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VERSO UN SISTEMA SANITARIO APERTO 1. Sistemi sanitari europei E’ comunemente accettato classificare i sistemi sanitari europei in due modelli, denominati Bismark e Beveridge dal loro ispiratore e dal loro primo realizzatore, caratterizzati da differenze anche rilevanti nell’organizzazione e nella modalità di finanziamento, ma accomunati da almeno due caratteristiche fondamentali: la tendenza all’universalità e la gestione sostanzialmente pubblicistica. La tendenza all’universalità risponde ad una diffusa e ormai secolare aspettativa dei cittadini di tutti gli Stati europei, che si è imposta con forza ancor maggiore alla fine della II guerra mondiale, quale componente essenziale del sistema dei diritti sociali e dei modelli di welfare diffusi in tutto il vecchio continente. La sanità europea è dunque un insieme di sistemi nazionali diversi fra loro ma accomunati dai principi di solidarietà e universalità delle coperture assistenziali, spesso orgogliosamente contrapposti al modello sviluppatosi negli Stati Uniti d’America, prestigioso sotto l’aspetto scientifico e professionale ma da molti ritenuto inaccettabile sotto l’aspetto sociale e politico. Nella visione ampiamente accettata fino alla fine degli anni Sessanta, il ruolo dello Stato, direttamente o tramite le sue articolazioni locali, è assolutamente dominante nella sanità europea. Non solamente come regolatore, finanziatore e controllore, ma anche come proprietario e diretto gestore dell’intera rete di servizi, legittimato dall’impegno di assicurare l’equità, se non addirittura l’eticità, del sistema sanitario. Questo assetto, come abbiamo già avuto modo di osservare 1 inizia ad entrare in crisi fra gli anni Settanta e Ottanta dello scorso secolo per una serie di cause, quali lo sviluppo tecnologico e la crisi della finanza pubblica, il cui effetto è, fra l’altro, quello di mettere in discussione proprio la gestione pubblcistica dei sistemi sanitari. La presenza dello Stato, delle Regioni, dei Comuni e dei loro rappresentanti, direttamente o indirettamente espressione della politica, alla guida di ospedali e di reti di servizi sanitari tende così ad essere considerata sempre meno una garanzia di equità e di eticità, e soprattutto fa emergere con forza il problema dell’efficienza gestionale e della qualità.

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VERSO  UN  SISTEMA  SANITARIO  APERTO  

1. Sistemi  sanitari  europei    

E’   comunemente   accettato   classificare   i   sistemi   sanitari   europei   in   due   modelli,  denominati   Bismark   e   Beveridge   dal   loro   ispiratore   e   dal   loro   primo   realizzatore,  caratterizzati   da   differenze   anche   rilevanti   nell’organizzazione   e   nella   modalità   di  finanziamento,   ma   accomunati   da   almeno   due   caratteristiche   fondamentali:   la  tendenza  all’universalità  e  la  gestione  sostanzialmente  pubblicistica.  

La   tendenza   all’universalità   risponde   ad  una  diffusa   e   ormai   secolare   aspettativa   dei  cittadini  di   tutti  gli  Stati  europei,   che  si  è   imposta  con   forza  ancor  maggiore  alla   fine  della   II  guerra  mondiale,  quale  componente  essenziale  del  sistema  dei  diritti  sociali  e  dei  modelli  di  welfare  diffusi  in  tutto  il  vecchio  continente.  

La   sanità   europea   è   dunque   un   insieme   di   sistemi   nazionali   diversi   fra   loro   ma  accomunati  dai  principi  di  solidarietà  e  universalità  delle  coperture  assistenziali,  spesso  orgogliosamente   contrapposti   al   modello   sviluppatosi   negli   Stati   Uniti   d’America,  prestigioso   sotto   l’aspetto   scientifico   e   professionale   ma   da   molti   ritenuto  inaccettabile  sotto  l’aspetto  sociale  e  politico.  

Nella   visione   ampiamente   accettata   fino   alla   fine   degli   anni   Sessanta,   il   ruolo   dello  Stato,   direttamente   o   tramite   le   sue   articolazioni   locali,   è   assolutamente   dominante  nella  sanità  europea.  Non  solamente  come  regolatore,   finanziatore  e  controllore,  ma  anche   come   proprietario   e   diretto   gestore   dell’intera   rete   di   servizi,   legittimato  dall’impegno  di  assicurare  l’equità,  se  non  addirittura  l’eticità,  del  sistema  sanitario.  

Questo  assetto,  come  abbiamo  già  avuto  modo  di  osservare1  inizia  ad  entrare   in  crisi  fra   gli   anni   Settanta   e   Ottanta   dello   scorso   secolo   per   una   serie   di   cause,   quali   lo  sviluppo  tecnologico  e  la  crisi  della  finanza  pubblica,  il  cui  effetto  è,  fra  l’altro,  quello  di  mettere  in  discussione  proprio  la  gestione  pubblcistica  dei  sistemi  sanitari.  

La   presenza   dello   Stato,   delle   Regioni,   dei   Comuni   e   dei   loro   rappresentanti,  direttamente  o  indirettamente  espressione  della  politica,  alla  guida  di  ospedali  e  di  reti  di   servizi   sanitari   tende   così   ad   essere   considerata   sempre   meno     una   garanzia   di  equità   e   di   eticità,   e   soprattutto   fa   emergere   con   forza   il   problema   dell’efficienza  gestionale  e  della  qualità.  

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Ci   si   domanda,   in   altre   parole,   se   le   amministrazioni   pubbliche   e   le   persone   che   le  rappresentano,   esposte   alla   necessità   di   ricercare   il   consenso   elettorale,   siano   i  soggetti   più   adatti   a   controllare   i   costi   e   a   sviluppare   la   qualità   di   ospedali   divenuti  ormai  grandi  aziende  tecnologicamente  avanzate.  

Ma   soprattutto   ci   si   domanda   se   questo   particolare   tipo   di   oligopolio,   dove   un   solo  soggetto   (la   pubblica   amministrazione)   governa   e   possiede   un   settore   produttivo  diventato  così  grande  da  collocarsi   in  molti  paesi  europei   intorno  al  10  per  cento  del  PIL,  corrisponde  all’interesse  generale  e  sia  in  grado  di  assicurare  quell’universalità  del  servizio  che  resta  obiettivo  comune  e  condiviso  dalla  totalità  dei  cittadini.  

2.  Verso  i  sistemi  sanitari  aperti  

E’   del   tutto   evidente   che   questioni   di   questi   tipo,   che   vanno   affiorando   con   forza  crescente   in   molti   paesi   europei   negli   anni   Ottanta,   pongono   un   forte   dilemma   ai  governi.    

Può  una  classe  politica  che  governa  e  contemporaneamente  amministra  un  settore  di  attività   vasto   e   di   assoluta   rilevanza   economica   e   sociale   separare   le   due   funzioni,  rinunciando  almeno  in  parte  ai  benefici  che  ne  trae?  

Non   può   certo   rinunciare   al   governo,   che   è   il   suo   mandato   fondamentale,   ma   può  rinunciare  alla  capillare  rendita  politica  che  deriva  dall’amministrare  in  prima  persona  centinaia  di  ospedali  e  di   servizi   sanitari   con  centinaia  di  migliaia  di  posti  di   lavoro  e  centinaia  di  miliardi  di  euro  di  spesa  in  tutti  i  paesi  europei?  

E   quale   è   l’opinione   più   diffusa   fra   i   cittadini   non   di   rado   incerti   fra   l’immagine  rassicurante  dell’intermediazione  pubblica  di  un  servizio  fondamentale  quale  la  sanità  e   il   bisogno   di   maggiore   efficienza   e   qualità,   per   ridurre   o   almeno   non   aggravare  ulteriormente   il   carico   fiscale   e   non   perdere   l’opportunità   di   buone   cure   facilmente  accessibili?  

La  risposta  a  queste  domande  non  è,  in  Europa,  né  univoca  né  lineare,  come  d’altronde  né   prevedibile   anche   per   l’immaturità   istituzionale   dell’Unione   Europea,   che   non   è  ancora  in  grado  di  orientare  una  azione  comune  degli  Stati  membri  su  queste  materie.  

Ma  pur  ricercando  ogni  Stato  una  propria  strada,  spesso  ulteriormente  articolata  nelle  componenti   regionali   e   locali   laddove   è   più   storicamente   radicato   lo   spirito  

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autonomistico,   è   indubbio   che   negli   ultimi   due   decenni   siano   emersi   orientamenti  affini,   che   conducono,   almeno   potenzialmente,   ad   una   profonda   modificazione   dei  sistemi  di  welfare  sanitario.  

Di  questi  sviluppi,  almeno  tre  aspetti  appaiono  qui  rilevanti.  

Il  primo  è  rappresentato  dalla  crescente  consapevolezza  che  i  sistemi  di  finanziamento  tradizionali  delle  attività  sanitarie  non  sono  più  proponibili,  almeno  per  tutto  il  grande  comparto   delle   cure   ospedaliere   e   specialistiche   ambulatoriali.   La   crisi   del   debito  pubblico  attualmente  in  corso  conferma  una  volta  di  più  che  un  massiccio  ricorso  alle  finanze  pubbliche  è  di  fatto  insostenibile.  

Quando   gli   ospedali   erano   Enti   di   pubblica   carità   a   basso   contenuto   tecnologico,   il  sistema   di   finanziamento   a   costi,   che   remunera   globalmente   i   fattori   produttivi  impiegati,  poteva  essere  considerato  sostanzialmente  sostenibile.  

Ma   già   negli   anni   Ottanta   si   era   osservato   che   con   questo   sistema   ogni  amministrazione   ospedaliera   tende   inevitabilmente   ad   incrementare   i   costi  prescindendo   dalle   prestazioni   effettivamente   erogate,   nascondendo   le   proprie  inefficienze   e   le     proprie   carenze   qualitative   dietro   una   cortina   di   affermazioni  moralistiche  ed  autoreferenziali  apparentemente  inattaccabile.  

L’evoluzione   del   sistema   di   pagamento   a   costi   è   avvenuta   in   due   direzioni,   non  necessariamente  fra  di  loro  inconciliabili.  

Una  è   rappresentata  dal  pagamento  a  quota   capitaria,   che  ha  un  evidente  profilo  di  tipo  assicurativo,  e  che  viene  usato  quale  forma  di  finanziamento  globale  ai  gestori  di  sistemi  sanitari  deputati  a  rispondere  all’intera  domanda  di  una  popolazione.  

Questo  sistema  è  attualmente  utilizzato  in  Italia  (con  correttivi  spesso  discutibili)  per  il  riparto  fra  le  Regioni  del  finanziamento  nazionale.  

L’altra  è  rappresentata  dal  pagamento  a  prestazione,  il  cui  capostipite  è  il  sistema  DRG  che  tende  a  remunerare  ogni  singola  prestazione  erogata.  

Questo   metodo   si   applica   molto   bene   all’attività   ospedaliera   e   specialistica  ambulatoriale,  e  se  correttamente  utilizzato  consente  di  conseguire  i  massimi  livelli  di  efficienza  facendo  coincidere  il  finanziamento  con  l’attività  effettiva.  

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In  Europa  questo  metodo  è  stato  introdotto  per  la  prima  volta  in  Italia  nel  1992,  e  si  va  diffondendo  in  questi  anni  in  Paesi  quali  la  Germania  e  la  Francia.  

L’implementazione   del   pagamento   a   prestazione   degli   ospedali,   in   realtà,   non   sta  avvenendo  senza  contrasti.  

Esso   infatti   evidenzia   molte   rendite   di   posizione,   inefficienze,   cattive   gestioni   delle  risorse   presenti   in   moltissimi   ospedali   europei   a   gestione   pubblica,   e  conseguentemente   provoca     le   reazioni   indignate   delle   burocrazie   e   delle   lobby  professionali   mediche   trincerate   da   sempre   dietro   l’assenza   di   misure   di   controllo  sull’attività  effettivamente  svolta.  

Pur  con  questi   limiti   il  pagamento  a  prestazione  genera  effetti   rilevanti:   consente  ad  esempio  per  la  prima  volta  di  misurare  volumi  e  qualità  dell’attività  ospedaliera  (sia  nei  grandi  sistemi  sanitari  regionali  che  nei  singoli  ospedali  fino  a  ciascuna  equipe  medica),  e  soprattutto  assegna  al  paziente  ricoverato  un  nuovo  status.  

Egli  infatti  non  può  più  essere  avvertito  come  semplice  fruitore  di  un  servizio  offertogli  gratuitamente   da   una   grande   organizzazione,   ma   diventa   il   vero   finanziatore  dell’ospedale,  come  fino  a  prima  dell’introduzione  del  pagamento  a  prestazione  erano  solamente  i  pazienti  “solventi”,  pazienti  ricchi  in  grado  di  pagare  direttamente  le  cure,  corteggiatissimi  dalle  amministrazioni  e  dai  medici.  

L’introduzione  del  pagamento  a  prestazione  rappresenta  una  condizione  fondamentale  perché  si  generi  un  secondo  fondamentale  sviluppo  dei  sistemi  di  welfare  sanitario:  la  libertà  di  scelta  del  luogo  di  cura  da  parte  del  cittadino.  

Per   comprendere   appieno   l’importanza   di   questo   diritto   bisogna   considerare   che,  nell’impianto  originario  dei  sistemi  sanitari  europei,   la   libertà  di  scelta  del  cittadino  e  del  paziente  non  è  certo  collocata  fra  le  priorità.  

Il   sentimento   dominante   nei   sistemi   amministrativi   e   centralistici   è   infatti   quello   di  orientare  e  dirigere   l’utente  nelle  sue  scelte  –  per   il   suo  bene,   s’intende  –  poiché  da  solo  non  sarebbe  in  grado  di  adottare  le  giuste  decisioni  per  la  sua  salute.  

Le   burocrazie   nei   sistemi   infeudatisti   di   welfare   sanitario   europeo   si   compiacciono  spesso   ancora   oggi   di   ricordare   l’esistenza   di   una   “asimmetrica   informativa”   fra  

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paziente   e   organizzazione   sanitaria,   che   fa   del   paziente   un   soggetto   in   permanente  minorità,  da  consigliare  e,  se  necessario,  da  orientare  in  modo  stringente.  

Poiché   è   la   stessa   burocrazia   che   valuta   la   qualità   delle   prestazioni,   non   c’è   alcuna  possibilità  di  derogare  dalle  sue  scelte.  

In   realtà   questa   visione   di   welfare   sanitario,   a   dir   poco   paternalistica,   è   sempre   più  frequentemente  messa   in   crisi   dal   desiderio  di   libertà   e   dalla   spinta   a   ricercare   cure  migliori.  

Di   queste   tensioni   fa   fede   la   dialettica   comunitaria,   che   da   anni   vede   ormai   il  Parlamento    Europeo  su  posizioni  liberali,  orientato  alla  libera  circolazione  dei  pazienti,  contrapposto   al   Consiglio   d’Europa,   espressione   degli   Stati   membri,   attestato   su  posizioni  protezionistiche.  

La   recentissima  direttiva   sulla  mobilità   transfrontaliera   (n.  2011/24  EU  del  9/3/2011)  non  è  in  questa  senso  che  un  primo  passo  verso  una  concezione  più  avanzata  e  aperta  dei  sistemi  sanitari.  

Ciò  che  qui  preme  osservare  è  che   il  principio  della   libertà  di  scelta,  unito  al  metodo  del   pagamento   a   prestazione   delle   cure,   si   configura   come   un   potente   motore   di  cambiamento,  potenzialmente  in  grado  di  sconvolgere  ogni  programmazione  sanitaria  statale  mettendo  nelle  mani  dei  cittadini  (o  meglio  in  questo  caso  “nei  piedi”)  il  futuro  economico  delle  istituzioni  sanitarie  e  ospedaliere,  che  potranno  crescere  se  verranno  scelte   dagli   utenti,   che   ricorrendo   ai   servizi   offerti   porteranno   con   sé   il   pagamento  delle  relative  tariffe.  

Saranno  invece  costrette  a  declinare  se  non  si  dimostreranno  in  grado  di  offrire  servizi  credibili,  a  causa  del  progressivo  abbandono  da  parte  dei  pazienti  e  del  conseguente  calo  di  ricavi.  

Libertà  di  scelta  e  pagamento  a  prestazione  innescano  processi  di  tipo  competitivo,  nei  quali   i   sistemi   sanitari   nazionali   e   regionali,   i   singoli   ospedali   e   poliambulatori,   le  equipe  mediche   con   i   loro   collaboratori   lentamente  ma   inesorabilmente   crescono   o  declinano.  

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Viene   così   premiata   la   qualità,   l’eccellenza,   l’accoglienza   a   danno     della   cattiva  reputazione,  della  incapacità  di  migliorare  continuamente,  della  indifferenza  rispetto  ai  bisogni  degli  utenti.  

Scegliere   e   portare   con   sé   il   finanziamento   potrebbe   dunque   diventare   il   vero  strumento   nelle   mani   dei   cittadini   che   modella   i   sistemi   sanitari   degli   Stati   e,   in  prospettiva  dell’intera  Unione  Europea.  

Ma  perché  esso  si  realizzi  occorre  un  terzo  fattore:  il  pluralismo  degli  erogatori.  

E’  del  tutto  evidente,  infatti,  che  se  i  sistemi  sanitari  europei  rimanessero  interamente    proprietà   dei   relativi   Stati,   si   confermerebbe   comunque   un   monopolio,   articolato  quanto  si  vuole,  ma  ancora  intrinsecamente  refrattario  a  modellarsi  sul  principio  della  libertà  di  scelta  e  del  pagamento  a  prestazione.  

Solo   la  presenza  di  una  quota,  non   rilevante,  di  ospedali  e  poliambulatori  a  gestione  non  pubblica  può  dunque  completare  il  disegno  di  radicale  riforma  degli  storici  sistemi  di  welfare  europei.  

Bisogna  riconoscere  che  questa  esigenza  è  stata  in  parte  compresa,  almeno  dai  governi  più  dinamici  e  attenti  al  futuro.  

Emblematico,  in  questo,  l’esempio  della  Germania  ben  descritto  da  Gunter  Neubauer  e  Andreas   Beivers,   mentre   l’approccio   più   radicale   dell’Olanda   ambisce   ad   azzerare  definitivamente  qualunque  residuo  oligopolista.  

Nei   paesi   dove   il   mix   rappresentato   da   pagamento   a   prestazione/libertà   di  scelta/pluralismo  degli  erogatori  si  è  realizzato,  si  genera  dunque  un    nuovo  modello  di  welfare  sanitario,  sostanzialmente   indifferente  all’iniziale  natura  Bismark  o  Beveridge  del   sistema,   che   ne   ingloba   la   caratteristica   dell’universalità   e   della   solidarietà  integrandole   con   nuovi   valori   e   nuove   caratteristiche,   rappresentati   dall’efficienza,  dalla  qualità  e  dalla  libertà.  

Questa  configurazione  di  sistema,  che  potremmo  definire  “aperta”  in  contrapposizione  a  quella  centralistica  e  statalistica  dei  modelli  originali,  comporta  un  modello  di  sanità  fondato  su  un    mix  pubblico/privato,  caratterizzato  da  una  reale  centralità  del  cittadino  utente.   Non   è   ancora   una   realtà   consolidata   in   tutta   l’UE,   ma   le   sperimentazioni   si  

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moltiplicano,  e  soprattutto  offrono  risultati  interessanti,  valutabili  su  elementi  concreti  e  oggettivi.  

3.  Il  pluralismo  nei  sistemi  sanitari  regionali  italiani  

L’analisi  delle  principali  caratteristiche  del  sistema  ospedaliero  italiano  e  delle  reti  che  

lo   compongono   conferma   anche   quest’anno   caratteristiche   che   possiamo  

sinteticamente  così  riassumere:  

Il   sistema  ospedaliero,   in  quasi   tutte   le  Regioni,  è  un  sistema  misto  pubblico/privato,  

con   una   composizione   che   vede   la   componente   pubblica   nel   2009   con   un   minimo  

incremento   rispetto   all’anno   precedente,   collocata   al   78,7%   dei   posti   letto,   e   la  

componente  privata   in   corrispondente  minima   flessione  al   21,3%  dei   posti   letto   (nel  

2008  rispettivamente  al  78,5%  e  21,5%).  

La  presenza  del  privato  all’interno  del   servizio  pubblico  è  disomogenea   fra   le  diverse  

Regioni.  

La   Tab.   1   mostra   le   prime   8   Regioni   per   presenza   di   aziende   di   diritto   privato   nel  

proprio  sistema  ospedaliero  espresse  in  posti   letto,  e  vede  la  Lombardia  ancora  all’8°  

posto  con  una  percentuale  di  posti   letto  che  si  allinea  alla  media  nazionale  (21,7%  in  

Lombardia  e  21,3%  in  Italia).  

Tab.  1  -­‐  Mix  Pubblico  –  Privato  nei  Sistemi  Ospedalieri  delle  Regioni  Italiane.  Anni  2003-­‐  2009,  Prime  8  Regioni  per  la  presenza  nel  Sistema  di  Aziende  di  Diritto  Privato  (area  AIOP)  

 

Regione      

 

%  di  posti  letto  appartenenti  ad  Aziende  di  diritto  privato    (Area  AIOP  nella  rete  ospedaliera  regionale  

 

Anno                               2003   2004   2005   2006   2007   2008   2009  

Calabria   32,3   36,6   42,5   42,9   42,9   40,4   36,2  

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Campania   36,1   35,8   32,8   32,7   33,1   34,2   35,5  

Lazio   33,5   34,3   33,6   33,8   33,6   31,8   28,9  

Emilia  R.   23,7   24,8   24,2   23,4   24,1   24,2   24,9  

Abruzzo   28,2   31,4   26,0   23,7   24,2   22,2          22,6  

Sicilia   22,5   23,2   23,3   23,8   24,2   24,9   21,7  

Lombardia   21,7   22,6   23,2   22,3   20,6   21,3   21,7  

Piemonte        20,5   21,1   21,7   22,3   22,3   21,4   21,7  

ITALIA   21,3   22,0   21,9   22,0   21,6   21,5   21,3  

Fonte:  Ermeneia  Ospedali  E  Salute    2011  

Il  parametro  di  valutazione  costituito  dai  posti  letto  è  però  sempre  meno  interessante  

rispetto  ai  dati  di  qualità  e  operatività.  

Dati  questi  ultimi  disponibili  solo  parzialmente  e  sostanzialmente  rappresentati,  per  gli  

aspetti  qualitativi,  dai  valori  di  case-­‐mix  e  di  peso  medio.  

Le  figure  1  e  2  mostrano  la  distribuzione  del  valore  di  case  mix  delle  Aziende  sanitarie  e  

ospedaliere  di  diritto  pubblico  e  di  diritto  privato    di  tutte  le  Regioni  nel  2009.  

Premesso  che,  a  partire  dal  2009,   i  valori   riferiti   sono  calcolati  con   la  nuova  versione  

DRG  CMS  24.0,  è  necessario  qui  richiamare  le  perplessità  enunciate  nel  capitolo  1,  che  

rendono  problematico  formulare  giudizi  attendibili.  

Per   quanto   attiene   alle   reti   ospedaliere   regionali   di   diritto   pubblico,   infatti,   è  

ragionevole   attribuire   un   valore   diverso   a   quelle   che   si   pongono   sopra   alla   media  

nazionale  rispetto  a  quelle  che  si  pongono  sotto,  ma   i  singoli  valori  regionali   lasciano  

perplessi.  

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E’   curioso   infatti   come   le   due   regioni   leader   per   attrattività   e   equilibrio   economico  

quali   Lombardia   ed   Emilia   Romagna   presentino   valori   medi   nella   propria   classe   più  

bassi  rispetto  ad  altre  regioni  con  indicatori  di  attrattività  e  dati  economici  peggiori.  

Per  quanto  attiene  alle  reti  ospedaliere  di  diritto  privato,  già  negli  anni  scorsi  abbiamo  

osservato   come   il   valore   di   case-­‐mix   debba   essere   correlato   alla   dimensione   che  

questa  componente  assume  nel  contesto  dell’intero  sistema  sanitario  regionale  di  cui  

fa  parte.  

La  situazione  delle  singole  regioni  italiane  è  infatti  molto  variegata,  e  ogni  giudizio  deve  

essere  riferito  al  rapporto  complessità/volume  della  casistica.  

Rapporto   difficile   da   calcolare   proprio   per   l’assenza   di   dati   affidabili   sull’attività  

ospedaliera.  

Pur  con  questi   limiti,  non  possiamo  non  rilevare  che   il  valore  del  case-­‐mix  dell’intera  

rete   ospedaliera   di   diritto   pubblico   italiana   è   del   1,01,  mentre   il   valore   del   case  mix  

dell’intera  rete  ospedaliera  di  diritto  privato  è  del  1,07.  Un  dato  grossolano,  che  però  

quanto  meno   evidenzia   il   valore   di   un   investimento   nel   servizio   pubblico   dell’intero  

sistema  AIOP  italiano.  

Ciò   che   più   qui   interessa   non   è   però   una   qualche   forma   di   gara   qualitativa  

pubblico/privato,   che   per   altro   si   presta   a   interpretazioni   le   più   disparate   ed  

antitetiche.  

E’  invece  per  noi  più  interessante  tentare  una  qualche  forma  di  valutazione  che  porti  a  

misurare  il  vantaggio  reciproco  fra  le  componenti  di  diritto  pubblico  e  di  diritto  privato,  

vantaggio  in  ultima  analisi  riferibile  ai  livelli  di  qualità.  

In   altre   parole,   possiamo   domandarci   se   in   un   sistema   sanitario   regionale,   un   buon  

livello  di  case-­‐mix  della  rete  pubblica  sia  collegato  ad  un  buon  livello  di  case  mix  della  

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rete   privata,   o   se   le   due   componenti   possano   muoversi   secondo   dinamiche  

indipendenti.  

Abbiamo  tentato  di  rispondere  a  questa  domanda  correlando  i  valori  dei  due  case-­‐mix  

regione  per  regione,  come  si  vede  in  figura  3.  

L’analisi   statistica   mostra   un   buon   livello   di   correlazione,   il   che   conferma   come   la  

qualità  complessiva  di  un  sistema  sanitario  regionale  derivi  necessariamente  dai  valori  

della  componente  pubblica  sommati  ai  valori  della  componente  privata.  

Pur  nelle  sensibili  differenze  regionali,  questo  principio  sembra  nettamente  affermato  

dall’evidenza.   Esso   da   un   lato   conferma   la   bontà   della   scelta   di   costruire   sistemi  

sanitari  regionali  misti,  dall’altro  fa  capire  come  un  buon  privato  e  un  buon  pubblico  in  

sanità   siano   due   facce   della   stessa  medaglia,   al   di   là   dei   pregiudizi   e   delle   posizioni  

ideologicamente  predeterminate.  Più  avanti  vedremo  come  le  scelte  politiche  sanitarie  

regionali   capaci   di   utilizzare   al   meglio   la   componente   ospedaliera   di   diritto   privato  

forniscano   alla   regione   che   le   adotta   un   vantaggio   qualitativo   che   si   traduce  

immediatamente   in  vantaggi  per   la  popolazione,  sia  sul  piano  sanitario  che  su  quello  

economico.  

 

 

 

 

 

 

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FIG.   1-­‐  Distribuzione   dei   valori   di   case-­‐mix   nella   rete   ospedaliera   di   diritto   pubblico   nelle   regioni  italiane  –Anno  2009-­‐  

 

Fonte:  nostra  elaborazione  su  dati  Ermeneia.  Ospedali  e  Salute  2011  

FIG.  2-­‐  Distribuzione  dei  valori  di  case-­‐mix  nelle  reti  ospedaliere  di  diritto  privato  nelle  regioni  italiane  –Anno  2009-­‐  

 

Fonte:  nostra  elaborazione  su  dati    Ermeneia.Ospedali  e  Salute  2011  

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FIG.  3  -­‐  Correlazione  fra  il  case  mix  delle  reti  ospedaliere  di  diritto  pubblico  e  quelle  di  diritto  privato  –Anno  2009-­‐  

 

Fonte:  nostra  elaborazione  su  dati  Ermeneia.  Ospedali  e  Salute  2010  

4.  Pubblico  –  privato  nel  SSN  –  il  posizionamento  nei  sistemi  sanitari  regionali  

Nella   valutazione   dell’apporto   delle   aziende   ospedaliere   di   diritto   privato   al   Servizio  

Sanitario  nelle  varie  Regioni  abbiamo  per  molti  anni  potuto  utilizzare  un  solo  gruppo  di  

dati   qualitativi,   rappresentati   dal   valore   di   case-­‐mix   e   di   peso   medio.   Come   già  

abbiamo  osservato,   si   tratta  di  due  dati   importanti,   la   cui   confrontabilità   fra   tutte   le  

Regioni   è   però   dubbia,   come   è   approssimativo   il   loro   utilizzo   per   valutare   la   qualità  

della  casistica  ospedaliera.  

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Essi   ci   forniscono   inoltre   una   rappresentazione   della   realtà   insoddisfacente   anche  

perché  non  consentono  di  rilevare  il  posizionamento  delle  varie  reti  ospedaliere.  

Difettano  cioè  di  un  dato  quantitativo,  la  cui  mancanza  induce  all’errore  di  valutazione  

di   non   poter   distinguere   una   piccola   rete   ospedaliera   da   una   molto   grande,   il   cui  

impatto  sull’intero  sistema  ospedaliero  della  Regione  in  cui  si  trova  è  ben  maggiore.  

Questa  limitazione,  fra  l’altro,  ha  impedito  fino  ad  oggi  di  confrontare  adeguatamente  

le   caratteristiche   dei   sistemi   sanitari   regionali   e   i   sottostanti   indirizzi   di   politica  

sanitaria  per  ciò  che  riguarda  caratteristiche  e  dimensione  delle  reti  di  erogatori  privati.  

Correlare  qualità  e  dimensione  della  rete  ospedaliera  che  la  produce  diventa  pertanto  

determinante,  ma  questa  esigenza  si  è  sempre  scontrata  con  la  non  disponibilità  di  dati  

nazionali  sull’effettivo  volume  di  attività  delle  reti  ospedaliere  di  diritto  pubblico  e  di  

diritto  privato  nella  varie  Regioni  italiane.  

Nel   2009   abbiamo   elaborato   per   la   prima   volta   un  metodo   (G.Pelissero   e   G.   Rotelli  

2009)   per   analizzare   l’impatto   quali-­‐quantitativo,   e   conseguentemente   il   ruolo   delle  

reti  ospedaliere  di  diritto  privato,  classificandolo  in  quattro  classi.  

La   I°   e   la   II°   classe   presentano   un   alta   complessità.   La   II°,   che   abbiamo   definito   di  

nicchia,   esprime   volumi   di   attività   contenuti   con   un   impatto   complessivamente  

limitato   sull’intero   sistema  ospedaliero;   la   I°,   con  alta   complessità   e   alto   impatto   sul  

sistema   complessivo,   si   configura   come   la   forma   matura   di   un   sistema   ospedaliero  

misto.  

Le   III  e   IV  classe  sono  a  bassa  complessità,  e  si  differenziano   in  base  alla  dimensione  

limitata  o  rilevante  assunta  nell’insieme  del  sistema  sanitario  regionale.  

Nel   2010   abbiamo   ripetuto   l’esercizio   utilizzando   come   variabili   il   case-­‐mix   2008   e   il  

numero   di   ricoveri   delle   reti   ospedaliere   regionali   di   diritto   privato.   Quest’anno  

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abbiamo  aggiornato  l’analisi  utilizzando  i  valori  di  case-­‐mix  2009,  riportando  i  risultati  

in  figura  4.    

Occorre   subito   dire   ancora   una   volta   che   entrambe   le   variabili   forniscono   una  

indicazione   solo   approssimativa   della   qualità   e   del   posizionamento   delle   reti  

ospedaliere.  

Infatti   come  più  volte   ricordato,  non   riteniamo  pienamente  confrontabile   il   valore  di  

case-­‐mix   rilevato   nelle   diverse   Regioni,   in   conseguenza   delle   ormai   importanti  

differenze  nella  classificazione  dei  ricoveri.  

Anche   il   numero   dei   ricoveri   non   è   sufficiente   a   fornire   una   indicazione   di  

posizionamento  completamente  soddisfacente.  

Basti   ricordare   in   proposito   come   ad   esempio   in   Lombardia   la   rete   ospedaliera   di  

diritto  privato  effettui  il  30%  di  tutti  i  ricoveri  della  Regione,  ma  essi  corrispondono  per  

la  complessità  della  casistica  al  36%  del  valore  di  tutte  le  prestazioni  erogate.  

Pur  con  tutti  questi   limiti,   l’elaborazione  presentata   in  figura  4  conferma  pienamente  

l’esistenza,   in   Italia,   di   quattro   diverse   categorie   di   privato   che   opera   nei   sistemi  

sanitari  regionali.  

In   sintesi   ci   troviamo   di   fronte   a   un   quadro   complessivo   che   mostra   un   lento  

progredire  della  presenza  di  sistemi  ospedalieri  misti  nella  maggior  parte  delle  regioni  

italiane,   senza   però   quella   spinta   coraggiosa   e   riformatrice   che   caratterizza   la   sola  

Lombardia   e   che,   invece,   sembra   sempre   più   affermarsi   nei   principali   paesi   europei,  

dalla  Germania  (1)  alla  Spagna  (2)  

 

 

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Fig.4    -­‐  Posizionamento  del  privato  rispetto  all’attività  complessiva     (pubblico  +  privato)  nelle  regioni  

italiane.  Anno  2009  

 

Fonte:  nostra  elaborazione  su  dati  OASI    2010  e  su  dati    Ermeneia.  Ospedali  e  Salute  2010  

 (1(   G.   Nenbaner   e   A.   Beivers.   Variazioni   strutturali   e   crescente   privatizzazione   del  mercato  ospedaliero  tedesco  In  Eppur  si  muove.  IBL  libri.  Torino.  2010)  

(2)  (   G.   Pelissero   e   L.   Scudiero.Il   futuro   del  welfare   sanitaro.  Un   caso   spagnolo   e   uno  italiano.  –  IBL  libri.  Torino  2011)  

 5.  Spesa  sanitaria  pubblica  

Ma  non  vi  è  dubbio  che,  pur  con  le  note  e  gravi  differenze  regionali,  i   livelli  di  qualità  

delle   prestazioni   erogate   sono   spesso   buoni,   talora   ottimi,   il   grado   di   soddisfazione  

espresso   dai   cittadini   è   costantemente   elevato   (come   confermano   anche   i   nostri  

rapporti  annuali),   il   sistema  nel   suo  complesso  contiene  strumenti  di   compensazione  

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per   le   situazioni   insoddisfacenti   quali   il   diritto   a   ricevere   cure   su   tutto   il   territorio  

nazionale  con  una  sostanziale  libertà  di  scelta  fra  erogatori,  e  soprattutto  è  un  sistema  

poco   costoso,   come   viene   sinteticamente   documentato   da   tutte   le   statistiche   in-­‐

ternazionali.  

Basta   osservare   i   dati  OCSE   riportati   in   tabella   1   per   vedere   come   la   spesa   sanitaria  

pubblica  italiana  si  collochi  costantemente  fra  1  e  2  punti  percentuali  di  PIL  al  di  sotto  

di  quella  di  paesi  con  noi  confrontabili,  quali  Francia  e  Germania.  

Ma  ancor  di  più  dobbiamo  notare  come  l’andamento  più  recente  è  ancora  più  virtuoso,  

con  un  calo  dal  2010  al  2011  della  spesa  sanitaria  pubblica  dal  7,2%  al  7,1%  del  PIL  (un  

PIL  in  diminuzione!).  

Se  si  considera  che  stiamo  parlando  di  un  settore  ad  alta  innovazione  tecnologica,  che  

altresì   rappresenta   un   formidabile   ammortizzatore   sociale   in   un   momento   di  

prolungata  crisi  economica,  dovremmo  compiacerci  di  questo  successo  italiano.  

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Tab.  1  –  Incidenza  percentuale  della  spesa  sanitaria  pubblica  sul  PIL  (1990;  1995;  2000-­‐2010)  

  1990  1995  2000  2001  2002  2003  2004  2005  2006  2007  2008  2009  2010  

– Austria   6,1   7,0   7,6   7,7   7,7   7,8   7,9   7,9   7,8   7,7   7,7   8,2   8,0  

– Belgio   n.d.   6,5   6,6   6,7   6,7   7,2   7,5   7,4   n.d.   7,1   7,5   8,1   8,0  

– Danimarca   6,9   6,7   6,8   7,1   7,3   7,8   7,9   7,9   8,1   8,2   8,2   9,3   9,1  

– Finlandia   6,2   5,7   5,1   5,3   5,6   5,9   6,0   6,2   6,2   6,1   5,9   6,5   6,3  

– Francia   6,4   8,3   8,0   8,1   8,4   8,6   8,7   8,8   8,7   8,4   8,2   8,7   8,7  

– Germania   6,3   8,2   8,2   8,3   8,4   8,5   8,1   8,2   8,1   8,0   7,9   8,7   8,6  

– Grecia   3,5   4,5   4,7   5,3   5,3   5,4   5,1   5,7   5,9   5,8   n.d.   n.d.   n.d.  

– Irlanda   4,4   4,8   4,6   5,1   5,4   5,7   5,9   5,6   5,5   6,1   6,4   6,9   6,1  

– Italia   6,1   5,1   5,8   6,1   6,2   6,2   6,6   6,8   6,9   6,7   6,8   7,2   7,2  

– Lussemburgo   5,0   5,1   5,2   5,6   6,1   6,8   7,3   6,9   6,6   5,4   5,1   6,6   n.d.  

– Olanda   5,4   5,9   5,0   5,2   5,5   5,8   5,7   n.d.   n.d.   7,3   8,7   9,5   9,6  

– Portogallo   3,8   4,9   6,4   6,3   6,5   7,1   7,2   7,3   7,1   6,2   6,4   6,9   6,8  

– Spagna   5,1   5,4   5,2   5,2   5,2   5,7   5,8   5,8   6,0   6,1   6,3   7,0   6,9  

– Svezia   7,4   6,9   7,0   7,3   7,6   7,8   7,5   7,5   7,4   7,4   7,2   7,7   7,3  

– Regno  Unito   4,9   5,7   5,6   5,8   6,1   6,2   6,6   6,7   6,9   6,9   7,2   n.d.   n.d.  

Totale  UE  (15)   5,6   6,7   6,6   6,8   7,0   7,1   7,2   7,0   7,0   6,9   7,1   7,8   7,7  

Fonte:  OCSE  (Health  Data)  

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Naturalmente   esistono   inefficienze,   sprechi   ed   episodi   di   mala   gestione   (a   carico   di  

amministrazioni  pubbliche  e  private)  ed  episodi  di  malasanità,  come  avviene  in  tutti   i  

grandi  sistemi  sanitari  al  mondo.  

Tutti  fattori  negativi  da  individuare  capillarmente,  e  capillarmente  eliminare.  

Ma  questo  non  toglie  che,  in  termini  macro,  il  sistema  sia  sano  e  utile.  O  se  vogliamo  

dirlo  con  altre  parole,  sostenibile  ed  efficace.  

Un  sistema,  però,  esposto  ad  una  seria  e  costante  minaccia,  che  era  ben  evidente  già  

dal  2010  quando  scrivevamo,  commentando  i  dati  OCSE  sulla  spesa  sanitaria  pubblica:  

“Il   problema   italiano   non   è   dunque   quello   di   una   spesa   sanitaria   eccessiva,   anzi,   è  

invece   quello   di   una   spesa   sanitaria   più   che   moderata   in   uno   stato   con   una   spesa  

pubblica  complessiva  eccessiva”1.  

E  nel  2011  il  problema  si  è  puntualmente  presentato.  

6.  Le  critiche  e  i  tagli  

Non  è  questa  la  sede  per  ripercorrere  e  discutere  gli  eventi  macroeconomici  di  questi  

anni,  e  neppure  per  riesaminare  quanto  è  avvenuto  in  Italia  con  l’aggravarsi  della  crisi  

della  finanza  pubblica  a  partire  dal  2011.  

Per  ciò  che  ci  riguarda,  invece,  dobbiamo  risalire  ai  primi  interventi  generali  di  finanza  

pubblica   attuati   all’emergere   della   crisi   per   vedere   comparire   importanti  

provvedimenti   sul   Sistema   Sanitario.   Ed   è   con   la   così   detta   “Legge   Salva   Italia”,   L.  

111/2011  che  vediamo  i  primi  tagli,  che  presto  si  sommeranno  a  quelli  previsti  dal  DL  

95/2012   convertito   nella   L.   135/2012,   e   forse   (mentre   scriviamo)   ad   ulteriori   tagli  

previsti  dalla  Legge  di  Stabilità  2013,  come  sinteticamente  riportato  in  tabella  2.  

Una   serie   di   provvedimenti   che   determinano   una   drastica   azione   di   contenimento   e  

riduzione  della  spesa  sanitaria  pubblica,  giudicata  da  tutti  gli  attori  del  sistema  (Regioni,  

Aziende   Sanitarie   e   Ospedaliere   pubbliche   e   private,   categorie   professionali   e  

organizzazioni  sindacali)  come  praticamente  insostenibile  e,  di  fatto,  foriera  di  un  vero  

1 G. Pelissero, La sanità della Lombardia, Franco Angeli 2011.

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e   proprio   “mutamento   genetico”   della   natura   universalistica   e   solidale   del   Servizio  

Sanitario  Nazionale  italiano.  

Tab.  2  –  Spesa  sanitaria:  entità  dei  tagli  previsti  nel  triennio  2012-­‐2014  (Manovra  Tremonti  2011,  Spending  review  2012  e  Legge  di  stabilità  2013)  (in  milioni  di  €)  

   

Anno  2012  

Anno  2013   Anno  2014  Voci  di  spesa  

L.  135/12   L.  111/11   L.  135/12   L.  111/11   L.  135/12  – Ospedaliera  

accreditata    45,00       90,00       180,00    – Specialistica  

accreditata    25,00         50,00         100,00    Totale    70,00       140,00       280,00    – Personale   dipendente  

e  conv.     -­‐       163,50      – Farmaceutica  

accreditata    

325,00      

1.000,00     747,00      

1.090,00     747,00    – Beni  e  servizi  -­‐  Appalti  

e  forniture    

505,00     750,00     463,00      

1.199,00     393,00    – Beni   e   servizi   -­‐  

Standard  posti  letto       20,00       50,00    – Beni   e   servizi   -­‐  

Dispositivi  medici     750,00     400,00     817,50     500,00    – Erogatori   privati   -­‐  

Prestazioni  a  funz.       30,00       30,00    

– Nuovi  ticket          

2.180,00      Totale  L.111/11  e  L.  135/12  

 900,00    

 2.500,00    

 1.800,00    

 5.450,00      2.000,00    

Triennio  2012-­‐2014  (L.  111/11  e  L.  135/12)     12.650,00  Legge  di  stabilità  (0,6  mld  per  il  2013  e  1  mld  per  il  2014)     1.600,00  

Tagli  complessivi  triennio  2012-­‐2014     14.250,00    

Fonte:  dati  di  spesa  come  da  Provvedimenti  di  legge  citati  

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7.  Uscire  dal  tunnel  

Il  preoccupante  scenario  che  abbiamo  sinteticamente  descritto,  non    trova  al  momento,  

una  credibile  soluzione  nei  percorsi  amministrativi  individuati  della  così  detta  spending  

review,  che  a  nostro  parere  nella  sostanza  si  riduce  ad  una  mera  operazione  di  cassa  

priva  di  un  adeguato  e  profondo  disegno  riformatore.  

L’esortazione   a   ridurre   i   costi   e   ad   aumentare   l’efficienza   si   scontra,   infatti,   con  una  

traduzione   sistematica   in   tagli   lineari   dei   risparmi   previsti   dalle   leggi   che   abbiamo  

sopra  ricordato,  che  finiscono  per  punire  i  virtuosi  senza  stimolare  adeguatamente  chi  

ha  amministrato  in  modo  insoddisfacente.  

D’altra   parte,   è   ben   noto   che   significativi   guadagni   di   efficienza   in   un   complesso   e  

articolato  sistema  sanitario  delle  dimensioni  di  quello  italiano  richiedono  investimenti  

iniziali,  per  i  quali  oggi  non  sono  disponibili  le  necessarie  risorse.  

Tuttavia,   se   si   vuole   mantenere,   e   continuamente   migliorare,   il   sistema   sanitario  

pubblico,   se   vogliamo   salvare   questa   grande   conquista   di   civiltà,   se   vogliamo  

valorizzare   il   volano   economico   che   l’intera   filiera   della   sanità   potenzialmente  

rappresenta,   se   vogliamo   evitare   di   scaricare   sulle   famiglie   e   sulle   aziende   italiane   il  

costo  dell’assistenza   sanitaria   che  oggi   lo  Stato   si   assume   in   livelli  più  che  accettabili  

rispetto  a  quelli  europei,  dobbiamo  invertire  la  tendenza  affiorata  negli  ultimi  due  anni,  

e  passare  dagli  interventi  congiunturali  a  quelli  strutturali.  

Una  vera  riforma  della  sanità  italiana  è  possibile  e  può  essere  efficace.  

A  nostro  giudizio  può  essere  realizzata  con  pochi  ma  fondamentali  interventi.  

Il  primo  è  il  ritorno  al  pagamento  a  prestazione  per  tutte  le  prestazioni  ospedaliere  e  

ambulatoriali,   con   tariffe   realistiche   e   con   un   vero   impegno   per   tutte   le   aziende,  

pubbliche   e   private,   a   portare   i   propri   conti   economici   in   pareggio   finendo   con   i  

disavanzi  dichiarati  o  occulti.  

Il  secondo  è  un  modello  di  finanziamento  razionale,  che  può  essere  ricercato  secondo  

la   modalità   dei   costi   standard,   ma   che   a   nostro   giudizio   potrebbe   ben   più  

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correttamente   essere   concepito   come   l’impegno   a   pagare   tutte   le   prestazioni  

appropriate,  rese  in  ogni  regione  italiana  da  tutti  gli  erogatori  pubblici  e  privati,  con  un  

tariffario  realmente  corrispondente  ai  costi  razionalmente  rilevati.  

Breve  curriculum  

Gabriele  Pelissero:  

Medico   Chirurgo,   è   Professore   Ordinario   di   Igiene   e   Organizzazione   Sanitaria  

nell’Università  degli  Studi  di  Pavia,  dove  dirige  la  Scuola  di  Specializzazione  in  Igiene  e  

Medicina  Preventiva.    

Direttore   Scientifico   dell’IRCCS   Policlinico   San   Donato   (Milano),   Vice   Presidente   del  

Gruppo  Ospedaliero  San  Donato  e  dell’IRCCS  Ospedale  San  Raffaele  di  Milano.  

Vice  Presidente  Nazionale  ANMDO.    

Presidente  Nazionale  AIOP  (Associazione  Italiana  Ospedalità  Privata).  

E’   autore   di   più   di   200   pubblicazioni,   trattati   e   saggi   di   Epidemiologia,   Medicina  

Preventiva,  Organizzazione  Sanitaria  e  Politica  Sanitaria.