Valle dell'Orco - Dal Trad all'arampicata sportiva

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COLLANA LUOGHI VERTICALI Valle dell’Orco EDIZIONI VERSANTE SUD Maurizio Oviglia Dal Trad all’arrampicata sportiva

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Questa guida parla delle pareti della Valle dell’Orco, dalle falesie di bassa valle sino alle mitiche pareti del Sergent e del Caporal, fermandosi infine ai risalti poco sotto al Colle del Nivolet. Le molte vie aperte in questi ultimi anni e la sempre maggiore frequentazione della valle, soprattutto da parte degli stranieri, hanno convinto l’autore a scrivere un libro che non è una semplice guida dove leggere i gradi e i nomi delle vie, ma anche una fonte di ispirazione per le nuove generazioni. Essa suggerisce una direzione da seguire, un possibile cammino per l’arrampicata senza dimenticare mai quello che ci ha preceduto. Maurizio Oviglia, con la sua consueta precisione e chiarezza, ha censito tutti i vecchi e i nuovi itinerari della valle, ripetendoli nella loro quasi totalità e rivedendone nel contempo le valutazioni.

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COLLANA LUOGHI VERTICALI

Valle dell’Orco

EDIZIONI VERSANTE SUD

Maurizio Oviglia

Dal Trad all’arrampicata sportiva

www.versantesud.it

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Prima edizione Settembre 2010ISBN 978-88-96634-06-6

Copyright © 2010 VERSANTE SUD S.r.l. Milano via Longhi, 10, tel. 027490163www.versantesud.it

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Copertina Adriano Trombetta, Elisir d’Incastro, Sergent (ph. Damiano Levati)

Testi Maurizio Oviglia

Disegni e mappe Eugenio Pinotti

Simboli Iacopo Leardini

Rilevazioni GPS Paolo Seimandi

Stampa Monotipia Cremonese (CR)

RingraziamentiRingrazio in modo particolare Paolo Seimandi per avermi accompagnato e ospitato in tutti i miei soggiorni in Valle per aggiornare la guida. Poi tutti quelli che hanno collaborato e offerto informazioni: Gianmario Bellini, Valerio Bertoglio, Daniele Caneparo, Damiano Ceresa, Fabiano Contarin, Nicolas Favresse, Andrea Giorda, Rolando Larcher, Damiano Levati, Fabio Malosti, Cecilia Marchi, Gilberto Merlante, Marcello Merlo, Eugenio Pinotti, Bruno Quaresima, Tom Randall, Stefano Rapelli, Vincenzo Sartore, Marco Spataro, Adriano Trombetta.

NotaL’arrampicata è uno sport potenzialmente pericoloso, chi lo pratica lo fa a suo rischio e pericolo. Tutte le notizie riportate in quest’opera sono state aggiorna-te in base alle informazioni disponibili al momento, ma vanno verificate, e valutate sul posto e di volta in volta, da persone esperte prima di intraprendere qualsiasi scalata.

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ROCKMAP

Maurizio Oviglia

VALLE DELL’ORCO Dal Trad all’arrampicata sportiva

EDIZIONI VERSANTE SUD

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Il successo di Rock Paradise, le molte vie aperte in questi ultimi anni, la sempre mag-giore frequentazione della Valle dell’Orco soprattutto da parte degli stranieri, hanno convinto sia me che l’editore, a pensare a una nuova edizione, anche in lingua inglese. Tuttavia considero quel libro un’esperienza a se stante, per certi versi irripetibile, inqua-drata in un particolare momento storico. Intimamente desideravo insomma un qual-cosa di diverso da una semplice riedizione aggiornata, pur mantenendo parte dei testi “storici” che avevano destato tanto interesse e che avevano caratterizzato Rock Paradise come una guida “diversa”.

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Senza troppo pensare al libro e alla sua pos-sibile linea editoriale mi misi all’opera sulla prima fase del lavoro, quella cioè che preve-deva la raccolta di dati. Lavorare sul campo è per me un piacere e chi mi conosce sa che non mi limito solo a guardare, fotografare, raccogliere i dati… ma cerco materialmente di ripetere tutte le vie! E, naturalmente, an-che aprirne di nuove! Ogni volta che ritorno, infatti, non riesco a evitare di guardarmi in giro e scoprire qualcosa di nuovo, che non posso fare assolutamente a meno di salire…Negli ultimi anni mi sono appassionato – più di quanto non lo fossi già prima – al clean climbing. Ho viaggiato in Inghilterra, Canada, Stati Uniti, dove ho avuto modo di apprendere molte cose e confrontare la mia esperienza nei luoghi che sono stati la culla di questo stile. Alla luce delle nuove espe-rienze, una volta di più la Valle mi appariva sotto una nuova luce: ovunque vedevo nuove linee e possibilità non sfruttate. Il che è assai curioso, se si pensa che la Valle dell’Orco è uno dei luoghi mitici dell’arrampicata

italiana. Mi sembrava pertanto impossibile che nessuno cogliesse queste opportunità: gli sforzi dei moderni apritori sembrava-no cristallizzarsi sempre sugli stessi spazi, saturando oltre misura le pareti storiche, ognuno in cerca forse del proprio pezzetto di gloria. Manlio Motto, ultimo mattatore della valle, aveva ormai smesso di aprire da qualche anno e non esisteva più una figura trainante e di riferimento… Se con l’uscita di Rock Paradise era aumentata di moltissimo la frequentazione di queste rocce, e lo scopo del libro era in un certo senso stato raggiun-to, ora sembravano poche le idee innovative sul piatto. Anzi, a ben vedere, anche la Valle dell’Orco rischiava di soccombere alla nuova moda delle scalate plaisir e del tutto facile, sicuro, divertente, moda che imperversa ormai nel resto del Piemonte da alcuni anni. Un rilancio del clean climbing e di conse-guenza della Valle poteva essere un obiettivo interessante per il nuovo libro e mi misi dun-que al lavoro in questo senso, setacciando tutta la Valle e cercando rocce adatte a essere salite secondo questa filosofia. Parallela-mente, manco a farlo apposta, alcuni inglesi sembravano vedere le stesse cose che vedevo io e avevano preso a esplorare le paretine più recondite della valle, a cui nessuno aveva mai pensato: arrivarono a scrivere addirittu-ra, sul sito web planetmountain, che la Valle dell’Orco era ancora tutta da esplorare! La cosa non fece che confermare la mia ispira-zione e mi convinse della bontà della mia idea: evidentemente ero sulla strada giusta!Con i miei libri, che ritengo non siano solo delle semplici guide dove leggere i gradi e i nomi delle vie, ho sempre cercato di ispirare le nuove generazioni suggerendo una direzione da seguire, magari proprio in quei momenti storici dove si sente un po’ di stanchezza creativa. Anche questa guida,

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Maurizio Oviglia, Itaca nel sole, Caporal (Sara Oviglia)

sebbene molto tecnica, almeno più di Rock Paradise, vorrebbe fare altrettanto… Il mio sogno sarebbe aprire un capitolo nuovo, ma vedremo come il pubblico accoglierà questa nuova onda…

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La mole di lavoro si è rivelata tuttavia deci-samente maggiore di quanto avessi previsto e, tra aperture e ripetizioni, i tempi hanno finito per allungarsi a dismisura. In una sola stagione, ero riuscito infatti a censire solo la parete del Sergent. Anche perché, mi ero riproposto di ripetere e relazionare quasi tutte le vie, rivedendone nel contempo le valuta-zioni! Nonostante l’anno successivo avessi programmato più soggiorni, a partire dalla primavera sino all’autunno, appariva impos-sibile raccogliere tutto il Gran Paradiso in un unico volume. Pensando e ripensando a come

dividere il lavoro, mi ricordai della mia prima guida sulla Valle, quella del 1987. Una cosa, in fondo, non era cambiata. Valle dell’Orco voleva essenzialmente dire Caporal, Sergent e Torre di Aimonin, più tutte le pareti satelliti. Quella era la valle, che molti scrivevano con la V maiuscola, quello continuava a essere il punto di riferimento. La guida che avete tra le mani parla così per ora solo delle pareti della Valle dell’Orco, dalle falesie di bassa valle sino alle mitiche pareti del Sergent e del Caporal, fermandosi infine ai risalti poco sotto al Colle del Nivolet. Mi sono lasciato spazio per il futuro: se le energie e la passione continueranno a sostenermi, nei prossimi anni lavorerò a un nuovo libro che contenga tutto il gruppo, sulla falsariga di Rock Paradise …

Maurizio OvigliaBuenos Aires, 22 febbraio 2010

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LA VALLE DELL’ORCO

La Valle dell’Orco è una delle più importanti valli piemontesi. Con una lunghezza di più di quaranta chilometri, costituisce l’accesso a tutto il versante meridionale del Gruppo del Gran Paradiso con un andamento ovest-est, perpendicolare cioè alle valli valdostane del versante settentrionale del gruppo. Questo a dir la verità è un fatto un poco strano, che è stato spiegato con la maggiore forza erosiva del fiume Orco, che non si è adattato alla massima pendenza come i corsi d’acqua valdostani, ma ha invece inciso profondamente lo gneiss sottostante creando così il tipico paesaggio della Valle dell’Orco, caratterizzato da belle gole rocciose, come quella prima della conca di Ceresole. La Valle dell’Orco è oggi giustamente rinomata per la sua bellezza: con le sue valli laterali essa è un vero microcosmo dove la materia dominante è certamente la roccia, questo famoso gneiss che pare occupare ogni angolo della Valle con placche, pareti, rocce montonate. Questa caratteristica, comune all’adiacente Val Grande di Lanzo, ha fatto della Valle uno dei luoghi mitici dell’arrampicata su granito in Italia, al pari della Val di Mello nelle Alpi Centrali. L’escursionismo e l’alpinismo non hanno infatti, in Valle dell’Orco, caratteri così particolari che li distinguano dalle altre vallate alpine. A rendere speciali le rocce della Valle dell’Orco, almeno per gli arrampicatori, è principalmente la Gola di Balma Fiorant, dove intorno ai primi anni settanta è iniziata l’esplorazione di una serie di pareti che fino ad allora erano passate inosservate. La bellezza e la particolarità di alcune di queste hanno fatto pensare a un parallelo con la californiana Yosemite Valley, anche se in scala molto ridotta. Con la salita delle prime vie sulla parete più appariscente, battezzata Caporal, l’esplorazione è poi continuata a monte e a valle della gola. Sopra Ceresole è stato salito il Sergent, mentre sopra Noasca è stata la volta della Torre di Aimonin, e poi tutta una serie di strutture minori. Quest’isola di granito in mezzo alla valle, ha finito per essere considerata dagli arrampicatori un microcosmo a sé, come se il resto della valle (e le montagne) non esistesse: “Valle dell’Orco” è stata per anni e per gli scalatori solamente il tratto che va dal paese di Rosone a quello di Ceresole. Col tempo, invece, anche le montagne prospicienti la valle, come il Mare Percia, il Courmaon, il Monte Castello, il Gran

Carro, hanno assunto una loro identità alpinistica. E analogo processo si è avuto, a ben guardare, anche in Val di Mello, dove l’esplorazione delle strutture granitiche di bassa valle si è avuta nello stesso periodo..Dunque, in conclusione possiamo dire che siamo in presenza di una valle con una ricca storia alpinistica che oggi è divenuta quasi un mito, almeno a leggere quanto tramandato dai cantori di quell’epoca definita come “Nuovo Mattino”, appunto identificabile nella prima metà degli anni settanta. Una storia alpinistica che non sempre è stata regolare ma che ha conosciuto anche lunghi periodi di stasi. Ogni parete descritta in questa guida costituisce un tassello di questa storia, ma naturalmente la storia è stata fatta dall’uomo e gli arrampicatori che l’hanno scritta sono stati moltissimi, tanto che è stato difficile parlare di tutti senza dimenticarne qualcuno. Se i più famosi hanno operato un po’ su tutte le pareti, i più discreti spesso si sono legati alle pareti minori, eleggendole quasi a loro giardini personali. Talvolta è stato persino difficile reperire informazioni, e poter così scrivere quella che si potrebbe definire la storia minore della Valle, ma che poi spesso non è meno importante di quella “ufficiale”... Ci si ferma troppo spesso, parlando della Valle dell’Orco, al Nuovo Mattino, dimenticando che dopo di esso vi sono quasi 30 anni da raccontare!La caratteristica che ha destato più interesse in Rock Paradise, l’edizione precedente, è stata proprio quella di abbinare un personaggio a ogni parete, tracciandone cioè un ritratto che si identificasse con il carattere delle rocce dove maggiormente si era espresso. Voglio mantenere questa impostazione anche per questa guida, per quanto possibile, cercando di raccontare anche gli ultimi anni, e le tendenze che sono emerse. Conscio tuttavia del fatto che l’ultimo decennio ha segnato la scomparsa, in Orco come altrove, di quelle figure carismatiche che fungevano da punto di riferimento e contribuivano a ispirare le nuove generazioni.Come tuttavia accennavo nell’introduzione, in questa guida l’aspetto tecnico è stato maggiormente curato rispetto all’edizione precedente, acquistando pari peso rispetto a quello storico-culturale. Sono state inserite le relazioni tecniche per tutte le vie ed è stato svolto un importante lavoro sulle valutazioni, cercando di raggiungere una maggiore omogeneità e allineamento con i centri mondiali

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della scalata su granito. All’epoca del Nuovo Mattino la Valle dell’Orco non era che il giardino di pochi arrampicatori sognatori e un poco rivoluzionari, un giardino segreto che se non fosse stato per la felice penna di Alessandro Gogna, Gian Piero Motti ed Andrea Gobetti, sarebbe forse rimasto poco conosciuto. Negli anni a seguire, nonostante l’alone di mito e leggenda che si è sempre respirato intorno a queste rocce, la Valle è sempre rimasta un luogo estremamente provinciale, frequentato dai torinesi e da qualche curioso venuto da lontano. Negli ultimi tempi le cose stanno cambiando, e gli stranieri si fanno via via più presenti sulle pareti del Sergent e del Caporal. Alcune fessure famose si sono guadagnate la copertina delle riviste e l’onore delle cronache web, perché per scalarle sono venuti da lontano i migliori specialisti internazionali dell’arte. È tempo forse che la Valle dell’Orco venga sdoganata e sieda nel posto che merita, tra i santuari dell’arrampicata europea. La sua storia è certo affascinante e va pertanto tramandata e raccontata a chi proviene da lontano, ma queste pareti non possono vivere sui fasti del passato. C’è un oggi, che appunto questa guida si incarica di mettere a fuoco, ma c’è un possibile domani, che cerco di individuare e suggerire. Senza troppe parole, lo potrete scoprire ripetendo le ultime creazioni, a volte lontano dalle pareti più blasonate del Caporal e del Sergent. Il futuro è ancora da scrivere e, oggi più che ieri, abbiamo una grossa responsabilità...

La Valle dell’Orco inizia dalla cittadina di Courgnè, posta ai piedi delle montagne. Seguendo la nuova superstrada in breve si raggiunge Pont Canavese, che viene facilmente evitato sulla sinistra. Tuttavia, per chi fosse interessato, nel centro del paese c’è la possibilità di arrampicare sulla falesia “urbana” di Rogge. Percorrendo invece la circonvallazione e guardando a sinistra, oltre il fiume, potrete scorgere una parete scura. È la falesia di Luca, una delle ultime pareti di arrampicata sportiva attrezzate e per lungo tempo rimasta frequentata da soli arrampicatori locali. Ripresa la strada originaria si lascia sulla destra anche Sparone (��2 m) e la piccola Valle di Ribordone, che si apre sulla destra. Su questi assolati pendii è celata una delle falesie più frequentate della zona, Frachiamo, che si raggiunge per una stretta stradina asfaltata. Continuando nella valle principale ecco sulla destra

la piccola frazione di Bosco sovrastata dall’omonima falesia, forse la più conosciuta della zona per quanto riguarda l’arrampicata sportiva. Riparata dalla pioggia e relativamente calda in inverno risulta frequentatissima per buona parte dell’anno. Poco oltre si giunge al capoluogo della Valle, Locana (613 m), a km 12 da Pont. La valle assume qui il suo caratteristico aspetto roccioso e incassato e, poco oltre il paese, è possibile soffermarsi su una bella veduta del Vallone di Piantonetto e del Becco della Tribolazione. Si passano alcune frazioni di poche case e si raggiunge Rosone (71� m), inizio della Valle di Piantonetto, a 16,6 km da Pont. Seguendo la stretta strada per San Giacomo, è possibile raggiungere le rocce di Bugni all’inizio del Vallone di Piantonetto e in buona posizione panoramica sulla parte centrale della Valle. Oltre Rosone la valle piega leggermente a ovest, cambia carattere e si fa più incassata. Sulla sinistra appaiono scure pareti tra cui, difficilmente individuabile, è la struttura dello Zeppelin. Alla sua base, su un masso, c’è la la durissima fessura di Greenspit, considerata forse la più difficile d’Europa. Passata una galleria si raggiunge la frazione di Fornolosa (742 m) dove è possibile ammirare le pareti rocciose sul versante sinistro, molte delle quali praticamente inesplorate. Strette forre granitiche celano alte cascate, mentre più di 2000 metri di dislivello separano il fondovalle dallo spartiacque con la Val Grande. Si passano alcune piccole frazioni tra cui Gera, posta sotto una serie di risalti granitici, questa volta sulla destra della strada. Questa zona è una delle ultime frontiere dell’esplorazione in valle ed è fino a oggi rimasta piuttosto sconosciuta e nota col nome generico di Bambanero. Finalmente sono riuscito, in questa trattazione, a giungere a una catalogazione sufficientemente precisa che potrà servire da base alle future esplorazioni. Ogni parete e risalto salito è stato ora battezzato e la sua individuazione è stata resa univoca con l’aiuto di fotografie prese dalla parte opposta della valle. Sullo sfondo è invece possibile ammirare il Courmaon, che si apre alla sinistra del Vallone del Roc. Piegando progressivamente verso NO la strada raggiunge Noasca (10�8 m), a km 2�,8 da Pont, famosa per la sua bella cascata. Prima dell’abitato è possibile ammirare sulla sinistra la bella parete della Torre dell’Alpe Costantino, mentre sulla destra è ben visibile la placconata della Torre di Aimonin, sorretta da una pietraia di grossi blocchi.

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Giusto Gervasutti Giancarlo Grassi Danilo Galante

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La storia alpinisticaIn Rock Paradise, trattandosi di una guida che descriveva tutto il gruppo del Gran Paradiso, avevo dedicato ampio spazio alla storia alpinistica scritta sulle montagne del versante meridionale del gruppo. Per il semplice fatto che le pareti di bassa valle non sono state considerate degne di attenzione prima della fine degli anni sessanta, essa aveva come fulcro principale le rocce del Courmaon, del Becco di Valsoera e della Tribolazione, che avevano già interessato Gervasutti nel dopoguerra. Ma parlare della storia della Valle dell’Orco significa parlare innanzi tutto di Caporal e di Sergent e di conseguenza del Nuovo Mattino, movimento dal quale solitamente si considera abbia avuto origine il tutto. Il big bang comunque potrebbe situarsi in modo poco definito alla fine degli anni sessanta, epoca in cui alcuni alpinisti cominciarono a guardare con interesse quelle bastionate granitiche che precedono Ceresole. La nostra storia comincia (e finisce) quindi da lì, da quel piazzale sotto lo scudo del Caporal...

1972: è l’anno del cambiamento. Per la prima volta cominciano a essere prese in considerazione le pareti di fondovalle.Si registrano i primi tentativi di Cotta e Saviane sulla parete dell’Ancesieu, in Valle di Forzo e di Machetto e Gogna sullo Scoglio di Mroz all’inizio della Valle di Piantonetto. Quasi in concomitanza avviene la prima salita del Caporal, opera invece delle cordate guidate da Motti e Manera: è l’inizio di un nuovo capitolo.

1973: un anno mitico in cui vengono superati gli standard di difficoltà precedenti con alcune salite

simbolo che sono il frutto della filosofia del Nuovo Mattino elaborata da Gian Piero Motti. Gogna (con Cerruti) continua l’esplorazione dello Scoglio di Mroz con la Via della Torre Staccata, di bellezza notevole, ma l’impresa dell’anno è sicuramente la salita del Sole Nascente al Caporal, a opera di Motti, Grassi e Kosterlitz. Più o meno lo stesso gruppo mette mano per la prima volta sulla Torre di Aimonin. Galante e Grassi invece scoprono il Sergent e tracciano la Cannabis, un piccolo capolavoro di libera e artificiale. Manera, sull’onda dell’entusiasmo, traccia la Via della Rivoluzione al Caporal, un capolavoro di scalata mista.

1974: si intensifica l’esplorazione delle strutture di bassa valle nella gola di Balma Fiorant ma la novità sono le salite in libera di Galante, veramente estreme e ardimentose, un vero salto di qualità dai tempi di Gervasutti.Galante e Bonelli salgono il Diedro del Mistero e la fessura della Disperazione al Sergent, il Diedro Nanchez al Caporal, toccando probabilmente il limite del VI superiore con scarse protezioni o senza usarle del tutto.Manera esplora la Parete delle Aquile e la Parete dei Falchi a lato del Caporal, pareti tuttavia destinate a rimanere per sempre nell’ombra rispetto al Caporal e al Sergent.

1975: rispetto ai precedenti è un anno di stasi dove sembra sia rimasto ben poco da dire di nuovo e le vie di rilievo dell’anno sono quelle di Motti al Caporal (Itaca nel sole) e Grassi alla Parete delle Aquile (Grotta Fiorita).

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Gianpiero Motti Enrico Camanni Ugo Manera

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1976: nuovi protagonisti si affacciano sulla scena ed è così che le cose migliori le fa Roberto Bonelli, sulla Parete del Disertore e della Grande Ala, dando l’impressione di un certo smarrimento dopo i travolgenti avvenimenti degli anni precedenti. È comunque evidente la volontà di continuare il discorso lasciato sospeso da Galante, nel frattempo scomparso in montagna.

1977: altro anno di stasi. La figura emergente nel panorama delle aperture è senza dubbio Isidoro Meneghin, che si distingue subito per alcune vie nuove sulla Parete dei Falchi e sul Sergent (Nicchia delle Torture). Lo stile di Isidoro è comunque più alpinistico, lontano dal free-climbing che aveva ispirato il gruppo di Motti, e non disdegna il massiccio ricorso all’artificiale. Tuttavia moltissime pareti secondarie portano la firma di Meneghin come primo esploratore assoluto.

1978: Roberto Bonelli riesce, dopo otto anni di tentativi, a ripetere la Fessura Kosterlitz. Lo stesso Bonelli si concede l’apertura di un’altra via sulla Parete del Disertore.

1979: il VII grado viene finalmente raggiunto, da un giovane emergente, sulle rocce del Caporal: Gabriele Beuchod sale direttamente in libera l’Orecchio del Pachiderma, un’impresa che va oltre le salite di Kosterlitz e Galante. Bonelli e Beuchod formano intorno a se un piccolo gruppo che si ripropone, in punta di piedi, di continuare a esplorare la valle secondo la filosofia del Nuovo Mattino, senza tuttavia ricercare la difficoltà fine a se stessa.

1980: il palcoscenico si divide. Da una parte le pareti di bassa valle, dove un nuovo arrampicatore di talento come Marco Bernardi si affaccia sulla scena. Dall’altra la montagna, dove Manera e Meneghin continuano l’esplorazione del gruppo e tentano di trasportare anche in quota l’entusiasmo dei tempi del Caporal e del Sergent. A essi si affiancherà presto anche Grassi, iniziando così un nuovo periodo esplorativo.Bernardi sale in libera il Diedro Nanchez al Caporal, altro VII grado, quindi il Camino Bernardi al Sergent, VII sprotetto. Poi con Grassi raggiunge lo stesso grado in montagna, sul Monte Nero, dando prova di essere un arrampicatore completo. Intanto Beuchod e Bonelli non stanno con le mani in mano: con Gogna scoprono la parete dei Cavalieri Perdenti, quindi quella delle Ombre, dando inizio a una serie di nuove vie di poca risonanza ma di alta classe.

1981: l’interesse si sposta sulle pareti inesplorate di Noaschetta, scoperte da poco. Meneghin e Manera superano la grande parete dell’Ancesieu, poi lo spigolo sud della Torre del Blanc Giuir. Manera poi si unisce a Sant’Unione per affrontare l’inviolata parete sud del Monte Castello mentre Grassi si dedica a un’esplorazione a tappeto della Cresta dei Prosces in Noaschetta.In bassa valle, mentre Bernardi raggiunge l’VIII grado (7a) salendo Incastro Amaro al Sergent, Mario Ogliengo posa i primi spit sulla Placca del Cacao. Più discretamente Gabriele Beuchod tesse i suoi capolavori con Nocciolina prigioniera alle Ombre e il Principe al Serpente di Legno.

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GEOLOGIANormalmente nelle guide alpinistiche si trova sempre una parte geologica che tuttavia risulta, il più delle volte, di difficile comprensione agli arrampicatori. Ma non occorre essere geologi per capire queste brevi note sulla roccia di cui sono costituite le falesie su cui arrampichiamo, precisazioni necessarie per chiarire alcuni equivoci di uso comune. Esse non hanno certo la pretesa di dare un quadro completo della geologia del gruppo, per cui rimando a pubblicazioni specialistiche, ma solo di fornire gli strumenti per distinguere i vari tipi di roccia.Sebbene in passato e nell’uso corrente del linguaggio degli arrampicatori si continui a indicare la scalata su queste montagne come “granitica” e la struttura minerale di cui sono composte le pareti come granito, sappiamo molto bene che la roccia del Gruppo del Gran Paradiso è in realtà (in gran parte) uno gneiss occhiadino. Molto somigliante al granito, dal quale deriva, questa varietà di gneiss è caratterizzato da cristalli bianchi di quarzo, albite, biotite e mica bianca, allineati secondo linee parallele. A essi si aggiungono poi altri cristalli più grossi di feldspato potassico che sono detti occhi e dai quali deriva il nome occhiadino. Lo gneiss occhiadino può assumere diverse colorazioni, a seconda dei licheni, dei minerali che contiene, della quota e dell’esposizione della parete. Ad esempio ricordiamo quello rossastro del Piantonetto e della Punta Marco sul versante aostano, quello grigio chiaro della Torre di Aimonin, quello verde chiaro del Sergent o dello Scoglio di Mroz, quello nerastro del Monte Destrera nel Vallone di Valsoera.Ma il gruppo del Gran Paradiso è formato anche da altri tipi di roccia, ben visibili specialmente sul versante aostano. Oltre a una piccola percentuale di gneiss minuti, è evidente che il massiccio della Grivola, le montagne della Valle di Rhêmes e della bassa Valle di Cogne sono costituite da strutture minerali molto differenti dagli gneiss. Qui si trovano infatti in buona parte i calcescisti e le pietre verdi o ofioliti. Queste rocce, essendo facilmente soggette all’erosione, sono sopravvissute in superficie solo ai bordi del massiccio e principalmente nella parte bassa delle valli. I calcescisti e le ofioliti sono infatti ben visibili anche in Valle dell’Orco sotto Locana e nella Valle di Campiglia. Essendo rocce friabili si prestano poco all’arrampicata, ma talvolta le pietre verdi e altri minerali hanno formato delle miscele con lo gneiss che, dopo opportuna pulizia, rendono possibile la scalata su piccole pareti. Ne sono esempio le falesie di Bosco e di Pont Canavese.

STILE DI ARRAMPICATAEssendo la valle costituita per la quasi totalità da rocce metamorfiche, lo stile di arrampicata è essenzialmente granitico, fatta eccezione per le falesie di bassa valle dove lo gneiss permette una progressione su tacche, a volte nette e volte svasate, su cui è necessario possedere una buona continuità di avambracci.La scalata sulle strutture dell’alta valle è invece squisitamente granitica. Abbondano placche, diedri e fessure.

Le fessure: la presenza di fessure nette e regolari su buona parte delle pareti, si può dire che abbia contribuito in maniera determinante a creare il mito della Valle dell’Orco. La fama di alcune di queste, prime tra tutte la Fessura Kosterlitz, ha addirittura varcato i confini nazionali e molti visitatori stranieri vengono in Valle dell’Orco proprio per provare a salirle. Le fessure più famose richiedono una perfetta padronanza della tecnica di incastro, cosa che non ha fatto altro che renderle ancora più temute e corteggiate, dal momento che negli ultimi vent’anni, almeno in Italia, questo tipo di tecnica è rimasta prerogrativa di pochi eletti o aficiodados dei santuari granitici. Più rare sono le fessure da superare in dulfer, oppure sulla punta delle dita (lieback). Su queste ultime non è raro trovare anche gli spit, anche se proteggibili diversamente, il che ovviamente semplifica enormemente le cose. Una tabella delle fessure più note della Valle e della loro valutazione si trova nel capitolo Valutazione delle difficoltà.

I diedri: sebbene non famosi come le fessure, in Valle ci sono alcuni splendidi diedri di varie difficoltà, anche se raramente raggiungono un considerevole sviluppo. Alcuni, come il Diedro Nanchez, si articolano su diverse lunghezze, altri sono lunghi solo 1� metri di arrampicata rude e faticosa, come ad esempio il famoso Diedro del Mistero. Tuttavia la natura dello gneiss, ben provvisto di tacche nette e appoggi per i piedi, obbliga raramente a lunghi tratti di dulfer e più spesso utilizzando la tecnica di spaccata è possibile salire economizzando molte energie.

Le placche: sebbene non come in Val di Mello, anche in Valle dell’Orco le placche hanno avuto un ruolo importante nella storia locale. Come spesso capita gli arrampicatori si sono specializzati ognuno nel proprio stile e terreno di elezione. La presenza di piccole tacche o cristalli anche sulle placche più lisce ha permesso qui di salire anche oltre le inclinazioni

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tipiche della scalata di aderenza, rendendo la progressione su questo terreno meno monotona che altrove. Occorre dire che, per fortuna, lo scavo delle prese sulle placche è rimasto un fenomeno circoscritto e limitato. Sulle rocce della Torre di Aimonin o del Sergent, i placchisti DOC della Valle hanno spinto molto in alto il livello, potremmo dire ben oltre lo standard raggiunto sulle fessure. Ovviamente, come su tutte le placche granitiche, è necessario possedere buona tecnica, buona forza di dita e… buone scarpe, meglio se rigide.

Gli strapiombi: sulle strutture dell’alta valle gli strapiombi saliti e/o attrezzati sono rarissimi. È un terreno ancora poco esplorato, a meno che essi non siano solcati da fessure, come nel caso del tetto di Legoland o di Greenspit. Diversamente, nelle falesie della parte bassa della Valle, si scala spesso su terreno strapiombante sfruttando le provvidenziali tacche che offre lo gneiss. Purtroppo in quasi tutte le falesie è abbastanza d’abitudine scavare le prese come era consuetudine negli anni novanta, epoca in cui sono state valorizzate. Come noterete voi stessi non sempre si è scavato su tratti impossibili, ma spesso con il fine di rendere omogenei gli itinerari, eliminandone i passi di blocco. Questa filosofia, come detto in voga agli inizi degli anni novanta, non è nel Canavese ancora superata, e molti arrampicatori rimangono tutt’oggi convinti che i chiodatori abbiano fatto la cosa migliore. È un dato di fatto, comunque, che le vie sopra l’8a sono in valle rarissime… e questo è in parte dovuto all’eliminazione sistematica dei tratti (apparentemente) impossibili.

Il bouldering: nonostante l’enorme potenziale, il bouldering in Valle dell’Orco rimane una pratica assai sporadica, limitata ai dintorni di Rosone, dove alcune aree sono in fase di valorizzazione. Tra tutti i massi che offre l’alta valle, pensate che solo il Masso Kostelitz offre diversi passaggi censiti e di pubblico dominio. Molto rimane da fare e ogni tanto qualche straniero risolve qualche isolato passaggio, ma attualmente non esiste ancora una comunità di boulderisti che svolga un regolare lavoro di esplorazione e valorizzazione.

L’artificiale: l’artificiale in Valle ha avuto il suo boom in due periodi storici ben definiti e attualmente rimane una pratica per pochi appassionati. Le prime vie artificiali risalgono ai primi anni settanta, l’epoca d’oro di esplorazione del Caporal e del Sergent. Tra tutte, possiamo dire che una decina di queste sono

diventate classiche e quindi regolarmente percorse in questo stile, anche se negli ultimi anni sono state salite in libera. Si tratta per lo più di vie di A1 e A2, qualche volta A3, su cui vi è anche parecchio materiale in posto. Raramente occorrono materiali particolari o di ultima generazione per ripeterle e quasi tutte sono fattibili in una sola giornata. Negli anni novanta vi è stata poi l’esplosione dell’artificiale new age, essenzialmente grazie a Valerio Folco che ha importato sulle pareti della Valle le tecniche americane. Le vie di seconda generazione, o se preferite new age, sono oggi raramente ripetute e rimangono prerogativa per pochi appassionati. Per chi volesse ripeterle consigliamo di consultare il sito www.valeriofolco.com onde valutare bene il materiale occorrente.

L’arrampicata sportiva: certamente la Valle dell’Orco non è il luogo più bello dove fare una vacanza di arrampicata sportiva e, come è noto, il granito non è la roccia d’elezione per gli amanti di questa attività. Tuttavia le falesie di bassa valle, in particolare Frachiamo e Bosco, sono molto frequentate nei periodi invernali da tutti gli arrampicatori provenienti dal Canavese, e persino da Biella e Torino. Non si tratta di falesie di eccezionale bellezza, ma il fatto che esse siano frequentabili con la pioggia, esposte a sud e… non ultimo… offrano tiri di livello medio-alto altamente allenanti… ha fatto sì che godessero e continuino a godere del favore degli appassionati. Essendo poche, le falesie della Valle dell’Orco sono in genere ben attrezzate e ottimamente curate dagli arrampicatori locali. Buoni sentieri di accesso, disegni alla base con elenco delle vie, panchine per sedersi comodamente a far sicura, ghiaia per evitare di impolverare le corde.

Il clean climbing: una delle scoperte di questi ultimi anni (qualcuno direbbe ri-scoperta), è il clean climbing di stampo anglosassone. In poche parole si sale in libera proteggendosi durante la salita con protezioni naturali (nut e friend). Negli ultimi anni si sono moltiplicate le vie aperte con questa concezione, anche se per ora raramente esse vanno oltre l’una o le due lunghezze. Si tratta, per dirla all’americana, di short climbs dove gli appassionati di questo stile posssono cimentarsi con la posa delle protezioni naturali. Nella quasi totalità dei casi si trovano le soste spittate e a volte anche uno o due spit lungo i tiri in tratti non altrimenti proteggibili, anche se in questo caso non si può parlare di clean climbing. Sino a tre o

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quattro anni fa, in Valle dell’Orco era possibile salire in questo stile solo alcune fessure e/o brevi tratti di vie, e persino su queste si trovavano in qualche caso gli spit. Oggi sembra che questa ulteriore possibilità, che non fa che accrescere il fascino della Valle dell’Orco, conti sempre più adepti e di conseguenza sia rispettata (che significa mantenere pulite le vie concepite in questo stile) anche da chi la considera élitaria e pericolosa.

I monotiri: sulle rocce basali delle pareti più famose dell’alta valle, si trovano spesso dei monotiri, alcuni completamente a spit in placca, altri in stile misto. È bene quindi attrezzarsi preventivamente con protezioni mobili dove specificato, senza pensare che solo per il fatto che si tratti di un monotiro questo debba essere per forza fattibile solo con i rinvii. I monotiri di libera sono stati in Orco visti sempre come un ripiego ma oggi le cose stanno cambiando, e molti arrampicatori si concedono una giornata sulle pareti dell’alta valle solo per scalare su monotiri. Possiamo poi aggiungere che di vie lunghe ne son piene le Alpi, mentre luoghi dove praticare monotiri granitici, sia con gli spit che senza, sono in Italia ancora rarissimi. In questo senso la Valle ha ancora molto da offrire ed è lì che si giocherà il futuro dei prossimi anni.

Le multipitch moderne: a partire dai primi anni novanta si è andata diffondendo questa nuova tipologia di via, essenzialmente per mano di Manlio Motto prima, e di Maurizio Oviglia e Adriano Trombetta poi. Sostanzialmente si tratta di uno stile ispirato alle vie del Monte Bianco aperte da Michel Piola, che sintetizzando prevede l’uso di spit sui tratti in placca e lascia spazio alle protezioni mobili lungo

le fessure. Queste vie sono generalmente aperte dal basso, fermandosi con i cliff-hanger o in equilibrio sui piedi, per mettere gli spit. Ogni apritore, a seconda della sua bravura e della filosofia con cui apre, dona quindi il carattere alla sua via rendendola più o meno severa. L’impegno il più delle volte si traduce nella distanza tra una protezione e l’altra, che su questo genere di vie è espresso dal grado obbligatorio, cioè il tratto più difficile che l’arrampicatore deve per forza superare tra una protezione e l’altra, senza possibilità di aiutarsi con altri mezzi che non siano la propria abilità in arrampicata libera. Se è vero che l’obbligatorio è espresso con un grado, esistono varie interpretazioni sul come assegnarlo, ed esse variano a seconda degli apritori. Esso rimane quindi un parametro altamente soggettivo e quanto mai indicativo. I ripetitori non mancheranno di farsi un idea personale sulle vie dell’uno o dell’altro apritore, proprio come fosse un marchio di un prodotto. È un’utopia infatti stabilire dei criteri giusti di apertura: ognuno ha il suo concetto di sicurezza e il suo modo di vedere una linea. Se volete un’idea più precisa possibile di quello che andrete ad affrontare riferitevi alla scala S (vedi valutazione delle difficoltà) che ho elaborato con Erik Svab e Nicola Tondini, adottata già da alcuni anni dalle guide Versante Sud. Sappiate che S1 corrisponde grosso modo alla distanza adottata normalmente nelle falesie o poco di più ed S2 a una distanza tra i punti tra i 4 e i 6 metri. Le vie S3 e oltre sono molto impegnative psicologicamente e richiedono padronanza assoluta del grado obbligatorio, vale a dire che esso dovrà essere un grado che normalmente superate a vista in falesia e in montagna su ogni tipo di terreno.

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La mappatura gps, che è ormai entrata nella consuetudine degli spostamenti automobilistici, sta diventando anche un piacevole au-silio a chi si muove in montagna. Il mondo della mountain bike per primo, ma a ruota anche quello del trekking e dell’alpinismo, stanno scoprendo la praticità e la sicurez-za di farsi aiutare nell’orientamento dalla tecnologia gps.

A questo proposito Versante Sud e Garmin hanno stretto un importante accordo per iniziare l’imponen-te lavoro di mappatura dei percorsi interessati dalle guide di montagna. Per farvi vivere al meglio le vo-stre avventure, vogliamo dare a tutti la possibilità di non perdersi, di trovare con facilità l’attacco di una via o il sentiero battuto per arrivare in falesia.Questa guida fa parte di questo progetto.

Sul sito www.versantesud.it, alla pagina dedicata, si potranno scaricare alcuni tracciati gps della Valle dell’Orco.

ROCKMAP

PROGETTO ROCK MAP

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ETICA DELLA VALLE

«… l’etica è una specie di codice d’onore che tutti gli arrampicatori conoscono. Si tratta più che altro di precetti riguardanti lo stile di una scalata, cosa è permesso fare e cosa no. Alcune di queste regole cambiano spesso nel corso degli anni, e tecniche che un giorno non è consentito utilizzare diventano magari lecite l’anno seguente. E i principi morali degli scalatori si evolvono anche nel tempo…»

Jerry Moffatt (Topo di Falesia, Versante Sud, 2009)

Spit sì, spit no: in Valle dell’Orco la questione etica è stata sempre molto sentita e si può dire che sia uno dei pochi posti in Italia dove esiste una parte di arrampicatori (locali e non) fortemente contraria all’uso dello spit (chiodo a espansione). Nel corso degli anni la Valle ha conosciuto alternativamente periodi in cui l’uso dello spit era tollerato o addirittura incoraggiato ad altri in cui sembrava vi fosse una forte opposizione nei suoi confronti. Non è raro, infatti, trovare spit spaccati a martellate o assistere al volatilizzarsi delle placchette da un giorno all’altro… Probabilmente tutto ciò sarebbe evitabile stabilendo delle semplici regole a cui attenersi, magari decise di comune accordo. Ma, a parte l’allergia cronica da parte degli arrampicatori verso ogni tipo di imposizioni, non sembra che attualmente vi siano le condizioni per giungere a un qualche tipo di accordo. La regola più semplice da rispettare sarebbe quella di mantenere le vie classiche, aperte con l’uso delle protezioni tradizionali, nello stato originario, al massimo mettendo in sicurezza con gli spit solamente le soste nel caso di quelle ad alta frequentazione. Negli ultimi anni, tuttavia, sono stati fatti vari interventi di “messa in sicurezza” da parte di guide alpine e non, che sono spesso andati ben al di là di questa semplice regola generalmente condivisa in buona parte del mondo. Occorre dire che l’Italia nord-occidentale non è l’Inghilterra o gli Stati Uniti e la mentalità degli scalatori è generalmente favorevole agli spit e alla protezione ravvicinata, proprio come in Francia, paese da cui a partire dai primi anni ottanta, siamo stati fortemente influenzati. I nuovi spit alle soste sulle vie classiche e lungo i tiri, altrimenti proteggibili, sono stati subito ben accetti dalla maggioranza, abituata ad arrampicare senza pensare troppo alla posa delle protezioni e al rischio di non arrivare in cima… Tuttavia, negli ultimi due anni la situazione è giunta a un punto critico che ha spinto

alcuni arrampicatori a rimuovere gli spit piazzati e a estendere i raid anche verso vie su cui la chiodatura a spit era ormai accettata da tutti. Il dibattito è attualmente molto acceso e si va avanti a colpi di minacce nei forum internet, a cui seguono rispettive azioni di guerriglia… In sintesi si potrebbe arrivare a una tregua, solo rispristinando lo stato iniziale delle vie classiche, se da una parte e dall’altra ci fosse la volontà di rinunciare ad andare oltre le righe. Se da una parte gli oppositori dello spit temono l’estendersi della placchetta ovunque, e la perdita della tradizione culturale locale, dall’altra la maggioranza teme che l’arrampicata in Valle diventi troppo elitaria e che la rimozione dello spit pregiudichi la possibilità di salire molte vie che negli anni sono divenute dei veri pezzi da collezione…Senza la pretesa di stilare delle regole e soprattutto senza alcuna volontà di fare il predicatore, qui di seguito provo a fissare alcuni punti fermi, che nello specifico caso della Valle dell’Orco sembrano essere accettati dalla maggioranza ed essersi sedimentati nel corso degli anni nella cultura locale. Ovviamente essi possono non valere altrove, ma possono comunque rappresentare una traccia per il futuro, in modo che i diritti di tutti siano rispettati, tenendo ben presente però che la Valle dell’Orco è un luogo particolare e unico soprattutto perché offre la possibilità (altrove quasi scomparsa) di arrampicare con le protezioni naturali.

Vie classiche: le vie dette classiche sono quelle vie aperte generalmente negli anni settanta e ripetute molto di frequente per la loro bellezza, logicità e valore storico. Su queste vie generalmente è accettata l’infissione di spit alle soste, ma lungo i tiri essa deve essere assolutamente evitata. D’altro canto, i vecchi chiodi normali possono essere rimossi solo nel caso vi sia la possibilità di proteggersi agevolmente con nut e friend. Evitare di aggiungere troppe soste spezzando i tiri, evitare nel modo più assoluto di ritracciare la via variando il percorso originario adattandolo ai tempi. Ancora, astenersi dal cambiare il nome alla via, cancellandone la memoria storica.

Vie miste e/o artificiale: molte vie della Valle sono state aperte in arrampicata mista o artificiale. Esse devono essere salibili anche in artificiale quindi è bene non rimuovere i chiodi in posto o ritracciarle completamente allo scopo di salirle in arrampicata libera. Salvo rare eccezioni, sui tratti superati in artificiale con materiali speciali (come ad esempio

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Dad

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Dado

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Parliamo ora di due piccole pareti, rese famose da due belle fessure. La prima, Bianca Parete, fu salita in libera da Marco Bernardi e valutata 6a. Dopo numerose proteste la valutazione è oggi rivista in un più onesto 6b+, tenuto conto dello stile di scalata, assai inusuale e fuori moda. E ancora a molti pare un grado stretto! Curioso in proposito riportare il giudizio di alcuni francesi che scrissero su una rivista che la via poteva essere valutata 7b!La seconda è la celebre “Sitting Bull”, di paternità incerta, che alcune leggende vogliono attribuire ai fratelli Troussier ma che invece fu scoperta quasi certamente da Andrea Giorda. Sitting Bull è una bella fessura che presenta un singolo tratto molto difficile su uno strapiombo. Anche per questa via molti rivendicano un grado ben più alto…La falesia caratterizzata dalla fessura di Bianca Parete, era conosciuta negli anni ottanta come Parete Blanchetti, dal nome dell’hotel dove si parcheggiava la macchina. Non è stata mai troppo frequentata anche se, oltre alla fessura, esistevano altri vecchi itinerari. Il solito Roberto Perucca aggiunse poi le vie artificiali, nella impressionante (ma breve) losanga bianca di destra. Ma probabilmente salì anche una serie di diedri, compresi tra la fessura Bianca Parete e la via artificiale, L’escargot. Nel 2001 il talentuoso Giovannino Massari aggiunse alcuni tiri a spit, ma soprattutto sistemò una serie di fessure alcune già salite dalle vecchie vie dei Fratelli Sartore. Il Dado sembrò prendere nuova vita, ma fu solo un fuoco di paglia, perché nessuno lo conosceva veramente. Altri tiri difficili spittati, sembra portino la firma del tedesco Toni Lamprecht e dei suoi amici. Nel 2008 Maurizio Oviglia e Paolo Seimandi salgono

l’evidente camino, battezzandolo Mr. Green, infine, nel 2010 Marzio Nardi si concede importanti prime libere.Sebbene il Dado sia una falesia interessante e di comodo accesso, con alcune lunghezze molto belle, la sua frequentazione è stata fino ad ora molto sporadica e probabilmente non diverrà mai un must della valle.Quanto a Sitting Bull, da molti proclamata la più bella fessura della Valle dell’Orco, è ben lungi da divenire più famosa della Kosterlitz, come aveva predetto Alessandro Gogna in Rock Story. Sebbene qualcuno la trovi molto difficile, ben più che il suo grado dichiarato, rimane raramente salita e un po’ in disparte dal via vai dei climber.

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Paolo Seimandi, Cochise, 6b (ph. P. Soave) 30�

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N4� 26.004 E7 1�.407

10-20 min.

Torr. Orco

masso Kosterlitz

DANCE IN TRAD

DROIDE

DADO

PIETRA FILOSOFALE

Pont C.

CeresolePrese

Chiarai

Sasso del Non dire

Dad

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Descrizione: il Dado è un’inconfondibile parete bianca sopra la frazione Prese di Ceresole, solca-ta solo da una ruga, percorsa dalla via artificiale L’Escargot. Nel settore sinistro, meno imponente, insospettabilmente si cela una bella fessura, la via Bianca Parete, originariamente in artificiale. Poco sopra il Dado, alla sua sinistra, si nasconde tra i larici la splendida paretina di Sitting Bull.

Roccia: granito, a volte friabile.

Stile di arrampicata: atletico in fessura.

Esposizione: sud.

Periodo ideale: estivo o autunnale.

Altezza: �0/60 m.

Chiodatura: le vie sono da proteggere con nut e friend, ma in posto si trova anche qualche mo-notiro chiodato a spit di alta difficoltà. Le soste sono quasi tutte attrezzate a spit, con maillon di calata.

Punti d’appoggio: Hotel Blanchetti, dove si la-scia la macchina.

Avvicinamento: dalla frazione Prese di Ceresole si sale per i prati verso la base delle due strutture (dai 10 ai 20 minuti). Per raggiungere Sitting Bull occorre seguire una traccia nel bosco a sinistra del Dado ma il percorso, seppur breve, è poco evidente e non facile da individuare per chi non vi è mai stato, specie nella stagione estiva quando viene invaso dalla vegetazione.In alternativa è possibile proseguire lungo strada verso Ceresole per circa 400 metri oltre L’Hotel Blanchetti, oltrepassando prima un distributore di benzina e poi la grossa insegna in legno dell’Hotel Scoiattoli, e poco dopo svoltarea destra in una ripida stradinapavimentata a mattonelle che sale a fianco di alcuni Chalet. Seguire la stradina (accesso pedo-nale) fino al suo termine, in prossimità di un piccolo gruppo di baite ristrutturate, attraversare il ruscello alla loro sinistra e reperire una traccia nel bosco che sale obliquamente verso nord-est, fino al prato alla base della inconfondibile fessura a forma di zeta.

Discesa: in doppia lungo le vie.

Altre vie: a destra dell’Escargot ci sono due mo-notiri con alcuni spit, ma appaiono tutti sporchi e mai saliti. Probabilmente sono opera di arram-picatori tedeschi.

Sud

galleria

campeggioLa Pescheria

centro sci di fondo

baita bruciata

N4� 26.161 E7 1�.482 (via N°7)

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4 56 30

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1 SITTING BULLProbabile Andrea Giorda, fine anni settantaPrima libera Manolo, 19826c+/R1/I30 mMateriale: servono friend fino al 3 BD, doppi n° 2 e 3. Il passo chiave si protegge agevolemente con uno 0,3 BD. Sosta con spit e maillon.Stupenda fessura, una delle più belle della Valle. Il passaggio chiave si riduce al superamento di un bom-bè, sfruttando la fessura con incastro di dita. (Allun-gare le protezioni sotto al bombè, la corda si incastra facilmente!). Come la Kosterlitz, anche questa fessura ha un grado che per alcuni risulta molto più difficile.

2 APOGEOGiovanni Massari, 2001�c+/R1/I20 mMateriale: servono friend fino al 3 BD. Sosta con spit e maillon.Bella fessura con un tratto non banale. Ideale come approccio alle fessure più dure.

3 IL MAIALONEGiovanni Massari, 2001 6a+/R2/I30 mMateriale: servono friend fino al 3 BD. Sosta con spit e maillon.Bel tiro clean, non banale e con qualche passo ob-bligatorio.

4 COCHISE (L1)Giovanni Crotti, Vincenzo Sartore, 1976 �c/R1/I20 mMateriale: servono friend dallo 0,3 (in alternativa nut) al 2 BD. Sosta con spit e maillon.Prima lunghezza della Via Cochise, in una interessante fessura diedro. La seconda, ben più bella, la si attacca dalla cengia.

4.1 COCHISE (L2)Giovanni Crotti, Vincenzo Sartore, 1976 6b/RS1/I30 mMateriale: servono friend fino al 3 BD. Sosta con spit e maillon.Seconda lunghezza della via Cochise, risistemata nel 2001 da Giovanni Massari in modo che si possa salire come monotiro dalla cengia superiore, raggiungibile a piedi. Molto bella e spettacolare, è attrezzata con due spit, il secondo dei quali superfluo. Presenta un’arram-picata di continuità su parete verticalissima dove con un buon uso dei piedi non si è mai troppo sulle brac-cia. Diverrà sicuramente una classica della Valle.

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Dad

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5 ROBIN HOODGiovanni Massari, 2001prima libera G. Massari 7c/S1/I2� mMateriale: attrezzata a spit.Monotiro su lastra un po’ sbriciolosa e uscita diffi-cile.

6 ANESTESIAGiovanni Massari, 2001Prima libera M. Nardi, 20107c+/S1/I2� m Materiale: attrezzata a spit.Muro con passaggi boulder.

7 BIANCA PARETEVincenzo Sartore, G. Zanet, 1976Prima libera Marco Bernardi, 19806b+/R2/I2� mMateriale: una serie di friend sino al 4 BD, doppi n° 2 e 3. Bellissima fessura, con una prima parte a incastro puro di mano, piuttosto dolorosa. Ai tempi della pri-ma libera fu gradata 6a, oggi a molti pare anche più dura di 6c! Sosta a spit con maillon di calata.

8 STOP PRESSWainja Reichel, 2001 7b/c /S1/I30 mMateriale: la via è spittata.Stupendo monotiro su di una incredibile colonna squadrata, da salire sfruttando i due spigoli con diffi-cili opposizioni e compressioni.

9 MISTER GREENMaurizio Oviglia, Paolo Seimandi, ottobre 2008 6a/R1/I3� mMateriale: una serie di friend sino al 4 BD, qualche nut. Bel camino, molto particolare, da fare interamente proteggendosi. uscita sulla sinistra per fessura rove-scia (passo chiave, attenzione a come si piazzano i friend nelle lame!). Sosta a spit in comune con Stop Press.

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Paolo Seimandi, Mister Green, 6a (ph. D. Demichela) 309

10 L’ESCARGOTRoberto Perucca, Monica Degli Espositi, G. Soffien-tino, 1997A2/R2/I70 m (3L)Materiale: 1 corda singola da �0 metri, 1 corda di servizio da �0 metri, 2 serie di camalot fino al n.2, 1 serie TCU, 1 serie nut-ball fino al n.2, � micronut, � LA, � KB, � angle, 2 cliff (Talon BD) e 20 moschettoni liberi.

Salire la fine fessura fino al suo termine, seguire una serie di fix e con un pendolo raggiungere la prima sosta, S1. Traversare verso sinistra la liscia placca verticale con i cliff, utilizzando la serie di buchetti scavati, fino alla seconda sosta, S2. Seguire una serie di fix fino a raggiungere una fessu-ra che termina in cima alla parete.