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QUADERNI DI STUDIO VERSO UNA FASE COSTITUENTE: LA REVISIONE DELLO STATUTO REGIONALE Settembre 2001 n. 17

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QUADERNI DI STUDIO

VERSO UNA FASE COSTITUENTE:

LA REVISIONE DELLO STATUTO REGIONALE

Settembre 2001 n. 17

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Direzione Segreteria dell’Assemblea Regionale A cura di Aurelia Jannelli, Silvia Arneodo, Angelo Casolo, Marina D’Agati

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Il 27 luglio 2001 è stato compiuto un passo di indubbia

rilevanza per il futuro della nostra Regione. L’Assemblea ha

approvato, all’unanimità, l’istituzione della Commissione

speciale per la revisione di quel documento fondamentale che,

unitamente alla Carta costituzionale, rappresenta la più alta

manifestazione del valore democratico di una società: lo statuto

regionale.

La deliberazione consiliare segna, in sostanza, l’inizio in

Piemonte di quella che si può definire, a buon diritto, una fase

“costituente” che si completerà con la redazione di un nuovo

testo statutario, ispirato al sistema istituzionale introdotto con

la legge costituzionale n. 1 del 1999, oltre che al complesso

delle norme statali vigenti.

Data l’importanza della riforma di imminente attuazione, si

è ritenuto opportuno fornire, quale impulso ai lavori di revisione,

un contributo di carattere tecnico: tale è l’intento che la presente

pubblicazione si prefigge. Con l’auspicio che possa, altresì,

offrire proficui ed ulteriori spunti di analisi, approfondimento e

riflessione.

Roberto COTA Presidente del Consiglio Regionale

del Piemonte

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Indice 1. La revisione dello Statuto della Regione Piemonte. Premesse. 2. La Legge costituzionale n. 1 del 1999 2.1 La forma di Governo 2.2 Il Presidente della Giunta, la Giunta ed il Consiglio regionale: funzioni e loro

rapporti 2.3 La legge elettorale 2.4 Il valore giuridico dello Statuto ed iter di approvazione e modifica. 3. L’organizzazione interna della Regione 3.1 L’Ufficio di Presidenza ed il Presidente del Consiglio 3.2 Il Presidente del Consiglio regionale come organo della Regione 3.3 Ulteriori riflessioni 4. La funzione legislativa del Consiglio 5. La partecipazione popolare ed il principio di trasparenza della P. A. 5.1 La partecipazione popolare e la legge n. 241 del 1990 5.2 Il principio di trasparenza della Pubblica Amministrazione. Connessioni con il

principio di riservatezza 5.3 Il referendum abrogativo 5.4 Il Difensore civico 6 Titolo V: l’attività amministrativa e i rapporti con gli Enti locali

e le Autonomie funzionali 6.1 Premesse 7 Lo stato giuridico ed economico del personale e la separazione dei ruoli. 8 Regioni e Comunità Europea Allegato Bibliografia

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1. La revisione dello Statuto della Regione Piemonte. Premesse.

(torna ad indice)

Il processo di revisione dello Statuto deve partire,

nell’organizzare i propri lavori, dall’analisi di ciò che è stato

scritto a suo tempo e di che cosa è stato attuato in tutti questi

anni; cosa va riscritto perché non più attuale, in base ad

evoluzioni legislative intervenute e che cosa, invece, non è stato

sufficientemente attuato.

Lo Statuto della Regione Piemonte è stato approvato con

legge dello Stato del 22 maggio 1971, n. 338 e con la successiva

legge 31 maggio 1991, n. 180 vi sono state apportate alcune

modifiche, parte di carattere formale e parte di tipo sostanziale,

senza, però, incidere sull’impostazione generale dello stesso.

E’ necessario, in particolare, recepire i principi e le

disposizioni introdotte con la legge costituzionale n. 1 del 1999

la quale – oltre a rivedere le modalità di elezione del Presidente

della Giunta – riscrive il valore giuridico dello Statuto regionale,

nonché individua i contenuti obbligatori; ridisegna i rapporti

Presidente della Giunta e Giunta e i rapporti Giunta - Consiglio.

Partendo, pertanto, da un articolato statutario a suo

tempo antesignano in alcune sue parti, ma oggi superato dalle

disposizioni legislative intervenute, metodologicamente si

ritiene opportuno procedere distinguendo tra riforme necessarie

e riforme possibili a Costituzione invariata.

Per l’analisi delle rriiffoorrmmee nneecceessssaarriiee, l’attenzione è

focalizzata sugli articoli dello Statuto che devono essere

aggiornati in quanto ormai completamente superati a seguito di

“nuovi e diversi” principi e disposizioni introdotti dalla legge

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costituzionale n. 1 del 1999 ma, anche, dalle leggi statali

successive all’approvazione dello Statuto.

Il processo di revisione dovrebbe tendere ad un percorso di

riforma nel suo complesso, non limitato all’attuazione di una

singola disposizione legislativa o di una singola legge.

Molte infatti, sono state le modifiche del sistema

istituzionale che hanno interessato la Pubblica

Amministrazione: la valorizzazione del sistema delle autonomie

locali con la revisione dei rapporti Stato-Regioni-Enti locali (con

le leggi n. 142 del 19901 e n. 59 del 19972, con il decreto

legislativo n. 112 del 19983 e, infine, con il nuovo testo unico

degli Enti locali4); l’applicazione delle regole procedimentali per

un’azione amministrativa funzionale, quindi snella, efficace e

trasparente (con la legge n. 241 del 19905); il principio di

responsabilizzazione dei dirigenti, con l’introduzione di un

modello organizzativo che prevede la distinzione tra funzione di

indirizzo e controllo e funzione di gestione (con il decreto

legislativo n. 29 del 19936). E, ancora, la revisione del sistema

dei controlli sugli atti amministrativi della Regione e delle

Autonomie locali ed il nuovo ruolo e le nuove competenze

1 Legge 8 giugno 1990, n. 142, Ordinamento delle Autonomie locali. 2 Legge 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa. 3 D. lgs. 31 marzo 1998, n. 112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59 e, in particolare, si vedano gli articoli da 1 a 7. 4 D. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. 5 Legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. 6 D. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della L. 23 ottobre 1992, n. 421, abrogato dal decreto lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

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attribuite alla figura del Difensore civico regionale (con le leggi

n. 127 del 19977 e n. 340 del 20008).

Queste, sul piano della normativa nazionale, le principali

riforme istituzionali che impongono l’adeguamento delle

disposizioni statutarie.

Ma il processo di revisione dovrebbe, altresì, tenere conto

di una legislazione regionale successiva all’approvazione dello

Statuto, quindi nuova, diversa e aggiornata alle modifiche

istituzionali che hanno interessato la Pubblica

Amministrazione. In definitiva, la rielaborazione degli articoli

statutari dovrebbe avvenire in accordo alle disposizioni

introdotte dalle leggi regionali che sono intervenute dopo

l’approvazione dello Statuto.

Per quanto riguarda, invece, l’analisi delle rriiffoorrmmee ppoossssiibbiillii

dello Statuto, l’attenzione va rivolta ai “nuovi e ulteriori” principi

e disposizioni introdotti da successive leggi statali e regionali i

quali potrebbero essere ripresi e ribaditi nella Carta

Fondamentale.

Si potrebbero, ad esempio, verificare le possibili

ripercussioni sulle disposizioni statutarie dei nuovi principi per

la semplificazione legislativa, quali la delegificazione ed il

controllo della qualità delle leggi. Sarebbe opportuno recepire i

principi introdotti con il decreto legislativo n. 286 del 19999, in

particolare la parte relativa al controllo strategico, il quale

7 Legge 15 maggio 1997, n. 127 e successive modificazioni, Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo. 8 Legge 24 novembre 2000, n. 340, Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999. 9 D. lgs. 30 luglio 1999, n. 286, Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59. In particolare, si veda l’articolo 6.

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potrebbe divenire uno degli strumenti dell’Assemblea regionale

per verificare l’attuazione dell’indirizzo politico.

Si dovrebbe, inoltre, prestare attenzione agli articoli che

incidono sull’organizzazione interna della Regione Piemonte e

che hanno comportato difficoltà applicative in quanto non

sufficientemente chiari e definiti10. Più in particolare,

bisognerebbe porre l’attenzione sull’opportunità di disciplinare

con precisione i poteri del Consiglio Regionale in caso di

dimissioni del Presidente della Giunta11, nonché i poteri dello

stesso Presidente dimissionario e della sua Giunta; di rivedere

la formulazione statutaria sulla durata in carica dei

componenti dell’Ufficio di Presidenza e sulla disciplina delle sue

funzioni; di intervenire sulla mancata previsione, per i

Consiglieri, di poteri di sindacato sulle decisioni dell’Ufficio di

Presidenza. Infine, sempre con riguardo alle norme di

organizzazione interna12, l’analisi dovrebbe coinvolgere anche le

commissioni ed i gruppi consiliari, sul procedimento per la

costituzione delle Commissioni speciali e delle Commissioni

d’inchiesta nonché sulla responsabilità dei Consiglieri regionali

anche alla luce delle pronunce giurisprudenziali.

Ultimo, ma non per questo meno importante, merita

attenzione il processo di unificazione europea nel quale la

Regione è pienamente coinvolta.

Partendo dalle osservazioni e dai rilievi che già erano

emersi nel corso dell’attività della Commissione speciale per la

revisione dello Statuto della Regione Piemonte13, il presente

10 Per la trattazione di questo aspetto, si rinvia integralmente al capitolo terzo. 11 Sul punto infra paragrafo 3.3, pp. 30-37. 12 Ibidem. 13 Con deliberazione consiliare del 4 giugno 1996, n. 221 la Regione Piemonte approva l’istituzione della Commissione speciale per la revisione dello Statuto, individuandone specificatamente le finalità da raggiungere:

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lavoro ha come obiettivo la composizione, senza pretesa di

esaustività, del quadro di principi e di norme statali e regionali

che, anche indirettamente, devono o possono incidere sulle

disposizioni dello Statuto regionale.

Va ricordato, peraltro, che è stata recentemente approvata

dal Parlamento la legge costituzionale di revisione del Titolo V14

con la quale si incide sulla forma di Stato dell'ordinamento

italiano e che, nei prossimi mesi, la stessa sarà sottoposta a

referendum ex articolo 138 della Costituzione.

- predisposizione di un nuovo testo statutario con particolare riferimento alle caratteristiche del nuovo regionalismo, alle tematiche del federalismo, al sistema delle autonomie locali, ai nuovi scenari internazionali; - elaborazione di studi, analisi e proposte da presentare ai competenti organi regionali per la revisione della legislazione ordinaria e regolamentare, in conseguenza delle modifiche statutarie. A tale Commissione è affiancata anche una Commissione tecnica, costituita da docenti universitari ed esperti in materie giuridiche. I lavori della Commissione speciale per la revisione dello Statuto della Regione Piemonte iniziano il 19 settembre 1996. L’approccio metodologico utilizzato è squisitamente tecnico-giuridico: proprio per questo la Commissione rinvia, ad un momento successivo, l’analisi del Titolo I dello Statuto attinente ai "Principi fondamentali". Altro obiettivo della Commissione Statuto è quello di tendere ad uno Statuto snello nelle sue articolazioni rinviando, per la disciplina di dettaglio, alle disposizioni del Regolamento interno del Consiglio regionale. In tal senso, l’analisi dello Statuto è accompagnata da quella delle rispettive e conseguenti disposizioni contenute invece nel regolamento consiliare. La Commissione Statuto termina i propri lavori, come da mandato, il 31 dicembre 1997, in attesa delle definizioni delle riforme sul sistema amministrativo, dell’attuazione a livello regionale della “riforma Bassanini” nonché delle risultanze della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali. Per un approfondimento sui lavori della Commissione Statuto, si veda CONSIGLIO REGIONALE DEL PIEMONTE, Riforme istituzionali e nuovo Statuto, atti e documenti della Commissione speciale per la revisione dello Statuto della Regione Piemonte, Milano, Franco Angeli, 2000. 14 Il testo della legge costituzionale, avente per oggetto “Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione”, è stato approvato, in seconda votazione, nelle sedute del 28 febbraio 2001 e 8 marzo 2001 a maggioranza assoluta dei componenti rispettivamente della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica e, successivamente, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, parte I, n. 59, del 12 marzo 2001. Il 2 agosto 2001 il Consiglio dei Ministri ha deciso di sottoporre al Capo dello Stato la data del 7 ottobre 2001 per lo svolgimento del referendum popolare confermativo della legge costituzionale.

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La presente pubblicazione non tiene ancora conto di

questa riforma in itinere: pertanto, in caso il referendum

costituzionale ottenga un risultato confermativo, le

considerazioni qui espresse dovranno essere rimeditate ed

ampliate. (torna ad indice)

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2. La Legge costituzionale n. 1 del 1999 (torna ad indice)

2.1 La forma di Governo

La legge di revisione costituzionale n. 1 del 199915 riscrive

l’articolo 122 della Costituzione, prevedendo per le Regioni una

forma di governo presidenziale.

Da un sistema nel quale l'Assemblea eletta svolgeva,

attraverso l'elezione del Presidente e della Giunta regionale, una

preminente funzione di indirizzo, si passa ad una forma di

governo che prevede una legittimazione diretta, “plebiscitaria”,

del Presidente della Regione da parte del corpo elettorale ed in

cui lo stesso elettorato è deputato a svolgere la funzione di

indirizzo.

Infatti, la legge costituzionale in argomento, sviluppando

il modello elettorale delineato dalla legge n. 43 del 199516,

15 In generale, sulla legge n. 1 del 1999, si vedano, tra gli altri, AA.VV., I nuovi Statuti delle Regioni, Milano, Giuffré, 2000; FERRARA, A., (a cura di), Verso una fase costituente delle Regioni? Problemi di interpretazione della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 / Atti del Forum, Roma, 5 maggio 2000, Milano, Giuffrè 2001; FERRARA, A., SCIUMBATA, L.R., (a cura di), La riforma dell’ordinamento regionale: le modifiche al titolo 5 della parte seconda della Costituzione / Atti del Seminario, Roma, 29 settembre 2000, Milano, Giuffrè 2001; FERRARA, A., (a cura di), Le Autonomie territoriali nella riforma costituzionale / Atti del Forum. Roma, 27 febbraio 1998, Milano, Giuffrè 2001; CAMERLENGO, Q., Le fonti regionali del diritto in trasformazione: considerazioni in margine alla L. cost. 22 novembre 1999, n. 1, Milano, Giuffrè 2000; CHELI, E., La riforma mancata: tradizione e innovazione nella Costituzione italiana, Bologna, Il Mulino, 2000; CIARLO, P., Elezione diretta del Presidente della regione: nuovi poteri e responsabilità politica, in atti del convegno organizzato dal Consiglio regionale della Basilicata su “Elezione diretta del Presidente e nuova forma di Governo delle Regioni”, Matera, Palazzo dell’Annunziata, 6 novembre 2000.

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prevede l’elezione diretta del Presidente della Giunta il quale, a

sua volta, nomina e revoca la Giunta 17, assumendo il governo

della Regione senza essere tenuto a presentarsi in Consiglio

regionale per esporre il programma.

In caso di sue dimissioni, ma anche di impedimento

permanente, morte e rimozione da parte del Presidente della

Repubblica, scatta automaticamente lo scioglimento anche del

Consiglio regionale.

Al Consiglio Regionale è attribuita la possibilità di

esprimere la sfiducia18 nei confronti del Presidente della

Giunta, con mozione motivata sottoscritta da almeno un quinto

dei componenti del Consiglio. Tale mozione non può essere

posta in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione

e si considera approvata quando ottenga il voto della

maggioranza assoluta del Consiglio regionale19. L’approvazione

della mozione di sfiducia comporta le dimissioni immediate

della Giunta e conseguentemente lo scioglimento del Consiglio.

Il quadro qui sommariamente delineato individua, come

detto, una forma di governo presidenziale: la stessa legge

costituzionale, tuttavia, attribuisce ai singoli Statuti regionali la

possibilità di scegliere se mantenere questa forma di governo,

16 Per l’esattezza, si tratta della legge 23 febbraio 1995, n. 43, Nuove norme per la elezione dei Consigli delle Regioni a statuto ordinario. 17 Il nuovo articolo 122 della Costituzione sancisce infatti, all’ultimo comma, che “Il Presidente eletto nomina e revoca i componenti della Giunta”. 18 Si rileva come lo Statuto della Regione Piemonte sia stato antesignano e moderno introducendo principi e meccanismi poi ripresi anche a livello nazionale. In particolare, si richiama la disposizione in cui sono definiti i rapporti tra gli Organi regionali ed in cui è prevista la "sfiducia costruttiva" (art.33, comma 6): il modello statutariamente delineato è infatti, stato ripreso nella legge n. 142 del 1990, nella versione antecedente alle modifiche apportate dalla legge 25 marzo 1993, n. 81, Elezione diretta del Sindaco, del Presidente della Provincia, del Consiglio comunale e del Consiglio provinciale. Vale la pena di ricordare, inoltre, che l’articolo 32 dello Statuto è stato antesignano anche per aver previsto, come modalità di voto per l’elezione della Giunta regionale, la votazione palese. 19 BARDUSCO, A., Nuova Costituzione e statuti regionali. Spunti problematici sulla forma di governo delle Regioni di diritto comune, in “I nuovi Statuti delle Regioni”, cit., pp. 19-33.

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dettandone puntuale normativa per la sua attuazione, ovvero

optare per una diversa forma.

Da questo punto di vista, allora, il primo momento di

riflessione è squisitamente politico. A questo dovrà, poi, seguire

un’analisi tecnico-giuridica.

In sede di revisione statutaria si potrebbe non assumere la

forma di governo prevista con la modifica costituzionale e

ritornare all’elezione indiretta del Presidente. Se si intende

procedere in tal senso, paradossalmente, si potrebbe

riconfermare la forma di governo già delineata nello Statuto

vigente.

Diversamente, si potrebbe recepire la forma di governo

presidenziale costituzionale. In tal caso, una delle più delicate

questioni che dovrà essere affrontata è se assumere tale forma

di governo “a pacchetto”, compresi tutti i suoi corollari (per

esempio, lo scioglimento del Consiglio in caso di dimissioni del

Presidente), ovvero se la Regione può optare per la forma di

governo presidenziale, cambiandone, però, alcuni corollari.

Un’ipotesi da valutare e da approfondire, sotto il profilo

della sua compatibilità giuridica con il dettato costituzionale, è

quella di prevedere, ad esempio, la nomina di un Vicepresidente

che subentri in caso di dimissioni del Presidente20.

20 A giudizio di Bardusco, le Regioni hanno due possibilità: fare eleggere il Presidente direttamente dal popolo o prevedere, al contrario, altre forme di elezione. Se le Regioni intendono procedere in questa seconda direzione, potranno dispiegare le loro scelte organizzative in particolare “[…] per quanto concerne l’applicabilità di altre norme costituzionali, così da determinare assetti diversi – pensiamo alle previsioni dell’art. 126 Cost. in materia di rimozione del Presidente e di conseguente scioglimento del Consiglio – appunto a livello costituzionale”. Cfr., ibidem, p. 31. Al riguardo, occorre tenere presente che il Consiglio regionale delle Marche ha approvato in prima lettura all’unanimità, il 23 maggio 2001, la proposta di legge statutaria n. 51, Disciplina transitoria in attuazione dell’art. 3 della legge costituzionale 22 novembre 1999 n.1, di cui si riporta l’articolo unico. Articolo 1 “1. A decorrere dall’entrata in vigore della presente legge statutaria, nel caso di morte od impedimento permanente del Presidente della Giunta regionale, prima dell’approvazione del nuovo statuto regionale, il Vicepresidente nominato ai sensi dell’art. 5, c. 2, lettera a), della legge

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2.2 Il Presidente della Giunta, la Giunta ed il Consiglio regionale: funzioni e loro rapporti

A seguito della legge costituzionale n. 1 del 1999, sarà

necessario rivedere anche la disciplina degli ambiti di esercizio

delle potestà dei due principali organi interni della Regione, il

Presidente della Giunta regionale e il Consiglio regionale,

nonché la definizione dei loro reciproci rapporti.

In quest’ottica è necessario allora procedere alla revisione

delle funzioni degli organi e, in particolare, deve essere

ridefinita anzitutto l’attività della GGiiuunnttaa rreeggiioonnaallee,, in modo che

le sue articolazioni strutturali e funzionali siano in grado di

garantire livelli ottimali di governo. Per procedere in tal

senso, l’attenzione deve essere posta sull’importanza delle

deleghe assessorili, le quali dovrebbero superare il sistema

della rigida suddivisione e della loro scarsa omogeneità.

Come accennato, la legge costituzionale attribuisce al

Presidente della Giunta il potere di revocare gli assessori: in

sede di revisione statutaria parrebbe necessario analizzare se

estendere anche al Consiglio regionale tale potere di revoca.

costituzionale 1/99, subentra al Presidente nell’esercizio delle relative funzioni. 2. Qualora il Vicepresidente sia stato nominato fra i componenti della Giunta estranei al Consiglio regionale, le funzioni di Presidente nei casi di cui al comma 1 sono esercitate dall’Assessore in carica più anziano d’età eletto consigliere regionale. 3. Nel caso in cui lo statuto regionale non sia approvato entro la scadenza della vigente legislatura, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano oltre tale scadenza”. La Regione Calabria con la proposta di legge statutaria, n. 1, Norma stralcio in attuazione dell’art, 3 della legge costituzionale n. 1 del 22/11/99, affronta il problema dell’impedimento permanente o della morte del Presidente della Giunta. L’articolo unico della proposta recita: “1. In attuazione dell’art. 3 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, a decorrere dall’entrata in vigore della presente legge, nel caso di morte od impedimento permanente del Presidente della Giunta regionale prima dell’approvazione del nuovo Statuto regionale, il Vicepresidente nominato ai sensi dell’art. 5, comma 2, lettera a) della legge costituzionale n. 1/99, subentra al Presidente nell’esercizio delle relative funzioni”.

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Un altro punto di interesse riguarda, inoltre, l'opportunità

di inserire nello Statuto norme sugli assessori esterni21, ed

affrontare l’eventuale incompatibilità tra la carica di

assessore e quella di Consigliere regionale22.

Ma, soprattutto, si dovrà valutare la rilevanza giuridica

esterna della “Giunta” e dei singoli assessori, in quanto la

forma di governo presidenziale statuisce la centralità del

Presidente della Giunta. Lo Statuto potrebbe dettagliare sia le

competenze del Presidente sia quelle della Giunta e dei singoli

assessori, riflettendo se eventualmente attribuire a questi

ultimi la titolarità di competenze “esterne” di tipo ministeriale.

Lo stesso Statuto potrebbe, tuttavia, limitarsi a costruire

semplicemente l’assetto generale, rinviando poi l’ulteriore

definizione ad una apposita legge regionale di dettaglio.

Occorre, altresì, prestare una particolare attenzione al

soggetto sul quale sembra aver inciso maggiormente la riforma

costituzionale: il CCoonnssiigglliioo rreeggiioonnaallee. Tale conclusione si evince

emblematicamente dalla perdita di due importantissime

funzioni: l'elezione del Governo regionale, da una parte, e

l'esercizio esclusivo della funzione regolamentare, dall’altra.

Come si è osservato, il Presidente della Giunta, dopo

l’elezione e la nomina dei suoi assessori, incomincia a

governare senza essere tenuto a presentarsi in Consiglio

21 E, al riguardo, si ricordi che la Regione Piemonte ha approvato la legge regionale 23 marzo 2000, n. 22, “Norme di prima attuazione della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 ‘Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle regioni’”, nella quale, all’articolo 1, comma 2, è prevista, appunto, la possibilità che i membri della Giunta siano nominati anche al di fuori dei componenti del Consiglio regionale. 22 Sulla incompatibilità tra la carica di Assessore e quella di Consigliere regionale, si veda il disegno di legge numero 26 della 7ª legislatura, Modifica alla legge regionale 23 marzo 2000, n. 22 (Norme di prima attuazione della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 'Disposizioni concernenti l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l'autonomia statuaria delle Regioni'), presentato il giorno 31 maggio 2000 dalla Giunta regionale ed assegnato in commissione in data 13 giugno 2000.

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regionale per esporre il suo programma. Al riguardo, si

potrebbe prevedere, in Statuto, che la convocazione della prima

seduta del Consiglio sia preceduta dal deposito da parte del

Presidente di un documento contenente il programma e gli

indirizzi generali di governo da sottoporre al Consiglio stesso. E

ancora, che nella prima riunione, il Presidente presti

giuramento prima di assumere in pieno le sue funzioni23.

La legge costituzionale n. 1 del 1999, nel riscrivere

l’articolo 121, secondo comma, si limita ad attribuire al

Consiglio l’esercizio delle potestà legislative di competenza della

Regione (assieme alle altre funzioni conferitegli dalla

Costituzione e dalle leggi), senza nulla aggiungere in merito alla

potestà regolamentare. Pertanto, la riforma costituzionale,

secondo la Direttiva del Ministro per gli Affari regionali del 17

marzo 2000, ha implicitamente trasferito tale potestà

regolamentare in capo alla Giunta24.

23 Sul punto, contra, CATELANI, A., I nuovi statuti e la forma di governo delle Regioni, in “I nuovi Statuti delle Regioni”, cit, pp. 5-18. 24 Direttiva del 17 marzo 2000 inerente «la valutazione fatta dal Governo della nuova normativa costituzionale con riferimento all’esercizio delle competenze regolamentari della Giunta regionale [...]». Tale direttiva ministeriale prende esplicitamente posizione sul merito del dibattito in corso, avvallando la posizione di coloro che interpretano la riforma costituzionale nel senso dell’attribuzione dell’esercizio della potestà regolamentare alla Giunta regionale. Secondo il Ministro Bellillo infatti, «con l’eliminazione della previsione espressa della competenza regolamentare in capo al Consiglio si è inteso qualificare il Consiglio stesso come assemblea legislativa e la Giunta come l’esecutivo della Regione». Tale interpretazione sarebbe avvalorata anche dall’uso del termine «emana» in relazione all’intervento del Presidente della Giunta nell’ambito della procedura di predisposizione dei regolamenti, «quasi a sottolineare l’analogia con il Presidente della Repubblica». D’altronde, conclude la Direttiva del Ministero per gli affari regionali, la scelta di tenere separate, anche in ambito regionale, la funzione legislativa dalla funzione regolamentare

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Di qui la necessità di riflettere sull’opportunità di

prevedere, in Statuto, delle riserve regolamentari per il

Consiglio regionale ed esplicare nel Regolamento interno

dell'Assemblea il procedimento per l’adozione dei regolamenti

regionali, includendo, ad esempio, il parere obbligatorio (e

vincolante?) della Commissione consiliare competente per

materia.

Un'ipotesi potrebbe essere quella di lasciare alla Giunta i

regolamenti di esecuzione espressamente previsti dalle leggi

regionali e, al contrario, attribuire al Consiglio la competenza

ad emanare i regolamenti di delegificazione e quelli autonomi25.

Attraverso la revisione degli Statuti, dunque, i Consigli

regionali possono limitarsi a confermare l'impostazione

generale inquadrata dalla legge costituzionale, oppure decidere,

per preservare la funzione di rappresentatività democratica e

la piena autonomia assembleare, di invertire la tendenza

alla marginalizzazione del loro ruolo che la riforma della

Costituzione sembra aver accentuato.

Ed è in questa logica che, da un lato, deve trovare

puntuale definizione, nella nuova disciplina statutaria, la

determinazione delle competenze e delle attribuzioni del

Presidente della Giunta regionale, alla luce delle sue nuove

responsabilità e, dall'altro, anche al fine di riequilibrare i

rapporti con la Giunta ed il suo Presidente, è necessario

«sembra coerente con l’obiettivo di incrementare il ricorso alla fonte regolamentare laddove non sia necessaria l’emanazione della legge». 25 Un punto di partenza per la definizione della potestà regolamentale regionale potrebbe essere l'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ove sono disciplinati i regolamenti governativi.

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valorizzare il potere legislativo e di controllo riservato

al Consiglio regionale26.

26 Così come anche evidenziato dal CNEL nel Rapporto sullo stato dei Consigli e delle Assemblee regionali e delle Province autonome, pubblicato nel marzo del 2000. Da tale documento emerge come la principale preoccupazione riscontrata presso gli organi assembleari sia stata quella inerente all’effettiva capacità dei Consigli di esercitare compiutamente il ruolo di organo di controllo e di indirizzo degli esecutivi. In particolare, è stata rilevata la necessità di rafforzare il ruolo di indirizzo politico e di controllo sull’amministrazione, in modo da consentire una supervisione democratica dell’operato della Giunta. Sulla base di queste considerazioni, la ricerca del CNEL propone di ridefinire il ruolo dei Consigli regionali, attribuendo loro la funzione di organo di collegamento con il territorio e con le sue articolazioni economiche e sociali, allo scopo di costruire e rendere permanente un contatto effettivo e una conoscenza diretta dei problemi delle comunità locali. Nella maggior parte delle Regioni, infatti, i rapporti con gli Enti locali hanno trovato espressione nelle apposite Conferenze istituite presso le Giunte regionali ai sensi dell’art. 3, comma 5 del decreto legislativo n. 112 del 1998, mentre non sono stati costituiti particolari strumenti di raccordo tra l’assemblea legislativa e il mondo dell’economia e del lavoro. Al momento, infatti, i contatti fra l’organo consiliare e le forze economiche e sociali avvengono soprattutto attraverso il ricorso al meccanismo delle consultazioni o delle audizioni, e solo in poche Regioni sono stati previsti momenti di contatto frequenti e regolari (è il caso del Piemonte con il progetto degli “Stati generali del Piemonte”). Nella prospettiva di un federalismo che valorizzi sempre più le peculiarità territoriali, suggerisce invece la ricerca del CNEL, questa merita di essere una delle prime riforme che gli Statuti regionali dovrebbero preoccuparsi di approvare. Un altro aspetto sul quale si sofferma l’attenzione dei ricercatori del CNEL è quello relativo al ruolo dei Consigli nella gestione dei rapporti con lo Stato. A tale proposito, la ricerca suggerisce ai Consigli di intervenire su due fronti: da un lato dovrebbero «dettare una disciplina che li veda necessariamente coinvolti sulle scelte più rilevanti che la Regione è tenuta a compiere in sede di Conferenza permanente» Stato-Regioni e Province autonome [Cfr. PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, DIPARTIMENTO AFFARI REGIONALI, Rapporto sullo stato dei Consigli e delle Assemblee regionali e delle province autonome (a cura del CNEL), Roma, 27 marzo 2000, p. 40]; dall’altro, dovrebbero individuare «un qualche meccanismo di raccordo tra le Camere

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Pertanto, i Consigli regionali devono proporsi di

riqualificare la loro attività, mirando ad una produzione

legislativa limitata e di qualità e rinunciando ad ogni

compartecipazione nelle scelte organizzative e gestionali.

Il mutato sistema elettorale non si riflette, tuttavia,

esclusivamente sulle modalità di elezione del Presidente della

Giunta o sui sistemi di garanzia del governare. A seguito del

rafforzamento degli esecutivi, dovranno essere rivisti anche i

rraappppoorrttii GGiiuunnttaa--CCoonnssiigglliioo,, in modo da garantire una distinzione

più netta tra funzione di governo e funzione di indirizzo e di

controllo.

In merito, occorre rimarcare il ruolo del Consiglio regionale

quale soggetto competente nella definizione dell’indirizzo

politico ed amministrativo della Regione così da rafforzare il

compito di vigilanza sulla sua osservanza ed attuazione da

parte dell’esecutivo regionale.

L’attività ispettiva e di controllo si è sempre svolta

attraverso gli strumenti tipici della tradizione parlamentare

quali l’inchiesta, l’interpellanza, le interrogazioni, la mozione e

l’ordine del giorno: strumenti che permettono al singolo

Consigliere di ottenere risposte dalla Giunta o al Consiglio di

ed i parlamenti regionali, anche al fine di coordinare la reciproca attività normativa» (ibidem) (e, a tal fine, le sedi di confronto potrebbero essere individuate nella Commissione parlamentare per la riforma amministrativa e nella Commissione parlamentare per le questioni regionali). I Consigli regionali di prossima elezione, conclude la ricerca del CNEL, saranno chiamati a disegnare il futuro volto delle Regioni, e dalle loro scelte dipenderà anche il ruolo che le stesse assemblee legislative rivestiranno nell’ambito della nuova organizzazione istituzionale regionale. Attraverso l’attività normativa volta alla predisposizione dei nuovi Statuti, dunque, le assemblee regionali avranno l’opportunità di invertire la tendenza alla marginalizzazione del loro ruolo che la riforma della Costituzione sembra aver voluto ulteriormente accentuare.

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manifestare orientamenti o definire indirizzi su specifici

argomenti alla Giunta.

Per bilanciare il “ruolo forte dell’Esecutivo” è, però,

necessario andare oltre introducendo nuovi istituti.

A tal fine, si potrebbe dare attuazione alla valutazione e

controllo strategico27, quale funzione di supporto all'organo

assembleare e sede di confronto tra fase politica e fase

gestionale, al fine di fornire elementi per verificare l’effettiva

attuazione delle scelte contenute nelle direttive ed altri atti di

indirizzo politico.

Più in particolare, agli strumenti ispettivi e di controllo

sopra evidenziati, si potrebbe affiancare il potere dell’Assemblea

di verificare la congruenza tra la manifestazione di volontà che

si è formata attraverso l’approvazione delle leggi regionali, dei

programmi, degli ordini del giorno, e tutti gli atti che devono

seguire (regolamenti attuativi, deliberazioni di Giunta).

In questi termini, il controllo strategico si concentra

sull’analisi della normativa, verificando l’attuazione da parte

della Giunta regionale dell’indirizzo politico che si è manifestato

attraverso l’attività consiliare: tale analisi dovrà sviluppare

strumenti squisitamente tecnici ai fini dello svolgimento

dell’attività politica.

La valutazione e controllo strategico diviene, in tal modo,

lo strumento per verificare l’attuazione dei provvedimenti

successivi all’emanazione delle leggi regionali, per ricalibrare gli

27 Sul punto si veda il documento del 31 dicembre 2000, Aspetti organizzativi per il Consiglio Regionale, del gruppo di lavoro “controlli interni”, costituito con deliberazione dell’Ufficio di Presidenza n. 189-30315 del 27 ottobre 2000, con il compito di formulare proposte concrete al fine di attuare il già citato decreto legislativo n. 286 del 1999.

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indirizzi del vertice politico ma, anche, per verificare gli effetti

che le scelte politiche hanno determinato28.

In questa prospettiva e al fine di porre in essere questo

tipo di valutazione, si potrebbe allora considerare l’istituzione di

una apposita Commissione di vigilanza e controllo sull’operato

della Regione29.

La verifica di incongruenze tra l’indirizzo politico e gli atti

normativi successivi produce effetti a livello di “responsabilità

politica”. Ci si deve, però, porre il problema, e quindi valutare,

quali strumenti “giuridici” sono attualmente a disposizione dei

Consiglieri regionali. In particolare, si potrebbe creare un

meccanismo che “vincoli”, non solo politicamente ma anche

giuridicamente, l’esecutivo a correggere gli atti normativi

assunti.

In questo ambito rientra una questione particolarmente

delicata: la possibilità cioè, di individuare una sede esterna

super partes competente a giudicare su eventuali conflitti di

attribuzioni tra gli organi.

Dovrebbe, inoltre, essere rivisto il potere di vigilanza e di

controllo del Consiglio regionale rispetto alle Agenzie regionali,

in quanto queste sono completamente sciolte da qualsiasi

rapporto diretto o di verifica da parte del Consiglio stesso.

Una seria ed approfondita verifica sulle Authority e sulle

Agenzie di settore è stata avviata anche a livello nazionale dal

nuovo Governo in carica, con l’obiettivo di porre fine alla loro

proliferazione e di evitare che esse assumano ruoli di supplenza

28 Questa modalità di attuazione della valutazione e controllo strategico è di supporto all’Assemblea, attraverso l’organo preposto. In tal modo, implicitamente, si può anche rafforzare il procedimento per l’assunzione delle informazioni necessarie per l’espletamento dell’attività ispettiva e di controllo dei Consiglieri. A tal fine bisogna, però, comprendere in che termini questi ultimi possano utilizzarne i risultati. 29 Cfr. oltre par. 3.3, pp. 30-31.

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nei confronti dell’organo politico. La soluzione prospettata, che

confluirà con tutta probabilità in un progetto di legge, è quella

di fissare per queste Autority ed Agenzie un interlocutore

preciso: il Parlamento.

Si potrebbe costruire un giudizio sui conflitti di

attribuzione tra i “soggetti regionali” (Presidente della Giunta,

Giunta e Consiglio regionale), riprendendo i principi del

conflitto intersoggettivo di attribuzione tra i poteri dello Stato

svolto dalla Corte Costituzionale.

Oggi, però, e fino a quando non intervenga una revisione

costituzionale, risulterebbe “forzato” procedere in tal senso. Si

ricorda infatti, che l'articolo 108 Cost. prevede una riserva di

legge in materia processuale che la Corte Costituzionale ha

sempre letto come riserva di legge statale30: pertanto, una

eventuale legge regionale che intervenga in questa materia

rischierebbe di incorrere in una dichiarazione di illegittimità

costituzionale.

Tale divieto, peraltro, si estende fino a precludere alle

Regioni non solo di attribuire agli organi giurisdizionali nuove

funzioni ma, anche, di riprodurre o richiamare nelle loro leggi

norme statali che dispongono in materia di giurisdizione e

recano la disciplina processuale dei ricorsi alle autorità

giurisdizionali ordinaria ed amministrativa, poiché ciò

comporta un'inammissibile novazione della parte che è

riservata al legislatore nazionale.

2.3 La legge elettorale

La legge costituzionale attribuisce altresì alle Regioni la

competenza a definire secondo le proprie esigenze “il sistema di

30 Cfr. anche nota 67, p. 47.

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elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del

Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché

dei consiglieri regionali […] nei limiti dei principi fondamentali

stabiliti con legge della Repubblica”. Sul punto bisogna

comprendere se, in mancanza dell'approvazione da parte del

Parlamento di una apposita legge, possano considerarsi quali

"principi fondamentali" quelli previsti dalle leggi statali oggi in

vigore31.

La legge elettorale è cosa distinta dallo Statuto,

ciononostante il sistema elettorale è connesso alle scelte sulla

forma di Governo. Pertanto, già in sede di revisione, è

necessario riflettere se comprendere nello Statuto norme o

principi che indichino una traccia da seguire nella redazione

della legge elettorale32.

31 A tale proposito, si richiama la legge 16 maggio 1970, n. 281, Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario, ove all’articolo 17, comma 4, si prevede che “l’emanazione di norme legislative da parte delle Regioni nelle materie stabilite dall’articolo 117 della Costituzione si svolge nei limiti dei principi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti”. In materia elettorale, si potrebbe fare riferimento alle leggi 17 febbraio 1968, n. 108, Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale ed alla già citata legge 23 febbraio 1995, n. 43, mentre sul tema dell’ineleggibilità ed incompatibilità si rinvia alla legge 23 aprile 1981, n. 154, Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale. Non è certamente facile individuare in leggi così datate, e dove (in particolare, per la legge n. 154 del 1981) è intervenuta pesantemente la Corte Costituzionale, i principi fondamentali. 32 Sul punto si veda la proposta di legge n. 102 della VII legislatura, “Norme di prima attuazione dell’articolo 122 della Costituzione così come modificato dalla legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 ‘Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni’ ”, presentata il 19 luglio 2000 e licenziata con parere positivo dalla Commissione il 28 luglio 2000.

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Nello specifico, pare opportuno valutare se inserire già in

Statuto il tipo di sistema elettorale, ed altresì delineare un

sistema elettorale che preveda delle garanzie di

“rappresentanza”33. E, ancora, se introdurre un procedimento

“aggravato”, ovvero richiedere una maggioranza qualificata, per

l’approvazione della legge elettorale.

La disposizione costituzionale non disciplina invece

l’ipotesi che si verifichi, nel corso della legislatura, un cambio di

maggioranza ovvero sia il Presidente della Giunta a

rindividuare forze politiche di riferimento diverse.

Queste ipotesi potrebbero essere disciplinate nella legge

elettorale, ispirandosi, tra l’altro alla norma “anti-ribaltone”, già

prevista dalla legge statale n. 43 del 1995.

2.4 Il valore giuridico dello Statuto ed iter di approvazione e modifica.

La legge costituzionale ridefinisce, infine, i contenuti

obbligatori dello Statuto regionale e ne riformula l’iter di

approvazione e di modifica, prevedendo all’articolo 123, comma

2, che l’approvazione debba avvenire, a maggioranza assoluta,

con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non

minore di due mesi.

Al medesimo comma è precisato, altresì, che la legge di

approvazione dello Statuto non necessita dell’apposizione del

visto del Commissario del Governo.

Il Governo della Repubblica può promuovere la questione

di legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla

33 Ispirandosi all’articolo 57 della Costituzione sull’elezione del Senato, si potrebbe, ad esempio, prevedere un sistema di rappresentanza di ogni Provincia della Regione.

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Corte Costituzionale entro trenta giorni dalla loro

pubblicazione.

Lo stesso articolo 123, terzo comma, prevede, poi, la

sottoponibilità dello Statuto approvato dal Consiglio a

referendum popolare, qualora entro tre mesi dalla

pubblicazione facciano richiesta in tal senso un cinquantesimo

degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il

Consiglio regionale34.

La legge costituzionale n. 1 del 1999 pone, però, diversi

problemi applicativi dovuti anche in parte a formulazioni

lacunose del testo. Anzitutto, non è specificato come ed in che

momento si pone il referendum confermativo dello Statuto. Non

è definito, inoltre, come si concilia il referendum confermativo –

che può essere proposto entro tre mesi – con la possibilità per il

Governo di sollevare giudizio innanzi alla Corte Costituzionale,

entro trenta giorni dalla pubblicazione.

E, ancora, non è esplicitato se, in caso di impugnazione da

parte del Governo, i tre mesi per la proposizione del referendum

continuano a decorrere ovvero vengono sospesi in attesa del

giudizio della Corte Costituzionale.

Ne consegue, allora, la necessità di riscrivere la

disposizione che disciplina la revisione statutaria35.

Contestualmente, è altresì necessario valutare se la vigente

disciplina del referendum regionale è applicabile anche per lo

34 Cfr., fra gli altri, DE MARCO, E., Gli statuti regionali dopo il nuovo articolato 123 della Costituzione e la loro collocazione nel sistema dello fonti, in “I nuovi Statuti delle Regioni”, cit., pp. 39-53. Vale la pena ricordare, inoltre, che l’Emilia-Romagna ha approvato una legge di attuazione dell’articolo 123 della Costituzione. Per un approfondimento, si rinvia alla legge regionale Emilia Romagna 27 ottobre 2000, n. 29, Disciplina del referendum sulle leggi regionali di revisione statutaria ai sensi dell’articolo 123 della Costituzione. 35 In questo senso, LAMARQUE, E., Il referendum nel procedimento di formazione dello statuto regionale, in “I nuovi Statuti delle Regioni”, cit., pp, 137-154.

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svolgimento del referendum confermativo, ovvero se è

opportuno adottare una apposita legge36.

Un ultimo rilievo riguarda le garanzie per l’applicazione

dello Statuto. In particolare, si suggerisce di individuare oppure

istituire ad hoc una Commissione consiliare permanente che, di

volta in volta, accerti la compatibilità delle leggi regionali con le

disposizioni statutarie, come avviene a livello parlamentare con

la Commissione Affari Costituzionali. (torna ad indice)

36 Al riguardo, si richiama ancora la legge regionale dell’Emilia Romagna 27 ottobre 2000, n. 54, menzionata alla nota 34.

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3. L’organizzazione interna della Regione (torna ad indice)

3.1 L’Ufficio di Presidenza ed il Presidente del

Consiglio Come si è evidenziato, a seguito della legge costituzionale

n. 1 del 1999 è necessario rimeditare le funzioni del Consiglio

regionale e, conseguentemente, bisogna anche porre

l’attenzione sul ruolo che il suo Presidente e l’Ufficio di

Presidenza devono e possono assumere.

Ed è in questa logica che si ritiene debba essere letta la

revisione dell’articolo 122 della Costituzione.

Va sottolineato che, detta norma, prima della revisione

operata con la legge costituzionale, prevedeva che il Consiglio

eleggesse nel suo seno un Presidente ed un Ufficio di

Presidenza “per i propri lavori”: tale specificazione non è stata

ripresa nel nuovo articolato.

In sede di revisione statutaria, sarebbe pertanto opportuno

riflettere sul nuovo e diverso ruolo che non solo il Presidente

del Consiglio, ma anche l’Ufficio di Presidenza può assumere.

A ben vedere, nel valorizzare la funzione legislativa del

Consiglio, si potrebbe anche attribuire all’Ufficio di Presidenza,

in quanto espressione sia delle maggioranze, sia delle

minoranze, il potere di esercizio dell’iniziativa legislativa nelle

materie squisitamente “istituzionali”, ossia in quelle materie per

le quali è necessario ed opportuno che ci sia una piena

convergenze politica.

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E, inoltre, in quanto soggetto preposto a rappresentare e

garantire le prerogative dei Consiglieri regionali37, si potrebbero

enfatizzare gli strumenti dell’Ufficio di Presidenza.

Non solo: la revisione dello Statuto può essere anche

l’occasione per intervenire e correggere quelle disposizioni che

in sede di applicazione hanno creato dubbi interpretativi o che,

comunque, richiedono un aggiornamento.

Per quanto riguarda la composizione dell’Ufficio di

Presidenza, l’articolo 14 dell’attuale Statuto ne disciplina

l’elezione, prevedendo che questo sia composto, oltre che dal

Presidente, da due Vice Presidenti e da tre Segretari38 che

durano in carica trenta mesi e sono rieleggibili.

Sempre l’articolo 14 precisa, poi, che l’Ufficio di Presidenza

“deve essere composto in modo da assicurare la rappresentanza

delle minoranze”.

Va tenuto presente che il 26 maggio 1998, il Consiglio

Regionale, con deliberazione n. 539, ha approvato una ulteriore

revisione dell’articolo 14 dello Statuto, non prevedendo più

specificatamente il numero dei Vicepresidenti e dei Consiglieri

Segretari, ma rinviando alle disposizioni regolamentari la loro

individuazione precisa in modo tale da tener conto delle

presenze plurime presenti in Consiglio regionale, rispettando

nel contempo l’equilibrio tra le forze politiche.

37 In tal senso, l’articolo 2 del Regolamento del Consiglio regionale, per disciplinare il diritto di informazione e di accesso, prevede la possibilità per i Consiglieri, nel caso in cui vengano loro opposte obiezioni o si verifichino ritardi, di interessare l’Ufficio di Presidenza, che provvede entro 10 giorni. 38 L’articolo 14 dello Statuto è stato così modificato con la legge del 31 maggio 1991, n. 180, Approvazione di talune modifiche dello statuto della Regione Piemonte. L’originaria formulazione del 1970, prevedeva che l’Ufficio di Presidenza fosse costituito dal Presidente, da due Vice Presidenti e da due a quattro Segretari. Questo era, poi, composto in modo da assicurare la rappresentanza della minoranza, che era intesa nel suo complesso – indipendentemente, cioè, dalle formazioni partitiche presenti in Consiglio regionale – in contrapposizione alla maggioranza di governo.

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La modifica statutaria avrebbe potuto limitarsi ad

aumentare semplicemente il numero dei componenti. Tale

scelta però non avrebbe risposto alle esigenze di dinamicità che

il sistema politico richiede, in quanto le aggregazioni elettorali

sono suscettibili di variazioni da una legislatura ad un’altra. Si

era quindi ritenuto opportuno non prevedere direttamente in

Statuto la consistenza numerica dell’Ufficio di Presidenza

stesso.

La legge statale di approvazione di tale modificazione non è

intervenuta prima della modifica costituzionale: a seguito del

nuovo iter per le modifiche statutarie, la proposta al Parlamento

deve pertanto considerarsi decaduta.

Con riferimento all'attuale disposizione statutaria, un

primo rilievo attiene al fatto che non sono bene individuati

compiti e funzioni dell’Ufficio di Presidenza: appare, invece,

opportuno definirne statutariamente, anche alla luce del nuovo

articolo 122 della Costituzione, gli ambiti di competenza.

Nel corso degli anni è anche emersa l’esigenza di

individuare le modalità con cui i Consiglieri possono avere

informazioni e notizie in ordine all’attività dell’Ufficio di

Presidenza e prevedere strumenti attraverso i quali i Consiglieri

possano intervenire in merito alle decisioni assunte.

Lo Statuto prevede poi che l’Ufficio di Presidenza rimanga

in carica 30 mesi: al riguardo, si potrebbe considerare

l’opportunità di prevedere la sua durata per l’intera legislatura,

come avviene, ad esempio, per l’Ufficio di Presidenza della

Camera.

Per quanto attiene all’Ufficio di Presidenza, occorre infine

aggiungere che l’emanando Regolamento di contabilità del

Consiglio regionale, predisposto alla luce della legge regionale

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n. 7 del 200139, dovrebbe attribuire all’Ufficio di Presidenza,

oltre alle competenze di cui all’articolo 9 del Regolamento

interno del Consiglio regionale e a quelle di cui all’art. 17 della

legge regionale n. 51 del 1997 (Norme sull’organizzazione degli

uffici e sull’ordinamento del personale regionale), più precisi

compiti in materia di amministrazione e gestione del bilancio

del Consiglio regionale.

L’articolo 14, comma 3, inoltre definisce, in modo

puntuale, le modalità di elezione del Presidente del Consiglio

che “ha luogo a scrutinio segreto ed a maggioranza assoluta dei

componenti il Consiglio. Se nessun candidato ottiene tale

maggioranza, si procede ad una votazione di ballottaggio fra i

due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In

caso di parità, è eletto il più anziano di età”.

Il Presidente del Consiglio è disegnato come soggetto supra

partes, garante sia della maggioranza sia della minoranza:

rappresenta il Consiglio regionale, sovrintende all’attività degli

organi consiliari, presiede il Consiglio, dirige e modera la

discussione e ne riassume, all’occorrenza, i termini allo scopo

di consentire al Consiglio stesso di adempiere ai compiti

demandategli della Costituzione, dalle leggi dello Stato e dallo

Statuto della Regione40.

Partendo dal ruolo di garante del Presidente del Consiglio,

a seguito del nuovo sistema elettorale, potrebbe essere rivisto

anche il quorum funzionale per la sua elezione, prevedendo una

diversa e più ampia maggioranza che richieda una convergenza

di volontà sia da parte della maggioranza, sia da parte della

minoranza.

39 Legge regionale 11 aprile 2001, n. 7, Ordinamento contabile della Regione Piemonte. 40 Così all’articolo 5 del Regolamento interno del Consiglio Regionale del Piemonte.

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3.2 Il Presidente del Consiglio regionale come organo della Regione

Gli organi della Regione, come è noto, sono, secondo il

dettato dell’articolo 121 della Costituzione, il Consiglio, la

Giunta e il Presidente della Giunta.

Nell’analizzare le norme dello Statuto in materia, si deve

però tenere conto che il Consiglio non è solo l'organo regionale

con competenza legislativa, ma svolge anche funzioni di

indirizzo, di controllo e di garanzia.

In questa logica, una proposta innovativa, emersa anche

nei lavori della Commissione Statuto nella passata legislatura,

vorrebbe, tra gli organi della Regione, anche il Presidente del

Consiglio.

In tal modo, i Consigli Regionali sarebbero messi nella

condizione giuridica di poter essere rappresentati direttamente

in giudizio e di tutelare le scelte poste in essere. Il Presidente

del Consiglio è titolare della rappresentanza legale per gli atti

con rilevanza esterna, con riguardo alle deliberazioni del

Consiglio regionale e dell’Ufficio di Presidenza adottate in

attuazione dell'autonomia consiliare e in particolare a quelle

che riguardano lo Status del Consiglieri.

Tale previsione è giustificata dall’evolversi del ruolo di

questa figura istituzionale a cui, nel tempo, è stata riconosciuta

la competenza a svolgere attività anche a rilevanza esterna. Si

fa riferimento agli atti di nomina di componenti di organi

esterni di competenza del Consiglio regionale, in surroga, a

seguito di inerzia da parte di tale consesso nell'effettuare le

nomine predette. Si tratta di un obbligo posto in capo al

Presidente del Consiglio dalla legge n. 444 del 1994 sul divieto

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di prorogatio degli organi collegiali41, recepita dalla Regione

Piemonte con l’articolo 18 della legge regionale n. 39 del 199542.

Inoltre questa scelta sarebbe in linea con la distinzione di

ruoli tra Giunta e Consiglio prevista all’articolo 81 dello Statto,

come modificato nel 1990, e poi attuato con la legge regionale

n. 51 del 1997, Norme sull’organizzazione degli uffici e

sull’ordinamento del personale regionale43.

3.3 Ulteriori riflessioni Il percorso per la revisione dello Statuto, oltre a tenere

conto delle nuove disposizioni legislative intervenute, dovrebbe

affrontare gli articoli sull’organizzazione interna della Regione

Piemonte che hanno comportato difficoltà applicative in

quanto non sufficientemente chiari e definiti.

Ci si riferisce in particolare alle disposizioni relative ai

gruppi consiliari che, al momento, non possiedono una loro

specifica dignità statutaria: l’articolo 18 li richiama infatti,

solo incidentalmente. Attualmente, la loro disciplina è

contenuta soltanto all’articolo 13 del Regolamento interno

consiliare ed in alcune disposizioni legislative regionali.

Occorre sottolineare come, in questi anni, i gruppi

consiliari hanno assunto un rilievo crescente. Con legge

41 Cfr. legge 15 luglio 1994, n. 444, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 293, recante disciplina della proroga degli organi amministrativi. 42 Legge regionale 23 marzo 1995, n. 39, Criteri e disciplina delle nomine ed incarichi pubblici di competenza regionale e dei rapporti tra la Regione ed i soggetti nominati. 43 Nel definire l’assetto organizzativo, la suddetta legge prevede infatti, all’articolo 9, comma 3, che “In attuazione dell’art. 81 dello Statuto e per assicurare la piena autonomia funzionale dell’Assemblea legislativa, sono istituiti ruoli organici e strutture distinti rispettivamente per la Giunta e per il Consiglio”.

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regionale è stata infatti, disciplinata la figura del Presidente44,

riconoscendone responsabilità e compiti anche in termini di

gestione del gruppo e del personale: tale ruolo non può non

essere riconosciuto e valorizzato dalla Carta fondamentale45.

Inoltre, sempre con riguardo alle norme di organizzazione,

si deve porre l’attenzione sia sul procedimento per la

costituzione delle commissioni speciali e delle commissioni

d’inchiesta, sia sull’eventuale istituzione (tra le commissioni

permanenti) di una Commissione per la vigilanza ed il controllo

sull’efficienza e l’efficacia dell’attività della Amministrazione

regionale ed il rispetto delle finalità delle leggi. Tale

Commissione dovrebbe avere la competenza a riferire al

Consiglio in merito all’attuazione delle deliberazioni consiliari e

dei piani e programmi regionali, al funzionamento

dell’amministrazione regionale, degli enti ed aziende istituiti

44 Cfr. legge regionale 24 novembre 1995, n. 84, Definizione dei compiti e delle funzioni dei Presidenti dei Gruppi consiliari. Integrazione della legge regionale 13 ottobre 1972, n. 10. In generale, sul funzionamento dei Gruppi, si vedano pure le leggi regionali del 10 novembre 1972, n. 12, Funzionamento dei Gruppi consiliari, come modificata, da ultimo, dalla l.r. del 17 agosto 1995, n. 69, Modifiche ed integrazioni alla normativa sullo status dei Consiglieri e sui Gruppi consiliari (l.r. 13 ottobre 1972, n. 10 l.r. 10 novembre 1972, n. 12, l.r. 23 gennaio 1984, n. 9, l.r. 18 giugno 1981, n. 20, l.r. 30 dicembre 1981, n. 57 e successive modifiche ed integrazioni), dell’8 giugno 1981, n. 20, Assegnazione di personale ai Gruppi consiliari ed 11 novembre 1998, n. 33, Nuovo assetto dei gruppi consiliari e modifiche alla normativa sul personale dei gruppi. 45 Si tenga presente che le leggi regionali 11 novembre 1998, n. 33, Nuovo assetto organizzativo dei gruppi consiliari e modifiche alla normativa sul personale dei gruppi, 1 dicembre 1998, n. 39 e successive modificazioni, Norme sull’organizzazione degli uffici di comunicazione e sull’ordinamento del personale assegnato, e 23 agosto 2000, n. 50, Modifiche alle leggi regionali 13 ottobre 1972, n. 10 (Determinazione delle indennità spettanti ai membri del Consiglio e della Giunta regionale), 10 novembre 1972, n 12 (Funzionamento dei Gruppi consiliari), 8 giugno 1981, n. 20 (Assegnazione di personale ai Gruppi consiliari), 22 febbraio 1993, n. 7 (Sostituzione dell’articolo 9 della l.r. 8 settembre 1986, n. 42), 20 febbraio 1979, n. 6 e successive modifiche e integrazioni, riscrivono il nuovo assetto organizzativo dei Gruppi consiliari, apportando modifiche alla normativa sul personale degli stessi e l’organizzazione degli Uffici di comunicazione, nonché l’ordinamento del personale assegnato.

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dalla Regione e all’esercizio delle funzioni delegate agli enti

locali. In sede di revisione è necessario, poi, riflettere sulle

guarentigie dei Consiglieri regionali46 anche alla luce della

giurisprudenza della Corte Costituzionale.

In proposito, l’articolo 122, quarto comma della

Costituzione dispone che i Consiglieri regionali non possano

essere chiamati a rispondere per le opinioni espresse ed i voti

dati nell’esercizio delle loro funzioni.

La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha stabilito

che “l’esonero da responsabilità, posto a salvaguardia

dell’autonomia e dell’indipendenza costituzionalmente riservate

al Consiglio regionale, ricomprende tutte quelle attività che

costituiscono esplicazione sia di una funzione consiliare tipica,

sia delle attribuzioni direttamente affidate a detto organo dalla

stessa Costituzione o dalle altre fonti normative cui la prima

rinvia”47.

E, ancora, si è puntualizzato che “fra gli atti tipici, vanno

annoverate le interrogazioni e le interpellanze in quanto

strumentali al sindacato esercitato dal Consiglio nei confronti

della Giunta”48.

Oltre a ciò, sempre la giurisprudenza sottolinea come,

anche con riguardo alla guarentigia prevista dall’articolo 68

della Costituzione per i parlamentari, l’immunità in parola si

estenda altresì a quei comportamenti che, pur non rientrando

tra gli atti tipici, siano collegati da nesso funzionale con

46 Si pone in evidenza come la legge di revisione costituzionale non ha riscritto le disposizioni in merito alle guarentigie dei Consiglieri regionali. 47 Cfr. Corte Cost. sent. 13 ottobre 1999, n. 391. 48 Al riguardo, Corte Cost. sent. 14 giugno 1995, n. 274.

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l’esercizio delle attribuzioni proprie dell’organo di

appartenenza49.

La Corte Costituzionale ha precisato, infine, che

l'immunità dei consiglieri regionali da responsabilità per le

opinioni ed i voti espressi nell'esercizio delle loro funzioni si

estende anche alla responsabilità patrimoniale per danni

arrecati all'erario nell'esercizio della funzione legislativa50.

Sul punto l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale ha

presentato il progetto di legge n. 280, Norme in materia di

valutazione di insindacabilità dei Consiglieri regionali ai sensi

dell’articolo 122, comma 4, della Costituzione. Il progetto,

rilevato come l’articolo 122, comma 4 è posto a salvaguardare

l’autonomia e l’indipendenza riservata al Consiglio regionale,

attribuisce allo stesso, qualora un Consigliere sia chiamato a

rispondere davanti all’autorità giudiziaria per le opinioni

espresse nell’esercizio delle sue funzioni, la competenza a

procedere alla valutazione di insindacabilità.

La deliberazione consiliare produce l’effetto inibitorio

dell’inizio o della prosecuzione di qualsiasi giudizio di

responsabilità, penale o civile, con l’obbligo per l’autorità

giudiziaria di prendere atto della stessa e di adottare le

pronunce conseguenti.

Lo stesso progetto, già esaminato e licenziato dalla

Commissione consiliare competente scandisce, inoltre, anche le

procedure interne per effettuare il giudizio di valutazione di

insindacabilità dei Consiglieri regionali.

Si tratta, quindi, in sede di revisione statutaria di ribadire

quanto previsto nel progetto di legge.

49 Cfr. la già menzionata sent. 13 ottobre 1999, n. 391, oltre alle sentenze 7 luglio 1998, n. 289 e 14 luglio 1999, n. 329. 50 Per ulteriori chiarimenti, vedasi Corte Cost. sent. 16 aprile 1986, n. 100.

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L’articolo 68, commi 2 e 3, della Costituzione, partendo

dall’assunto che l’Assemblea legislativa è indipendente nella

misura in cui sono indipendenti i propri componenti, stabilisce

per i parlamentari anche l’immunità penale. A tal fine prevede

la richiesta di autorizzazione da parte della Camera di

appartenenza per limitare la libertà personale dei parlamentari,

salvo che siano colti nell’atto di commettere un delitto per il

quale è previsto l’arresto obbligatorio, e per mantenerli in stato

di detenzione. L’autorizzazione è, altresì, richiesta perché un

parlamentare possa essere sottoposto a perquisizione personale

o domiciliare, o ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di

conversazioni o comunicazioni ed a sequestro di

corrispondenza.

La Costituzione, con l’articolo 68, garantisce la libertà

personale o domiciliare, la libertà di espressione, di pensiero, di

comunicazione e quindi la libertà di azione politica.

Pertanto, questa guarentigia processuale si pone a garanzia

dell’indipendenza dei parlamentari e della continuità della

funzione da essi svolta quali rappresentanti del popolo: in tal

modo, si tutelano anche l’Assemblea elettiva contro indebite

ingerenze volte a limitarne e a comprimerne l’indipendenza.

Ciononostante, questa immunità non è esplicitata per i

Consiglieri regionali dall’articolo 122 e, secondo la

giurisprudenza, non è estensibile, in via analogica, in quanto

prerogativa eccezionale51.

Si rileva, inoltre, che per meglio garantire le guarentigie dei

Parlamentari è sancita l’ “immunità di sede”: è infatti previsto

che i poteri necessari per il mantenimento dell’ordine nella

Camera e nel Senato spettano alla Camera e al Senato stessi.

51 Su tale problematica, si rinvia alla già citata sentenza 7 luglio 1998, n. 289.

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Non solo: la forza pubblica, compresa la polizia giudiziaria, non

può accedere alle Aule della Camera o del Senato, delle Giunte

o delle Commissioni se non per ordine del Presidente della

Camera e dopo che sia stata sospesa o tolta la seduta.

Tale immunità però si estende anche a tutti i locali in cui

abbiano sede organi e uffici della Camera o del Senato.

Pertanto “l’immunità di sede” non si limita alla sola Aula,

ma si estende anche a tutte le sedi ove si svolge l’attività

parlamentare.

In questo senso già volge l’articolo 57 del Regolamento

interno del Consiglio regionale del Piemonte ove si prevede che i

poteri di Polizia del Consiglio spettano al Consiglio stesso e

sono esercitati in suo nome dal Presidente che impartisce gli

ordini necessari. La forza pubblica non può entrare nell’Aula se

non per ordine del Presidente e dopo che sia sospesa o tolta la

seduta.

Si potrebbe valutare, allora, se riaffermare nel nuovo

statuto, richiamando la disposizione regolamentare,

l’inviolabilità dell’Aula consiliare, e prendere in considerazione

di estenderla anche a tutti i locali nei quali si svolge l’attività

istituzionale o abbiano sede organi consiliari.

Nella situazione attuale, però, gli appartenenti alle forze

dell’ordine potranno circolare armati all’interno delle sedi

consiliari per motivi di servizio e ovviamente dopo essersi

identificati, ma non potranno circolare armati nell’emiciclo, ed

anche nelle pertinenze dell’Aula e nelle sedi nelle quali si svolge

l’attività istituzionale.

Di altrettanto rilievo e meritevole di attenzione in sede di

revisione è, poi, il problema della responsabilità dei membri

della Giunta regionale, in particolare degli assessori esterni. Al

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riguardo, però, la giurisprudenza costituzionale52 ha escluso la

liceità di questa estensione analogica, dal momento che la

Costituzione copre esclusivamente l’attività strettamente

consiliare.

L’art. 35, comma 5, del vigente Statuto, dettagliando i

poteri del Consiglio durante le crisi di Giunta prevede che, in

caso di dimissioni del Presidente della Giunta o della Giunta

stessa, “[…] il Consiglio non può deliberare su alcun altro oggetto

prima dell’elezione del nuovo Presidente e della nuova Giunta”.

Questa disposizione ha rischiato di comportare, nella sua

applicazione, la paralisi dell’attività del Consiglio anche per

l’approvazione di atti indefettibili quali, ad esempio, la legge di

bilancio.

Per di più, si pone in evidenza che la disposizione

costituzionale non prevede, in caso di scioglimento del

Consiglio, un organo straordinario che amministri la Regione.

Questo lascia presumere che rimanga in carica, per il

disbrigo degli affari correnti, la Giunta dimissionaria.

Si rende allora necessario valutare rischi e conseguenze di

questa mancata previsione legislativa. In merito, il T.A.R. del

Molise, con sentenza n. 58 del 2001, ha annullato tutte le

operazioni del procedimento elettorale che il 16 aprile 2000

avevano portato al rinnovo del Consiglio regionale della Regione

Molise, travolgendo contemporaneamente tutti gli organi

regionali (Consiglio, Presidente della Giunta e Giunta),

determinando un assoluto vuoto di potere nella gestione

dell’Amministrazione regionale53.

52 In merito, cfr. Corte Cost. sent. 21 marzo 1975, n. 81. 53 Sullo scioglimento del Consiglio regionale si veda D’ADDONA, R., Una dimenticanza del legislatore: l’annullamento delle elezioni del consiglio regionale, Giust.it, 3, 2001. Per un ulteriore approfondimento, si segnalano, inoltre, le sentenze del T.A.R. Molise, n. 58 del 7 marzo 2001 e quella del Consiglio di Stato, Sez. V 18 giugno 2001, n. 3212, con le quali sono state

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Il testo dell’articolo 126 della Costituzione novellato dalla

legge costituzionale n. 1 del 1999, non prevedendo alcun tipo di

“commissariamento” della Regione, rischia di aprire crisi

istituzionali non facilmente superabili, se non attraverso una

puntuale previsione statutaria54.

Per questi motivi, anche i poteri della Giunta e del

Consiglio regionale dimissionari dovranno essere approfonditi

in sede di revisione statutaria. (torna ad indice)

annullate le operazioni del procedimento elettorale per il rinnovo del Consiglio regionale del Molise. 54 Nella lettera inviata il 4 luglio 2001 al Ministro per gli Affari regionali, il Coordinatore della Conferenza dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle Province autonome, Roberto Louvin, ha espresso il “profondo disagio” della Conferenza relativamente alla ipotesi della permanenza in carica, nel caso della Regione Molise, della sola Giunta regionale per il disbrigo degli affari correnti, con esclusione del Consiglio regionale, “venendo a mancare qualsiasi forma di controllo istituzionale e politico sull’operato dell’esecutivo e del suo Presidente”.

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4. La funzione legislativa del Consiglio (torna ad indice)

Lo Statuto regionale disciplina al Titolo III, le funzioni

legislative del Consiglio e l’iter di formazione della legge

regionale.

Nel merito, innanzitutto, è necessario soffermarsi sul

rapporto Giunta-Consiglio, relativamente allo svolgimento della

funzione legislativa.

Lo Statuto non prevede meccanismi per ottenere tempi

certi per la votazione finale dei disegni di legge della Giunta: in

tal modo rischia di non essere garantito il ruolo del Governo e il

suo potere di indirizzo. E’ però necessario prevedere anche

meccanismi che garantiscano le minoranze e che permettano

una costruttiva opposizione in Aula. Sul punto si potrebbe introdurre la possibilità, per il

Presidente della Giunta, di porre la “questione di fiducia” su un

disegno di legge - o anche su un singolo articolo - allorché egli

ritenga che l'accoglimento della sua proposta sia essenziale

all'attuazione del programma politico55. In tal modo, lo Statuto,

nato in un’epoca di proporzionalismo assoluto in materia

elettorale, recepirebbe le naturali conseguenze delle innovazioni

elettorali e dell’introduzione del sistema maggioritario.

E’ opportuno, inoltre, che siano esplicati i poteri degli

eventuali assessori e in particolare di quelli esterni, sia in

Commissione consiliare, sia in aula.

Con riferimento all’articolato dibattito che si sta svolgendo

a livello del Parlamento e dei singoli Consigli regionali nonché

in dottrina, lo Statuto dovrebbe anche prevedere norme che

55 A tal proposito, si è fatto riferimento alle previsioni contenute nello Statuto della Regione Umbria.

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disciplinino il controllo sulla qualità della produzione

normativa, sulla fattibilità e sulla semplificazione legislativa con

la delegificazione, così recependo i nuovi principi introdotti, da

ultimo, dalla legge n. 59 del 1997 (art.20) e dalla legge n. 50 del

199956.

Per una miglior qualità della normativa è altresì necessario

affrontare la tematica per la redazione dei testi unici di

consolidamento o di coordinamento che permettono un riordino

organico della legislazione.

In particolare sarebbe auspicabile prevedere, in sede di

revisione statutaria, una disposizione normativa che individui

chiaramente competenze e rapporti tra fonti, modalità

procedurali ed iter di approvazione nella disciplina della

redazione dei testi unici, rinviando ad una specifica

disposizione del regolamento interno l’eventuale individuazione

delle modalità della loro approvazione, escludendo la possibilità

di presentare emendamenti sia in Commissione, sia in Aula,

alla legge con cui vengono approvati.

Un’ulteriore questione delicata da affrontare è la

possibilità per la Giunta di esercitare la funzione legislativa

attraverso l’approvazione di decreti legge e decreti legislativi.

Di qui la necessità di valutare la procedibilità

costituzionale della previsione di queste nuove fonti normative.

E’ bene precisare che si pongono, tuttavia. alcune riserve su

questa eventuale competenza, soprattutto per quanto attiene ai

decreti legge, anche perché oltre a stravolgere il sistema delle

fonti regionali, così disponendo si inciderebbe

56 Legge 8 marzo 1999, n. 50, Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1998.

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significativamente sulla funzione legislativa del Consiglio

regionale57.

(torna ad indice)

57 Al riguardo, il Ministro per gli Affari regionali, Enrico La Loggia, in visita a Palazzo Lascaris il 30 luglio 2001, si è pronunciato in senso favorevole alla possibilità, per le Regioni, di introdurre nel proprio sistema delle fonti il decreto legge ed il decreto legislativo.

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5. La partecipazione popolare ed il principio di trasparenza della Pubblica Amministrazione

(torna ad indice)

5.1 La partecipazione popolare e la legge n. 241 del 1990

Il ruolo della “partecipazione” è del tutto diverso in un

sistema nel quale i cittadini hanno una rappresentanza

“mediata” attraverso la funzione di indirizzo svolta

dall’Assemblea rispetto, invece, al sistema in cui è il corpo

elettorale stesso ad assumere una funzione di indirizzo: oggi la

partecipazione deve essere vista come un canale di

ampliamento del ruolo del cittadino.

Lo Statuto della Regione Piemonte è stato assolutamente

moderno anche nell'anticipare i principi di partecipazione del

cittadino.

Infatti, già l'art. 8 sancisce che il presupposto della

partecipazione è l’informazione sui programmi, sulle decisioni,

e sugli atti di rilevanza regionale; il successivo Titolo IV su

"La partecipazione popolare" ne definisce poi i contorni.

Queste disposizioni statutarie devono comunque essere

riformulate alla luce dei nuovi principi legislativi specialmente

in accordo con quanto previsto dalla legge n. 241 del 1990 in

materia di procedimento amministrativo e trasparenza

dell'azione amministrativa.

La “partecipazione” deve essere intesa, da un lato, come

valorizzazione della rappresentanza elettorale e come

rappresentanza realizzata dai corpi intermedi sociali e

territoriali, dall’altro.

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Nel primo caso, si avverte l’esigenza di evidenziare

l’opportunità di prevedere un rafforzamento delle istituzioni e,

in particolare, del Presidente della Giunta e del Presidente del

Consiglio, favorendo così un dialogo tra Istituzioni e

cittadinanza.

Con riferimento, invece, alla partecipazione come

rappresentanza realizzata dai corpi intermedi sociali e

territoriali, si sottolinea la necessità di una strutturazione

politica dell’organizzazione regionale tale da assicurare la

partecipazione al processo decisionale. La legge n. 241 del 1990 introduce infatti, il principio del

“giusto procedimento”, garantendo una “giustizia

nell’amministrazione” e anche una “giustizia sulla

amministrazione”. Pertanto, intendendo per “giusto

procedimento” la possibilità di incidere nei confronti delle

posizioni giuridiche di un soggetto solamente dopo averlo

messo in condizioni di “difendersi”, si propone di prevedere

obbligatoriamente una partecipazione del cittadino in

determinate materie e di potenziare l'incidenza della sua

partecipazione nell'esito del procedimento amministrativo.

5.2 Il principio di trasparenza della Pubblica Amministrazione. Connessioni con il principio di riservatezza

La legge n. 241 del 1990, oltre ad introdurre nuove norme

sul procedimento amministrativo, ossia sull’iter di formazione

della volontà della Pubblica Amministrazione, detta regole per

la trasparenza amministrativa.

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Lo Statuto della Regione Piemonte è stato antesignano

anche sotto questo profilo, prevedendo all’articolo 65, comma 2,

la pubblicità degli atti amministrativi e garantendo il diritto di

qualsiasi cittadino “ad avere copia integrale delle deliberazioni”.

Questa formulazione, allora innovativa, oggi deve essere

ridefinita e ampliata, estendendo il diritto di accesso non solo

alle deliberazioni, ma anche a tutti gli altri documenti della

amministrazione.

Potrebbe inoltre essere recepito quanto sancito dal decreto

legislativo n. 39 del 199358, introducendo, così, un forte

sistema informativo che permetta alla Regione di avvicinarsi

ulteriormente al cittadino e di diventare più accessibile e

trasparente.

Ma il panorama legislativo è in continua evoluzione e le

stesse leggi fin qui ricordate sono già in parte superate o

comunque da integrare.

Nel merito, ci si limita a richiamare la legge 31 dicembre

1996 n. 675, e successive modificazioni sulla Tutela delle

persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati

personali e la legge delega 31 dicembre 1996, n. 676, Delega al

Governo in materia di tutela delle persone e di altri soggetti

rispetto al trattamento dei dati personali.

Tali leggi, che trovano fondamento nell'art. 4 della

Convenzione europea di Strasburgo 108 del 1981, nell'Accordo

di Schenghen del 1985 e nella direttiva comunitaria 95/46/CE,

devono necessariamente raccordarsi con i principi di

trasparenza sanciti dalla legge n. 241 del 1990 e con il

principio di informatizzazione affermato dal decreto legislativo

n. 39 del 1993.

58 D. lgs. 12 febbraio 1993, n. 39, Norme in materia di sistemi informativi automatizzati delle amministrazioni pubbliche, a norma dell’articolo 2, comma 1, lettera mm), della legge 23 ottobre 1992, n.421.

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Per una puntuale e completa revisione dello Statuto, non

ci si può limitare a modifiche puramente formali, quasi

burocratiche, di adeguamento legislativo, bensì è necessario

operare innovazioni conformi al nuovo modello di “Pubblica

Amministrazione” che si sta delineando. Quindi le nuove norme

dello Statuto se, da un lato, devono, altresì, proclamare il

diritto di accesso, dall’altro lato devono contenere principi di

bilanciamento tra il principio di riservatezza e il principio di

trasparenza e di pubblicità59.

5.3 Il referendum abrogativo Il Titolo IV, Capo III dello Statuto disciplina il referendum

abrogativo ed il referendum consultivo.

Nel merito, è emersa la necessità di rivedere la disciplina

del referendum, con particolare riguardo alla determinazione

del quorum dei cittadini che lo possono proporre, anche

specificando più puntualmente i limiti del referendum sui

regolamenti e sui provvedimenti amministrativi.

L’attenzione potrebbe, poi, essere posta anche

sull’individuazione delle materie nelle quali non può

intervenire il referendum.

Di particolare rilievo, inoltre, è il problema dell’Organo

competente a stabilire la ricevibilità e l'ammissibilità del

referendum. Lo Statuto della Regione Piemonte del 1970, in

attuazione della Costituzione, disciplinava in modo dettagliato

l'istituto del referendum abrogativo e, in particolare, all'art. 58,

attribuiva all'Ufficio di Presidenza il potere di decidere

59 In tale senso, si è pronunciato più volte il Garante per la protezione dei dati personali.

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sulla ricevibilità e sull’ammissibilità formale del referendum.

In caso di assenza di unanimità decideva il Consiglio a

maggioranza assoluta dei componenti.

Questa disciplina60 ha sollevato alcune perplessità in

quanto non era in grado di garantire la terzietà e la non

politicità del giudizio rispetto ai diversi interessi messi a

confronto (interessi dei cittadini proponenti e interessi della

Regione) 61.

Per ovviare a tale impasse, nel 1990, la Regione

Piemonte ha modificato le disposizioni dello Statuto attribuendo

questa competenza alla Corte d’Appello del Capoluogo di

Regione, in quanto soggetto supra partes. Il giudizio si

60 La disciplina statutaria ha avuto attuazione con la legge regionale 16 gennaio 1973, n. 4, Iniziativa popolare e degli Enti Locali e referendum abrogativo e referendum consultivo. Tale legge è stata successivamente modificata con le ll.rr. 6 luglio 1978, n. 40, Modifica ed integrazione dell’art. 7 della legge regionale 10 gennaio 1973, n. 4 ‘Iniziativa popolare e degli enti locali e referendum abrogativo e consultivo’, 27 aprile 1981, n. 14, Integrazioni all’art. 39 della l.r. 16-1-1973, n. 4 ‘Iniziativa popolare e degli enti locali e referendum abrogativo e consultivo’, 16 maggio 1981, n. 16, Integrazioni agli artt. 26, 39 e 40 della legge regionale 16 gennaio 1973, n. 4 ‘Iniziativa popolare e degli enti locali e referendum abrogativo e consultivo’, modificata con legge approvata dal Consiglio regionale in adunanza del 18 aprile 1981, 20 dicembre 1990, n. 55, Modificazione della l.r. 16 gennaio 1973, n. 4 in materia di iniziativa legislativa popolare e degli enti locali e di referendum, 16 dicembre 1991, n. 58, Modifica ed integrazione della legge regionale 16 gennaio 1973, n. 4, in materia di referendum consultivo sulla istituzione di nuovi comuni, la modificazione delle circoscrizioni comunali e le denominazioni dei comuni, con riferimento al nuovo testo dll’art. 60 dello Statuto e 23 aprile 1992, n. 25, Modifica dell’art. 11 della l.r. 20 dicembre 1990, n. 55, ‘Modificazione della l.r. 16 gennaio 1973, n. 4, in materia di iniziativa legislativa popolare e degli enti locali e referendum abrogativo e consultivo. 61 Nel merito, T.A.R. 9 dicembre 1982 n. 1171, in “Le Regioni”, 1983, 263, con nota di FALCON, G., Diritto al referendum regionale e diritto di ammissibilità nella prospettiva della giurisdizione, in “Le Regioni”, 1983, p. 264. In tale sentenza il giudice amministrativo afferma che l'atto con il quale il Consiglio Regionale decide sull'ammissibilità del referendum abrogativo non può definirsi “né atto legislativo né atto politico o giurisdizionale ma si pone come provvedimento amministrativo rivolto al perseguimento immediato e diretto dell'interesse pubblico”. Tale "qualificazione come amministrativa dell'attività di verifica ne comporta l'assoggettamento al sindacato dei giudici”. In tale maniera viene garantita la posizione giuridica del promotori.

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svolge ora secondo le modalità previste dagli articoli 12 e

seguenti della legge n. 352 del 197062.

Nelle more della legge statale di approvazione delle nuove

disposizioni statutarie, poi intervenuta nel 1991, la Regione ha

cercato comunque di garantire l'imparzialità e la tecnicità del

giudizio di ricevibilità del referendum. A tal fine, è stata

istituita, con la legge regionale n. 55 del 199063, una

Commissione a carattere consultivo64 con competenza sulle

questioni tecnico-giuridiche che "concernono la interpretazione e

l'applicazione al caso concreto delle norme dello Statuto e delle

leggi regionali in materia di iniziativa legislativa popolare e degli

Enti locali e di referendum, nonché delle altre leggi nazionali e

regionali di cui si renda necessaria l'interpretazione o

l'applicazione nel corso dei predetti procedimenti"65.

L’attribuzione alla Corte d’Appello della competenza di

decidere sull’ammissibilità e sulla ricevibilità del referendum

deve, però, fare i conti con l’indirizzo espresso dalla Corte

62 Legge 25 maggio 1970, n. 352, Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo. Durante il dibattito sulla prima stesura dello Statuto spesso viene affrontato il problema del come disciplinare e dare effettiva attuazione alla partecipazione e, in particolare, all'istituto del referendum. Per un ulteriore approfondimento, si rinvia alla lettura del dibattito, ROVERO, M., SALVIO, R., (a cura di), Lo Statuto piemontese (1. I lavori preparatori; 2. I dibattiti), Consiglio regionale del Piemonte, 1972, pp. 456, 506, 532, 640. In particolare, è sottolineato come, già allora, si erano prospettate le ipotesi di affidare il giudizio di ammissibilità al Consiglio od alla Corte di Appello (cfr. p. 672). 63 Legge regionale 20 dicembre 1990, n. 55, Modificazione della legge regionale 16 gennaio 1973, n. 4 in materia di iniziativa legislativa popolare e degli enti locali e di referendum. 64 La Commissione è composta da cinque professori di ruolo di materie giuridiche presso gli atenei del Piemonte e quattro avvocati iscritti nell’albo speciale per il patrocinio davanti alla Corte di Cassazione ed alle altre giurisdizioni superiori (così si evince all’art. 7 della suddetta legge regionale n. 55 del 1990). 65 Cfr. art. 4 della sopraccitata legge regionale. Occorre precisare che, per quanto attiene l'iter referendario, la Commissione esprime parere sull'accettazione o il diniego della proposta referendaria.

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Costituzionale66 la quale, anche se precedentemente alla

approvazione del nuovo testo dell’articolo 58 dello Statuto, ha

dichiarato che le Regioni non possono intervenire con propria

legge ad alterare il quadro delle competenze dell'Autorità

giudiziaria67.

Gli Statuti regionali che attribuiscono ad un organo

giudiziario il controllo di ammissibilità delle richieste

referendarie rischiano, perciò, di interferire in un ambito

riservato alla sola disciplina legislativa dello Stato68.

66 Corte Costituzionale 22 gennaio 1982, n. 43 in “Le Regioni”, 1982, 419, con nota di VOLPE, Il giudizio sull'ammissibilità dei referendum regionali, in Le Regioni, 1982, pag. 410. In tale sentenza la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimi l'art. 6 della legge regionale Sardegna 17 maggio 1957, n. 20, Norme in materia di referendum popolare regionale e l'art.7 della legge Trentino Alto Adige 24 giugno 1957, n. 11, Norme sul referendum abrogativo di leggi regionali, che demandavano ad un organo del potere giudiziario la verifica dell'ammissibilità delle richiesta di referendum regionale. Alla sentenza n. 43 del 1982 si sono richiamate altre decisioni più recenti, quali quelle del 12 luglio 1984, n. 212, 22 maggio 1987, n. 203, 16 dicembre 1987, n. 615 e 22 giugno 1988, n. 767. Nel merito, cfr. anche POGGI, A., Corte e Costituzionale e competenze delle regioni in materia giurisdizionale. Una rilettura critica, in P. CIARLO, G. PITRUZZELLA, R. TARCHI, (a cura di), Giudici e giurisdizione nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, Torino, 1997. 67 In particolare la sentenza pone in evidenza come l'art. 108 della Costituzione preveda una riserva di legge statale in materia giurisdizionale "la quale opera assurgendo a principio dell'ordinamento giuridico dello Stato, nel senso di escludere il settore giudiziario dal sistema del decentramento e così dalle competenze dell'Ente Regione, pur a regime indifferenziato”. 68 Con la sentenza del 3 giugno 1999, n. 224, la Corte Costituzionale, giudicando una legge della Regione Sicilia che prevede che un membro effettivo ed uno supplente del collegio dei revisori dei conti dei centri internazionali per l'addestramento professionale nell'industria (CIAPI), enti dipendenti dalla Regioni, siano nominati fra magistrati della Corte dei conti, sembrerebbe assumere una diversa posizione in merito ai limiti della potestà legislativa regionale in materia giurisdizionale. Nel merito della questione, la Corte non condivide la tesi del giudice "a quo" secondo cui tale previsione legislativa eccederebbe dalla competenza legislativa regionale, violerebbe la riserva di legge statale in tema di ordinamento delle magistrature e di "status" dei magistrati, inciderebbe illegittimamente sulla indipendenza della Corte dei Conti, garantita sia nel suo profilo di organo di controllo, sia nel suo profilo di organo giurisdizionale, e contrasterebbe con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione. Infatti, la Corte precisa che occorre distinguere nettamente fra la disciplina legislativa che determina la possibilità, i limiti, le condizioni e le modalità per l'attribuzione a magistrati (dell'ordine giudiziario o delle magistrature speciali) di incarichi estranei ai loro compiti di istituto, e una disciplina legislativa che invece, sul presupposto di quella, preveda

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Nel merito, durante i lavori della Commissione Statuto, si

era posto il problema se attribuire ad un diverso organo la

competenza di giudicare sulla ricevibilità ed ammissibilità delle

proposte di referendum, ovvero se mantenere ferma la

previsione dell’art. 58. Tale competenza infatti, non presuppone

necessariamente un voler incidere sulle competenze

giurisdizionali della Corte d’Appello, ma indica semplicemente

la volontà di attribuirla ad un soggetto terzo rispetto alla

richiesta referendaria.

Parallelamente, il fatto di ribadire la competenza alla Corte

d’Appello, è stato anche inteso dalla Commissione come una

istanza al Parlamento per un “forte regionalismo”.

In conclusione, si sottolinea la necessità di dare attuazione

alle disposizioni statutarie sul referendum consultivo,

disciplinando nei dettagli le modalità del suo svolgimento. Il

referendum potrebbe, inoltre, divenire uno strumento di

“garanzia” dell’iniziativa popolare: di conseguenza, si potrebbe

anche valutare l’opportunità di prevedere un meccanismo

secondo il quale se entro sei mesi dalla presentazione della

proposta di legge, il Consiglio Regionale non si sia espresso,

possa scattare “automaticamente” il referendum consultivo.

l'attribuzione a magistrati di determinati incarichi. Solo la prima previsione attiene infatti allo "status" del magistrato e rientra nell'ambito della riserva di legge statale posta dall'art. 108, comma 1 Cost., rientrando nella esclusiva competenza del legislatore statale il compito di dettare la disciplina, in concreto rispettosa delle esigenze di salvaguardia dell'indipendenza e dell'imparzialità, degli incarichi extraistituzionali dei magistrati. Al contrario, la previsione con legge regionale di avvalersi di singoli magistrati, per compiti che comportino l'attribuzione di incarichi, estranei a quelli di istituto, non incide sullo "status" del magistrato più di quanto vi incida la decisione di qualunque soggetto che, in forza della facoltà riconosciuta dall'ordinamento, e nel rispetto, delle condizioni stabilite dalla normativa statale sugli incarichi, intenda avvalersi dell'opera di un magistrato.

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5.4 Il Difensore civico La Regione Piemonte, con legge regionale n. 50 del 1981,

prevede come strumento per la valorizzazione del principio di

partecipazione, l’istituzione dell’Ufficio del Difensore civico,

attribuendo allo stesso il compito di tutelare il cittadino

nell’ottenere dall’amministrazione regionale, dagli enti pubblici

regionali e da tutte le amministrazioni pubbliche che esercitano

deleghe regionali, quanto gli spetta di diritto.

Le statuizioni della legge regionale sono poi state ribadite

anche nello Statuto: con le modifiche statutarie approvate con

la legge n. 180 del 1991, il Consiglio regionale sancisce, infatti,

all’articolo 71, la figura del Difensore civico, rinviando alla legge

regionale le modalità della sua nomina nonché la definizione

dei suoi compiti ed i modi di esercizio degli stessi.

La Regione Piemonte è stata una delle poche regioni che

ha previsto in Statuto la figura dell’Ufficio del Difensore civico.

Occorre però sottolineare che la modifica dello Statuto è

intervenuta prima che a livello statale fosse approvata la legge

n. 142 del 1990 e quindi fosse prevista, all’articolo 8, la

possibilità per Comuni e Province di istituire il difensore civico

comunale e provinciale.

Tale scelta deve essere però adeguata con gli interventi

legislativi statali intervenuti successivamente: infatti con la

legge n. 127 del 199769, si istituzionalizza la figura del

Difensore civico regionale, con l’attribuzione di specifiche

competenze. L’articolo 16 della legge n. 127 del 1997 prevede

che i Difensori civici delle Regioni e delle Province autonome, su

sollecitazione di cittadini singoli o associati, esercitino, sino

all’istituzione del difensore civico nazionale, anche nei confronti

69 Si veda supra nota 7.

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delle amministrazioni periferiche dello Stato, limitatamente agli

ambiti territoriali di rispettiva competenza, le medesime

funzioni di richiesta, di proposta, di sollecitazione e di

informazione che i rispettivi ordinamenti attribuiscono agli

stessi nei confronti delle strutture regionali e provinciali70.

Pertanto, da un lato, si potrebbe prospettare la

ridefinizione del ruolo del Difensore civico come organo

ausiliare della legalità a livello regionale; in questo ambito il

difensore civico può rappresentare un rimedio giurisdizionale

nei confronti dell'attività amministrativa regionale, con la

valorizzazione della sua funzione di conciliazione. Dall’altro

lato, si potrebbe prevedere la possibilità di ricorso al Difensore

civico per gli atti posti in essere nelle materie delegate agli Enti

locali e non attuate.

In questo contesto, la disposizione sul Difensore civico più

opportunamente potrebbe essere collocata nel Titolo IV su “La

partecipazione popolare”, raccordandone i contenuti con la

partecipazione procedimentale.

(torna ad indice)

70 Con la legge n. 340 del 2000 (cfr. nota 8, p. 3) si attribuisce al Difensore civico la competenza a giudicare sulle richieste di accesso.

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6. Titolo V: l’attività amministrativa e i rapporti con gli Enti locali e le Autonomie funzionali

(torna ad indice)

6.1 Premesse

L'occasione della revisione statutaria deve tenere presente,

come ulteriore prospettiva, quella di consentire un

adeguamento alle modifiche intervenute nei rapporti che

intercorrono tra la Regione, le Province e i Comuni.

Nelle pieghe dell'art. 3 della legge n. 142 del 1990, e nelle

altre norme che la stessa legge prevede, era già delineato un

profondo ripensamento del ruolo che la Regione deve svolgere.

Erano, inoltre, ridefiniti i ruoli dei Comuni e delle Province

nell'ordinamento giuridico.

Con la legge n. 59 del 1997 (cd. Bassanini 1) si delinea,

poi, un nuovo modello di organizzazione delle funzioni

amministrative. Tale legge delega rappresenta, infatti, a

Costituzione invariata, un primo passo verso quello che,

comunemente, è definito "federalismo amministrativo".

In essa sono individuate esclusivamente le competenze

amministrative che rimangono in capo allo Stato: tutte le altre

competenze sono attribuite (o conferite o delegate) alle Regioni e

agli Enti locali, avviando così un processo di trasformazione

dell’ordinamento in senso regionale e di valorizzazione delle

autonomie locali.

Il trasferimento di funzioni e compiti deve avvenire nel

rispetto dei principi e dei criteri direttivi ben delineati dalla

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stessa legge delega: trova, così, completa espressione il principio

di sussidiarietà71.

Tuttavia, per dare piena attuazione al principio di

sussidiarietà, occorre anche recepire il principio della

differenziazione inteso nel senso di prestare riguardo alle

diverse caratteristiche demografiche, territoriali e strutturali

degli enti riceventi.

La combinazione tra il principio di "sussidiarietà" e il

principio di "differenziazione" deve essere concepita come

strumento per rendere elastici, flessibili, costantemente

modificabili i rapporti fra soggetti e ambiti territoriali diversi.

Infine, la revisione del sistema regionale “pretende” anche

l’adeguatezza degli enti ad assorbire quanto viene loro

demandato e l’idoneità organizzativa dell’amministrazione

ricevente a garantire, anche in forma associata con altri enti,

l’esercizio delle funzioni72.

Il percorso tracciato con la legge delega, e con i relativi

decreti legislativi di attuazione, trovano poi il punto di arrivo

71 Il principio di sussidiarietà risulta suscettibile di una duplice applicazione: sussidiarietà in senso verticale, ossia come distribuzione di competenze tra Enti locali territoriali e autonomie funzionali, e in senso orizzontale, ossia come riallocazione delle funzioni tra soggetti pubblici e privati. Inoltre la sussidiarietà deve essere intesa non come rigido “criterio di ripartizione" delle competenze, ma come “principio di ripartizione”, nel tempo e nello spazio, dell'esercizio di una determinata competenza. Non al più piccolo rimane ciò che riguarda l'ambito di competenza del più piccolo, ma nel senso opposto: il livello più grande può sempre intervenire quando ritenga che ciò sia necessario per l'inadeguatezza o l'inopportunità dell'intervento del livello più piccolo. E poi: dove non può arrivare il soggetto pubblico interviene il soggetto privato. 72 In tal senso volge anche il progetto di revisione costituzionale quando sottolinea che le funzioni amministrative sono conferite sulla base del principio di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

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nel Testo unico in materia di ordinamento degli Enti locali73.

Infatti, l’articolo 4, rubricato “Sistema regionale delle autonomie

locali”, ribadisce i principi della Bassanini per l’organizzazione

dell’esercizio delle funzioni amministrative.

In tal senso, la riflessione sulla revisione dello Statuto

deve tendere a ridisegnare la mappa del potere locale.

Le Regioni, nel rivendicare le loro posizioni, devono creare

quel "sistema regionale delle autonomie" previsto dal Testo

unico degli Enti locali, valorizzando la responsabilità,

l'autogoverno delle collettività locali e soprattutto il principio di

sussidiarietà.

Non solo: è necessario tendere al rafforzamento del ruolo e

delle garanzie degli enti territoriali operanti nell'ambito

regionale.

Un primo passo potrebbe essere, in questo senso, quello

di prevedere nello Statuto74 uno organismo di rappresentanza

delle autonomie locali composto di membri tecnicamente

competenti e scelti in parte dalla Regione ed in parte dalle

73 Cfr. nota 4, p. 2. 74 Di fatto, lo Statuto della Regione Piemonte già prevede la disciplina delle "deleghe" delle competenze amministrative dalla Regione agli Enti locali. Quindi, dando attuazione a quanto scritto nel suo Statuto ed ispirandosi al principio di sussidiarietà, la Regione implicitamente attua anche i principi contenuti nel Testo unico. La Regione Piemonte, con la legge regionale del 20 novembre 1998, n. 34, Riordino delle funzioni e dei compiti amministrativi della Regione e degli enti locali, recependo i principi della legge delega n. 59 del 1997, istituisce la Conferenza Permanente Regioni-Autonomie Locali (art. 6), con la funzione di esprimere pareri obbligatori e formulare proposte, di norma in via preventiva, sui disegni di legge, sugli atti amministrativi a carattere generale relativi al conferimento di funzioni e compiti amministrativi agli enti locali, nonchè in merito a quelli che incidono in modo strutturale sul sistema regionale delle autonomie locali. La Conferenza esprime altresì pareri in merito alla semplificazione ed armonizzazione delle procedure amministrative nonchè esprime pareri sulle proposte di legge e sugli atti amministrativi di competenza del Consiglio regionale, aventi riflessi sul sistema della autonomie locali, su espressa richiesta della competente commissione consiliare .

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rappresentanze degli enti territoriali piemontesi, con il compito

di arbitrare i possibili conflitti fra regione ed enti territoriali75.

La revisione dello Statuto dovrebbe essere anche

l’occasione per una riflessione sul sistema istituzionale italiano

delle autonomie funzionali, con particolare riguardo al ruolo

partecipativo che dovrà essere loro riconosciuto, accanto alle

autonomie territoriali.

Proprio con riferimento alla partecipazione, intesa come

rappresentanza realizzata dalle autonomie funzionali, al fine di

costruire un perfetto reticolato istituzionale, sarebbe poi

opportuno valutare la possibilità di attribuire anche alle

autonomie funzionali l’esercizio dell’iniziativa legislativa

regionale nelle materie di propria competenza.

(torna ad indice)

75 Sempre con riguardo al rapporto con gli enti locali, si pone in evidenza che l’articolo 69 dello Statuto (Capo II del Titolo V), nel rispetto dell’articolo 130 della Costituzione, disciplina il controllo sugli atti degli enti locali. Questa disposizione ovviamente non tiene conto delle modifiche sui controlli intervenute prima con la legge n. 142 del 1990 e poi con la legge n. 127 del 1997. Infatti, non è più previsto il controllo di merito sugli atti degli enti locali, inoltre è stato limitato il preventivo controllo di legittimità. Pertanto è necessario eliminare dalla disposizione statutaria il controllo di merito sugli atti degli Enti locali, mantenendo il controllo in tema di atti generali.

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7. Lo stato giuridico ed economico del personale e la separazione dei ruoli.

(torna ad indice)

Il legislatore statale, anche se in momenti differenti e con

leggi diverse, ha cercato di realizzare un unico disegno

riformatore con profondi mutamenti dei principi che reggono

l'Amministrazione.

Alla legge n. 241 del 1990 è, infatti, seguita la disciplina

della riorganizzazione del pubblico impiego (legge delega n.

421 del 199276 e decreto legislativo n. 165 del 200177) che,

con particolare riguardo alla tematica sul rapporto tra politici e

tecnici, delinea i nuovi contorni e le responsabilità della figura

dirigenziale.

La legge regionale n. 51 del 199778, ha inoltre recepito i

principi e i criteri del decreto legislativo n. 29 del 1993,

attribuendo agli organi politici il potere di indirizzo e di

controllo e ai Direttori e ai dirigenti regionali la competenza ad

adottare gli atti di gestione e gli atti aventi rilevanza esterna.

Questi principi devono essere ripresi anche nelle

disposizioni statutarie. L’articolo 37 infatti prevede ancora in

capo al Presidente della Giunta e agli Assessori delegati la

competenza a firmare gli atti della Regione: il nuovo Statuto

non può, allora, non tenere conto delle innovazioni normative

intervenute in questa materia.

Il processo di riforma amministrativa in corso attribuisce,

in capo alle Regioni, la funzione di programmazione, di

76 Legge 23 ottobre 1992, n. 421, Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale. 77 Si veda nota 6, p. 3. 78 cfr., anche par. 3.1, p. 27.

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concertazione e di coordinamento: funzione che potrebbe

divenire il punto di partenza per esaltare la potestà legislativa

propria delle Assemblee regionali.

E’, perciò, importante che le strutture consiliari si

riorganizzino adottando un sistema “autonomo dalla Giunta”

che sia in grado di rispondere efficientemente a questa, sempre

più “forte”, funzione: è, infatti, rimessa alla decisione di

ciascuna Assemblea la scelta del modello che si ritiene più

idoneo per esaltarne le peculiarità.

Già lo Statuto vigente della Regione, all’articolo 81, ultimo

comma, prevede la possibilità di istituire, con legge regionale,

ruoli organici separati per il personale della Giunta e per quello

del Consiglio.

Proprio in attuazione dell’articolo 81 dello Statuto, la

Regione Piemonte con propria legge n. 51 del 1997, con la quale

si recepisce il decreto legislativo n. 29/1993 (ora decreto

legislativo n. 165/2001), ha scelto il proprio modello

organizzativo e ha istituito ruoli organici e strutture distinti

rispettivamente per la Giunta e per il Consiglio regionale,

formalizzando il ruolo distinto del Consiglio regionale e

demandando ad apposita struttura del Consiglio la gestione

diretta di tale personale.

In questa logica si ridisegna anche, il nuovo assetto

organizzativo dei Gruppi consiliari, a cui sono state apportate,

con le leggi regionali n. 33 del 1998 e n. 39 del 199879 e

successive modificazioni, modifiche che incidono sul personale

dei Gruppi e sull’organizzazione degli Uffici di comunicazione,

nonché sull’ordinamento del personale assegnato.

79 per entrambe le leggi, vedasi nota 45, p. 31.

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Di conseguenza, l’articolo 81 dello Statuto deve essere

aggiornato riprendendo, oltre al principio di distinzione, anche

il principio di responsabilità e di funzionalità

dell’amministrazione.

In fase di revisione dello Statuto deve inoltre essere sancito

ed esplicitato il percorso dell’autonomia funzionale, contabile e

organizzativa fino ad oggi portata avanti dal Consiglio regionale.

Autonomia significa, infatti, non solo autonomia

organizzativa ma anche autonomia funzionale, contabile e

organizzativa, finanziaria e patrimoniale.

In particolare, la Regione Piemonte aveva già dato

attuazione, con il Regolamento per l’autonomia funzionale e

contabile del Consiglio regionale in attuazione della legge 6

dicembre 1973, n. 853, approvato dal Consiglio regionale del

Piemonte il 19 luglio 1984, al principio di autonomia contabile

e finanziaria., in applicazione della legge 6 dicembre 1973, n.

853, Autonomia contabile e funzionale dei Consigli regionale

delle Regioni a statuto ordinario, con la quale si sancisce

l’autonoma gestione contabile e finanziaria dei Consigli. Tale

legge individua specificatamente capitoli per la gestione diretta

delle strutture consiliari, in particolare, per la gestione delle

spese del personale assegnato ai Consigli regionali e per

l’indennità ai Consiglieri.

In questo contesto, innovandolo profondamente, si colloca

la legge regionale 11 aprile 2001, n. 7, Ordinamento contabile

della Regione Piemonte ed, in particolare, il Capo IV, che

disciplina l’Autonomia finanziaria e contabile del Consiglio

regionale.

Tale provvedimento ridefinisce l'ordinamento contabile

della Regione Piemonte, in attuazione delle disposizioni di cui al

decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76 (Principi fondamentali e

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norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità

delle regioni, in attuazione dell'articolo 1, comma 4, della legge

25 giugno 1999, n. 208), e dedica il Capo IV all’autonomia

finanziaria e contabile del Consiglio regionale, ridisciplinandola.

In particolare, si rivede la fonte giuridica con la quale si

definisce il fabbisogno finanziario del Consiglio Regionale.

Infatti, mentre il regolamento per l’autonomia funzionale e

contabile del Consiglio regionale oggi in vigore attribuisce

all’Ufficio di Presidenza la competenza a deliberare il fabbisogno

finanziario, l’articolo 43 della legge regionale n. 7 del 2001,

prevede invece che l’Ufficio di Presidenza predisponga il bilancio

annuale di previsione del Consiglio regionale e lo sottoponga al

Consiglio per l’approvazione.

Non solo: la legge regionale va oltre e sancisce che il

fabbisogno finanziario, così come deliberato dal Consiglio,

costituisca un centro unico di spesa e diventi unità previsionale

di base.

Sarà poi competenza dell’Ufficio di Presidenza definire, con

propria deliberazione, i fondi per ciascun capitolo di spesa.

In tal modo, il fabbisogno finanziario del Consiglio regionale

costituisce spesa obbligatoria per la Regione ed è iscritto, sotto la

denominazione “Spesa del Consiglio regionale”, in un’unica

unità previsionale della spesa della Regione: questa disposizione

è innovativa rispetto alla normativa di recepimento del decreto

legislativo, n. 76 del 2000 da parte delle altre Regioni a Statuto

ordinario.

Questo percorso deve essere ribadito in Statuto, ma si

potrebbe ancora andare oltre, sancendo anche l’autonomia

finanziaria e soprattutto patrimoniale del Consiglio regionale80

quale necessario corollario.

80 Sul punto, cfr. paragrafo 3.2, p. 28.

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Infine, si ribadisce che i Consigli Regionali devono essere

messi nella condizione giuridica di ”difendere” la propria volontà

e le scelte poste in essere. In tal senso, bisogna, allora, tendere

ad un regime giuridico nel quale anche il Presidente del Consiglio

ha la rappresentanza legale per gli atti con rilevanza esterna.

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8. Regioni e Comunità Europea (torna ad indice)

La revisione dello Statuto non deve occuparsi

esclusivamente delle riforme necessarie. Altrettanto notevole

deve anche essere lo sforzo da compiere per quanto riguarda

l'adeguamento delle norme statutarie al processo di riforma

della Pubblica Amministrazione che il legislatore statale, a

Costituzione invariata, ha posto in essere.

Il sistema regionale a cui dobbiamo tendere, se non vuole

rischiare di nascere già concettualmente “vecchio”, deve tentare

di superare l’identità territoriale nazionale e giungere ad una

autonomia funzionale che enfatizzi il fine di efficienza ed

efficacia ordinamentale e che tenga presente l’orizzonte

Europeo.

Bisogna volgere verso un “Regionalismo europeo”, creando

una omogeneità tra gli ordinamenti, intesa nel senso di

capacità di rappresentare i rispettivi popoli e, quindi, di uguale

responsabilità nella definizione degli interessi e

nell’individuazione dei bisogni.

Nell’ottica dello sviluppo dell’integrazione europea, le

autonomie locali devono infatti ragionare come soggetti di una

comunità più vasta dello spazio nazionale, cioè di quello

comunitario, divenendo l’espressione non di un ordinamento

artificioso, ma di una realtà economica e sociale che appartiene

al popolo che in essa si riconosce.

Le riflessioni sulla revisione statutaria devono allora essere

impostate tenendo conto dei condizionamenti che derivano

dalla normativa europea nonché dell’opportunità di collegare i

nostri obiettivi a quelli comunitari, al fine di sfruttare tutte le

possibili risorse, anche in un’ottica di integrazione con altre

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aree regionali europee, intrafrontaliere o meno, in cui si

possano intravedere utili sinergie.

Peraltro, l’accresciuta integrazione sociale, la

globalizzazione economica, la crescente autonomia degli Enti

locali all’interno di alcuni Stati membri, la riscoperta di antiche

radici comuni e la stessa attuazione del Trattato di Schenghen,

richiedono strategie comuni e forte cooperazione istituzionale

fra gli Enti locali dei diversi Stati europei.

In questo contesto, sono nate le Euro-Regioni ossia

associazioni spontanee tra Regioni appartenenti a Stati diversi,

nei settori di propria competenza. Esse possono servire, e sono,

di fatto, utilizzate per una serie di finalità concrete: favorire la

cooperazione in varie aree di interesse comune, creare una

sorta di “cerniera” fra Stati europei lungo le frontiere più

problematiche e, non ultimo, coordinare l’utilizzo congiunto di

fondi europei.

Queste forme di cooperazione istituzionale caratterizzate

dalla loro flessibilità si inseriscono agevolmente nelle nuove

idee formatrici dell’integrazione europea, in particolare

nell’ambito del principio di sussidiarietà81.

81 In tal senso volge la legge di revisione del Titolo V della Costituzione la quale individua la possibilità per le Regioni, nelle materie di loro competenza, di concludere accordi con altre Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato. Ad una prima lettura sembrerebbe che alle Regioni sia attribuita una competenza sostanziale a concludere intese interregionali, finalizzate al miglior esercizio delle proprie competenze. Risulterebbe così evidenziato quel principio di sussidiarietà che è sempre più il cardine di lettura dell’ordinamento comunitario e che fa sì che la Regione non vada vista come un mero soggetto passivo destinatario di azioni e misure stabilite a livello comunitario ma anche interlocutore diretto, quindi soggetto attivo, nel processo di integrazione europea. Ma, secondo il disposto del progetto di revisione, il potere di concludere accordi sarebbe subordinato ai casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato. Tali competenze rischiano quindi di essere inidonee a “risolvere” i problemi di sviluppo dei contenuti delle scelte politico legislative regionali. La previsione di organismi comuni, infatti, può risolvere, con la loro natura contrattuale associativa, la gestione tecnico-amministrativa delle funzioni di rilevanza nazionale, ma, i vincoli individuati nella legge statale potrebbero

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E’ importante, allora, comprendere fino a che punto la

Regione può trovare, a Costituzione invariata, un proprio ruolo

e un proprio spazio nella dimensione comunitaria82.

In particolare, si potrebbe considerare, a livello statutario,

l'inserimento di una c.d. norma di scorrimento ossia una

clausola di adeguamento automatico, a livello regionale, delle

nome comunitarie immediatamente applicabili83.

La previsione di tale adeguamento automatico

evidenzierebbe, in effetti, lo stesso collegamento tra l'attività

regionale e quella della Comunità europea.

Un altro punto ritenuto importante riguarda la “fase

ascendente”, cioè la possibilità per la Regione – che assume

quindi un ruolo di soggetto attivo – di partecipare

all'elaborazione e attuazione del diritto comunitario nelle

materie di competenza regionale ex art. 117 Cost.. La

normativa comunitaria ha infatti, sostanzialmente modificato la

sfera di competenza dei singoli Stati e conseguentemente ciò si

riflette sulle competenze che lo Stato italiano aveva attribuito

alle Regioni.

Così come la nostra legislazione nazionale si adegua

automaticamente ad alcune norme di diritto internazionale

comunemente riconosciute, senza bisogno di un atto normativo

di ricezione, allo stesso modo si potrebbe valutare la possibilità

per le Regioni di prevedere un meccanismo per un

adeguamento diretto senza un atto espresso, nelle materie di

propria competenza.

non garantire la formazione, la gestione e l’efficacia su tutto il territorio nazionale delle singole scelte politiche regionali. 82 BILANCIA, P., Le attività di rilievo estero e comunitario delle Regioni e loro possibili riflessi sul futuro assetto organizzativo regionale, in “I nuovi Statuti delle Regioni”, cit., pp. 87-101. 83 Sul punto si veda la relazione a cura di Porro in CONSIGLIO REGIONALE DEL PIEMONTE, Riforme istituzionali e nuovo Statuto, cit., pp. 132-138.

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Si potrebbe pensare ad un atto vero e proprio solo nel caso

in cui la norma comunitaria calata nell’ordinamento regionale

debba avere precisazioni ed integrazioni.

Si evidenzia, inoltre, che la Regione svolge un ruolo di

programmazione per lo sviluppo economico, finanziario e

sociale che, in un'ottica di integrazione europea, non può

essere disgiunto dal ruolo di programmazione europea. In tal

senso, la Regione dovrebbe, allora, porsi obiettivi finalizzati alla

cooperazione con i territori comunitari o extracomunitari.

Un’altra questione da affrontare è quella inerente

all’adeguamento delle disposizioni statutarie al Trattato di

Roma84. L’articolo 92, infatti, al fine di tutelare la libera

concorrenza nel mercato interno, prevede tassativamente gli

esclusivi regimi di aiuti che possono essere concessi da parte di

Stati membri, mediante risorse statali, ad imprese o produzioni.

E l’articolo 93, comma 3, disciplina invece l’iter che gli Stati

membri devono seguire ed in particolare viene prevista la

comunicazione alla Commissione europea dei progetti diretti ad

istituire o modificare aiuti di stato, affinché essa possa

verificare la compatibilità con quanto sancito dall’articolo 92

dello stesso Trattato.

Tali precetti hanno ricadute anche sulle Regioni quando,

nei progetti di legge regionali, sono predisposti interventi che

ricadono nell’ambito di disciplina degli aiuti.

In tale prospettiva, si potrebbe introdurre in Statuto una

disposizione che condizioni l’entrata in vigore della legge regionale al

completamento delle procedure, con la finalità di assicurare la

compatibilità della legge stessa ai vincoli comunitari85. (torna ad indice)

84 Con la ratifica, da parte dello Stato Italiano, del Trattato di Amsterdam gli articoli 92 e 93 corrispondono agli articoli 87 e 88 del Trattato stesso. 85 Cfr. Porro, G., cit., pag. 9.

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Conferenza dei Presidenti dell'Assemblea,

dei Consigli regionali e delle Province autonome

GRUPPO DI LAVORO

STATUTI REGIONALI E REGOLAMENTI

PER IL FUNZIONAMENTO DELLE ASSEMBLEE

Roma, 15 maggio 2001

Documento di lavoro per una prima sintetica rassegna

delle questioni riguardanti la revisione statutaria

(torna ad indice)

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Premessa

Il presente documento indica , raggruppandoli per grandi temi, i punti principali sui quali dovrebbe essere messa a fuoco la riforma degli statuti delle regioni ordinarie. Non vuole certamente costituire una vera e propria traccia per la stesura dei nuovi statuti, pur se può presentare una qualche utilità anche a questo scopo. Intende invece segnalare i diversi “nodi” che la riforma statutaria dovrebbe affrontare, anche alla luce della riforma del titolo V della Costituzione approvato dal Parlamento e sottoposto a referendum. Contiene quindi suggerimenti, segnalazioni, proposte che dovranno essere successivamente approfonditi e sviluppati, una volta che la Conferenza ne abbia verificate la correttezza e l’opportunità.

Indicazioni preliminari Il problema che preliminarmente sarebbe opportuno porsi nel procedere alla revisione dello Statuto regionale attiene alla scelta della “tipologia di Statuto che si vuole scrivere. In particolare si deve definire se si vuole uno Statuto snello ed essenziale che rinvii al regolamento consiliare e ad apposita normativa la disciplina dettagliata delle sue disposizioni, ovvero se si vuole uno Statuto lungo ed articolato.

Principi fondamentali

1. Valutare se nello statuto occorra una definizione dell’ente regione, in base alle autoqualificazioni di ciascuna Regione in senso più o meno autonomistico o federale.

2. Aggiornare i principi fondamentali, con l’inserimento di nuovi principi, tra i quali certamente quello di sussidiarietà

2.1. tra istituzioni pubbliche (sussidiarietà “verticale”): tema da approfondire

partendo dal recepimento del d. lgs. 112/97 operato dalle singole regioni, e ripensano il rapporto Regione, Enti locali ed autonomie funzionali.

2.2. tra istituzioni e formazioni sociali intermedie (sussidiarietà “orizzontale”)

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3. Valutare se i principi fondamentali debbano o no dilatarsi fino a comprendere una vera e propria “Carta o tavola dei diritti”.

4. Valutare se si intende inserire ,con particolari norme di garanzia, il principio di parità tra uomo e donna nell’accesso alle cariche pubbliche previsto dall’art. 117 della Costituzione, nel testo recentemente modificato.

5. Oltre che indicare i grandi principi, generali e talvolta generici, cercare di costruire

con questi principi i “connotati” dell’ identità culturale di ogni regione. Cioè fare in modo, per quanto possibile, che i principi generali disegnino la fisionomia e gli

obiettivi istituzionali, politici e sociali di ogni singola regione, caratterizzandola nel modo più preciso. Si dovrà anche riflettere sui temi della cultura, della lingua e della promozione del territorio. Il punto di partenza potrebbe essere da un lato la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”, approvata dal Consiglio dell’Unione Europea a Nizza il 7 dicembre 2000, che ribadisce che “l’Unione rispetta la diversità

culturale, regionale e linguistica”. Dall’altro lato la legge n. 482 del 1999, recante “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”, ove si prevede che “le regioni a statuto ordinario, nelle materie di loro competenza, adeguano la

propria legislazione ai principi stabiliti dalla presente legge, fatte salve le disposizioni legislative regionali vigenti che prevedano condizioni più favorevoli

per le minoranze linguistiche”. A tal fine sarebbe importate raccordarsi anche con il gruppo di lavoro della Conferenza “Identità, cultura, promozione del territorio”. In

ogni caso un riferimento alla Carta di Nizza nella parte relativa ai principi fondamentali non può non esserci.

6. La prima parte degli statuti non potrebbe non tener conto di alcuni principi fondamentali oramai condivisi dal nostro ordinamento istituzionale: dai principi della semplificazione amministrativa a quelli della delegificazione, dalla ripartizione di responsabilità tra organi politici e dirigenza alla privacy ecc.

Rapporti Regioni – Europa – Questa tematica, assente negli originari statuti approvati in diverse contingenze storico – politiche, dovrebbe essere affrontata anche in relazione a quanto previsto dalla revisione del Titolo V della Costituzione (nuovo testo dell’articolo 117, commi 3 e 5). 1) Si potrebbe prevedere, a livello statutario, l'inserimento di una c.d. norma di

scorrimento ossia una clausola di adeguamento automatico, a livello regionale, delle nome comunitarie immediatamente applicabili.

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In particolare le riflessioni sulla revisione statutaria devono infatti essere impostate tenendo conto dei condizionamenti che derivano dalla normativa europea, nonché dell’opportunità di collegare gli obiettivi a quelli comunitari al fine di sfruttare tutte le possibili risorse, anche in un’ottica di integrazione con altre aree regionali europee, intrafrontaliere o meno, in cui si possano intravedere utili sinergie. E’ importante comprendere fino a che punto la Regione può trovare, a Costituzione invariata, un proprio ruolo e un proprio spazio nella dimensione comunitaria. La previsione di una “norma di scorrimento”, quindi di un adeguamento automatico evidenzierebbe infatti lo stesso collegamento tra l'attività regionale e quella della Comunità europea.

2) Un altro punto da affrontare è quello inerente l’adeguamento delle disposizioni statutarie al Trattato di Roma e dagli altri Trattati che hanno disciplinato la materia. Tali precetti hanno ricadute anche sulle Regioni quando, nelle leggi regionali, vengono predisposti interventi che ricadono nell’ambito di disciplina degli aiuti. In tal senso si potrebbe introdurre in Statuto, una disposizione che disciplini la materia all’interno del procedimento legislativo per assicurare la compatibilità della legge stessa con i vincoli comunitari.

3) Terzo punto da ricordare è la previsione di procedure e garanzie per l’intervento

nel processo decisionale comunitario (fase ascendente) e nella sua attuazione (fase discendente).

Rapporti internazionali, con lo Stato e con le altre regioni E’ da valutare l’inserimenti negli statuti di disposizioni in ordine

1. alla attività (tanto di legislazione concorrente che di amministrazione) di rilievo internazionale delle regioni, che dovrebbe essere resa possibile dal nuovo testo dell’articolo 117 come risultante dalla riforma costituzionale del titolo V;

2. ai rapporti con le altre regioni;

3. a sedi e procedure di negoziazione di competenze e funzioni con lo Stato.

Legge elettorale – In via di principio, anche in assenza della legge statale di principi, si possono rintracciare spazi per un intervento statutario, ricavando tali principi dalla legislazione statale vigente. Fermo restando che materialmente la legge elettorale regionale è distinta dallo statuto, e deve essere conforme ai principi fissati da legge statale, si tratta di valutare

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1. se nello statuto debbano essere inseriti o no ulteriori principi – guida sostanziali per la legge elettorale regionale: principi guida che possono riguardare:

1.1. il tipo di sistema elettorale prescelto (maggioritario, proporzionale, misto, ecc.);

1.2. aspetti tecnici del sistema elettorale (ad es. garanzia di “rappresentanza” di ogni

provincia della regione).

2. se nello statuto debbano essere inseriti o no principi – guida procedimentali per la

legge elettorale, come la necessità di una maggioranza qualificata per la sua

approvazione, o forme di partecipazione particolari, ecc. Su questa strada (in via

di pura ipotesi) si potrebbe arrivare addirittura a configurare la legge elettorale

come “legge statutaria” (vedasi il paragrafo “Sistema delle fonti normative”).

3. se si voglia inserire nella legge elettorale la incompatibilità tra assessore e consigliere, o se si vogliano inserire motivi di ineleggibilità o di incompatibilità specifici per gli assessori: in questi casi sarebbe opportuno dare una previa “copertura” statutaria a queste intenzioni. Nel caso si pensi alla incompatibilità tra assessore e consigliere , occorrerebbe poi indicare se tale incompatibilità debba portare alle dimissioni del consigliere nominato assessore, o se si possa ipotizzare soltanto la momentanea sospensione dalla carica del consigliere nominato assessore.

4. se si ritenga opportuno inserire un esplicito riferimento al diritto di voto per i cittadini

della regione all’estero. Presidente della regione – Lo statuto dovrà 1. indicare la forma di elezione del presidente, confermando l’attuale forma di elezione

diretta oppure indicando altre forme di elezione; 2. valutare, in particolare in caso di scelta dell’elezione diretta del presidente, se e con

quali forme e con quali effetti si debba prevedere una presentazione al Consiglio del programma di governo;

3. precisare i poteri del presidente della giunta, contribuendo così a “costruire” questo

organo:

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3.1. con elencazione per quanto possibile completa, in statuto, dei poteri e delle funzioni propri del presidente;

3.2. ovvero con indicazione di alcuni principi, demandandone il dettaglio ad una legge

regionale di attuazione. 4. disciplinare la questione della fiducia e della sfiducia al presidente:

4.1. sia nel caso di elezione diretta, per il quale a) la Costituzione prevede la presentazione di una mozione di sfiducia, ma non

regola per nulla la proposizione, da parte del presidente della “questione di fiducia”;

b) occorre comunque regolare gli effetti di “sfiducia implicita” ricollegabili al voto contrario del Consiglio su particolari atti (per es. il bilancio di previsione);

4.2. sia nel caso di elezione indiretta, per il quale

a) occorre precisare se si voglia introdurre o no la cosiddetta “sfiducia costruttiva”; b) occorre regolare gli effetti di “sfiducia implicita” di cui sopra.

5. distinguere, o tentare di distinguere, attraverso una forma di interpretazione del

dettato costituzionale,

5.1. i casi in cui le dimissioni o comunque il venir meno del presidente direttamente eletto abbiano effettiva rilevanza politica, e giustifichino il contestuale scioglimento del Consiglio regionale;

5.2. i casi in cui non abbiano tale rilevanza (morte, impedimento personale,

sopravvenute cause di incompatibilità o di ineleggibilità, ecc.). In questi casi occorrerebbe prevedere i modi di sostituzione del presidente

a) con ricorso a nuove elezioni per il solo presidente (discutibile, per i rischi di variazioni elettorali tali da portare all’elezione di un presidente che non ha una maggioranza in consiglio: “anatra zoppa”)

b) facendo subentrare il vicepresidente, e quindi prevedendo e regolando la figura del vicepresidente (elezione, poteri, ecc.)

c) affidando al Consiglio l’elezione del nuovo presidente. Anche in questo caso appare difficile il tentativo di interpretazione di un testo costituzionale , la cui formulazione appare piuttosto perentoria e stringente. Non mancano tuttavia studiosi che ritengono di dover attribuire alla norma costituzionale, così come costruita nella riforma, un valore “dispositivo”, e quindi derogabile – entro limiti di ragionevolezza e di coerenza con l’impostazione complessiva della riforma – da parte dello Statuto, cui la riforma stessa lascia competenza statutaria piena sulla forma di governo.

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6. Si dovrebbe poi riflettere se prevedere che, nella prima riunione del Consiglio, il Presidente, prima di assumere in pieno le sue funzioni, presti giuramento.

Giunta regionale – Le norme statutarie sulla giunta regionale sono, almeno in parte, dipendenti o comunque collegate alla forma di elezione del presidente. Sarà comunque necessario precisare:

1. se si intende prevedere la possibilità oppure il vincolo che gli assessori siano “esterni”, cioè non appartenenti al Consiglio: in caso positivo, quale sia precisamente lo status degli assessori esterni con riferimento anche ad alcune prerogative consiliari, ( iniziativa legislativa, indennità di carica, di funzione , di fine mandato, assegno vitalizio ecc.);

2. Soprattutto nel caso in cui si conservi l’elezione diretta, ma anche in altre ipotesi, occorre precisare

2.1. se la giunta operi esclusivamente come organo collegiale, senza che i singoli

assessori assurgano ad organi regionali “esterni”, accentuando così i caratteri “presidenziali” della forma di governo;

2.2. se invece ogni assessore sia titolare di proprie competenze “esterne” di tipo

ministeriale;

2.3. se il potere di revoca degli assessori sia riservato, o comunque spettante, al presidente, o possa essere attivato anche da mozioni di sfiducia “individuali” votate dal consiglio.

3. E’ poi opportuno stabilire se indicare analiticamente nello statuto le funzioni della

Giunta oppure indicare solo alcuni principi fondamentali demandando la determinazione particolare ad apposita legge (che potrebbe essere quella , sopra ipotizzata, che determina anche le funzioni del presidente). Importante è stabilire se alla Giunta sia riconosciuto potere di iniziativa legislativa o se tale potere sia riconosciuto al solo presidente (modello presidenziale puro).

4. Quanto alla ridistribuzione delle funzioni tra Giunta e Consiglio, i punti nodali sono:

4.1. La possibilità di attribuire alla Giunta poteri legislativi (decretazione d’urgenza o decreti legislativi), anche con riferimento almeno alla redazione di testi unici di consolidamento o di coordinamento. E’ un aspetto difficile, che richiede adeguato approfondimento;

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4.2. L’attribuzione della funzione regolamentare. Secondo l’interpretazione corrente la funzione regolamentare spetta oggi alla giunta. Si può ipotizzare una distinzione di competenze, in base alla tipologia dei regolamenti,

a) lasciando alla Giunta i regolamenti di esecuzione espressamente previsti dalle leggi regionali, e attribuendo al Consiglio gli altri regolamenti, in particolare quelli autonomi e quelli di delegificazione

b) preferibilmente lasciando in capo alla Giunta tutto il potere regolamentare, ma prevedendo per alcuni tipi di regolamenti (in particolare per quelli autonomi e di delegificazione) procedure particolari che comportino un intervento, con valore vincolante, delle commissioni consiliari, o una specie di “delega” da parte del Consiglio con indicazioni di limiti e criteri direttivi (trasformazione dei regolamenti indipendenti e di delegificazione in qualcosa di simile ai decreti legislativi).

4.3. L’ attribuzione di funzioni di indirizzo e di funzioni amministrative particolari al

Consiglio: per questo si rinvia a quanto si dirà a proposito del Consiglio.

Consiglio regionale. A parte i problemi di sistema elettorale, che influendo sui modi di formazione e sulla composizione del Consiglio hanno ricadute dirette sulla sua organizzazione, e quindi anche sui modi di esercizio delle sue competenze, occorre stabilire: 1. se vi sia una autonomia statutaria anche nella determinazione del numero dei

consiglieri regionali: la riforma costituzionale su questo punto non sembra escluderlo;

2. quale sia il momento in cui il Consiglio uscente cessa effettivamente dalle sue funzioni. Attualmente la cessazione si verifica 45 giorni prima della data delle elezioni (art. 3 legge 108/1968), con una discutibile discontinuità tra un Consiglio e l’altro, parzialmente ridotta da alcune sentenze della corte costituzionale. La materia non attiene direttamente alla “durata in carica degli organi elettivi”., riservata alla legge quadro statale: potrebbe quindi essere trattata dallo Statuto. Collegato a questo aspetto, che attiene alle funzioni del Consiglio come organo collegiale, si pone l’altro problema, quello cioè del momento in cui, a seguito dello scioglimento del Consiglio, i consiglieri cessano di essere in carica: un problema che coinvolge tanto il profilo funzionale quanto quello economico.

3. quali spazi abbia il Consiglio per la determinazione dell’indirizzo politico regionale:

certamente la funzione legislativa è anche una fonte di indirizzo politico: ma, oltre ad essa, vanno disciplinati, anche solo a grandi linee e, per alcuni aspetti, con rinvio al regolamento consiliare,

3.1. le risoluzioni, le mozioni, gli ordini del giorno chiarendone le differenze, ma

anche la portata , in un contesto istituzionale che vede la funzione di indirizzo ripartita tra presidente e consiglio regionale.

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3.2. gli obblighi di relazione periodica della giunta, in assemblea o in commissione, sullo “stato di avanzamento” del programma di governo e sulla attuazione delle leggi che ne costituiscono l’armatura;

3.3. le competenze da attribuire o da conservare al Consiglio

a) per i grandi atti non legislativi di programmazione; b) per le nomine di spettanza regionale, in particolare quelle che richiedono la

rappresentanza delle minoranze; c) per le determinazioni inerenti alle decisioni dell’Unione europea; d) per le intese interregionali; e) per le decisioni previe e spesso fondamentali che vengono assunte in sede di

Conferenza Stato – Regioni – Enti locali. f) in occasione della stipula degli accordi con altri Stati o enti territoriali interni ad

essi, secondo quanto previsto dal nuovo testo dell’art. 117 Cost.

4. Quanto alla funzione legislativa, lo statuto dovrà offrire quanto meno un aggancio (eventualmente da sviluppare e precisare col regolamento consiliare) per introdurre norme a tutela della qualità, complessivamente intesa, della legislazione, sotto gli aspetti:

4.1. della programmazione degli interventi normativi; 4.2. della istituzione di organismi interni preposti al controllo della qualità della

legislazione;

4.3. della redazione tecnica delle leggi

4.4. della fattibilità delle leggi

4.5. del controllo di attuazione e di implementazione delle leggi

4.6. della semplificazione del complesso normativo regionale

4.7. della “divulgazione “ legislativa

4.8. della possibilità di esercizio della funzione legislativa in commissione (sede redigente e/o sede deliberante)

5. Quanto alla funzione di controllo politico da parte del Consiglio, dovrebbero essere

messi meglio a punto gli strumenti tradizionali (interrogazioni e interpellanze): ma questo è compito più del regolamento consiliare che dello statuto. Lo statuto potrebbe invece prevedere:

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5.1. il diritto dei consiglieri (o di un certo numero di consiglieri) di chiedere lo svolgimento di comunicazioni della Giunta, in assemblea o in commissione, in ordine alle politiche regionali;

5.2. forme più adeguate di relazioni e di controlli sulla attività degli enti regionali;

5.3. criteri e forme di valutazione sulle nomine attribuite all’esecutivo in quanto

connesse alla funzione di governo;

5.4. un ampio e generale diritto di informazione a favore dei consiglieri regionali su tutta l’attività del governo regionale. Dovrà essere preso in attenta considerazione il diritto dei consiglieri di accedere agli atti ed alle informazioni attinenti all’esercizio del mandato consiliare, soprattutto a seguito dell’entrata in vigore della legge sulla riservatezza delle informazioni. Sarà necessario valutare se è possibile estendere, ed in quali termini, questo diritto di accesso anche alle informazioni ed ai documenti degli Enti locali e degli enti periferici dello Stato. La questione peraltro deve essere letta anche alla luce del processo di delega di funzioni regionali ai Comuni, alle Province ed agli enti funzionali.

5.5. una precisa ed operativa tutela della c.d. insindacabilità dei consiglieri per le

opinioni espressi ed i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Oggi mancano strumenti codificati ed efficaci per far valere questa insindacabilità.

5.6. la possibilità, da parte del Consiglio, di dotarsi di adeguati strutture e strumenti di

conoscenza in ordine alla realtà regionale nei suoi diversi aspetti. Questo perché, accanto ai tipici strumenti dell’attività ispettiva di tradizione parlamentare, dovrebbero trovare attuazione ulteriori strumenti di valutazione e controllo per verificare l’effettiva attuazione delle scelte contenute nelle direttive ed altri atti di indirizzo politico e l’efficacia delle politiche pubbliche.

6. L’autonomia del Consiglio , sotto gli aspetti organizzativi e finanziari, è una garanzia

indispensabile per il libero esercizio delle sue funzioni. Essa richiede chiare norme statutarie riguardanti

6.1. l’autonomia del bilancio consiliare, anche nei confronti di controlli esterni ;

autonomia da intendersi non solo come autonomia di gestione economica e finanziaria, ma soprattutto come momento di autonoma individuazione della tipicità delle esigenze del Consiglio regionale.

6.2. l’autonoma determinazione delle strutture e degli organici occorrenti al Consiglio;

la configurazione di un ruolo del personale del Consiglio distinto dagli altri ruoli regionali; la contrattazione separata per il personale del Consiglio; con conseguente riserva di potere regolamentare del Consiglio su questi aspetti;

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6.3. la riserva al potere regolamentare interno del Consiglio della disciplina circa la gestione del proprio bilancio, l’assunzione di impegni, l’effettuazione di spese, anche in deroga alle generali norme di contabilità pubblica;

6.4. il riconoscimento, in capo all’Ufficio di presidenza, di poteri normativi interni su

vari aspetti del funzionamento delle strutture consiliari, dello status dei consiglieri, ecc.;

6.5. il riconoscimento di una autonoma capacità di stare in giudizio, nella persona del

presidente del Consiglio, per tutto quanto sia connesso con la gestione delle risorse finanziarie, materiali ed umane assegnate al Consiglio; ed anche una sua capacità di agire per quanto riguarda la tutela delle prerogative dei consiglieri, cominciando dalla prerogativa della insindacabilità.

7. Anche il ruolo del presidente del Consiglio regionale necessita di un allargamento e

di una ridefinizione quale organo di garanzia per tutte le componenti rappresentate nel consiglio regionale. . In tal senso se ne potrebbe prevedere l’elezione a maggioranza qualificata, se ne potrebbero rafforzare i poteri in relazione alla conduzione delle sedute consiliari, alla programmazione dei lavori dell’assemblea e alla stessa tutela delle prerogative delle minoranze . Dovrebbero inoltre essere definite, anche con rinvio al regolamento consiliare, le sue funzioni di rappresentanza esterna del Consiglio. Gli potrebbero poi essere attribuite dalle statuto alcune funzioni di rilevanza politica: per esempio, tutta la materia dello scioglimento anticipato del Consiglio (al di fuori dello scioglimento – sanzione per atti contrari alla Costituzione o per gravi violazioni di legge , e dello scioglimento per ragioni di sicurezza nazionale) richiede una attività di “certificazione” (comunicazione al governo ecc.) che non è attribuita a nessun organo regionale e che potrebbe benissimo essere attribuita al presidente del Consiglio , giacché si riferisce ad atti che si svolgono in Consiglio (mozione di sfiducia) o che devono comunque trovare riscontro in Consiglio (dimissioni del presidente). Anche l’accertamento dell’impedimento permanente del presidente della giunta potrebbe essere demandato al presidente del Consiglio. Al Presidente del Consiglio spetta comunque il potere di emanazione dei regolamenti consiliari aventi rilevanza esterna (vedi punti n. 6.2 e 6.3).

8. L’articolo 122 della Costituzione, prima della riforma, prevedeva che il Consiglio

eleggesse nel suo seno un Presidente ed un Ufficio di presidenza “per i propri lavori”. A seguito della riforma, il nuovo testo dell’articolo 122 non prevede più la specificazione “per i propri lavori”: da un lato, quindi, le funzioni dell’Ufficio di presidenza restano vaghe; dall’altro si aprono margini piuttosto vasti per ridefinire statutariamente non solo le modalità di elezione, ma anche i compiti e le funzioni dell’ufficio di presidenza (vedi punto 6.4).

9. Per connessione, si segnala che tutta la disciplina dello scioglimento anticipato del

Consiglio e delle sue conseguenze è , nella Costituzione riformata, gravemente

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lacunosa. Questa materia può bene intendersi rimessa allo statuto. Da qui la necessità che lo statuto la regoli per tutti gli aspetti non direttamente risolti dalla Costituzione.

10. Circa il funzionamento del Consiglio, la materia è da ritenersi in gran parte rimessa al

regolamento consiliare. Lo statuto potrebbe però dettare norme di principio circa i gruppi consiliari, i loro presidenti, la programmazione dei lavori, lo “statuto delle minoranze”, le modalità di esercizio delle prerogative dei consiglieri (tra le quali il diritto di iniziativa legislativa, che potrebbe essere subordinato al rispetto di requisiti formali e sostanziali delle proposte). Norme statutarie di principio appaiono necessarie perché la disciplina regolamentare di queste materie potrebbe anche esser vista, in carenza di disposizioni statutarie, come una “compressione” dei diritti dei consiglieri. Da considerare anche la questione della attribuzione alle minoranze della presidenza delle commissioni che hanno funzioni di “controllo” o di garanzia.

Rapporti con gli enti locali. Esistono già strumenti e strutture di concertazione e di partecipazione, istituiti con leggi regionali. Lo statuto dovrà regolarne, quanto meno con norme di principio, i modi di formazione, le funzioni, la rilevanza, i rapporti tra essi e gli organi regionali, in particolare il Consiglio. Si dovrà tenere in considerazione anche il comma aggiunto all’articolo 123 della Costituzione dall’art. 7 della riforma ultima del titolo V della Costituzione : “In ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali.” Questi istituti e strumenti di concertazione dovranno poi essere armonizzati o integrati rispetto alle diverse “Conferenze Regione – Autonomie locali” o altre organizzazioni affini, istituite con legge regionale in parecchie regioni, definendone la “sede”, in relazione al ruolo ed ai rapporti istituzionale: per esempio, se fossero configurati come una specie di “seconda camera regionale” seppure con compiti consultivi, la sede dovrebbe essere quella del Consiglio regionale. Nello stesso senso, va ricordato che il testo unico degli Enti locali, riprendendo il percorso avviato con le leggi Bassanini, sancisce la costruzione di un “sistema regionale”. Il principio di partecipazione può diventare lo strumento forte sul quale fondare e costruire questo sistema: il Consiglio regionale, in quanto espressione dell’intero corpo elettorale e composto dalle diverse forze politiche, dovrebbe divenire il soggetto interlocutore dei soggetti “partecipanti”. E’ poi importante che lo statuto ricomprenda espressamente nella definizione “Enti locali” anche le cosiddette “autonomie funzionali” e ne disciplini i rapporti con la Regione. Lo statuto dovrà anche contenere norme che garantiscano gli enti locali dall’esproprio di funzioni, diretto o indiretto attraverso la manovra dell’attribuzione di risorse finanziarie: potranno essere garanzie sostanziali o più facilmente garanzie procedimentali (consultazioni, pareri vincolanti, intese).

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Partecipazione Gli strumenti di partecipazione previsti dagli statuti sono talvolta piuttosto deboli e lacunosi. Dando per scontato che in tutti gli statuti sia già previsto il referendum abrogativo, sarebbe opportuno che gli statuti introducessero almeno norme di principio, rinviando la disciplina attuativa a specifiche leggi regionali in materia di: 1. referendum abrogativo, con garanzie di “contraddittorio” tra regione e promotori, e

con decisione sulla ammissibilità del referendum affidata ad organo terzo ed indipendente;

2. referendum consultivo; 3. referendum “confermativo” in materia di revisione statutaria, precisando ed

eventualmente “interpretando” le norme costituzionali in questo campo: va notato che la legge costituzionale 1/1999 da un lato non prevede un quorum minimo di partecipanti come necessario a rendere valido il referendum, dall’altro non prevede l’esclusione del referendum neppure nel caso di revisione statutaria approvata ad altissima maggioranza;

4. referendum “propositivo”; 5. iniziativa popolare e degli enti locali, con garanzia di approdo in aula, entro tempi certi

e non troppo lunghi, delle proposte di iniziativa popolare; e con garanzie di intervento, almeno nella fase referente, dei rappresentanti dei promotori;

6. eventuale riconoscimento di potere di iniziativa legislativa alle cosiddette autonomie

funzionali; 7. comunicazione ed informazione sulla attività della regione (si rinvia alle conclusioni

degli appositi gruppi di lavoro); 8. eventuali casi e procedure per l’effettuazione di “istruttorie pubbliche “ su atti che

toccano interessi pubblici e privati rilevanti ( l’iniziativa potrebbe essere riservata al Consiglio): è un tema da non accantonare, anche se l’effettuazione di “istruttorie pubbliche” ha senso e verificabile rilevanza di solito su dimensioni minori di quelle regionali.

Si sottolinea che gli strumenti di garanzia della partecipazione dovrebbero essere resi più stringenti ed efficaci rispetto a quanto già prevedono gli statuti vigenti.

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Difensore civico Il difensore civico, istituito in molte regioni, è uno strumento di partecipazione e di controllo dell’amministrazione in gran parte ancora da sviluppare. Lo statuto dovrebbe contenere norme di principio e di indirizzo per la legge regionale tendenti: 1. a rafforzare i poteri di intervento del difensore civico , attribuendogli tra l’altro poteri

di promuovere “accordi” tra i cittadini e la pubblica amministrazione regionale atti a prevenire o risolvere conflitti;

2. a fare del difensore civico regionale il “motore” di una rete di difesa civica articolata a

livello locale; 3. a dare al difensore civico anche la fisionomia di organo di “mediazione sociale” tra

cittadini, per diminuire il contenzioso giudiziario e favorire la civile convivenza. Attività amministrativa regionale Sarebbe opportuno che lo statuto , oltre a confermare i principi della imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione, sviluppasse quanto sancito dalla legge 241/90, e recepisse i principi di economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa; e l’obbligo di radicale semplificazione delle procedure che gravano su cittadini ed imprese. E’ da valutare l’opportunità di inserire nello statuto norme o casi di “riserva di amministrazione” Sistema delle fonti normative Si ritiene opportuno che lo Statuto intervenga sul campo delle fonti normative: 1. dettando norme sul sistema regionale delle fonti e sui rapporti tra fonti (leggi statutarie

e di revisione statutaria, leggi regionali ordinarie o rinforzate, riserve di legge o di regolamento, ecc.); con particolare attenzione dovrà essere valutata l’introduzione della categoria delle “leggi statutarie” , sottoposte alla stessa procedura di approvazione prevista per lo statuto regionale;

2. prevedendo meccanismi a garanzia della suddivisione delle competenze tra organi ed

a presidio della gerarchia e della competenza tra fonti ( ad es. organi paragiurisdizionali o arbitrali o altro);

3. costruendo una base statutaria della competenza legislativa regionale (esclusiva,

concorrente, negoziata…) 4. recependo e sviluppando il principio di cooperazione col Parlamento nazionale in

ordine alla funzione legislativa ed agli organismi di raccordo.

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Organizzazione della regione

1. E’ da valutare se lo statuto, oltre a disciplinare gli organi fondamentali della regione (Presidente, Giunta, Consiglio, Presidente del Consiglio, Ufficio di presidenza) e altri organi prima citati (Difensore civico, Consiglio delle autonomie), debba prevederne altri che comunque già sussistono (es. Co.Re.Com., organi paragiurisdizionali o arbitrali, CNEL regionali o affini) o di cui si ritiene politicamente opportuno prevedere l’istituzione (Autorità e Agenzie regionali, enti dipendenti, ecc.)

2. E’ inoltre da valutare se sia opportuno indicare nello statuto altri organi

interregionali (Conferenza dei presidenti delle regioni, Conferenza dei presidenti dei parlamenti regionali, Congresso delle regioni.

Autonomia finanziaria Lo statuto dovrà garantire l’autonomia finanziaria della regione in coerenza col principio di federalismo fiscale, garantendo peraltro la solidarietà nazionale. In tale quadro detterà norme in ordine a:

1. risorse finanziarie ; 2. patto di stabilità interno; 3. autonomia impositiva; 4. demanio e patrimonio regionali; 5. bilancio e strumenti finanziari; 6. controlli sull’uso delle risorse, controllo di gestione, nonché controlli della Corte

dei Conti. Procedure di revisione dello statuto Ferme restando le norme costituzionali, restano allo statuto diversi spazi da riempire per quanto riguarda le procedure di revisione (iniziativa, procedimento, consultazioni, previsione di commissioni speciali, ecc.)

(torna ad indice)

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Legge 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri

Legge 8 giugno 1990, n. 142, Ordinamento delle Autonomie locali Legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni, Nuove

norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi

Legge 31 maggio 1991, n. 180, Approvazione di talune modifiche dello statuto della Regione Piemonte

Legge 23 ottobre 1992, n. 421, Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di pubblico impiego e di finanza territoriale

Legge 25 marzo 1993, n. 81, Elezione diretta del Sindaco, del Presidente della Provincia, del Consiglio comunale e del Consiglio Provinciale

Legge 23 febbraio 1995, n. 43, Nuove norme per la elezione dei Consigli delle regioni a statuto ordinario

Legge 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa

Legge 15 maggio 1997, n. 127 e successive modificazioni, Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo

Legge 8 marzo 1999, n. 50, Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1998

Legge 24 novembre 2000, n. 340, Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999

Decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni, Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della L. 23 ottobre 1992, n. 421

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a norma dell’articolo 2, comma 1, lettera mm), della legge 23 ottobre 1992, n.421

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Decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76, Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione dell’art. 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n.208

Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali

Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’andamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche

• regionali

⇒ Regione Piemonte

Legge regionale 10 novembre 1972, n. 12, Funzionamento dei Gruppi

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Legge regionale 16 gennaio 1973, n. 4, Iniziativa popolare e degli Enti Locali e referendum abrogativo e referendum consultivo, modificata con le ll.rr. 6 luglio 1978, n. 40, Modifica ed integrazione dell’art. 7 della legge regionale 10 gennaio 1973, n. 4 ‘Iniziativa popolare e degli enti locali e referendum abrogativo e consultivo’, 27 aprile 1981, n. 14, Integrazioni all’art. 39 della l.r. 16-1-1973, n. 4 ‘Iniziativa popolare e degli enti locali e referendum abrogativo e consultivo’, 16 maggio 1981, n. 16, Integrazioni agli artt. 26, 39 e 40 della legge regionale 16 gennaio 1973, n. 4 ‘Iniziativa popolare e degli enti locali e referendum abrogativo e consultivo’, modificata con legge approvata dal Consiglio regionale in adunanza del 18 aprile 1981, 20 dicembre 1990, n. 55, Modificazione della l.r. 16 gennaio 1973, n. 4 in materia di iniziativa legislativa popolare e degli enti locali e di referendum, 16 dicembre 1991, n. 58, Modifica ed integrazione della legge regionale 16 gennaio 1973, n. 4, in materia di referendum consultivo sulla istituzione di nuovi comuni, la modificazione delle

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circoscrizioni comunali e le denominazioni dei comuni, con riferimento al nuovo testo dll’art. 60 dello Statuto e 23 aprile 1992, n. 25, Modifica dell’art. 11 della l.r. 20 dicembre 1990, n. 55, ‘Modificazione della l.r. 16 gennaio 1973, n. 4, in materia di iniziativa legislativa popolare e degli enti locali e referendum abrogativo e consultivo

Legge regionale 24 novembre 1995, n. 84, Definizione dei compiti e delle funzioni dei Presidenti dei Gruppi consiliari. Integrazione della legge regionale 13 ottobre 1972, n.10

Legge regionale 8 agosto 1997, n. 51, Norme sull’organizzazione degli uffici e sull’ordinamento del personale regionale

Legge regionale 11 novembre 1998, n. 33, Nuovo assetto organizzativo dei gruppi consiliari e modifiche alla normativa sul personale dei gruppi

Legge regionale 20 novembre 1998, n. 34, Riordino delle funzioni e dei compiti amministrativi della Regione e degli enti locali

Legge regionale 1 dicembre 1998, n. 39 e successive modificazioni, Norme sull'organizzazione degli uffici di comunicazione e sull'ordinamento del personale assegnato

Legge regionale 23 marzo 2000, n. 22, Norme di prima attuazione della legge costituzionale 22 novembre 1999, n.1 Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle regioni

Legge regionale 23 agosto 2000, n. 50, Modifiche alle leggi regionali 13 ottobre 1972, n. 10 (Determinazione delle indennità spettanti ai membri del Consiglio e della Giunta regionale), 10 novembre 1972, n. 12 (Funzionamento dei Gruppi consiliari), 8 giugno 1981, n. 20 (Assegnazione di personale ai Gruppi consiliari), 22 febbraio 1993, n. 7 (Sostituzione dell’articolo 9 della l.r. 8 settembre 1986, n. 42), 20 febbraio 1979, n. 6 e successive modifiche e integrazioni

Legge regionale 11 aprile 2001, n. 7, Ordinamento contabile della Regione Piemonte

⇒ Altre regioni Legge regionale Sardegna 17 maggio 1957, n. 20, Norme in materia

di referendum popolare regionale Legge regionale Trentino Alto Adige 24 giugno 1957, n. 11, Norme

sul referendum abrogativo di leggi regionali e provinciali Legge regionale Emilia Romagna 27 ottobre 2000, n. 29, Disciplina

del referendum sulle leggi regionali di revisione statutaria ai sensi dell’articolo 123 della Costituzione

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