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Area Previsione e Monitoraggio AmbientaleVia Pio VII, 910135 Torino

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Ideazione e RealizzazioneStefano Bovo, Renata Pelosini, Area Previsione e Monitoraggio Ambientale, Arpa Piemonte

Coordinamento EditorialeMariaelena Nicolella, Graziella Priod, Area Previsione e Monitoraggio Ambientale, ArpaPiemonte

AutoriBarbara Cagnazzi, Roberto Cremonini, Chiara De Luigi, Nicola Loglisci, Giovanni Paesano,Christian Ronchi, Renata Pelosini, Serena Poncino, Arpa Piemonte, Area Previsione eMonitoraggio Ambientale, Arpa PiemonteAntonella Bari, Area delle attività regionali per l'indirizzo e il coordinamento in materia ambien-tale, Arpa PiemonteMaria Rita Cesare, Dipartimento di Torino, Arpa Piemonte

ContributiSecondo Barbero, Andrea Bertea, Daniele Cane, Marco Cordola, Mariaelena Nicolella, GraziellaPriod, Davide Rabuffetti, Davide Tiranti, Marco Turco, Elena Turroni, Area Previsione eMonitoraggio Ambientale, Arpa PiemonteEnnio Cadum, Centro Regionale per l'Epidemiologia e la Salute Ambientale, Arpa Piemonte

Contributi EsterniNadia Ciccarelli, IPLAAntonello Provenzale, Jost von Hardenberg, CNR-ISAC TorinoSimona Bonelli, Francesca Barbero e Emilio Balletto - Dipartimento di Biologia Animale edell’Uomo, Università degli Studi di Torino

I disegni usati per le copertine dei capitoli 1, 2 e 4 sono tratte dalla mostra dei disegni dei bam-bini dello Sri Lanka, organizzata dal Dipartimento della Protezione Civile nel mese di marzo2006. I disegni sono stati realizzati da bambini in età compresa tra gli 11 ed i 14 anni, residen-ti nell’area di Trincomalée, la più colpita dallo tsunami del 26 dicembre 2004. Il disegno in coper-tina del capitolo 3 è di Martina Leone, quello in copertina del capitolo 5 è tratto dal sito:http://www.icbernareggio.it/didattici/inquinamento/aria/11-kioto.htm.

Finito di stampare nel mese di novembre 2007 presso Ages Arti Grafiche s.p.a., Torino.

ISBN 978-88-7479-066-1

Stampato su carta riciclata al 100% che ha ottenuto il mar-chio di qualità ecologica Ecolabel Europeo, prodotta da car-tiere registrate secondo il sistema comunitario di ecogestioneed audit EMAS.

L’Arpa Piemonte non è responsabile per l’uso che può essere fatto delle informazioni contenu-te in questo documento. La riproduzione è autorizzata citando la fonte.

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Il Piemontenel cambiamento

climatico

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Indice

Capitolo 1

1 Il clima ed il cambiamento climatico pag. 51.1 Storia ed evoluzione del significato di clima pag. 61.2 Il sistema climatico e le sue forzanti naturali pag. 111.3 La dinamica del clima pag. 281.3.1 La variabilità di origine naturale pag. 291.3.2 La variabilità di origine antropica pag. 321.4 Introduzione ai modelli climatologici pag. 331.4.1 La scala globale pag. 331.4.2 La scala regionale pag. 341.4.3 La regionalizzazione statistica pag. 341.5 I cambiamenti climatici osservati pag. 35

Capitolo 2

2 Le osservazioni meteorologiche del XX secolo pag. 432.1 Le reti di misura storiche pag. 442.2 L’innovazione tecnologica nel monitoraggio e la nascita

della rete meteoidrografica piemontese pag. 472.3 Il raccordo del monitoraggio tra passato e presente pag. 512.3.1 Approccio puntuale pag. 512.3.2 Approccio statistico distribuito pag. 522.4 La rete fiduciaria piemontese pag. 55

Capitolo 3

3. Le caratteristiche climatiche in Piemonte pag. 573.1. Spazio fisico e clima in Piemonte pag. 583.2. Variabilità climatica in Piemonte nella seconda metà del XX secolo pag. 60

Capitolo 4

4 Gli scenari futuri pag. 694.1 I gas serra e la temperatura globale pag. 704.2 La tendenza dei gas serra pag. 704.3 Le simulazioni modellistiche pag. 744.3.1 La sensitività climatica pag. 754.3.2 Gli effetti sulla temperatura pag. 764.3.3 Gli effetti sulla precipitazione pag. 794.3.4 Gli effetti sul livello del mare pag. 814.3.5 Gli effetti sull’estensione dei ghiacci e sulla copertura nevosa pag. 82

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4.3.6 Gli effetti sugli eventi meteorologici estremi pag. 844.3.7 Gli effetti sulla circolazione termoalina pag. 894.4 Impatti e conseguenze del cambiamento climatico pag. 894.4.1 L’aggressione alle zone costiere pag. 914.4.2 Il ritiro dei ghiacciai alpini pag. 924.4.3 Variazioni del ciclo idrologico pag. 964.4.4 Gli impatti sulla salute pag. 994.4.5 Gli impatti sugli ecosistemi pag. 1064.4.6 Le conseguenze su alcune attività umane pag. 1124.4.6.1 L’agricoltura pag. 1124.4.6.2 Produzione di energia pag. 1134.4.6.3 Il turismo pag. 114

Capitolo 5

5. La mitigazione e l’adattamento pag. 1215.1 Le tappe della reazione al Cambiamento Climatico pag. 1225.2 Mitigazione del Cambiamento Climatico pag. 1235.3 Il Protocollo di Kyoto pag. 1255.4 Oltre Kyoto: le strategie di adattamento pag. 1305.5 Gli strumenti di preannuncio dei rischi nelle opzioni

di adattamento climatico pag. 136

Bibliografia

Riferimenti Bibliografici pag. 149

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Presentazione

Nel corso degli ultimi anni si è assistito ad una ampia convergenza scientifica sulla valutazione delfenomeno dei cambiamenti climatici, dei suoi impatti e sulla responsabilità antropica nella causadi questo fenomeno. Convergenza che ha dimostrato l’urgenza di fornire delle soluzioni concreteai problemi ambientali connessi, attraverso azioni di mitigazione e contrasto che riducano le emis-sioni di gas climalteranti e l’applicazione di opzioni di adattamento che, in maniera complemen-tare, consentano di limitare i danni, sfruttare le opportunità e far fronte alle conseguenze.Tali opzioni di adattamento, inoltre, implicano benefici ambientali complessivi, anche su vastascala, creando importanti sinergie con le politiche di sostenibilità ambientale, contribuendo aridurre la pressione sui sistemi naturali, permettendo alla natura di conservare le sue caratte-ristiche e di evolversi in modo duraturo, garantendo la conservazione degli ecosistemi chesono all’origine di una moltitudine di beni e di servizi essenziali per l’uomo.Anche dal punto di vista economico, la consapevolezza che i costi a lungo termine del non-agire sono molto superiori ai costi necessari per intraprendere azioni immediate di mitigazio-ne e adattamento al cambiamento climatico, e che questi ultimi trovano concorso negli inve-stimenti per la realizzazione degli obiettivi e degli interventi di tutela ambientale, dà una misu-ra di quanto lo sviluppo sostenibile possa contribuire a ridurre la vulnerabilità ai cambiamenticlimatici e, nello stesso tempo, di quanto i cambiamenti climatici possono limitare le capacitàdelle nazioni di intraprendere dei percorsi di sviluppo sostenibile.La Conferenza Nazionale sui Cambiamenti Climatici tenutasi a Roma il 12-13 settembre 2007,organizzata dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ha esaminato iproblemi riguardanti le modificazioni delle vulnerabilità indotte dai cambiamenti climatici inItalia, confermando il quadro severo dei possibili impatti, e ha dato l’avvio alla stesura delPiano Nazionale di Adattamento al Cambiamento Climatico. In questo spirito la politica ambientale della Regione Piemonte è da tempo rivolta a limitare glieffetti del cambiamento climatico ed insieme promuovere, facilitare ed individuare strategie eazioni di adattamento per far fronte agli impatti derivanti dal riscaldamento globale. Le azioni volte alla diffusione dell’informazione ed alla creazione di consapevolezza, per attu-tire le barriere ambientali, economiche, di informazione, sociali, attitudinali e comportamenta-li che spesso si pongono all’attuazione dell’adattamento ed al contributo individuale alla ridu-zione del cambiamento climatico, come quella rappresentata da questa pubblicazione, costi-tuiscono un elemento cardine affinché le iniziative politiche trovino un terreno di applicazioneesteso e risultino efficaci.

Nicola de RuggieroAssessore all’Ambiente della Regione Piemonte

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Introduzione

Il problema dei cambiamenti climatici è diventato di grande attualità negli ultimi anni a causadella sempre più frequente ricorrenza di fenomeni di un certo rilievo come siccità, ondate dicalore, alluvioni, inverni con scarsità di neve o con temperature elevate, periodi prolungati difreddo intenso, che non sono più percepiti solamente a livello di notizia raccolta in qualcheparte più o meno conosciuta del pianeta, ma che tutti hanno avuto nell’ultimo decennio unaspecifica evidenza sulla nostra Regione, lasciando significativi effetti sia sul territorio che nellamemoria. Di fronte a tali fenomeni, il mondo scientifico si è messo in moto per cercare unaconferma di un eventuale cambiamento del clima mondiale, studiarne le cause, ed in partico-lare l’influenza dell’uomo, e analizzare così le possibili ripercussioni a cui si potrà andareincontro nel prossimo futuro e delineare interventi di mitigazione. Nell’ambito degli studi sulcambiamento climatico assume una rilevanza strategica poter valutare l’impatto regionale deidiversi scenari climatici che gli strumenti modellistici più avanzati sono in grado di proporci. La sfida è complessa: alle incertezze delle simulazioni modellistiche dovute alle limitazioni nelladescrizione di tutti i processi fisici che intervengono, si associano le incertezze gli scenari socio-economici e produttivi futuri, che possono avere una notevole influenza sui risultati delle simula-zioni stesse, in particolare per quanto riguarda gli scenari emissivi. Inoltre, la possibilità di valu-tare quantitativamente come, in questi scenari futuri, il cambiamento del clima agisca sull’am-biente naturale, sugli ecosistemi e sulla salute dell’uomo dipende inoltre dalla capacità di evi-denziare come una tendenza di cambiamento globale si distribuisce a livello regionale e sub-regionale. Una valutazione degli impatti inoltre deve tener conto dei tempi di risposta, delle capa-cità di adattamento, mitigazione e contrasto che l’ambiente naturale, gli ecosistemi e, soprattut-to l’uomo, sono in grado di applicare.

Figura 1: Il ciclo del clima.

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Si tratta di eventi che sono destinati a modificare profondamente la superficie del pianeta el’atmosfera rispetto alla situazione attuale. Diverse posizioni e documenti recenti emessi daistituzioni scientifiche e enti governativi rendono conto dell’attualità e della dimensione delproblema. Tra questi ultimi ricordiamo in particolare:

• Il cosiddetto “Rapporto Stern” (Stern, Nicholas (2006), “The economics of climate change”)

• Il rapporto dell’Unione Europea del gennaio 2007 (“Limiting Global Climate Change to 2°Celsius: The way ahead for 2020 and beyond.” Brussels 10.1.2007)

• Il Quarto Rapporto di Valutazione del Comitato Intergovernativo per i CambiamentiClimatici (IPCC)

per rilevanza scientifica, strategica e politica nonché perché tenuti in forte considerazioni nellastesura di questa pubblicazione.La gravità e i costi stimati degli impatti nei diversi settori su cui si basa la vita del pianeta,anche nella sua dimensione socio-economica, richiedono che il livello di informazione, consa-pevolezza e contaminazione culturale sia il più ampio possibile. Tutte le politiche di mitigazio-ne degli effetti o la messa in atto di strategie di adattamento, nonché le azioni di diminuzionedell’influenza antropogenica, richiedono infatti una profonda modifica degli stili di vita.I processi alla base dei cambiamenti climatici, i feedback e i tempi di scala in gioco indicano cheil riscaldamento di origine antropogenica e l’aumento del livello del mare continueranno per seco-li, anche se la concentrazione dei gas serra in atmosfera fosse immediatamente stabilizzata.Arpa Piemonte con la realizzazione di questo volume, intende contribuire al processo di diffu-sione dell’informazione sul tema dei cambiamento climatici, che troppo spesso, se non lega-ta a scoop mediatici o sensazionalistici, rimane confinata negli ambienti scientifici o all’inter-no delle organizzazioni internazionali, senza permeare, con la dovuta efficacia, nella vita di tuttii giorniIl Piemonte vanta una tradizione secolare di osservazione e classificazione delle proprie misu-re e caratteristiche climatiche, alla cui organizzazione e sistematica elaborazione RegionePiemonte ed Arpa Piemonte contribuiscono sin dalla loro istituzione. La possibilità di attinge-re a tali conoscenze, costituisce la principale caratteristica di originalità e peculiarità del pre-sente volume, che affianca ed esplica la trattazione generale delle tematiche del cambiamen-to climatico con significativi esempi del territorio piemontese: é un percorso parallelo che per-mette di fissare su di un substrato di solida base dati e valutazioni sulle trasformazioni in atto,e sugli scenari di evoluzione.

Vincenzo CoccoloDirettore Generale di Arpa Piemonte

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1. Il clima ed ilcambiamentoclimatico

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1.1 Storia ed evoluzione delsignificato di clima

Il clima comprende l’insieme delle condizio-ni medie nel tempo di una determinata loca-lità rispetto ad uno specifico intervallo tem-porale (25-30 anni). Spesso viene confusocon il concetto di “tempo meteorologico”che a sua volta identifica lo stato istantaneodell’atmosfera, descritto in termini di alcunevariabili quali temperatura, umidità, nuvolo-sità, precipitazione, velocità e direzione delvento. Le condizioni climatiche di una spe-cifica regione sono definite dalla combina-zione di fattori quali la latitudine, l'altitudine,la continentalità e l’orografia e sono caratte-rizzate dai valori medi di elementi quali iventi, la pressione atmosferica, l'umiditàdell'aria, i regimi di precipitazione e la tem-peratura.Il significato del termine deriva dal greco“Κλιμα”, ossia inclinazione della verticale diun dato luogo rispetto all’equatore, ossia deiraggi di sole rispetto alla Terra, definizioneche si adatta al vecchio sistema cosmologi-co Tolemaico. Non è un caso se il grande filo-sofo greco Aristotele, nella sua opera“Meteorologia” (340 a.C. circa) fu uno deiprimi e più autorevoli studiosi del clima e, in

modo più ampio, di tutti quei fenomeni cheoggi ricadono nell’ambito della modernageofisica.La climatologia è stata una materia poco stu-diata fino alla prima metà del XX secoloappannaggio di geografi e naturalisti che sisono dedicati allo studio dei “tempi meteoro-logici medi” per poter definire una classifica-zione degli ambienti locali e territoriali osser-vati. Il sistema di classificazione climaticoche ha storicamente avuto il maggior con-senso è quello proposto dal geofisico emeteorologo di origine russa WladimirKöppen (1864-1890) e comprende 11 diversetipologie:

• Af-clima tropicale senza stagione secca,

• Aw-clima tropicale con inverno secco,

• BS-clima secco della steppa,

• BW-clima secco del deserto,

• Cf-clima temperato senza stagionesecca,

• Cs-clima temperato con estate secca,

• Cw-clima temperato con inverno secco,

• Df-clima boreale senza stagione secca,

• Dw-clima boreale con inverno secco,

• ET-clima freddo della tundra,

• EF-clima freddo del gelo perenne.Questa classificazione “statica” del clima èancora oggi valida ed utilizzata.

Figura 1.1.1: Suddivisione delle aree climatiche mondiali secondo la clas-sificazione di Köppen – Geiger. Fonte: http://www3.shastacollege.edu/

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Dalla seconda metà del XX secolo, l’approc-cio scientifico a questa disciplina è radical-mente cambiato: il clima non viene più intesocome un elemento statico, bensì dinamico nelsenso che la comunità scientifica, e non solo,ha spostato l’attenzione sui “cambiamenti cli-matici” e quindi sul suo andamento passato epresente e sulle sue evoluzioni future.Il concetto di clima si è trasformato: essoviene ora identificato come il risultato dell’e-quilibrio energetico che si stabilisce tra ener-gia che entra ed energia che esce dal nostropianeta.La Terra è un’enorme macchina termica,composta da differenti costituenti (atmosfe-ra, oceano, biosfera, geosfera e criosfera)che si scambiano in continuazione flussi dicalore, energia e materia attraverso interazio-ni favorite da cicli naturali presenti in naturacome i principali cicli dell’acqua, del carbo-nio, ma anche il ciclo dell’azoto, dello zolfo edegli aerosol.

Dalla nascita della Terra il clima è in continuaevoluzione sia per fattori esterni al sistemache per cause interne. In particolare si pos-sono suddividere le cause della perennemutazione del clima in due grosse macro-categorie:Astronomiche–geologiche (cause esterne)

• Variazione nella Costante Solare, ossia laquantità di energia che dal Sole arriva sullaTerra;

• attività tettonica, ossia i sommovimentidella crosta terrestre che modificano l’a-spetto della superficie del nostro pianeta;

• variazioni orbitali del nostro pianeta sullascala dei milioni di anni, che cambianosostanzialmente la sua posizione rispettoal Sole (teoria di Milankovic).

Ecologiche–chimiche (cause interne)

• Concentrazione dei gas serra, ossia dellaquantità di gas presenti in atmosfera cherendono possibile la vita sulla Terra;

Figura 1.1.2: Andamento qualitativo della temperatura media globale dalla nascita della Terra fino ai nostri giorni.

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• interazione Vita-Clima (fotosintesi, meta-bolismo), che contribuisce a modificare lachimica dell’atmosfera terrestre;

• effetti antropogenici, ossia delle attivitàproduttive della società umana.

Nel corso dei suoi 4,6 miliardi di storia ilnostro pianeta ha assistito a continue oscilla-zioni delle condizioni climatiche, passandoattraverso periodi freddi culminati con epocheglaciali durate anche milioni di anni, alternati aperiodi temperati o caldi. La scienza che sioccupa di studiare le fluttuazioni del clima è lapaleoclimatologia che, utilizzando informazio-ni ricavate dai sedimenti marini, dalle caroteglaciali, dai pollini, dalla crescita degli anellidegli alberi e naturalmente da dati storici estrumentali, ha ricostruito ad esempio la tem-peratura media globale durante le passate eregeologiche evidenziando come essa abbiasubito variazioni anche dell’ordine di 8-10°C.

Durante la sua evoluzione, il binomio Vita-Clima si è rinsaldato fino a confondersi, tantoda poter affermare che clima ed esseri viven-ti si plasmano a vicenda (Acot, 2004). Lacomparsa degli esseri viventi sul pianeta,circa 430 milioni di anni fa, ha dato inizio,attraverso il loro metabolismo, ad una lentaquanto radicale modifica dell’atmosfera terre-stre. In particolare, i meccanismi di fotosinte-si delle piante e di respirazione degli animalihanno condotto alla produzione di ossigeno edi anidride carbonica modificando la compo-sizione dell’atmosfera e favorendo di conse-guenza anche la produzione di ozono, gasnecessario a filtrare i raggi ultravioletti prove-nienti dal sole: questi ultimi, se assorbiti inquantità eccessive, sarebbero risultati nociviper la sopravvivenza della vita biologica e neavrebbero impedito l’espansione sul pianeta.D’altro canto, ad ogni variazione significativadel clima (innalzamenti termici, fenomeni divulcanismo, etc.) gli esseri viventi sono staticostretti, per garantire la sopravvivenza dellaspecie, a trovare sempre nuove forme diadattamento, spesso attraverso la migrazio-ne verso luoghi maggiormente ospitali.Naturalmente l’Uomo non è esente da questomeccanismo. Nel corso della sua storia

numerose svolte della civiltà umana sia epo-cali sia su scale temporatli più ridotte, sonoavvenute in corrispondenza di particolaricondizioni climatiche. Basti ricordare comeesempio che la fioritura delle civiltà di omini-di nel Neolitico (30000 anni fa) si svolse in unperiodo particolarmente temperato, mentrel’abbandono degli insediamenti permanentidella Groenlandia, che fu colonizzata attornoall’anno mille, si verificò nel bel mezzo delperiodo freddo che ha caratterizzato il bassoMedioevo, la cosiddetta “Piccola EraGlaciale” del 1550-1850.

Questo non significa che esista un rigido rap-porto causa-effetto tra variazioni climatiche esocietà umana: l’errore da evitare è quello discadere nel cosiddetto “DeterminismoClimatico”, teoria molto in voga nel XIX seco-lo, la quale si basa sulla considerazione che icomportamenti umani siano rigidamentedipendenti dalle condizioni climatiche cuisono sottoposte le società, negando quindile capacità di adattamento delle civiltàumane (Acot, 2004). Tuttavia questi esempimettono in luce una sicura correlazione travariazioni climatiche e fenomeni umani.In questo senso, un grosso impulso ad unapproccio multi-disciplinare per lo studio delclima e dei suoi cambiamenti si è avuto all’ini-zio del XX secolo quando il naturalista russoVernadskij (1863-1945) ha introdotto il termi-

Figura 1.1.3: Piccola Era Glaciale: la laguna diVenezia ghiacciata alle fondamenta nuove nel1708 (Anonimo Veneto).

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ne biosfera definendolo come l’insieme delleattività biogeochimiche e termodinamichedegli esseri viventi (Uomo incluso) ed ha affer-mato che il metabolismo degli esseri viventiproduce “entropia negativa” che contrasta lacosiddetta “morte termica dell’universo”.Infatti, il secondo principio della termodinami-ca, proposto nella sua versione originaria dalfisico francese Sahdi Carnot, afferma che l’en-tropia (ovvero il “disordine”) di un sistema iso-lato tende ad aumentare fino a saturazione.L’universo può essere considerato appunto unsistema chiuso per scambio di energia emateria con l’esterno, e allo stesso tempo unamacchina termica in grado di convertire lavariazioni di temperatura, di volume o di pres-sione di un fluido in lavoro. Se esso vivesseper un tempo sufficientemente lungo, l’energiasi distribuirebbe uniformemente al suo internoe il sistema raggiungerebbe lo stato di massi-ma entropia con una temperatura vicina allozero assoluto e quindi “la morte termica” (teo-ria dell’inflazione cosmica), uno stato dell’uni-verso nel quale non c’è energia libera percreare e sostenere lavoro o vita.

Partendo dalle considerazioni di Vernadskij equindi contrapponendosi alla teoria dell’infla-zione cosmica, il fisico della NASA-Caltech,James Lovelock, rende pubblica la sua famo-sa “Ipotesi di Gaia” in un convegno tenutosia Princeton nel 1968 e pubblica dopo unulteriore decennio la sua opera fondamenta-le sul “nuovo modo di considerare la vitasulla Terra". (Figura 1.1.4). “...Mi interessaialla possibilità che l’atmosfera terrestre fosseun insieme biologico e non un semplice cata-logo di gas (omiss)... la composizione dell’at-mosfera dalla terra era una miscela così stra-na e incompatibile che non poteva essersiformata per caso. Quasi tutto sembrava vio-lare le regole dell’equilibrio chimico (omis-sis)... in mezzo all’apparente disordine simantenevano condizioni relativamentecostanti favorevoli alla vita” (Lovelock, 1979).In questo testo viene data una definizione diGaia: “Da allora [1968] abbiamo definito Gaiacome una entità complessa che coinvolge labiosfera, l'atmosfera, gli oceani e il suolodella Terra; la totalità costituisce un sistemacibernetico o con retro-azione che cerca un

Figura 1.1.4: Esemplificazione schematica della teoria di Lovelock del 1960: l’atmosfera dei pianeti inequilibrio chimico (es. Marte) o in cui non sono presenti gli elementi tali da innescare la reazione chi-mica che trasforma ossigeno e metano in acqua ed anidride carbonica (es. Venere) non posseggonocondizioni favorevoli allo sviluppo della vita biologica, a differenza di quanto accade sulla Terra.

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ambiente fisico e chimico ottimale per la vitasu questo pianeta” (Lovelock, 1979).In altre parole Lovelock assume, come segnodi vita su un pianeta, la riduzione della suastessa entropia. L’ipotesi di partenza quindi èche l’agente produttore dell’atmosfera terre-stre sia la vita stessa: essa è vista come una“costruzione biologica” ed interpretata comel’estensione di un sistema vivente.In altri termini Gaia, il “Pianeta Azzurro”, nonè altro che l’insieme di atmosfera, biosfera,oceani e terra, un sistema che, ricercandol’equilibrio ed un ambiente ottimale per la dif-fusione della vita, produce “entropia negati-va”. In questo senso il clima non viene piùvisto soltanto come l’insieme delle condizio-ni medie di una data località ma diventa defi-nitivamente un sistema dinamico che coin-volge l’intera esistenza del nostro pianeta, ivicomprese le forme di vita che lo popolano.

La teoria di Gaia ha contribuito in modosostanziale ad attirare l’attenzione del pubbli-co sull’unità fondamentale del pianeta eanche sulla sua fragilità.Negli ultimi tre decenni la comunità scientificaha approfondito le conoscenze attorno al siste-ma climatico, la sua evoluzione, i suoi impatti,

da cui è emersa la fondamentale esigenza di unapproccio climatologico necessariamente glo-bale e di una valutazione dell’impatto specificodelle attività umane sul clima mondiale.Per queste ultime ragioni sono nati organismiinternazionali sia scientifici, come l’IPCC(Intergovernmental Panel on Climate Change)o l’EEA (Europe Enviromental Agency) chehanno lo scopo di fare il punto sulla situazionedelle conoscenze scientifiche, tecniche esocioeconomiche fondamentali per capire ilclima ed i cambiamenti climatici e di elaboraree diffondere le informazioni rilevanti riguardan-ti lo sviluppo della protezione ambientale, siatecnico-politici come l’UNEP (United NationsEnvironment Programme) o la COP(Conference of Parties), che hanno l'obiettivorispettivamente di programmare ed appoggia-re piani di recupero ambientale a livello mon-diale e di definire gli oneri socio-economici chei paesi mondiali devono sostenere per ridurre irischi associati ai cambiamenti climatici.

In particolare nel 1992, l’IPCC ha riconosciutol’origine antropica del riscaldamento globaledella superficie terrestre registrato nell’ultimosecolo a causa dell’emissione anomala inatmosfera di gas-serra, confermandolo in anni

Figura 1.1.5: La struttura dell’IPCC che agisce su mandato ONU tramite le agenzie WMO(World Meteorological Organization) ed UNEP. Fonte: http://www.ipcc.ch

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recenti, tanto che nell’ultima Conferenza inter-nazionale svoltasi a Parigi nel febbraio 2007, èstato affermato che l’aumento delle emissionidi gas serra in atmosfera è al 90% da attribui-re a fattori umani. Il riconoscimento dellanecessità di ridurre tali emissioni è diventato ilcaposaldo dell’accordo fra la maggior partedei paesi mondiali firmato e regolamentato nelfamoso Protocollo di Kyoto del 1997, in cui èpresente un impegno concreto da parte deiPaesi mondiali sulla strada della riduzionedelle emissioni di gas-serra.

1.2 Il sistema climatico e le sueforzanti naturali

ll clima terrestre è da considerarsi come un“sistema climatico”, ossia non una sempliceentità singola, ma un insieme di componenti,interdipendenti e concatenate tra loro, rap-presentate da: atmosfera, idrosfera, criosfe-ra, biosfera, litosfera.

Si può pensare al sistema climatico terrestrecome ad un sistema chiuso con l’esterno (lospazio interstellare) per scambio di materiaperché non ci sono apporti o perdite signifi-cative di materia tra il nostro pianeta e loSpazio, se si trascurano i rari impatti dimeteoriti sulla superficie terrestre, ma apertoper scambio di energia (la radiazione solare).Al suo interno, i 5 sottosistemi sono total-mente aperti tra loro per scambio di materiaed energia. Le 5 componenti infatti sono reci-procamente concatenate attraverso com-plessi meccanismi ciclici (come ad esempio ilciclo dell’acqua o il ciclo del carbonio) cheassumono le caratteristiche di meccanismi diretroazione (feedback) positivi o negativi.

I meccanismi di retroazione (feedback)Un feedback viene definito positivo quandoun meccanismo del ciclo si autoalimentaamplificando gli effetti in maniera spessoincontrollata, in una sorta di “circolo vizioso".Al contrario, un feedback è detto negativoquando un meccanismo del ciclo riesce acorreggersi da solo, finendo con l'annullare oridurre la causa scatenante del ciclo stesso.

• Un esempio di feedback positivo:se diminuisce la temperatura della superficieterrestre (per un calo della costante solare, laradiazione emessa dal Sole), i ghiacci pre-senti sulla Terra crescono di estensione eaumentano la superficie terrestre riflettente iraggi solari (albedo), creando un ulteriore raf-freddamento della Terra.

• Un esempio di feedback negativo:l'aumento della temperatura terrestre, pereffetto dei gas serra (CO2), e, di conseguenza,della temperatura dei mari può favorire, secon-do alcune teorie, un aumento della crescita dialghe, in grado di assorbire maggiori quantitàdi CO2 dall'atmosfera terrestre, andando adiminuire l'accumulo di tale gas serra e contra-stare così il rialzo termico terrestre.Questi due meccanismi sono di esempio peraiutare a capire come le differenti componen-ti del clima terrestre siano strettamente ecomplessamente legate tra loro nella defini-zione del “sistema climatico” terrestre.

Figura 1.2.1: Uno schema del sistema climaticoterrestre.

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L'atmosfera è l'involucro gassoso che, gra-zie all'attrazione gravitazionale terrestre, rive-ste il nostro pianeta. Formata chimicamentedai gas di Azoto (78%), Ossigeno (20%),Argon (0.93%) e Anidride Carbonica (0.03%),si suddivide in vari strati a seconda sia dellacomposizione gassosa sia delle condizioni ditemperatura.Il primo strato, prossimo al suolo, è quelloche coinvolge le attività umane più da vicinoed in maniera più diretta e immediata. Si trat-ta della troposfera, lo strato in cui è concen-trata la quasi totalità del vapor acqueo edove si svolgono tutti i fenomeni meteorolo-gici, attraverso il ciclo dell’acqua. Ha unospessore di circa 10-15 km e al suo interno latemperatura decresce progressivamente conl’aumentare della distanza dalla superficieterrestre.Al di sopra, il profilo termico si inverte, tor-nando ad aumentare nello strato della stra-tosfera e poi cambiando ogni volta anda-mento ai vari livelli di mesosfera, termosfe-ra, etc. Gli strati superiori dell’atmosferarisultano sempre più rarefatti e progressiva-

mente vicini al vuoto dello spazio interstel-lare, ma anche loro hanno la loro importan-za per gli effetti sulla Terra. Ad esempiointorno ai 30 km della stratosfera si trova

Figura 1.2.2: Il profilo verticale dell’atmosfera.

Figura 1.2.3: Schema del ciclo dell’acqua.

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l'accumulo di ozono che protegge la super-ficie terrestre dalle radiazioni solari ultravio-lette, nocive per l’esistenza degli esseriviventi.Naturalmente l'atmosfera presenta ancheuna più importante differenza di temperatu-ra legata alla latitudine terrestre. Il contrastotermico tra il calore dell'equatore e l'ariafredda dei poli innesca una complessa cir-colazione di masse d'aria, che interagiscecon la forza di gravità, il moto di rotazionedella Terra, la morfologia e l'orografia delterreno, dando origine ai fenomeni meteoro-logici.In questo modo è chiaro come l'atmosferasia la componente climatica più variabile sianel tempo sia nello spazio, perché caratteriz-zata da fenomeni che hanno un'evoluzioneche spazia dalla microscala (da alcuni cm a

qualche km) alla macroscala (>1000 km), econ una variabilità temporale che si estenderispettivamente da ore o minuti fino a periodipiù lunghi di una settimana.L'idrosfera comprende tutte le acque allostato liquido presenti sul pianeta che, conoceani, mari, laghi, fiumi e acqua sotterranea,ricoprono il 71% della superficie terrestre:solo gli oceani occupano un volume di circa1,35 milioni di km3.L’elevata capacità termica dell'acqua fa sìche questa sia la componente climatica piùstabile e che varia meno rapidamente, acausa di una notevole inerzia nel modifica-re il suo stato di temperatura. L’idrosferariesce infatti ad assorbire e attutire in partei cambiamenti repentini di temperatura del-l’aria, agendo quindi da regolatore dellatemperatura superficiale terrestre. D’altrocanto, una volta che dall’esterno riceve e alungo andare acquisisce una modifica delsuo stato, rimane altrettanto lenta nel ritor-nare poi alla sua normalità quando even-tualmente la forzante esterna cessi di esi-stere.

Figura 1.2.4: Gli oceani occupano un volume dicirca 1,35 milioni di km3 (pari a circa il 96% di tuttal’acqua liquida).

Figura 1.2.5: Le proporzioni tra acqua liquida eterre emerse sulla superficie terrestre.

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Come l’atmosfera, anche l’idrosfera ha unacerta stratificazione verticale lungo la profon-dità degli oceani, con una circolazione(scambi di materia) e un trasferimento dicalore (scambi di energia), che coinvolgono ivari strati dei mari del pianeta.E, come l'atmosfera, anche gli oceani cerca-no di trasportare calore dall'equatore ai polialla ricerca di un equilibrio termico globale:l’oceano trasporta circa la metà del flusso dicalore verso i poli nel sistema accoppiatooceano-atmosfera, innescando un grande“nastro trasportatore” di correnti oceanicheche coinvolgono tutto il globo (la “circolazio-ne termoalina”).

Figura 1.2.7: Il nastro trasportatore della circolazione termoalina.

Figura 1.2.6: Un profilo verticale dell’oceano.

ACQUEPROFONDE

VENTO ACQUE DI SUPERFICIE

CIRCOLAZIONE OCEANICA

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La circolazione termoalinaPer circolazione termoalina s’intende la cir-colazione globale oceanica, causata dallavariazione di densità delle masse d'acqua. Ladensità è determinata sia dalla temperatura(termo-) sia dalla salinità (-alina) delle acque.L'acqua negli oceani è in continuo movimen-to per effetto delle maree, del moto ondoso edelle correnti che sospingono le gelide acquepolari verso l'equatore e le calde acque sub-tropicali verso i poli ("circolazione termoali-na"). Le correnti sono attivate dalle differenzedi temperatura e di salinità dei mari.Una delle prime componenti di questa gran-de circolazione oceanica è la nota correntedel Golfo, che regala all'Europa il suo climarelativamente mite.Dal Golfo del Messico le acque calde e sala-te dei mari subtropicali si muovono verso ilnord dell'Atlantico. Qui, alle alte latitudini, aseguito del raffreddamento locale, le massed'acqua si vengono a trovare ad una densitàmaggiore delle acque locali, perché propor-zionalmente più salate dei mari polari. Perquesta ragione sprofondano verso gli abissidell'oceano liberando in atmosfera il lorocalore trasportato dal Golfo del Messico. Allealte latitudini la corrente del nord Atlanticofornisce un eccesso di calore pari al 30%rispetto a quello fornito dal Sole.Se l’oceano trasporta in media circa la metàdel flusso di calore verso i poli nel sistemaaccoppiato oceano-atmosfera, la correntedel Golfo invece contribuisce localmente per2/3 (sul restante 1/3 dell’atmosfera) al tra-sporto di calore verso l’Europa settentriona-le, permettendo ad esempio alla Norvegia(60°N) di essere molto più calda dellaGroenlandia o del nord del Labrador, chesono alla stessa latitudine.È chiaro allora che alle alte latitudini del nordAtlantico l'acqua sprofonda sia per la bassatemperatura sia per l'elevata salinità (causatadalla formazione della banchisa, che aumen-ta la densità di sale nell'acqua che rimaneliquida).L'acqua, che scende negli abissi del nordAtlantico, torna poi verso sud e arriva finoall'Oceano Indiano e Pacifico, da dove risale

in superficie, con acqua calda di ritornoverso l’Atlantico in un grande anello chiusoche coinvolge tutto il globo.Le correnti termoaline riguardano essenzial-mente le acque oceaniche profonde.Il volume d’acqua abissale è molto più gran-de del volume d’acqua superficiale. Così lecorrenti delle profondità oceaniche, anche sesono relativamente deboli, hanno trasporticomparabili con i trasporti superficiali. Comeordine di grandezza, basti pensare che lacorrente del Nord Atlantico ha un flusso equi-valente a 100 volte quello del Rio delleAmazzoni.La circolazione abissale, che ad esempio tra-sporta acqua fredda in inverno dalle alte lati-tudini alle basse latitudini in ogni parte delmondo, ha molteplici conseguenze, impor-tanti per il clima terrestre.

• Il contrasto tra l’acqua fredda profonda el’acqua calda superficiale determina unastratificazione degli oceani che influenza ladinamica oceanica.

• La circolazione abissale influenza il bilan-cio di calore della Terra e il clima terrestre.Le sue variazioni riguardano scale tempo-rali decennali, centennali e millenarie: sipensa che sia proprio questa variabilitàche modula il clima sulle stesse scale tem-porali.

L’oceano potrebbe essere la principale causadi variabilità su scale che vanno dall’anno aidecenni e potrebbe aver modulato il climadurante le ere glaciali.Le grandi correnti oceaniche, oltre a regalaretemperature miti in Europa (tra la Scandinaviae il Canada, il rispettivo clima presenta diffe-renze di temperatura fino a oltre 20 °C a pari-tà di latitudine!) e a giocare un ruolo fonda-mentale diretto nel clima terrestre, hannoanche conseguenze sulla capacità dell'ocea-no di assorbire anidride carbonica.Infatti sono due gli aspetti della circolazioneabissale importanti per il clima della Terra,con le sue possibili risposte all’aumento diCO2 in atmosfera:1) la capacità delle correnti abissali di modu-lare il calore trasportato dai tropici alle altelatitudini;

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2) la capacità dell’acqua fredda di assorbireCO2 dall’atmosfera.Gli oceani sono le principali riserve di anidri-de carbonica in una forma velocemente uti-lizzabile: contengono una quantità di carbo-nio (40’000 giga-tonnellate; 1 giga-tonnellata= 1012 kg) che è 50 volte quella contenutanella zona continentale. A confronto, la quan-tità di carbonio immessa in atmosfera dalperiodo della rivoluzione industriale è minoredella quantità di carbonio coinvolta nel ciclodell’ecosistema marino in 5 anni.Esistono anche riserve di carbone non imme-diatamente disponibili, come le rocce carbo-natiche, le conchiglie degli animali marini e icoralli.La CO2 disciolta negli oceani si dissolve dipiù nell’acqua fredda che in quella calda e diconseguenza le acque abissali fredde sonola maggiore riserva di CO2 dell’oceano. LaCO2 proveniente dalla combustione di fossi-li e dalla respirazione di alberi e animaliviene per metà circa rapidamente dissoltanelle acque fredde dell’oceano e trasportatanegli abissi.Questo lascia intuire come i cambiamenti cli-matici terrestri dipendano fortemente daquanta CO2 viene immagazzinata nell’oceanoe per quanto tempo. Se, per esempio, neviene depositata poca oppure viene rilascia-ta in atmosfera su tempi brevi, la concentra-zione di CO2 in atmosfera varierà, modulandoil bilancio energetico terrestre della radiazio-ne a grande lunghezza d’onda.La quantità di CO2 depositata e il tempo dideposito dipendono dalla circolazione ter-moalina e dal flusso netto di carbonio depo-sitato sui fondali. La quantità che si dissolvedipende dalla temperatura dell’acqua fredda;il tempo di deposito nelle profondità oceani-che dipende dalla velocità alla quale avvieneil ricircolo delle acque profonde; la deposizio-ne dipende dall’ossidazione o meno di pian-te e animali che cadono sul fondale. Le con-dizioni per un maggior rilascio del gas inatmosfera sono un aumento di ossigenazio-ne e di temperatura degli strati abissali.I sedimenti oceanici mostrano che la circola-zione oceanica, o almeno la sua componen-

te atlantica, è stata attivata e disattivata piùdi una volta nella storia del clima della Terra.Ognuna di queste attivazioni e disattivazioniè coincisa con cambiamenti climatici bruschie con l’estinzione di forme marine. L’ipotesidi legame tra i fenomeni è la seguente.1) Nei periodi post-glaciali lo scioglimento deighiacci crea acque dolci e fredde che vengo-no immesse negli oceani.2) Queste acque creano uno strato superfi-ciale di bassa densità, abbastanza stabile sumolta parte dell’Oceano Atlantico, che fun-ziona da “coperchio” per la corrente di spro-fondamento.3) Lo sprofondamento delle acque dense efredde, così ostacolato, diminuisce e rallentala circolazione termoalina: il minor ritorno delflusso caldo dagli oceani Pacifico e Indianocrea una piccola era glaciale.4) Una volta che lo scioglimento dei ghiaccidiminuisce o rallenta, lo strato superficiale diacque dolci comincia a rimescolarsi e si re-innesca lentamente lo sprofondamento delleacque dense, con la ripresa della circolazio-ne oceanica globale.Gli studi più recenti denunciano purtroppoun rallentamento della circolazione termoa-lina tra la Scozia e la Groenlandia. Anche sequeste correnti hanno funzionato in modoaffidabile per molte migliaia di anni, un'ana-lisi dei campioni di ghiaccio estratti sia alpolo Nord che al polo Sud mostra come, inrealtà, le cose non siano sempre andate inquesto modo: tutto lascia pensare che in unpassato più o meno remoto ci siano statealterazioni della circolazione termoalina,associate a repentini e radicali cambiamen-ti del clima.Secondo recenti ipotesi, ancora da verificare,anche i cambiamenti multidecennali (quali adesempio 1870-1899, 1900-1920 e 1940-1960) del clima su scala globale sarebberoda imputarsi principalmente a variazioni dellacircolazione termoalina.Alla fine degli anni ‘60 è stata osservata unasensibile variazione della salinità delle acquedel nord Atlantico: il fenomeno, noto comeGrande Anomalia Salina fu caratterizzatodalla presenza di una enorme pozza di acqua

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poco salata e poco densa che limitò la pro-duzione di acque profonde. Questo spieghe-rebbe perché, nonostante l’aumento dellaconcentrazione dei gas serra, sia stata regi-strata una locale diminuzione della tempera-tura.Le cause della diminuzione della salinità delleacque marine sono una ridotta formazione dighiaccio marino e l’aumento del deflussodelle acque superficiali (sia per fusione delghiaccio continentale che per aumento delleprecipitazioni locali).La diminuzione della salinità delle acque arti-che potrebbe provocare il rallentamento ol’interruzione del nastro trasportatore di calo-re verso il polo nord, con conseguente raf-freddamento dell’Europa.

Naturalmente è presente una variabilità piùveloce (giorni e settimane) negli strati piùsuperficiali dei mari, che ad esempio a con-tatto con l’atmosfera risentono dell’effettodei venti nei moti delle onde marine; mentreuna variabilità più lenta (anni, decadi e seco-li) caratterizza gli strati più profondi deglioceani. Il ciclo delle correnti oceaniche, checomprende la nota Corrente del Golfo delMessico verso il Polo Nord, e che, in un anel-lo chiuso, coinvolge tutti gli oceani delPianeta, ha una durata totale di 1'000 anni:questo può far intuire quanto grande sia lascala temporale di certi meccanismi dell’i-drosfera.

La criosfera comprende tutte le masse dighiaccio e gli accumuli di neve della Terra,ossia gli estesi territori ghiacciati dellaGroenlandia e dell’Antartide, i ghiacciai con-tinentali e le coperture nevose stagionali suicontinenti e di ghiaccio sui mari (ghiaccipolari).L’importanza della criosfera, all’interno delsistema climatico, risiede nel fatto che il tra-sferimento di energia da una superficie versol’esterno cambia in modo radicale se talesuperficie è coperta da neve e ghiaccio: lasua riflettività (albedo) cresce, riducendo l’as-sorbimento di energia da parte della superfi-

cie (feedback positivo). Viceversa, un aumen-to della temperatura determina una diminu-zione della copertura nevosa, da cui conse-gue un maggior assorbimento di energiasolare a favore di un ulteriore aumento ditemperatura.

Inoltre, nel caso di ghiacci marini, il trasferi-mento di calore dall’oceano all’atmosfera,nonché tutte le interazioni (scambio dimomento tramite il vento) tra atmosfera eprimi strati marini, risultano concretamenteridotti quando la superficie marina è copertada ghiaccio.Infine, l’evoluzione (formazione e fusione dighiacci marini) è in grado (tramite la modifi-cazione della salinità del mare) di modificaredrasticamente la circolazione oceanica fino ascala globale, su tempi che coinvolgonomigliaia di anni.Ad esempio circa 3’000 anni dopo la finedell’ultima glaciazione, cioè 11’000 anni fa,l’Europa settentrionale subì una nuova gla-ciazione (il “Dryas recente”, di ‘brevÈ dura-ta: circa 1’000 anni), perché lo scioglimentodei ghiacci del nord America, riversandoacqua dolce intorno alla zona del Labrador,interruppe la corrente del Golfo del Messicoverso il nord Atlantico per un periodo di1’000 anni.La variabilità della componente ‘criosfera’ hauna durata piuttosto lunga, in quanto sono levariazioni non stagionali dei ghiacci polari e

Figura 1.2.8: Il ghiaccio sull’acqua modifica imeccanismi d’interazione tra oceano e atmosfera.

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dei ghiacciai continentali quelle che svolgonoun ruolo essenziale nei cambiamenti ambien-tali provocati nei periodi di glaciazione (scalatemporale di migliaia di anni).

La biosfera comprende la totalità degli esse-ri viventi presenti sulla Terra, incluso l’uomo e

la materia organica non ancora decomposta.Se le rocce terrestri più antiche sono datate4,5 miliardi di anni fa, la vita è comparsacirca 3,8 miliardi di anni fa; con essa, le rea-zioni chimiche (ciclo biologico del carbonio,ovvero i processi di fotosintesi e respirazio-ne, oltre al ciclo geochimico del carbonio,

Figura 1.2.9: La piccola glaciazione del “Dryas recente” con l’interruzione della Corrente del Golfo;estensione dei ghiacci (in rosso) e andamento della temperatura (in giallo) in Groenlandia, da 17'000anni fa al presente.(Ridisegnata dal quaderno “Le Scienze", 1984 e da http://www.ngdc.noaa.gov/paleo/ctl/abrupt.html)

Figura 1.2.10: Le glaciazioni hanno un periodo principale di 100'000 anni. (Ridisegnata dal quaderno“Le Scienze", 1984)

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con la precipitazione del carbonato, checoinvolge invece la litosfera) hanno contri-buito a modificare la composizione chimicadell’atmosfera (oggi più ricca di O2 libero,rispetto ai primordi del pianeta). In questomodo la biosfera costituisce la fonte princi-pale di assorbimento e riciclo della CO2

atmosferica.Le interazioni della biosfera con le altri com-ponenti del sistema climatico si esplicitanoquindi attraverso:

• l’estrazione o l’emissione di gas necessarialle reazioni chimiche della vita (CO2 e O2

per respirazione e fotosintesi, con il ciclobiologico del carbonio),

• il contributo all’albedo superficiale e all’u-midità da parte della flora, in quanto glialberi assorbono acqua dal terreno e latrasferiscono all’atmosfera sotto forma divapore attraverso le foglie; inoltre, al con-trario dei ghiacci, la vegetazione non haun’albedo riflettente, ma anzi assorbemolta energia solare.

La biosfera è strutturata in modo gerarchicotramite la catena alimentare, suddivisa in variecosistemi. Risulta così il sottosistema piùsensibile e vulnerabile ai cambiamenti clima-

tici, poiché un danno ad un anello della cate-na alimentare di un ecosistema può imme-diatamente riversarsi su tutti i componentidella catena stessa.

La litosfera è la crosta terrestre, che riuniscetutte le terre emerse più il fondo degli oceanied i primi strati dell’interno del pianeta. Il99% della Terra è composto da ossigeno,ferro, silicio e alluminio; la sua parte internaappare stratificata sia chimicamente chemeccanicamente (sotto la litosfera c’è l’aste-nosfera e quindi il mantello e il nucleo dellaTerra).Le interazioni della litosfera con il “sistemaclima” si intrecciano con tutte le altre com-ponenti climatiche, oltre che col complessociclo geochimico del carbonio come giàaccennato a proposito della biosfera, attra-verso tre principali meccanismi.

VulcanismoLe grandi emissioni vulcaniche di polveri edaerosol riducono la radiazione solare inciden-te, provocando un raffreddamento terrestre.Le grandi emissioni vulcaniche di gas serrane provocano, invece, un riscaldamento, chespesso è controbilanciato dal raffreddamen-to concomitante.OrogenesiIl processo che origina montagne e catenemontuose si estende su tempi dell’ordine didecine e centinaia di milioni di anni, modificala circolazione delle correnti aeree (andandoad influire direttamente sulla componente‘atmosfera’), l’albedo della superficie terre-stre ed i meccanismi di feedback climatici.EpirogenesiIl processo che origina la deriva orizzontale ei movimenti verticali delle zolle continentalimodifica l’albedo planetaria, la circolazioneoceanica ed il trasporto di calore tra equato-re e poli.Le interazioni della litosfera con l’atmosferasono quindi essenzialmente classificabili inscambio di calore e momento angolare, dis-sipazione dell’energia dei moti delle massed’aria attraverso l’attrito con l’orografia delpianeta e soprattutto scambio di materia

Figura 1.2.11: Gli scambi della biosfera all’internodel sistema climatico terrestre.

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sotto forma di aerosol, tramite eruzioni vulca-niche. Tali eventi, oltre a provocare un cam-biamento nel bilancio radiativo atmosferico,possono innescare una serie di feedback talida comportare evidenti mutamenti climaticisu scala spaziale regionale (e in parte globa-le) in periodi relativamente vicini o ad esem-pio negli anni immediatamente successivialle eruzioni.

Figura 1.2.12: Il ciclo geochimico del carbonio.

Figura 1.2.13: La deriva dei continenti. I mutamentilegati alla deriva dei continenti coinvolgono tempigeologici della durata di milioni di anni. I climi dellaTerra dipendono strettamente dalla posizione delleterre emerse; così ad ogni fase della deriva dei con-tinenti corrisponde un clima specifico. Ad esempio,quando ai poli non c'erano terre emerse, il climapoteva essere globalmente più caldo perché l'ocea-no riusciva a trasportare calore verso i poli in manie-ra più efficace.(Ridisegnata dal quaderno “Le Scienze", 1984)

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Sul complesso meccanismo del sistema cli-matico terrestre agiscono principalmente treforzanti naturali, che ne alimentano e neregolano la dinamica in termini di tempo edeffetti: la radiazione solare, l’effetto serra e gliaerosol.La radiazione solare è l'unica fonte di ener-gia esterna per il pianeta ed il motore princi-pale scatenante numerosi processi del siste-ma climatico terrestre.Lo spettro di emissione solare copre l’interagamma elettromagnetica. La radiazione sola-re incidente sul pianeta va incontro a feno-meni di assorbimento, diffusione e riflessionesia da parte dell’atmosfera che della superfi-cie terrestre. Così lo spettro radiativo solareregistrato alla superficie terrestre differisceda quello emesso dal Sole, poiché parte dellaradiazione viene assorbita, nelle loro caratte-ristiche bande di assorbimento, dai numerosigas presenti in atmosfera.

Il bilancio complessivo della radiazionesolare sulla Terra

Della radiazione solare incidente sul nostropianeta (340 W/m2), solo il 45% viene subitoassorbito dal suolo della Terra. Il 25% vieneinvece riflesso dalla sommità dell’atmosfera,analogamente il 5% viene riflesso dallesuperfici riflettenti della Terra (ghiacciai,coperture nevose, oceani); mentre il 25%viene assorbito, prima di arrivare al suolo,dall’atmosfera che comunque lo riemettesottoforma di radiazione infrarossa (calore).Anche la Terra (come corpo “caldo”, dallatemperatura media di 255K [-18 °C]) emetteenergia come radiazione infrarossa: di questail 4% viene irradiata direttamente nelloSpazio, il 100% viene assorbita dai gas serradell’atmosfera e viene poi reirradiata dall’at-mosfera terrestre (88%). Quest’ultimo valorerappresenta l’effetto serra.

COMPONENTI CLIMATICHE

ATMOSFERA: parte gassosaIDROSFERA: oceani, laghiCRIOSFERA: ghiacciai, poliBIOSFERA: flora, fauna, uomoLITOSFERA: crosta terrestre

SCALE TEMPORALI DI VARIAZIONE

da giorno a giornodecenni e centinaia di annicentinaia e migliaia di annivarie scale temporalidecine e centinaia di milioni di anni

Figura 1.2.14: Schema del bilancio complessivodella radiazione solare sulla Terra.

Tabella 1.2.1: La variabilità temporale delle 5componenti del clima terrestre.

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Il suolo terrestre emette energia anche attra-verso l’evaporazione (24%) e le correnti ter-miche (5%): anche quest’energia vieneassorbita dall’atmosfera e poi riemessa sot-toforma di radiazione infrarossa.In questo modo la risultante finale dellaradiazione solare assorbita dal suolo terrestreè pari a circa 240 W/m2.

L'intensità della radiazione solare è teorica-mente costante, pari a 1'360 W/m2, notacome “costante solare": quella assorbitadalla superficie terrestre diventa solo 240W/m2 (pari a meno del 18% della radiazioneemessa dal Sole). Tuttavia fenomeni come lemacchie solari sul disco del Sole creano unacerta variabilità della costante solare, conuna ciclicità di 11 anni. Tale variabilità, stima-bile intorno allo 0,1% (cioè 0,24 W/m2 per ilbilancio termico terrestre), da sola non sem-bra avere un'influenza notevole sul clima ter-restre, ma ad esempio in associazione conaltri fenomeni concomitanti (come imponentieruzioni vulcaniche) ha avuto un ruolo deter-minante nella piccola era glaciale del 1550-1850, che ha visto un calo della temperaturamedia globale di 0,5°C.Uno degli effetti principali che il Sole esercita

sul clima terrestre nasce dalla differenza dicalore che esso distribuisce tra equatore epoli: infatti tale contrasto termico è la primaspinta che innesca i moti sia delle messe d'a-ria sia di quelle oceaniche. L'inclinazione del-l'asse di rotazione terrestre rispetto al Sole èorigine invece del cambiamento delle stagio-ni, durante il moto di rivoluzione della Terraintorno al Sole.

Su queste variazioni meteo-climatiche a piùbreve termine, si innescano altre fonti divariabilità a scala molto più lunga, di naturaastronomica (teoria di Milankovic): la preces-

Figura 1.2.16: Le stagioni astronomiche (da http://www.jodewaele.it/Pics/rivoluzione_ter-restre.jpg).

Figura 1.2.15: Numero delle macchie solari osservate dal 1950 al 2000; il ciclo delle macchie solari ha una periodicità di 11 anni.

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sione degli equinozi, la variazione dell'eccen-tricità dell'orbita terrestre e la mutazione del-l'obliquità orbitale (variazione nell'inclinazio-ne dell'asse di rotazione terrestre) sono ingrado di generare modifiche all'energia sola-re entrante su diverse scale temporali, del-l'ordine delle migliaia di anni, dando adesempio origine ai fenomeni delle glaciazionimillenarie.I periodi più freddi avvengono quando l’incli-nazione dell’asse terrestre è minore, l’eccen-tricità dell’orbita terrestre maggiore e la pre-cessione degli equinozi tale che l’invernoboreale cade quando la Terra è lontana dalSole (ovvero nella situazione opposta a quel-la attuale).La precessione degli equinozi ha un ciclo dicirca 22'000 anni; l'eccentricità dell'orbitaterrestre muta con un periodo principale di100'000 anni; l'obliquità orbitale con unperiodo di 41'000 anni. La risultante com-plessiva di tutti questi meccanismi dà originead un ciclo di glaciazioni ogni 100'000 annicirca.

L'effetto serra è un fenomeno naturale checontribuisce all'equilibrio termico terrestre.La radiazione solare ad onda corta (tra 0,2 e4 μm) può attraversare l’atmosfera (in assen-za di nuvole) ed essere assorbita dalla super-ficie terrestre, la quale si scalda e la riemetteverso l'alto con una lunghezza d’onda mag-giore (da 4 a 100 μm).Alcuni gas atmosferici, detti gas serra, pos-sono assorbire tale radiazione terrestre eriemetterla di nuovo verso la superficie terre-

stre stessa, in pratica trattenendo del calore,come “intrappolato", nell'interfaccia ‘atmo-sfera-superficie terrestre’.Sulla Terra si stima che grazie all'effetto serra(naturale) la temperatura media superficiale èdi 15°C, invece dei -18°C che si avrebbero inassenza di gas serra.L’azione dei gas serra è evidente anche sualtri pianeti del sistema solare. Ad esempiosu Venere, a causa dell'effetto serra, la tem-peratura superficiale del pianeta, invece diessere di soli -46°C, è di 477°C; su Marte dai

Figura 1.2.17: Le variazioni astronomiche sullaradiazione solare ricevuta dalla Terra (dal quader-no “Le Scienze", 1984).

Eccentricità(%)

Inclinazione(gradi)

Indice diprecessione

segnale combinato(radiazione ricevuta)

00

100

200

300

400

500

600

700

800

2 6 22.0 23.9 24.8 0.04 -0.02 -0.07 -2.7 0.0 2.7

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-57°C senza la presenza di gas-serra sipassa ai reali -47°C.È interessante notare che Venere, pur essen-do più vicina al Sole della Terra, senza gasserra sarebbe comunque più fredda; questoè legato a fenomeni di albedo del pianetavenusiano (il quale ha una superficie partico-larmente riflettente, con un valore di albedodoppio rispetto al nostro pianeta) e fa capirequanto sia grande il peso dell’effetto serraper la temperatura di un pianeta, a secondadella composizione della sua atmosfera.Anche dall'analisi dei carotaggi di ghiacciopolare antartico (come ad esempio la carotadi Vostok-URSS, estratta nel 1993) emergeche in coincidenza con le glaciazioni, i gasserra diminuiscono (ovvero aumentano neiperiodi interglaciali).Questo fa capire come l’effetto serra natura-le del pianeta abbia contribuito anche inmaniera positiva al raggiungimento dell’equi-librio della temperatura della Terra, favorevo-

le allo sviluppo della vita e alla sua sopravvi-venza.Ma i gas serra in atmosfera oggi sonoaumentati a causa di numerose attivitàumane.I principali gas serra sono: vapore acqueo(H2O), anidride carbonica (CO2), metano (CH4),ossidi di azoto (NOx), perossido di azoto(N2O), ozono (O3) e i CloroFluoroCarburi.

Il ciclo del carbonio e i gas serraL'anidride carbonica (CO2) è uno dei princi-pali composti del carbonio ed è presente innatura in quattro grandi “serbatoi":1. nelle molecole organiche (lipidi, glucidi,

etc) della biosfera - 3'100 giga-tonnellate2. sotto forma di carbonati e bicarbonati

negli oceani - 40'000 giga-tonnellate3. come calcare e combustibili fossili nella

litosfera - 40'000 e 12'000 giga-tonnellate(rispettivamente)

SENZAL’EFFETTO

SERRADELL’ATMOSFERA

CONL’EFFETTO

SERRADELL’ATMOSFERA

Figura 1.2.18: Come i vetri di unaserra, l'atmosfera è “trasparente” allaradiazione che proviene dal Sole,mentre è parzialmente “opaca” aquella termica emessa dalla superfi-cie terrestre.

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4. nella forma gassosa di anidride carbonica(CO2) in atmosfera - 600 giga-tonnellate.

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Questi “serbatoi” sono legati tra loro da com-plessi scambi che costituiscono il ciclo delcarbonio (biologico e geochimico).

• ciclo biologico del carbonioGli organismi vegetali utilizzano la CO2

atmosferica per produrre materia organicaattraverso la fotosintesi clorofilliana; laquantità di carbonio così fissata ognianno è notevole (100 giga-tonnellate peranno); il carbonio è poi riemesso dagliecosistemi attraverso la respirazione dipiante e animali.

• ciclo geochimico del carbonioL'anidride carbonica presente nell'atmo-sfera si solubilizza nell'acqua piovana conformazione dell’acido carbonico, il qualemodifica chimicamente i minerali carbo-natici e silicatici delle rocce, liberando ionibicarbonato, ioni calcio e silice, e intrap-polando così il carbonio della CO2 atmo-sferica originaria.Gli ioni passati in soluzione vengono tra-sportati dai fiumi fino agli oceani, doveorganismi viventi incorporano in gusci escheletri gli ioni calcio e bicarbonato, for-mando nuovamente carbonato di calcio eliberando anidride carbonica. In tale pro-cesso torna all'atmosfera circa la metàdell'anidride carbonica.

I gusci e gli scheletri dei vari organismi mari-ni, alla morte dell’animale, si depositano suifondali e vengono sepolti da altri sedimentiandando a formare vasti depositi di materia-le calcareo.Tutti gli organismi vegetali ed animali decom-ponendosi in condizioni anaerobiche forma-no grandi depositi di combustibili fossili. Ilcarbone, il petrolio e il gas naturale sonoinfatti essenzialmente formati da compostidel carbonio.

L'accumulo dei carbonati produce circal'80% del carbonio depositato sul fondooceanico; il rimanente 20% è fornito dal sep-pellimento di materia organica morta.I fondali oceanici si espandono e scorronosotto i continenti trasportando i sedimenti inprofondità. Esposti ad alte temperature epressioni, i sedimenti liberano, molti milioni dianni più tardi, anidride carbonica, che rientranell'atmosfera, soprattutto attraverso le eru-zioni vulcaniche.In breve, la fotosintesi (insieme alla geochimi-ca delle rocce) sottrae anidride carbonicaall’atmosfera facendo passare il carboniodall'ambiente abiotico agli organismi viventi.Da questi ultimi ritorna all'acqua o all'atmo-sfera attraverso la respirazione cellulare, lacombustione e l’erosione. Il bilancio naturaledel ciclo del carbonio, in assenza di attivitàdell’uomo, è pressoché in pareggio.Un disequilibrio di questo pareggio può oraderivare dal fatto che l'uomo con le sue atti-vità industriali (tramite la combustione di fontifossili come carbone, petrolio, gas naturale)in pochi decenni sta riemettendo in atmosfe-ra riserve di carbonio che la natura ha impie-gato milioni di anni ad accumulare nei suoi“serbatoi".

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• Il metano (CH4) si produce dalla degrada-zione di materiale organico in assenza diossigeno (anossia). Esso viene natural-mente emesso da mangrovie e paludi,mentre le emissioni dovute alle attivitàumane provengono essenzialmente dalleperdite di gas naturale e di altri combusti-bili fossili durante l’estrazione e il traspor-to, dalla combustione di biomasse, dall’a-gricoltura e dalla zootecnica, ed infinedalle discariche.

• Il protossido di azoto (NO2) è un gas serramolto potente e con un tempo di perma-nenza in atmosfera piuttosto elevato (120anni), ma con una bassa concentrazione;le principali fonti antropiche di emissione

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derivano dai fertilizzanti azotati usati inagricoltura e in alcune produzioni indu-striali.

• CFC, HFC, CF4 sono dei composti chimi-ci a base di carbonio che contengonocloro, fluoro, iodio o bromo. Con ilProtocollo di Montreal (1987) è stato vie-tato l’uso di una serie di sostanze tra lequali i clorofluorocarburi (CFC, responsa-bili del buco nell’ozono) e quindi si è arri-vati ad una diminuzione della loro con-centrazione; ma anche i prodotti sostitu-tivi (HFl e CF4 ) sono potenti gas serra.

Gli aerosol sono particelle liquide o solide diraggio infinitesimale tra 0,001 e 10 micron(10-3 mm), in sospensione nell’atmosfera, siadi origine naturale (molecole varie, batteri,polvere, sale marino, pollini, etc.), sia di origi-ne antropica (fumi metallurgici, nuclei di com-bustione, etc.).Le loro interazioni col clima possono esseredirette, attraverso l’assorbimento o la diffu-sione della radiazione solare, o indirette, conla modifica delle proprietà micro-fisiche dellenuvole.

Figura 1.2.20: Il particolato atmosferico PM10 misurato a Torino nel 2006.

Figura 1.2.19: Emissioni di particolato in troposfe-ra, un tipico esempio di emissione di aerosol.

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Gli aerosol in atmosfera agiscono da nuclei dicondensazione per la formazione delle nuvo-le, formando però nuvole caratterizzate dauna minore densità, rispetto a quelle in cui inuclei di condensazione sono particelle dighiaccio. Di conseguenza tali nuvole portanomeno piogge e una maggiore diffusione dellaradiazione sia verso lo spazio esterno (riflet-tendo la radiazione solare incidente al topdell'atmosfera e creando un effetto di ombraalla superficie terrestre), sia verso il suolo ter-restre (riflettendo verso il basso e trattenendonegli strati vicino al suolo la radiazione infra-rossa).Gli aerosol, in base alla loro quota di colloca-zione in atmosfera, si distinguono in:

• aerosol stratosferici, che si trovano in altaquota e permangono più a lungo, princi-palmente legati a cause naturali come leeruzioni vulcaniche;

• aerosol troposferici, a quote inferiori,sostanzialmente legati alle attività umane.

Gli aerosol stratosferici provocati da eruzionivulcaniche (Tambora 1815, Krakatoa 1883,Agung 1963, Pinatubo 1990) sono formati daaggregati di acido solforico originati dall’SO2

vulcanica. Provocano un raffreddamento dipochi decimi di grado persistente in atmosfe-ra per 1 o 2 anni dopo l’eruzione.Anche il traffico aereo sta immettendo instratosfera quantità di aerosol ormai maggio-ri di quelle di origine vulcanica.L’azione provocata dagli aerosol vulcanicipotrebbe teoricamente contrastare l’effettoserra nelle tendenze a breve termine, ma,poiché si tratta di un fenomeno irregolare e dibassa entità, non è sufficiente ad ottenere unimpatto climatico significativo.Gli aerosol troposferici, sostanzialmente diorigine antropogenica, potrebbero anch’essiavere un effetto di raffreddamento (comemisurato negli anni 1940-1970 sulle areeindustriali), a causa della presenza di nucleidi condensazione per la formazione di nuvo-le che tendono a schermare il suolo dall’inci-denza della radiazione solare. Ma questorisultato è controverso e tutt’ora dibattuto nelmondo scientifico: l’azione forzante com-plessiva degli aerosol antropogenici è stima-

ta, in termini di flusso energetico, nell’ordinedi 0,75 W/m2.Inoltre la permanenza in atmosfera del parti-colato è ben inferiore (settimane per la tropo-sfera o pochissimi anni per la stratosfera) alladurata degli effetti provocati dei gas serraantropogenici (secoli).

Stima quantitativa delle forzanti climaticheUna stima quantitativa molto approssimativadelle forzanti climatiche può essere di spun-to per raffrontare il loro diverso potere diazione sul sistema climatico terrestre.Come accennato prima, la radiazione solarea causa del ciclo delle macchie solari puòvariare del 0,1%, a cui corrisponde una varia-zione della radiazione assorbita dalla Terra dicirca 0,24 W/m2.Le due forzanti naturali insieme (radiazionesolare ed aerosol vulcanici stratosferici corri-spondenti a circa un ulteriore 0,20-0,25W/m2) sono state verosimilmente correspon-sabili della Piccola Era Glaciale del 1550-1850 con un calo della temperatura mediaglobale di 0,5 °C.Aldilà della variazione periodica, l’aumentodell’attività solare, cui va incontro la nostrastella con una crescita media della costantesolare sul lungo periodo dello 0,08%, ha pro-vocato un aumento dell’irraggiamento solarenegli ultimi 200 anni pari a +0,12 W/m2.L'effetto dei gas serra di origine antropogeni-ca dal 1800 ad oggi è stimato intorno ai +3W/m2.Contro queste due forzanti “riscaldanti”, c’èuna componente raffreddante dovuta agliaerosol che, sommando insieme sia quelli diorigine naturale sia quelli di origine antropica,è stimabile intorno ai -1,6 W/m2.Dalla risultante totale di queste 3 forzantimedie, l’effetto serra aggiuntivo, complessi-vamente introdotto nel sistema climatico apartire dal 1800, si aggira tra 1,5 e 1,6 W/m2,quindi inferiore all’1% dell'effetto serra natu-rale (stimabile intorno ai 182 W/m2).In ogni caso, il contributo naturale al riscal-damento climatico causato dall'aumento del-l'attività solare rimane trascurabile sia rispet-to al bilancio complessivo dell'effetto serra

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In anni recenti, in particolare dopo la pubbli-cazione nel 2001 del III rapporto sul climadell’IPCC e ancora più recentemente dopol’ultima pubblicazione nel 2007 del IV rap-porto sul clima sempre redatto dall’IPCC, siè affermata la consapevolezza che l’operaumana sul pianeta sembra agire in manieradeterminante nel cambiamento climatico.Tenendo presente la fondamentale distinzio-ne tra meteorologia e clima (vedi paragrafo1.1), nel presente paragrafo ci occuperemodella variabilità climatica, ovvero di quellavariabilità legata ai cambiamenti delle gran-dezze medie che descrivono il sistemaclima (atmosfera-oceano) e che hannocome effetto un cambiamento dei parametrimeteorologici, sensibile sia a livello regiona-le che globale.Fatte queste premesse, bisogna giocoforzadistinguere la normale e naturale evoluzioneclimatica (variabilità naturale) dall’attivitàdell’uomo sul nostro pianeta (variabilitàantropica).

Figura 1.3.1: Le cause della variabilità climatica.

aggiuntivo sia, ancor più, rispetto al contribu-to dei soli gas serra di origine antropica.Questo rende comprensibile come da parec-chi studi emerga che dal 1800 in avantiaumenta la correlazione tra andamento dellatemperatura e concentrazione di CO2, supe-rando le altre due forzanti (Sole e aerosol).

(Fonte: rielaborata da Ferrara, 2006 e da IPCC 2007)

1.3 La dinamica del clima

La dinamica del clima terrestre ha destatonegli ultimi anni un grande interesse, soprat-tutto dopo che la comunità scientifica ha ini-ziato a studiare la variabilità climatica e lepossibili correlazioni antropiche.

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Cause delcalore terrestre

Irraggiamentomedio (W/m2)

effetto serra naturale 182

irraggiamento solare +0,12

aerosol (naturali e antropici) -1,6

effetto serra antropico +3

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1.3.1 La variabilità di originenaturale

Il clima della Terra è da sempre caratterizza-to da una marcata variabilità. Tale affermazio-ne è stata dimostrata da studi scientifici dipaleoclimatologia.La componente naturale della variabilità cli-matica è dovuta ai modi con i quali l’energiaè immagazzinata nell’oceano, come calore, eviene ripartita tra differenti riserve. Esempi difattori che possono naturalmente portare acambiamenti climatici sono, ad esempio, lacircolazione termoalina e le variazioni dell’or-bita terrestre (vedi paragrafo 1.2).

In questo paragrafo distinguiamo tre tipi divariabilità naturale, sulla base della durata tem-porale dei processi: variabilità intrastagionale;variabilità interannuale; variabilità decennale.La variabilità intrastagionale è particolar-mente importante nelle regioni tropicali, perle quali rappresenta più della metà dellavariabilità atmosferica totale. Essa è rappre-sentata in particolare dalla cosiddetta MJO(Madden Julian Oscillation) ovvero da unafluttuazione dei parametri meteo-marini conun periodo di ricorrenza compreso tra i 30 e i60 giorni (intrastagionale). La MJO è origina-ta nell’Oceano Indiano e si presenta comeuna regione caratterizzata da elevata instabi-lità convettiva, che si propaga verso estattraverso l’Indonesia fino al Pacifico centra-le, dove si dissipa rapidamente.Figura 1.3.1.1: Schema di sviluppo e propagazio-

ne della MJO. Fonte NOAA CPC.

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Tale perturbazione dell’atmosfera tropicalealtera considerevolmente la circolazione del-l’aria (rappresentata dai venti sia nei bassiche negli alti strati atmosferici), la temperatu-ra e l’evaporazione della superficie marina,l’attività convettiva (rappresentata da nuvolo-sità e precipitazioni).È stato dimostrato come i fenomeni legati allavariabilità intrastagionale possano interagirecon altre scale temporali rivelando una capa-cità di modulazione degli altri tipi di variabilitànaturale su scale temporali differenti.La variabilità interannuale è rappresentata

da oscillazioni su scale temporali che vannodai 2 ai 7 anni. A differenza della variabilitàintrastagionale, essa è caratterizzata da unnotevole numero di modi di oscillazione cheinteressano diverse aree del pianeta.Sebbene ogni modo di oscillazione interessiuna particolare area del pianeta, gli effettipossono propagarsi anche verso regioni piùlontane. Tali effetti sono comunemente deno-minati teleconnessioni.I modi di oscillazione più conosciu-ti sono: ENSO (El Niño SouthernOscillation) e NAO (North AtlanticOscillation).L’oscillazione ENSO è determinatadal fatto che le regioni del Pacificotropicale sono normalmente piùfredde rispetto a quello che la loroposizione geografica equatorialesuggerirebbe. Tale anomalia èdeterminata dall’influenza di ventisettentrionali e correnti marinefredde che scorrono lungo le costedel Perù. Alcune volte l’effetto ditali sorgenti fresche svanisce, cau-sando un riscaldamento dellasuperficie marina del Pacifico cen-trale ed orientale. In queste condi-zioni si assiste all’insorgere delfenomeno del Niño ovvero di un’a-nomalia positiva della temperaturasuperficiale del mare (SST) in taliregioni tropicali del Pacifico. Altrevolte, invece, l’afflusso di tali cor-renti fredde è più intenso. In talicondizioni si verifica il fenomeno

della Niña, ovvero un’anomalia negativa dellaSST nel Pacifico tropicale.Ritornando al concetto delle teleconnessioni,tra gli effetti del fenomeno del Niño o dellaNiña citiamo i seguenti:Niño precipitazioni intense in Perù e America

centrale; siccità elevata nel Pacificotropicale occidentale, in particolare inIndonesia e nell’Australia orientaledove talvolta è associato a devastantiincendi.

Niña precipitazioni intense ed alluvioni nelPacifico tropicale occidentale, in parti-colare nell’Australia orientale; siccità inSud America.

Inoltre si è riscontrato che alcuni anni carat-terizzati da estati particolarmente calde sullanostra penisola, come il 1983 e il 1998, sianostate associati a episodi di Niño.

Figura 1.3.1.2: Teleconnessioni relative al modo dioscillazione ENSO durante la fase del Niño. FonteNOAA/PMEL/TAO.

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e bassa pressione che fa sì che le perturba-zioni atlantiche più intense attraversino lazona atlantica seguendo traiettorie più set-tentrionali.La fase negativa della NAO, invece, è il feno-meno contrario, ovvero determinata da un’a-nomalia nei valori di pressione, negativa perl’alta pressione delle Azzorre e positiva per labassa pressione di Islanda. La differenza dipressione tra i due centri di alta e bassa pres-sione si riduce, permettendo alle perturbazio-ni atlantiche di scorrere a latitudini inferiori.La NAO ha un periodo di variabilità annuale etendenza a mantenersi nella stessa fase perdiversi anni.Le teleconnessioni legate alla NAO possonoessere così riassunte:NAO positiva inverni miti e umidi sull’Europa

settentrionale, secchi e freddisull’Europa meridionale; invernifreddi e secchi in Groenlandia eCanada settentrionale; invernimiti e umidi nella parte orienta-le degli Stati Uniti.

NAO negativa afflusso di aria umida verso laregione del Mediterraneo,mentre aria fredda sul NordEuropa; irruzioni di aria freddapiù frequenti nella parte orien-tale degli Stati Uniti; invernimiti in Groenlandia.

Il nome El Niño venne attribuito originaria-mente dai pescatori al largo delle coste delPerù per la comparsa di acqua insolitamentecalda nell’Oceano Pacifico, che si verificavain prossimità dell’inizio dell’anno. El Niño inspagnolo significa “bambino” o “bambinGesù”. Tale nome venne usato a causa dellatendenza di tale fenomeno a comparire inprossimità del Natale. La Niña, invece, signi-fica in spagnolo “bambina”. La Niña vienechiamata a volte attraverso sostantivi con-trapposti a El Niño, ad esempio El Viejo (ilvecchio), anti-El Niño. Curiosità: poiché ElNiño vuol dire “bambin Gesù”, anti-El Niñoverrebbe tradotto “anti-Cristo” e, quindi, nonusato comunemente.

L’oscillazione NAO può essere vista comeun’altalena tra l’alta pressione sub-tropicaledelle Azzorre e la bassa pressione polared’Islanda. Essa ha una grossa importanzaper il nostro continente, infatti modula lavariabilità invernale nel Nord Atlantico. Sipossono distinguere due cosiddette fasi dellaNAO: quella positiva e quella negativa. Lafase positiva della NAO è determinata daun’anomalia nei valori di pressione, positivaper quanto riguarda l’alta pressione delleAzzorre e negativa per la bassa pressione diIslanda. Si viene così ad instaurare una fortedifferenza di pressione tra i due centri di alta

Figura 1.3.1.3: a) NAO Positiva e teleconnessioni (sinistra); b) NAO Negativa e teleconnessioni (destra). Fonte www.ideo.columbia.edu/NAO.

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La variabilità decennale ha un periodo diricorrenza che varia tra i dieci e i trent’anni.Tale tipo di variabilità è, a causa dell’elevatoperiodo di fluttuazione e del limite delle seriestoriche di dati disponibili, ancora in fase distudio, ma è stato dimostrato come a talioscillazioni si associno:

• fluttuazioni delle temperature superficialimarine nell’Oceano Pacifico, Atlantico set-tentrionale e australe;

• variazioni di tipo ENSO, ossia con caratte-ristiche simili alla variabilità ENSO, ma confluttuazioni molto più ampie;

• variazioni nella circolazione atmosfericanelle precipitazioni.

Oltre ai modi di variabilità sommariamentedescritti in precedenza, esistono altri modi divariabilità del sistema atmosfera-oceano,che non sono stati descritti poiché meno cor-relati con la variabilità climatica della nostrapenisola e della nostra regione.

1.3.2 La variabilità di origineantropica

Fa parte della variabilità climatica di origineantropica, quella porzione di cambiamentoclimatico che può essere ricondotta all’attivi-tà umana.È stato infatti dimostrato scientificamenteche gli interventi dell’uomo sull’ambiente,ovvero le attività antropiche ed in particola-re quelle industriali e legate ai trasporti,abbiano un impatto notevole sulle variazionidi alcune variabili atmosferiche, non ricon-ducibili alla variabilità naturale precedente-mente descritta.Il grande contributo alla variabilità climati-ca che assumono le attività antropiche èstato ampiamente confermato dal recenterapporto dell’IPCC (Febbraio 2007) che,oltre agli aspetti più specificatamente tec-nico-scientifici, ha messo in evidenza lanecessità di intraprendere azioni politicheper contrastare il cambiamento climatico eminimizzarne le conseguenze negative.L’ultima edizione del rapporto dell’IPCC inol-tre, grazie all’intervento dei media, ha visto

una larga diffusione alla popolazione dei prin-cipali messaggi contenuti.All’interno di tale rapporto, troviamo la con-statazione, insieme scientifica e storica, chementre nei precedenti mille anni il clima delpianeta è rimasto sostanzialmente stabile, apartire dalla rivoluzione industriale del XIXsecolo, da quando si sono cominciati a bru-ciare combustibili fossili, la temperatura hapreso gradatamente a salire e con un ritmosempre più intenso. È stato stimato che nel-l’ultimo trentennio la temperatura media delglobo è aumentata di 0,74 °C.La principale causa di tale fenomeno èstata individuata nella maggiore immissionein atmosfera dei gas serra. Dall'inizio dell'e-ra industriale, infatti, le attività umanehanno fatto crescere in maniera progressivale emissioni dei cosiddetti gas serra. Nelperiodo compreso tra il 1970 ed il 2004 ilivelli di anidride carbonica, cioè del princi-pale dei gas ad effetto serra, sono cresciu-ti dell’87%, quelli del metano del 40%,quelli dell'ossido di azoto del 50%. Già nel2001, l’allora direttore dell’IPCC RobertWatson dichiarò “oggi nell'atmosfera c'èpiù anidride carbonica di quanta ve ne siastata negli ultimi 420.000 anni”, dichiarazio-ne basata sull’analisi dei campioni di ariafossile nelle carote di ghiaccio prelevate inAntartide.Un effetto tangibile di un tale riscaldamentoglobale è la progressiva riduzione dei ghiac-ciai alpini, nonché la grande diminuzione deighiacciai artici, che secondo alcuni studi por-terebbe all’indebolimento della Corrente delGolfo.Partendo da tali considerazioni è aumentatasempre di più la consapevolezza della popo-lazione di quanto la nostra attività sulla Terrapossa influenzarne il clima. Pertanto sonostate divulgate, e sempre più accettate,diverse forme di regolamentazione, in parti-colare per ridurre l’immissione in atmosferadei gas serra. Parte di queste regole sonodettate nel protocollo di Kyoto (vedi paragra-fo 5.3).

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1.4 Introduzione ai modelliclimatologici

La necessità di studiare gli impatti del cam-biamento climatico in atto è fondamentaleper prevederne gli effetti futuri. In tale otticaun grosso contributo è dato dai modellinumerici di simulazione e previsione delclima, strumenti che hanno subito un costan-te sviluppo negli ultimi anni, stimolato dallacrescente attenzione della comunità mondia-le sull’argomento e favorito dalla forte evolu-zione tecnologica che ha consentito di dis-porre di adeguate risorse di calcolo.Si tratta di strumenti matematici basati sulleleggi fisiche atmosferiche e sulla loro intera-zione con la superficie terrestre, in particola-re con il mare. Essi si dividono in due cate-gorie fondamentali: i modelli di circolazionegenerale GCM (General Circulation Model) edi modelli ad area limitata RCM (RegionalClimate Model). Le differenze tra queste duecategorie sono descritte nei prossimi dueparagrafi.

1.4.1 La scala globale

I modelli di circolazione generale GCM sonomodelli che risolvono le equazioni descriven-ti le leggi fisiche atmosferiche suddividendo ilglobo e l’atmosfera in celle il cui insieme puòessere visto come una griglia tridimensiona-le.L’atmosfera e la superficie terrestre vengonorappresentati tramite una maglia geometricaregolare: la distanza tra ciascuna intersezio-ne, detta punto griglia, definisce la risoluzio-ne del modello. Su ciascun punto griglia ven-gono assegnate le variabili meteorologicheall’istante iniziale della simulazione, ovvero lecondizioni iniziali di calcolo.Tali condizioni iniziali non sono nient’altro chela traduzione sul grigliato stabilito, della real-tà. Si tratta di un’approssimazione e nonesattamente della realtà, in quanto essanecessiterebbe di punti griglia infinitesima-mente vicini l’uno all’altro: è ciò che più le si

avvicina. Tale procedimento viene condottoraccogliendo i più svariati tipi di osservazionisu scala mondiale (dati da stazioni meteo alsuolo, da radiosondaggi, da satellite, daradar, ecc.) e riportando tali dati sui punti gri-glia con processi matematici chiamati pro-cessi di assimilazione.

I modelli GCM si suddividono a loro volta intre categorie: AGCM (Atmosphere GeneralCirculation Model); OGCM (Ocean GeneralCirculation Model); AOGCM (Atmosfere-Ocean General Circulation Model).

Gli AGCM sono una rappresentazione tridi-mensionale dell’atmosfera accoppiata allasuperficie terrestre ed alla criosfera. Unmodello AGCM è molto simile ad un modellonumerico per le previsioni del tempo, ma,poiché il suo scopo è la riproduzione dellostato dell’atmosfera per decenni o centinaiadi anni piuttosto che giorni, è applicato conmeno dettaglio, ovvero ad una risoluzioneinferiore (es. 100 km). Tali modelli necessita-no di dati per la temperatura superficiale delmare e della copertura mare-ghiaccio.Un modello AGCM presenta forti limitazioni:non può essere usato da solo per previsioniclimatiche, in quanto non fornisce indicazionisu come possono cambiare le condizioni

Figura 1.4.1: Il globo visto da un modello GCM.

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sugli oceani; deve ricevere delle condizioni alcontorno (quali la temperatura della superfi-cie del mare); per la bassa risoluzione nonpuò risolvere processi cosiddetti “sottogri-glia” (convezione, turbolenza, ecc). Talimodelli sono comunque utili per lo studio deiprocessi atmosferici, la variabilità del clima ela sua risposta ai cambiamenti nella tempera-tura superficiale del mare.

I modelli OGCM sono la controparte degliAGCM per quanto riguarda la parte marina,ovvero la rappresentazione tridimensionaledegli oceani e della parte di mare coperta daghiaccio. Le limitazioni sono le stesse degliAGCM, ma la loro utilità è quella di studiare lacircolazione marina, i processi interni e la lorovariabilità.

Gli AOGCM sono modelli più complessi rap-presentati da un modello AGCM accoppiatointeramente con un modello OGCM.Accoppiamento significa che la parte marinadel modello è dinamica e trasmette/riceveinformazioni in continuo con la parte atmo-sferica. Proprio per tali caratteristiche, gliAOGCM possono essere usati per previsionisui cambiamenti climatici. Possono essereusati, inoltre, per studiare la variabilità e i pro-cessi fisici del sistema climatico accoppiatoatmosfera-oceano. Come i modelli AGCM, imodelli di previsione climatologica hannouna risoluzione di qualche centinaio di chilo-metri.

1.4.2 La scala regionale

Quando si vogliono studiare i cambiamenticlimatici su scala regionale, ci si scontra conproblematiche che i modelli del tipo GCMnon possono mettere in evidenza. A scalaregionale il clima è fortemente influenzato dafattori locali come la conformazione del terri-torio ed in particolare dall’orografia. Unmodello GCM ha una rappresentazioneapprossimativa della realtà fisica del globo,limitazione data dalla scarsa risoluzione spa-ziale del modello dell’ordine di qualche centi-naio di chilometri.

La risposta a tale necessità è data dai model-li RCM (Regional Climate Model). In pratica sicerca di risolvere i problemi della scala glo-bale, individuando un’area di interesse eaumentando enormemente la risoluzione delmodello solo su tale area.

Per questo motivo i modelli RCM sono dettiad area limitata o regionali, in quanto sonouna rappresentazione tridimensionale delsistema accoppiato atmosfera-oceano, masolo su un’area limitata del globo. Tali model-li hanno necessità di avere dati in ingresso,primi tra tutti le informazioni cosiddette alcontorno, che definiscono cosa succede suibordi della griglia di integrazione. Una limita-zione rispetto al GCM, e dovuta sempre allagrande risoluzione, è quella di non poter faresimulazioni troppo lunghe, che necessitereb-bero di lunghi tempi di calcolo.

1.4.3 La regionalizzazionestatistica

Un’altra tecnica per “regionalizzare” le infor-mazioni provenienti dai modelli globali delclima, ovvero per creare prodotti fruibili dautenti che necessitano di una informazionelocale, ovvero con una risoluzione dell’ordinedei 10 km, partendo da informazioni derivanti

Figura 1.4.2: La visione di un modello RCM.

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dai modelli globali (100 km di risoluzione), èquella del cosiddetto “downscaling” statistico.Tale tecnica consiste nel mettere in relazioneparametri superficiali su scala locale conindici o elementi della circolazione a grandescala. Infatti le anomalie a grande scala deri-vabili dai modelli globali hanno la caratteristi-ca di avere un maggior livello di predicibilitàrispetto a quelle su scala locale in quantolegate a fenomeni predicibili a scala stagio-nale e quindi alla variabilità naturale discussanel precedente capitolo.Se esiste una correlazione tra le anomalie agrande scala e le variabili locali al suolo (adesempio le teleconnessioni descritte nel pre-cedente capitolo) è possibile, attraverso tec-niche di regressione o correlazioni, fare delleprevisioni locali a partire dall’andamentodella circolazione globale.Le problematiche maggiori legate a tecnichedi downscaling statistico sono: individuazio-ne dei pattern di circolazione atmosferica piùcorrelati con il clima locale e la garanzia dellaqualità delle previsioni di tali pattern su gran-de scala. Nel primo caso, numerose analisistatistiche tra i dati ricavati da reti di misuraal suolo e dati relativi ai campi atmosferici inquota, hanno mostrato una correlazione sta-tisticamente robusta in determinate stagioni(Pavan, 2004) tra alcune variabili meteorolo-giche “pure” (ad esempio l’anomalia mediastagionale della temperatura massima) oindici da esse derivati (ad esempio loStandardized Precipitation Index, vedi para-grafo 3.2), e la variabilità atmosferica a largascala rappresentata da indici come ad esem-pio la NAO o, più in generale, la variabilitàdell’anomalia del campo di geopotenziale a500 hPa calcolata tramite la sua analisi incomponenti principali (EOF). Per quantoriguarda la capacità predittiva dei modellinumerici stagionali messi a disposizione daicentri meteorologici internazionali qualiECMWF (European Center for MediumRange Weather Forecast), ad oggi risultaessere ancora piuttosto limitata finanche sta-tisticamente non significativa su ampie zonedell’Europa. Le motivazioni di tale carenzavanno ricercate sia nell’intrinseca scarsa pre-

dicibilità dei fenomeni stagionali, sia nellalimitata (allo stato dell’arte) capacità, da partedei modelli numerici, di riprodurre in modocorretto la variabilità atmosferica di largascala su tempi lunghi. Una possibile soluzio-ne a questo problema, che potrebbe permet-tere una regionalizzazione statistica accetta-bile e fruibile delle previsioni stagionali,potrebbe essere quella di abbandonare unapproccio deterministico della previsione,per seguire la strada delle previsioni probabi-listiche.

1.5 I cambiamenti climaticiosservati

Come già descritto nel paragrafo 1.3, i cam-biamenti climatici fanno parte in generale delnaturale “ciclo vitale” del nostro pianeta. Nelcorso degli ultimi 500 anni, si sono affiancatia quelli naturali gli effetti antropici sulla varia-bilità climatica.Infatti il cambiamento climatico attualmentein corso è il più rapido osservato negli ultimi1000 anni e ci sono molte evidenze scientifi-che dell’interferenza delle attività umane neinaturali mutamenti del clima.Sulla base degli studi effettuati da circa 2500scienziati, l’IPCC desume che il riscaldamen-to del sistema climatico è inequivocabile etale evidenza è confermata principalmentedai seguenti dati:

• Aumento della temperatura media a livel-lo globale.Dal rapporto dell’IPCC, la temperaturamedia superficiale dell’aria è aumentatacon un trend lineare di 0.74 ± 0.18 °Cnegli ultimi 100 anni (1906-2005). Inoltre lavelocità del riscaldamento globale rispet-to agli ultimi 100 anni è circa raddoppiatanegli ultimi 50 anni. Secondo tale studio leregioni a latitudini maggiori dell’emisferoboreale sono maggiormente interessateda tali incrementi termici.Anche il contenuto di calore degli oceani èaumentato negli ultimi 50 anni, ma le terreemerse si sono riscaldate più velocemente

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degli oceani. Le temperature delle terreemerse si sono riscaldate dal 1979 di circa0.25 °C per decade, soprattutto in invernoe primavera nell’emisfero boreale.

• Ritiro dei ghiacciai continentali e deighiacci polari.I cambiamenti nella criosfera includono ilforte ritiro del ghiaccio marino Artico (2.7± 0.6% per decade), il continuo ritiro deighiacciai montani, la riduzione dellacopertura nevosa e del terreno ghiacciatostagionale e l’incremento della temperatu-ra del permafrost. Le temperature mediedell’Artico negli ultimi 100 anni sono

aumentate di quasi 2 volte rispetto allatemperatura media globale. L’area massi-ma coperta da ghiaccio stagionale dal1900 è diminuita di circa il 7% nell’emi-sfero nord.

• Aumento del livello dei mari.Le ultime stime vedono un aumento dellivello dei mari compreso tra i 18 e i 58cm. Il livello dei mari globale è salito dal1961 ad un ritmo di 1,8 mm/anno.L’incremento nel livello dei mari e il decre-mento nella copertura nevosa e dei ghiac-ciai sono consistenti con il riscaldamentoglobale.

Figura 1.5.1: Andamento di alcuni parametri fisici confrontati con la media del periodo di riferimento(1961-1990). Fonte IPCC 2007.

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Secondo l’IPCC è verosimile che la secon-da metà del XX secolo sia stata il cinquan-tennio più caldo dello scorso millennio perl’emisfero Nord. La paleoclimatogia ha evi-denziato come un grande innalzamento dellivello marino sia stato associato ad unforte riscaldamento circa 125’000 anni fa,quando causò il ritiro su larga scala deighiacci della Groenlandia e dell’Artico,contribuendo ad un aumento del livello deimari di circa 4-6 m al di sopra dei valoriattuali.

Altre evidenze di cambiamento climaticonella seconda metà del XX secolo si sono

osservate nella variazione della circolazioneatmosferica con un’intensificazione ed unamigrazione verso i poli dei venti occidentali,una diversa distribuzione delle precipitazionisu vaste aree e il superamento di alcuniestremi climatici.Un trend significativo nei dati dal 1900 al2005 è stato osservato in termini diaumento delle precipitazioni nella parteorientale del continente americano,nell’Europa settentrionale e in Asia setten-trionale e centrale, mentre trend negativi(siccità) sono stati osservati per la zonedel Sahel, per il Mediterraneo, per l’Africae l’Asia meridionale.

Figura 1.5.2: Estensione dello scioglimento dei ghiacci in Groenlandia nel 1992 (a sinistra)e nel 2002 (a destra). La Groenlandia sta perdendo massa con un tasso del 3% per deca-de ed i tassi di scioglimento stanno aumentando. Nel 2004 il tasso di scioglimento era 10volte superiore a quello osservato nel 2000. Fonte: Clifford Grabhom/ACIA 2005

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Periodi siccitosi più intensi e severi si sonoosservati dagli anni 70 specie ai tropici enei subtropici, causa l’aumento delle tem-perature.I giorni freddi, le notti fredde e ghiacciatestanno diventando più rari, mentre i giorni ele notti calde e le ondate di calore stannodiventando più frequenti.Le osservazioni evidenziano un incrementonegli estremi di acqua alta in gran parte deisiti mondiali dal 1975 e un’intensificazionedei venti, delle tempeste e delle maree allemedie latitudini.La frequenza delle precipitazioni intense è

aumentata ed inoltre c’é evidenza che i ciclo-ni tropicali siano diventati più intensi.La tabella sottostante riassume, per quantoriguarda gli eventi climatici estremi, le osser-vazioni registrate negli ultimi 50 anni in termi-ni di tendenza e frequenza.Alcuni fenomeni estremi, pur essendo signi-ficativi in quanto ad impatti socio-economi-ci, non possono essere simulati dai modellinumerici previsionali, in quanto il loro rag-gio di azione spaziale è inferiore alla risolu-zione del modello stesso: allo stato attualeè quindi impossibile fornire una loro ade-guata valutazione.

Confidenza dei cambiamentiosservati (seconda metà del20° secolo)

Probabile (66%-99%).

Molto Probabile (90-99%).

Molto Probabile (90-99%).

Probabile (66%-90%), su moltearee.

Probabile (66%-90%) sumolte terre emerse allemedio-alte latitudini dell’emisferonord.

Probabile (66%-90%), su pochearee.

Non osservati nelle poche analisidisponibili.

Dati insufficienti per una valuta-zione.

Fenomeni in cambiamento

Aumento nelle temperature massime e maggior numero di giornicaldi su quasi tutte le terre emerse.

Aumento nelle temperature minime e minor numero di giornifreddi e di gelo su quasi tutte le terre emerse.

Diminuzione dell’escursione termica su molti continenti.

Incremento dell’indice di calore sui continenti.

Eventi di precipitazione più intensa.

Aumento delle estati secche continentali associate a rischio disiccità.

Aumento nell’intensità di picco del vento nei cicloni tropicali.

Aumento nell’intensità di precipitazione media e di picco neicicloni tropicali.

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Tabella 1.5.1: I cambiamenti osservati e il grado di confidenza.Fonte: IPCC 2007, WGI – Summary for Policymakers.

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SISTEMI EVIDENZE EFFETTOFISICICriosfera Ritiro dei ghiacciai montani. Aumento del livello dei mari.

Instabilità di versante su monti e regioni coperte da permafrost.Incremento nel numero di laghi glaciali.Destabilizzazione delle morene glaciali.

Risorse Idriche Il picco di deflusso primaverile è anticipato nei fiumi interessati dallo scioglimento nivale.Il deflusso è aumentato nei grandi bacinialle alte latitudini dell’emisfero settentrionale. In alcune regioni il cambiamento nella fusione nivale ha portato a restrizioni nelle riserve d’acqua.Riscaldamento di laghi e fiumi. Cambiamenti anomali nelle proprietà

chimiche e nella struttura termica.Restrizioni nella disponibilità idrica. Siccità più severe e prolungate

nelle regioni aride.Zone Costiere Aumento del livello del mare. Acidificazione degli oceani.

Aumento della dimensione delle onde. Perdita di aree paludose e zonedi mangrovia.

Intensificazione delle tempeste. Danni per alluvioni costiere.

Sia i sistemi fisici che quelli biologici sonostati influenzati dal recente cambiamento cli-matico. Tale cambiamento riguarda tutti icontinenti e alcune zone oceaniche. Nellatabella successiva sono elencati, per ciascunsistema, le evidenze e gli effetti del cambia-mento climatico.Se per questi sistemi è oramai dimostrata l’e-

videnza dell’influenza da parte del cambia-mento climatico negli ultimi trent’anni, perquanto riguarda invece i sistemi umani, è dif-ficile discernere quanto effettivamente talisistemi siano stati influenzati dal cambia-mento climatico. Tale difficoltà è dovuta allacapacità di adattamento e a fattori non cli-matici tipici della specie umana.

Il lago Effimero sul Ghiacciaio del BelvedereIl ghiacciaio del Belvedere, ai piedi della pare-te Est del Monte Rosa, nel territorio diMacugnaga (VB) in Piemonte, dall’estate del-l’anno 2001 è soggetto ad un fenomeno,interpretato come esempio di surge glaciale,di raro riscontro sull’arco alpino, consistentein un rapido aumento della velocità di scorri-mento e in un conseguente progressivo solle-vamento della superficie della massa glaciale. A questo fenomeno si è associata la periodi-ca formazione di un lago epiglaciale a quota2150 m, che raccoglie le acque di fusione dei

ghiacciai e dei nevai sovrastanti, raggiungen-do nei mesi estivi (degli anni 2002 e 2003)dimensioni preoccupanti per la sicurezza deiluoghi e delle persone, in caso di tracimazio-ne o di svuotamento improvviso per sifona-mento.Il sottobacino che alimenta il lago epiglacialecopre un’estensione di circa 6 km2, conun’altitudine media di 3180 m e comprendela parte più alta della catena montuosa delMonte Rosa. Il Ghiacciaio del Belvedere ha vissuto la suaultima fase di espansione all’inizio dello scor-

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so secolo; dall’inizio degli anni ’20 è andatosoggetto ad una progressiva fase di ritiro,valutabile in un arretramento complessivo del fronteglaciale sinistro pari a circa 690 m dai rileva-menti del Comitato Glaciologico Italiano.Tra il 2000 ed il 2001 il ghiacciaio è andatosoggetto ad una eccezionale trasformazionedella velocità di flusso, della geometria edella morfologia superficiale.Dall’analisi aerofotogrammetrica il Prof.Haeberli dell’Università di Zurigo e i suoi col-laboratori hanno stimato in taluni punti delghiacciaio un sollevamento superiore a 30metri, che ha comportato talora il sormontodella cresta della morena da parte del ghiac-ciaio; la velocità di scorrimento è passata da35 m/anno nel periodo ’95-’99 a 110 m/annonel periodo ’99-2001.La disarticolazione della porzione inferiore deltributario principale del ghiacciaio delBelvedere (il Ghiacciaio del M. Rosa), osser-vata già nell’estate del 2000, suggerisceun’accelerazione della velocità di flusso, conla formazione di un’enorme seraccata lungo ilsuo fianco sinistro. In seguito all’accelerazio-ne del flusso, la superficie del Ghiacciaio delBelvedere ai piedi della parete Est del M.Rosa ha subito una compressione e deforma-zione intense, che si sono progressivamentetrasmesse fino al fronte del ghiacciaio e sonoevidenziate da una intensa crepacciaturadella superficie glaciale e da un suo innalza-mento dell’ordine di una trentina di metri.Le cause dell’innesco di un fenomeno di que-sto genere sono da mettere in relazione adun innalzamento delle temperature del ghiac-cio nella fascia di transizione tra freddo etemperato e ad una conseguente maggioredisponibilità di acqua allo stato liquido, chefavorirebbe la lubrificazione del fondo sulquale scorre il ghiaccio.Dal mese di giugno 2002, a seguito di unrepentino innalzamento del livello del lagoepiglaciale, con l’intervento del DipartimentoNazionale di Protezione Civile, venivano indi-viduate misure precauzionali urgenti pergarantire la pubblica incolumità e venivaavviato un piano di monitoraggio strumenta-

le del fenomeno. In particolare si procedetteall’installazione di un sistema di pompaggioper l’abbassamento controllato dell’invaso evennero adottate misure restrittive, per impe-dire l’accesso delle persone nelle aree poten-zialmente a rischio in caso di piena improvvi-sa del Torrente Anza, e vennero perimetratearee a diversa pericolosità, per le quali ven-nero definite procedure di evacuazione diprotezione civile, da adottare in caso diemergenza. In parallelo alla definizione dellemisure di sicurezza, venne definito un pianodi monitoraggio del ghiacciaio e del lagostesso, con il supporto tecnico di ArpaPiemonte. La gestione della strumentazione,anche per gli anni successivi, venne affidataad Arpa Piemonte, che effettuò tutte le ope-razioni di controllo e di informazione in mododa rendere sicure le operazioni di svuota-mento del lago ed efficaci le misure di pre-venzione attraverso la realizzazione di unsistema di allertamento.

Figura 1: Il Lago Effimero di Macugnaga nel mesedi luglio 2001

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SISTEMI EVIDENZE EFFETTOBIOLOGICIEcosistemi Cambiamenti climatici eMarini variabilità atmosferica, associate

agli impatti antropici.

Ecosistemi di Riscaldamento di laghi e fiumi.acque dolci

Ecosistemi Riscaldamento globale.terrestri

SISTEMI EVIDENZE EFFETTOUMANIAgricoltura Allungamento della stagione produttiva. Aumento nella produttività forestalee foreste in molte regioni.

Condizioni più calde e di siccità. Riduzione della produttività forestale e aumento di incendi in Nord America e nel bacino delMediterraneo.

Salute Aumento delle temperature. Cambiamento nella distribuzione dialcune malattie.Cambiamenti nella produzione stagionale di pollini causa di allergie.

Aumento negli estremi di temperatura. Eccesso nella mortalità (es. ondatadi calore del 2003).

Società ed Aumento nella frequenza Aumento nei danni alle infrastrutture.Infrastrutture di tempeste tropicali.

Aumento del livello dei mari.Aumento della temperatura. Forti limitazioni nella pratica di sport

invernali nelle zone alpine di quotanon elevata.

L’acidificazione degli oceaniL’acidificazione degli oceani descrive unprocesso per mezzo del quale un aumentodella CO2 negli oceani determina un aumen-to dello loro acidità. Ciò può portare nell’ar-co di decenni a cambiamenti drammaticidel sistema marino. Dalla rivoluzione indu-

striale, il pH degli oceani ha subito un calodi approssimativamente 0.1 unità. Mentre leconseguenze ecologiche di questi cambia-menti in termini di calcificazione sonoincerti, è verosimile che le specie come icoralli possono essere influenzate in modoavverso.

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Cambiamenti nella fenologia e nella dis-tribuzione delle specie marine (es. movi-mento di 10° verso i poli di plancton epesci nelle ultime quattro decadi nel NordAtlantico). Danni alla barriera corallina.Acidificazione degli oceani.Abbondanza e produttività, composizio-ne delle comunità, fenologia, distribuzio-ne e migrazione nei sistemi di acquadolce (es. abbondanza e produttività dialghe in molti laghi alle latitudini più ele-vate, mentre ai tropici il contrario).Espansione verso i poli e verso altitudinimaggiori di flora e fauna, partenza antici-pata di eventi primaverili, migrazioni eprolungamento delle stagioni di crescita.Cambiamenti nella flora e fauna artica eantartica.

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I costi del Cambiamento ClimaticoIn Europa, il 64% degli eventi catastrofici a par-tire dal 1980 è direttamente attribuibile adeventi meteorologici estremi, quali alluvioni,siccità e ondate di calore, che spiegano il 79%delle perdite economiche complessive. Le per-dite economiche dovute ad eventi meteorolo-gici sono aumentate significativamente negliultimi 20 anni, da una media inferiore ai 6.5miliardi di euro, a 14.3 miliardi di euro, sia per ilmaggiore sviluppo di infrastrutture, sia per l’au-mentata frequenza degli eventi estremi.Quattro dei cinque anni che hanno registratomaggiori perdite si sono verificati dal 1997.Sempre in Europa, il numero medio di eventicatastrofici dovuti a fenomeni meteorologici èraddoppiato nel decennio 1990-2000 compa-rato con la decade precedente, mentre si èregistrata una stazionarietà degli eventi natura-li non legati al clima, come i terremoti. Il numero di calamità naturali legate alle grandialluvioni, nel periodo dal 1990 al 1998, è statopiù alto che nel periodo dal 1950 al 1985 ed inparticolare nel periodo dal 1998 al 2005l’Europa ha sofferto dei 100 eventi alluvionaliche hanno causato maggiori danni (DartmouthFlood Observatory) e coinvolto un maggiornumero di persone. Conseguentemente anchei costi sono aumentati considerevolmente nel-l’ultimo periodo: il rapporto della compagniaassicurativa Munich Re stima i costi per i dannidovuti agli eventi meteorologici intensi negliultimi 25 anni intorno a 1.500 miliardi di dollari(Munich Re, 2005).

Le cause dei cambiamenti climatici indicatinel quarto report sui cambiamenti climaticidell’IPCC sono da ricercare tra:

• Aumento nelle emissioni dei gas cosid-detti serra tra cui la principale componen-te nelle emissioni è rappresentata dallaCO2, deri-vante in primis dall’aumentonella richiesta di elettricità (triplicata dal1970), seguita dalle emissioni per i tra-sporti (duplicata dal 1970).

• Conseguente cambiamento nel bilancioenergetico del sistema atmosfera-suolo.

Figura 2: Grandi calamità meteorologiche nelperiodo 1950-2006 classificate da Munich Re - per-dite totali e assicurate.

Figura 1.5.3: Andamento della concentrazioneglobale dei gas serra nell’ultimo trentennio (1970 –2004) in Gt (Miliardi di tonnellate) di CO2 equiva-lente. Fonte IPCC 2007.

Figura 1: Grandi calamità meteorologiche nelperiodo 1950-2006 classificate da Munich Re.

© 2007Münchener Rückversicherungs-GesellschaftGeo Risks Research, NatCatSERVICE

© 2007Münchener Rückversicherungs-GesellschaftGeo Risks Research, NatCatSERVICE

Gt CO2 equivalente

Gas ODP

HFC, PFC, SF

N2O altri

N2O agricoltura

CH4 altri

CH4 rifiuti

CH4 agricoltura

CH4 energia

CO2 altri

CO2 decomposizione,non CO2, torba

CO2 deforestazione

CO2 uso carburanti fossili

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2. Le osservazionimeteorologichedel XX secolo

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Lo studio della variabilità e dei cambiamenticlimatici parte dall'individuazione delle varia-zioni nel corso del tempo e delle cause, sullabase dell’analisi di serie storiche di osserva-zioni meteorologiche con la massima esten-sione negli anni. Tuttavia nel corso del tempomolteplici fattori, quali la manutenzione ed icambi di strumentazione, le modifiche occor-se all'ambiente circostante, possono averalterato la rappresentatività e la qualità dellemisure acquisite.Quindi il problema più rilevante delle serie piùantiche in ambito climatologico è connessoall'affidabilità dei dati: senza un dettagliatostudio di carattere storico delle fonti, chepermetta di valutare criticamente ciò che èstato osservato, individuando eventuali erroricasuali o sistematici, e che porga attenzione

alla ricostruzione storica delle modalità concui si sono svolte le osservazioni, tali serievanno considerate più come successione dinumeri che di misure.

2.1 Le reti di misura storiche

L'Italia vanta un ruolo di primissimo pianonello sviluppo delle osservazioni meteorolo-giche, ben evidenziato dall'invenzione dialcuni dei più importanti strumenti meteoro-logici e dall'istituzione della prima rete diosservatori in Europa.Questa forte presenza italiana nello sviluppodelle osservazioni meteorologiche è anchetestimoniata dall'esistenza di ben sei seriesettecentesche: Bologna - Milano - Roma -

Padova - Palermo - Torino.In Italia nel corso degli ultimitre secoli si è quindi accu-mulato un patrimonio di datiosservativi di enorme valore:la Figura 2.1.1, tratta dallavoro di Cantù e Narducci(1967) “Lunghe serie diosservazioni meteorologi-che” pubblicato sulla Rivistadi Meteorologia Aeronautica,mostra le nostre serie seco-lari pluviometriche e termo-metriche.

Nel 1865 nascono a Firenze,allora capitale d’Italia, gliUffici meteorologici delMinistero di Agricoltura,Industria e Commercio. Neglistessi anni a Roma presso ilCollegio Romano, PadreSecchi si occupa di astrono-mia e meteorologia (Figura2.1.2), mentre a Moncalieri,presso Torino, al Real

Figura 2.1.1: Serie secolari pluvio-metriche e termometriche italiane(da Cantù e Narducci, 1967).

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Collegio Carlo Alberto, inizia l’opera del bar-nabita Padre Denza, che dedica gran partedella sua vita all’organizzazione della rete pie-montese. Nel 1859 fonda l’Osservatoriometeorologico di Moncalieri e nel 1860 iniziauna fitta corrispondenza con i direttori dellealtre stazioni piemontesi, Parnisetti adAlessandria, Craveri a Bra e Gatta ad Ivrea.Il Regio Decreto n° 3534 del 26 novembre1876 istituisce il Regio Ufficio Centrale diMeteorologia con sede presso il Collegio

Romano in Roma per “sovrintendere alleosservazioni e pubblicazioni attinenti allameteorologia”. Agli inizi del '900 viene avviatala pubblicazione degli “Annali del Regio UfficioCentrale di Meteorologia e Geodinamica” edel “Bollettino Meteorico Giornaliero”.

Nonostante ciò fino agli inizi del XX secolo, lemisurazioni sono eseguite ancora da singolestrutture, che magari svolgevano tale compi-to negli stati preunitari in modo non coordi-nato. In particolare coesistono due tipi diosservatori meteorologici: il primo è a com-plemento di osservatori astronomici, quindisolitamente collocato sulla sommità di edifi-ci, il secondo è quello prevalentementemeteorologico, con un impegno giornalieronel tenere memoria delle misure e delleosservazioni meteorologiche (pioggia, neve,temporale…). L'affidabilità dei dati in questoperiodo migliora naturalmente in modo sen-sibile in quanto si assiste ad una notevolestandardizzazione degli strumenti e deimetodi di osservazione. Ma permane a lungoil problema, particolarmente rilevante perl'Italia, costituito dal fatto che, anche dopo lacostituzione dell'Ufficio Centrale diMeteorologia, in molti osservatori meteorolo-gici le misure sono eseguite in finestre o bal-coni meteorologici, dando luogo alla raccoltadi dati spesso scarsamente affidabili.

Nel 1913 viene fondato il Servizio Idrograficoe Mareografico Nazionale (SIMN), dall'alloraMinistero dei Lavori Pubblici, con lo scopo diuniformare, organizzare e rendere disponibilile misurazioni termopluviometriche, idrome-triche e mareografiche in Italia. Fino alla suadismissione, il Servizio idrografico provvedeanche alla pubblicazione degli “AnnaliIdrologici”, organizzati secondo una suddivi-sione compartimentale, ricalcante i baciniidrografici dei principali fiumi italiani. LaFigura 2.1.3 mostra un estratto relativo allealtezze di precipitazione giornaliere nel baci-no del Po, tratto dal “Bollettino mensiledell’Ufficio Idrografico del Po” a curadell’Ufficio Idrografico e MareograficoNazionale (ristampa del 1919). Il bollettinoinizia come “semplice esposizione delleosservazioni pluviometriche eseguite nellestazioni del Po e delle letture ad alcuni idro-metri di questo fiume opportunamente scel-ti”, ma già il secondo numero “viene alquan-to aumentato sia nella parte meteorologicacome in quella idrometrica”, avendo ritenuto

Figura 2.1.2: Meteografo di Padre Secchi (fonte UCEA).

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“indispensabile aggiungere alla indicazionedella pioggia quella della temperatura media,della pressione, della direzione e velocità delvento, della nebulosità”.Al 31 gennaio 1913 sono in servizio 280 stazio-ni pluviometriche. Data la complessiva superfi-cie del bacino del Po di 70.091 Km2, la densitàmedia dei posti di osservazione risulta di unpluviometro ogni 250 Km2, anche se per lezone piemontesi la densità è inferiore (uno ogni492 Km2 per l'Alto Po, uno ogni 385 Km2 per lazona Dora-Sesia ed addirittura uno ogni 779Km2 per la zona Tanaro-Scrivia). Scarsamentemonitorate risultano le zone alpine con 50 sta-zioni oltre i 1000 m s.l.m. e solamente 8 oltre i2000 m s.l.m., di cui nessuna in Piemonte.La rete di misura si espande con rapida pro-gressione negli anni tra le due guerre mondia-li, per iniziare successivamente un lento ecostante declino. Negli anni del boom econo-mico infatti si afferma il pensiero del potereillimitato della tecnologia in grado di realizza-re interventi in grado di scongiurare del tuttogli effetti degli eventi naturali. Si diffonde così,legato al noto fenomeno umano della labilitàdella memoria delle passate calamità, la sen-

sazione dell'inutilità e dell'obsolescenza dellepratiche osservative, che trova un ulterioreavvallo nella nuova politica energetica italianache vede l'affermazione della produzione dienergia termoelettrica a scapito dello sfrutta-mento idroelettrico. Prima della nazionalizza-zione i gestori delle dighe figuravano tra i prin-cipali promotori ed utilizzatori dei dati dimonitoraggio meteorologico.Nel 1970 nell'area piemontese la densità dellarete meteorologica è comunque ancoraaccettabile con valori di una stazione ogni 86Km2, ripartite tra pluviometri (135), pluviometriregistratori (149), solo 11 totalizzatori idoneialla misurazione della neve in alta quota. Perquanto riguarda la rete termometrica si conta-no 126 strumenti - in maggioranza a massimae minima - per una densità di una stazioneogni 202 Km2. Gli eventi alluvionali della finedegli anni '70 determinano una drammaticaripresa di coscienza del rischio idrogeologico,inducendo un nuovo approccio per la com-prensione dei fenomeni e le conseguenti stra-tegie di lotta, che prevedono in principio lostudio delle condizioni climatiche regionali edel momento in cui si verifica l'evento.

Figura 2.1.3: Le altezze di precipitazioni in mm nel bacino del Po riportate nell’Annale del 1913.

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Nel complesso si può dire che per i dati piùvetusti la dettagliata conoscenza della storiadelle osservazioni è del tutto indispensabileper trasformare i numeri estratti dai registri inmisure. L'affidabilità del periodo successivoè sicuramente maggiore, anche se, anche inquesto caso, le informazioni di carattere sto-rico risultano spesso di grande interesse pervalutare l'esatta significatività dei dati.

2.2 L’innovazione tecnologica nelmonitoraggio e la nascita dellarete meteoidrografica piemontese

Nel corso del XX secolo a strumenti manualivengono affiancati dapprima strumenti mec-canici, termografi e pluviografi in grado diregistrare con continuità su carta l’andamen-to delle osservazioni meteorologiche neltempo, ed in tempi più recenti strumenti elet-tronici. Tali innovazioni sono orientate nelladirezione dell’automatizzazione del rileva-mento, dell’acquisizione in tempo reale dellemisure, dell’estensione dei sistemi osservati-vi e dell'integrazione del rilevamento meteo-rologico ed idropluviometrico.Gli anni '80 vedono talvolta contrapposte lerealtà regionali, a confronto diretto con i pro-blemi della difesa del territorio da poco affi-dati alla loro competenza, resi incalzanti dalsusseguirsi di eventi alluvionali, ed una orga-nizzazione centrale che stenta a comprende-re i nuovi compiti ad essa assegnati dallaLegge 183 e dalla Legge 225, sia in termini diorganizzazione delle conoscenze sia in termi-ni di collaborazione.A partire dal 1986 si sviluppa sul territoriopiemontese una rete meteoidrografica auto-matica, che cresce rapidamente a seguitodell'alluvione del novembre 1994; questacalamità disastrosa segna l'inizio del rinnova-mento tecnico e culturale della prevenzionedel Rischio Naturale, basata sull'applicazionedi interventi non strutturali, incentrati su effi-caci sistemi di previsione, sorveglianza edallarme, associati ad azioni di manutenzionee di normativa urbanistica, con l'obiettivo diminimizzare attraverso la previsione ed ilpreannuncio gli effetti del rischio naturale in

termini di salvaguardia dell'integrità della vitaumana e dei beni esposti.L'accordo del 24 aprile 1996 tra RegionePiemonte e la Direzione dei Servizi TecniciNazionali ne è la conseguenza operativa e defi-nisce l'interconnessione delle reti, la condivisio-ne dei sistemi di teletrasmissione, le modalità diacquisizione e scambio dati ed il loro libero uti-lizzo per finalità di protezione civile. Da allora lacollaborazione tra Stato e Regioni è proseguitanel solco del processo evolutivo della riformadella Stato disegnata dal D.lgs 112/98.L'accordo Governo - Regioni del 24 maggio2001 ed i conseguenti accordi interregionaliper la gestione unitaria delle funzioni com-partimentali sul bacino del fiume Po hannoposto l'accento sulla necessità di garantire:

• standard di rilevamento, gestione e vali-dazione delle misure;

• scambio dati della rete fiduciaria (vediparagrafo 2.4) di rilevamento e sorveglian-za dei parametri idro - meteo - pluviome-trici;

• predisposizione degli annali idrografici ascala di bacino.

Ai sensi dell'accordo è stata definita una retedi rilevamento condivisa per il bacino del Pocomposta dalle stazioni più rappresentative

Figura 2.2.1: Rete meteoidrografica automaticadi Arpa Piemonte e le reti fiduciarie limitrofe.

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sono collegate attraverso ponti radio e forni-scono informazioni dettagliate sulle condizionimeteorologiche in tempo reale al CentroFunzionale Piemontese, dove i dati vengonoacquisiti e validati costituendo la Banca DatiMeteorologica e Climatologica, un archivioinformativo di misure composto da più di 85milioni di osservazioni. La Figura 2.2.3 mostrauna stazione meteorologica automatica.Agli strumenti “classici”, nel tempo si sonoaggiunti recentemente strumenti innovativi,quali radiosondaggi, in grado di campionarel’atmosfera fino alla quota di 32.000 m, ilsatellite ed il radar meteorologico in grado difornire un monitoraggio dettagliato di vastezone con elevata frequenza ed il profilatore divento. La Figura 2.2.4 mostra il sistema radarmeteorologico di Monte Settepani, pressoOsiglia (SV), alla quota di 1.385 m s.l.m..

per il monitoraggio a scala di bacino. Leosservazioni sono condivise in tempo realetra tutte le regioni padane, il DipartimentoNazionale della Protezione Civile, l'Agenziaper la protezione dell'ambiente e dei servizitecnici (APAT), l'Agenzia Interregionale per ilfiume Po (AIPO) e l'Aeronautica Militare.Il Decreto della Presidenza del Consiglio deiMinistri del 24 luglio 2002 trasferisce le com-petenze attribuite al Servizio Idrografico eMareografico Nazionale alle Regioni, con con-seguente esigenza d’integrazione dei sistemidi monitoraggio. Ragioni di innovamento tec-nologico e di economicità portano quindi allaprogressiva dismissione degli strumenti dimisura meccanici - la Figura 2.2.2 mostra atitolo d’esempio un pluviografo - con strumen-ti più moderni, completamente automatici edelettronici in grado di fornire misure in temporeale con elevato dettaglio temporale.La rete meteoidrografica piemontese ad oggi

è costituita da circa 400 stazioni di misuraautomatiche per una densità di circa una ogni70 km2 con varie tipologie (Figura 2.2.1):meteorologiche, idrometriche, nivometriche,ed è praticamente completata la sostituzionedel parco di stazioni meccaniche. Tali stazioni

Figura 2.2.2: Pluviografo della rete meteoidrogra-fica gestita dell’Ufficio Idrografico e MareograficoNazionale.

Figura 2.2.3: La stazione meteorologica automa-tica presso Lanzo a quota 580 m s.l.m..

Figura 2.2.4: Sistema radar meteorologico diMonte Settepani a 1.385 m s.l.m..

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Meteosat Second GenerationLa famiglia di satelliti meteorologici europeiMeteosat, iniziata nel 1977 con Meteosat-1,è oggi giunta ad una nuova generazionecomprendente i satelliti MSG 1 e 2 (Meteosat8 e 9), lanciati rispettivamente nell’Agosto2002 e nel Dicembre 2005.I satelliti MSG si trovano in un’orbita geosta-zionaria ad una quota di circa 36000 Km sullaverticale dell’equatore terrestre: avendo aquella quota orbitale lo stesso periodo dirotazione del nostro pianeta, sono sempresulla verticale dello stesso meridiano (meri-diano di Greenwich – longitudine 0°). L’orbitadel satellite consente ai sensori di riprenderesempre la stessa porzione di globo terrestre(Figura 1), con una risoluzione temporale ele-vata (un’immagine ogni 15 minuti), ma conuna risoluzione spaziale limitata a causa dellanotevole distanza dalla Terra.

Le immagini multispettrali, ricevute da ArpaPiemonte tramite un sistema di ricezionesatellitare dedicato ed elaborate con soft-ware appositi, vengono utilizzate dai previ-sori per osservare la situazione meteorolo-gica sull’Italia e sull’Europa durante l’emis-sione dei bollettini giornalieri, ma anche per

controllare fenomeni convettivi in rapidaevoluzione, e per individuare i campi divento attraverso il tracking dei sisteminuvolosi, del vapore acqueo e dell’ozono(Figura 2).

(Consente di distinguere vegetazione ezone aride, nei loro colori naturali. Le nubibasse appaiono con un bianco o un rosapallido; le zone coperte di neve appaionoin ciano, da non confondere con l'azzurropiù acceso e chiaro delle nubi più alte efredde).

Le osservazioni dallo spazio possono gioca-re un ruolo fondamentale: questi strumentihanno la possibilità di condurre misure dimolti tipi diversi sull’intero globo nel giro dipochi mesi, fornendo quella “pittura” globaleche è necessaria per avanzare nella com-prensione del meccanismo climatico.

Radar metereologiciIl radar meteorologico è uno strumento diremote sensing per l’osservazione delle nubie delle precipitazioni. A differenza dei satelliti

Figura 1: Immagine MSG “full disc” del 9 Maggio2003.

Figura 2: Composizione RGB del 02/04/2007- ore 12:30 UTC, nei canali del visibile

(IR 1.6 – VIS 0.8 – VIS 0.6) filtrati con il canale HRV ad alta risoluzione.

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piano di polarizzazione, ovvero il piano su cuiè orientato il campo elettrico. Grazie a questamisura è possibile caratterizzare in modo piùcompleto la distribuzione delle gocce dipioggia nella nube, con un conseguentemiglioramento della stima della precipitazio-ne al suolo; inoltre la polarimetria consente didistinguere le precipitazioni piovose dallaneve o dalla grandine, espandendo così lepossibilità dei sistemi di monitoraggio e diallertamento.Un utilizzo operativo è particolarmente utilenel nowcasting, soprattutto riguardo all'indi-viduazione di fenomeni violenti (forti nevicate,temporali, grandine, wind shear).

L'integrazione con altri sensori, come quellipuntuali al suolo o in quota (sistemi di radio-sondaggio, ad es.), con i satelliti meteorolo-gici, e lunghi periodi di osservazioni rende-ranno possibile una visione sempre più com-pleta degli effetti dovuti ai cambiamenti cli-matici.

come il Meteosat, che offrono una vista dellasola parte superiore della nube, il radar per-mette una visione completa tridimensionale edettagliata, con una risoluzione spaziale del-l’ordine di 1 km3, della nube e dei fenomeniad essa associati.Oltre al monitoraggio dell’evoluzione deifenomeni meteorologici, consente inoltre distimare quantitativamente alcune importantivariabili, come l’intensità del vento e dellaprecipitazione al suolo.I radar meteorologici operano nell'intervallodi frequenze delle microonde, e questo neconsente l'impiego per l'indagine delle preci-pitazioni dato che la lunghezza d'onda a cuilavorano è confrontabile con la dimensionedelle idrometeore stesse.

I radar tecnologicamente più avanzati, comequelli in dotazione ad Arpa Piemonte (Figura1), sono dotati di un particolare sistema ditrasmissione dell’impulso elettromagnetico,che permette di variarne periodicamente il

Figura 1: Il radar di Monte Settepani (SV).

Figura 2: Prodotto radar “pioggia/neve”, relativo all’evento del 27 Gennaio 2006 alle ore 19:00 UTC.

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2.3 Il raccordo del monitoraggiotra passato e presente

2.3.1 Approccio puntuale

Al fine di poter effettuare raffronti e valutazio-ni di carattere climatologico, che si avvalgo-no di tutte le misure disponibili in Piemonte apartire dagli inizi del secolo scorso, è quindinecessario caratterizzare i siti di misura evalutare gli impatti dei differenti strumenti chesi sono succeduti negli anni sulla qualità erappresentatività dei dati disponibili. A talscopo Arpa Piemonte ha avviato una colla-borazione con l’Università degli Studi diTorino finalizzata al raccordo nel tempo delledifferenti modalità di raccolta delle osserva-zioni meteorologiche.Sono state analizzate le serie giornaliere ditemperatura e mensili di precipitazione per unaventina di stazioni della rete SIMN e della retedi Arpa Piemonte, poste nei medesimi siti onelle vicinanze, con un periodo di funziona-mento comune maggiore di due anni (Figura2.3.1.1). Sono stati applicati controlli di qualitàstatistici per evidenziare anomalie, seguiti dauna validazione soggettiva, derivante dall’uti-lizzo di metadati relativi al funzionamento dellastazione e dal confronto con altri punti di misu-ra. Per ogni punto di misura e per il periodo disovrapposizione delle misure sono stati calco-lati alcuni indicatori statistici per valutare lacorrelazione e similarità delle serie.Seppure in generale la correlazione tra leserie evidenzi valori elevati compresi tra 0,90e 0,99, l’analisi ha mostrato comportamentimolto differenti da sito a sito, dipendenti dafattori ambientali legati alla differente colloca-zione delle stazioni di Arpa Piemonte rispettoa quelle SIMN (quota stazione, esposizione,versante).Nel caso delle temperature giornaliere dellamaggior parte delle stazioni, l’analisi hamostrato una differenza statisticamentesignificativa nei valori misurati, con entitàvariabile da sito a sito.Anche tra le stazioni in cui lo scarto medio trai valori misurati dagli strumenti SIMN e quelli

Arpa è minimo, le differenze giornaliere nonsono costanti e risultano molto varie, con dif-ferenze anche superiori al grado. La differen-za tra strumento SIMN e Arpa non risultasempre della stessa entità nel caso delletemperature minime, delle massime e dellemedie, anzi talvolta la misura di uno stru-mento può essere superiore all’altro nel casodi una delle grandezze, ma essere inferiorenegli altri casi.Più complessa appare invece l’analisi per leprecipitazioni mensili: accompagnate ad unagenerale minore correlazione tra le misure, visono infatti situazioni nelle quali le differenzenon sono statisticamente significative e casicon forti scostamenti. Generalmente si èosservato che le precipitazioni misurate dallostrumento meccanico SIMN risultano superio-ri a quelle registrate dai pluviometri automaticiArpa, con differenze anche superiori al 30%come presso il Lago di Valsoera a Locana (TO).Meno numerosi i casi in cui il valore delle pre-cipitazioni delle stazioni automatiche Arpasupera quello degli strumenti meccaniciSIMN. Per undici delle stazioni esaminate èstato riscontrato che la differenza tra i valorimisurati dai due strumenti risulta inferiore al10%; per queste ultime è stato approfonditoil confronto, soffermandosi anche alla com-parazione dei dati giornalieri e calcolandone

Andamento delle precipitazioni annue a Vercellidal 1939 al 2003.

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la correlazione mese per mese. A questo pro-posito è stata osservata una prima distinzio-ne tra le stazioni ubicate a quote superiori a1000 m e quelle localizzate in zone pianeg-gianti o collinari. Per le stazioni in quota lecorrelazioni su base mensile sono moltobasse (intorno al 4% - 7%) mentre la percen-tuale aumenta, tra il 15% e il 40%, per le sta-zioni ubicate a bassa quota. Per le stazionicon differenze inferiori al 10%, le precipita-zioni sono state scomposte in classi di inten-sità giornaliera. Gli eventi piovosi sono statisuddivisi in cinque classi, a partire dai giornicon precipitazione compresa tra 1 mm e 5mm, fino a piogge di elevata intensità, supe-riori a 40 mm. La scomposizione in classi diintensità per le stazioni a confronto non hamai evidenziato differenze; sotto questoaspetto le stazioni di alta quota e quelle dipianura mostrano lo stesso comportamento.Nella maggior parte dei casi e soprattutto perle misure di temperatura, si riscontra quindiuna discontinuità, statisticamente significati-va, introdotta dal cambio di strumentazione,la cui entità è variabile da stazione a stazionee dipende principalmente dalle caratteristi-che morfologiche del territorio. Vi sono tutta-via alcune stazioni di misura che, sia per con-tinuità nel tempo e qualità delle osservazionidisponibili, non mostrano discontinuità elacune consentendo analisi climatologichepuntuali sul lungo periodo.Il raccordo quindi tra le misure derivate dallestazioni della rete SIMN, attive fino al 2003 equelle della rete meteoidrografica di ArpaPiemonte non è quindi diretto e non sembrasia possibile determinare un procedimentocomune a tutte le stazioni; occorre sito persito valutare l’entità della discontinuità e appli-care tecniche di omogeneizzazione delle serie.D’altro canto il lavoro di analisi svolto ha per-messo di identificare su basi scientifiche unsottoinsieme di stazioni meteorologiche,all’interno della rete meteoidrografica, checostituiscono una rete climatologica di riferi-mento, finalizzata alla registrazione di daticontinui ed omogenei, con elevati standarddi qualità e finalizzata allo studio della varia-bilità climatica nel lungo periodo.

2.3.2 Approccio statisticodistribuito

Il raccordo puntuale tra le stazioni della reteSIMN e di Arpa Piemonte evidenzia l’impos-sibilità di trovare un procedimento diretto edunivoco per tutti i siti di misura e conduce ascartare un numero elevato di dati meteo-cli-matici rilevati nel passato. L’esiguità dellestazioni per cui è coerente un raccordo pun-tuale implica che tutte le analisi sulla variabi-lità climatica sul lungo periodo risultino stati-sticamente meno robuste di quanto permet-terebbe il notevole numero di rilevazioni adisposizione.Per tenere in conto il maggior numero divalori termo-pluviometrici possibili (e quindiperdere meno informazione disponibile sulpassato), tentando al contempo di mantene-re alti gli standard di qualità dei dati, occor-re applicare una procedura di raccordobasata su un approccio statistico distribuito,mirata alla realizzazione di un dataset ditemperature massime, minime e medie e diprecipitazioni giornaliere distribuito spazial-mente su un grigliato di passo ridotto(0.125°), alimentata con tecniche di analisiche preservino l’omogeneità temporale delleserie storiche e che integrino i dati prove-nienti dalle due diverse reti di misurazione edai dati synop delle stazioni GTS-WMO(Global Telecommunication System - WorldMeteorological Organization). Con questa metodologia in pratica si rinunciaad avere un’informazione dettagliata sul sin-golo punto-stazione, ma si ottiene un datasetcompleto del maggior numero possibile diinformazioni del passato, omogeneo ed inte-grabile con altri dati eventualmente disponi-bili in futuro, che può essere utilizzato peranalisi statistiche sulla variazione relativa neltempo dei parametri meteo-climatici. Lascelta di un passo griglia di 0.125° è dovutaal fatto che la distanza media delle stazioniprovviste di pluviometro del SIMN attualmen-te digitalizzate è di circa 20 km: in questomodo statisticamente ciascun punto grigliadel dataset contiene informazioni derivate dauna singola stazione.

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L’“optimal interpolation” è un metodo stati-stico per interpolare i dati delle stazioni, dis-locate arbitrariamente, in una griglia regolarepredefinita tridimensionale.Per realizzare l’“optimal interpolation” ènecessario definire per ogni punto del gri-gliato un campo di temperatura o di precipi-tazione da cui partire (detto “campo di back-ground”). In pratica il campo si ottiene dallafunzione che meglio approssima i valoriosservati su grigliato tenendo conto sia dellaquota delle stazioni sia dell’orografia dellaregione.

La metodologia di spazializzazione del datoutilizzata è quella definita “optimal interpola-tion” (Kalnay, 2003).Inizialmente si è scelto di calcolare l’optimalinterpolation costruendo per ciascuna varia-bile i campi di background a partire esclusi-vamente dai dati osservati e separatamenteper le due diverse reti di misura, in modo da

Una volta ricavato il campo di background, ilmetodo prescelto permette di calcolare ilvalore del campo di temperatura o precipita-zione per ogni punto griglia a partire dai datiosservati, sfruttando il principio che solo leosservazioni più vicine possono influenzare ilvalore finale sul punto griglia e tenendo contodell’errore strumentale della misura.L’Optimal Interpolation costituisce inoltre unmetodo in grado di trattare un insieme qua-lunque di dati anche di notevoli dimensioni afronte di una relativa facilità di implementazio-ne ed utilizzazione del codice (Uboldi, 2007).

poter procedere ad una verifica di congruitàtra i risultati ottenuti nel periodo di sovrappo-sizione 1990-1999. Il problema è quello dilimitare al massimo le eventuali disomoge-neità derivanti dalla diversa distribuzionespaziale e dalla differente evoluzione tempo-rale delle stazioni appartenenti alle due reti(vedi Figura 2.3.2.1).

Figura 2.3.2.1: Distribuzione spaziale (in alto) e temporale (in basso) delle stazioni di SIMN e Arpa neglianni 1990-1999, rispettivamente per precipitazione (a destra) e temperatura (a sinistra).

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I risultati ottenuti sono molto differenti aseconda delle variabili considerate: per laprecipitazione, il confronto tra la varianzadei valori ottenuti su ciascun punto grigliasupera i test di congruità su quasi tutta l’a-rea di interpolazione del Piemonte, mentre ivalori medi superano i test solo per le por-zioni di regione di pianura e pedemontane,ma non sulle zone di montagna. La differen-za di precipitazioni medie mensili tra le due

reti nei 10 anni in esame varia tra +/- 20 mma seconda delle zone.Risultati meno soddisfacenti si ottengono perla temperatura, dove la quasi totalità dellaregione non supera i test statistici (t-student)applicati sui valori medi con un intervallo divariabilità tra +/-4°C.Un’analisi più approfondita ha evidenziato ilmotivo di una così ampia incongruenza suidati di temperatura: il numero esiguo di ter-

Figura 2.3.2.2: Test di Student per le precipitazioni medie mensili e differenza stimata dei valori meditra rete SIMN e rete Arpa.

Figura 2.3.2.3: Test di Student per le temperature massime medie mensili e differenza stimata deivalori medi tra rete SIMN e rete Arpa.

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mometri del SIMN attualmente disponibili dal1990 al 1999 fa sì che le correzioni al campodi background globale siano minime per larete SIMN e al contrario risultino importantiper la rete Arpa per cui sono disponibili unampio numero di rilevazioni (vedi Figura2.3.2.4).In attesa di ulteriori digitalizzazioni di dati di

temperatura SIMN, si è ovviato all’ostacoloagendo sul campo di background.Utilizzando i dati sia superficiali che sui livelliatmosferici fino a 3000 m derivati dal set diERA40 (re-analisi elaborate dall’EuropeanCentre for Medium-Range WeatherForecasts nel periodo compreso tra il 1957 eil 2002) e dal set di analisi sempre di ECMWFè stato realizzato per la temperatura undownscaling sull’orografia del Piemonteattraverso un metodo di interpolazione bili-neare.Sul campo così ottenuto si vanno ad interpo-lare i dati osservati: il risultato viene quindicontrollato in modo da garantire l’omogenei-tà temporale dei dati su punto griglia, con-frontandoli con i dati derivati dalle stazionisynop GTS-WMO presenti sul territorio diPiemonte e Val d’Aosta.In conclusione, questa tecnica è in grado difornire su basi scientificamente solide la

miglior stima possibile di temperature e pre-cipitazioni mensili e giornaliere sul territorioregionale, preservando non tanto i valoriassoluti puntuali delle differenti variabilimeteo-climatiche, quanto le loro tendenze edistribuzioni temporali in modo da poter ana-lizzare la variabilità climatica passata e pre-sente sul Piemonte.

2.4 La rete fiduciaria piemontese

Le misure meteorologiche ed idrologichesono fortemente dipendenti dal contestoambientale del sito dove è collocata la sta-zione. La misura di per sé non è quindi diimmediato utilizzo, se non si conoscono lecaratteristiche della strumentazione che larileva, le sue modalità di taratura e di manu-tenzione e le caratteristiche morfologiche delsito dove viene effettuata la misura.Se consideriamo ad esempio un termometrodell'aria collocato su un terrazzo in un centroabitato, le temperature registrate da questostrumento saranno certamente superiori aquelle misurate da uno strumento analogoinstallato in aperta campagna su prato. Alfine di rendere confrontabili le misure meteo-rologiche, l'Organizzazione Meteorologica

Figura 2.3.2.4: Esempio delle correzioni al campo di background derivanti dai dati osservati rispetti-vamente per rete SIMN e Arpa (gennaio 1994).

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Mondiale (OMM) ha definito alcune regole,relative alla strumentazione che deve essereutilizzata ed alle caratteristiche necessariedel sito di misura. La Guida N° 8 dell'OMMprescrive infatti le modalità di installazionedella strumentazione meteorologica secondocui il sito deve essere in piano, erboso, inluogo aperto e lontano da alberi e costruzio-ni. Si raccomandano siti collocati su vette ocreste per la misura della direzione ed inten-sità del vento, mentre tali condizioni ambien-tali sono fortemente sconsigliate nella misuradella pioggia, in quanto un’eccessiva vento-sità determina una sottostima della precipita-zione.All'interno di una rete così estesa e comples-sa come quella meteoidrografica gestita daArpa Piemonte si presentano molteplici con-dizioni ambientali per le quali non tutti i siti dimisura sono in grado di rispettare pienamen-te i criteri definiti dall'OMM. Diviene quindiindispensabile un'analisi approfondita dellarappresentatività di un punto di misura, sullabase delle caratteristiche del sito, del con-fronto con altri punti di misura, di una lungaserie di dati acquisita.Arpa Piemonte ha svolto tale analisi sulleoltre 400 stazioni di misura della rete regio-nale, identificando un sottoinsieme di stazio-ni meteoidrografiche, che costituiscono la“rete fiduciaria”, composta da 169 stazionimeteorologiche, idrologiche e nivologiche.

Tali stazioni per collocazione, disponibilità dimisure valide e distribuzione sul territoriodefiniscono una rete osservativa rappresen-tativa delle condizioni meteoidrologiche sulPiemonte sia nel breve periodo sia nello stu-dio della variabilità climatica a scala regiona-le.Le osservazioni rilevate dalla rete fiduciaria,condivise in tempo reale all'interno del siste-ma nazionale dei Centri Funzionali, istituiticon Direttiva del Presidente del Consiglio deiMinistri del 27 febbraio 2004, costituiscono lacomponente piemontese del sistema osser-vativo a terra nazionale, per la sorveglianzameteoidrologica a fini di Protezione Civile edambientale.

La tabella seguente mostra per i principalisensori la composizione della rete fiduciaria.

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Sensore Quantità

Pluviometro 142

Nivometro 34

Idrometro 42

Termometro 134

Igrometro 81

Anemometro 45

Barometro 28

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3. Le caratteristiche climatiche in Piemonte

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La regione Piemonte è situata alla testatadella Pianura Padana ed è limitata su trelati da catene montuose, che ne occupanoil 49% del territorio, con le vette più eleva-te del continente europeo.Tale geografia definisce e regola la peculia-rità climatica del Piemonte, zona di scontrodelle masse d'aria continentali provenientidalla Piana del Po, dell'umidità provenien-te dal Mediterraneo e delle correnti atlanti-che nord-occidentali che interagisconocon i rilievi innescando frequenti circolazio-ni locali e favorendo la presenza di micro-climi.I maggiori controlli esercitati sul clima dallospazio fisico in Piemonte sono dovuti prin-cipalmente alla natura dei rilievi, mentrenessuna influenza è esercitata dalla varia-zione della latitudine, data la relativa esi-guità dell’estensione Nord-Sud del territo-rio (2o 20’ di differenza di latitudine).

PrecipitazioniLa distribuzione annuale delle precipitazio-ni in Piemonte presenta un andamentobimodale, con due massimi, uno primave-rile ed uno autunnale, e due minimi, unoinvernale ed uno estivo.In base alla collocazione nell’anno delminimo principale, del massimo principalee del massimo secondario, si possonodistinguere in Piemonte quattro tipi di regi-me pluviometrico; di questi, tre sono di tipocontinentale (minimo principale in inverno),mentre il quarto è di tipo mediterraneo(minimo principale in estate):• prealpino: con minimo principale in

inverno, massimo principale in primave-ra e secondario in autunno;

• subalpino: con minimo principale ininverno, massimo principale in autunnoe secondario in primavera;

• subcontinentale: con minimo principalein inverno, massimo principale in autun-no e secondario in estate;

• sublitoraneo: con minimo principale inestate, massimo principale in autunno esecondario in primavera.

Il regime pluviometrico più frequente inPiemonte, esteso sul 58% circa dellaregione, è il regime prealpino.Esso comprende le aree di pianura, adesclusione di quella alessandrina, buonaparte del Monferrato, la pianura cuneesee tutte le Alpi Cozie, alta valle di Susaesclusa. Il secondo regime pluviometricoin ordine di estensione è il sublitoraneo,che si estende su quasi il 24% delPiemonte. Comprende la pianura ales-sandrina, il basso Monferrato, le Langhe,una parte delle Alpi Marittime e l’alta valledi Susa.Gli altri due regimi, subalpino e subconti-nentale, sono limitati alla zona settentrio-nale del Piemonte e si estendono rispetti-vamente sul 13% e sul 5% circa dellaregione. In questi regimi si ha una maggiorconcentrazione delle piogge verso il perio-do estivo, più evidente nel regime subcon-tinentale.Il regime subalpino si estende sull’alta pia-nura novarese e vercellese, la valle Sesia ebuona parte della valle Toce. Il regime sub-continentale si estende su una limitata areaprossima al lago Maggiore.

Riguardo alla distribuzione spaziale delleprecipitazioni, i massimi assoluti di pioggiasi verificano in corrispondenza dell’inter-faccia con la zona pianeggiante; via via checi si addentra nelle aree montane i valoridiminuiscono.I valori più bassi sono collocati nelle aree dipianura sul fianco settentrionale dei rilieviappenninici. L’isoieta dei 1000 mm seguecon buona approssimazione il limite tra lapianura e la montagna nel Piemonte occi-dentale e meridionale, mentre nel Piemontesettentrionale l’isolinea comprende anche learee di pianura più prossime alle montagne.Le zone di maggiore piovosità sono quattro.

3.1. Spazio fisico e clima in Piemonte

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La più importante per entità di apporti edestensione spaziale si allunga, con asseorientato NE-SO, dal Lago Maggiore alle Vallidi Lanzo; in quest’area si ha il massimo valo-re annuo pari a 2350 mm nella località diCicogna (VB).La seconda area in ordine decrescente si col-loca all’estremità sudorientale della regione,sui rilievi appenninici al confine tra Piemonte,Liguria, Lombardia ed Emilia Romagna ecoincide all’incirca con i bacini dello Scrivia edel Curone. Qui le isoiete seguono conbuona approssimazione l’andamento delleisoipse; le precipitazioni aumentano dai 700mm annui del margine tra pianura e collinafino agli oltre 1500 mm dei settori montuosipiù prossimi allo spartiacque.Il terzo massimo pluviometrico si individuasulle Alpi Marittime: gli afflussi aumentanodai 900-1000 mm della pianura cuneesemeridionale e delle Langhe fino agli oltre1200 mm della zona montuosa, compresa tra

la Valle Gesso e la media Valle del Tanaro.Un’area di dimensione ridotta con forma sub-ellittica delimitata dall’isoieta dei 1200 mm sitrova sulle Prealpi tra la Val Chisone e la ValPellice.Le aree meno piovose coincidono con la pia-nura alessandrina, dove annualmente simisurano in media meno di 700 millimetri.Buona parte del Piemonte centro-orientalericeve meno di 800 mm, mentre sulla pianurameridionale vercellese e su quella cuneeseorientale la media annua non supera i 900mm: il minimo annuo è ad Alessandria con650 mm circa.I settori montuosi in cui si hanno scarse pre-cipitazioni comprendono le aree più internedelle valli alpine occidentali - valli Susa,Varaita e Maira - dove la precipitazione mediaannua è inferiore a 900 mm; nell’alta ValleSusa tale valore non supera gli 800 mm. Laprogressiva diminuzione delle precipitazionivia via che ci si inoltra nell’arco alpino è evi-dente anche nelle vallate alpine settentriona-li dove anzi è più marcata: nella Val d’Ossolail decremento delle precipitazioni tra media ealta valle è dell’ordine dei 1000 mm (da 2300mm a poco più di 1200). Negli altri baciniinvece il decremento è molto meno vistoso(200 - 300 mm).

TemperatureDall’analisi della termometria emerge chel’intervallo entro il quale sono comprese letemperature medie annue va dai 13.2°C diNovara, a valori negativi alle quote superioriai 2000 metri. La temperatura media annuadecresce regolarmente con la quota salvoche in alcune situazioni nelle quali si osser-vano scarti dovuti a condizioni locali. È ilcaso per esempio della situazione urbana diTorino, dove si ha una temperatura mediaannua lievemente superiore a quella che siregistra, a parità di quota, in aree rurali, odelle situazioni di alcuni fondovalle comeDomodossola, Varallo, Luserna S. Giovanni,dove si osservano temperature medie annuelievemente inferiori rispetto ad altre localitàposte alle stesse quote.

Figura 3.1.1: Distribuzione delle precipitazioni totaliannue (mm), calcolate per il periodo 1961-1990.

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Nelle aree di pianura la temperatura mediamensile supera i 10°C da aprile fino a otto-bre, mentre nelle zone montane sopra i 500metri il periodo con temperature mediemensili superiori ai 10°C si accorcia pro-gressivamente fino ad annullarsi al di sopradei 2000 metri. Valori superiori a 5°C sihanno da marzo a novembre sino a 800 mcirca.

Valori superiori ai 7°C si registrano a partireda marzo sino a ottobre-novembre nelle areedi pianura al di sotto dei 500 metri; a quotesuperiori il periodo si accorcia spostandosiverso i mesi estivi.Il mese più freddo, a tutte le quote, è gen-naio, quando il fenomeno di inversione termi-ca è particolarmente evidente. I valori massi-mi si hanno tra i 300 ed i 750 metri, mentrevalori inferiori si hanno sia al di sopra, sia aldi sotto di queste quote. In situazioni partico-lari i comportamenti cambiano: a Pallanza

per esempio il clima è evidentemente mitiga-to dalla presenza del lago (CAROLLO, 1989).Il mese più caldo è sempre luglio. Le tempe-rature medie mensili più elevate, 24°C circa,si registrano nelle grandi città (Alessandria,Asti, Novara e Torino), per diminuire fino a8°C intorno ai 2300 metri.L’escursione termica annua risulta elevata intutta la regione, a causa della lontananza dalmare che potrebbe mitigare le variazioni ditemperatura; per cui il clima del Piemonte siavvicina ad un regime più prettamente conti-nentale.I valori dell’escursione media annua sonocompresi tra i 23.3°C di Alessandria (95 m) ei 16.6°C di Oropa (1180 m); nel regolaredecremento dell’escursione termica mediaannua con la quota, si osserva l’eccezione diPallanza, dove i valori sono inferiori rispettoad altre località poste alla stessa altitudine, acausa dell’effetto di mitigazione da parte dellago.

3.2. Variabilità climatica in Piemonte nella seconda metà del XX secolo

La regione piemontese è esposta a flussimolto umidi provenienti dal Mediterraneo eun’ampia porzione del territorio è di tipomontano e collinare. Ne consegue che ilcarattere preminentemente orografico dellaprecipitazione, unito alla differente esposizio-ne dei versanti alpini ed alla presenza dinumerose vallate strette, conduce ad unavasta gamma di differenti condizioni climati-che locali.Come primo passo per stimare possibili icambiamenti futuri e i loro impatti, è essen-ziale determinare accuratamente la variabi-lità climatica passata e presente e la signi-ficatività di trend climatici attraverso unarigorosa analisi statistica dei dati disponi-bili.Utilizzando i dati di precipitazione e tempe-ratura massima e minima registrati dalla retedi osservazioni al suolo ad alta densità spa-

Figura 3.1.2: Distribuzione delle temperaturemedie annue (°C), calcolate per il periodo 1961-1990.

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ziale, ben distribuita sul Piemonte e Vald’Aosta, del Servizio Idrografico eMareografico Nazionale (SIMN) che, comevisto nel capitolo 2, ha raccolto dati meteoi-drografici dal 1913 sino al 2002, è statopossibile analizzare e valutare la variabilitàclimatica negli ultimi 50 anni, in termini ditendenze sul lungo periodo e di fluttuazioniinter-annuali. I risultati sono stati quindi comparati con ivalori forniti dal dataset di reanalisi ERA40prodotto presso ECMWF (Centro Europeoper le Previsioni a Medio termine, Reading,UK) che mostra un aumento della temperatu-ra superficiale globale della terra nella secon-da parte del XX secolo.

Da notare che le stazioni considerate nellostudio regionale su Piemonte e Val d’Aostanon sono state inserite nelle procedure diassimilazione di ERA40 e quindi i due datasetpossono essere considerati indipendenti. Inquesto senso, la possibilità di rilevare unospecifico segnale climatico (in termini di ten-denza o frequenza) attraverso due differentima coerenti sistemi di misurazione è partico-larmente significativa per attestare ulterior-mente la solidità dei risultati derivanti dalleindagini statistiche.Per l’analisi si sono considerate 120 stazio-

ni meccaniche e manuali con dati giornalie-ri di precipitazione e 40 stazioni meccani-che e manuali con dati sempre giornalieri ditemperatura massima e minima nel periodo1952 - 2002, distribuiti sull’area di interessecome mostrato in Figura 3.2.2 e con unacopertura temporale come illustrato inFigura 3.2.3.

Si è quindi elaborato un sistema di controllodi qualità dei dati basato sulla comparazionedi una singola stazione di misura con le 5 sta-zioni più vicine.

Figura 3.2.1: Andamento zonale delle anomaliestandardizzate di temperatura media superficialeglobale dal 1958 al 2003. Elaborazione datiECMWF - ERA40.

Figura 3.2.2: Distribuzione delle stazioni sulterritorio di Piemonte e Val d’Aosta.

Figura 3.2.3: Numero di giorni con dati per cia-scuna stazione per ogni anno nel periodo in esame(1952-2002), rispettivamente per le precipitazioni(a sinistra) e per le temperature medie (a destra).Fonte ISAC-CNR Torino e Arpa Piemonte.

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Figura 3.2.4 : Alcune tendenze delle piogge: dal-l’alto verso il basso, precipitazione media annuastandardizzata, intensità di precipitazione mediaannua e percentuale di giorni secchi in un anno.Fonte ISAC-CNR Torino e Arpa Piemonte.

Nel dettaglio, ogni serie storica subisce iseguenti controlli: a) controlli logici, che garantiscono la

coerenza del dato, ossia che i valori regi-strati non siano fisicamente impossibili oche la temperatura massima giornalieranon sia inferiore alla minima;

b) controlli climatologici, tramite i quali siconfrontano i singoli valori della serie conla climatologia della stazione stessa edeventualmente con quelle vicine;

c) controlli temporali, onde evitare persisten-ze anomale di un singolo valore.

I dati che non superano i controlli di qualitànon vengono quindi inclusi nelle analisi cli-matologiche.Per quanto riguarda la valutazione dellasignificatività dei risultati (tendenze e ricor-renze) sono state applicate due metodologiestatistiche: la tecnica cosiddetta di tipoMonte Carlo, che consiste nel confronto delvalore di trend calcolato effettivamente sullaserie storica in esame con quelli provenientida un ensemble di 1000 serie storiche otte-nute con rimescolamento casuale dei valoridella serie storica originale (solo i trend che invalore assoluto superano i trend del 5% delleserie casuali sono considerati significativi);un test classico di Mann-Kendall viene suc-cessivamente utilizzato per la compatibilitàdei risultati.

Per le precipitazioni sono stati quantificati itrend relativi a numerose statistiche sia subase annuale che stagionale. In particolare sisono considerate:

• le anomalie di precipitazione media emassima standardizzata, definita come ladifferenza tra ogni singolo valore dellaserie storica e la media sull’intero periodo,normalizzati con la deviazione standard;

• l’intensità di precipitazione, intesa comequantità media giornaliera;

• l volume medio di precipitazione, ottenutomediando il prodotto tra quantità totale egiorni di pioggia in ogni singolo evento;

• la percentuale di giorni secchi annua

• (soglia 1 mm/giorno);

• la lunghezza dei periodi secchi.

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Variabile Valore medioPrecipitazione media 1090 mm/annoScarto quadratico 9.5 mm/giornoPercentuale di giorni secchi all’anno 76.5%Intensità media di precipitazione 12.7 mm/giornoLunghezza media dei periodi secchi 6.6 giorniLunghezza media dei periodi piovosi 1.9 giorniVolume medio di precipitazione nei periodi piovosi 24.6 mm

Tabella 3.2.1: Valori medi delle principali statisti-che calcolate sui dati di precipitazione giornalieri.Fonte ISAC-CNR Torino e Arpa Piemonte.

Per queste variabili non è stata tuttavia riscon-trata alcuna tendenza (Figura 3.2.4) significati-va tranne che per la massima lunghezza deiperiodi secchi che sembrano dilatarsi al ritmodi 0.6 giorni per anno e per il volume mediodegli eventi di precipitazione che aumenta di4.9 mm all’anno (Figura 3.2.5). Anche una variabilità differente a secondadella quota delle stazioni in esame non evi-denzia alcuna tendenza statistica particolare.

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paragrafo 3.2 come l’analisi delle precipita-zioni in Piemonte negli ultimi 50 anni nonabbia evidenziato tendenze statisticamentesignificative, salvo che per la massima lun-ghezza dei periodi secchi, che sembra esse-re aumentata. Questo risultato spinge adanalizzare ulteriormente le caratteristiche delfenomeno con differenti strumenti, creatiappositamente per caratterizzare in modoesauriente la siccità su aree anche di dimen-sioni pari a quelle regionali. Le condizioni di siccità meteorologica soffer-te dalla regione nel corso di un’annata ven-gono monitorate attraverso l’indice SPI(Standardized Precipitatation Index) cherisulta particolarmente efficace nel fornireindicazioni sui deficit di pioggia calcolati suscale temporali multiple e sulla loro severità. L'indice si presenta in forma standardizzata,così da poter confrontare lo stato di siccitàper aree diverse, indipendentemente dallalocalizzazione del sito di misura. Sfruttandoquesta caratteristica peculiare dell’indice, ilPiemonte viene suddiviso in 20 bacini idro-grafici principali, e su ognuno si calcola laprecipitazione ragguagliata (derivata da unnumero variabile compreso tra circa 100 e300 stazioni) che rappresenta il valor mediodell’apporto meteorico riversatosi sull’areaper la scala temporale di interesse.A partire dalle serie storiche di precipitazioneragguagliate viene quindi calcolato, per cia-scun mese e per ciascun bacino, il corrispet-tivo indice di anomalia di precipitazione stan-dardizzata sui 3 mesi (SPI).Quindi, per legare i dati in modo più strettoalla porzione di territorio regionale afflitta dacondizioni di siccità, viene elaborato un indi-catore compatto e facilmente fruibile basatosull’indice SPI a 3 mesi e definito come lapercentuale di territorio regionale, quantifica-ta a partire dalle estensioni dei 20 bacini inesame, che ha registrato valori di SPI < -1(siccità moderata) o di SPI < -1.5 (siccitàsevera) per almeno tre mesi all’interno di unsingolo anno. La scelta di porre una soglia dimesi maggiore o uguale a 3 è funzionale adesaltare quella tipologia di periodi siccitosi

Il fenomeno della siccità meteorologicain PiemonteI sempre più frequenti casi di siccità registra-ti nell’area mediterranea hanno coinvoltoanche una regione tradizionalmente ricca diriserva idrica quale il Piemonte. Eventi ano-mali come l’eccezionale prolungarsi delperiodo di magra del Po registrato nel 2003hanno contribuito a porre l’attenzione comu-ne sugli impatti socio-economici ed ambien-tali legati al fenomeno della siccità e su comeessi non siano più associabili soltanto adaree geografiche costantemente afflitte dacarenze idriche. La particolare posizionegeografica del Piemonte, che si trova allatestata del bacino del Po, rende il fenomenoparticolarmente critico, in quanto la scarsaalimentazione del più grande fiume italiano sipuò ripercuotere pesantemente su tuttequelle attività (settori agricoli ed energetici inprimis) che necessitano di una forte doman-da idrica.La siccità, tuttavia, è una normale e ricorren-te caratteristica del ciclo idrologico e vienevalutata in relazione al bilancio locale tra laprecipitazione e l’evapotraspirazione (evapo-razione + traspirazione) rispetto all’intervallotemporale in cui si verifica. La persistenza neltempo ed estensione spaziale del fenomenosono perciò i principali parametri di criticitàin relazione agli impatti sulle attività produtti-ve legate alla riserva idrica. Si è visto nel

Figura 3.2.5 : Massima lunghezza dei periodisecchi. Fonte ISAC-CNR Torino e ArpaPiemonte.

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ni, su ognuno dei quali si è calcolato, perogni mese, la precipitazione ragguagliataregistrata e il corrispettivo indice di anomaliadi precipitazione standardizzata sui 3 mesi(McKee et al., 1993). Al fine di enfatizzare l’analisi solo dei periodidi deficit della precipitazione, si sono valuta-te le seguenti caratteristiche dei fenomenisiccitosi:

• severità della siccità (SPI a 3 mesi);

• lunghezza dei periodi siccitosi;

• estensione spaziale del fenomeno (per-centuale di territorio coperta dai bacinirispetto alla superficie della regione);

Come si evince dalla Figura 1, in generaletutti gli anni tendono a disporsi lungo labisettrice del grafico; gli anni in cui il feno-meno è stato intenso come severità ma nonparticolarmente lungo in quanto a durata, sicollocano in basso a sinistra; viceversa defi-cit non eccessivi rispetto alla media ma pro-lungati nel corso dell’anno si posizionano inalto a destra.

Tabella 1: Percentuale del territorio regionale sog-getto a condizioni di siccità moderata e severa perpiù di 3 mesi, calcolata negli ultimi 10 anni e nelmedesimo periodo. Valori medi.

Figura 1: Rappresentazione del fenomeno dellasiccità in Piemonte per ciascun anno nel periodo1950-2006. La durata del fenomeno (asse delleascisse) è calcolata come la lunghezza media deimesi in cui il valore di indice SPI a 3 mesi è inferio-re a -1, la sua severità (asse delle ordinate) è rap-presentata dalla media annuale sull’intera regionedei valori di SPI a 3 mesi minori di -1 (si sono con-siderate solo le mensilità in cui questa condizionesi è verificata), infine la dimensione delle bolleriproduce la percentuale di territorio della regionein cui si è registrata una siccità di tipo moderatoalmeno per 3 mesi nell’anno.

16.6 33

87

100

97.494.1

100

MEDIA 1991-2005

Moderata Severa(%) (%)

39.9 12.5

non occasionali ma sufficientemente persi-stenti all’interno dell’anno in esame.Il calcolo è stato effettuato su tutti gli anni apartire dal 1991, in modo da avere dei termi-ni di confronto sull’andamento del fenomenonell’ultima decade della quale si sono calco-late le medie sia per la siccità moderata cheper quella severa.

Anni Moderata Severa Anni Moderata Severa(%) (%) (%) (%)

1991 50.5 10.4 2001 89.6 41.71992 68.0 0.0 2002 4.5 0.01993 23.0 0.0 2003 97.4 59.61994 0.0 0.0 2004 16.6 0.01995 2.6 0.0 2005 33.0 0.01996 12.0 0.0 2006 87.0 29.61997 100.0 63.71998 31.8 0.01999 19.5 0.02000 49.6 12.4

Negli ultimi anni condizioni di siccitàmoderata e severa sul Piemonte al di sopradella norma si sono verificate rispettiva-mente in 7 e 5 casi. In particolare si evi-denzia l’eccezionalità delle annate 1997 e2003 dove il fenomeno, oltre ad affliggereun’ampia porzione di territorio, si presentacon un grado di severità alto. Anche nel2006, pur non raggiungendo valori di ecce-zionalità, la siccità interessa più di dueterzi dell’area nella sua forma moderata equasi un terzo del territorio è interessatoda condizioni severe. Il grafico seguente dà una rappresentazionesintetica del deficit di precipitazione registra-to sul Piemonte attraverso l’utilizzo dell’indi-ce di siccità meteorologica SPI calcolatosulla scala di accumulo dei 3 mesi per cia-scun anno a partire dal 1950 fino al 2006.La regione è stata suddivisa in 20 sotto-baci-

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cità severa e/o estrema (SPI < -1.5) in ognisingolo mese dal 2001 al 2006 (Figura 2).Nel 2006 si è verificato un episodio esteso dideficit idrico severo innescatosi a metà pri-mavera ed esauritosi alla fine dell’estate perpoi ricomparire all’inizio dell’inverno2006/2007. L’evento ha coinvolto in mediametà della regione, con una punta massimafino a circa l’80% del territorio nel mese digiugno.Molto simile è stata la situazione registratanel 2003, quando porzioni sempre più ampiedi territorio sono state progressivamentecoinvolte dal fenomeno, che si è prolungatodalla fine dell’inverno sino alla fine dell’esta-te. Viceversa nel 2001, pur assistendo ad unfenomeno che su base annuale (vedi Tabella1) è comparabile con il 2003, la siccità seve-ra si è protratta per quasi tutti i mesi dell’an-no.Infine è interessante sottolineare come negliultimi 5 anni, solo nel 2002 nessuna partedella regione abbia sofferto di condizioni disiccità severa nel corso dell’anno.

Per quanto riguarda le temperature, l’analisidelle medie annuali su Piemonte e Vald’Aosta rivela una tendenza lineare statistica-mente significativa sia per le massime che leminime, che hanno registrato un incrementorispettivamente di circa 1.15°C e di 0.55°Cnegli ultimi 50 anni. L’analisi stagionale mettein rilievo come questo incremento sia asso-ciato principalmente ai mesi estivi (sia lemassime che le minime) ed ai mesi invernali(in particolare le temperature minime).

Naturalmente gli anni in cui non si sono regi-strati in nessun mese e su nessun sotto-baci-no valori di SPI a 3 mesi inferiori a -1 noncompaiono nel grafico (casi rari, ad esempioil 2000).La dimensione delle bolle dà una misura dellafrazione di territorio regionale interessatodalla siccità: nel grafico sono riportati gli ulti-mi 6 anni (il 2006 è aggiornato ad agosto) egli anni storicamente più siccitosi (1989 e1997) usati come riferimento.Le linee rosse rappresentano il valore mediosull’intero campione (anni 1950-2006) dellaseverità del deficit idrico registrato e dellasua durata.Le linee blu invece rappresentano il limite diuna deviazione standard.Volendo infine caratterizzare l’andamentointer-annule delle diverse tipologie di siccitàregistrate negli ultimi anni, confrontandolecon il 2006, si è proceduto a quantificare lapercentuale di territorio che ha sofferto di sic-

ANNO INVERNO PRIMAVERA ESTATE AUTUNNO

Tmax [°C/anno] 0.023 0.036 0.015 0.023 0.017Tmin [°C/anno] 0.011 0.018 0.010 0.012 0.008

Figura 2: Percentuale di territorio che ha soffer-to di siccità severa e/o estrema (SPI < -1.5) sud-divisa per mese nel quinquennio 2001-2006.

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Tabella 3.2.2: Tendenze di temperatura mediaannua e stagionale rilevate su Piemonte e Vald’Aosta dal 1952 al 2002. Evidenziati in giallo itrend significativi con confidenza del 5%.

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Al fine di evidenziare i cambiamenti delletemperature, le serie storiche sono state sud-divise in tre periodi di 17 anni ciascuno.Come si vede in Figura 3.2.6, le temperaturemedie della maggior parte delle stazioni sonosignificativamente più elevate nel periodo piùrecente (1986-2002).

I risultati conseguiti attraverso la rete ad altadensità presente nell’area di interesse sonoquindi direttamente confrontabili con i datiderivanti dalle re-analisi di ERA40. Per latemperatura in particolare, le figure illustranocome su tutta l’Europa occidentale e setten-trionale si è registrato un incremento dell’a-nomalia di temperatura media nel periodo1986-2002, con trend positivi significativi inparticolare sulle Alpi. Figura 3.2.6: Anomalie di temperature medie

annuali su tutte le stazioni (sopra); temperaturemedie giornaliere in tre periodi, 1952-68 (blu),1969-85 (verde), 1986-2002 (rosso) dopo averrimosso la climatologia (sotto). Le bande grigieindicano un livello di confidenza del 95%.

Figura 3.2.7: Andamento delle temperature sullabase dei dati ERA40: trend lineari espressi in °Cper anno delle temperature massime nel periodo1958-2002 (in alto); anomalie medie in °C tra ilperiodo 1988-2002 e l’intero periodo 1958-2002(in basso). Le zone bianche corrispondono a ten-denze o aumenti statisticamente NON significativi.

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ANNO INVERNO PRIMAVERA ESTATE AUTUNNO

Tmax [°C/anno] 0.017 0.025 0.022 0.024 -0.002

Tmin [°C/anno] 0.012 0.016 0.015 0.013 0.005

Tabella 3.2.3: Trend di temperatura media annua e stagionale rilevati su Piemonte e Val d’Aosta dal 1952al 2002 calcolati a partire dai dati ERA40. Evidenziati in giallo i trend significativi con confidenza del 5%.

Calcolando le tendenze sui punti della grigliarappresentativi del nord-ovest dell’Italia, sivede come i valori di incremento annuale e sta-gionale siano assolutamente compatibili conquelli ricavati a partire dalla rete piemontese.

Per ultimo è stata studiata la variabilità inte-rannuale delle serie storiche mediate annual-mente e stagionalmente utilizzando le analisidi tipo spettrale che forniscono informazionisulle ricorrenze di particolari periodi anomaliall’interno del periodo in esame. Gli spettri dipotenza non mostrano alcun picco particola-re con il 99% di confidenza, tuttavia se siscende al 95% di confidenza, si notano flut-tuazioni alle scale di 7 e 21 anni, in particola-re per le temperature minime e le precipita-zioni, sia su scala annuale che stagionale, ilche potrebbe suggerire una correlazione coni moti atmosferici su larga scala come ad

esempio la NAO (North Atlantic Oscillation),che notoriamente influenza il regime termo-pluviometrico alle latitudini di Piemonte e Vald’Aosta.

In conclusione, l’analisi delle temperaturemassime e minime misurate giornalmente nelperiodo 1952-2002 dalla rete dell’ex UfficioIdrografico e Mareografico su Piemonte e Vald’Aosta indica la tendenza ad un significativoriscaldamento, in particolare nei mesi inver-nali ed estivi.Al contrario, nessuna tendenza significativaimportante si è riscontrata per la precipitazio-ne anche se i trend ricavati sull’ampliamentodel massimo periodo secco e sull’aumentodel volume di precipitazione in un singoloevento possono lasciar intendere un debolesegnale di tropicalizzazione ed inaridimentoestivo (Ciccarelli, 2007).

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4. Gli scenarifuturi

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L’aumento della conoscenza sul clima delpassato, sulle sue dinamiche più recenti, sul-l’importanza dell’intervento antropogenico esoprattutto l’evidenza degli impatti del cam-biamento climatico osservati sull’ambiente esull’uomo hanno portato all’esigenza, sia dalpunto di vista scientifico sia da quello dellepolitiche governative, di prevedere gli scena-ri climatici futuri. Tali scenari, associati ad una valutazione ilpiù possibile quantitativa sulle conseguen-ze, permettono di delineare azioni di contra-sto, mitigazione e adattamento al cambia-mento climatico, nonché di valutare cometali azioni agiscono nel configurare gli sce-nari stessi.Il clima del futuro dipende infatti, comeabbiamo visto nei capitoli precedenti, sia daforzanti naturali sia dall’azione dell’uomo, daimodelli di sviluppo che verranno adottati edin particolare dalla concentrazione futura deigas serra di origine antropogenica.Il clima del futuro agirà sui sistemi naturali,fisici e biologici, in funzione della sensibilità edelle capacità di adattamento dei sistemistessi, nonché della sinergia dei fattori clima-tici con altre tipologie di stress, che aumen-tano la vulnerabilità dei sistemi al cambia-mento climatico, diminuendone la resistenzae la capacità di adattamento.

4.1 I gas serra e la temperaturaglobale

Per definire la tendenza futura del clima siutilizzano modelli complessi in grado di simu-lare il sistema completo terra-ghiacci-ocea-no-atmosfera (vedi paragrafo 1.4), che ven-gono integrati effettuando delle ipotesi sulleconcentrazioni future dei gas serra, che aloro volta derivano da differenti scenarisocio-economici.Il collegamento causale tra la concentrazionedei gas serra e la temperatura globale delpianeta è infatti un concetto scientificamentedimostrato già nel XX secolo. Studi più recenti hanno però permesso di

comprendere e meglio descrivere il proces-so di assorbimento radiativo dei gas serra,consentendo di individuare delle correlazio-ni dirette tra la concentrazione di tali gas ela temperatura. Per esempio, è noto chel’effetto di riscaldamento del biossido dicarbonio (CO2) cresce in modo logaritmicocon la concentrazione in atmosfera, mentreil metano e l’ossido di azoto presentanouna relazione lineare. Con un semplicemodello di bilancio energetico, è infatti pos-sibile calcolare un riscaldamento mediodell’aria vicino alla superficie di circa 1°Cper un raddoppio della concentrazione diCO2 in atmosfera.La complessità del sistema terra-atmosfe-ra fa sì che, in realtà, tale riscaldamentosia maggiore di 1°C, a causa dei meccani-smi fisici retroattivi (vedi paragrafo 1.2)che tendono ad amplificare il riscaldamen-to. Il principale meccanismo di retroazionepositivo è quello dovuto alla presenza delvapore acqueo: un’atmosfera più caldafavorisce l’evaporazione, consentendouna maggiore concentrazione di maggiorvapore acqueo, che porta ad intrappolareuna maggiore quantità di calore, amplifi-cando il riscaldamento iniziale (Soden etal., 2006). Quello dovuto al vapore acqueoè infatti considerato il principale effetto diretroazione positiva indiretta dovuta ai gasserra. Con l’utilizzo dei modelli sofisticati di clima,che descrivono le complesse interazioniall’interno del sistema terra-ghiacci-ocea-no-atmosfera, è oggi possibile definire unintervallo probabile di valori di temperaturaper un definito livello di gas serra in atmo-sfera.

4.2 La tendenza dei gas serra

Alla base della formulazione degli scenariclimatici futuri vi sono quindi le simulazionidegli scenari economico-sociali e della loroinfluenza nell’evoluzione degli agenti for-zanti del clima, in particolare dei gas serrae degli aerosol. Nel marzo del 2000 è stato

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approvato un rapporto dell’IPCC chedescrive questi scenari raggruppati in quat-tro famiglie principali, con le relative con-centrazioni in atmosfera dei gas serra(SRES; Special Report on EmissionScenarios). In questa prima formulazione,che costituisce un riferimento anche oggi,tali scenari non tengono conto delle politi-che specifiche di riduzione dei gas serra,come il protocollo di Kyoto, ma implicita-mente dipendono dalle politiche di svilupposociale ed economico, dall’utilizzo di nuovetecnologie, dalle azioni relative alla riduzio-ne dell’inquinamento atmosferico.

Gli scenari socio-economici considerati

Scenario A1: questa famiglia di scenaridescrive un mondo caratterizzato da unrapido sviluppo economico, con un crescitadella popolazione con un massimo a metàdel XXI secolo ed una successiva decresci-ta, una rapida introduzione di nuove e piùefficienti tecnologie, una maggiore conver-genza tra le regioni, con un’ampia integra-zione sociale e culturale, da cui deriva unasostanziale riduzione delle differenze nelguadagno pro-capite. All’interno di questafamiglia sono identificati tre diversi gruppi,

Figura 4.1.1: Collegamenti tra la concentrazione dei gas serra e il cambiamento climatico (rapportoStern, 2006).

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che derivano da direzioni di sviluppo diver-se della tecnologia applicata ai sistemi diproduzione energetica. A1FI considera unutilizzo intensivo dei combustibili fossili,A1T un utilizzo delle fonti rinnovabili, mentrelo scenario A1B rappresenta un utilizzobilanciato delle fonti di energia. Scenario A2: questa famiglia descrive unmondo molto eterogeneo, orientato alla con-servazione delle identità locali e all’autoso-stentamento regionale, scarsa convergenzaed una crescita continua della popolazione.Anche lo sviluppo economico è visto fram-mentato, così come il reddito individuale, e losviluppo tecnologico più lento. Scenario B1: questa famiglia di scenaridescrive, analogamente alla famiglia A1, unmondo caratterizzato dalla convergenza e dauna crescita della popolazione con un massi-mo a metà del XXI secolo ed una successivadecrescita, ma un rapido sviluppo dell’eco-nomia verso i servizi e l’informazione e l’intro-duzione di tecnologie pulite ed efficienti. Ciòche caratterizza questa famiglia è l’adozione

di soluzioni globali per la sostenibilità econo-mica, sociale ed ambientale.Scenario B2: questa famiglia di scenaridescrive un mondo caratterizzato dall’ado-zione di soluzioni locali nelle politiche disostenibilità economica, sociale ed ambien-tale. La popolazione è in continua crescita,anche se ad un tasso inferiore della famigliaA2, con un livello intermedio di sviluppo eco-nomico ed una più lenta innovazione tecno-logica. Lo scenario vede anche l’applicazionedi politiche di protezione ambientale ed equi-tà sociale, ma applicate a livello locale eregionale.

Negli ultimi anni sono stati sviluppati ulterioriscenari che tengono conto anche delle politi-che di mitigazione e dell’aggiornamento dialcuni fattori forzanti del cambiamento clima-tico. Tra questi vi sono le stime della crescitadella popolazione, che sono state diminuite,la crescita economica a breve termine diAfrica, America Latina e Medio Oriente, che èstata rallentata, con effetti minori sulla cresci-

Figura 4.2.1: Descrizione schematica degli scenari socio-economici.

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ta economica globale, il contenuto di aerosole delle sorgenti di emissione dei precursoridegli aerosol, determinanti un effetto di raf-freddamento dell’atmosfera, che è diminuito.Il risultato importante è che, anche con larevisione di questi contributi, le proiezioniglobali delle emissioni dei gas serra nonvariano sensibilmente.

Tutti gli scenari economico-sociali esaminatidall’IPCC prevedono un aumento della con-centrazione dei gas serra in atmosfera. In particolare la CO2 prodotta dalla combustio-ne dei combustibili fossili, circa i tre quarti del-l’emissione antropogenica di CO2, dovrebberaggiungere nel 2100 una concentrazionecompresa tra le 540 e le 970 parti per milione(ppm), corrispondenti ad una percentuale dal90% al 250% rispetto al valore di 280 ppmpresente prima della rivoluzione industriale(1750). Tenendo conto delle incertezze conte-nute negli attuali modelli del ciclo del carbo-nio, in particolare per quanto concerne la bio-sfera terrestre, l’intervallo previsto si allarga da–10% a +30%, portando le concentrazioni adun intervallo fra 490 ppm e 1260 ppm (dal75% al 350% della concentrazione del 1750).

Le simulazioni mostrano una maggiore varia-bilità delle concentrazioni degli altri gas serranei diversi scenari. In generale gli scenari

A1B, A1T e B1 presentano incrementi minori,e gli scenari A1FI e A2, i maggiori. Il metano,per esempio, è atteso variare la sua concen-trazione dal 1998 al 2100 in un intervallo dai-190 ai +1970 ppb (tra -11% e +112%), ed ilprotossido di azoto aumentare dai +38 ai+144 ppb (tra +12% e +46%).Gli stessi modelli evidenziano che per stabi-lizzare la concentrazione di CO2 a 450 ppm,650 ppm o 1000 ppm, sarebbe indispensabi-le far tornare le emissioni al di sotto dei valo-ri del 1990 rispettivamente entro pochidecenni, in un secolo o due secoli e conti-nuare successivamente nella diminuzionefino a ridurre le emissioni ad una frazionemolto piccola di quella attuale (che si aggiraattorno ai 7 miliardi di tonnellate di carboniol’anno - corrispondenti a circa 26 miliardi ditonnellate di CO2 - e fornisce una concentra-zione media di CO2 di 379 ppm - dato del2005). Tutti gli scenari, riformulati recente-mente per tener conto anche delle politichedi mitigazione (IV Rapporto IPCC, febbraio2007), in particolare di riduzione delle emis-sioni di CO2 verso il raggiungimento di obiet-tivi definiti “di stabilizzazione”, mostrano unmassimo delle emissioni intorno al 2040-

Figura 4.2.2: Emissione antropogenica di CO2 per isei scenari socio-economici. (Lo scenario IS92a faparte della famiglia degli scenari dell’IPCC del 1992,di cui l’IS92a è stato da allora ampiamente utilizzatocome scenario di riferimento). (Scenari SRES,http://www.ipcc.ch/pub/sres-e.pdf, IPCC 2001).

Figura 4.2.3: Emissioni globali di CO2 negli sce-nari aggiornati (POST-SRES) rispetto agli scena-ri originali di riferimento (SRES). L’area grigiarappresenta l’area dove ricade l’80% dellesimulazioni, le linee tratteggiate rappresentano ilminimo ed il massimo. (Scenari SRES,http://www.ipcc.ch/pub/sres-e.pdf, IPCC 2001).

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Tutti sono però concordi sull’aumento dellatemperatura e nell’affermare che i cambia-menti del clima globale nel XXI secolo saran-no maggiori di quelli osservati nel XX secolo.

I meccanismi di retroazione che il sistematerra-atmosfera mette in atto a causa delriscaldamento globale, i cosiddetti feedback,hanno un ruolo fondamentale nella previsioneclimatica. Alcuni feedback vanno ad amplifi-care il riscaldamento, altri agiscono invececome un meccanismo di contrasto. Non tutti imeccanismi di retroazione sono conosciuti efisicamente descritti e non tutti i meccanismipossibili sono rappresentati nei modelli. Se il grado di incertezza nelle diverse simula-zioni per quanto concerne l’entità del riscal-damento globale si presenta ancora elevato,ancor più lo sono gli effetti dei feedbackcombinati fra loro.Un dato importante è che il cambiamento cli-matico in sé potrebbe scatenare un incre-mento addizionale nella concentrazione deigas serra, amplificando il riscaldamento.L’aumento delle temperature e le variazioninei regimi pluviometrici indeboliscono infattile capacità naturali di assorbimento della CO2

da parte del suolo e della vegetazione,aumentandone l’accumulo in atmosfera.Questo feedback positivo non è concettual-mente nuovo, ma solo la sua recente imple-mentazione nei modelli ha permesso diquantificarne l’effetto, suggerendo che nel2100 l’inclusione nelle simulazioni di questofeedback determina un ulteriore aumento

2060 seguito da una decrescita per raggiun-gere gli obiettivi stabiliti.Uno dei maggiori avanzamenti metodologicidegli ultimi anni per quanto riguarda la stabi-lizzazione consiste nel considerare unapproccio multigas rispetto al focus sullaCO2, tenendo conto degli interventi di mitiga-zione sulle sorgenti di gas serra diversi dallaCO2, come l’energia, la forestazione, l’agri-coltura e l’industria. Anche considerandooperazioni di mitigazione sugli altri gas, ilcontributo maggiore (60-80%) deriva dallariduzione delle emissioni sulla CO2 nei settoridell’energia e dell’industria. L’inclusione deglialtri gas serra consente però sensibili riduzio-ni dei costi per raggiungere la stabilizzazione. In particolare nello scenario di stabilizzazionepiù basso, che corrisponde ad una concen-trazione stabile in atmosfera da 440 a 490ppm di CO2 equivalente, le emissioni rag-giungono un massimo nel 2010-2020 e poi siriducono quasi a zero nel lungo termine.

4.3 Le simulazioni modellistiche

Le simulazioni modellistiche che partono dagliscenari di concentrazione dei gas serra preve-dono un ventaglio di scenari climatici futuri,nei quali la variabilità del risultato dipende dal-l’ipotesi adottata di emissione dei gas serranei prossimi cento anni, dal modello previsio-nale utilizzato, dalla tecnica di simulazione.

Figura 4.2.4: Intervallo di emissione della CO2

negli scenari aggiornati (POST-SRES) di stabiliz-zazione raggruppati secondo differenti valoriobiettivo espressi in W/m2 (IPCC, 2007).

Figura 4.3.1: Livelli di stabilizzazione della CO2eq.e relativo incremento della temperatura globalerispetto all’epoca pre-industriale (Stern, 2006).

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della concentrazione di gas serra di 20-200ppm, amplificando il riscaldamento previstodi 0.1-1-5°C (Friedlingstein, 2006). Anche ilvapore acqueo, contenuto in misura maggio-re in un’atmosfera più calda, intrappola piùcalore amplificando il riscaldamento iniziale.Considerando poi che i modelli hanno diffi-coltà a rappresentare bene i processi fisiciconnessi alla convezione umida, alla forma-zione delle nubi e alla loro interazione con laradiazione, anche i feedback connessi nonpossono essere ben rappresentati.Un altro feedback positivo significativo èquello dato dalla fusione del permafrost edelle torbiere congelate che porterebbe adun rilascio potenziale di quantità importanti dimetano e CO2 (si stima che se il carbonioaccumulato nelle torbiere dall’epoca dell’ulti-ma età glaciale fosse rilasciato in atmosfera,comporterebbe un aumento dei gas serra di200 ppm di CO2 equivalente, Gorham, 1991).Le terre umide e ghiacciate contengonoinfatti più carbonio di quanto sia stato rila-sciato dalle attività umane dall’epoca dell’in-dustrializzazione. Analisi sui dati paleoclima-tici hanno dimostrato come questi feedbackabbiano avuto un ruolo importante nell’au-mento delle temperature e nel riscaldamentodei periodi precedenti le età glaciali. Oltre ai feedback, non tutti gli scenari contem-plano la variazione dell’uso del suolo e i suoieffetti sul riscaldamento globale. Ad esempioun’ulteriore riduzione della foresta tropicale, inparticolare in Amazzonia, porterebbe ad unmaggior rilascio di carbonio in atmosfera (Cox,2000 – Scholze, 2006), contribuendo all’au-mento della concentrazione dei gas serra.Il riscaldamento stesso riduce la capacità diterra e oceano di trattenere anidride carboni-ca, aumentando la frazione di emissioneantropogenica che rimane in atmosfera.Nello scenario A2 il riscaldamento nel 2100viene aumentato di 1°C grazie a questo mec-canismo di retroazione positiva.In generale si può affermare, sulla base distudi recenti, che i feedback positivi possonoportare ad un ulteriore amento delle tempera-ture di 1-2°C nel 2100 rispetto all’aumentodovuto ai soli gas serra.

Nonostante le recenti conferme sulle simula-zioni modellistiche dell’ultimo decennio e ilmiglioramento nell’attendibilità delle proie-zioni future, non bisogna dimenticare che ilriscaldamento globale finale si ottiene comeil risultato complessivo, piccolo, che escedalla somma di molti numeri grandi, incerti edi segno opposto.

4.3.1 La sensitività climatica

La sensitività climatica fornisce la misuradella risposta del sistema clima nel suo com-plesso ad una specifica forzante esterna.Essa è definita, in modo generale, come latemperatura superficiale media all’equilibrioche si ottiene raddoppiando la concentrazio-ne di CO2 dal livello pre-industriale (portan-dola circa a 550 ppm). Per confrontare le diverse simulazioni model-listiche del clima futuro si fa riferimento alla

Figura 4.3.2: Variazione globale media della radia-zione a onda lunga (a) e ad onda corta (b) espressain W/m2, per una condizione di equilibrio in unaatmosfera con una concentrazione doppia di CO2,mese per mese, dovuta ai diversi feedback: ’q’vapore acqueo; ’LR’ lapse rate; ’C’ nubi, ’A’ albedo,e in linea continua variazione totale (Colman, 2003).

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sensitività climatica: comparando le predizio-ni sulla base dei modelli allo stato dell’arte, siottiene una sensitività climatica che varia da1.5°C a 4.5°C. Questo intervallo è maggioredi quello stimato da un semplice modellolineare, cioè un modello in cui la temperaturacresce al crescere della concentrazione dellaCO2 in modo lineare (1°C), sottolineando l’im-portanza dei complessi meccanismi diretroazione del sistema terra-atmosfera. Diversi studi recenti affermano inoltre unamaggior sensibilità del sistema climatico: laprobabilità che la sensitività del clima sia infe-riore ad 1°C è compresa nell’intervallo 0-2%,mentre vi è una probabilità compresa tra il 2ed il 20% che tale sensitività sia superiore a5°C (Meinhausen, 2006). Questo implica unaprobabilità su cinque che il riscaldamentoglobale porti ad un eccesso di 3°C di tempe-ratura rispetto al periodo pre-industriale (circa2°C superiore a quella attuale), se la concen-trazione di gas serra fosse stabilizzata al livel-lo attuale di 430 ppm di CO2 equivalente.

Se invece il trend di crescita delle emissionicontinuasse ai livelli attuali, il raddoppio dellaconcentrazione della CO2 rispetto al periodopre-industriale (circa 550 ppm) avverrebbe acirca metà del XXI secolo ed in tal caso letemperature nel 2100 vedrebbero un aumen-to di 2-5 °C o più (IV Rapporto IPCC; HadleyCenter e Murphy et al 2004). Anche se si ipo-

tizzasse un intervallo di riscaldamento inter-medio, attorno ai 2-3°, si raggiungerebbe unatemperatura che la terra non ha mai registra-to dalla metà del Pliocene, circa 3 milioni dianni fa (Hansen, 2006).Questi alti valori di sensitività sono dovutiprincipalmente ai meccanismi di retroazioneinterni, che amplificano o attenuano l’effettodella forzante esterna, come quelli legati allaformazione ed alla dinamica delle nuvole e glieffetti di raffreddamento degli aerosol.

4.3.2 Gli effetti sulla temperatura

Dall’analisi delle simulazioni fornite dai diversimodelli accoppiati di Circolazione Generaledell’Atmosfera e dell’Oceano (AOGCM), l’IPCCstima un incremento medio globale della tem-peratura dell’aria nel periodo dal 2090 al 2099compreso tra 1.7 e 4.0 °C in relazione ai diver-si scenari di emissione di gas serra per i pros-simi anni, che diventa da circa 3 a 6 °C senzainterventi strutturali di mitigazione. Utilizzando più simulazioni derivanti damodelli diversi, è possibile stimare sia lavariazione media sia l’incertezza associataper la fine del XXI secolo: dal 2090 al 2099, lavariazione media nella temperatura globaledell’aria alla superficie relativamente al perio-do di riferimento 1980-1999 è di 3°C (conun’incertezza che la fa variare in un intervalloda 1.4°C a 5.1°C) per la famiglia di scenari Ae di 2.2°C (in un intervallo tra 1°C e 3.8°C) perla famiglia B2, consistente con il più bassotasso di concentrazione di CO2 previsto dalloscenario socio-economico.

Sin dal primo rapporto dell’IPCC (1990) le proie-zioni avevano stimato un aumento di tempera-tura da 0.15°C a 0.3°C per decade dal 1990 al2005. Ora questo dato può essere comparatocon il valore osservato di 0.2°C per decade, raf-forzando la confidenza con le proiezioni a brevetermine. Per le prossime due decadi, un riscal-damento di circa 0.2°C per decade è previstoper quasi tutti gli scenari di emissione.Il tasso di riscaldamento presentato nellerecenti stime è maggiore di quello osserva-to nel XX secolo e, sulla base dell’analisi dei

Figura 4.3.1.1: Aumento della temperatura superficia-le dovuto al raddoppio della concentrazione di CO2,espresso in termini di probabilità cumulativa, per diver-se simulazioni modellistiche: la stima migliore è quellaintorno ai 3°C, probabile tra i 2°C ed i 4.5°C (indicatadalla box superiore), molto improbabile inferiore ai1.5°C (indicata dalla box inferiore), valori maggiori di4.5°C non sono comunque da scartare (IPCC, 2007).

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Sensitività climatica (°C)

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dati paleoclimatici, è senza precedenti negliultimi 10000 anni. La distribuzione nel tempo non è uguale pertutti gli scenari: per quelli che vedono un uti-lizzo dei combustibili fossili, come la famigliaA2, il riscaldamento è mitigato, fino al 2050,dalle emissioni di SO2, che ha un effetto diraffreddamento dell’atmosfera. A più lungotermine, le emissioni dei gas serra come CO2

e N2O diventano dominanti. Interessante è notare come, nel 2100, l’incer-tezza nell’aumento della temperatura globaledovuta all’utilizzo dei diversi scenari sia com-parabile con quella ottenuta da diversimodelli applicati al medesimo scenario.La stima della distribuzione geografica delle ano-malie termiche presenta più incertezze rispetto alsegnale globale, sebbene tutti i pattern geografi-ci dipendenti dai diversi scenari risultino simili aquelli osservati negli ultimi 50 anni.

Riscaldamento previsto per il periodo 2090-2099 relativamente al periodo 1980-1999

scenario Incremento medio Intervallo in cui varia l’incrementodi temperatura previsto medio di temperatura tenendo conto

dell’incertezza delle simulazioni

B1 1.7°C 1-2.7°CA1T 2.4°C 1.4-3.8°CB2 2.4°C 1.4-3.8°CA1B 2.7°C 1.6-4.3°CA2 3.2°C 1.9-5.1°CA1F1 4°C 2.4-6.3°C

Figura 4.3.2.1: Riscaldamento globale in °C (relativoal periodo 1980-1999) per gli scenari socio-economi-ci A2, A1B, B1, e per lo scenario a concentrazionecostante del 2000, mostrati come proseguimentodella simulazione della temperatura del XX secolo,ottenuti con diversi modelli (il numero indica la quan-tità di simulazioni per ogni scenario). La linea in gras-setto rappresenta il valor medio delle simulazioni, l’a-rea ombreggiata l’intervallo corrispondente a +/-1deviazione standard del campione (IPCC, 2007).

Figura 4.3.2.2: Riscal-damento medio superficia-le annuo (variazione ditemperature in °C relati-vamente al periodo dal1980 al 1999) ottenuto dadiverse simulazionimodellistiche per gli sce-nari B1, A1B e A2, per trefinestre temporali (a sini-stra dal 2011 al 2030, nelmezzo dal 2046 al 2065 esulla destra dal 2080 al2099) (IPCC, 2007).

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Sulla base dei risultati dei più recentiAOGCM si stima comunque un riscaldamen-to di tutte le regioni della terra, maggiore sulleterre emerse che non negli oceani e maggio-re alle alte latitudini, anche fino al 40% in unintervallo compreso da 1.3 °C a 6.3 °C pertutti i modelli e gli scenari considerati.L’aumento di temperatura è minore sul NordAtlantico e nelle regioni oceaniche a sud delcircolo polare rispetto alla media globale. Inestate il riscaldamento in eccesso nell’Asiacentrosettentrionale è del 40% superiorerispetto alla media globale. Solo nell’Asiameridionale e nelle zone meridionali del SudAmerica, in giugno, luglio ed agosto, e nelsudest dell’Asia per tutte le stagioni, i model-li mostrano un riscaldamento al di sotto dellamedia globale.In molte aree del pianeta è stimata una dimi-nuzione dell’escursione termica diurna, con unaumento delle temperature minime notturnemaggiore dell’aumento delle massime diurne. Diverse simulazioni mostrano una generalediminuzione della variabilità delle temperatu-re in inverno e un aumento di tale variabilitànelle aree emerse dell’emisfero nord durantel’estate.

Molti di questi cambiamenti previsti sonoconsistenti con le tendenze nei dati osser-vati. Limitatamente all’area del Mediterraneo, lesimulazioni fornite dagli AOGCM con gli sce-nari di emissione A2 e B2 danno un aumentodelle temperature superiore all’aumento glo-bale durante i mesi estivi, mentre in invernol’anomalia positiva sembra leggermenteminore a quella globale.Studi recenti, mirati a valutare gli impatti ascala locale dell’aumento di temperatura,puntano l’attenzione sulle variazioni delletemperature estreme, dimostrando come levariazioni su queste siano legate all’aumen-tata variabilità interannuale delle temperaturenegli scenari futuri e non sempre correlategeograficamente con l’aumento della tempe-ratura media (C. Schär, 2004). Ad esempio, solo un regime con un aumen-to nella variabilità delle temperature estive,oltre all’aumento della temperatura media, èin grado di spiegare l’ondata di calore del-l’estate 2003 che ha investito l’Europa.Simulazioni effettuate mediante l’utilizzo dimodelli climatici regionali, innestati in unasimulazione AOGCM nello scenario A2,

Figura 4.3.2.3: Aumento della temperatura inEuropa nel periodo 2071-2100 rispetto al periodo1961-1990 sulla base dello scenario IPCC SRESA2. (Green Paper - Adapting to climate change inEurope, UE 2007).

Figura 4.3.2.4: Variazione della temperatura esti-va (a sinistra) e della variabilità della temperaturaestiva (a destra, espressa come percentuale dellavariazione standard rispetto alla media estivasulla variazione standard del periodo 1961-1990)nel periodo 2071–2100 ottenute con un modellodi clima regionale RCM nello scenario A2. (Scharet al, 2004).

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mostrano un aumento fino al 100% di talevariabilità in Europa, ed in particolare nellezone centrali ed orientali nel periodo2071–2100, rispetto al periodo 1961–90. Ilsegnale di aumento della variabilità non èdirettamente collegato con l’aumento dellatemperatura media.L’aumento nella variabilità delle temperatureimplica anche un aumento negli estremi rela-tivamente alla media climatica. Questa fortesensitività degli estremi all’ampiezza delladistribuzione statistica porta ad affermareche “la variabilità è più importante dellamedia” (Katz R. et al., 1992).Il clima estivo europeo potrebbe perciò vede-re una maggior variabilità da anno ad anno inrisposta al forcing dei gas serra. Questoaumento nella variabilità influenzerà in modosostanziale la frequenza delle ondate di calo-re e degli episodi di siccità in futuro.

4.3.3 Gli effetti sulla precipita-zione

Sulla base delle simulazioni modellistiche eper la maggior parte degli scenari futuri, laconcentrazione media di vapore acqueo inatmosfera è stimata in aumento nel corso delXXI secolo: questo aumento, insieme allemodificazioni sui regimi meteorologici a gran-de scala dovuti al riscaldamento, diversa-mente distribuito sul pianeta, modifica il regi-me pluviometrico.

Figura 4.3.2.5: Rappresentazione schematicadegli effetti sulle temperature estreme in caso diaumento della temperatura media (a), aumentonella varianza della temperatura (b), aumentodella media e della varianza (c) (IPCC, 2001).

Figura 4.3.3.1: Distribuzionedella variazione media dellaprecipitazione (mm/giorno).Nelle regioni punteggiatealmeno l’80% dei modelliutilizzati concordano colsegno della variazione. Lavariazione è per lo scenarioA1B per il periodo 2080-2099 relativamente al perio-do 1980-1999 (IPCC, 2007).

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Rispetto a quanto stabilito per la temperatu-ra ed il livello del mare, per le precipitazioni leincertezze delle conseguenze del riscalda-mento globale sono in generale maggiori.La maggior parte delle simulazioni modellisti-che indica che, dalla seconda metà del XXIsecolo, vi è una probabilità superiore al 90%che le precipitazioni aumentino nell’emisferonord, alle medie ed alte latitudini, ed inAntartide durante l’inverno. Negli scenarifuturi si evidenzia inoltre, sulla maggior partedelle aree del pianeta dove è atteso unaumento della precipitazione media, unamaggiore variabilità nel regime delle precipi-tazioni da un anno all’altro.A latitudini più basse vi sono aree dove siverifica un aumento delle precipitazioni edaree dove si verifica una diminuzione. Nellamaggior parte delle regioni di terra subtropi-cali è probabile (probabilità superiore al 66%)che le precipitazioni diminuiscano (nello sce-nario A1B le precipitazioni nel periodo 2090-2099 sono viste diminuire fino al 20% rispet-to al periodo 1980-1999). Il Nord Africa e l’area del Mediterraneo vedo-no una tendenza all’inaridimento, mentre piùincertezze vi sono circa i cambiamenti nellaprecipitazione tropicale, soprattutto a causadelle complesse interazioni tra i cambiamen-ti climatici ed i cicli naturali come quello di ElNiño, che dominano il clima ai tropici.Durante gli anni con El Niño positivo (circaogni 3-7 anni) cambia la distribuzione geo-grafica della temperatura superficiale delmare, con un significativo riscaldamento nelPacifico Orientale. Questo altera radicalmen-te la circolazione atmosferica a grande scalaattorno al globo, modificando la distribuzionegeografica delle precipitazioni: alcune regionisoffrono per la siccità, su altre si ha un incre-mento delle precipitazioni. Molti modelli suggeriscono che il riscalda-mento globale sarà più efficace sul Pacificoorientale rispetto al Pacifico occidentale,limitando la differenza nella distribuzionedelle temperature superficiali dell’oceanocome nelle situazioni di El Niño positivo,sebbene rimangano molte incertezze: imodelli non concordano infatti sulla natura

Figura 4.3.3.2: Distribuzione della variazionemedia della precipitazione (mm/giorno). Nelperiodo invernale (dicembre, gennaio, febbraioDJF) sopra e per l’estate (giugno, luglio, agostoJJA) sotto. La variazione è per lo scenario A1Bper il periodo 2080-2099 relativamente al periodo1980-1999 (IPCC, 2007).

Figura 4.3.3.3: Variazione percentuale della pre-cipitazione annua in Europa nel periodo 2071-2100 rispetto al periodo 1961-1990 sulla basedello scenario IPCC SRES A2. (Green Paper -Adapting to climate change in Europe, 2007).

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dei cambiamenti nella frequenza o nell’in-tensità di El Niño (Collins and the CMIPModelling Groups 2005).Le conseguenze di un simile cambiamentosono importanti. Ad esempio, diminuirebbel’intensità del monsone indiano, con unasignificativa riduzione delle precipitazioni edil verificarsi di episodi di siccità severa.Per quanto riguarda l’Europa, la precipitazio-ne totale è vista aumentare dal 10 al 40%sulle regioni settentrionali con un tassomedio dell’1-2% per decade e con una distri-buzione non uniforme sulle stagioni: il perio-do estivo vede comunque un deficit delleprecipitazioni. Su quelle meridionali è attesauna diminuzione dell’ordine del 20% (IPCC2007, JRC 2005), in particolare nel periodoestivo. Sul bacino del Mediterraneo, sembra-no probabili delle estati più “asciutte” diquanto non sia stato sino ad ora.Con tutta la cautela legata all’incertezza suidettagli locali delle simulazioni delle precipita-zioni, si può comunque immaginare un aumen-to delle precipitazioni a nord delle Alpi e unariduzione a Sud, soprattutto durante i mesiestivi, e quindi una progressiva desertificazionedelle regioni dell’Italia insulare e meridionale esensibili manifestazioni di desertificazioneanche nelle regioni del centro-nord Italia.

4.3.4 Gli effetti sul livello del mare

Anche il livello del mare è condizionato dalloscenario considerato di emissione di gasserra per i prossimi anni e, come per la tem-peratura, i diversi modelli forniscono unarisposta concorde sull’aumento del livello delmare con valori più critici all’aumentare dellaconcentrazione dei gas serra.

Gli scenari futuri proposti dall’IPCC prevedo-no un innalzamento del livello globale mediodel mare, compreso tra 18 e 59 centimetri nelperiodo 2090-2099, in funzione dei diversiscenari socio-economici.L’innalzamento previsto è dovuto principal-mente (per il 70-75%) all’espansione termicae alla perdita di massa dei ghiacciai e dellecalotte ghiacciate.Ai valori indicati nella tabella, sono da somma-re le incertezze dovute al contributo dello scio-glimento dei ghiaccio della Groenlandia edell’Antartide. Se l’aumento recentementeosservato nella portata dovuta allo scioglimen-to dei ghiacci crescesse linearmente con latemperatura globale, la stima dell’innalzamen-to medio del livello del mare dovrebbe essereaumentata del 10-25% per ogni scenario. Queste proiezioni corrispondono ad unaumento pari fino a tre-quattro volte i valoriosservati nel corso del XX secolo, che giàsono da considerare valori eccezionali (nelperiodo dal 1870 al 2004 si stima un solleva-mento medio del livello del mare di 195 mm,corrispondente ad un sollevamento medio di1.7± 0.3 mm per anno, che negli anni recentisale a 3 mm per anno (Church e White, 2006),affermando l’esistenza di un processo diaccelerazione dello scioglimento dei ghiacci). L’effetto sul livello del mare è più lento diquello sulla temperatura, ma risente pertempi più lunghi della forzante iniziale.Simulazioni recenti mostrano infatti che,anche se il forcing radiativo dovuto ai gasserra fosse stabilizzato nel 2100 ai livelli delloscenario A1B (pari a 850 ppm di CO2 equiva-lente), l’espansione termica da sola portereb-be ad un aumento da 30 ad 80 cm nel 2300(relativamente al periodo 1980-1999) e conti-

scenario Intervallo di incremento del livello del mare in metri, nel periodo 2090-2099 rispetto al periodo 1980-1999 (IPCC, 2007)

B1 0.18-0.38A1T 0.30-0.45B2 0.20-0.43A1B 0.21-0.48A2 0.23-0.51A1F1 0.26-0.59

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nuerebbe ad un tasso inferiore per moltisecoli, a causa del lento meccanismo di tra-sporto di calore nell’oceano profondo.La distribuzione geografica dell’innalzamentodel mare non è concorde nei dettagli nellediverse simulazioni modellistiche, ma mostraalcune caratteristiche comuni, come unincremento inferiore alla media negli oceanidell’emisfero Sud, superiore alla medianell’Artico e con una stretta banda caratteriz-zata da un significativo innalzamento allun-gata tra l’Atlantico meridionale e l’OceanoIndiano.

4.3.5 Gli effetti sull’estensione deighiacci e sulla coperturanevosa

A livello medio globale ed in particolare nell’e-misfero Nord, sia la copertura nevosa sia l’e-stensione dei ghiacci sono previste in diminu-zione a causa del riscaldamento progressivo. La copertura nevosa rappresenta una rispostaintegrata alla variazione sia della temperaturasia della precipitazione e mostra una forte cor-relazione negativa con la temperatura dell’arianella maggior parte delle aree dove la coper-tura nevosa presenta un andamento stagiona-

le e non permanente. A causa di questa fortedipendenza dalla temperatura, le proiezioniper il XXI secolo ne danno una diminuzionedistribuita su vaste aree del pianeta.I modelli specificatamente sviluppati persimulare gli impatti del cambiamento climati-co nella zona artica (Arctic Climate ImpactAssessment - ACIA) proiettano alla fine delXXI secolo una riduzione della coperturanevosa annuale nell’emisfero nord in un inter-vallo dal 9 al 17%, con una media intorno al13%, nello scenario B2 (ACIA,2004). Le maggiori riduzioni si hanno in primavera enel periodo tardo autunno-inizio inverno, por-tando ad una diminuzione del periodo in cui ilsuolo si presenta coperto da neve, oltre ad unadiminuzione vera e propria della superficiecoperta da neve. L’inizio della stagione di accu-mulo della neve al suolo, che corrisponde allafine della stagione in cui si ha fusione, è ritarda-to, mentre è anticipato l’inizio della stagione incui si ha la fusione (Hosaka et al., 2005).In generale nell’emisfero Nord si ha una dimi-nuzione sia della quantità di neve, sia dell’e-stensione della copertura nevosa, anche se inalcune regioni specifiche, come ad esempio laSiberia, la quantità di neve è vista aumentare acausa dell’aumento della precipitazione nevo-sa nel periodo autunno-inverno (Meleshko etal., 2004; Hosaka et al., 2005).

Figura 4.3.4.1: Distribuzione geografica dellavariazione del livello del mare in m (differenza trale medie nel periodo 2080-2099 e 1980-1999)dovuta alla variazione di densità dell’oceano e aicambiamenti nella circolazione nel corso del XXIsecolo (valori positivi indicano variazioni superio-ri alla media globale). I risultati sono ottenuticome media di insieme di 16 simulazioni conAOGCM nello scenario A1B (IPCC, 2007).

Figura 4.3.5.1: Variazione percentuale media dellafrazione di suolo coperto da neve sul periodo 2080-2099 relativamente al periodo 1980-1999, ottenutocon simulazioni modellistiche (IPCC, 2007).

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Per quanto riguarda i ghiacci una consisten-te riduzione è attesa per i ghiacci marini, sianell’estensione sia nello spessore, mentreparticolarmente critica è attesa la situazionedei ghiacciai alpini, che potrebbero progres-sivamente scomparire. In funzione della relazione di sensitività delbilancio di massa specifico che si utilizza(cioé della relazione tra l’aumento di un gradodella temperatura e la variazione della massadel ghiacciaio per unità di superficie in unanno), utilizzando le proiezioni delle tempera-ture mensili per gli scenari A1B, A2 e B1,senza considerare la Groenlandia el’Antartide, si ottengono delle variazioni in unintervallo tra 0.49 e 0.61 ± 0.12 mm in termi-ni di innalzamento del livello del mare equiva-lente all’anno per ogni grado di aumento ditemperatura.Una conseguenza indiretta della diminuzionedelle superfici ghiacciate e della copertura

nevosa è la diminuzione dell’albedo, ossia dellacapacità della superficie terrestre di riflettere laradiazione incidente. Attualmente i ghiacci rico-prono il 75% della superficie dell’OceanoArtico, riflettendo dal 50 all’80% della radiazio-ne incidente, mentre le acque marine ne assor-bono circa l’85% (Washington and Parkinson2005). Nel 2100, la calotta glaciale artica, che èvista scomparire quasi del tutto durante la tardaestate, modificherà pertanto il bilancio termicodi quest’area del pianeta. La diminuzione dell’albedo a causa dellariduzione dei ghiacci e della copertura nevo-sa produce un meccanismo di retroazionepositiva (Chapin et al. 2005), favorendo a suavolta l’au-mento del riscaldamento. Dal 1978la superficie di ghiaccio oceanica si è fusa dicirca il 3% per decade, e non è escluso chevi sia una soglia nella riflettività della terra,superata la quale il sistema cambia rapida-mente stato. Lo scioglimento dei ghiacci hacome conseguenza anche l’aumento delvapore acqueo in atmosfera, che, comeabbiamo visto in precedenza, oltre ad essereun importante gas serra di per sé, è all’origi-ne di meccanismi di retroazione complessi e

Figura 4.3.5.2: Estensione della banchisanell’Artico in settembre (periodo di minima esten-sione) espressa in termini di concentrazione per-centuale di ghiaccio rispetto all’acqua nella situa-zione corrente e nella proiezione climatica per il2080 basata sullo scenario A1B (Hadley Centre).

Figura 4.3.5.3: Anomalie simulate con la model-listica nell’estensione della superficie di mareghiacciato (definita come superficie in cui la con-centrazione di ghiaccio eccede il 15% dell’area)nel XXI secolo utilizzando gli scenari SRES A2,A1B e B1 per (a) emisfero nord da gennaio amarzo (JFM), (b) emisfero nord da luglio a set-tembre (JAS). Le linee solide rappresentano lamedia delle simulazioni modellistiche per i diver-si scenari, mentre l’area ombreggiata rappresen-ta l’intervallo all’interno di una deviazione stan-dard dalla media. Le anomalie sono relative alperiodo 1980-2000 (IPCC, 2007).

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non del tutto compresi legati alla formazioneed alla dinamica delle nubi.Nonostante le misure effettuate in Antartidenelle ultime decadi mostrino come l’87% dei244 ghiacciai si siano ritirati, le proiezioni cli-matiche vedono la superficie ghiacciatadell’Antartide aumentare la sua massa, acausa delle maggiori precipitazioni, mentre lasuperficie ghiacciata della Groenlandia èdestinata a perdere massa a causa dell’au-mento del runoff, dovuto sia alla fusione delghiaccio sia alle condizioni che favoriranno lacreazione di uno strato lubrificante alla basee quindi lo scivolamento della massa ghiac-ciata nel mare. Un aumento della temperatu-ra regionale di 2.7°C rispetto ai valori attualipotrebbe portare alla fusione totale deighiacci della Groenlandia.Una certa preoccupazione è suscitata dallastabilità dello strato di ghiaccio dell’AntartideOvest, che pone le sue fondamenta al di sottodel livello del mare, in particolare per unaumento della temperatura globale di 3°C,che è ricompresa negli scenari per il XXI seco-lo (Tirpak et al., 2005). Comunque, la diminu-zione del ghiaccio sommerso non dovrebbeessere la componente sostanziale dell’aumen-to del livello del mare del XXI secolo, sebbenela sua dinamica non sia del tutto compresa,specialmente per i lunghi tempi di scala.

4.3.6 Gli effetti sugli eventimeteorologici estremi

Gli eventi estremi, in termini di estremi ditemperatura, ondate di caldo, eventi di preci-pitazione intensa, tempeste con venti forti,sono stimati divenire più frequenti mentre ilnumero di giorni caratterizzati da basse tem-perature e notti con temperature al di sottodello zero sono attesi in diminuzione. Oltre agli estremi veri e propri, nella disaminadegli scenari climatici futuri, sono anche daconsiderare le situazioni anomale, cioè glieventi che superano la media di due o tredeviazioni standard e che, negli scenari cli-matici futuri, risultano più frequenti. Una conseguenza del “clima intensificato” èinfatti che tutto ciò che è straordinario diven-ta più ordinario. Per quanto concerne gli estremi nelle precipi-tazioni, una buona concordanza si ha nelleproiezioni future sull’aumento della frequenza di

Figura 4.3.6.1: Variazioni negli estremi diprecipitazione sulla base di simulazionimodellistiche (Tebaldi et al. 2006): (a)media globale dei cambiamenti nell’in-tensità di precipitazione (definita comeprecipitazione media annuale diviso peril numero di giorni piovosi sulle terreemerse) per gli scenari B1, A1B e A2; (b)cambiamenti nella distribuzione spazialedell’intensità di precipitazione tra duemedie ventennali (2080–2099 meno1980–1999) per lo scenario A1B; (c)media globale dei cambiamenti nelnumero di periodi secchi (definiti come ilmassimo annuale del numero di giorniconsecutivi senza pioggia); (d) cambia-menti nella distribuzione spaziale deiperiodi secchi tra due medie ventennali(2080–2099 meno 1980–1999) per loscenario A1B. Le linee solide in (a) e (c)sono costruite come media mobile su 10anni, mentre l’area ombreggiata rappre-senta la media d’insieme della deviazio-ne standard. Le aree punteggiate in (b) e(d) denotano le aree dove la variazione èstatisticamente significativa. Le variazio-ni sono espresse in termini di variazionestandard.

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estati asciutte alle medie latitudini e nelle regio-ni subtropicali dell’emisfero nord, che determi-na un aumento del rischio di siccità. Anche secon maggiori incertezze nella distribuzionegeografica, i modelli confermano anche che ilriscaldamento globale porta ad un aumentodell’intensità della precipitazione (quantità diprecipitazione per evento di precipitazione) inmolte regioni della terra e che l’aumento negliestremi di precipitazione è maggiore del cam-biamento nella precipitazione media. Con il riscaldamento globale la precipitazioneè attesa essere più concentrata in eventiintensi, che portano ad un grande ruscella-mento superficiale (runoff), alternati a periodiasciutti, relativamente più lunghi, caratteriz-zati da una maggior evapotraspirazione, inparticolare nelle regioni subtropicali. Un altro aspetto di queste proiezioni è che gliestremi di precipitazioni sono attesi in parti-colare nelle regioni dove vi è un aumentodella precipitazione media, mentre estreminegativi sono attesi nelle regioni dove la pre-cipitazione media è attesa in diminuzione. In particolare nell’emisfero nord, è atteso unaumento degli inverni mediamente “umidi”sull’Europa centrosettentrionale proprio acausa degli eventi intensi e delle tempeste nelperiodo invernale, che suggeriscono un pro-babile aumento dei fenomeni di esondazione.

Analoghi risultati si evidenziano per il periodoestivo, con un aumento dei fenomeni alluvio-nali nelle regioni del monsone asiatico e inaltre aree tropicali.

Studi mirati a regionalizzare queste proiezioniaffermano che, per quanto riguarda l’Europa, gliestremi di precipitazione mostrano comporta-menti distinti in funzione della stagione: nelcorso dell’inverno, nelle regioni a nord del 45°

parallelo si avrà un aumento nel massimovalore di precipitazione con tempo di ritornopluriennale (proiezioni effettuate con seimodelli regionali RCM danno un aumento del

Figura 4.3.6.2: Andamento dell’intensità dei ciclonitropicali nel Nord Atlantico, mediante un indicatore diattività definito dalla NOAA: Accumulated CycloneEnergy index che tiene conto della forza e della dura-ta delle tempeste, nel periodo 1950-2005. La lineaverde indica il valor medio del periodo 1981-2000.(Climate of 2005, Atlantic Hurricane Season, NationalClimatic Data Center, 21 August 2006 NOAA Satelliteand Information Service).

Figura 4.3.6.3: Andamento annuale del numerodi uragani a cui è stato dato un nome (in blu) egrandi uragani (in rosso) nell’Atlantico nel periodo1944-2005. (Climate of 2005, Atlantic HurricaneSeason, National Climatic Data Center, 21August 2006 NOAA Satellite and InformationService).

Figura 4.3.6.4: Immagine satellitare trispettraledel 27 marzo 2004 alle 18:24 ora locale chemostra il ciclone tropicale Catarina che si avvici-na alle coste del Brasile (Servicio MeteorologicoNacional, Argentina - www.meteofa.mil.ar).

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valore di precipitazione con tempo di ritornodi 5 anni fino all’11% nell’Europa Centrale edal 10 al 22% in Scandinavia). Nel corso del-l’estate i risultati sono più discordanti in par-ticolare sulle zone dell’Europa Centrale, men-tre un discreto accordo si ha nella diminuzio-ne dei valori nelle regioni mediterranee ed unaumento in Scandinavia. Un dibattito interessante e ancora attualeriguarda i cicloni tropicali (uragani): analisirecenti sui cicloni tropicali (Emanuel 2005;Webster et al. 2005) affermano che la loropotenza distruttiva, che dipende dal tempo divita del ciclone e dai massimi di vento, è piùche raddoppiata dal 1970 e che la frequenza ditempeste grandi e potenti è aumentata, conse-guentemente al riscaldamento dell’oceanonella fascia tropicale. Secondo questi studi, ilriscaldamento previsto nel XXI secolo porteràad un aumento del potenziale distruttivo deicicloni che, associato all’incremento dellapopolazione nelle zone costiere, determineràun aumento dei danni e delle perdite umanedovute a questi fenomeni meteorologici. Più incertezza vi è invece sulla frequenza delnumero di uragani per anno, che perlopiùnon sembra aumentare, anche se il numeromedio di uragani a cui è stato dato un nomedal 1995 al 2005 è 13, mentre nei precedenti25 anni è di 8.6.Sembra anche esserci un legame tra i cam-biamenti climatici e il primo uragano in asso-

luto verificatosi nell’Atlantico del Sud, checolpì le coste meridionali del Brasile nella pri-mavera del 2004 (Pezza et al., 2005). L’aumento dell’intensità dei cicloni tropicalidetermina un aumento nella velocità dei venti enelle precipitazioni associate, dovuto al mag-gior contenuto di vapore acqueo dell’atmosfe-ra, che alimenta il riscaldamento stesso, il qualefavorisce a sua volta l’evaporazione rendendola terra più asciutta e facilitando la formazionedi aree di bassa pressione. Gli estremi meteo-rologici sono attesi in aumento proprio a causadell’incremento di energia nel sistema atmosfe-ra, dovuto al riscaldamento globale. Anche per questi estremi, come per gli estre-mi di temperatura, i cambiamenti nellavarianza e nella forza delle strutture meteoro-logiche che accompagnano il riscaldamentoglobale hanno delle conseguenze ecologichee sulla salute maggiori di quelle dovute alriscaldamento stesso.La modificazione degli estremi determineràun’accelerazione del ciclo idrologico a causasia dell’intensificazione degli estremi, sia del-l’aumento della discontinuità dei patternmeteorologici legati a condizioni di tempoavverso. I modelli prevedono (Trenberth2005) che alcune aree diventino più asciuttea causa del caldo e dell’evaporazione, men-tre altre aree siano più soggette a fenomenialluvionali ricorrenti. Quando episodi di preci-pitazione intensa colpiscono regioni inaridite,risultano poco assorbite dal terreno e porta-no facilmente ad allagamenti.Le simulazioni modellistiche degli scenari futu-ri lasciano comunque più incertezze sulla dis-tribuzione geografica, la frequenza e l’intensitàdegli estremi rispetto ai valori medi, anche acausa della scarsa rappresentatività che hannonei modelli stessi. Ad esempio, l’aumento pro-porzionale osservato delle tempeste più seve-re a partire dal 1970 è più grande di quanto imodelli siano in realtà in grado di simulare.Le simulazioni modellistiche sono più con-cordi nel prevedere uno spostamento delletraiettorie delle tempeste (storm track) versolatitudini più alte, con conseguenti cambia-menti nei pattern di temperatura, vento e pre-cipitazioni al di fuori dei tropici.

Figura 4.3.6.5: Percorsi delle tempeste tropicali euragani sul Nord Atlantico nel periodo 1851-2004(1325 tempeste). National Hurricane Center, NOAA.

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Il nubifragio del 20 giugno 2007 a TorinoIl flash flood è un fenomeno che consiste nelrapido allagamento di un’area geomorfologi-camente poco estesa causato dall’intensapioggia associata ad uno o molteplici tempo-rali. Gli allagamenti sono dovuti al rapidosaturarsi dello strato superficiale del terrenoche non riesce ad assorbire l’intensa pioggia.Il giorno 20 Giugno 2007 la città di Torino èstata lo scenario di un flash flood: un violen-to nubifragio (registrati 58,4 mm in un’ora)

causato da due celle temporalesche estre-mamente localizzate, originatesi sulla zonasettentrionale del capoluogo di provincia pie-montese ed estesesi verso la zona centraledella città.

Le celle temporalesche hanno avuto unabreve longevità (circa un’ora e mezza) e feno-meni meteorologici ed effetti al suolo tipici diun flash flood: forte pioggia, grandine, fortiraffiche di vento, allagamenti, frane superfi-ciali e alberi abbattuti.

In particolare la genesi dell’intenso temporalemetropolitano è da ricercare nella persistenzadi un anticiclone nordafricano sul bacino delMediterraneo dal 17 al 20 Giugno, che hacontribuito ad innalzare notevolmente le tem-perature con elevata attività termo-convettivapomeridiana, favorita anche dall’accumulo diumidità negli strati atmosferici medio-bassi.In particolare il nordovest italiano si è trovatonei giorni del 19 e 20 Giugno nella zona discontro tra il poderoso promontorio di altapressione e una circolazione depressionariaposizionata sull’Europa occidentale, che hacontribuito a pronunciare le correnti umidimeridionali sul Piemonte e ad innalzare lecondizioni di instabilità atmosferica.

Figura 1: Immagine da satellite della cella convet-tiva causa del nubifragio a Torino.

Figura 2: Effetti al suolo del flash flood a Torino.Fonte La Stampa.

Figura 4.3.6.6: Distribuzione statistica delletemperature estive nella Svizzera settentrio-nale simulate da un modello di clima regiona-le RCM rappresentante il periodo 1961–90(sopra) e il periodo futuro 2071–2100 (sotto),nello scenario A2 (Schar et al, 2004).

Figura 4.3.6.7: Temperatura media estiva inEuropa osservata (nero) e simulata in scenari conemissioni da medie ad elevate (rosso) (HadleyCentre, 2005).

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Dal punto di vista della temperatura unodegli effetti del riscaldamento globale è quel-lo dovuto alla maggiore frequenza delleondate di calore, cioè di periodi con persi-stenza di temperature elevate, scarsa ventila-zione e elevate condizioni di umidità, chesono destinati ad aumentare.Durante l’estate 2003 (Paragrafo 4.4.4)l’Europa ha sperimentato una prolungata eripetuta esposizione alle ondate di calore,tanto da essere considerata l’estate più caldanegli ultimi 500 anni (Hadley Centre). Unevento come quello dell’estate 2003 è stati-sticamente molto improbabile (le temperatu-re hanno superato la media di ben sei devia-zioni standard), anche se tutte le simulazionimodellistiche sono concordi nello stabilireche l’influenza umana sul clima ha già piùche raddoppiato la probabilità di avere un’e-state calda come quella del 2003.Concettualmente l’aumento della frequenzadelle ondate di calore può essere visto comeuno spostamento della distribuzione statisticadelle temperature verso valori maggiori, mentrei cambiamenti nell’ampiezza della distribuzione,legati ad una maggiore variabilità interannuale,sono spesso considerati piccoli, anche tenen-do in considerazione il riscaldamento globale.Studi recenti focalizzati sulla comprensione

della statistica, passata e futura, delle ondatedi calore, basata sull’utilizzo della modellisticaclimatica regionale (Schär et al., 2004), hannoinvece evidenziato come l’aumento della varia-bilità termica interannuale, associata al riscal-damento medio, sia la chiave per spiegare l’in-cremento della frequenza di tali fenomeni. Come già detto nel paragrafo 4.3.2, l’aumentonella variabilità delle temperature implicaanche un aumento dei valori estremi. Peresempio, un incremento del 50% nella devia-zione standard della serie delle temperaturesimulate nel periodo estivo porterebbe ad unaumento della probabilità di evento come quel-lo del 2003 (anomalia di temperatura di 3.85°Crispetto al periodo 1990-2002) di un fattore dicirca 150. Per un evento ancora più raro (conanomalia di temperatura di 5°C), aumentereb-be di un fattore pari a 5100. Dal 2050, in sce-nari con emissioni elevate, l’estate del 2003potrebbe diventare la norma. Per altri fenome-ni estremi, ed in particolare quelli caratterizzatida scale spaziali piccole, come temporali, tor-nadi, fenomeni grandinigeni e fulmini, chehanno comunque un impatto significativo sul-l’ambiente e sulla società, non si hanno suffi-cienti informazioni né per farne una disaminastorica, né per includere i processi nei modelliclimatici e trarne previsioni affidabili.

La tabella descrive il grado di confidenza dei cambiamenti negli estremi meteorologici negli scenarifuturi del XXI secolo (IPCC, 2007).

Fenomeni e tendenza

Generalmente più caldo con temperature massime e minimemaggiori sulla maggior parte delle terre emerse.Generalmente più caldo con un numero minore di giorni e nottifredde sulla maggior parte delle terre emerse.Aumento della frequenza delle ondate di calore sulla maggiorparte delle terre emerse.Aumento della frequenza dei fenomeni di precipitazione intensa (odella proporzione della precipitazione totale dovuta ad eventi intensi)sulla maggior parte delle terre emerse.Aumento delle aree soggette a siccità.Aumento dell’intensità dei cicloni tropicali.Aumento dell’incidenza degli estremi positivi del livello del mare (defi-niti come i valori orari che superano il 99° percentile della distribuzionedel periodo di riferimento), che dipendono sia dal livello medio delmare sia dalle forzanti locali meteorologiche (escluso gli tsunami).

Probabilità negli scena-ri futuri del XXI secolo

Superiore al 99%

Superiore al 99%

Superiore al 90%

Superiore al 90%

Superiore al 66%Superiore al 66%

Superiore al 66%

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4.3.7 Gli effetti sulla circolazionetermoalina

Molte simulazioni modellistiche AOGCMmostrano un indebolimento della circolazioneoceanica termoalina (vedi paragrafo 1.2) dovu-ta alla diminuzione della densità delle acquedegli oceani, a causa della riduzione del livellodi salinità, in particolare alla alte latitudini.Questa diminuzione della densità rende leacque più stabili inibendo i meccanismi di con-vezione, che sono alla base della circolazioneoceanica. La diminuzione di salinità è dovuta almaggior apporto di acqua dolce, a causa dellapiù ridotta formazione di ghiaccio marino e del-l’aumento del deflusso delle acque superficiali(sia per lo scioglimento dei ghiacciai sia perl’aumento delle precipitazioni alle alte latitudi-ni). Lo squilibrio della salinità rispetto alla distri-buzione attuale fra le acque settentrionali edacque più meridionali è inoltre esaltato dall’au-mento della salinità nell’Atlantico Tropicale,causato dalla maggior evaporazione dovuta alriscaldamento. società, non si hanno sufficien-ti informazioni né per farne una disamina stori-ca, né per includere i processi nei modelli cli-matici e trarne previsioni affidabili.Il rallentamento di tale circolazione determinauna riduzione del trasporto di calore verso lelatitudini più alte nell’Oceano Atlantico ad operadella corrente del Golfo, in particolare versol’Europa settentrionale ed il Nord America. Importante è sottolineare che gli scenari futu-ri indicano un indebolimento della circolazio-ne termoalina fino al dimezzamento a fine2100, ma nessuna proiezione ne vede unacompleta interruzione.L’indebolimento della circolazione termoalinadetermina una riduzione della temperaturasuperficiale dell’oceano e di salinità nella regio-ne in cui si forma la Corrente del Golfo e la cor-rente del Nord Atlantico (Dai et al., 2005), pro-ducendo una diminuzione del trasporto di calo-re verso settentrione al di sotto della latitudinedi 60°N, ed un aumento a latitudini superiori. La riduzione dell’intensità della circolazionetermoalina associata all’aumento dei gasserra rappresenta un feedback negativo alriscaldamento sul Nord Atlantico: riducendo

la quantità di calore trasportato dalle bassealle alte latitudini la temperatura superficialedell’Oceano risulta più bassa rispetto a quel-la che si avrebbe con la medesima intensitàdi tale circolazione. Per quanto riguarda l’Europa, il raffredda-mento determinato dall’indebolimento dellacircolazione potrebbe compensare in parte ilriscaldamento dovuto ai gas serra. Oltre alla variazione nel trasporto di calore, icambiamenti nella circolazione termoalinadeterminano modificazioni della disponibilitàdi nutrienti: muovendosi verso l’equatorel’acqua di fondo diminuisce la sua densitàinteragendo con le altre acque e tende a risa-lire, provocando la risalita di nutrienti minera-li e favorendo così la produttività biologica. La modificazione della circolazione termoalinadetermina anche una diversa distribuzione deicampi di temperatura e pressione, e altera cosìi sistemi meteorologici che transitano, o si ori-ginano, sull’Atlantico. Questi cambiamentipotrebbero portare ad un’intensificazione deiventi nelle tempeste che dall’Atlantico si muo-vono verso l’Europa, più frequenti ondate dicaldo in Europa per la diminuzione di evapora-zione dal Nord Atlantico, situazioni di contrastotermico che favoriscono la propagazione dinubi di polvere di origine africana verso iCaraibi e gli Stati Uniti, ed aumento del nume-ro di uragani che attraversano l’Atlantico da estad ovest a causa dei cambiamenti nella distri-buzione della pressione.

4.4 Impatti e conseguenze delcambiamento climatico

La pericolosità legata al cambiamento climati-co è differente da regione a regione, in manie-ra dipendente dalla natura locale e dalle con-seguenze degli impatti dovuti a tale cambia-mento. In particolare dall’analisi dell’entità delcambiamento, della vulnerabilità del sistema edella capacità di mitigazione e adattamentoderiva il rischio a cui il sistema è effettivamen-te sottoposto, sia esso un ecosistema, unsistema sociale ed economico, un territorio odun sistema ambientale più complesso.

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Un impatto esprime uno specifico cambia-mento, sia esso positivo o negativo, in unsistema causato dalla sua esposizione aicambiamenti climatici. Quando un sistema èparticolarmente suscettibile ad un impattonegativo e incapace di contrastarlo o di adat-tarvisi si definisce un sistema vulnerabile alcambiamento climatico. Le vulnerabilità chesono associate ai molti sistemi suscettibili alcambiamento climatico riguardano la risorsaidrica, gli ecosistemi, le aree costiere, l’ap-provvigionamento di cibo, l’industria e lacapacità produttiva, l’agricoltura e la salute.L’impatto delle variazioni climatiche è assaiarticolato e complesso (IPCC 2007, WG2,Summary for Policymakers). Fra i molti esempi possibili di tale complessi-tà, due risultano particolarmente interessantiperché riguardano l’acqua, fonte primaria

della sopravvivenza degli esseri viventi sullaTerra: come il cambiamento climatico puòinfluenzare l’equilibrio degli ecosistemicostieri, e, più in generale, in che modo puòinfluire sulla disponibilità della risorsa idrica.Nel primo caso, l’aumento del livello del mareed una probabile maggiore frequenza di fortimareggiate possono determinare un aumen-to dell’erosione costiera e dell’habitat adessa associato. Parallelamente, l’aumentatasalinità delle acque degli estuari può avere ungrande impatto sulla vita delle specie acqua-tiche. A questi, vanno associati gli effetti cheil cambiamento climatico può determinaresul turismo delle aree costiere, sulla disponi-bilità di acqua potabile, sulla pesca e sullabiodiversità delle specie, nonché sugli inse-diamenti e sulle infrastrutture. Parallelamente, nel caso generale della risorsa

Figura 4.4.1: Impatti dei cambiamenti climatici per variazioni della temperatura globale (Stern, 2006).

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acqua che deve essere citato sia per le nume-rose implicazioni, sia per la gravità delle con-seguenze che possono essere associate, uncambiamento climatico legato al regime delleprecipitazioni può ripercuotersi sul ciclo idrolo-gico, modificandolo in modo determinante e,nello stesso tempo, imponendo l’applicazionedi pratiche di gestione oculata ed integratadella risorsa. Una variazione sostanziale nelvolume e nella distribuzione dell’acqua puòavere delle influenze sull’utilizzo della stessaper usi domestici, industriali ed agricoli. Sicuramente i cambiamenti nell’intensitàdelle precipitazioni determinerebbero riper-cussioni sull’ampiezza delle portate dei fiumie sulla frequenza di accadimento delle piene.In particolare, aree con bacini idrograficimedio-piccoli aventi tempi di corrivazionemolto brevi possono risultare molto più vul-nerabili, in un’ipotesi di aumento della fre-quenza di eventi brevi ed intensi. Al contrarioaltri bacini potrebbero vedere i propri deflus-si minimi vitali superati, verso il basso, in piùperiodi dell’anno.Lo studio dell’impatto del clima e dei suoimutamenti sulle molteplici attività umane sifonda sulla cooperazione tra scienze speri-mentali e scienze umane ed è quindi caratte-rizzato da una maggiore indeterminazionedovuta alla complessità degli argomenti daesaminare. Le Nazioni Unite ritengonocomunque che i cambiamenti climatici costi-tuiscano probabilmente la maggiore minacciaalla sostenibilità dell’attuale modello di svilup-po, con gravi ripercussioni sull’ambiente,sulla salute, sul benessere e sull’economia.L’Articolo 2 della Convenzione delle NazioniUnite sul Cambiamento Climatico affermache l’obiettivo finale della Convenzione èquello di raggiungere una stabilizzazionedella concentrazione dei gas serra in atmo-sfera tale da impedire l’interferenza antropo-genica con il sistema climatico e che talelivello deve essere raggiunto in un tempo taleper cui gli ecosistemi possano adattarsinaturalmente ai cambiamenti climatici, percui la produzione di cibo non sia minacciatae lo sviluppo economico possa procedere inmodo sostenibile.

Sulla base dei recenti risultati dell’IPCC e dellaletteratura scientifica più autorevole degli ultimianni, il Consiglio Europeo ha tradotto taleobiettivo in un indicatore misurabile e verifica-bile: il massimo incremento accettabile dellatemperatura media globale rispetto al periodopre-industriale è di 2°C, che rischia di esseresuperato se la concentrazione dei gas serrasupera i 450 ppm di CO2 equivalente.Impatti importanti e non sostenibili sugli eco-sistemi, sulla produzione di cibo e la disponi-bilità della risorsa idrica sono infatti previsticrescere in modo significativo se l’aumentodella temperatura globale supera i 2°C.Inoltre questo incremento di temperaturamassimo è quello al di sotto del quale si evi-tano cambiamenti repentini e discontinuitàclimatiche su larga scala.

4.4.1 L’aggressione alle zonecostiere

L’aumento del livello del mare causa allaga-menti delle zone costiere, mareggiate, ero-sione e perdita di territorio pianeggiante efertile, anche a causa dell’intrusione di acquasalata. A livello globale l’effetto potrebbeessere estremo: la popolazione che abita pic-cole isole come le Maldive o che abita lungole aree costiere depresse, come il delta delBangladesh, è a rischio per le conseguenzeeconomiche e sociali dovute all’aumento dellivello del mare e per le conseguenti mareg-giate e onde di tempesta. La perdita di que-ste aree per la vita dell’uomo ha potenzial-

Figura 4.4.1.1: Il sistema costiero (Nicholls R.J.,WG2, IPCC 2007).

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mente effetti secondari importanti a livellosociale legati alla migrazione.Nei paesi occidentali, le pressioni rappresen-tate dai cambiamenti del clima si sommanoalle varie pressioni non di natura climatica, chehanno già inciso negativamente sulla sosteni-bilità a lungo termine degli ecosistemi costieri.A seguito dell’aumentata urbanizzazione, lezone costiere dell’Europa stanno vivendo la

cosiddetta “compressione costiera”, espres-sione con la quale si intende la proliferazionedi edifici e infrastrutture che si espandonosempre più vicino al litorale a discapito deisistemi naturali, che normalmente fungono dacuscinetto tra il mare e la terra. Questa “com-pressione” rende le zone costiere più vulnera-bili ai cambiamenti del clima e all’innalzamen-to del livello del mare, soprattutto in caso difenomeni estremi come mareggiate e burra-sche (EEA Briefing, 03/06). Stime per l’Unione Europea, dove la linea dicosta è lunga circa 89.000 km, indicano checirca 68 milioni di persone potrebbero esserecoinvolte nei problemi dovuti all’innalzamen-to dei costi ingenti per far fronte al fenomeno.Già nel 2020, in caso di innalzamento dellatemperatura di 2.2 °C, la spesa per far frontealle conseguenze sulle zone costiere potreb-be essere di 4.4 miliardi di euro; nel casodello scenario più pessimistico, con tempe-rature aumentate di 3°C, la spesa aumente-rebbe a 5.9 miliardi e potrebbe crescere a42.5 miliardi nel 2080.La difesa dall’innalzamento del livello delmare e dall’erosione costiera richiede infattimisure di protezione importanti come lacostruzione di argini e l’alimentazione artifi-ciale delle spiagge, a salvaguardia dellepopolazioni residenti, degli ecosistemi costie-ri e degli ambienti umidi: interventi costosi main grado di ridurre i costi fino al 50% nelmedio termine e fino al 70% a lungo termine.

4.4.2 Il ritiro dei ghiacciai alpini

Negli scenari climatici futuri è attesa una con-sistente riduzione dei ghiacciai alpini, chepotrebbero progressivamente scomparire: sela temperatura estiva aumentasse di 3°C,simulazioni modellistiche mostrano come leAlpi potrebbero perdere l’80% della superficiericoperta dai ghiacci intorno al 2050: solo ighiacciai più estesi (come l’Aletsch Glacier inSvizzera, il maggiore per lunghezza di tuttol’arco alpino) e quelli sui rilievi più elevatisopravviverebbero. Nel caso di un aumento di5°C si avrebbe una completa scomparsa deighiacciai alpini nel 2100 (Zemp et al., 2006).

Figura 4.4.1.2: La distribuzione dell’illuminazio-ne notturna in Europa è dimostrazione dell’ele-vata densità abitativa lungo le coste.

Figura 4.4.1.3: Milioni di persone a rischio acausa dell’allagamento delle zone costierecon e senza cambiamento climatico globale(IPCC, 2007).

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In base ai dati acquisiti nel 1987 dal ComitatoGlaciologico Italiano nell’ambito della colla-borazione alla stesura del World GlacierInventory, i ghiacciai italiani risultano 1396 esi estendono su 607 km2, il 21% della super-ficie glacializzata alpina e lo 0.2% del territo-rio nazionale. Essi sono distribuiti dalle AlpiMarittime alle Alpi Giulie, con un unico esem-pio negli Appennini. Nonostante la complessa connessione fraclima e reazione glaciale, è indubitabile che ighiacciai possano essere considerati impor-tanti indicatori climatici: il volume di unghiacciaio e, conseguentemente, la suasuperficie, lo spessore e la lunghezza, sonodeterminati dal bilancio tra accumulazione edablazione. Il cambiamento del clima determi-na una variazione del bilancio di massa, chesi può manifestare in una variazione in spes-sore ed in lunghezza. Di particolare importan-za è infatti la misura delle variazioni frontaliche fornisce una valutazione dell’arretramen-to o dell’avanzata del ghiacciaio. In Italia il monitoraggio dei ghiacciai, soprat-tutto per quanto riguarda le variazioni fronta-li, è diventato sistematico a partire dalla metàdegli anni venti e prosegue tutt’ora al fine dimantenere il più possibile continue le serie didati. Dall’analisi di questi dati si confermache l’attività dei ghiacciai alpini dal 1860 adoggi è stata generalmente omogenea, eccet-

to che durante un breve intervallo alla fine delXIX secolo, in cui la variabilità di precipitazio-ne a scala regionale può aver causato accu-muli differenti. La fase di deglaciazione alpinainiziata verso la metà del XIX secolo, chepare continuare fino ad oggi, fu interrotta daavanzate di limitate dimensioni o da periodidi stazionarietà ad intervalli di qualchedecennio, come ad esempio si può osserva-re nel periodo 1960-80. Quantitativamentetale deglaciazione ha portato alla perdita dicirca il 40% della superficie dei ghiacciai.Nei grafici seguenti si possono visualizzare lesituazioni dei ghiacciai dell’arco alpino italia-no. Ad una fase di prevalente ritiro, accentua-tasi negli anni ’40 e ’50, ha fatto seguito unabreve fase di avanzata, culminata nei primianni ’80, quindi un rapido ritorno alle attualicondizioni di generale ritiro.

La percentuale di ghiacciai in avanzata scen-de dal 66% nel 1980 al 4% nel 1999, mentrequella dei ritiri sale dal 12% all’89%. Talivalori si modificano rapidamente durante ilprimo decennio per poi stabilizzarsi in quellosuccessivo.Concentrando l’attenzione sugli ultimi anni,gli apparati glaciali presenti in Piemontehanno seguito l’andamento generale diregresso che si è registrato per la maggioran-za dei ghiacciai montani, non solo delle Alpi,accentuatosi dagli anni ’80, e attribuito alriscaldamento globale.

Figura 4.4.2.1: Ghiacciai delle Alpi italiane inavanzata e in ritiro dal 1925 al 2004. Valoriespressi come percentuale dei ghiacciai convariazioni misurate (elaborazione G. Zanon).

Figura 4.4.2.2: Percentuale di ghiacciai in avan-zata (blu), stazionari (verde) e in ritiro (rosso) inPiemonte nel periodo 1980-1999 (elaborazioneM. Santilli).

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In generale, in quest’ultimo secolo, fino allaseconda decade, si è assistito a una sensibi-le ripresa dell’avanzamento glaciale, seguitada un intenso e generalizzato ritiro fino allafine degli anni ’50; a partire dagli anni ’60 siè avuta una nuova fase di progresso culmi-nata nel 1980 con l’88% dei ghiacciai moni-torati in avanzata; dopo tale data è iniziatauna ulteriore fase di declino che perduraancora oggi, in cui (dato 1999) si registra il96% del totale dei ghiacciai sotto controlloin ritiro, con situazioni più o meno accentua-te a seconda delle caratteristiche climatichedei diversi anni e a seconda degli apparatiglaciali.Esaminando più in dettaglio la situazione pie-montese, i valori più accentuati di ritiro dellafronte glaciale si sono registrati per il ghiac-ciaio Broglio nell’annata 1997-98 (- 59 m),per il ghiacciaio di Nel nella stessa annata (-37 m) e in quella successiva (- 21 m), entram-bi facenti parte del bacino dell’Orco nell’altaValle di Locana, per il ghiacciaio Bertà nel ’98(- 25 m) nel bacino della Stura di Lanzo, per ilghiacciaio delle Piode nel ’97 (- 22 m) nelbacino del Sesia. In particolare si può notarecome il 1998 sia stato l’anno in cui si sonoverificati ritiri superiori ai 10 m per più del 50% dei ghiacciai controllati, e in nessun caso

sono stati registrati degli avanzamenti.Considerando i valori su più anni colpisce ilghiacciaio di Broglio che in soli 2 anni è arre-trato di 62 m, mentre il ghiacciaio diNoaschetta (bacino dell’Orco) in 13 anni (dal1986 al ’99) si è ritirato di ben 223 m, e ilghiacciaio di Aurona nel bacino del Toce –Ticino ha perso 147 m dal 1983 al ’97.All’arretramento delle fronti si accompagna-no inoltre l’innalzamento della quota dellafronte stessa e del limite delle nevi, nonchéla diminuzione dello spessore e dell’area deibacini glaciali. Questi fenomeni comportanonotevoli modificazioni non solo degli appa-rati glaciali stessi, ma anche della morfolo-gia delle zone circostanti: aumento dellecoperture detritiche sulle superfici ghiaccia-te, affioramento di zone rocciose prima rico-perte dalla neve, con la conseguente fram-mentazione delle unità glaciali e l’accelera-zione dei processi di arretramento, neofor-mazione o ingrandimento di specchi lacustriin prossimità dei margini dei ghiacciai. Si verificano inoltre importanti conseguenzeper l’idrologia con alterazione dei regimi dei

corsi d’acqua glaciali e riduzione delle riser-ve idriche dei bacini montani, nonché com-plessi fenomeni gravitativi in alta quota con-nessi all’assottigliamento delle masse dighiaccio e allo scioglimento del permafrost

Figura 4.4.2.4: Immagine satellitare dei ghiac-ciai nella zona Himalayana del Buthan (http://www.pbs.org/wgbh/nova/sciencenow/3210/03-spac-nf.html).

Figura 4.4.2.3: Ghiacciai piemontesi in ritiro dal1990 al 2005. Valori espressi come percentualedei ghiacciai con variazioni misurate.

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alpino. Lo spessore dello strato diterreno interessato dal disgelo èinfatti in aumento nelle simulazio-ni climatiche di scenario alle lati-tudini più settentrionali (Lawrenceand Slater, 2005; Yamaguchi etal., 2005; Kitabata et al., 2006),causando un aumento inizialedell’umidità del suolo nel periodoestivo, ed una successiva diminu-zione nella seconda metà del XXIsecolo (Kitabata et al., 2006), conun aumento fino al 30-40% nellospessore dello strato attivo nelleregioni dell’emisfero Nord carat-terizzate dal permafrost. (Stendele Christensen, 2002).

La frana di ghiaccio del MonvisoIl 6 luglio 1989 alle ore 22.45 una massa dighiaccio del volume di circa 200.000 m3 sistaccò dal ghiacciaio pensile Superiore diCoolidge a quota 3200 m, sulla parete Norddel Monviso, precipitando sulla morena sot-tostante e arrestandosi a quota 2380 m nelladepressione del Lago Chiaretto, che è statoparzialmente riempito.

Figura 1: Il ghiacciaio del Monviso prima (sopra) edopo (sotto) il distacco.

Figura 2: La parete Nord del Monviso dopo l’e-vento, con l’area interessata dalla frana tracciata.

Il distacco si verificò su di un fronte di circa150 m per un’altezza di 35 m lungo una lineadi crepaccio già segnalata nel 1986 ed al

Figura 4.4.2.5: Limite del permafrost corrente (lineablu continua) e proiezione del limite del permafrost(linea blu puntinata) nel 2090 (ACIA, 2004).

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contatto tra il ghiaccio ed il substrato roccio-so. La frattura è avvenuta per rottura per tra-zione e scivolamento sul bedrock; la superfi-cie di scivolamento coincide con la base delcorpo glaciale e lo scorrimento si è imposta-to su una superficie ghiacciata perlomenosino allo sbocco a valle del canalone.Le cause del fenomeno furono indicate nel-l’associazione di fattori climatici e motivimorfologici che hanno alterato l’equilibrio fraghiacciaio e substrato roccioso: un eccessodi acque meteoriche e di fusione, infiltrando-si lungo i crepacci fino al contatto con la roc-cia del substrato, ha costituito un orizzonte didiscontinuità che ha favorito lo scollamentodella massa glaciale. Dal punto di vista climatologico, già unaprima analisi effettuata l’anno successivoall’evento evidenziò come l’inverno 1988/89sulle Alpi Cozie sia stato caratterizzato dascarsità di precipitazioni nevose invernali eda abbondanti precipitazioni primaverili, con-centrate nel mese di aprile, le più abbondan-ti del ventennio precedente. Ovviamente taledato va inserito in un contesto più ampio chevide un apporto decisamente inferiore aivalori medi delle precipitazioni nevose dell’ul-timo decennio, che, associato ad un lieve masignificativo aumento delle temperature loca-li, ha portato ad una condizione favorevole adun progressivo ritiro dell’estensione deighiacciai nella zona del Monviso ed all’au-mento della quota del permafrost più signifi-cativo alle latitudini più basse dell’ArcoAlpino.

4.4.3 Variazioni del ciclo idrologico

Il cambiamento climatico influenza i regimi diprecipitazione e tende ad intensificare il cicloidrologico: il riscaldamento esalta le differen-ze esistenti tra le regioni umide e le regioniasciutte, che sono destinate a divenire piùaride. Gli effetti sono attesi sulla disponibilità diacqua, sulla sua qualità ed in particolare sullascarsità: secondo le proiezioni si prevede chela media annuale del runoff dei fiumi e la dis-ponibilità di acqua a metà secolo aumentino

di un 10-40% alle alte latitudini e in alcunearee umide tropicali, e diminuiscano del 10-30% in alcune regioni secche alle medie alti-tudini e nei tropici secchi, aree in parte giàsottoposte a stress idrico.Nel corso del XXI secolo, le riserve di acquaconservate nei ghiacciai e nelle coperturenevose diminuiranno secondo le proiezioni,riducendo la quantità di acqua disponibilenelle regioni che usufruiscono delle acque discioglimento provenienti dalle maggiori cate-ne montuose, regioni dove vive attualmentepiù di un sesto della popolazione mondiale.Le risorse idriche sono sensibili alle variazio-ni climatiche in quasi tutte le regioni delmondo: nell’Asia centrale, ad esempio, lafusione dei ghiacciai e la riduzione delladurata degli inverni altera la portata dei gran-di fiumi. Anche nelle regioni alle medie latitu-dini si avrà una riduzione della neve e deighiacci, sia per fusione sia per la diminuzionedella frazione di precipitazione che cadesotto forma nevosa, ed un anticipo dell’iniziodella fusione primaverile. Questo comportauna marcata riduzione della ritenzione inver-nale della precipitazione, diminuendo la“riserva” per i periodi più asciutti, e ad unaumento del runoff invernale nelle regioni delNord Europa e nei fiumi alpini come il Reno eil Danubio. Variazioni nel regime stagionale dei fiumipossono aumentare i periodi di esposizioneal rischio di alluvioni e di siccità. Si stima, adesempio nelle Alpi centrali (Beniston, 2006),un aumento del 90% del runoff invernale eduna diminuzione del 45% del runoff estivo,che portano rispettivamente a periodi con unaumento del rischio di alluvioni e del rischiodi siccità. Queste alterazioni nel runoff diminuisconopertanto anche l’alimentazione delle faldesotterranee, a causa della maggiore satura-zione del suolo, dove aumenta il regime delleprecipitazioni, che porta ad una diminuzionedella capacità di infiltrazione, e per la diminu-zione della stagione di ricarica, dove diminui-sce il regime delle precipitazioni.Inoltre, l’aumento di temperatura porta aduna maggiore domanda di acqua, in partico-

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lare per l’irrigazione. Le implicazioni cheriguardano l’approvvigionamento di acquasono maggiori per le regioni che già oggi sof-frono condizioni di scarsità. Con un aumentodella temperatura globale dai 2 ai 2.5°C , sistima che le persone sottoposte a pressioniper la mancanza di acqua saranno dai 2.4 ai3.1 miliardi in più. Alcuni scenari indicano cheil 10% della superficie della terra sarebbesottoposta a deficit idrico, cioè ad una situa-zione in cui la domanda supera la disponibi-lità.Anche la qualità dell’acqua è sensibile allepiù alte temperature a causa della diminuzio-ne della portata media, che aumenta la con-centrazione degli inquinanti e dell’aumentodelle intrusioni saline favorite anche dall’in-nalzamento del livello del mare. Livelli dei fiumi più bassi e temperature mag-

giori determinano la diminuzione dell’ossige-no disciolto nei laghi e nei fiumi a lento scor-rimento con un degradamento delle condi-zioni ambientali per la fauna acquatica.Anche le condizioni batteriologiche di laghi efiumi dipendono dalla temperatura, cosìcome la diffusione di agenti patogeni, che èfavorita dal riscaldamento delle acque. Eventidi precipitazione intensa con i livelli bassi deifiumi, che sono già un problema nel SudEuropa, rischiano di causare fenomeni diinquinamento acuti dovuti alla tracimazionedel sistema fognario, come avvenne aLondra nell’estate del 2004, quando il siste-ma fognario si sfogò direttamente nell’estua-rio del Tamigi. Uno dei problemi più seri determinato daicambiamenti del clima sull’acqua è l’aumen-to del rischio di episodi di siccità e della lorodurata ed estensione, a causa della diminu-zione della precipitazione e l’aumento dellasua variabilità. Temperature più elevate e pre-cipitazioni a carattere più discontinuo sonoinfatti le cause principali, mentre uno sposta-mento nei pattern di circolazione atmosferi-ca, come periodi estesi caratterizzati da ElNiño positivo, porterebbe a periodi di siccitàduraturi, estesi su intervalli di anni e decadi. Le condizioni di siccità nell’area euro-medi-terranea si hanno in risposta a strutture anti-cicloniche a grande scala, che amplificano inmodo non lineare le anomalie delle tempera-ture locali.

Figura 4.4.3.2: Variazione percentuale del runoffstagionale nelle Alpi centrali simulato con unmodello climatico regionale nel periodo 2071-2100rispetto al periodo 1961-1990 (Beniston, 2006).

Figura 4.4.3.1: Varia-zione percentuale delrunoff annuale inEuropa nel 2070rispetto al 2000, simu-lato con due diversimodelli globali (Lehe-ner et al., 2001; EEA,2004).

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Durante la siccità il bilancio netto di radiazio-ne solare ed infrarossa è quasi bilanciatointeramente dal riscaldamento locale, mentrel’evapotraspirazione è inibita a causa dellamancanza di umidità del suolo. Questo pro-cesso può essere ulteriormente amplificatoda un feedback positivo tra l’umidità delsuolo e la precipitazione.L’estensione delle aree contemporaneamen-te interessate da siccità aumenterà: perquanto concerne la siccità estrema, adesempio, si stima che alla fine del XXI seco-lo, nello scenario A2, si passerebbe dall’1%al 30% delle terre emerse interessate dalfenomeno (Burke et al., 2006).Sebbene gli scenari di rischio futuri relativialla siccità siano ancora incerti, gli effetticonseguenti potrebbero essere severi. Leconseguenze immediate - mancanza diacqua, scarsità di cibo, riduzione della cre-scita delle piante, aumento della diffusione

delle malattie - potrebbero portare a fortipressioni economiche, sociali e politiche. Le conseguenze più severe, come le carestie,che causano la migrazione e la diffusione diepidemie, non sono una conseguenza diretta

della siccità, ma l’aumento del rischio di siccitàpotrebbe portare gli ecosistemi e le economiepiù sensibili oltre la soglia della sostenibilità.Il costo globale della siccità non è stato valu-tato, anche se la siccità in Africa ha un costopari a circa l’8% del prodotto interno lordo, inparticolare a causa della diminuzione nellaproduzione di energia elettrica dagli impiantiidroelettrici. Le perdite annuali negli Stati Unitia causa della siccità sono stimate dai 6 agli 8miliardi di dollari. In Europa, l’impatto econo-mico degli episodi di siccità negli ultimi 30anni è stato stimato in 85 miliardi di euro, conuna media di 5.3 miliardi di euro per anno nelperiodo 1991-2006, ad eccezione del 2003,che ha visto un costo di 7.5 miliardi di euro.Le regioni caratterizzate dal clima mediterra-neo, in entrambi gli emisferi, vedranno unasignificativa riduzione delle precipitazioni:stime preliminari indicano che la frazione diarea in condizioni di siccità contemporaneaaumenterà dall’1% al 30% alla fine del XXIsecolo. Analisi più dettagliate a livello europeomostrano un’associazione tra estati calde esegnali di siccità, con lo spostamento pro-gressivo del clima semi-arido mediterraneoverso l’Europa centrale, la quale risulta sem-pre più interessata da episodi di siccità esti-va dovuti all’aumentata variabilità della distri-buzione delle piogge e delle temperature.

Figura 4.4.3.4: Milioni di persone che subirannoun aumento di “stress idrico” (disponibilità infe-riore a 1000 m3/anno) a partire dal 2080 nei quat-tro scenari socio-economici futuri A1, A2, B1, B2(Arnell 2005; HadCM3; IPCC WGII, 2007).

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Figura 4.4.3.3: Il Po in magra.

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4.4.4 Gli impatti sulla salute

I cambiamenti climatici hanno un impattodiretto e indiretto sulla salute. Diversi studi hanno messo in evidenza gliaumenti di mortalità e morbilità dovuti a condi-zioni meteorologiche estreme e quelli conse-guenti ai cambiamenti climatici. Tutti gli scena-

ri previsti portano ad evidenziare forti effettisulla salute delle popolazioni, anche nel caso incui il riscaldamento avvenga in modo graduale.

Figura 4.4.3.5: Cambia-mento della frequenza dellasiccità centennale nel 2020e 2070 rispetto al periodo1961-90 (modelli globali disimulazione ECHAM4 eHadCM3; scenario emissio-ni IS92a) (Lehner et al.,2005).

Figura 4.4.4.2: Gli effetti sulla salute dovuti alcambiamento climatico (Climate change andhuman health, World Health Organization, 2003).

Figura 4.4.4.1: Lo schema descrive le interazio-ni tra la salute e il cambiamento climatico (trattoda Climate change and human health, WorldHealth Organization, 2003).

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Modulazioni

Indirizzi perla ricerca

Cambiamentoclimatico

Contaminazioneda microbi

Dinamiche ditrasmissione

Agro–ecosistemi,idrologia

Effetti sulla salute

Mortalità e morbilitàda eccessi

di temperatura

Effetti sulla salute daeventi meteo estremi

Effetti sulla salute dainquinamento dell’aria

Malattie veicolateda acqua e cibo

Malattie veicolateda insetti e roditori

Effetti dovuti allascarsità di cibo

e acqua

Infezioni damalnutrizione

Condizioni socioeconomiche,demografiche

Misure diadattamento

specifichesulla salute

Valutazionedell’adattameto

Cambiamentia scala

regionale

- Onde di calore

- Eventi estremi

- Temperatura

- Precipitazione

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L’effetto principale del riscaldamento globalesulla salute è quello dovuto alla maggiore fre-quenza delle ondate di calore, cioè di periodicon persistenza di temperature elevate, scar-sa ventilazione e elevate condizioni di umidi-tà, che è destinata ad aumentare.Durante l’estate 2003 l’Europa ha sperimenta-to una prolungata e ripetuta esposizione alleondate di calore: nei mesi di giugno, luglio eagosto 2003, in molti paesi dell’Europa cen-tro-occidentale si sono verificate condizioniclimatiche caratterizzate da temperature edumidità elevate straordinarie per intensità edurata. In Portogallo, Germania, Svizzera eGran Bretagna le temperature massime regi-strate hanno superato i record nazionali. Queste forti ondate di calore hanno avuto unnotevole impatto sull’ambiente e sulla vita ele attività umane. Secondo il World GlacierMonitoring Service del dipartimento di geo-grafia dell’università di Zurigo, la massa tota-le dei ghiacciai alpini si è ridotta del 10%. Magli effetti si sono sentiti anche sulle produzio-ni agricole: la qualità e la quantità delle colti-vazioni si è ridotta del 30% in Germania,Austria e Spagna, del 40% in Italia e del 60% in Francia. 650000 ettari di foresta sonoandati distrutti dagli oltre 25000 incendidivampati in Portogallo, Spagna, Italia,Francia, Austria, Finlandia, Danimarca eIrlanda. Per quanto concerne l’energia elettri-ca si sono avuti due diversi effetti: un aumen-to della domanda energetica a causa delmaggior utilizzo dei condizionatori e dei refri-geratori ed una riduzione della produzioneenergetica a causa della siccità e del ridottoflusso dei fiumi, utilizzati per i sistemi di raf-freddamento delle centrali elettriche.L’effetto più drammatico delle ondate di caloredell’estate 2003 è però sicuramente stato l’au-mento di morbilità e di mortalità giornaliera.All’inizio del 2004 la stima dei decessi avvenutidurante ed immediatamente dopo le ondate dicalore del 2003, in Inghilterra, Galles, Francia,Italia e Portogallo era pari a 22080 casi. Ad oggida un’analisi più approfondita dei dati a dispo-sizione si può ragionevolmente stimare che idecessi dovuti agli effetti delle ondate di caloresulla salute nel corso dell’estate del 2003 sonoalmeno il doppio (giugno-agosto 2003).

Uno studio condotto dall’autorevole compa-gnia assicurativa Munich Re pone l’ondata dicalore dell’estate 2003 al quarto posto, in ter-mini di vittime, tra i più grandi disastri naturalimondiali verificatisi dal 1980 ad oggi (al primoposto lo tsunami in Asia meridionale del 2004).Le perdite economiche totali sono state quan-tificate in circa 13.000 milioni di dollari USA,nessuna delle quali coperta da assicurazione.

L’ondata di calore 2003 a TorinoL’estate 2003 è stata caratterizzata dall’in-fluenza pressoché continua dell’anticiclonenordafricano, con solo temporanee interru-zioni determinate da irruzioni di aria fredda inquota che determinavano brevi fenomenitemporaleschi ed un calo delle temperatureper periodi non superiori ai due giorni.La struttura anticiclonica si è mantenuta per-sistente per quasi tutta l’estate, anche graziealla sua notevole estensione sia in longitudi-ne che in latitudine. La massima estensione areale è stata rag-giunta nella prima decade di agosto quandol’influenza dell’anticiclone africano si esten-deva su tutto il bacino centro-occidentale delMediterraneo, sull’Europa occidentale,sull’Europa centrale dall’Italia fino ai limiti delCircolo Polare Artico, ed infine su buonaparte dell’Europa sudorientale, come rappre-sentato nella figura seguente.

Figura 1: Analisi ECMWF del geopotenziale a500hPa l’11 agosto 2003 alle ore 00UTC.

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In tale decade sono stati raggiunti i più altivalori di temperatura massima sulla città diTorino e più in generale sul Piemonte. Lo zero termico sul territorio piemontese si èmantenuto sui 4000 metri per tutto il periodoestivo; tale fatto ha determinato la presenzadi temperature elevate non solo in pianurama anche nelle località montane.La presenza di umidità è stata invece più rile-vante nel mese di giugno quando il flussoproveniente in prevalenza dai quadranti meri-dionali ha convogliato aria umida dalMediterraneo ed ha causato, unitamente allealte temperature, le condizioni di afa.Dal punto di vista delle precipitazioni, essehanno avuto carattere prevalentemente tem-poralesco e nel mese di giugno sono state inlinea con la media mensile, mentre in luglio enella prima metà di agosto sono state inferio-ri alla media ed hanno contribuito all’aggrava-mento delle condizioni di siccità presenti nelcorso del 2003 a causa della scarsità di pre-cipitazioni invernali e, soprattutto, primaverili.Frequenti, nel corso di questo periodo, sonostati gli annuvolamenti pomeridiani e serali diorigine convettiva causati dal forte riscalda-mento diurno e talora accompagnati da brevirovesci; lo sviluppo di tali nubi aumentava lapresenza di umidità anche nelle ore serali econtribuiva al perdurare della situazione didisagio fisico, in particolare nella zona urba-na di Torino.È stato un periodo caratterizzato da unanotevole anomalia positiva di temperatura, inparticolare a giugno e nei primi 15 giorni diagosto; la temperatura massima è statasuperiore a 30°C per ben 66 giorni su 76,superiore a 35°C per 19 giorni, con un piccodi 40.5°C il giorno 11 agosto.Nel mese di giugno la temperatura è statamediamente di 5°C superiore alla mediamensile con un incremento più significativoper le massime. La temperatura massima èstata maggiore di 30°C per 22 giorni su 30 esuperiore a 35°C per 4 giorni (il 13, 14, 20 e21) con un picco di 35.9°C raggiunto nei gior-ni 20 e 21 giugno.Il mese di luglio è stato caratterizzato daun’anomalia climatica calda di circa 2.5°C, in

particolare per le temperature massime. Latemperatura massima è stata superiore a30°C per 26 giorni su 31, a 35°C per 4 giorni(il 13, 17, 20 e 23) con un picco di 36.3°C rag-giunto il 17.La prima quindicina di agosto è stato il perio-do in assoluto più caldo; il confronto con ilvalore climatologico della prima decade diagosto (la più calda del mese) rende ancorapiù evidente l’anomalia climatica. La mediadelle massime è stata di 36.7°C con un incre-mento di ben 7.8°C rispetto alla media clima-tologica, l’incremento delle temperaturemedie di 5.6°C. Le massime sono semprestate sopra i 30°C, sopra i 35°C in manierapraticamente ininterrotta dal 3 al 14 Agosto(ad eccezione dei 34.9°C dell’8 Agosto). Ilvalore di picco è stato raggiunto l’11 Agostocon 40.5°C che rappresentano il record stori-co per il mese. Si sono avute in maniera praticamente inin-terrotta condizioni critiche per quanto riguar-da il benessere climatico delle persone in

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Tipologia

minimagiugno

mediagiugno

massimagiugno

20.4°C

26.0°C

32.0°C

16.4°C

21.1°C

25.8°C

4.0°C

4.9°C

6.2°C

Temperaturaosservata

Temperatura climatologia1951-1999

Differenza

minimaluglio

medialuglio

massimaluglio

20.9°C

26.4°C

32.2°C

19.0°C

23.9°C

28.8°C

1.9°C

2.5°C

3.4°C

minima1-15

agosto

media1-15

agosto

massima1-15

agosto

22.7°C

29.6°C

36.7°C

19.3°C

24.0°C

28.9°C

3.4°C

5.6°C

7.8°C

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relazione alla valutazione congiunta di tem-peratura ed umidità: con 20 giorni di situazio-ne di “pericolo” per il disagio fisico, 54 concondizioni di “estrema cautela” e solo 2 incondizioni di “cautela”.

L’ISTAT ha dichiarato che in tutta Italia nelperiodo giugno-settembre 2003 è stato regi-strato un eccesso di mortalità di 19780 unitàrispetto allo stesso periodo del 2002. Nei solicapoluoghi di regione si sono registrati 3134decessi in più nel periodo dal 1° giugno al 15agosto. Nello stesso periodo nella sola cittàdi Torino si è registrato un eccesso di 577decessi. Il picco massimo di mortalità dellapopolazione anziana (over 65 anni) a Torino siè avuto nel periodo dall’11 al 14 di agostocon 187 morti in eccesso di cui 58 nella solagiornata del 12 agosto.

Figura 2: Andamento della mortalità e della tem-peratura massima giornaliera a Torino nell’estate2003.

Le analisi effettuate sul campione relativo allapopolazione della città di Torino evidenzianoche l’entità numerica dell’eccesso rilevatorappresenta il valore più elevato mai raggiun-to a Torino negli ultimi 20 anni e testimoniache si è stati in presenza di un evento ecce-zionale per durata, intensità dell’effetto econseguenze sulla popolazione.L’aumento della mortalità è stato rilevatoprincipalmente nella popolazione delle fasce

di età anziane (>64 anni) e molto anziane(>74 anni). In Piemonte, queste da sole rap-presentano rispettivamente il 93% e l’88%del totale dei casi in eccesso. Le spiegazionisono da ricercare nella ridotta capacità di ter-moregolazione e nell’alta prevalenza di mala-ti cronici maggiormente vulnerabili.La mortalità è stata inoltre differenziale persesso, colpendo di più in termini assoluti ledonne rispetto agli uomini, fenomeno da cor-relare ad una maggiore numerosità ed alla piùelevata età media della popolazione anzianadi sesso femminile rispetto a quella maschile.

L’aumento nella frequenza delle ondate dicalore avrà impatti molto superiori nelle areeurbane, dove le temperature sono amplifica-te dall’effetto dell’isola di calore. L’Unione Europea stima, nello scenario cheproietta un aumento di temperature di 3°Cnel periodo 2071-2100 (A2) rispetto al perio-do 1961-1990, un eccesso di mortalità di86000 unità all’anno a livello europeo. Conscenari più favorevoli (B2), che determinanoun aumento di temperatura di 2.2°C nelperiodo 2071-2100, l’eccesso si riduce a36000 unità.

Figura 4.4.4.3: Aumento della mortalità annualedovuta alle ondate di calore nel periodo 2071-2100 per ogni 100.000 abitanti rispetto al perio-do 1961-1990 (Green Paper - Adapting to clima-te change in Europe, 2007).

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Il riscaldamento porterà anche a temperaturepiù miti durante le stagioni invernali; tuttaviastudi preliminari indicano che verso finesecolo (2080) l’incremento della mortalitàdovuta a condizioni di caldo estremo potreb-be ampiamente superare la riduzione dellamortalità causata da ondate di freddo, sem-pre meno frequenti ed intense.

I cambiamenti climatici relativi a temperatu-ra e precipitazioni influenzeranno anche ladistribuzione e la diffusione delle malattieinfettive, in particolare quelle che per la lorotrasmissione necessitano di vettori, comeper esempio i mosquito per la malaria. Ladistribuzione geografica degli insetti vettoridi malattie infettive ed i tempi di incubazio-ne dei parassiti al loro interno sono forte-mente influenzate dalle temperature (adesempio il protozoo della malariaPlasmodium falciparum ha un tempo diincubazione di 26 giorni a 20 °C e di soli 13giorni a 25 °C). Già attualmente nell’Africacentrale e orientale, in America Latina e inAsia gli insetti, e di conseguenza le malattieportate dagli stessi, si stanno portando viavia a quote più alte. Per esempio l’Aedes

aegypti, il mosquito portatore del dengue edella febbre gialla si trova fino a 1700 m diquota in Messico e a 2200 m sulle AndeColombiane, mentre fino a 3 decenni fa nonsi trovava al di sopra dei 1000 m. Gli scena-ri meno pessimistici vedono un’espansionedelle condizioni a supporto della trasmissio-ne della malaria in latitudine ed altitudine edin alcune regioni stagioni più lunghe in cui lamalaria può circolare.

Le proiezioni per Etiopia, Zimbabwe e Sud-Africa mostrano un aumento superiore al100% delle persone al mese esposte a mala-ria a fine secolo. A livello globale, l’aumentodelle temperature sottoporrà un gran numeroaddizionale della popolazione a rischio dimalattie quali: malaria, dengue e schistoso-mia. È previsto che un incremento di 2°C sot-toporrà 210 milioni di persone in più al rischiodi contagio di malaria, con un incremento epi-demico potenziale del 30-50 % per il dengue.Considerazioni simili possono essere fatteanche sull’espansione geografica di altremalattie portate da altri vettori, quale la malat-tia di Lyme, portata dalle zecche, tipica degliStati Uniti e diffusa nei pressi delle forestedell’Europa centrale, in Scandinavia, Russia,Cina e Giappone. Le zecche possono trasmet-

Figura 4.4.4.4: Decremento della mortalitàannuale dovuta al freddo nel periodo 2071-2100per ogni 100.000 abitanti rispetto al periodo1961-1990 (Green Paper - Adapting to climatechange in Europe, 2007).

Figura 4.4.4.5: Il riscaldamento globale causauna migrazione verso altitudini maggiori degliinsetti vettori di malattie, come la zanzara (BryanChristie, Scientific American, Agosto 2000).

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tere diverse malattie, tra cui la malattia di Lyme(in Europa chiamata Lyme borreliosis) e l’ence-falite da zecche (Tick-Borne Encephalitis -TBE). In Europa il numero di casi di encefalitida zecche aumentò nelle regioni baltiche tra il1980 ed il 1995 ed è poi rimasto alto. Più di85000 casi di Lyme borreliosis diagnosticatiannualmente in Europa sono dovuti ad un

incremento delle temperature nelle decadipassate. Anche per questa malattia i cambia-menti climatici sembrano favorire la diffusionedei vettori verso zone per ora troppo fredde.La maggior frequenza di eventi estremi, comele alluvioni e i cicloni tropicali, aumenterà ulte-riormente sia il rischio immediato di infortunisia la diffusione di epidemie a causa delladistruzione di case ed infrastrutture con con-seguente aumento della povertà, della malnu-trizione e della diminuzione di igiene.Un altro tra i più invasivi impatti sulla salutedei cambiamenti climatici e della combustio-ne di carburanti fossili sono i disagi respirato-ri. La combinazione dell’esposizione, sia agliinquinanti atmosferici che agli allergeni,potrebbe essere il fattore che sta dietro all’in-cremento di asma osservato nelle nazioni invia di sviluppo. Diversi studi hanno studiato l’impatto poten-ziale dell’aumento della CO2 e del riscalda-mento globale sulle piante. In generale questifattori stimolano le piante ad incrementare lafotosintesi, la biomassa, l’efficienza nell’usodell’acqua e gli sforzi riproduttivi, ed i funghi aprodurre più spore. Queste sono consideraterisposte positive per l’agricoltura, ma per gliindividui allergici questo potrebbe significareun aumento dell’esposizione agli allergeni deipollini e delle spore. Gli scenari previsti comeconseguenza di un aumento graduale delletemperature prospettano nel 2025 un aumen-to di 100 milioni di asmatici nel mondo.

Pollini e climaLe piante presentano un forte legame con levariazioni climatiche: le fasi fenologiche, chescandiscono il loro ciclo vitale, sono condi-zionate per lo più da fotoperiodo e tempera-ture. I parametri climatici rivestono un ruolofondamentale sia nel processo di liberazionedel polline, sia rispetto alla quantità di pollineprodotto e al relativo andamento della polli-nazione.Ogni qualvolta si verificano anomalie climati-che le piante rispondono quindi con variazio-ni nell’inizio e nella durata delle varie fenofa-si.Utilizzando rilevazioni polliniche pluriennali è

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Figura 4.4.4.6: Proiezione della distribuzionedelle condizioni climatiche ideali per la diffusionedei vettori del Lyme (Ixodes scapularis) negli anniattorno al 2020, 2050 e 2080. Le proiezioni indi-cano un aumento del 213% dell’habitat ideale apartire dal 2080. Le proiezioni sono basate sugliscenari climatici ottenuti con il modello canade-se. (Brownstein et al., 2005).

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possibile studiare i principali parametri di pol-linazione: inizio, durata, fine del periodo, datae valore del picco massimo raggiunto.Correlando tali parametri con i corrisponden-ti dati climatici (temperatura, precipitazione),è possibile evidenziare eventuali variazioni incorrispondenza di incrementi termici e deli-mitare temporalmente i periodi in cui talivariazioni vengono rilevate.Diversi studi hanno riscontrato per alcunitaxa un anticipo dell’inizio della pollinazionein presenza di temperature più elevate regi-strate nei mesi precedenti la liberazione delpolline (Frenguelli et al., 2002; Aira et al.,2001; Rajo Rodriguez et al., 2003; Alba&DiazDe la Guardia, 1998; Tedeschini, 2006; Casiniet al., 2006).In Arpa Piemonte, dall’anno 2002, è attivauna rete di monitoraggio aerobiologico chedispone di stazioni di monitoraggio site inaree urbane, dove l’incidenza della pollinosi èin costante aumento (Cuneo, Tortona,Novara), e in luoghi caratteristici per motivigeografici e climatici: Bardonecchia (TO) eOmegna (VCO). Nel territorio regionale lacentralina di Bardonecchia è l’unica posizio-nata in quota (1321 m s.l.m.) e restituisce unquadro tipico degli ambienti montani sia pertipologia di vegetazione che per periodi difioritura. Considerati i dati di cui Arpa Piemonte dis-porrà in futuro, si può prevedere un utilizzodell’andamento palinologico come indicatoredegli effetti dei mutamenti climatici sull’am-biente, volto a fornire indicazioni sulle varia-zioni dei ritmi fenologici delle piante. È stata effettuata un’elaborazione prelimina-re dei dati relativi alle suddette stazioni nel-l’arco temporale intercorrente tra il 2002 e il2007. Come indicatore è stata consideratala pollinazione e, in particolare, l’inizio delPeriodo Principale di Pollinazione (PPP)inteso come “il giorno in cui la somma dellepercentuali annuali dei taxa considerati rag-giunge il 5% del totale e in cui si abbia unaliberazione di polline dell’1%” (Lejoly-Gabriel, 1978).I taxa presi in considerazione sono Corylus,Platanus e Castanea, selezionati in base a

indicazioni tratte da letteratura e relativi a trediversi periodi stagionali. In particolareCorylus presenta una fioritura tardo-inver-nale, Platanus una fioritura primaverile eCastanea una fioritura inizio-estiva. Da una prima lettura dei grafici di Figura 1risulta evidente, per le stazioni di Cuneo,Novara e Omegna per le quali sono disponi-bili i dati in modo più continuativo, un eviden-te anticipo nella pollinazione relativamenteall’anno 2007 sia per Corylus che perPlatanus (Castanea non è stato consideratoin quanto al momento dell’elaborazione deidati per l’anno 2007 era ancora in fase di pol-linazione), da relazionare con le temperature

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Figura 1: Inizio del Periodo Principale diPollinazione per tre diverse stazioni di monitoraggiopollinico di Arpa Piemonte (operatori: A. Bertola, S.Caddeo, M. Calciati, G. Castrogiovanni, M.R.Cesare, E. Gastaldi, F. Gbadiè, A. Giraudo, S.Leone, A. Nicola) - aggiornamento maggio 2007.

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elevate che hanno caratterizzato il periodoautunnale/invernale 2006/2007 (Figura 2). Unaltro evidente anticipo di pollinazione si èverificato nell’anno 2003 in particolare perCastanea, che, fiorendo nel periodo estivo,ha risentito delle alte temperature primaverili,situazione osservabile nelle medesime sta-zioni (Figura 3).

Gli anticipi rilevati negli anni 2003 e 2007sembrano dunque confermare l’ipotesi sug-gerita negli studi sopra citati, secondo cui lapollinazione sarebbe influenzata dalla tempe-ratura media dei mesi antecedenti la libera-zione del polline.

Inoltre esiste una grande varietà di sorgenti diparticolato, che gli scenari futuri vedono conmaggiore frequenza del presente: incendiestesi, tempeste di polvere per il trasporto dazone desertiche o associate ad aree in con-dizioni di siccità, nonché cambiamenti deicampi di vento, contribuiscono all’aumentodelle reazioni respiratorie allergiche.Il riscaldamento globale favorisce anche laproduzione di ozono, sia dal punto di vista

del processo fotochimico, sia per l’aumentodei precursori (NOX e VOC). Il peggioramen-to della qualità dell’aria si associa con l’au-mento delle condizioni meteorologiche distagnazione, con una maggiore umiditàatmosferica e temperature più elevate, inparticolare notturne, aumentando la morbilitàdi origine respiratoria, con un aggravamentodella situazione delle malattie cardiovascola-ri e di quelle interessanti le vie aeree (Griffenet al. 2001).Sebbene la qualità dell’aria sia comunquedestinata a deteriorarsi con il cambiamentoclimatico previsto, è importante sottolineareche, come approfondito nel paragrafo 5.3, lemisure di mitigazione relative all’abbattimen-to dei gas serra comportano benefici sinergi-ci complessivi sulla qualità dell’aria, contri-buendo ad una riduzione dei costi relativiall’adozione di tali misure.

Dall’analisi dei diversi effetti dei cambiamen-ti climatici risultano forti impatti sulla saluteumana, anche se occorre effettuare conside-razioni approfondite sui meccanismi di accli-matazione, sulla distribuzione locale dellavariazione di temperatura e sui fenomeni nonstrettamente legati al cambiamento climati-co, come l’invecchiamento della popolazio-ne, le condizioni socio-economiche, i flussimigratori.

4.4.5 Gli impatti sugli ecosistemi

Alcune specie viventi, piante o animali, chehanno il loro habitat in specifiche regioni geo-grafiche, hanno già cominciato a migrare acausa delle modificazioni climatiche, ed in par-ticolare per l’aumento di temperatura che haalterato le condizioni degli habitat stessi e lecatene alimentari. Ulteriori alterazioni sonoattese, ed in modo parziale già registrate, nel-l’approvvigionamento dei servizi degli ecosiste-mi, come per i prodotti del legno, la fornitura diacqua potabile, la produttività agricola, chesono a loro volta determinanti nella modifica-zione dell’ecosistema completo a causa dellecomplesse relazioni che esistono tra fauna,flora ed il contesto fisico in cui si trovano.

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Figura 2: Variazione delle temperature medie men-sili dell’autunno-inverno 2006/2007 rispetto allemedie mensili del periodo 2002-2007.

Figura 3: Variazione delle temperature medie dimaggio e giugno 2003 rispetto alle medie mensilidel periodo 2002-2007.

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I servizi degli ecosistemiI servizi degli ecosistemi costituiscono queibenefici che la specie umana riceve dal fun-zionamento stesso degli ecosistemi. Si trattadi servizi che:1. provvedono alla fornitura di prodotti utiliz-

zati dalla specie umana quali cibo, acquadolce, combustibili, fibre, sostanze biochi-miche, medicine naturali, risorse ornamen-tali e risorse genetiche;

2. regolano i processi degli ecosistemi for-nendo importanti benefici quali il manteni-mento della qualità dell’aria, la regolazionedel clima, il controllo dell’erosione, la rego-lazione delle malattie umane, la regolazio-ne del ciclo idrico, la purificazione dell’ac-qua ed il trattamento degli scarti, il control-lo biologico e l’impollinazione;

3. sono necessari per la produzione di altriservizi degli ecosistemi, e quindi svolgonoun ruolo di supporto, quali la formazionedel suolo, il ciclo dei nutrienti e la produ-zione primaria;

4. possono essere definiti culturali, cioè cheforniscono dei benefici non materiali qualiquelli religiosi e spirituali, quelli ricreativi edi ecoturismo, quelli estetici, quelli ispirati-vi, quelli educativi, quelli relativi al sensodei luoghi e quelli del patrimonio culturale.(De Groot et al., 2002).

Alcune modificazioni negli ecosistemi dovuteai cambiamenti climatici assumono già oggi

proporzioni significative. Ad esempio leacque del Mare del Nord si sono scaldatenegli ultimi 30 anni, causando la migrazionedelle riserve di pesce più a nord, a latitudini incui le acque sono più fredde, o in acque piùprofonde. Gli impatti negativi sull’industriadel pesce del Mare del Nord, già sotto pres-sione per l’eccessivo sfruttamento dellapesca, sono previsti aumentare con il cam-biamento climatico (Perry, 2005). L’aumentodella concentrazione di CO2 nelle acqueoceaniche porta all’aumento dell’acidificazio-ne degli oceani. Le proiezioni basate suidiversi scenari socio-economici portano aduna riduzione in unità di pH compresa tra0.14 e 0.35 unità nel XXI secolo. Questa aci-dificazione comporta un impoverimento dicalcio dalla barriera corallina, che potrebbescomparire a partire dal 2065, e comunquealterare le condizioni di vita degli ecosistemimarini (Figura 4.4.5.2).

In Spagna, l’habitat delle farfalle è modifica-to, spostandosi a maggiori altitudini o latitu-dini, a causa dell’aumento delle temperature.Si stima che l’habitat ideale per questa tipo-logia di fauna si sia ridotto di circa un terzo etenda a diminuire del 50-80% nei prossimi100 anni, senza interventi di contrasto e miti-gazione al cambiamento (Wilson, 2005).

Effetti dell’andamento climatico del 2003su due popolazioni di lepidotteri diurniIl SIC (Sito di Importanza Comunitaria) MonteMusiné - Laghi di Caselette, per la presenza di

Figura 4.4.5.1: Variazione nella distribuzione dialcune specie ittiche nel Mare del Nord e nel mare di Barents a seguito dell’incremento delle temperaturedell’acqua da 1 a 2°C (ACIA, 2004).

Figura 4.4.5.2: La barriera corallina rischia lascomparsa a causa dei cambiamenti climatici.

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8 specie di lepidotteri diurni minacciati d’estin-zione, è elencato tra le 36 Prime ButterfliesAreas italiane (Balletto et al. 2003). All’internodel SIC, un prato igrofilo dominato da Moliniacoerulea (Allegato I “Direttiva Habitat”) di circa3 ettari ospita due popolazioni simpatriche esincrone di lepidotteri diurni appartenenti algenere Maculinea: Maculinea alcon eMaculinea teleius (Bonelli et al. 2005). Le duespecie sono monovoltine e la loro sopravvi-venza è rigidamente legata al ciclo fenologicodelle piante nutrici (Gentiana pneumonantheper M. alcon e Sanguisorba officinalis per M.teleius) ed alla disponibilità di colonie della for-mica ospite. Entrambe le specie sono infattimirmecofile obbligate: gli stadi pre-immagina-li trascorrono 10 mesi all’interno delle coloniedi formiche appartenenti al genere Myrmica.Nel sito in esame, contrariamente al solito,Myrmica scabrinodis porta a compimento ilciclo biologico sia di M. alcon, sia di M. teleius(Barbero et al. 2002).Dal 1997 il gruppo di ricerca del laboratorio dizoologia dell’Università di Torino è impegna-to nello studio della biologia e nella conser-vazione delle due popolazioni di Maculinea.In particolare si valutano:- L’entità e lo stato delle due popolazioni tra-mite rilievi ogni due giorni durante tutto ilperiodo di sfarfallamento. I dati sono raccoltitramite metodi di cattura-marcatura-ricatturae sono analizzati utilizzando il modelloCormack-Jolly-Seber (Schwarz & Arnason1996) (Nowicki et al. 2005).- Il comportamento di ovideposizione degliadulti. Entrambe le specie sono monofaghe:M. alcon depone esclusivamente su bocciolinon ancora schiusi di Gentiana pneumonan-the e M. teleius su quelli di Sanguisorba offi-cinalis (Bonelli et al. 2005).- La presenza e la densità della formica ospi-te (Barbero et al. 2002).

L’andamento climatico e la gestione del moli-nieto (taglio dell’erba) sono i principali aspet-ti ambientali che interferiscono direttamentesulle fluttuazioni annuali delle popolazionidelle due farfalle e sulla densità di piantenutrici e formiche ospite. Pertanto, durantel’intero periodo di volo, la temperatura dell’a-

ria viene misurata con un termometro a mer-curio, mentre la temperatura al suolo è regi-strata con rilevatori elettronici.È stato così possibile osservare e stimare glieffetti negativi della siccità e delle alte tem-perature registrate nel corso della primavera-estate 2003.Tali effetti sono stati evidenziati a diversi livelli:Asincronia nel rapporto pianta nutrice efarfalla.Nel corso dell’estate 2003 sia S. officinalis,sia G. pneumonanthe hanno ritardato la fiori-tura di circa un mese, mentre la fenologiadelle farfalle è rimasta invariata. Tale sfasa-mento ha portato un allungamento della lon-gevità media delle femmine adulte (non suffi-ciente, però, a garantire la deposizione delleuova: molte femmine sono morte senzadeporre). Da notare che tale asincronia èstata registrata in tutti i siti piemontesi colo-nizzati da M. alcon con eccezione dell’areaumida dello Scoccia, unica popolazione notadi orizzonte montano.L’asincronia tra pianta nutrice e sfarfallamen-to degli adulti ha contribuito al drastico decre-mento demografico delle specie l’anno suc-cessivo (2004), come osservabile dalle stimeriportate nel grafico sottostante (Figura 1).

Comportamento di voloIl volo delle farfalle è legato alla temperaturadell’aria che condiziona il lavoro dei muscolialari. Normalmente il picco di volo degli adul-ti, ad esempio di M. alcon nel sito, si registraintorno alle 13.30 quando la temperatura è dicirca 26°C. Nel 2003 invece il maggior nume-ro di adulti volava intorno alle 11.30 del mat-tino (temperatura: 25.5°C), mentre il restodella giornata era trascorso a riposo all’om-bra degli alberi (Figura 2).

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Figura 1: Stima delle popolazioni di Maculineaalcon (linea tratteggiata) e Maculinea teleius (lineacontinua) nel sito di Caselette (TO).

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Tale sfasamento influisce sugli accoppia-menti e modifica il rapporto con i parassitoi-di con conseguenze non ancora valutabili.

Uso dello spazioIl sito è utilizzato dalle due specie in modo dif-ferente, normalmente infatti M. teleius tende aconcentrarsi nella porzione regolarmente sfal-ciata e priva della pianta nutrice di M. alcon,probabilmente per evitare la competizione.Nell’anno 2003 invece le temperature eccessi-vamente elevate hanno indotto entrambe lespecie a concentrarsi nella porzione semi-incolta dell’area, dove le temperature al suolorimanevano inferiori grazie alla presenza di unpiù cospicuo manto erboso (Figura 3).Tale porzione di molinieto (zona incolta), a causadell’assenza di pratiche opportune di gestione,presenta normalmente bassissime densità diformica ospite e di piante nutrici delle farfalle.Infatti è universalmente riconosciuto che ilmantenimento del molinieto e la sopravviven-za delle specie ad esso legate sono subordi-nati alla gestione con tagli regolari.

Riassumendo, va sottolineato che l’innalza-mento delle temperature medie durante ilperiodo di volo degli adulti ha avuto ripercus-sioni negative in particolare su queste duespecie e sulle loro piante nutrici solamente inItalia. Nel resto d’Europa infatti l’annatacaratterizzata da scarsa piovosità ha invecemesso a disposizione delle stesse specie difarfalla un maggior numero di giorni di sole edi ore per giorno con temperature che con-sentono il volo; inoltre nessuna asincronia trapianta nutrice e sfarfallamento degli adulti èstata registrata. Tali considerazioni vannovalutate alla luce del fatto che l’Italia rappre-senta sia per M. alcon sia per M. teleius illimite meridionale dell’areale, mentre il centroEuropa ne rappresenta il cuore.

Alcuni studi hanno verificato, nelle recentidecadi, un anticipo di 15-20 giorni, rispettoagli anni ’50, nella rottura dello strato ghiaccia-to invernale nei fiumi ed in molti laghi del nord(Korhonen 2005; Magnusson et al., 2000). Ilperiodo in cui si verifica lo scioglimento dellasuperficie ghiacciata è molto importante dalpunto di vista ecologico, perché altera la pro-duzione di biodiversità e di fitoplancton, non-ché la moria invernale dei pesci

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Figura 2: Curve di volo giornaliere degli adulti di M.alcon nel 2002 e nel 2003 (numero di individui isto-gramma arancione e linea blu temperatura).

Figura 3: Uso dello spazio (%) degli adulti diMaculinea teleius a seconda della gestione del moli-nieto nel 2001 e nel 2003.

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(Weyhenmeyer, 2006). Anche i cicli dei nutrien-ti nei sistemi acquatici sono alterati dal riscal-damento, così come il periodo di fioritura dellealghe che risulta anticipato di un mese neglianni ’90 rispetto agli anni ’70 nei grandi laghisvedesi (Weyhenmeyer, 2001). L’alterazione della banchisa artica mette arischio gli ecosistemi presenti ed alcune specieanimali, tra cui i trichechi e gli orsi polari. Unaltro effetto del cambiamento climatico è lavariazione degli eventi a carattere stagionalecome la fioritura e la deposizione delle uova,che avviene dai 2 ai 3 giorni prima ogni decadein molte regioni temperate dell’emisfero Nord. Ilcambiamento climatico atteso nel XXI secolo inEuropa altera i beni e i servizi provenienti dagliecosistemi (Schröter, 2005): una grande partesubisce un impatto negativo dovuto alla siccità,alla riduzione della fertilità del suolo, allo svilup-po di incendi (Figura 4.4.5.3), al peggioramentodella qualità delle acque ed altri fattori che por-tano ad un degradamento dell’ambiente, non-ché ai cambiamenti rilevanti nelle interazioniecologiche fra le specie.

In Europa è attesa una diminuzione delleterre coltivabili, delle aree forestate, della fer-tilità del suolo e dell’assorbimento terrestredel carbonio, e un aumento del numero dibacini soggetto a scarsità di acqua. Questasituazione porta ad un impoverimento dellabiodiversità, anche in aree protette (Figura4.4.5.4).

Impatti significativi sugli ecosistemi sonoprobabili anche con un riscaldamento di 1-2°C, mentre impatti più importanti ed estesi,tra cui la produzione di cibo, sono attesi conun riscaldamento tra i 2 ed i 3°C.Studi recenti indicano per esempio che, conun aumento fino ad 1°C al di sopra dei livellipre-industriali, fino al 10% degli ecosisteminel mondo si sposteranno (Figura 4.4.5.5.).Alcuni ecosistemi forestali mostreranno unaumento iniziale nella produttività, un aumen-to della frequenza degli incendi e dei focolaiepidemici. Con un riscaldamento superiore ai2°C al di sopra dei livelli pre-industriali, piùdel 20% degli ecosistemi dovrebbe migrare

Figura 4.4.5.4: Impoverimento percentuale nellavegetazione nelle regioni biogeografiche nelloscenario socio-economico A2 dal 2080 (UE2007). La classificazione geografica delle zone èquella delle Zone Ambientali dell’Europa deriva-ta dalla Stratificazione Ambientale dell’Europa(Metzger et al 2005 and Jongman et al 2005,http://pan.cultland.org/).

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Figura 4.4.5.3: Alterazioni degli ecosistemi,dovute ad esempio agli incendi, possono avereeffetti significativi sulla capacità di immagazzina-mento del carbonio, le emissioni in atmosfera el’erosione del suolo.

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per adattarsi alle nuove condizioni e questapercentuale è anche superiore in alcuneregioni dove i cambiamenti si manifestanomaggiormente. La perdita globale delleregioni umide costiere, che costituisconol’habitat principale di molte forme di biodiver-sità, è stimata superare il 10%.Per circa il 20-30% delle specie vegetali eanimali fino ad ora valutate, il rischio di estin-zione probabilmente aumenterà, se gliaumenti della temperatura media globalesupereranno i 1.5-2.5°C.

Nel 2003 gli ecosistemi europei sono statiuna fonte netta di CO2

L’estate 2003 è passata alla storia come unadelle più calde e siccitose mai registrate nelcentro-sud Europa. I flussi di CO2 raccolti nel2003 in 14 ecosistemi forestali nel centro-sudEuropa hanno evidenziato un generalizzatoed importante calo, rispetto agli anni prece-denti, sia della produttività primaria lorda(GPP) sia, in misura minore, della respirazio-ne ecosistemica. Conseguentemente, l’accu-mulo netto di CO2 è diminuito quasi dovun-que, anche se in modo meno accentuatonegli ecosistemi mediterranei a causa di unariduzione della respirazione particolarmenteforte. Questi risultati, integrati con i dati diradiazione solare assorbita dalle piante e diproduttività agricola, sono stati inseriti in unmodello di simulazione per stimare le varia-zioni di produttività primaria nel corso del

2003 a livello di intero continente. Da taleanalisi è emerso che, con un calo del 30%della GPP (principalmente causato dalla sic-cità ed in misura secondaria dalle alte tempe-rature), il 2003 è stato l’anno meno produtti-vo dell’ultimo secolo in Europa. Una diminu-zione così forte della produttività primaria haprovocato, a livello annuale, un anomalo rila-scio netto di CO2 verso l’atmosfera, pari aquattro anni di accumulo netto medio.Ad ulteriore conferma dei catastrofici effettiprovocati dall’ondata di caldo e siccità del2003, Schiermeier riporta che, nella stessaestate, gli incendi in Siberia hanno bruciato22 milioni di ettari. È stato stimato che questiincendi, gran parte a carico della forestaboreale, abbiano rilasciato 250 milioni di ton-nellate di carbonio nell’atmosfera, più omeno pari alla quantità di emissioni che iPaesi industrializzati aderenti al Protocollo diKyoto dovrebbero ridurre ogni anno tra il2008 ed il 2012 rispetto ai valori del 1990. In conclusione, le ricerche qui sintetizzatesembrano suggerire che, nel complesso qua-dro di relazioni tra uomo, ecosistemi e cam-biamenti climatici, nel prossimo futuropotrebbe ridimensionarsi il ruolo delle forestenaturali come “alleate” dell’uomo nella lottaai cambiamenti climatici. Non solo l’auspica-to effetto fertilizzante della CO2 potrebberisultare nullo, ma le foreste potrebberodiventare “vittime” degli eventi climaticiestremi e, nel giro di pochi decenni, addirittu-ra “complici” del surriscaldamento del piane-ta. Starà alla ricerca futura delineare conmaggiore chiarezza dove e quando questidiversi ruoli prevarranno.

Figura 4.4.5.5: Spostamento degli ecosistemi nellaregione artica. Situazione corrente a sinistra, proiezio-ne per il decennio 2090-2100 a destra (ACIA 2004).

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4.4.6 Le conseguenze su alcuneattività umane

I costi ed i benefici dei cambiamenti clima-tici per l’industria, gli insediamenti e lasocietà varieranno ampiamente a secondadella posizione e della scala geografica. Nelcomplesso, comunque, gli effetti netti ten-deranno ad essere più negativi quantomaggiori saranno i cambiamenti climatici.Le industrie, gli insediamenti e le societàpiù vulnerabili sono generalmente quellinelle pianure costiere e fluviali, quelli in cuile economie sono strettamente collegatecon le risorse sensibili al clima e quelli inaree soggette ad eventi meteorologiciestremi, specialmente dove è in atto unarapida urbanizzazione. Le comunità povere risultano essere parti-colarmente vulnerabili, in particolare quelleconcentrate in aree ad alto rischio, a causadelle capacità di adattamento più limitate edella maggiore dipendenza dalle risorsesensibili al clima, come le risorse locali diacqua e cibo.Dove gli eventi meteorologici estremi diven-tano più intensi e/o più frequenti, i costi eco-nomici e sociali aumenteranno, in modosostanziale nelle zone colpite direttamente e,indirettamente, anche in altre aree e settori.

4.4.6.1 L’agricoltura

Studi preliminari indicano che la produttivitàagricola da grano è attesa diminuire nel SudEuropa, dove è prevista una diminuzione delperiodo della crescita, ed aumentare nelNord Europa, a causa dell’aumento della lun-ghezza della stagione della crescita ed unariduzione dei periodi in cui il terreno è gelato. Alcune regioni dell’Europa, in particolare lezone centro-settentrionali, potrebbero infattibeneficiare dell’aumento delle temperature:le aree coltivate potrebbero spingersi più aNord ed estendersi la stagione dello sviluppodella vegetazione.Nell’Europa meridionale, l’agricoltura risenti-rebbe pesantemente dello stress idrico dovu-to alla diminuzione della risorsa e all’aumen-

tare dei periodi caldi (Figura 4.4.6.1.1).Durante l’estate 2003 molti Paesi del SudEuropa videro una diminuzione del raccoltodel 30% circa.

L’aumento della frequenza degli eventi estre-mi (siccità, alluvioni, tempeste e grandinate)influenzerebbe negativamente i raccolti edaumenterebbe la diffusione di fitopatologie edi insetti.Proiezioni globali stimano un miglioramentocomplessivo dei raccolti in Europa e negliStati Uniti fino ad un aumento di temperaturadi 2°C, ma un rapido declino per aumentimaggiori.In generale il cambiamento climaticoinfluenza la produzione e la disponibilità delcibo. Uno studio condotto dalla FAO (FAO2005) e da IIASA sull’utilizzo spaziale delsuolo e sui dati climatici proietta una dimi-nuzione globale dell’11% delle pianure ara-bili, con una diminuzione nella produzione dicereali in 65 Paesi in via di sviluppo (perquesti Paesi, la perdita equivale approssi-mativamente al 16% del prodotto internoagricolo del 1995). Gli studi inoltre suggeri-scono che alcune delle pianure arabili persepotrebbero essere bilanciate da “nuove”aree alle alte latitudini, in Russia, NordEuropa e Nord America, rese disponibilidalle temperature più miti. Tuttavia, gli effet-ti distribuiti sembrerebbero, nel complesso,essere negativi.

Figura 4.4.6.1.1: Effetti della siccità sui raccolti.

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Nelle regioni tropicali e subtropicali i dannidovuti allo stress termico sono già impor-tanti con un aumento della temperatura glo-bale di 1.7°C; incrementi maggiori, adesempio di 2.5°C nel 2080, porterebbero adavere 50 milioni di persone in più a soffriredi fame.

4.4.6.2 La produzione di energia

L’utilizzo dell’energia è destinato a cambiarein conseguenza delle modificazioni nella dis-tribuzione delle temperature, con una combi-nazione di aumento e diminuzione delladomanda per il riscaldamento, sia in terminidi domanda complessiva, sia in termini dipicchi di richiesta.La riduzione della domanda invernale per ilriscaldamento può essere compensata dal-l’aumento della domanda per il condiziona-mento estivo. Una scarsa disponibilità idrica per il raffred-damento degli impianti di produzione ter-moelettrici potrà verificarsi nei periodi di sic-cità, aumentando la probabilità di interruzionitemporanee del servizio, così come il potereraffreddante dell’acqua diminuirà e dovràessere consentito il rilascio di acque di scari-co nei corpi idrici provenienti da centrali edimpianti industriali, con temperature più ele-vate, con un conseguente impatto sulla faunae flora acquatica.

Una minore capacità di raffreddamento acausa dell’aumento della temperatura delleacque superficiali è prevista anche per lecentrali nucleari; se da una parte si fannoipotesi per la loro collocazione off-shore, dal-l’altra gli esperti del Servizio MeteorologicoBritannico, in un rapporto commissionatodalla società British Energy, ne raccomanda-no la collocazione più all’interno a causa del-l’aumento del livello del mare e delle violentetempeste.

Con D.L. n°158 del 3 luglio 2003, a causadelle elevate temperature e della concomi-tante necessità di garantire la produzione dienergia, sono stati derogati i limiti imposti dalD.L.vo 152/99 al fine di innalzare la tempera-tura di rilascio delle acque di raffreddamento. Il decreto definisce quanto segue: - Temperatura limite dell’acqua di scarico per

il mare e le zone di foce dei corsi d’acquanon significativi pari a 37°C;

- Temperatura limite dell’acqua di canali arti-ficiali pari a 37°C;

- Differenza di temperatura tra le sezioni amonte ed a valle dell’immissione non supe-riore a 4°C;

- Temperatura limite dell’acqua di scarico neilaghi pari a 30°C.

Sempre la scarsità idrica determina una dimi-nuzione delle portate dei fiumi e quindi unadiminuzione complessiva della capacità diproduzione idroelettrica, anche con un buonsistema di regolazione degli invasi, che vienestimata in riduzione del 25% nel sud e sud-est Europa.

Ottobre 2003, comunicato ANSALe dighe hanno un grado di riempimentoattorno al 50% e difficilmente riusciranno acompletare il ciclo invernale. È il livello piùbasso mai registrato negli ultimi 30 anni. Giàin settembre - rileva il rapporto sui consumielettrici del Gestore di rete - c’è stata unanetta diminuzione nella produzione idroelet-trica: addirittura il 31.3% in meno rispetto alsettembre 2002.

Figura 4.4.6.2.1: La centrale idroelettrica diPessinetto (TO).

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miliardi di euro per anno. Ogni modificaindotta su questo flusso, sia di diminuzionein alcune zone, determinando un impatto ditipo socio-economico per la dismissione diinfrastrutture ed attività, sia di aumento inaltre, creando maggiori pressioni sull’am-biente, sia per la predisposizione di nuovestrutture ricettive, sia per la gestione di unapopolazione caratterizzata da una grandedinamica stagionale e da elevati consumi(energia, acqua…), esercita una grossapressione sull’ambiente e sulle attivitàumane connesse al turismo.La riduzione della barriera corallina, l’innalza-mento del livello del mare nonché il peggio-ramento delle condizioni ambientali per lasalute ed i potenziali conflitti dovuti alladomanda di risorsa idrica, sono tra i fattoriindiretti che più rischiano di influenzare nega-tivamente il turismo, soprattutto nelle areepiù povere del mondo, dove il turismo rap-presenta un’importante componente econo-mica (ad esempio, nei Caraibi, dove si stimaun giro d’affari di 16 miliardi di dollari all’anno

L’aumento degli eventi meteorologici estremipuò causare danni al sistema di approvvigio-namento di gas e soprattutto al sistema didistribuzione dell’energia.Una fusione del permafrost della tundrapotrebbe diminuire la stabilità del suolo edeterminare danni alle grandi condotte digas, che corrono interrate o appoggiate su diesso. Anche i danni determinati dai fulmini potreb-bero aumentare con il riscaldamento globale.

4.4.6.3 Il turismo

I cambiamenti climatici hanno una grandeinfluenza sul turismo, sia estivo, sia inver-nale.Il flusso migratorio estivo di turisti che dalNord Europa si spinge verso le coste delMediterraneo è, nel suo complesso, il mag-giore flusso turistico dell’intero globo, checonta circa 100 milioni di turisti all’anno ecirca 1/6 di tutti i viaggi a scopo turistico,per una spesa complessiva di circa 100

Figura 4.4.6.3.1: Condizioni climatiche per il turismo estivo nel periodo 1961-1990 (a sinistra) e nelperiodo 2071-2090 (a destra), rappresentate mediante l’indice TCI (Tourism Climate Index) (GreenPaper - Adapting to climate change in Europe, 2007).

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dal turismo, la combinazione dell’aumentodel livello del mare, la distruzione della bar-riera corallina, tempeste e mareggiate piùintense e maggiori epidemie porterebbero aduna sostanziale riduzione delle entrate legateal turismo). Si ipotizza uno spostamento verso Nord del turismo estivo nei prossimi 70 anni ed un miglioramento delle condizioni climati-che delle stagioni intermedie, quali l’autunnoe la primavera.L’impatto del cambiamento dei flussi turisticivarierà molto a seconda delle capacità diadattamento del “turista”, degli aspettisocio-economici legati all’industria del turi-smo nonché alla sua capacità di delineareuna strategia di lungo periodo, inusuale perquesto settore in cui le decisioni sono presesu tempi brevi. Gli impatti saranno maggiorise la strategia di adattamento sarà limitata aquella della modifica della destinazione. Anche il turismo invernale sarà influenzatodal cambiamento climatico: le Alpi e le altrelocalità sciistiche europee vedranno una

diminuzione della quantità di neve ed unariduzione della durata della stagione sciistica(Figura 4.4.6.3.2).Questi impatti saranno pronunciati soprat-tutto nelle stazioni sciistiche a bassa quotae nelle località dove altre iniziative commer-ciali o alternative sono marginali. L’“indu-stria dello sci” è molto sensibile alle condi-zioni della neve: con un aumento di tempe-ratura di 2°C solo il 61% dell’area attual-mente sciabile rimane tale naturalmente.Alcuni studi focalizzati sulle Alpi centrali(Beniston et al., 2003) mostrano che unaumento della temperatura minima inverna-le superiore ai 4°C alla fine del XXI secolodetermina una riduzione nella durata dellaneve al suolo di un centinaio di giorni in sta-zioni importanti svizzere come quelle diSantis e Arosa.Il potenziale aumento della precipitazioneinvernale sul versante settentrionale delleAlpi compensa solo parzialmente la fusionedel manto nevoso dovuta al riscaldamento. In generale, la modificazione della durata

Figura 4.4.6.3.2: Sestriere e il Monte Fraiteve nel 1943 (a sinistra) e nel 2006 (a destra).

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della neve al suolo nello spazio temperatura-precipitazione nel 2070 è ben al di fuori del-l’intervallo di variabilità naturale attuale.

L’inverno senza neve 2006-2007La stagione invernale 2006-07 è stata unastagione anomala per le regioni del suddelle Alpi, caratterizzata per almeno 6 mesi,da ottobre a marzo, da temperature miti etempo asciutto, dominato prevalentementedall’influsso anticiclonico sul bacino delMediterraneo, che ha mantenuto le pertur-bazioni atlantiche ad alte latitudini. Nelmese di gennaio si sono verificati diversiepisodi di foehn intenso, tra cui quello del19 gennaio, i cui effetti più consistenti sonostati forti venti nord-occidentali sui rilievialpini, con valori di raffica tra i 140 e i 150Km/h ed un anomalo aumento delle tempe-rature, che hanno raggiunto valori estrema-mente elevati per la stagione (tra i 25 e i30°C nel cuneese e nel torinese – per la cittàdi Torino si è raggiunto il valore di 25.1°Calle 12.30 superando di diversi gradi il mas-simo storico del periodo).

Figura 1: Altezza di geopotenziale a 500hPamedia del mese di ottobre 2006 (in alto) e climato-logia del periodo 1957-2002 (in basso, dati reana-lisi “ERA40” di ECMWF).

Sui rilievi alpini del Piemonte si sono regi-strate nevicate notevolmente ridotte pernumero e intensità rispetto alla media sta-gionale.Confrontando gli apporti nevosi da novembrea maggio con i valori medi del periodo 1966-2006, si osserva un forte deficit di neve fre-sca rispetto ai valori medi, come evidenziatonella tabella e nella Figura 2. La riduzione di apporti è stata più marcatasui settori meridionali e nord-occidentali:sulle A. Marittime (stazione di EntracqueChiotas) la neve fresca caduta è stata il49% in meno rispetto alla media degli ulti-

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Figura 4.4.6.3.3: Neve naturale nelle aree sciisti-che negli scenari di clima futuri (B. Abegg,Università di Zurigo).

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mi 40 anni, determinando un minimo stori-co; sulle A. Pennine (Antrona A. Cavalli) eGraie (Ceresole L. Serrù) è stata rispettiva-mente il 49% e il 44% in meno, sulleLepontine (Formazza L. Vannino) il 37%.Sulle A. Cozie (Bardonecchia Rochemolles)il deficit è risultato leggermente inferiore,pari al 29%.I giorni nevosi risultano altresì notevolmenteridotti, del 30-40% su tutti settori alpini, adeccezione delle A. Pennine dove il deficit per-centuale del 59% della stazione A. Cavalli èdovuto alla minore quota della stazione(1500 m). Per quanto concerne la distribuzione mensiledelle precipitazioni nevose i deficit maggiorisi sono riscontrati nei mesi di novembre, gen-naio, febbraio ed aprile. Soltanto i mesi didicembre, limitatamente ai settori delle Alpi

Pennine e Lepontine, ed in generale di marzohanno fatto registrare precipitazioni presso-ché nella norma. A maggio, ad eccezione dell’evento di iniziomese, non si sono verificate nevicate dirilievo.A fine dicembre l’innevamento risultavaessere scarso in tutti i settori centro-meri-dionali, leggermente più continuo e consi-stente su quelli settentrionali con media-mente a 2000 m di quota 40-60 cm di neveal suolo.I mesi di gennaio e febbraio non hanno fattorilevare apporti nevosi significativi e le eleva-te temperature verificatesi anche in monta-gna (la quota dello zero termico ha raggiuntoi 3000 m il giorno 10 gennaio) hanno reso, afine gennaio, il manto nevoso in condizioniprimaverili.

Tabella e Figura 2: Totale delle precipitazioni nevose (cm) e numero dei giorni con precipitazione nevo-sa nel 2006-07, a confronto con la media storica per 5 stazioni campione rappresentative dell’arco alpi-no piemontese.

media 1966/2006novembre/maggio

2006/2007novembre/maggio

Variazione %

Nevefresca

Giorninevosi

Neve fresca

Neve fresca

Giorninevosi

Giorninevosi

Lepontine

Settorealpino

Stazione(quota)

Pennine

Graie

Cozie

Marittime

691

419

601

391

619

56

32

41

41

40

433

214

335

278

313

33

13

23

26

28

-37

-49

-44

-29

-49

-41

-59

-44

-37

-30

Formazza/L. Vannino (2180m)

Antrona/A. Cavalli (1500m)

Ceresole/L. Serrù (2296m)

Bardonecchia/Rochemolles (1975m)

Entracque/Chiotas (2010m)

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Figura 4: Differenza relativa (%) della precipitazionedi Gennaio 2007 (rispetto alla precipitazione clima-tologica del mese, calcolata sul periodo 1913-2002).

Alla fine di febbraio il manto nevoso a 2000 mdi altitudine aveva uno spessore medio di 50-80 cm sui settori settentrionali, 20-30 cm suisettori centrali, 10-20 cm su quelli meridiona-li. Valori lievemente superiori si registravano a2500 m di quota.Finalmente nel mese di marzo diverse pertur-bazioni hanno interessato la nostra regione,riportando i valori di neve caduta prossimialla media del periodo. Tra gli eventi di preci-pitazione nevosa più significativi sono dasegnalare quelli di inizio mese, legati a condi-zioni di foehn, che hanno interessato le A.Lepontine (110-130 cm), le A. Pennine (50-60

cm) e nuovamente soltanto le zone di confi-ne delle A. Graie e Cozie (30-50 cm) e delleMarittime (10-20 cm) e l’ultimo del 24-27marzo con il quale si può ritenere finita la faseanomala del tempo che ha caratterizzatoquasi tutto l’inverno. Le nevicate, oltre i 900-1000 m, hanno interessato tutto il Piemonte,con maggiore intensità nei settori centrali dalCanavese alla Val Germanasca, dove il gradodi pericolo valanghe riportato sui bollettiniprevisionali è salito a 4 (Forte).Complessivamente a 2000 m di quota sonocaduti 80-90 cm sulle A. Graie, 90-100 cmsulle Cozie, 70-80 cm sulle Marittime e Liguri,50-60 cm sulle Pennine e solo 5-20 cm sulleLepontine. A seguito dell’evento, nelle areemaggiormente interessate, si è registrata unadiffusa attività valanghiva spontanea.Nel mese di aprile, nonostante la presenzanella prima decade di tempo variabile coneventi temporaleschi alternati a schiarite etemperature più adeguate al periodo, i totalidi neve fresca caduta sono stati molto scarsirispetto alla media, quasi assenti sulle A.Lepontine. Dalla metà del mese si sonoinstaurate nuovamente condizioni di stabilità,con giornate calde e soleggiate, che hannodeterminato una progressiva fusione e ridu-zione del manto nevoso in tutti i settori alpini.Alla fine del mese il manto nevoso era assen-te alle quote inferiori ai 2000 m e l’inneva-

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Figura 3: Totale mensile delle precipitazioni nevose HN (cm) e numero dei giorni con precipitazione nevosa Gn nel2006-07, a confronto con la media storica per 5 stazioni campione rappresentative dell’arco alpino piemontese. Laprima riga di ogni settore riporta i valori del 2006-07, la seconda riga i valori storici riferiti al periodo 1966-2006 ela terza riga i deficit % rispetto alla media storica.

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mento si presentava ancora buono soltantosui settori settentrionali alle quote più eleva-te, oltre i 2500 m.L’ultimo evento perturbato di rilievo, con pre-cipitazioni diffuse, nevose al di sopra dei1700-1800 m, si è verificato dal 30 aprile al 4maggio. Le nevicate, di notevole intensitànella giornata del 2 maggio, in particolare suisettori delle A. Graie e Pennine, hannoapportato 15-20 cm sulle A. Lepontine, 40-60 cm sulle Pennine e Graie, 20-30 cm sulleCozie, Liguri e Marittime. Dopo la nevicata imonti del Piemonte si presentavano in unaspetto quasi invernale; tuttavia dal 7 maggioin poi il ripristinarsi di condizioni di tempostabile e soleggiato, con il graduale aumentodello zero termico, determinava un rapidoprocesso di fusione del manto nevoso che

risultava già al giorno 10 pressoché assentefino ai 2300-2400 m e significativo solo più inalta quota sopra i 2500-2700 metri.

La situazione meteorologica dell’inverno2006/2007, dal punto di vista degli apportinevosi, ha contribuito a determinare condi-zioni di siccità prolungate ed estese sul terri-torio regionale piemontese, con scarsità diriserve in termini di quantità di neve equiva-lente disponibile; alla necessità di ricorrereall’innevamento programmato per sostenereil turismo invernale, anche con condizioni ditemperatura non ottimali e quindi con dis-pendio di acqua ed energia; al prolungamen-to del periodo di fusione autunnale dei ghiac-ciai alpini e di scarsità di apporti di massadisponibili per l’accumulo.

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5. La mitigazionee l’adattamento

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5.1 Le tappe della reazione alCambiamento Climatico

La consapevolezza dell’importanza centralenella nostra società di prevedere e prevenirei potenziali cambiamenti climatici causati daattività umane affonda le proprie radici nellametà del secolo scorso. Nei primi anni ses-santa lo scienziato statunitense JamesLovelock, che all’epoca lavorava per la NASAal Caltech, rende pubblica l’ipotesi di Gaia inun convegno tenutosi a Princeton nel 1968 epubblica dopo un ulteriore decennio la suaopera fondamentale sul “nuovo modo di con-siderare la vita sulla Terra": in questo testoviene data una definizione di Gaia (vedi para-grafo 1.1).La teoria di Gaia, seppur scientificamentenon rigorosa, ha avuto il merito di contribuirein modo sostanziale ad attirare l’attenzionedell’opinione pubblica sull’unità fondamenta-le del Pianeta, sulla sua fragilità e sulla stret-ta interazione tra Terra e Vita. In questo “clima” di nuovo interesse verso letematiche ambientali, si svolge a Parigi nel1968 la Conferenza Intergovernativa,organizzata dall’UNESCO, per l’uso raziona-le e la conservazione delle risorse dellaBiosfera. Nell’occasione inizia ad affermarsila nozione di sviluppo sostenibile, intesocome possibilità di sviluppo socio-economi-co compatibile con l’equità sociale ed inequilibrio con l’ambiente. Viene adottatal’efficace immagine di “Navicella SpazialeTerra”, che sottolinea come tutti gli esseriumani siano componenti di uno stesso equi-paggio in cui ogni singolo individuo ha laresponsabilità affinché il viaggio proceda nelmigliore dei modi possibili. Questi due con-cetti, che legano a doppio filo la societàumana e l’ambiente, vengono ulteriormentesviluppati nella “Prima ConferenzaMondiale sull’ambiente” Stoccolma 1972,conclusasi con due importanti atti: da unlato viene sancito il principio per cui il “beneambientale” è un patrimonio collettivo e lasua tutela rientra nei compiti prioritari daisingoli Stati (Dichiarazione di Stoccolma);

inoltre viene istituito da parte dell’ONU unospecifico ente per la tutela ambientale,l’UNEP. Da notare che nel corso dellaConferenza vengono condannate per ragio-ni anche ecologiche, pericolose derive dellasocietà umana quali apartheid e coloniali-smo. Nel 1982 le Nazioni Unite pongono lapietra miliare nel processo di sviluppo diun’etica ambientale globale: la “CartaMondiale per la Natura” è la prima risolu-zione intergovernativa ad affermare il princi-pio del rispetto della Natura e della tutelaambientale e a delineare le strategie e lepolitiche per realizzare un benessereambientale. Tuttavia nella Carta, non èancora ben definito il concetto di “svilupposostenibile” che viene sancito nel 1987 nelrapporto “Il nostro avvenire per tutti”(Rapporto Brundtland), che prende nomedall’allora primo ministro norvegese e presi-dente della Commissione Mondiale perl’Ambiente (CMED) Gro Harlem Brundtland.Nel rapporto vengono adottati una serie diprincipi giuridici volti alla protezione del-l’ambiente e appunto, ad uno svilupposostenibile, primo fra tutti “il diritto fonda-mentale dell’uomo ad un ambiente suffi-ciente per assicurare la salute e il suobenessere”. La nuova definizione di svilup-po sostenibile diventa “lo sviluppo che è ingrado di soddisfare i bisogni della genera-zione presente, senza compromettere lapossibilità che le generazioni future riescanoa soddisfare i propri”. La necessità di indivi-duare un percorso comune per realizzare iprincipi e le politiche ambientali contenutenella Carta della Terra e nel RapportoBrundtland, inducono la comunità mondialea riunirsi nel 1992 a Rio de Janeiro, in quel-lo che passa alla storia come il “Verticedella Terra”. Vi partecipano rappresentantidei governi di 178 Paesi, più di 100 capi diStato ed oltre 800 Organizzazioni NonGovernative. In quell’occasione vennero sottoscritte 3dichiarazioni di principi:

• l’Agenda 21, documento di intenti edobiettivi programmatici su ambiente, eco-nomia e società, condiviso da tutti gli

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attori presenti sul territorio (stakeholder),per definire un piano di azione locale cheguardi al 21° secolo e si fondi sullo svilup-po sostenibile;

• la Dichiarazione dei principi per la gestio-ne sostenibile delle foreste, in cui vieneratificato il diritto degli Stati di utilizzare leforeste secondo le proprie necessità,senza compromettere i principi di conser-vazione e sviluppo delle stesse;

• la Dichiarazione di Rio su Ambiente eSviluppo, che definisce in 27 principi idiritti e le responsabilità delle nazioni neiconfronti dello sviluppo sostenibile.

Inoltre si sono ratificate 2 importanti con-venzioni:

• la Convenzione quadro delle NazioniUnite sui cambiamenti climatici(UNFCCC), cui seguirà la Convenzionesulla Desertificazione, che definisce obbli-ghi di carattere generale mirati a contene-re e stabilizzare la produzione di gas checontribuiscono all’effetto serra;

• la Convenzione quadro sulla biodiversità,con l’obiettivo di tutelare le specie nel lorohabitat naturale e riabilitare quelle in via diestinzione.

La Convenzione quadro sui cambiamenticlimatici non ha tuttavia valore giuridico vin-colante per i firmatari. Questo ostacoloviene superato nel 1997 quando a Kyoto sisvolge la III Conferenza delle Parti firmatariedella “Carta della Terra” nella quale vieneadottato il Protocollo di Kyoto che definiscestrategie, strumenti e copertura finanziariaper il raggiungimento dell’obiettivo di ridu-zione dei gas serra di origine antropica. IlProtocollo è entrato in vigore il 16 febbraiodel 2005 e resterà in vigore fino al 2012.Tuttavia si sono già poste le basi per ildopo-Kyoto: l’XI Conferenza delle Parti,svoltasi a Montreal nel 2005, ha definito lestrategie ambientali per il prossimo periododi adempimento (post-2012). Inoltre hadeciso riguardo all’adozione del programmadi lavoro quinquennale sull’adattamento(Five-Year Programme of Work onAdaptation) contenente gli obiettivi, i risulta-

ti attesi e le metodologie in tema di assi-stenza ai paesi in via di sviluppo per ilmiglioramento delle conoscenze, tecniche epratiche relative alle politiche e misure diadattamento al cambiamento climatico. Nel2006 infine, si è svolta a Nairobi in Kenya, laXII Conferenza delle Parti, sulla quale sisono concentrate grandi aspettative daparte della comunità internazionale.L’obiettivo principale era quello di convince-re USA ed Australia a ratificare il trattato diKyoto e coinvolgere attivamente, all’internodell’UNFCCC, Cina ed India, i due colossimondiali che con il loro rapido ed importan-te sviluppo economico degli ultimi annistanno ponendo seri problemi di impatti sulclima. Tali aspettative sono state mantenutesolo in parte: pur riconoscendo la necessitàdi ridurre ancora più drasticamente le emis-sioni dopo il 2012 e finanziando l’UNFCCCcon 7 milioni di dollari nel 2007, gli USAhanno sottolineato ancora come la stradadei vincoli imposti dal Protocollo non siapercorribile ma le riduzioni debbano essereeffettuate solo su base volontaristica.Tuttavia si è proceduto a riconoscere lanecessità di promuovere piani di azioneconcreti per l’adattamento ai cambiamenticlimatici anche nei paesi in via di sviluppo enelle piccole isole, attraverso l’istituzione diun fondo speciale a cui attingere soprattut-to per le urgenze correnti come produzionedi energia elettrica e conservazione delpatrimonio acquifero. Il prossimo appunta-mento, con in agenda la revisione delProtocollo di Kyoto, è previsto per il 2008.

5.2 Mitigazione delCambiamento Climatico

Il punto di partenza di tutte le azioni intergo-vernative atte a proteggere il sistema climati-co e a prevenire i rischi per i danni all’am-biente originati dall’attività di natura antropo-genica è la Convenzione quadro delleNazioni Unite sui cambiamenti climatici(UNFCCC), ratificata nel 1992 durante il“Vertice sulla Terra” di Rio de Janeiro.

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La Convenzione si basa sul principio di pre-cauzione e si pone l’obiettivo di stabilizzare leemissioni di gas serra “…ad un livello chepossa prevenire le pericolose interferenzeantropogeniche sul sistema climatico.” Nellasostanza si richiedeva a tutti i paesi indu-strializzati di riportare le emissioni al livellodel 1990 entro il 2000.I paesi firmatari della Convenzione ricono-scono inoltre “responsabilità comuni ma dif-ferenziate”, con maggiori responsabilità daparte dei paesi più sviluppati economica-mente.Le nazioni coinvolte, sono suddivise in tremacro-categorie:

• ANNEX I, comprendenti i paesi industria-lizzati ed economie in transizione (sostan-zialmente i paesi ad ex-economia colletti-vizzata);

• ANNEX II, in cui si contano i soli paesiindustrializzati;

• NON ANNEX, ossia paesi in via di sviluppo. Per ciascuna delle tre categorie sono previstiimpegni differenziati in relazione alle respon-sabilità comuni in materia di mitigazione deicambiamenti climatici. Nel dettaglio:

• I paesi ANNEX I si assumono l’impegno disviluppare in modo sostenibile se stessi edi paesi con economie in transizione; inol-tre, di adottare politiche e misure per limi-tare le proprie emissioni di gas antropoge-nici GHG, proteggere le fonti di assorbi-mento dei GHG e dimostrare di fare daguida alle modifiche sul lungo periodo.

• I paesi ANNEX II si assumono l’impegnodi trovare nuovi mezzi finanziari per farsicarico degli interi oneri incontrati dai paesiin via di sviluppo nell’adempiere ai loroobblighi previsti nella convenzione; di pro-muovere, nel modo più appropriato, il tra-sferimento, o facilitare e finanziare l’ac-cesso a tecnologie e “know-how” cherispettino l’ambiente, verso gli altri Paesi,specialmente a quelli in via di sviluppo,per permettere loro di adempiere alle dis-posizioni della convenzione.

• Infine i paesi NON ANNEX non hanno nes-sun impegno per ridurre le emissioni diGHG, ma soltanto si assumono l’impegno

di “sviluppare, aggiornarsi periodicamen-te, pubblicare e mettere a disposizionedegli altri Paesi i loro inventari nazionali diemissioni di GHG e le fonti di assorbi-mento degli stessi”.

Per raggiungere gli scopi che il trattato sipropone, vengono perseguite due distintestrategie: la strategia della mitigazione e lastrategia dell’adattamento ai cambiamenticlimatici.La strategia della mitigazione dei cambiamen-ti climatici affronta il problema delle causeantropiche che provocano i cambiamenti cli-matici, e si propone di rimuoverne la causaprincipale, ossia le emissioni provenienti daattività umane di gas ad effetto serra e conte-stualmente accrescere gli assorbitori di taligas per sottrarli all’atmosfera immagazzinan-doli o meglio, immobilizzandoli, in modo cheil loro eccessivo accumulo non pregiudichi ilnaturale equilibrio complessivo del bilancioenergetico del sistema climatico. Il cuore del problema è quindi quello di fare inmodo che a livello planetario emissioni edassorbimento di gas serra siano in equilibrio,in modo da non alterare le naturali fluttuazio-ni del sistema climatico. La strategia dell’adattamento persegueparallelamente il fine di elaborare programmied azioni atte da un lato a minimizzare i dannicausati da eventuali cambiamenti climaticisia a livello territoriale che socio-economico,dall’altro a sfruttare economicamente nuoveopportunità che potrebbero sorgere in rela-zione ad un cambiamento del clima ed aglieffetti ad esso connessi. La sfida della mitigazione dei cambiamenti cli-matici passa quindi attraverso la riduzionedelle emissioni atmosferiche dei gas GHG (inparticolare dell’anidride carbonica prodottanei processi di combustione) ma anche trami-te una maggiore propensione globale all’as-sorbimento degli stessi sia utilizzando metodinaturali come ad esempio incrementando l’e-stensione della copertura vegetale (“carbon-sink”), sia avvalendosi di mezzi artificiali chepermettano di eliminare e/o immagazzinareopportunamente la CO2 nel sottosuolo o neifondali oceanici (detti “carbon sequestration”).

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In relazione alle responsabilità storiche deivari Paesi come “inquinatori globali”, la stra-tegia di mitigazione è stata pianificata in duefasi consecutive: alla prima fase, i cui conte-nuti sono descritti nel Protocollo di Kyoto eche si concluderà nel 2012, partecipano atti-vamente solo i Paesi industrializzati chehanno contribuito all’accumulo atmosferico digas serra dalla rivoluzione industriale ad oggi;nella seconda fase, che partirà dopo il 2012,verranno coinvolte tutte le nazioni del mondo.

In conclusione, è ormai scientificamente rico-nosciuto che sussistono ben poche possibi-lità di sottrarsi completamente ai futuri muta-menti climatici. Tuttavia per evitare che essidiventino catastrofici è necessario fin da oraagire su tre fronti:determinare con la maggiore accuratezza

possibile i trend climatici sul nostro territorio,nazionale e regionale, e valutarne le possibiliconseguenze sulla vita della popolazione;ridurre le emissioni di gas serra per limitare

l’entità dei cambiamenti climatici;adeguare il nostro modello di vita per limita-

re gli effetti negativi dei cambiamenti climati-ci stessi.Gli interventi di contenimento delle emissionisaranno tanto più efficaci quanto più sarannodrastici e rapidi. Anche in caso di intervento

sulle emissioni di gas serra in atto l’effetto delcontributo del passato continuerà a manife-starsi per secoli anche se in misura attenua-ta rispetto a quanto previsto senza alcunintervento di riduzione.Le decisioni debbono senz’altro essereprese sulla base della miglior modellisticadisponibile: la politica che non decide se nondi fronte a dati assolutamente certi, nondeciderà mai.Non decidere (attendere sempre il modellomigliore, che verrà) equivale a decidere dinon fare niente.

5.3 Il Protocollo di Kyoto

Il Protocollo di Kyoto è l’atto formale di attua-zione degli impegni assunti dai Paesi firmata-ri della Convenzione quadro delle NazioniUnite sui cambiamenti climatici. Inizialmentevenne ratificato nel dicembre 1997 da 55paesi, responsabili del 55% delle emissionitotali di CO2. Il Protocollo stabilisce in termini giuridica-mente vincolanti gli obiettivi di riduzione delleemissioni di gas serra sia a livello globale(5,2% in meno rispetto al 1990) sia a livellodelle singole nazioni.Definisce inoltre un calendario di scadenzeprecise da rispettare per raggiungere gli scopiprefissi, dividendo in due periodi di attuazionel’impegno internazionale: il primo va dal 2008al 2012, il secondo dal 2012 al 2017. Infine, fornisce una serie di strumenti detti“meccanismi flessibili” che facilitino e renda-no economicamente vantaggioso perseguireil fine della riduzione delle emissioni. Il Protocollo è attualmente adottato da 159paesi e, dopo la ratifica della Russia, è entra-to in vigore il 16 febbraio 2005. I nuovi obiet-tivi senza Usa, Australia, Liechtenstein eMonaco (circa il 36% delle emissioni globali)sono stati ridefiniti per raggiungere una ridu-zione globale di emissioni di gas serra del3,4% (rispetto al 5,2%). L’Unione Europea siè impegnata a ridurre le proprie emissionidell’8%, l’Italia del 6,5%.

Paesi Annex I non EIT

Paesi Annex I TOTALE

Paesi Annex I EIT

Vari

azio

ni G

HG

ris

pet

to a

l 199

0 (%

)

125

Figura 5.2.1: La variazione rispetto al 1990 delleemissioni di GHG per i paesi ANNEX I nel periodo1990-2004, con la separazione tra economie intransizione (EIT, ossia i paesi dell’ex “Patto diVarsavia”) e paesi “industrializzati. L’effetto dellacaduta del Muro di Berlino e la conseguenterecessione economica nei paesi EIT è ben visibileanche in termini di emissioni inquinanti.

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Quando si parla di gas serra, solitamente ilsenso comune si riferisce all’anidride carbo-nica: in realtà esiste una vasta gamma di gas(GHG) che immessi in atmosfera hanno ilpotenziale di trattenere l’irradiamento riflessodalla superficie terrestre e favorire il riscalda-mento della superficie. Per ciascuno di que-sti gas è stato definito un Global Warming Potential (GWP), ossia un indice del poten-

ziale di riscaldamento globale rispetto allaCO2, ed il Protocollo li inserisce in un paniereche fa da riferimento per la riduzione delleemissioni. La Tabella 5.3.1 riporta per ognigas serra compreso nel paniere il rispettivoGWP e le principali fonti emissive di origineantropogenica.Al fine di conseguire gli obiettivi di riduzioneminimizzando l’impatto sulla crescita socio-

Tabella 5.3.1: La variazione delle emissioni di GHG per i paesi ANNEX I nel periodo 1990-2004.

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economica dei paesi ANNEX I e ANNEX II, ilProtocollo di Kyoto stabilisce una serie dimeccanismi basati sul presupposto che illuogo in cui realizzare gli obiettivi è indiffe-rente data la portata globale del problema edi effettuare gli interventi nel Paese in cui icosti sono minori.I meccanismi, detti flessibili, messi a disposi-zione dal Trattato a tutti i soggetti interessatiad investire a vario titolo nell’ambiente (stac-kholders) sono: 1. EMISSIONS TRADING (mercato delle

emissioni);2. JOINT IMPLEMENTATION (sviluppo siner-

gico);3. CLEAN DEVELOPMENT MECHANISM

(meccanismo di sviluppo pulito).Occorre tuttavia sottolineare come la necessi-tà di riconversione strutturale degli attuali siste-mi energetici e produttivi, dettata dalle esigen-ze ambientali, si scontra con la ricerca dellacrescita economica dei vari Paesi. Il delicatoequilibrio ambiente-sviluppo rende pertantoproblematico l’utilizzo di tali meccanismi. Ma come si applicano in modo pratico talistrumenti di sviluppo sostenibile?

L’EMISSION TRADING, concede alle varienazioni di trasferire ad altri paesi parte delle“emissioni di GHG permesse”, in modo datrasformare le problematiche ambientali inuna opportunità economica. Per quanto riguarda l’Unione Europea, ladirettiva 2003/87/CE definisce un bene-oggetto di scambio, il diritto di emettere unacerta quantità di CO2eq, ed istituisce un mer-cato fittizio per il loro scambio (cap andtrade). In pratica fissato un tetto (cap) alleemissioni totali di tutti i partecipanti, le quotevengono suddivise fra i settori interessati edassegnate agli impianti industriali che ricado-no nel campo di applicazione dalla Direttiva,attraverso un Piano Nazionale di Allocazione(PNA). A questo punto parte la negoziazione(trade) delle quote ed ogni anno i partecipan-ti devono restituire un numero di quote parialle loro emissioni annuali verificate. Il deficitdi quote viene sanzionato di 40 Euro/quotanel periodo 2005-2007 (100 Euro/quota neiperiodi successivi), mentre il surplus puòessere venduto o accantonato per gli annisuccessivi. Da notare che ciascuno stato puòalienare al massimo il 10% delle quote pos-

Figura 5.3.1: La variazione delle emissioni di GHG per i paesi ANNEX I nel periodo 1990-2004 senzaconsiderare l’uso del territorio.

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sedute, e che la Direttiva copre inizialmenteda 12.500 a 15.000 installazioni che ammon-tano circa al 45-50% del totale di emissioni diCO2 dell’Unione Europea.

La JOINT IMPLEMENTATION (JI), permette aiPaesi di reclamare crediti per le riduzioni diemissioni derivanti da investimenti effettuatiin altri paesi industrializzati. Un paeseANNEX I realizza/finanzia un progetto in unaltro paese ANNEX I che funge daospite/beneficiario: il primo paese in questomodo acquisisce ERU (Emission ReductionUnit) ceduti dal secondo paese. In questo modo, una organizzazione può rag-giungere gli obiettivi nazionali di riduzionedelle emissioni di GHG a costi economica-mente convenienti sviluppando un progettoJI in un altro stato soggetto al protocollo diKyoto. Al tempo stesso questa iniziativa con-sente ai Paesi industrializzati di condivideretecnologie pulite con altri Paesi. La tipologiadel meccanismo è definita “operazione a“somma zero” poiché i crediti di emissione(ERUs) complessivamente posseduti dalledue parti non cambiano. I vantaggi principalisono una minore necessità di controlli rigidi euna graduale riconversione “pulita” del siste-ma energetico/produttivo.

Il CLEAN DEVELOPMENT MECHANISM per-mette progetti che favoriscono la creazionedi uno sviluppo sostenibile nei paesi NONANNEX I. In pratica un paese ANNEX I realiz-za/finanzia una attività volta alla riduzionedelle emissioni di gas serra in un paese NONANNEX: in questo modo vengono generatidei CER (certified emission reductions). Latipologia del meccanismo è tale da determi-nare una riduzione delle emissioni che deveessere addizionale alla situazione che siavrebbe in assenza di tale progetto: sonoesclusi i progetti nucleari.I vantaggi sono principalmente due:

• permette ai paesi in via di sviluppo di dis-porre di tecnologie più pulite ed orientarsisulla via dello sviluppo sostenibile;

• permette l’abbattimento delle emissioni lìdove è economicamente più conveniente

e quindi la riduzione del costo complessi-vo d’adempimento degli obblighi derivan-ti dal Protocollo di Kyoto.

Nonostante i principi stabiliti nella UNFCCCe le misure previste dal Protocollo, le emis-sioni dei Paesi industrializzati, ed in genera-le quelle mondiali, sono andate aumentandoprogressivamente negli ultimi anni. Infatti,secondo le stime dell’UNFCCC, i Paesi indu-strializzati, rispetto al 1990, stanno aumen-tando mediamente le loro emissioni (conpunte di circa il 20% in alcuni casi), tantoche con gli attuali andamenti fra il 2000 ed il2010 (anno di riferimento per l’attuazione delprotocollo di Kyoto) le loro emissioni cresce-ranno di circa il 17%. I Paesi ad economia intransizione (est europeo), che partecipanoassieme ai paesi industrializzati all’attuazio-ne del Protocollo, viceversa, sono in difficol-tà di crescita economica, se non addiritturain condizioni di recessione, e le loro emissio-ni di gas serra, quindi, sono in continua dimi-nuzione. Ma queste minori emissioni com-penseranno solo in parte la crescita delleemissioni dei maggiori Paesi industrializzati,tanto che, sulla globalità dei Paesi a cui èdiretto il protocollo di Kyoto (Paesi industria-lizzati e Paesi ad economia in transizione), gliattuali andamenti fanno prevedere che al2010 le emissioni complessive non sarannoridotte del 5.2% ma saranno aumentate dicirca il 10%, una crescita che va esattamen-te in direzione opposta alla riduzione richie-sta da Kyoto.La principale difficoltà di negoziazione e diattuazione del Protocollo di Kyoto appareessere quella di interferire con le questioni disviluppo mondiale sia dei paesi industrializ-zati sia dei paesi in via di sviluppo, le cuieconomie, come noto sono basate prevalen-temente sulla produzione, uso e commercia-lizzazione di energia da combustibili fossili,per i quali non esistono attualmente alterna-tive realmente sostitutive, ma solo di tipointegrativo. Di conseguenza, l’obiettivo prin-cipale dei politici è stato focalizzato su unainfinità di regole e di complesse procedure,che, di fatto, hanno in qualche modo trasfor-

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mato il Protocollo in un trattato simbolicopiuttosto che in un trattato per la soluzionedi un problema.Allo stato attuale, il protocollo di Kyoto nonpuò essere considerato, per quanto riguarda icambiamenti climatici, come il punto di arrivofinale di una complessa negoziazione interna-zionale che è partita nel 1992, né tanto menocome la soluzione del problema della riduzio-ne delle cause antropogeniche che modifica-no il clima (infatti, come affermato da IPCC,sarebbero necessarie riduzioni del 50-60%delle emissioni antropogeniche di gas serraper riportare il sistema climatico al suo equili-brio) e non può neppure essere considerato lasoluzione del problema della minimizzazionedegli impatti negativi conseguenti ai cambia-menti climatici o la soluzione di quelle chedovrebbero essere le azioni di adattamento aicambiamenti del clima.Quantunque la strada dell’attuazione del pro-tocollo di Kyoto nella sua forma attuale vadatenacemente perseguita, quanto meno perrallentare i cambiamenti del clima ed averetempo sufficiente per prepararsi all’adatta-mento, nel frattempo sarà necessario guar-dare oltre Kyoto con investimenti significativinella ricerca scientifica e tecnologica permettere a punto e rendere operativi i nuovimodi di produrre energia e di utilizzare ener-gia. Una interessante prospettiva in tal sensoviene offerta dal vettore idrogeno e l’uso dicelle a combustibile, ma anche dall’utilizza-zione dell’energia solare attraverso l’uso difluidi ad alta temperatura.

Clima e qualità dell’ariaApprocci integrati per ridurre l’inquinamentoatmosferico ed abbattere l’emissione di gasserra producono degli effetti benefici sinergi-ci, in particolare per quanto riguarda gli effet-ti sulla salute, e complessivamente riduconoi costi dell’abbattimento stesso. Ci sono infatti forti collegamenti tra le politi-che relative ai cambiamenti climatici e l’inqui-namento dell’aria. I settori dei trasporti e del-l’energia, grandi emettitori di CO2, emettononello stesso tempo altri inquinanti come gliossidi di azoto (NOx), particolato (PM) e bios-

sido di zolfo (SO2). Misure per ridurre le emis-sioni di CO2 attraverso l’aumento dell’effi-cienza energetica, l’utilizzo di combustibilirinnovabili e l’aumento dell’utilizzo delle bio-masse hanno un impatto positivo nella ridu-zione delle emissioni degli altri inquinanti. Misure per ridurre le emissioni, compresequelle dovute all’agricoltura, di monossido diazoto (N2O) e metano (CH4), due importantigas serra, hanno un impatto anche sulla qua-lità dell’aria.In agricoltura, le misure per la riduzione delleemissioni di N2O dal suolo attraverso l’utilizzodi diversi fertilizzanti e adoperando opportunepratiche agricole, possono influenzare anchele emissioni in atmosfera di ammonio (NH3).Il costo del non-agire sull’inquinamento del-l’aria in termini di impatti sulla salute è alta-mente dovuto all’impatto delle polveri sottilisulla durata della vita e dell’ozono (O3), sullemorti premature e la morbilità. Nell’Unione Europea si stima che i livelliattuali di concentrazione di PM2.5 causino, inmedia, una riduzione della vita media di circa8 mesi (Assessments for the ThematicStrategy on Air Pollution).Senza una ulteriore normativa per la riduzionedell’inquinamento atmosferico, gli effetti sullasalute sono stimati crescere nel 2020, con unadiminuzione della vita media di circa 5.5 mesi.Inoltre l’ozono potrebbe causare circa 21000morti prematuramente nel 2020, nella solaUnione Europea, con un costo stimato fra i 162ed i 587 miliardi di euro, sulla base di differentimetodi di valutazione degli anni di vita persi.L’ozono è noto anche per i danni alla vegeta-zione e per la diminuzione della produttivitàagricola (recenti studi del JRC indicano che laperdita annuale attuale nella produttività agri-cola dell’EU, in riferimento a quattro tipologiedi colture, è del 3%, mentre le economieemergenti come Cina e India perderebberodallo 0.3% al 2% del loro attuale prodottointerno lordo a causa dei danni da ozono allecolture). Inoltre si stima che l’ozono determi-ni una riduzione nella produzione netta pri-maria americana del 2.6% – 6.8% (Felzer etal., 2004): un effetto tale da essere conside-rato nel budget del carbonio.

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5.4 Oltre Kyoto: le strategie di adattamento

La data principale della reazione intergover-nativa al cambiamento climatico è rappre-sentata dalla fine del 2005, quando, a segui-to dell’undicesima conferenza delle parti(COP11) del protocollo di Kyoto tenutasi aMontreal, il protocollo stesso è entrato uffi-cialmente in vigore. Da tale data lo sforzointernazionale di combattere il cambiamen-to climatico è entrato in una nuova fase. La conferenza di Montreal ha avuto un inte-resse notevole a seguito del risultato di duesistemi di commercio: 1) lo schema di“Emission trading” europeo; 2) Il “CleanDevelopment Mechanism”, ovvero uno stru-mento per promuovere lo sviluppo sosteni-bile e combattere il cambiamento climatico.L’Unione Europea, in particolare, ha iniziato ilprocesso di mitigazione riducendo l’emissio-ne dei cosiddetti gas serra e, attualmente,necessita una programmazione a medio elungo termine delle strategie per vincere labattaglia contro i cambiamenti climatici. Talistrategie confermano l’obiettivo di limitarel’aumento globale medio delle temperaturead un massimo di 2 °C confrontato con i livel-li preindustriali. La Commissione Europea haespresso, quindi, la necessità di esplorarenuove strategie che portino alla necessariariduzione delle emissioni di gas serra.

L’importanza costituita dall’implementazio-ne delle esistenti nonché di nuove misure diintervento è evidenziata da alcuni fattori. Ilprimo fra tutti è la constatazione che secon-do i recenti dati dell’Unione Europea (fonteEU Gennaio 2007) l’emissione di gas serrasarà 0,6% sotto i livelli su base annua nel2010, molto al di sopra della riduzione fissa-ta come target dell’8% per il periodo 2008-2012. In base a questa considerazione,misure aggiuntive possono ridurre la diffe-renza a più della metà.

Potenziali benefici socio-economici daazioni di MITIGAZIONE e/o ADATTAMENTO

• la costruzione di argini e dighe, nonché ilripascimento delle spiagge (MITIGAZIO-NE) per contrastare l’innalzamento dellivello dei mari ridurrebbe fino al 50% amedio termine e fino al 70% a lungo ter-mine i costi derivanti dai danni associati;

• misure preventive quali speciali sistemi diallerta (ADATTAMENTO) contrasterebbe-ro l’aumento della mortalità per ondate dicalore, che sembra destinato a superarela diminuzione della mortalità per ondatedi freddo;

• la riduzione delle emissioni di CO2 (MITI-GAZIONE) avrebbe un impatto positivosulla qualità dell’aria attraverso una ridu-zione degli altri inquinanti, in particolaredel biossido di zolfo (SO2), protossido diazoto (N2O) e del particolato atmosferico,riducendo di riflesso gli impatti sulla salu-te umana;

• modifiche strutturali di tipo sostenibile(ADATTAMENTO/MITIGAZIONE) nelsistema produttivo energetico indurrebbe-ro un impatto positivo sull’occupazione,creando nuovi posti di lavoro sulle fonti dienergia alternative.

È da evidenziare come il settore della produ-zione di energia elettrica costituisce un fatto-re chiave per la riduzione delle emissioni.Infatti la più importante misura di adattamen-

Figura 5.4.1: Gli impatti aumentano con il tempo,mitigazione ed adattamento sono validi strumentiper rallentare la velocità degli effetti. FonteCommissione Europea 2005.

Impatti delCambiamento Climatico

Mondo con Cambiamenti Climaticima senza politiche di intervento

Effetti della mitigazione

Mondo con CambiamentiClimatici e mitigazione

Mondo con CambiamentiClimatici, mitigazione e

adattamento

Impatti residui delCambiamento Climatico

Tempo

Effetti

Effettidell’adattamento

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• Assorbimento delle emissioni di carbonio-da parte delle foreste;

• Promulgazione e sviluppo di iniziative diricerca sul Clima.

Rimane tuttora aperto il dibatto tra scienziati,analisti e politici sulla reale efficacia del pianodi riduzione elaborato per l’Italia in relazioneagli obiettivi sottoscritti dall’Italia nelProtocollo di Kyoto. Appare evidente che ilnodo del problema, per poter ottenere i risul-tati attesi sul medio-lungo periodo, risiedenella necessità di modificare decisamente lastruttura del sistema economico-produttivoattuale in particolare nei settori dell’energia edei trasporti che rendono conto di circa i dueterzi delle emissioni di gas serra totali delpaese. La via da percorrere per un adattamento alCambiamento Climatico che abbia ilmiglior rapporto costi/benefici sia dalpunto di vista ambientale che economico,sembra davvero essere quella di ridurre lavulnerabilità sociale ai cambiamenti previ-sti attraverso uno sviluppo sostenibile cheincluda anche l’educazione dei singoli cit-tadini ad un rapporto con l’ambiente taleda soddisfare le esigenze presenti senzacompromettere le possibilità delle genera-zioni future.

to è quella di adottare significativi cambia-menti nel sistema energetico ad esempioattraverso un aumento delle fonti di energiarinnovabili (energia solare foto-voltaica, sola-re termica, eolica, da biomasse, geotermica,dal mare, idroelettrica), quantificate in unaumento del 24% dal 2005 al 2050, oppureattraverso la limitazione nel consumo di ener-gia a favore di una migliore efficienza deiconsumi. Attraverso tali misure è prevista peril 2030 una riduzione del 60% nell’importa-zione di carbone (per le centrali termiche) edel 20% di gas e olio. Tale politica si esplicaanche nelle varie campagne di sensibilizza-zione verso un uso più equilibrato delle fontidi energia (es. elettricità, gas ecc).

Anche l’Italia ha adottato linee guida per lepolitiche e le misure nazionali di riduzionedelle emissioni di gas serra. Le azioni nazio-nali previste da tali linee guida sono:

• Aumento dell’efficienza delle centrali ter-moelettriche;

• Riduzione dei consumi energetici nel set-toredei trasporti;

• Incentivi per le fonti di energie rinnovabili;

• Riduzione dei consumi energetici nei set-tori abitativo/terziario ed industriale;

• Riduzione delle emissioni nei settori nonenergetici;

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Figura 5.4.2: Il foglio informativo sulle azioni individuali per contrastare il cambiamento climaticodistribuito da Arpa Piemonte in occasione della mostra sul clima allestita presso il Mountain Pointdi Sestriere (TO).

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5.5 Gli strumenti di preannunciodei rischi nelle opzioni diadattamento climatico

Come ben evidenziato dalla sintesi per i deci-sori politici del Gruppo di Lavoro II al QuartoRapporto di Valutazione dell’IPCC, approva-ta a Bruxelles nel mese di Aprile 2007, l’adat-tamento al cambiamento climatico è un pro-cesso che, in modo complementare alla miti-gazione, consente di ridurre le conseguenzederivanti dal riscaldamento globale. Molti impatti del cambiamento climatico pos-sono essere affrontati efficacemente attra-verso l’adattamento, in particolare gli impattia breve termine, mentre all’aumentare del-l’entità del cambiamento le opzioni per unadattamento efficace diminuiscono ed i costiassociati aumentano. Le conoscenze attualigià consentono la selezione di opzioni diadattamento preventivo, che hanno costilimitati e non minacciano sistemi sociali esettori economici, rispetto all’adozione diforme di adattamento di tipo reattivo, cioèapplicate a seguito di frequenti crisi e dis-astri. Tuttavia tali opzioni sono attualmenteapplicate in modo limitato. Tra le misure di adattamento, vi sono quelledi tipo infrastrutturale e tecnologico, caratte-rizzate da tempi di realizzazione spesso lun-ghi e da investimenti maggiori, la cui sosteni-bilità deve essere dimostrata sulla base deicosti stimati del non-agire, in un contesto diconoscenze che presenta margini di incer-tezza, tanto più elevati quanto più gli scenaridi cambiamento sono a lungo termine.Poiché il dimensionamento dell’impatto èimportante per definire la priorità ed indirizza-re di conseguenza gli interventi, l’applicazio-ne di queste misure, se non fortementesostenute da politiche ambientali o sanitarie,è limitata.Le misure di adattamento di tipo non-struttu-rale o “soft” sono invece basate su sistemi diottimizzazione della gestione delle risorse edi prevenzione dei rischi, i cui costi sono tra-scurabili rispetto ai costi della non applica-zione ed inclusi nei costi dell’evoluzione

socio-economica. Spesso queste forme diadattamento, rispondendo a necessità di tipolocale, implicano benefici ambientali com-plessivi, anche su vasta scala, creandoimportanti sinergie con le politiche di sosteni-bilità ambientale. Queste forme di adatta-mento, se da un lato sono più facilmente rea-lizzabili, richiedono la formazione di un con-testo sociale e culturale permeabile e pro-attivo, insieme ad una capacità di governan-ce coordinata a tutti i livelli.

L’adattamento al cambiamento climatico ècomplesso anche a causa della variazionedella severità degli impatti da regione a regio-ne, in funzione della vulnerabilità fisica, delgrado di sviluppo socio-economico, dellacapacità adattativa dei sistemi naturali e dellecomunità umane presenti, dei servizi per lasalute e sistemi di sorveglianza e prevenzio-ne dei disastri. Le misure efficaci di adattamento sono pro-fondamente dipendenti da fattori locali especifici e la loro applicazione implica uncoinvolgimento importante delle istituzionilocali e degli enti di governo del territorio,richiedendo elementi di conoscenza ambien-tale e territoriale di dettaglio, sistemi di moni-toraggio in continuo, sia degli aspetti climati-ci sia di quelli legati alla valutazione dell’effi-cacia della misura di adattamento stessa, losviluppo di servizi di supporto alla pianifica-zione ed alle politiche di gestione.

Figura 5.5.1: Rappresentazione schematica dellecondizioni per l’applicazione di opzioni di adatta-mento “soft” efficaci.

Creazionedi strumenti

Creazionedi consapevolezza

preparazione istituzionaleapprendimento socialecoinvolgimento dei portatori di interesse

applicabiliefficaciimparzialiaccessibilicontestualizzati

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Le Agenzie ambientali, per il patrimonio diconoscenze che detengono e per le compe-tenze che esprimono in materia, sul piano delcontrollo ambientale e della funzione di sup-porto tecnico ai decisori, ricoprono un ruoloimportante nella concertazione delle azioniche gli scenari degli impatti del cambiamen-to climatico richiedono. La rete che rappre-sentano, inoltre, rende possibile la proposi-zione di quelle misure di adattamento basatosu strumenti di ottimizzazione della gestioneche, applicati a livello locale, portano benefi-ci su aree più vaste.Arpa Piemonte orienta la sua azione istituzio-nale verso una gestione sostenibile del terri-torio e dell’ambiente, fornendo il proprio con-tributo tecnico nell’ambito delle procedure divalutazione di compatibilità ambientale e disupporto all’analisi delle condizioni ambienta-li in relazione all’inserimento di nuove fonti dipressione, al miglioramento della normativa incampo ambientale, alla promozione di azionidi sviluppo sostenibile orientate alla valorizza-zione delle georisorse, alla certificazioneambientale, al turismo sostenibile, alla diffu-sione della conoscenza ambientale medianteprogetti di formazione ed informazione.In particolare Arpa Piemonte contribuisceall’individuazione, promozione e facilitazionedi strategie e azioni di adattamento per farfronte agli impatti derivanti dal riscaldamentoglobale, in particolare attraverso lo sviluppoed erogazione operativa di servizi nel campodella gestione integrata delle risorse idriche edelle politiche agricole, della prevenzionedegli effetti delle ondate di calore, dell’otti-mizzazione dell’innevamento programmato edel turismo invernale. Il percorso affrontatoda Arpa Piemonte per arrivare all’operativitàdi tali servizi, oltre agli aspetti tecnico-cono-scitivi essenziali e di analisi della vulnerabili-tà, contempla una forte relazione con gli uti-lizzatori finali, che hanno contribuito fattiva-mente al disegno del servizio, consentendodi attutire le barriere ambientali, economiche,di informazione, sociali, attitudinali e com-portamentali che spesso si oppongono all’at-tuazione dell’adattamento.

Il sistema previsionale degli effetti sullasalute delle ondate di caloreA partire dall’estate 2004, Arpa Piemonte harealizzato un sistema per la previsione delleondate di calore e degli effetti sulla salutefino a tre giorni in avanti per l’area urbana diTorino e dei comuni limitrofi. Dall’anno suc-cessivo il sistema è stato esteso ai capoluo-ghi di Provincia, con la realizzazione di unsecondo bollettino, e un prodotto di dettaglioè stato realizzato per la Provincia di Torino,che, a causa della complessa morfologia delterritorio, presenta caratteristiche climatichemolto diverse. Il sistema di allarme per le ondate di caloreutilizza i parametri meteorologici quali latemperatura massima, la temperatura appa-rente massima e minima (Steadman, 1984),il numero di giorni consecutivi con tempera-tura apparente elevata, il livello di ozonoprevisto ed altri parametri meteorologicinecessari al calcolo di alcuni indici di dis-agio fisico. Le soglie biometeorologiche ditali indici sono state scelte in funzione dellecondizioni climatiche locali e da criteri dispecificità e di sensibilità che non derivanodirettamente da valori di letteratura. Poichéla percezione del disagio dovuta alle condi-zioni meteorologiche è peculiare dell’arealocale, nel sistema viene utilizzato anchel’indice relativo Heat stress Index (Kalkstein2003). L’Heat Stress Index è un indice bio-meteorologico che valuta la risposta fisiolo-gica della popolazione alle variabili meteo-rologiche, basandosi sia sulla localizzazioneche sul periodo stagionale attraverso l’ana-lisi della distribuzione di probabilità dellevariabili meteorologiche misurate nel passa-to e quindi tiene implicitamente conto del-l’acclimatazione della popolazione.Costruito sull’indice HSI, un modello epide-miologico prevede la mortalità legata all’on-data di calore e attraverso un complessoalbero decisionale viene emesso un allarme,su quattro livelli, per attivare le procedure diprevenzione sanitarie e socio-assistenziali erendere informata la popolazione sul gradodi pericolo atteso.

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Il sistema produce quotidianamente, dal 15maggio al 15 settembre di ogni anno, deibollettini informativi che, oltre ad esserepubblicati sui siti internet degli enti istituzio-nali coinvolti, vengono inviati quotidiana-mente, tramite e-mail, agli indirizzi di postaelettronica comunicati dagli Enti e dagliorganismi istituzionali dell’area sanitaria edell’assistenza sociale, in modo da garanti-re prioritariamente l’informazione ai sogget-ti istituzionali dei rispettivi comparti qualiAziende Sanitarie Locali, Aziende SanitarieOspedaliere, presidi ospedalieri, case dicura, medici di medicina generale, residen-ze sanitarie assistenziali, presidi per anziani,servizi socio-assistenziali, e inoltre associa-

zioni di volontariato, protezione civile, orga-ni di informazione.La possibilità di prevedere variazioni meteo-rologiche a breve periodo, con il loro poten-ziale impatto sulla salute umana, consente lapianificazione e la gestione di interventi diprevenzione e riduzione del danno. La deli-bera di Giunta Regionale della RegionePiemonte n. 2-5947 del 28 maggio 2007,approva il “Protocollo operativo eRaccomandazioni per il personale sanitario”che definisce l’adozione di attività di preven-zione a livello territoriale, tese a ridurre lamortalità della popolazione anziana maggior-mente esposta al rischio di danni alla salutein condizioni di emergenza stagionale.

Figura 1: Albero decisionale relativo alla previsione delle ondate di calore sull’Area di Torino.

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Figura 2: Esempio di bollettino relativo all’area di Torino.

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Il protocollo tende a favorire il monitoraggio“attivo” della popolazione anziana “fragile”attraverso il coinvolgimento diretto deiDistretti delle ASL, dei Medici di MedicinaGenerale e dei Servizi socio-assistenziali pre-senti a livello territoriale. Esso contiene deisuggerimenti per l’adozione di attività dimonitoraggio in relazione ai livelli di rischioper la salute previsti dal servizio previsionaledi Arpa (ad uso di chi ha in carico l’anziano“fragile”), le raccomandazioni per il persona-le sanitario ed infine alcune azioni a livellostrutturale per ASL e ospedali, come la rea-lizzazione di locali di accoglienza climatizzatie la quantificazione degli approvvigionamen-ti in funzione delle condizioni climatiche pre-viste. Negli anni di operatività del sistemasono state sviluppate, a livello locale, iniziati-ve basate sull’utilizzo del livello di rischioatteso, ad esempio interventi per il trasportodegli anziani in locali climatizzati, ad opera diassociazioni di volontariato o della protezio-ne civile comunale, o a livello di singoloospedale, come la regolazione delle terapiedi idratazione o l’azionamento della ventila-zione forzata.

Servizio di previsione del pericolo di incen-di boschiviGli incendi boschivi rappresentano un aspet-to di attualità drammatica che interferiscecon la dinamica e la funzionalità del bosco,ponendo problemi di gestione del territorioper l’elevato impatto a diversi livelli del pas-saggio del fuoco (ecosistemico, paesaggisti-co, di assetto dei versanti…) giungendoanche a minacciare insediamenti e viteumane per la compenetrazione delle residen-ze in ambito rurale e per l’avanzata del boscoe degli incolti.Nel periodo 1997-2005 la Regione Piemonteè stata interessata da 3486 incendi boschi-vi, in media 387 all’anno, per una superficiepercorsa media annuale di 3710 ha e di 9.6ha per incendio, di cui più della metà bosca-ta, la cui distribuzione negli anni e all’inter-no degli anni dipende essenzialmente dallecondizioni meteorologiche e stagionali. Nel periodo considerato la distribuzione degli

incendi estesi, cioè degli incendi che interes-sano un’area superiore ai 10 ha, ha visto ilmassimo spostarsi negli ultimi anni dai mesidi marzo–aprile al mese di agosto, in conse-guenza dei periodi prolungati di siccità tardoprimaverile-estiva.Il problema degli incendi boschivi vieneaffrontato dalla Regione Piemonte, comeriportato anche nel Piano regionale di previ-sione, prevenzione e lotta attiva agli incendiboschivi, a livello di pianificazione territoriale,la quale deve essere inquadrata aumentandole conoscenze sul possibile comportamentodel fuoco, per organizzare adeguatamente laprotezione e gli interventi di contrasto, con laprevenzione, identificando sistemi informativi in grado di fare una valutazione in temporeale sulle condizioni favorevoli l’innesco e lapropagazione degli incendi boschivi.

Figura 1: Mappa dell’Indice Meteorologico diPericolo Incendi Boschivi per la Regione Piemonte.

A fronte di un innesco non consegue necessariamente la propagazione del fronte di fiamma.La propagazione del fuoco avviene solo a seguito di un innesco importante,ma è comunque lenta. L’estinzione è facilmente realizzabile.Gli eventuali incendi si propagano con moderata velocità.L’estinzione è efficace se attuata tempestivamente.A seguito di un innesco il fronte di fiamma si può diffondere molto rapida-mente e la sua estinzione risulta difficile.A seguito di un innesco possono verificarsi incendi che si propagano conviolenza e la cui estinzione è oltremodo impegnativa e di difficile riuscita.

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A questo fine Arpa Piemonte ha sviluppato,in collaborazione con il Settore AntincendiBoschivi e Rapporti con il Corpo Forestaledello Stato della Regione Piemonte, un servi-zio quotidiano per il pericolo di incendiboschivi.La regione è stata divisa in 60 piccole aree diallertamento, secondo criteri amministrativi edi competenza dell’organizzazione locale delservizio antincendio regionale, per ognunadelle quali viene elaborato un livello di rischioadottando una scala di colori di immediatacomprensione.I livelli di rischio sono calcolati mediante l’u-tilizzo del Fire Weather Index FWI (VanWagner, 1987), calcolato sulla base dei datidelle stazioni meteorologiche gestite da ArpaPiemonte. L’FWI è un indice composito che

valuta le risposte dei vari combustibili dispo-nibili nell’ambiente boschivo al variare deiparametri meteorologici.

Un’accurata analisi statistica ha permesso diassegnare diverse soglie di pericolo per cia-scuna area di allertamento, allo scopo di ren-dere la definizione del livello di pericolo accu-rata e limitare il numero di falsi allarmi.Attualmente l’indice FWI viene calcolato suidati del giorno precedente a quello di emis-sione, al fine di rendersi conto delle condizio-ni attuali di pericolo. È in corso l’estensionein modalità previsionale a +3 giorni, median-te l’utilizzo della previsione dei parametrimeteorologici locali effettuata con una tecno-logia di post-processing dei dati della model-listica numerica (Multimodel SuperEnsemble:

Figura 2: Schema per la valutazione del Fire Weather Index e degli indici accessori a partire dai para-metri meteorologici.

Parametrimetereologici

Indici relativial combustibile

indici di comportamento

del fuoco

temperaturaumidità relativa

vento pioggia

Indice del combustibilesottile FFMC

Indice dipropagazione

iniziale ISI

Indice delcombustibile

disponibile BUI

indice dell’humus

DMCIndice di

secchezza DC

temperaturapioggia

temperaturaumidità relativa

pioggia

Fire WeatherIndex FWI

vento

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mediante l’utilizzo combinato di previsioniprovenienti da più modelli meteorologici,pesate con opportuni pesi, permette unabuona stima dei parametri meteorologicisulle stazioni).

La gestione della risorsa idrica nei periodi siccitosiA partire da luglio 2006, Arpa Piemonte eRegione Piemonte hanno dato il via ad unnuovo servizio di informazione sul quadroidrologico regionale con l’obiettivo di mante-nere costantemente aggiornata la conoscen-za della disponibilità delle risorse idriche.Tale servizio si basa sull’emissione di unBollettino Idrologico a cadenza mensile,emesso all’inizio di ogni mese, che riassumein un quadro sinottico e sintetico elaborazio-ni numeriche, statistiche e modellistiche,basate sui dati della rete di monitoraggiometeoidrografica regionale e sui dati fornitidai gestori dei principali invasi artificiali. Ildocumento riguarda tutto il territorio regiona-le e riporta i risultati delle analisi svolte allascala dei principali bacini idrografici, relativa-mente alle precipitazioni ed alla coperturanevosa. Riassume inoltre lo stato dei princi-pali invasi artificiali e del Lago Maggiore el’andamento delle portate dei più importanti

corsi d’acqua, con l’obiettivo di evidenziare ilpossibile instaurarsi di condizioni siccitose edi scarsa disponibilità idrica e di fornire con-seguentemente il maggior numero di indica-zioni utili per le autorità incaricate dellagestione delle risorse idriche. Per quanto riguarda l’indicazione delle condi-zioni siccitose, viene utilizzato l’indice SPI(Standardizes Precipitation Index) che è ingrado di fornire indicazioni sui deficit di piog-gia calcolati su scale temporali multiple. Ivolumi di pioggia rappresentano la forzantedel sistema e sono senza dubbio il principaleindicatore dello stato del sistema idrologiconel breve medio termine. La copertura nivaleconsente di tenere conto del fatto che neibacini alpini, con regime idrologico nivale opluvio-nivale, l’accumulo idrico nei mesiinvernali è spesso così consistente da influen-zare la disponibilità idrica nei periodi primave-rili ed estivi; in particolare al fine di stimarecorrettamente il contenuto idrico del mantonevoso e l’incidenza della fusione dello stes-so sulle portate viene utilizzato un modelloche ne simula la dinamica. Infine le portateidriche nei corsi d’acqua e i volumi invasatinei principali invasi naturali e artificiali rappre-sentano direttamente l’effettiva disponibilitàidrica principalmente a fini irrigui.

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Figura 1: Bollettino idrologico mensile emesso a luglio 2007.

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Il sistema di allertamento per rischio idrogeologicoGli eventi alluvionali che si susseguono conricorrenza sul territorio italiano hanno eviden-ziato il ruolo fondamentale dei sistemi di pre-visione e sorveglianza ed in particolare l’im-portanza dell’acquisizione dei dati in temporeale e la loro elaborazione e diffusioneimmediata a tutti i soggetti impegnati nellefasi di previsione e di gestione delle situazio-ni di emergenza. Di qui ha cominciato a pren-dere corpo la convinzione della necessità diprevedere un modello organizzativo per lagestione coordinata di un sistema per la sor-veglianza e l’allerta nazionale, che, a partiredalla Direttiva del Presidente del Consigliodei Ministri del 27/02/2004 “Indirizzi operativiper la gestione organizzativa e funzionale delsistema di allerta nazionale e regionale per ilrischio idrogeologico e idraulico ai fini di pro-tezione civile”, si è concretizzata con l’istitu-zione della rete dei Centri Funzionali regiona-li e nazionali e la definizione di procedurecondivise. Nell’ambito delle procedure deiCentri Funzionali, il sistema di allertamentoper il rischio idrogeologico della RegionePiemonte, sviluppato da Arpa Piemonte edutilizzato fin dagli anni ’90, è stato preso ariferimento nazionale come lo strumento chedefinisce l’avvio delle attività di prevenzionedel rischio e di gestione delle emergenze.ll sistema di allertamento regionale è definitoda una fase previsionale e da una fase dimonitoraggio e sorveglianza, che sono

entrambe attuate dal Centro FunzionaleRegionale, presso Arpa Piemonte. La fase previsionale riguarda la valutazionedella situazione meteorologica attesa e la pre-visione degli effetti al suolo attraverso l’inter-pretazione delle simulazioni dei modelli nume-rici, articolandosi nei seguenti passi: il primo èrelativo alla previsione degli eventi meteorolo-gici (vento, pioggia, neve, gelo, temporaliecc.); il secondo è relativo alla previsione delrischio atteso e degli effetti che il manifestarsidi tali eventi determinerebbe per l’integritàdella vita, dei beni, degli insediamenti e del-l’ambiente sul dominio territoriale; il terzo èrelativo alla valutazione del livello di criticità,ottenuto confrontando le previsioni elaboratecon le soglie adottate per i diversi fenomeni.La fase di sorveglianza e monitoraggio ha loscopo di fornire informazioni che consenta-no, tramite la trasmissione, la raccolta e laconcentrazione dei dati rilevati presso ilCentro Funzionale, per diverse finalità dasensori di diversa natura, sia di formulare e/odi confermare lo scenario previsto, sia diaggiornarlo a seguito dell’evoluzione dell’e-vento in corso. Nella fase di sorveglianzasono importanti sia l’osservazione qualitativa

e quantitativa diretta e strumentale dell’even-to in atto sia la previsione a breve delle for-zanti meteorologiche (nowcasting) e dei rela-tivi effetti.

Figura 1: Le fasi del sistema di allertamento.

Figura 2: Le Zone di Allerta in cui è suddiviso ilterritorio regionale.

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Ai fini delle attività di previsione e prevenzio-ne, il territorio è suddiviso in Zone di Allerta,ambiti territoriali significativamente omoge-nei per l’atteso manifestarsi sia di eventimeteoidrologici intensi sia della tipologia edella severità dei relativi effetti, che suddivi-dono e/o aggregano i bacini idrografici o partidi essi.In ogni Zona di Allerta e per ciascuna tipologiadi pericolo, sono identificati i precursori, e ivalori che tali precursori assumono quali indi-catori del probabile manifestarsi di prefiguratiscenari di evento e di effetti sull’integrità della

vita, dei beni, degli insediamenti e dell’am-biente. Tale identificazione è ottenuta sullabase sia della conoscenza storica del manife-starsi e dell’evolversi nel tempo e sul territoriodi eventi significativi e dei relativi effetti, sia dimodellazioni, anche speditive, degli eventi edegli effetti ritenuti più probabili.Questo sistema permette di emanare dei pro-dotti informativi che consentono, in funzionedel livello di rischio atteso, l’estensione delleattività di presidio e sorveglianza o l’allerta-mento di tutte le strutture di protezione civileinteressate, al fine di attuarne l’attivazione.

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