale, la visita agli anziani presso laRSA di Rovereto e gli alloggi protetti, quest’anno anchecon l’esecuzione di un breve concerto ad opera di unapiccola banda e di un’altrettanto piccola band, che si sonoformate in convitto.

A questo si aggiungono le feste di inizio e fine anno, diNatale, di carnevale, l’organizzazione di momenti creativicome le merende, in cui i due convitti periodicamente siincontrano per gustare della cioccolata calda, la

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partecipazione ad eventuali corsi di zumba o altreiniziative.

L’efficacia di tutte queste proposte? Spesso non stasolo nella valutazione positiva dei ragazzi, non nel numerodei partecipanti, ma soprattutto nel fatto che il pensarel’attività, il promuoverla in seguito, il coinvolgimento deiragazzi, il prepararla insieme, il viverla e il parlarne aposteriori dà spessore e sapore a tutti quei legami che sicostruiscono e si cerca di costruire giorno dopo giorno, inconvitto, tra educatrici e ragazzi, tra ragazzi dello stessoconvitto, tra ragazzi di convitti diversi.

E come spesso accade, se l’adulto non ha paura diportare nella relazione con ogni ragazzo la ricchezza e labellezza del diventare adulto; se non ha paura di offrireuno sguardo carico di speranza nei confronti della vita, delfuturo e di quello che potrà accadere ad ogni ragazzo chesi trova davanti – anche a chi appare confuso, disorientato,magari ferito e disilluso -; se l’adulto non ha paura dicoinvolgersi nella relazione con i ragazzi continuando astimarli per quello che sono e potranno divenire; sel’adulto non ha paura di tutto questo, allora potrà scoprireche i ragazzi sanno rispondere con grande cuore eintelligenza a ciò che viene loro proposto con autenticità esi lasceranno guidare sia nella conoscenza di sé sia nellaconoscenza di ciò che sta accadendo nella loro piccolarealtà, senza aver paura di alzare lo sguardo e diconfrontarsi su ciò che accade nel mondo.

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È esattamente quello che è accaduto nell’episodioche viene presentato di seguito, a conclusione di questonostro percorso.

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EDUCARE AD UNO SGUARDO SUL MONDO

«In occasione del Natale, da qualche anno il Convitto vienecoinvolto nella realizzazione di un presepio da esporre alla mostra“Natale dei Popoli”, organizzata dalla Caritas cittadina.

Una delle educatrici, poche settimane prima degli attentatiavvenuti a Parigi il 13 novembre 2015, aveva acquistato nellacapitale francese, in un negozio di miniature, un piccolo GesùBambino nero pensando che forse si sarebbe potuto utilizzare inconvitto per il presepe.

I drammatici fatti accaduti in seguito hanno portato le dueéquipes – nella loro riunione settimanale – alla decisione di partireproprio da quel piccolo Gesù Bambino per realizzare il progettocommissionato, cercando di costruirlo con i ragazzi del convitto.

Nel confronto con loro è nata l’idea di un presepe veramentetoccante e capace di portare un messaggio significativo su quanto stavaaccadendo nel mondo in quei giorni. Il presepe doveva in qualchemodo abbracciare tutti i dolorosi fatti di cronaca, ma dentro unosguardo particolare identificato dalla parola MISERICORDIA.

Sono stati così distribuiti i compiti: le allieve del convitto diCasa Madre hanno costruito la capanna utilizzando una scatola dicartone, ricoperta mediante la tecnica del decoupage con articoli digiornali, riviste e quotidiani, riguardanti i fatti di cronaca comel’immigrazione e le relative tragedie che si verificano in mare durante ilunghi esodi, oppure le stragi e gli attentati riconducibili ad azioniterroristiche.

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Gli allievi del convitto “Le ginestre” si sono occupati, invece, direalizzare la Sacra Famiglia, sempre usando materiale povero, e dicostruire il giaciglio su cui deporre Gesù Bambino. La Famiglia èstata poi collocata su un pavimento azzurro, che voleva rappresentareil mare.

Grazie ad un allievo della scuola d’arte, che ha scattato unafotografia del presepio, è stato realizzato anche un biglietto per gliauguri di Natale che, oltre all’immagine, riportava una frase sullamisericordia pronunciata da Papa Francesco.

Questo lavoro ha rappresentato un’occasione preziosa perconfrontarsi con molti ragazzi su quanto sta accadendo nel mondo esullo smarrimento che loro stessi vivono di fronte a questi tragiciavvenimenti».

È stato un modo semplice, ma incisivo per educarli adallargare il loro sguardo partendo dall’orizzonte della loroquotidianità per arrivare fino ad abbracciare quello cheaccade nel mondo.

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PRESEPE ALLESTITODAGLI OSPITI DEL CONVITTO

Come già detto: …Questo lavoro ha rappresentatoun’occasione preziosa per confrontarsi con molti ragazzi su quantosta accadendo nel mondo e sullo smarrimento che loro stessi vivono difronte a questi tragici avvenimenti.