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VERSO UN SISTEMA SANITARIO APERTO
1. Sistemi sanitari europei
E’ comunemente accettato classificare i sistemi sanitari europei in due modelli, denominati Bismark e Beveridge dal loro ispiratore e dal loro primo realizzatore, caratterizzati da differenze anche rilevanti nell’organizzazione e nella modalità di finanziamento, ma accomunati da almeno due caratteristiche fondamentali: la tendenza all’universalità e la gestione sostanzialmente pubblicistica.
La tendenza all’universalità risponde ad una diffusa e ormai secolare aspettativa dei cittadini di tutti gli Stati europei, che si è imposta con forza ancor maggiore alla fine della II guerra mondiale, quale componente essenziale del sistema dei diritti sociali e dei modelli di welfare diffusi in tutto il vecchio continente.
La sanità europea è dunque un insieme di sistemi nazionali diversi fra loro ma accomunati dai principi di solidarietà e universalità delle coperture assistenziali, spesso orgogliosamente contrapposti al modello sviluppatosi negli Stati Uniti d’America, prestigioso sotto l’aspetto scientifico e professionale ma da molti ritenuto inaccettabile sotto l’aspetto sociale e politico.
Nella visione ampiamente accettata fino alla fine degli anni Sessanta, il ruolo dello Stato, direttamente o tramite le sue articolazioni locali, è assolutamente dominante nella sanità europea. Non solamente come regolatore, finanziatore e controllore, ma anche come proprietario e diretto gestore dell’intera rete di servizi, legittimato dall’impegno di assicurare l’equità, se non addirittura l’eticità, del sistema sanitario.
Questo assetto, come abbiamo già avuto modo di osservare1 inizia ad entrare in crisi fra gli anni Settanta e Ottanta dello scorso secolo per una serie di cause, quali lo sviluppo tecnologico e la crisi della finanza pubblica, il cui effetto è, fra l’altro, quello di mettere in discussione proprio la gestione pubblcistica dei sistemi sanitari.
La presenza dello Stato, delle Regioni, dei Comuni e dei loro rappresentanti, direttamente o indirettamente espressione della politica, alla guida di ospedali e di reti di servizi sanitari tende così ad essere considerata sempre meno una garanzia di equità e di eticità, e soprattutto fa emergere con forza il problema dell’efficienza gestionale e della qualità.
Ci si domanda, in altre parole, se le amministrazioni pubbliche e le persone che le rappresentano, esposte alla necessità di ricercare il consenso elettorale, siano i soggetti più adatti a controllare i costi e a sviluppare la qualità di ospedali divenuti ormai grandi aziende tecnologicamente avanzate.
Ma soprattutto ci si domanda se questo particolare tipo di oligopolio, dove un solo soggetto (la pubblica amministrazione) governa e possiede un settore produttivo diventato così grande da collocarsi in molti paesi europei intorno al 10 per cento del PIL, corrisponde all’interesse generale e sia in grado di assicurare quell’universalità del servizio che resta obiettivo comune e condiviso dalla totalità dei cittadini.
2. Verso i sistemi sanitari aperti
E’ del tutto evidente che questioni di questi tipo, che vanno affiorando con forza crescente in molti paesi europei negli anni Ottanta, pongono un forte dilemma ai governi.
Può una classe politica che governa e contemporaneamente amministra un settore di attività vasto e di assoluta rilevanza economica e sociale separare le due funzioni, rinunciando almeno in parte ai benefici che ne trae?
Non può certo rinunciare al governo, che è il suo mandato fondamentale, ma può rinunciare alla capillare rendita politica che deriva dall’amministrare in prima persona centinaia di ospedali e di servizi sanitari con centinaia di migliaia di posti di lavoro e centinaia di miliardi di euro di spesa in tutti i paesi europei?
E quale è l’opinione più diffusa fra i cittadini non di rado incerti fra l’immagine rassicurante dell’intermediazione pubblica di un servizio fondamentale quale la sanità e il bisogno di maggiore efficienza e qualità, per ridurre o almeno non aggravare ulteriormente il carico fiscale e non perdere l’opportunità di buone cure facilmente accessibili?
La risposta a queste domande non è, in Europa, né univoca né lineare, come d’altronde né prevedibile anche per l’immaturità istituzionale dell’Unione Europea, che non è ancora in grado di orientare una azione comune degli Stati membri su queste materie.
Ma pur ricercando ogni Stato una propria strada, spesso ulteriormente articolata nelle componenti regionali e locali laddove è più storicamente radicato lo spirito
autonomistico, è indubbio che negli ultimi due decenni siano emersi orientamenti affini, che conducono, almeno potenzialmente, ad una profonda modificazione dei sistemi di welfare sanitario.
Di questi sviluppi, almeno tre aspetti appaiono qui rilevanti.
Il primo è rappresentato dalla crescente consapevolezza che i sistemi di finanziamento tradizionali delle attività sanitarie non sono più proponibili, almeno per tutto il grande comparto delle cure ospedaliere e specialistiche ambulatoriali. La crisi del debito pubblico attualmente in corso conferma una volta di più che un massiccio ricorso alle finanze pubbliche è di fatto insostenibile.
Quando gli ospedali erano Enti di pubblica carità a basso contenuto tecnologico, il sistema di finanziamento a costi, che remunera globalmente i fattori produttivi impiegati, poteva essere considerato sostanzialmente sostenibile.
Ma già negli anni Ottanta si era osservato che con questo sistema ogni amministrazione ospedaliera tende inevitabilmente ad incrementare i costi prescindendo dalle prestazioni effettivamente erogate, nascondendo le proprie inefficienze e le proprie carenze qualitative dietro una cortina di affermazioni moralistiche ed autoreferenziali apparentemente inattaccabile.
L’evoluzione del sistema di pagamento a costi è avvenuta in due direzioni, non necessariamente fra di loro inconciliabili.
Una è rappresentata dal pagamento a quota capitaria, che ha un evidente profilo di tipo assicurativo, e che viene usato quale forma di finanziamento globale ai gestori di sistemi sanitari deputati a rispondere all’intera domanda di una popolazione.
Questo sistema è attualmente utilizzato in Italia (con correttivi spesso discutibili) per il riparto fra le Regioni del finanziamento nazionale.
L’altra è rappresentata dal pagamento a prestazione, il cui capostipite è il sistema DRG che tende a remunerare ogni singola prestazione erogata.
Questo metodo si applica molto bene all’attività ospedaliera e specialistica ambulatoriale, e se correttamente utilizzato consente di conseguire i massimi livelli di efficienza facendo coincidere il finanziamento con l’attività effettiva.
In Europa questo metodo è stato introdotto per la prima volta in Italia nel 1992, e si va diffondendo in questi anni in Paesi quali la Germania e la Francia.
L’implementazione del pagamento a prestazione degli ospedali, in realtà, non sta avvenendo senza contrasti.
Esso infatti evidenzia molte rendite di posizione, inefficienze, cattive gestioni delle risorse presenti in moltissimi ospedali europei a gestione pubblica, e conseguentemente provoca le reazioni indignate delle burocrazie e delle lobby professionali mediche trincerate da sempre dietro l’assenza di misure di controllo sull’attività effettivamente svolta.
Pur con questi limiti il pagamento a prestazione genera effetti rilevanti: consente ad esempio per la prima volta di misurare volumi e qualità dell’attività ospedaliera (sia nei grandi sistemi sanitari regionali che nei singoli ospedali fino a ciascuna equipe medica), e soprattutto assegna al paziente ricoverato un nuovo status.
Egli infatti non può più essere avvertito come semplice fruitore di un servizio offertogli gratuitamente da una grande organizzazione, ma diventa il vero finanziatore dell’ospedale, come fino a prima dell’introduzione del pagamento a prestazione erano solamente i pazienti “solventi”, pazienti ricchi in grado di pagare direttamente le cure, corteggiatissimi dalle amministrazioni e dai medici.
L’introduzione del pagamento a prestazione rappresenta una condizione fondamentale perché si generi un secondo fondamentale sviluppo dei sistemi di welfare sanitario: la libertà di scelta del luogo di cura da parte del cittadino.
Per comprendere appieno l’importanza di questo diritto bisogna considerare che, nell’impianto originario dei sistemi sanitari europei, la libertà di scelta del cittadino e del paziente non è certo collocata fra le priorità.
Il sentimento dominante nei sistemi amministrativi e centralistici è infatti quello di orientare e dirigere l’utente nelle sue scelte – per il suo bene, s’intende – poiché da solo non sarebbe in grado di adottare le giuste decisioni per la sua salute.
Le burocrazie nei sistemi infeudatisti di welfare sanitario europeo si compiacciono spesso ancora oggi di ricordare l’esistenza di una “asimmetrica informativa” fra
paziente e organizzazione sanitaria, che fa del paziente un soggetto in permanente minorità, da consigliare e, se necessario, da orientare in modo stringente.
Poiché è la stessa burocrazia che valuta la qualità delle prestazioni, non c’è alcuna possibilità di derogare dalle sue scelte.
In realtà questa visione di welfare sanitario, a dir poco paternalistica, è sempre più frequentemente messa in crisi dal desiderio di libertà e dalla spinta a ricercare cure migliori.
Di queste tensioni fa fede la dialettica comunitaria, che da anni vede ormai il Parlamento Europeo su posizioni liberali, orientato alla libera circolazione dei pazienti, contrapposto al Consiglio d’Europa, espressione degli Stati membri, attestato su posizioni protezionistiche.
La recentissima direttiva sulla mobilità transfrontaliera (n. 2011/24 EU del 9/3/2011) non è in questa senso che un primo passo verso una concezione più avanzata e aperta dei sistemi sanitari.
Ciò che qui preme osservare è che il principio della libertà di scelta, unito al metodo del pagamento a prestazione delle cure, si configura come un potente motore di cambiamento, potenzialmente in grado di sconvolgere ogni programmazione sanitaria statale mettendo nelle mani dei cittadini (o meglio in questo caso “nei piedi”) il futuro economico delle istituzioni sanitarie e ospedaliere, che potranno crescere se verranno scelte dagli utenti, che ricorrendo ai servizi offerti porteranno con sé il pagamento delle relative tariffe.
Saranno invece costrette a declinare se non si dimostreranno in grado di offrire servizi credibili, a causa del progressivo abbandono da parte dei pazienti e del conseguente calo di ricavi.
Libertà di scelta e pagamento a prestazione innescano processi di tipo competitivo, nei quali i sistemi sanitari nazionali e regionali, i singoli ospedali e poliambulatori, le equipe mediche con i loro collaboratori lentamente ma inesorabilmente crescono o declinano.
Viene così premiata la qualità, l’eccellenza, l’accoglienza a danno della cattiva reputazione, della incapacità di migliorare continuamente, della indifferenza rispetto ai bisogni degli utenti.
Scegliere e portare con sé il finanziamento potrebbe dunque diventare il vero strumento nelle mani dei cittadini che modella i sistemi sanitari degli Stati e, in prospettiva dell’intera Unione Europea.
Ma perché esso si realizzi occorre un terzo fattore: il pluralismo degli erogatori.
E’ del tutto evidente, infatti, che se i sistemi sanitari europei rimanessero interamente proprietà dei relativi Stati, si confermerebbe comunque un monopolio, articolato quanto si vuole, ma ancora intrinsecamente refrattario a modellarsi sul principio della libertà di scelta e del pagamento a prestazione.
Solo la presenza di una quota, non rilevante, di ospedali e poliambulatori a gestione non pubblica può dunque completare il disegno di radicale riforma degli storici sistemi di welfare europei.
Bisogna riconoscere che questa esigenza è stata in parte compresa, almeno dai governi più dinamici e attenti al futuro.
Emblematico, in questo, l’esempio della Germania ben descritto da Gunter Neubauer e Andreas Beivers, mentre l’approccio più radicale dell’Olanda ambisce ad azzerare definitivamente qualunque residuo oligopolista.
Nei paesi dove il mix rappresentato da pagamento a prestazione/libertà di scelta/pluralismo degli erogatori si è realizzato, si genera dunque un nuovo modello di welfare sanitario, sostanzialmente indifferente all’iniziale natura Bismark o Beveridge del sistema, che ne ingloba la caratteristica dell’universalità e della solidarietà integrandole con nuovi valori e nuove caratteristiche, rappresentati dall’efficienza, dalla qualità e dalla libertà.
Questa configurazione di sistema, che potremmo definire “aperta” in contrapposizione a quella centralistica e statalistica dei modelli originali, comporta un modello di sanità fondato su un mix pubblico/privato, caratterizzato da una reale centralità del cittadino utente. Non è ancora una realtà consolidata in tutta l’UE, ma le sperimentazioni si
moltiplicano, e soprattutto offrono risultati interessanti, valutabili su elementi concreti e oggettivi.
3. Il pluralismo nei sistemi sanitari regionali italiani
L’analisi delle principali caratteristiche del sistema ospedaliero italiano e delle reti che
lo compongono conferma anche quest’anno caratteristiche che possiamo
sinteticamente così riassumere:
Il sistema ospedaliero, in quasi tutte le Regioni, è un sistema misto pubblico/privato,
con una composizione che vede la componente pubblica nel 2009 con un minimo
incremento rispetto all’anno precedente, collocata al 78,7% dei posti letto, e la
componente privata in corrispondente minima flessione al 21,3% dei posti letto (nel
2008 rispettivamente al 78,5% e 21,5%).
La presenza del privato all’interno del servizio pubblico è disomogenea fra le diverse
Regioni.
La Tab. 1 mostra le prime 8 Regioni per presenza di aziende di diritto privato nel
proprio sistema ospedaliero espresse in posti letto, e vede la Lombardia ancora all’8°
posto con una percentuale di posti letto che si allinea alla media nazionale (21,7% in
Lombardia e 21,3% in Italia).
Tab. 1 -‐ Mix Pubblico – Privato nei Sistemi Ospedalieri delle Regioni Italiane. Anni 2003-‐ 2009, Prime 8 Regioni per la presenza nel Sistema di Aziende di Diritto Privato (area AIOP)
Regione
% di posti letto appartenenti ad Aziende di diritto privato (Area AIOP nella rete ospedaliera regionale
Anno 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009
Calabria 32,3 36,6 42,5 42,9 42,9 40,4 36,2
Campania 36,1 35,8 32,8 32,7 33,1 34,2 35,5
Lazio 33,5 34,3 33,6 33,8 33,6 31,8 28,9
Emilia R. 23,7 24,8 24,2 23,4 24,1 24,2 24,9
Abruzzo 28,2 31,4 26,0 23,7 24,2 22,2 22,6
Sicilia 22,5 23,2 23,3 23,8 24,2 24,9 21,7
Lombardia 21,7 22,6 23,2 22,3 20,6 21,3 21,7
Piemonte 20,5 21,1 21,7 22,3 22,3 21,4 21,7
ITALIA 21,3 22,0 21,9 22,0 21,6 21,5 21,3
Fonte: Ermeneia Ospedali E Salute 2011
Il parametro di valutazione costituito dai posti letto è però sempre meno interessante
rispetto ai dati di qualità e operatività.
Dati questi ultimi disponibili solo parzialmente e sostanzialmente rappresentati, per gli
aspetti qualitativi, dai valori di case-‐mix e di peso medio.
Le figure 1 e 2 mostrano la distribuzione del valore di case mix delle Aziende sanitarie e
ospedaliere di diritto pubblico e di diritto privato di tutte le Regioni nel 2009.
Premesso che, a partire dal 2009, i valori riferiti sono calcolati con la nuova versione
DRG CMS 24.0, è necessario qui richiamare le perplessità enunciate nel capitolo 1, che
rendono problematico formulare giudizi attendibili.
Per quanto attiene alle reti ospedaliere regionali di diritto pubblico, infatti, è
ragionevole attribuire un valore diverso a quelle che si pongono sopra alla media
nazionale rispetto a quelle che si pongono sotto, ma i singoli valori regionali lasciano
perplessi.
E’ curioso infatti come le due regioni leader per attrattività e equilibrio economico
quali Lombardia ed Emilia Romagna presentino valori medi nella propria classe più
bassi rispetto ad altre regioni con indicatori di attrattività e dati economici peggiori.
Per quanto attiene alle reti ospedaliere di diritto privato, già negli anni scorsi abbiamo
osservato come il valore di case-‐mix debba essere correlato alla dimensione che
questa componente assume nel contesto dell’intero sistema sanitario regionale di cui
fa parte.
La situazione delle singole regioni italiane è infatti molto variegata, e ogni giudizio deve
essere riferito al rapporto complessità/volume della casistica.
Rapporto difficile da calcolare proprio per l’assenza di dati affidabili sull’attività
ospedaliera.
Pur con questi limiti, non possiamo non rilevare che il valore del case-‐mix dell’intera
rete ospedaliera di diritto pubblico italiana è del 1,01, mentre il valore del case mix
dell’intera rete ospedaliera di diritto privato è del 1,07. Un dato grossolano, che però
quanto meno evidenzia il valore di un investimento nel servizio pubblico dell’intero
sistema AIOP italiano.
Ciò che più qui interessa non è però una qualche forma di gara qualitativa
pubblico/privato, che per altro si presta a interpretazioni le più disparate ed
antitetiche.
E’ invece per noi più interessante tentare una qualche forma di valutazione che porti a
misurare il vantaggio reciproco fra le componenti di diritto pubblico e di diritto privato,
vantaggio in ultima analisi riferibile ai livelli di qualità.
In altre parole, possiamo domandarci se in un sistema sanitario regionale, un buon
livello di case-‐mix della rete pubblica sia collegato ad un buon livello di case mix della
rete privata, o se le due componenti possano muoversi secondo dinamiche
indipendenti.
Abbiamo tentato di rispondere a questa domanda correlando i valori dei due case-‐mix
regione per regione, come si vede in figura 3.
L’analisi statistica mostra un buon livello di correlazione, il che conferma come la
qualità complessiva di un sistema sanitario regionale derivi necessariamente dai valori
della componente pubblica sommati ai valori della componente privata.
Pur nelle sensibili differenze regionali, questo principio sembra nettamente affermato
dall’evidenza. Esso da un lato conferma la bontà della scelta di costruire sistemi
sanitari regionali misti, dall’altro fa capire come un buon privato e un buon pubblico in
sanità siano due facce della stessa medaglia, al di là dei pregiudizi e delle posizioni
ideologicamente predeterminate. Più avanti vedremo come le scelte politiche sanitarie
regionali capaci di utilizzare al meglio la componente ospedaliera di diritto privato
forniscano alla regione che le adotta un vantaggio qualitativo che si traduce
immediatamente in vantaggi per la popolazione, sia sul piano sanitario che su quello
economico.
FIG. 1-‐ Distribuzione dei valori di case-‐mix nella rete ospedaliera di diritto pubblico nelle regioni italiane –Anno 2009-‐
Fonte: nostra elaborazione su dati Ermeneia. Ospedali e Salute 2011
FIG. 2-‐ Distribuzione dei valori di case-‐mix nelle reti ospedaliere di diritto privato nelle regioni italiane –Anno 2009-‐
Fonte: nostra elaborazione su dati Ermeneia.Ospedali e Salute 2011
FIG. 3 -‐ Correlazione fra il case mix delle reti ospedaliere di diritto pubblico e quelle di diritto privato –Anno 2009-‐
Fonte: nostra elaborazione su dati Ermeneia. Ospedali e Salute 2010
4. Pubblico – privato nel SSN – il posizionamento nei sistemi sanitari regionali
Nella valutazione dell’apporto delle aziende ospedaliere di diritto privato al Servizio
Sanitario nelle varie Regioni abbiamo per molti anni potuto utilizzare un solo gruppo di
dati qualitativi, rappresentati dal valore di case-‐mix e di peso medio. Come già
abbiamo osservato, si tratta di due dati importanti, la cui confrontabilità fra tutte le
Regioni è però dubbia, come è approssimativo il loro utilizzo per valutare la qualità
della casistica ospedaliera.
Essi ci forniscono inoltre una rappresentazione della realtà insoddisfacente anche
perché non consentono di rilevare il posizionamento delle varie reti ospedaliere.
Difettano cioè di un dato quantitativo, la cui mancanza induce all’errore di valutazione
di non poter distinguere una piccola rete ospedaliera da una molto grande, il cui
impatto sull’intero sistema ospedaliero della Regione in cui si trova è ben maggiore.
Questa limitazione, fra l’altro, ha impedito fino ad oggi di confrontare adeguatamente
le caratteristiche dei sistemi sanitari regionali e i sottostanti indirizzi di politica
sanitaria per ciò che riguarda caratteristiche e dimensione delle reti di erogatori privati.
Correlare qualità e dimensione della rete ospedaliera che la produce diventa pertanto
determinante, ma questa esigenza si è sempre scontrata con la non disponibilità di dati
nazionali sull’effettivo volume di attività delle reti ospedaliere di diritto pubblico e di
diritto privato nella varie Regioni italiane.
Nel 2009 abbiamo elaborato per la prima volta un metodo (G.Pelissero e G. Rotelli
2009) per analizzare l’impatto quali-‐quantitativo, e conseguentemente il ruolo delle
reti ospedaliere di diritto privato, classificandolo in quattro classi.
La I° e la II° classe presentano un alta complessità. La II°, che abbiamo definito di
nicchia, esprime volumi di attività contenuti con un impatto complessivamente
limitato sull’intero sistema ospedaliero; la I°, con alta complessità e alto impatto sul
sistema complessivo, si configura come la forma matura di un sistema ospedaliero
misto.
Le III e IV classe sono a bassa complessità, e si differenziano in base alla dimensione
limitata o rilevante assunta nell’insieme del sistema sanitario regionale.
Nel 2010 abbiamo ripetuto l’esercizio utilizzando come variabili il case-‐mix 2008 e il
numero di ricoveri delle reti ospedaliere regionali di diritto privato. Quest’anno
abbiamo aggiornato l’analisi utilizzando i valori di case-‐mix 2009, riportando i risultati
in figura 4.
Occorre subito dire ancora una volta che entrambe le variabili forniscono una
indicazione solo approssimativa della qualità e del posizionamento delle reti
ospedaliere.
Infatti come più volte ricordato, non riteniamo pienamente confrontabile il valore di
case-‐mix rilevato nelle diverse Regioni, in conseguenza delle ormai importanti
differenze nella classificazione dei ricoveri.
Anche il numero dei ricoveri non è sufficiente a fornire una indicazione di
posizionamento completamente soddisfacente.
Basti ricordare in proposito come ad esempio in Lombardia la rete ospedaliera di
diritto privato effettui il 30% di tutti i ricoveri della Regione, ma essi corrispondono per
la complessità della casistica al 36% del valore di tutte le prestazioni erogate.
Pur con tutti questi limiti, l’elaborazione presentata in figura 4 conferma pienamente
l’esistenza, in Italia, di quattro diverse categorie di privato che opera nei sistemi
sanitari regionali.
In sintesi ci troviamo di fronte a un quadro complessivo che mostra un lento
progredire della presenza di sistemi ospedalieri misti nella maggior parte delle regioni
italiane, senza però quella spinta coraggiosa e riformatrice che caratterizza la sola
Lombardia e che, invece, sembra sempre più affermarsi nei principali paesi europei,
dalla Germania (1) alla Spagna (2)
Fig.4 -‐ Posizionamento del privato rispetto all’attività complessiva (pubblico + privato) nelle regioni
italiane. Anno 2009
Fonte: nostra elaborazione su dati OASI 2010 e su dati Ermeneia. Ospedali e Salute 2010
(1( G. Nenbaner e A. Beivers. Variazioni strutturali e crescente privatizzazione del mercato ospedaliero tedesco In Eppur si muove. IBL libri. Torino. 2010)
(2) ( G. Pelissero e L. Scudiero.Il futuro del welfare sanitaro. Un caso spagnolo e uno italiano. – IBL libri. Torino 2011)
5. Spesa sanitaria pubblica
Ma non vi è dubbio che, pur con le note e gravi differenze regionali, i livelli di qualità
delle prestazioni erogate sono spesso buoni, talora ottimi, il grado di soddisfazione
espresso dai cittadini è costantemente elevato (come confermano anche i nostri
rapporti annuali), il sistema nel suo complesso contiene strumenti di compensazione
per le situazioni insoddisfacenti quali il diritto a ricevere cure su tutto il territorio
nazionale con una sostanziale libertà di scelta fra erogatori, e soprattutto è un sistema
poco costoso, come viene sinteticamente documentato da tutte le statistiche in-‐
ternazionali.
Basta osservare i dati OCSE riportati in tabella 1 per vedere come la spesa sanitaria
pubblica italiana si collochi costantemente fra 1 e 2 punti percentuali di PIL al di sotto
di quella di paesi con noi confrontabili, quali Francia e Germania.
Ma ancor di più dobbiamo notare come l’andamento più recente è ancora più virtuoso,
con un calo dal 2010 al 2011 della spesa sanitaria pubblica dal 7,2% al 7,1% del PIL (un
PIL in diminuzione!).
Se si considera che stiamo parlando di un settore ad alta innovazione tecnologica, che
altresì rappresenta un formidabile ammortizzatore sociale in un momento di
prolungata crisi economica, dovremmo compiacerci di questo successo italiano.
Tab. 1 – Incidenza percentuale della spesa sanitaria pubblica sul PIL (1990; 1995; 2000-‐2010)
1990 1995 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
– Austria 6,1 7,0 7,6 7,7 7,7 7,8 7,9 7,9 7,8 7,7 7,7 8,2 8,0
– Belgio n.d. 6,5 6,6 6,7 6,7 7,2 7,5 7,4 n.d. 7,1 7,5 8,1 8,0
– Danimarca 6,9 6,7 6,8 7,1 7,3 7,8 7,9 7,9 8,1 8,2 8,2 9,3 9,1
– Finlandia 6,2 5,7 5,1 5,3 5,6 5,9 6,0 6,2 6,2 6,1 5,9 6,5 6,3
– Francia 6,4 8,3 8,0 8,1 8,4 8,6 8,7 8,8 8,7 8,4 8,2 8,7 8,7
– Germania 6,3 8,2 8,2 8,3 8,4 8,5 8,1 8,2 8,1 8,0 7,9 8,7 8,6
– Grecia 3,5 4,5 4,7 5,3 5,3 5,4 5,1 5,7 5,9 5,8 n.d. n.d. n.d.
– Irlanda 4,4 4,8 4,6 5,1 5,4 5,7 5,9 5,6 5,5 6,1 6,4 6,9 6,1
– Italia 6,1 5,1 5,8 6,1 6,2 6,2 6,6 6,8 6,9 6,7 6,8 7,2 7,2
– Lussemburgo 5,0 5,1 5,2 5,6 6,1 6,8 7,3 6,9 6,6 5,4 5,1 6,6 n.d.
– Olanda 5,4 5,9 5,0 5,2 5,5 5,8 5,7 n.d. n.d. 7,3 8,7 9,5 9,6
– Portogallo 3,8 4,9 6,4 6,3 6,5 7,1 7,2 7,3 7,1 6,2 6,4 6,9 6,8
– Spagna 5,1 5,4 5,2 5,2 5,2 5,7 5,8 5,8 6,0 6,1 6,3 7,0 6,9
– Svezia 7,4 6,9 7,0 7,3 7,6 7,8 7,5 7,5 7,4 7,4 7,2 7,7 7,3
– Regno Unito 4,9 5,7 5,6 5,8 6,1 6,2 6,6 6,7 6,9 6,9 7,2 n.d. n.d.
Totale UE (15) 5,6 6,7 6,6 6,8 7,0 7,1 7,2 7,0 7,0 6,9 7,1 7,8 7,7
Fonte: OCSE (Health Data)
Naturalmente esistono inefficienze, sprechi ed episodi di mala gestione (a carico di
amministrazioni pubbliche e private) ed episodi di malasanità, come avviene in tutti i
grandi sistemi sanitari al mondo.
Tutti fattori negativi da individuare capillarmente, e capillarmente eliminare.
Ma questo non toglie che, in termini macro, il sistema sia sano e utile. O se vogliamo
dirlo con altre parole, sostenibile ed efficace.
Un sistema, però, esposto ad una seria e costante minaccia, che era ben evidente già
dal 2010 quando scrivevamo, commentando i dati OCSE sulla spesa sanitaria pubblica:
“Il problema italiano non è dunque quello di una spesa sanitaria eccessiva, anzi, è
invece quello di una spesa sanitaria più che moderata in uno stato con una spesa
pubblica complessiva eccessiva”1.
E nel 2011 il problema si è puntualmente presentato.
6. Le critiche e i tagli
Non è questa la sede per ripercorrere e discutere gli eventi macroeconomici di questi
anni, e neppure per riesaminare quanto è avvenuto in Italia con l’aggravarsi della crisi
della finanza pubblica a partire dal 2011.
Per ciò che ci riguarda, invece, dobbiamo risalire ai primi interventi generali di finanza
pubblica attuati all’emergere della crisi per vedere comparire importanti
provvedimenti sul Sistema Sanitario. Ed è con la così detta “Legge Salva Italia”, L.
111/2011 che vediamo i primi tagli, che presto si sommeranno a quelli previsti dal DL
95/2012 convertito nella L. 135/2012, e forse (mentre scriviamo) ad ulteriori tagli
previsti dalla Legge di Stabilità 2013, come sinteticamente riportato in tabella 2.
Una serie di provvedimenti che determinano una drastica azione di contenimento e
riduzione della spesa sanitaria pubblica, giudicata da tutti gli attori del sistema (Regioni,
Aziende Sanitarie e Ospedaliere pubbliche e private, categorie professionali e
organizzazioni sindacali) come praticamente insostenibile e, di fatto, foriera di un vero
1 G. Pelissero, La sanità della Lombardia, Franco Angeli 2011.
e proprio “mutamento genetico” della natura universalistica e solidale del Servizio
Sanitario Nazionale italiano.
Tab. 2 – Spesa sanitaria: entità dei tagli previsti nel triennio 2012-‐2014 (Manovra Tremonti 2011, Spending review 2012 e Legge di stabilità 2013) (in milioni di €)
Anno 2012
Anno 2013 Anno 2014 Voci di spesa
L. 135/12 L. 111/11 L. 135/12 L. 111/11 L. 135/12 – Ospedaliera
accreditata 45,00 90,00 180,00 – Specialistica
accreditata 25,00 50,00 100,00 Totale 70,00 140,00 280,00 – Personale dipendente
e conv. -‐ 163,50 – Farmaceutica
accreditata
325,00
1.000,00 747,00
1.090,00 747,00 – Beni e servizi -‐ Appalti
e forniture
505,00 750,00 463,00
1.199,00 393,00 – Beni e servizi -‐
Standard posti letto 20,00 50,00 – Beni e servizi -‐
Dispositivi medici 750,00 400,00 817,50 500,00 – Erogatori privati -‐
Prestazioni a funz. 30,00 30,00
– Nuovi ticket
2.180,00 Totale L.111/11 e L. 135/12
900,00
2.500,00
1.800,00
5.450,00 2.000,00
Triennio 2012-‐2014 (L. 111/11 e L. 135/12) 12.650,00 Legge di stabilità (0,6 mld per il 2013 e 1 mld per il 2014) 1.600,00
Tagli complessivi triennio 2012-‐2014 14.250,00
Fonte: dati di spesa come da Provvedimenti di legge citati
7. Uscire dal tunnel
Il preoccupante scenario che abbiamo sinteticamente descritto, non trova al momento,
una credibile soluzione nei percorsi amministrativi individuati della così detta spending
review, che a nostro parere nella sostanza si riduce ad una mera operazione di cassa
priva di un adeguato e profondo disegno riformatore.
L’esortazione a ridurre i costi e ad aumentare l’efficienza si scontra, infatti, con una
traduzione sistematica in tagli lineari dei risparmi previsti dalle leggi che abbiamo
sopra ricordato, che finiscono per punire i virtuosi senza stimolare adeguatamente chi
ha amministrato in modo insoddisfacente.
D’altra parte, è ben noto che significativi guadagni di efficienza in un complesso e
articolato sistema sanitario delle dimensioni di quello italiano richiedono investimenti
iniziali, per i quali oggi non sono disponibili le necessarie risorse.
Tuttavia, se si vuole mantenere, e continuamente migliorare, il sistema sanitario
pubblico, se vogliamo salvare questa grande conquista di civiltà, se vogliamo
valorizzare il volano economico che l’intera filiera della sanità potenzialmente
rappresenta, se vogliamo evitare di scaricare sulle famiglie e sulle aziende italiane il
costo dell’assistenza sanitaria che oggi lo Stato si assume in livelli più che accettabili
rispetto a quelli europei, dobbiamo invertire la tendenza affiorata negli ultimi due anni,
e passare dagli interventi congiunturali a quelli strutturali.
Una vera riforma della sanità italiana è possibile e può essere efficace.
A nostro giudizio può essere realizzata con pochi ma fondamentali interventi.
Il primo è il ritorno al pagamento a prestazione per tutte le prestazioni ospedaliere e
ambulatoriali, con tariffe realistiche e con un vero impegno per tutte le aziende,
pubbliche e private, a portare i propri conti economici in pareggio finendo con i
disavanzi dichiarati o occulti.
Il secondo è un modello di finanziamento razionale, che può essere ricercato secondo
la modalità dei costi standard, ma che a nostro giudizio potrebbe ben più
correttamente essere concepito come l’impegno a pagare tutte le prestazioni
appropriate, rese in ogni regione italiana da tutti gli erogatori pubblici e privati, con un
tariffario realmente corrispondente ai costi razionalmente rilevati.
Breve curriculum
Gabriele Pelissero:
Medico Chirurgo, è Professore Ordinario di Igiene e Organizzazione Sanitaria
nell’Università degli Studi di Pavia, dove dirige la Scuola di Specializzazione in Igiene e
Medicina Preventiva.
Direttore Scientifico dell’IRCCS Policlinico San Donato (Milano), Vice Presidente del
Gruppo Ospedaliero San Donato e dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
Vice Presidente Nazionale ANMDO.
Presidente Nazionale AIOP (Associazione Italiana Ospedalità Privata).
E’ autore di più di 200 pubblicazioni, trattati e saggi di Epidemiologia, Medicina
Preventiva, Organizzazione Sanitaria e Politica Sanitaria.