Valenza e la Montagna - Terza Parte

28
128 di Giorgio Manfredi. Avevo terminato la prima parte di “Valenza e la montagna” (Valénsa ’d’na vòta numero 25 dicembre 2010) con l’impegno di proseguire con il ricordo dei protagonisti ed il racconto delle loro storie. Voglio inizia- re con Sandro Picchiotti (1930-2004) e mi accorgo subito che Sandro stesso è “una storia”. Mi prende il timore di non rendere bene la trama di tante vicende e fatti vissuti. Sandro ci ha accompagnati con intuizio- ni e fantasie che lasciavano senza fiato e sapeva trasmettere un’allegria che scompaginava la normalità senza emozio- ni in cui spesso si ci tro- vava. Sandro Picchiotti, iscritto al CAI dal 1965 e socio della Sezione di Valenza quando si è co- stituita nel 1976, ha sem- pre avuto un grande amo- re per l’alpinismo. Nella sua vita la montagna è entrata presto, nei primi anni del campeggio “Don Pietro”. Fu subito, sin dal 1947, un leader ed un trascinatore. Si adoperò ad organizzare escursio- ni, cercando mete ardite e impegnative della Valtournenche, dove era nato il campeggio “Don Pietro”. Si voleva puntare al superamento del limite dei 4000 arrivando alle grandi cime valdostane con i loro superbi ghiacciai. Fu tra i primi a guidare un gruppo che salì sul Breithorn 4165 mt., una bella cima che, a est del Cervino, apre lo spettacolare gruppo del Monte Rosa. Sul Breithorn salirono, a partire dalla fine degli anni 40, molti giovani come a compiere, con questa ascensione quasi tutta su ghiacciaio, il loro battesimo dei 4000. Negli anni 1954, 1955 e 1956 si guardò oltre con mete ancora più impegnative ed a quote superiori, sempre nel fantastico gruppo del Rosa: Castore 4221 mt., Lyskamm VALENZA E LA MONTAGNA. Seconda parte. La tessera CAI di Sandro Picchiotti. Famiglia Picchiotti

description

Valenza e la Montagna - Terza Parte

Transcript of Valenza e la Montagna - Terza Parte

Page 1: Valenza e la Montagna - Terza Parte

128

di Giorgio Manfredi.

Avevo terminato la prima parte di “Valenza e la montagna” (Valénsa’d’na vòta numero 25 dicembre 2010) con l’impegno di proseguire conil ricordo dei protagonisti ed il racconto delle loro storie. Voglio inizia-re con Sandro Picchiotti (1930-2004) e mi accorgo subito che Sandrostesso è “una storia”. Mi prende il timore di non rendere bene la tramadi tante vicende e fatti vissuti. Sandro ci ha accompagnati con intuizio-ni e fantasie che lasciavano senza fiato e sapeva trasmettere un’allegria

che scompaginava lanormalità senza emozio-ni in cui spesso si ci tro-vava. Sandro Picchiotti,iscritto al CAI dal 1965 esocio della Sezione diValenza quando si è co-stituita nel 1976, ha sem-pre avuto un grande amo-re per l’alpinismo. Nellasua vita la montagna èentrata presto, nei primianni del campeggio “DonPietro”. Fu subito, sin dal

1947, un leader ed un trascinatore. Si adoperò ad organizzare escursio-ni, cercando mete ardite e impegnative della Valtournenche, dove eranato il campeggio “Don Pietro”. Si voleva puntare al superamento dellimite dei 4000 arrivando alle grandi cime valdostane con i loro superbighiacciai. Fu tra i primi a guidare un gruppo che salì sul Breithorn 4165mt., una bella cima che, a est del Cervino, apre lo spettacolare gruppodel Monte Rosa. Sul Breithorn salirono, a partire dalla fine degli anni40, molti giovani come a compiere, con questa ascensione quasi tuttasu ghiacciaio, il loro battesimo dei 4000. Negli anni 1954, 1955 e 1956si guardò oltre con mete ancora più impegnative ed a quote superiori,sempre nel fantastico gruppo del Rosa: Castore 4221 mt., Lyskamm

VALENZA E LA MONTAGNA.Seconda parte.

La tessera CAI di Sandro Picchiotti.

Famiglia Picchiotti

128-155.p65 08/10/2013, 16.20128

Page 2: Valenza e la Montagna - Terza Parte

129

4481 mt., Zumstein 4563 mt., Punta Gnifetti con la Capanna Marghe-rita 4554 mt., e la stessa punta Dufour 4633 mt. La guida MarcelloCarrel, grande esponente dell’alpinismo del Cervino, amico e sosteni-tore delle attività alpinistiche del campeggio, coordinò e guidò questeimportanti ascensioni e Sandro Picchiotti, presente in tutte queste sali-te, contribuì alla buona riuscita delle imprese facendo spesso il capocordata insieme alle guide.La salita alla nord della punta Dufour del Monte Rosa con i suoi 4634

mt., seconda cima più alta in Europa dopo il monte Bianco, rappresentòper lui e per il campeggio un impegno importante e significativo. Tuttovenne organizzato con la guida Marcello Carrel e con il portatore (aspi-rante guida) Silvano Meynet che guidarono il gruppo composto da donLuigi Frascarolo, Sandro Picchiotti, Giorgio Re, Giorgio Manfredi eGiampiero Marchese. Quest’ultimo si trovò in difficoltà quando l’alti-tudine crebbe, superando i quattromila. Si trattò di un vero e proprio“mal di montagna” che causò qualche inconveniente pur non impeden-do di ultimare l’impresa. La guida Marcello Carrel risolse i problemi

Gruppo amici di Don Pietro e Don Luigi

1955: da sinistra Don Luigi Frascarolo; Giorgio Manfredi; Sandro Picchiotti; Gior-gio Re; Gian Piero Marchese verso la punta Dufour del Monte Rosa.

128-155.p65 08/10/2013, 16.20129

Page 3: Valenza e la Montagna - Terza Parte

130

tecnici nella progressione della salita, ma fu proprio grazie a SandroPicchiotti che Marchese, che stava procedendo come un automa e cheera legato in cordata vicino a lui, poté continuare. Sandro aveva pertutti un soprannome che usava disinvoltamente con vena ironica.Giampiero Marchese era appellato “Cheisot” e in questo modo Sandrolo sollecitava e lo spronava: si sentiva la sua voce che impartiva con-tinuamente ordini con indicazioni rapide e precise mentre l’ascensioneprocedeva. “Cheisot qui il piede, là l’appiglio per la mano destra, subi-to dopo l’altro piede sullo spuntone a sinistra”... e così avanti e si sa-

liva. In questa non semplice occasione si affermò il ruolo di“trascinatore” di Sandro con la sua forza morale fisica ed il coraggioche rendevano attuabile quello che sembrava impossibile. Il sorriso cheMarchese ritrovò scendendo dopo la Capanna Gnifetti, sotto i quattro-mila, fu il miglior riconoscimento della straordinaria impresa che Sandroaveva realizzato. L’anno prima, nel luglio 1954, sempre con la guidaMarcello Carrel e il portatore Silvano Meynet, con Sandro Picchiotti,erano saliti al Castore don Luigi Frascarolo, don Luigi Martinengo,Francesco Bajardi, Beppe Bissone, Giorgio Manfredi, Beppe Mortarini,Pinuccio Picchiotti, Giorgio Re e Liliana Villasco. Dopo il pernotta-mento al rifugio Quintino Sella il giorno successivo, Francesco Bajardi,

Gruppo amici di Don Pietro e Don Luigi

1954: da sinistra: Sandro Picchiotti; Francesco Bajardi; Giorgio Re; Don LuigiMartinengo; l’aspirante guida Silvano Meynet sulla cima del Lyskamm.

128-155.p65 08/10/2013, 16.20130

Page 4: Valenza e la Montagna - Terza Parte

131

don Luigi Martinengo, Sandro Picchiotti e Giorgio Re, con le stesseguide scalarono il Lyskamm occidentale. Il gruppo si ricompose al ri-fugio ed insieme discesero tutti a Gressoney. Salirono alla punta Dufour,sempre dal versante nord e alla punta Zumstein, questa volta nel 1955,Francesco Bajardi, Oscar Amelotti, Beppe Bissone, Flavio Gastaldellocon le guide Marcello e Alberto Carrel. Fu un periodo entusiasmante diimportanti ascensioniper i giovani valenzaniche, insieme a tanti altricontinuarono a vivere lapassione per la monta-gna, allargando semprepiù questo amore conta-gioso e affascinante.Un’altra dimostrazionedella forza di Sandro eraavvenuta quando, insie-me a don Pietro, si deci-se nell’estate del 1949 disalire con un grupponumeroso alla GranSommetta per celebrarvila messa. Questa cima di3166 mt. non presentaeccessive difficoltà disalita, ma l’altarino perla messa era contenuto inuna pesante valigia cheSandro Picchiotti volleportare in vetta. Oltreallo zaino sulle spalle silegò con una robustacorda la valigia sul davanti, proseguendo sul ripido pendio di pietronie sfasciumi, sollecitando i compagni di scalata a procedere. Tutto andòper il meglio e la messa venne celebrata in vetta. Qualche anno dopoguidò un’escursione alla capanna Margherita con il fratello Pinuccio edaltri due amici. Dormirono alla Capanna Gnifetti e poi salirono in cordataalla Margherita a 4551 mt. Al ritorno, durante una sosta sul ghiacciaio,

Gruppo amici di Don Pietro e Don Luigi

1954: da sinistra: Pinuccio Picchiotti; Beppe Bissone;Francesco Bajardi al rifugio Quintino Sella sul Rosa.

128-155.p65 08/10/2013, 16.20131

Page 5: Valenza e la Montagna - Terza Parte

132

Sandro si accorse di aver dimenticato le scarpe da ginnastica che nor-malmente vengono usate per entrare al rifugio: non volle sentir ragioniper evitare il recupero. Effettivamente non sarebbe valsa la pena di ri-salire per riprendere un paio di scarpe da ginnastica usate, ma invitò itre compagni a proseguire la discesa mentre lui fece di corsa la risalitadel ghiacciaio per poi tornare con loro. Così avvenne: lo videro com-parire mentre correva, prima di Gressoney, dove giunsero tutti e quattroinsieme... comprese le scarpe da ginnastica.La corsa in montagna fu la sua passione ed un’attività alpinistica allaquale si dedicò per anni. E’ questa una specialità sportiva molto impe-gnativa che richiede una preparazione fisica accurata, tenendo contodelle continue alterazioni di altitudine e di uno sforzo fisico e respira-torio che viene concentrato in poco tempo. Curava la preparazione conallenamenti quotidiani partendo molto presto velocemente di corsa almattino da Issime, in Val d’Aosta, dove abitava la moglie Renée e doverisiedeva spesso nel periodo estivo, salendo e poi ridiscendendo sugradoni alti circa un metro verso la cappella di San Grato. Fra le moltegare di corsa in montagna, nel periodo anni 60/70 si ricordano le traver-sate del Col Dondeuil fra la valle di Gressoney e la Val d’Ayas e laPiedicavallo-Colle della Mologna-Gaby fra le valli biellesi e la valle diGressoney. Più volte partecipò alla Torino-Saint Vincent, una supermaratona di 100 km che collega il capoluogo piemontese con la “porta”delle montagne della Valle d’Aosta. Nell’edizione del 1979 su 1200partecipanti Sandro si lasciò alle spalle più di 1000 concorrenti, portan-do a termine la gara in 12 ore dalle otto del mattino alle otto di sera epiazzandosi al 104° posto.Sandro Picchiotti continuò a svolgere un’intensa attività di ascensioniguidando cordate e portando su molte cime della Valle d’Aosta le nuo-ve generazioni che si susseguirono al campeggio “Don Pietro”. Finoagli anni ’80, con la guida Marcello Stevenin della valle di Gressoney,effettuò importanti ascensioni fra le quali il Monte Bianco, il Cervino,la Dent d’Hèrens, la Tour Ronde, il Dente del Gigante, i due Lyskamm,la sud del Castore, il Polluce e molte altre.Marcello Stevenin così lo ricorda: “Sono stato per parecchi anni la suaguida alpina e insieme abbiamo fatto tante belle salite. Sandro Picchiottipiù che un cliente è stato un caro compagno di cui mi potevo fidare: unapersona che non è facile dimenticare. Posso dire che era un uomo stra-ordinario per la sua grande passione, avvinto dalle emozioni che la

128-155.p65 08/10/2013, 16.20132

Page 6: Valenza e la Montagna - Terza Parte

133

montagna sa dare. Aveva uno stile tutto particolare nell’ arrampicata,sembrava spesso che i piedi non tenessero o si staccassero dalla rocciaper il modo veloce col quale li posava, poi invece procedeva e saliva,quasi volando. Era così concentrato, forte e deciso che trovava sempreun appoggio per la progressione in salita, anche in tratti ripidissimi. Indiscesa sembrava un camoscio equalche volta dovevo richiamarlo perfrenare la sua esuberanza. In alcuneoccasioni portò in cordata con noi unsuo amico, Enzo Rho di Bergamo,che invece era molto più calmo eancor più faceva apparire Sandro conla sua forza e decisione. Ricordo chenell’ascensione al Monte Bianco,partimmo da Chamonix con l’inten-zione di raggiungere il rifugioGouter per il pernottamento primadella salita alla vetta. È previsto inquesto caso l’utilizzo del trenino cheda Saint Gervais les Bains porta aquota 2372 mt. del Nido d’Aquila.Il trenino tardava ad arrivare e lui cifece decidere, zaini in spalla, di faredi corsa il percorso sui binari sino alNido d’Aquila e poi sino al Gouter a3817 mt. Disse che poteva servire perun buon allenamento! Andare inmontagna con Sandro era per me unagrande soddisfazione e mi facevacondividere bei momenti di allegriae di gioia”.Voglio ora parlare di Piero Rosmino(n. 1935), socio CAI dal 1976, una persona curiosa e disponibile pertutti: sempre pronto a consumare scarponi su per sentieri e biciclette sue giù per le nostre colline ed oltre, ma anche a partecipare a serate ga-stronomiche con gli amici alpini. I fine settimana, che il tempo sia belloo brutto per lui è tempo di gita: nessuno lo può fermare. Piero é medicodi se stesso e non ci si ricorda di averlo visto con il raffreddore, la tosse

Dal volume “Mal di montagna” di Enrico Camanni

Piero Rosmino.

128-155.p65 08/10/2013, 16.20133

Page 7: Valenza e la Montagna - Terza Parte

134

o un altro malanno. Bravo disegnatore ed orafo non disdegna mai frasipoetiche semplici e cariche di ironia. Racconta Gastone Michielon:“Molti anni fa, agli inizi degli anni 60, durante un’attraversata di più giorniin Valpelline con Carlo Meregaglia, Mario Ivaldi, Carla Gallini eme, dopo molte ore di cammino ci trovammo sotto il Colle de

Valcournera, tra la val-le di St. Barthelemy ela Valpell ine sopraPrarayer. L’obbiettivoera di scendere al lago diPlace Moulin, ma era giàmolto tardi (eravamo cir-ca a 3000 mt.) e deci-demmo di bivaccare inuna baita semi diroccatache ripulimmo. La notteera fonda, il paese più vi-cino a non meno di 8/10ore di cammino, il silen-zio assoluto ... Sentimmoun rumore in lontananza,sicuramente un aereo. Pie-ro, rannicchiato nelpagliericcio di fortuna dis-se: “Toh... ’na moto!...”.Scoppiammo a ridere:una moto a 3000 mt., inuna valle sperduta! Ini-ziai a frequentarlo già daragazzino quando i mieigenitori mi mandarono

al campeggio “Don Pietro” nel periodo estivo. Rosmino mi insegnò acamminare in montagna. L’osservavo accarezzare i sentieri, leggero esicuro, io sempre dietro. Facevamo tutti a gara per camminargli allespalle. Insegnò a molti di noi a riconoscere le montagne che ci circon-davano, per ognuna il suo nome: Roisette, Becca D’Aran, Sigari diBobba, Gran Tournalin, Gran Sometta, Grandes Mourailles, Jumeaux,Dent D’Hèrens. Ripeteva di continuo il nome delle cime che in parte

1969: Piero Rosmino suona l’armonica a Cheneil dopoun’escursione con Carluccio Meregaglia.

Gastone Michielon

128-155.p65 08/10/2013, 16.20134

Page 8: Valenza e la Montagna - Terza Parte

135

aveva salito. Imparammo da lui a trovare sorgenti di acqua scavandonel terreno ed a contenere la sete succhiando un sasso del torrente.. , adattraversare i ruscelli riconoscendo i sassi stabili e non scivolosi ed anchead intuire le variazioni del tempo. Al campeggio in pochi volevanodormire nella sua stanza: si addormentava presto e si svegliava all’alba.I giovanissimi avevano altri ritmi! Col tempo però anche altri amiciappassionati di escursioni in montagna si adattarono a riposare con luinella camera a 4 posti. Era effettivamente insofferente e quando si rien-trava tardi sbottava sempre: “Uà che adm mat n-na l’è düra!”. PieroRosmino era stato svezzato in un collegio dove restò sino alla chiamataalle armi. Entrò negli alpini e dopo alcuni anni fu congedato con il gradodi sergente. Si trasferì a Valenza per fare l’orafo. La montagna fu perlui un vero amore. Ha ragione lo scrittore alpinista Enrico Camanni chenel suo libro “Mal di montagna” (CDA & Vivalda editore) gli dedica unbel profilo: “Di solito iniziava il resoconto con l’escursione del giorno,perché non c’era giorno che Rosmino non andasse a camminare. Ciandava con il sole e con la neve, per lui non faceva differenza. Se c’erail sole diceva - Che bel sole -, se nevicava diceva - Che bella nevicata -.L’importante era andare, un po’ per assecondare la vacanza e un po’ perriempire il vuoto di una vita da scapolo: Rosmino viveva di poesia (lapoesia della natura), ma i suoi racconti erano ingenui, scarni. - Oggi aChamplève ho visto le tracce della lepre; forse era un cane - le pelli difoca facevano lo zoccolo. La neve era gesso sopra la Madonna dellaSalette, che fatica salire con lo zoccolo - fino a Cheneil non c’era vento,ho sudato anche un po’, ma sulla cresta del Molar si volava via -. Alsecondo bicchierino si sfilava il maglione e restava in maniche di cami-cia. Allora potevi provocarlo tranquillamente: - Senti, Rosmino, e sedomani andassimo a fare il Ventina con le pelli? - Il Ventina? Ma sì, dilì scendono in pochi perché c’è la neve fresca. I cannibali sono tuttidall’altra parte - Cannibali? - certo, non conoscete il Cannibale lancia-to? Era la sua definizione preferita, il massimo slancio provocatoriodella sua mente gentile. Indicava ogni genere di sciatore che usasse gliimpianti di risalita e le piste battute, specialmente a Cervinia, la patriadel “cannibalismo”. In senso più lato, abbracciava quell’ antropologiaurbana che aveva profanato i valori della montagna riducendola a sta-dio, Disneyland, parco giochi. Rosmino non era bigotto né moralista,ma difendeva uno stile di vita consono alla propria semplicità. Soprat-tutto cercava compagni, e sapeva adattarsi. Tollerava i miei amici can-

128-155.p65 08/10/2013, 16.20135

Page 9: Valenza e la Montagna - Terza Parte

136

nibali che talvolta ci seguivano con le racchette da neve o con gli sci,e tollerava anche le (rare) donne del gruppo, aspettandole incoraggian-dole, rispettandole. Non gli ho mai sentito pronunciare una parolamaschilista, secondo la logica tipica degli uomini soli e di certi ambien-ti montanari. Era candido anche in questo.La montagna è anche stata crudele con lui. Quando decise di fare laCresta Albertini alla Dent d‘Hèrens con la guida più forte dell’epoca,Camillotto Pellissier, nulla lasciava presagire il dramma. Durante lascalata Camillotto cadde e morì: lui scese da solo giù dalla parete dopoaver depositato il corpo su una cengia. Non parlò mai a nessuno di quellaesperienza, salvo minimi particolari. Spesso durante le innumerevoligite lo si vedeva irrigidirsi quando sentiva cadere dei sassi o quandosentiva sferragliare i ramponi sulle rocce. Si turbava tantissimo, poi sicalmava e ritornava il Rosmino di sempre. Continua Gastone Michielon,che gli fu molto vicino nei giorni della tragedia: “Su questo argomento,anche in tempi recenti, ho avuto discussioni con alcune guide del Cer-vino che, ancora oggi, sollevano qualche ombra sull’accaduto. Ho spie-gato loro come si sono svolti i fatti. Era una mattina del 6 agosto 1966ed era l’ultimo giorno di campeggio, poi c’era il cambio del turno.Eravamo tutti sul piazzale di Perrerès quando è arrivato il Maggiolinoverde di Camillotto. Piero Rosmino era già pronto, andò incontro allaguida alpina. Alcuni di noi sapevano dei programmi alpinistici di Piero,anche io che dormivo nella sua stanza. Un giorno prima, MariolinoVaccario e Francesco Bajardi, i vecchi del campeggio, avevano allestitouna catasta di legna sul “Pietrone” che avrebbe dovuto essere accesoper segnalare che tutto andava bene e così dovevano fare Camillotto eRosmino arrivati al bivacco Albertini per dormire. Dopo i soliti conve-nevoli Piero caricò la sua attrezzatura sulla macchina della guida e michiese di accompagnarli sino a Cervinia. Accettai, avevo alcune ore adisposizione prima della partenza del pullman. Arrivammo a Cervinia,parcheggiarono l’auto e, scaricati gli zaini, si incamminarono versol’attacco. Li accompagnai per un breve tratto fino alla palestra delleguide, salutai e ritornai indietro. In pullman arrivai nel tardo pomerig-gio a Valenza; mi venne incontro mio padre e mi disse che era successauna disgrazia: Piero era morto in un incidente in montagna. Lo tran-quillizzai dicendo che non era possibile, ero stato con lui e la guida sinoa poche ore prima. Arrivò poi la notizia che era morta la guida, maPiero era vivo. Purtroppo, appena dopo, fu confermato: la guida

128-155.p65 08/10/2013, 16.20136

Page 10: Valenza e la Montagna - Terza Parte

137

Camillotto Pellissier era precipitata morendo ma Piero Rosmino era vivo.Passarono anni prima che qualcosa trapelasse da Piero, mai nessuno dinoi si azzardò a chiedergli notizie. A volte qualcosa raccontava e comeun mosaico ricostruimmo il fatto. Piero raccontò che quel mattino ar-rivarono all’attacco della via e Camillotto, davanti, salì in arrampicatasulla parete, quindi i due procedettero in sintonia per un po’. Arrivaro-no ad un punto di sosta, Camillotto salì per una mezza lunghezza dicorda, Piero operò una sicurezza passando la corda a cavallo di unospuntone sopra di lui. Quasi subito sentì uno sferragliare come dei ram-poni che grattano la roccia, alzò lo sguardo e vide la guida con il visoverso il vuoto! Un attimo e precipitò sulle rocce sottostanti passando afianco di Piero. La sicurezza trattenne il corpo che penzolò nel vuotoper un tempo imprecisato. Chiamò la guida in continuazione. Le manifacevano male, il pericolo che anche lui seguisse la sorte di Camillottoera evidente. Sotto di loro, c’era una cengia-terrazzino ad un paio dimetri. Diventava buio, la guida non rispondeva e nessuno nelle vici-nanze: le sue grida venivano vanificate. A quel punto provvide ad ada-giare sulla larga cengia il corpo della guida che non dava nessun segnodi vita. Da quel momento Piero non ricorda più nulla. Sapremo poi chealcune guide avevano intuito l’accaduto ed erano corse verso l’attaccodella via, incontrando Rosmino che, sceso da solo su difficoltà nonindifferenti, corse verso di loro completamente impazzito”.Questo è il racconto di una persona che è stata molto vicino a Rosminoin quei giorni e che ha vissuto la tragica vicenda, a commento dellaquale aggiungo ancora alcune righe di Enrico Camanni tratte dal librogià citato: “A distanza di vent’anni il solitario minimalismo montanarodi Rosmino mi sembrava una risposta assai più onesta di tante infedel-tà, tradimenti, nequizie che la vita ci butta addosso provocando la no-stra pazienza. Se la felicità consiste nel restare se stessi, allora Rosminoci era riuscito. E se la vita è un mistero, allora lui aveva vissuto”.Nella prima parte di questa rievocazione ho già ricordato la figura diGian Piero Accatino (1934-2003), nel ruolo da lui svolto per la fon-dazione, nel 1974, della Sezione CAI di Valenza di cui fu il primo pre-sidente, restando in carica sino al 1993. In questa seconda puntata in-tendo invece richiamare la sua abilità grafica nel creare opere in biancoe nero sul mondo alpino. Sono “Storie brevi in punta di penna” comele chiama il periodico di arte, cultura, informazione e turismo “Paginedella Valle d’Aosta” n. 4, giugno 1996, dal quale cito la presentazione

128-155.p65 08/10/2013, 16.20137

Page 11: Valenza e la Montagna - Terza Parte

138

pubblicata con alcune opere signifi-cative e divertenti: “Gian PieroAccatino si interessa a tutte le vicen-de che riguardano la montagna e ilsuo mondo da quando, ancora bam-bino, ha visto per la prima volta lemontagne della Valle d’Aosta che,anno dopo anno, ha sempre frequen-tato, anche a livello alpinistico.Amici di Courmayeur e Valenza, suacittà natale, lo hanno convinto a pre-sentarsi al giudizio del pubblico inmostre personali. Tra le più recenti,nel 1994 a Courmayeur presso laMaison Fleur con una personale daltitolo evocativo “Oh, les belles

Da: “Pagine della Valle d’Aosta”.

Gian Piero Accatino.

Marcia Gran Paradiso: il ritardatario.

Da: “Pagine della Valle d’Aosta”.

Un disegno di Gian Piero Accatino.

128-155.p65 08/10/2013, 16.20138

Page 12: Valenza e la Montagna - Terza Parte

139

montagnes!”, e nel 1995 a Cogne presso l’Atelier d’Arts et Métiers conun’altra personale intitolata “La grand’Eyvia racconta”. Sempre a Cogneha partecipato ad una collettiva alla quale erano presenti artisti valdostanicome Ouvrier, Balan, Tecco ed altri. Profondamente legato all’ambien-te ed alla cultura alpina, continua a scrivere le sue “Storie brevi” inpunta di penna sul suo blocco degli schizzi. A volte lieve come un ac-querello di Samivel, a volte ruvido e aspro come un graffio di Forattini,miscela in sé il sogno bambino della primavera che rinasce, il rimpiantodel sole che tramonta, la nostalgia delle nebbie autunnali. Dalla suaopera più recente, abbiamo tratto alcune tavole nelle quali il lettoreattento troverà moltitudini di parole che cercano prepotentemente diuscire allo scoperto. Ad ognuno di noi dar loro vita; ad ognuno di noiritrovare le proprie neiges d’antant!”.Ho già parlato di Pier Luigi Bianchi (n. 1949) che fu nel 1974 uno deifondatori del CAI di Valenza e dirigente della sezione per molti annisvolgendo un’attività alpinistica importante e continuativa nel tempo.Voglio ora narrare la sua interessante esperienza sulle Alte VieDolomitiche realizzata alla fine degli anni 70. Con “l’Alta Via” vieneproposta una nuova formula di turismo alpino: essa è dedicata a quellavasta categoria di appassionati della natura alpina che non intendonoesaurire i loro interessi nelle due attività estreme, cioè, da un lato le

Da: “Pagine della Valle d’Aosta”.

Dice di passare alla cassa prima della consumazione.

Disegno di Gian Piero Accatino.

128-155.p65 08/10/2013, 16.20139

Page 13: Valenza e la Montagna - Terza Parte

140

semplici escursioni estese sino ai passi o rifugi accessibili per rotabilio altri mezzi meccanici, dall’altro l’arrampicamento su itinerari moltodifficili e impegnativi. Le alte vie estive specie sul terreno dolomiticoche presenta tutte le attrattive di alta montagna a quote relativamentemoderate e senza pericoli obbiettivi dei grandi ghiacciai, offrono, a buoniescursionisti alpini, la possibilità di itinerari organici e di ampio respi-ro, alcuni celebri e molto frequentati, altri più selvaggi e meno cono-sciuti, ma non per questo meno affascinanti. Si tratta, in sostanza, di

itinerari che collegano unacatena di rifugi, con percorsipiù o meno lunghi e faticosi,ma sempre senza forti difficol-tà, almeno per escursionistiesperti. In parte si tratta di per-corsi da sempre noti e pratica-ti. In alcuni casi, però permezzo del tracciamento e se-gnalazione di nuovi sentieri edell’ attrezzamento di trattiscabrosi, è stato possibile ren-dere agevole l’attraversamentodi zone, prima considerateimpervie. Se, dunque, nessuntratto di “Alta Via” costituisce,di per sé, una novità assoluta,l’intero percorso, con le nuo-ve condizioni di percorribilitàe le nuove basi di appoggio,offre realmente nuove possibi-lità di interesse. Attualmente

sono otto le alte vie delle Dolomiti, mentre Pier Luigi Bianchi percorseinteramente le quattro che erano attive negli anni 70. Pier così si rac-conta: “Cominciai ovviamente dall’ alta via numero uno che parte dallago di Braies in Val Pusteria e arriva sino a Belluno: eravamo in duein quel fine luglio del 1977. Con me Ivo Pagliano buon camminatore egrande amante della montagna. Partimmo, ciascuno con il proprio zai-no al mattino presto in treno da Valenza sino a Milano Porta Genova,quindi in metropolitana alla Stazione Centrale. Da qui con il treno della

Il lago Coldai, Alta Via n. 1 delle Dolomiti.

128-155.p65 08/10/2013, 16.20140

Page 14: Valenza e la Montagna - Terza Parte

141

linea Milano - Bolzano fino a Fortezza e poi su quella della Val Pusteriaarrivando a Villabassa in serata. Dormimmo in una “Zimmer” con pri-ma colazione e all’alba del giorno dopo prendemmo il pulmino di lineache da Villabassa porta al lago di Braies. Qui calzammo gli scarponiche tenevamo appesi allo zaino durante il viaggio riponendo i sandaliche sarebbero poi serviti agli ingressi dei rifugi: iniziammo quindil’escursione”. A questo punto è opportuno segnalare l’importanza dellozaino, fondamentale compagno di viaggio che deve contenere tuttoquanto serve nei giorni delle escursioni che, quasi sempre come nelcaso di queste, superano la settimana, cercando di limitare il peso com-patibilmente con le necessità. I due affrontarono l’itinerario dell’altavia numero uno perché ideato per primo e, comunque, destinato a resta-re uno dei più classici, se non il più classico, in quanto attraversa il

cuore delle Dolomiti nella loro parte centrale, da nord a sud e vicever-sa, dalla Pusteria in provincia di Bolzano alle soglie della pianura veneta,passando per le Dolomiti di Braies, di Cortina D’Ampezzo, delloZoldano, dell’Agordino e di Belluno. Si tratta di un’enorme varietà diambienti naturali e anche umani che trasforma il percorso in un’espe-rienza ricchissima. Continua Pier: “Siamo partiti dall’incantevole lagodi Braies percorrendo per buoni sentieri, il romantico ambiente del Fanes,raggiungendo le maestose Tofane nella superba conca di Cortina, sfio-rando le caratteristiche architetture rocciose delle Cinque Torri, delNuvolau, della Croda da Lago. Abbiamo poi superato dall’ alto la bellaVal di Zoldo, attraversando la regale mole del monte Pelmo (El Caregonde Dio). L’attraversamento del gruppo del Civetta, la cui cima è statascalata quest’anno da 4 amici del CAI di Valenza, ci ha fatto gustare levisioni più grandiose ed impressionanti di tutte le Dolomiti. A seguirele Moiazze dove abbiamo incontrato un mondo alpestre più solitarioma affascinante per poi superare il Tamer, la Schiara e raggiungere

Le altimetrie della Alta Via n. 1 delle Dolomiti.

128-155.p65 02/12/2011, 16.49141

Page 15: Valenza e la Montagna - Terza Parte

142

Belluno. Durante il percorso abbiamo approfittato di alcune varianti eutilizzato cinque vie Ferrate che hanno dato all’esperienza ulterioreemozione e ancor maggior fascino. Abbiamo pernottato in ordine dicammino nei rifugi Pederù, Lagazuoi, Nuvolau, Città di Fiume, Vene-zia, Coldai, Vazzoler, Carestiato, Sommariva al Pramperet, FurioBianchet, 7° Alpini”. Si tratta di rifugi quasi tutti del Cai che fornisco-no una buona accoglienza e una professionale assistenza con tutte leinformazioni più aggiornate sui sentieri. Affrontando questi percorsicon un cammino quotidiano sempre lungo per molti giorni si possono

incontrare imprevisti, sia sul piano fisico che meteorologico, tali dacreare problemi rispetto al programma. Ai due capitò questa secondaipotesi “il 30 Luglio arrivammo al rifugio Lagazuoi 2752 mt.: la seraprima pioveva e al mattino dopo ci svegliammo sotto una forte nevicatache ci bloccò in rifugio due giorni. Quel mattino salì in funivia al rifu-gio il grande alpinista Lino Lacedelli con parecchia altra gente che vennecon lui per festeggiare l’anniversario della prima ascensione al K2. Luie Achille Compagnoni, con l’aiuto di Walter Bonatti, lo conquistaronoil 31 Luglio 1954. Grazie alla neve abbiamo avuto l’emozione di con-

Marco Lenti

Luglio 2011. Da sinistra: Riccardo Cassola; Alessandro Marica; Pascal Pintore; MarcoLenti sulla cima del Civetta, con salita su ferrata degli Alleghesi e discesa su ferrata Tissi.

128-155.p65 08/10/2013, 16.20142

Page 16: Valenza e la Montagna - Terza Parte

143

dividere la partecipazione di un giorno di festa insieme a uno straordi-nario esponente dell’alpinismo. Concludemmo il percorso dell’alta via1 in dodici giorni camminando 6/7 ore al giorno. Effettuammo il viag-gio di ritorno in treno partendo da Belluno e arrivando a Valenza doveabbiamo finalmente lasciato lo zaino”. Pier Luigi Bianchi percorse poinel luglio 1978, ancora insieme a Ivo Pagliano, l’ Alta Via Dolomitican. 2, con l’itinerario da Bressanone a Feltre, toccando le province diBolzano, Trento e Belluno attraverso 8 gruppi dolomitici fra i quali leOdle, il Sella, Il Piz Boè, la Marmolada, le Pale di San Martino e levette Feltrine. Questa lunga escursione si è sviluppata mantenendosi inmedia a quote fra 2000 e 3000 mt., rasentando una serie di grandi cimeoltre i 3000, superando una trentina fra passi e forcelle e pernottandoin rifugi alpini. Nell’estate 1979 Pier Luigi Bianchi proseguì da solo ilcompletamento delle altre due alte vie (la 3 e la 4) esistenti in queglianni. L’Alta via 3 lo vide percorrere l’itinerario da Sesto in Pusteria aLongarone, incontrando il Picco Vallandro, il Monte Piana, il Cristallo,il Sorapis, il Monte Rite, il Bosconero, montagne in parte famose inparte ancora poco note, con grandi varietà alpestri ora pastorali ed oraselvagge. Impiegò 7 giorni ma, non perdendo tempo, raggiunse in trenoda Longarone la località di San Candido al confine con l’Austria dadove l’alta via numero 4 inizia per svilupparsi sino a Pieve di Cadorecon un percorso molto interessante, sia per la bellezza dei monti che perla loro importanza storica. Presi nel senso del percorso alcuni tratti(Rondoi, Baranci, Cadini, Sorapis) sono ancora non molto frequentatie fanno ritrovare un genere di montagna primitiva ed autentica. Anchequest’alta via impegnò Pier per 7 giorni. Nei mesi estivi di 3 anni (1977-1978-1979) Bianchi percorse quindi completamente le 4 alte viedolomitiche esistenti allora, con un dislivello generale (salita e discesa)di 58.000 mt. ed uno sviluppo complessivo di 700 km. Soprattutto acquisìun’esperienza fantastica, colma di sensazioni magiche che la montagnasa dare nei tanti modi in cui può essere veramente gustata.Nino Bergamino (1931), socio CAI dal 1960, un altro fra i fondatorinel 1974 della Sezione CAI di Valenza, ha intrapreso un’importanteesperienza alpinistica soprattutto legata al Monte Bianco, creando in-tensi rapporti con Courmayeur e in particolare con la “Società GuideAlpine Courmayeur 1850”, seconda solo a quella di Chamonix peranzianità nel mondo. Nino, per le molte imprese alpinistiche da lui re-alizzate e per il contributo da lui dato al mondo alpino di Courmayeur,

128-155.p65 08/10/2013, 16.20143

Page 17: Valenza e la Montagna - Terza Parte

144

è stato riconosciuto “Guida Onoraria”. Le Guide Onorarie facenti partedell’Associazione di Courmayeur vengono così definite: “Sonoprestigiose persone che hanno aiutato il mondo delle Guide Alpine, dellamontagna, del Soccorso Alpino, a crescere negli anni e a raggiungerei livelli di conoscenza e di professionalità che oggi le Guide Alpinepossono vantare.”Così commenta il Presidente della Società Guide di Courmayeur ArrigoGallizio: “Nino Bergamino si è guadagnato la carica di Guida Onorariasul campo. La passione e l’amore per il Monte Bianco che Nino ha

ancora vivo nel suo cuore è l’esempio di che cosa le nostre Guide Al-pine riescono a trasmettere in persone che sono attratte dal fascinomagico che la nostra Montagna per eccellenza, sa catturare con i suoiverticali versanti, con le sue romantiche albe e tramonti sempre diversi,sempre nuovi in ogni occasione sia d’inverno che d’estate. Nino havissuto l’era dell’alpinismo che si confronta ad armi pari con la mon-tagna ed ha avuto la grande fortuna di avere come Guide, poi come veriamici, persone nate e forgiate sul territorio. Le sue imprese sono de-scritte con sentimento genuino da Mario Mochet che ripercorre quegli

Nino Bergamino

15 agosto 1978. Nino Bergamino, quarto da sinistra in basso, alla festa delle guidedi Courmayeur.

128-155.p65 08/10/2013, 16.20144

Page 18: Valenza e la Montagna - Terza Parte

145

anni storici ed il periodo della sua formazione di Guida Alpina diCourmayeur di cui è fiero. La nostra Società, la più antica d’Italia, laseconda del Pianeta, è onorata di annoverare nel proprio sodalizio per-sone come Nino Bergamino, che oggi come allora, è costantementeattento alla vita attiva della Società e delle nostre Guide, del loro lavorofatto con etica, temperanza, prudenza, sulle Montagne valdostane e delMondo ripercorrendo le sue indimenticabili salite memore dei senti-menti ed emozioni che con loro ha vissuto”. Prosegue quindi la GuidaAlpina Mario Mochet: “Nino Bergamino ha scoperto Courmayeur e la

montagna negli anni 70 ospite della famiglia Grivel amici della moglie,ed è stato Walter Grivel ad accompagnarlo nelle prime escursioni, Tra-versata della Vallée Blanche, Aguille d’Entrèves, Petit Mont Blanc,Aguille des Glacier, Tour Ronde. Chi meglio di un Grivel poteva fargliscoprire il monte Bianco. In seguito Nino voleva ampliare le sue salitesu altri massicci con gite di più giorni e Walter, preso dagli impegnidella Ditta Grivel, non poteva più accompagnarlo. Così, come si dice ingergo delle guide, mi ha passato il cliente, ed è nato il nostro rapportodi Guida - cliente e di amicizia. Seguendo le indicazioni del famoso

Archivio CAI Valenza

Luglio 2010. Da stnistra: Alfredo Dovis; Barbara Repnic; Stefano Sisto; Giuseppe Stafforini;Piero Amisano, ferrata e cima Averau gruppo “Cinque Torri” Dolomiti Ampezzane.

128-155.p65 08/10/2013, 16.20145

Page 19: Valenza e la Montagna - Terza Parte

146

libro di Gaston Rebbufat, “Le cento più belle salite del Monte Bianco”,io giovane Aspirante Guida alle prime armi e Nino insieme siamo riu-sciti a scoprire itinerari che allora non erano molto frequentati dalleGuide di Courmayeur, Couliour de la table de Roc, Tour Noir, Aguilledes Chardonnet, Traversata dei Domes des Miages, e tante altre saliteclassiche. Come Aspirante Guida non potevo accompagnare i clienti susalite oltre una certa difficoltà e Nino allora fece alcune escursioni coni fratelli Alessio ed Attilio Ollier. Poi, diventato Guida, salimmo tante

montagne con suo cognato Elvio Lombardi grande appassionato dimontagna, Attilio Ollier, e Renzino Cosson. Vorrei citare forse la piùbella salita fatta insieme, la via Chabod Grivel alla Nord della AguilleBlanche con la salita al Bianco fatta con due amici guide, Luca Argenteroe Dario Brocherel. In quella occasione abbiamo volutamente passatouna notte con bivacco al Colle di Peuterey, forse il posto più bello ecarico di storia di tutto il Monte Bianco.In seguito il rapporto professionale e di amicizia si è ampliato tramiteil CAI di Valenza e i suoi corsi di alpinismo dove, in tanti anni, ho

Famiglia Guerci

Luglio 1986: Davide Guerci con la sua prima guida Giuseppe Petigax di Courmayeursul Dente del Gigante.

128-155.p65 08/10/2013, 16.20146

Page 20: Valenza e la Montagna - Terza Parte

147

potuto conoscere e apprezzare la disponibilità e la capacità di chi miaiutava ad accompagnare e insegnare agli iscritti nei vari corsi. In par-ticolare cito, per la grande passione e il forte impegno, i soci del CAIdi Valenza Pier Luigi Bianchi, Enzo Francescato, Gastone Michielon,Claudio (Clib) Quagliotto, Luigi Tenconi, Gian Paolo Zulato e con lorotanti altri che hanno con me condiviso molte affascinanti avventure. Ilmio pensiero va con piacere a Gian Piero Accatino con i suoi splendididisegni pieni di humor che non mancavano mai durante i compleanni

dei miei due figli Sylvie e Nicolas. Desidero infine ricordare con af-fetto Davide Guerci, giovane alpinista di punta del CAI valenzano cheha tenuto un continuativo rapporto con le guide di Courmayeur, realiz-zando tante eccezionali imprese in tutto il gruppo del Bianco e oltre,sino al giorno della sua scomparsa, il 22 agosto 2000, precipitando sullaparete dei Titani in Val Ferret mentre era impegnato a preparare unagrande ascensione, il Pilastro Centrale del Monte Bianco. Anch’io, comegli Amici valenzani che a lui hanno dedicato la loro nuova e bella sede,mi unisco partecipe nella memoria di questo giovane ed entusiasta al-

Gruppo amici di Don Pietro e Don Luigi

Il Coro Cervino al Teatro Sociale con le guide: Camillotto Pelissier; Ettore Bich;Luigi Carrell (Carrellino).

128-155.p65 08/10/2013, 16.20147

Page 21: Valenza e la Montagna - Terza Parte

148

pinista, con un sentito riconoscimento ed un caro augurio al CAIvalenzano per i suoi futuri impegni.”Pescando fra i mille ricordi che si affollano nel lungo percorso del rap-porto fra i valenzani e la montagna voglio raccontare un evento che nonsi riferisce direttamente ad ascensioni alpine anche se richiama i monti.A crearlo è stato un gruppo di giovani, frequentatori della montagna,che hanno tratto linfa e ispirazione dal mondo alpino riproponendonela musica ed il canto popolare. Nel 1951 nacque a Valenza una forma-zione corale, a 4 voci maschili, che per alcuni anni ha svolto una attività

continuativa con concer-ti in varie località delPiemonte. Il repertoriofaceva riferimento alCoro della SAT e ai tantialtri cori che erano impe-gnati a esaltare i canti dimontagna, il filone deicanti degli alpini e la can-zone popolare delle varieregioni italiane. Si utiliz-zarono le armonizzazionidi musicisti specializzatifra i quali Bepi De Marzi,Renato Dionisi, AntonioPedrotti, Luigi Pigarelli,Giovanni Veneri, ma an-che Arturo BenedettiMichelangeli, il grande

pianista che curò la trascrizione di alcuni fra i più famosi canti di mon-tagna. Il Coro venne chiamato “Coro Cervino” e non poteva essere di-versamente per il forte legame che Valenza ha sempre avuto con la “GranBecca”. I circa 30 giovani che formavano il Coro si davano appunta-mento in una sala dell’Oratorio di Viale Vicenza per le prove. Va inparticolare ricordato il concerto tenutosi nel 1955 al Teatro Sociale diValenza con un gran pubblico ed alla presenza delle Guide Alpine diValtournenche Luigi Carrel (Carrellino), Camillotto Pellissier e EttoreBich. L’organico del Coro era così composto: Ampelio Amadori, OscarAmelotti, Francesco Bajardi, Germano Baldini, Giuseppe Biscaldi,

Da: “Whymper, Carrel & Company”

1959: Marica Porta sulla cima del Cervino.

128-155.p65 08/10/2013, 16.20148

Page 22: Valenza e la Montagna - Terza Parte

149

Franco Cassola, Nino Castellani, Giovanni Cavalli, Elia Gastaldello,Nino Ghidetti, Carluccio Manfredi, Giorgio Manfredi, SeverinoMasteghin, Giancarlo Molina, Pinuccio Picchiotti, Luigino Ponzano,Giulio Ponzone, Giorgio Re, Franco Stanchi, Mino Stanchi, GigiStaurino, Paolo Staurino e Nino Verità.Il “Coro Cervino” can-tava e intanto parecchivalenzani sul Cervinosalivano affrontando ladura e impegnativa sca-lata per arrivare sullacima. Ho cercato dicomporre un elenco,scusandomi se ho di-menticato qualcuno:Oscar Amelotti, IvanoArzani, FrancescoBajardi, Beppe Bissone,Riccardo Cassola, Lui-gi e Gemma Cerino,Giovanni Ceva, Marco ePaola Demartini, donLuigi Frascarolo, LuigiIllario, Renato Ivaldi,Piero Lenti, Luigi eCarluccio Meregaglia,don Giacomo Pasero,Sandro e PinuccioPicchiotti, Marica Porta,Piero Rosmino, MarioScaglione, GiovanniScarfato, Gigi Staurino, Mariolino Vaccario. La “Editions l’Eubage”di Aosta ha pubblicato un libro con tante foto di alpinisti in vettaalla “Gran Becca”, fra questi alcuni valenzani accompagnati dallaloro Guida. Faccio seguire alcune immagini, mentre sullo sfondo mipar di sentire il canto di “Montagnes valdotaines, vous êtes mesamours” e mi batte il cuore…Come avrete notato da questo racconto e come appare in entrambe le

Famiglia Demartini

Paola e Marco Demartini sulla cima del Cervino trale guide Luigi Herin e Jean Bich nel 1983.

128-155.p65 08/10/2013, 16.20149

Page 23: Valenza e la Montagna - Terza Parte

150

parti di “Valenza e la montagna”, quella di Francesco Bajardi (n. 1933),iscritto al Cai dal 1960, è stata una presenza importante e significativanella storia dell’alpinismo valenzano e, con lui, quella della moglieTriestina (n. 1938), socio Cai dal 1960, che lo ha accompagnato in tanteimprese e della figlia Maria (n. 1970), socio Cai dal 1988.Faccio parlare di Francesco, ancora Gastone Michielon, portavoce diuna generazione più giovane che lo ha frequentato: “Sicuramente danoi giovani alpinisti del Campeggio “Don Pietro”, parlo del periododegli anni 60/70 , Francesco Bajardi era visto come la persona più au-torevole, quello a cui stare appresso sia nelle serate canore del dopo-cena sia per ascoltarne le avventure e le impressioni.Andare in montagna con lui significava essere considerato uno “bra-vo”; chiunque di noi avrebbe fatto di tutto per legarsi alla sua corda.Non era una guida ma per noi non cambiava nulla: lui era il più fortedi tutti, quello che ti dava sicurezza sempre. Piero Rosmino ne era in-namorato, con Francesco sarebbe andato ovunque e sinceramente an-che molti di noi giovani.Quando programmava una salita e si combinavano le possibili cordate,tutti noi speravamo in una convocazione che non sempre arrivava. In-vidiavamo i fortunati e speravamo, in cuor nostro, che ci ripensassecosì da chiamare noi.Fu lui, alla fine degli anni ’60, avevo allora poco meno di 17 anni, agratificarmi della sua fiducia, affidandomi la guida di una cordata nellatraversata del Furggen. Arrivati al Plateau Rosa, mi si avvicinò e mi diedeil capo di una corda. Ne feci subito il nodo-guida che serviva per fissarloalla cintola e gli restituii la corda. Si mise a ridere e mi disse - no, è tua!Sarai tu il capo-cordata con lei... - mi voltai e vidi Gianna Bonelli checonoscevo bene essendo amica dei miei famigliari.Andò tutto bene, solo sull’ultimo passaggio detto della Madonnina, ebbialcune difficoltà: non riuscivo a salire e nemmeno a scendere... bella grana!Francesco si sporse dal pietrone e, con calma, mi spiegò i movimentiche dovevo compiere. In un attimo, senza aiuto materiale, salii e fecisalire Gianna che, probabilmente spaventata, si sentì male. Risero tuttie scendemmo a Cervinia.Con Francesco, nella seconda metà degli anni ’70 scalammo la Crestadel Mont Rouge che parte dall’intaglio del Monte Seriola (colle dellafinestra di Cignana) e con una lunga galoppata tra difficoltà varie sinoal 3° grado, arriva sulla spalla e poi sulla vetta. Discendemmo poi dal

128-155.p65 08/10/2013, 16.20150

Page 24: Valenza e la Montagna - Terza Parte

151

ghiacciaio di Volfrede sino a Perrères; con noi erano Gigi Stefanutto,Luciano Bajardi e Paolo Zulato.Francesco ne intuì l’itinerario senza mai sbagliare percorso, nonostantenon ci fossero indicazioni, in un ambiente severo che nessuno conosce-va. La più bella è stata senz’altro la salita del Gran Paradiso: CarloMeregaglia ed io avevamo messo in apprensione don Luigi che alloraguidava il campeggio e che non volle più consentirci di compiere salitetroppo impegnative da soli: allora noi pregammo Francesco affinchéintercedesse e ci lascias-se liberi…ma nulla dafare! La nostra intenzio-ne era quella di raggiun-gere il Gran Paradiso,mai salito da nessuno dinoi! Don Luigi accettò dilasciarci andare a condi-zione che ci fosse ancheFrancesco. Fu un invitoa nozze: in tre ore erava-mo pronti a partire Fran-cesco, Carlo, io e MatteoBongiorno. Raggiun-gemmo il rifugio Vitto-rio Emanuele e pernot-tammo senza chiudereun occhio: la mattinafummo tra i primi a par-tire, sbagliammo strada eci dirigemmo verso ilCiarforon. Sotto di noiuna serie lunghissima dilumini in processione saliva in altra direzione. Capimmo e senza pen-sarci sopra ci precipitammo verso il basso sciando sui nevai. Arrivam-mo quasi al rifugio e ci mettemmo in coda. Salimmo molto veloci einiziammo la bellissima salita. Arrivammo in vetta tra i primi: due fotoe poi giù al rifugio. Dopo molti anni i ricordi non sono assolutamenteaffievoliti e sono rimasti intatti in coloro che, con Francesco, hannocondiviso tante avventure.

Famiglia Bajardi

Triestina Bianchi in Bajardi con la figlia Maria sullaferrata al bivacco Borelli nel 2000.

128-155.p65 08/10/2013, 16.20151

Page 25: Valenza e la Montagna - Terza Parte

152

Ed ora la figlia Maria, presidente della Sezione CAI di Valenza dal1999 al 2008, che ha svolto un’attività alpinistica di grande livello. Frale principali ascensioni alpinistiche cito la Nord del Gran Paradiso, moltevie nel Gruppo del Bianco fra le quali Pilier Rouge de la Blatiere, la ViaBonatti - Tabou alla Chandelle, la Nord e la Via Normale Tour Ronde,il Monte Bianco dal Maudit e la Via degli Svizzeri-Grand Capucin. Que-st’ultima impegnativa scalata venne effettuata nel 2004 con la guidaGiovanni Bassanini. Maria Bajardi così la racconta: “Sono circa le 7,45

quando io e la guida Giovanni Bassanini scendiamo velocemente daPunta Helbronner. Risaliamo quasi di corsa il pendio e giungiamo inprossimità del canale. Ramponi, piccozza, casco e corda. Ci leghiamo:dapprima il canale e poi la crepacciata terminale. I primi tiri sono surocce mobili. Sopra di noi ci sono altre cordate che fanno cadere deisassi. Le superiamo e attacchiamo ai piedi del diedro. Salgo sempre conil fiato in gola. Alle 12 raggiungiamo la vetta. La vista è a 360°. Lacima del Bianco è lì, spicca a poca distanza l’Aiguille du Midi e tuttoil Cirque Maudit. Siamo al centro di una immensità di ghiaccio e di

Archivio CAI Valenza

Luglio 2010. Da sinistra: Valeria Piccinelli; Mario Boschi; Barbara Repnic; Giovan-ni Sisto sulla Scala Minighel - Ferrata Tofana Rozes di Cortina.

128-155.p65 08/10/2013, 16.20152

Page 26: Valenza e la Montagna - Terza Parte

153

rocce. La parete è rossastra. Iniziamo le doppie. Non finiscono mai:alcune sono a strapiombo nel vuoto (che paura!). Alla penultima doppiala corda s’impiglia e la perdiamo. Giò impreca perché è la quarta cordache perde in un mese. Arriviamo alla terrazza dove avevamo lasciatogli zaini. Ci infiliamo gli scarponi e scendiamo sul ghiacciaio. La salitadel Flambeaux è faticosa. Alle 14,30 siamo al Rifugio Torino. Final-mente il Grand Capucin è fatto!”. Qualche anno prima Maria affrontòcon la mamma Triestina la salita al Dome du Gouter sul Bianco con unaesperienza avventurosa che ci descrive: “Estate 2000, siamo ad agosto,in montagna le giornate sono stupende. Ci troviamo a La Salle. Le pre-visioni meteo sono positive, così decido di fare una gita con mammaTriestina. Si parte. Lasciamo l’auto a Courmayeur e con la navetta rag-giungiamo il fondovalle della Val Veny. Scarponi ai piedi, zaini pesantisulle spalle, saliamo verso il rifugio Gonella. La pietraia del Miage èinterminabile. Il percorso è poco segnalato, ci sono alcuni bolli gialli edomini di pietre. Giunte in fondo alla pietraia attraversiamo il ghiaccia-io, superiamo la crepacciata terminale e risaliamo la via attrezzata checi conduce al rifugio Gonella a poco più di 3000 mt. Pernottiamo alrifugio: a mezzanotte sveglia e colazione. Ci prepariamo con scarponi,ramponi, piccozza, frontale, ci leghiamo e ci incamminiamo sulla nor-male italiana che sale al Monte Bianco. Il nostro obiettivo è salire sullavetta del Dome du Gouter e scendere all’omonimo rifugio. Il ghiacciaioche sale dal Gonella è uno dei più tormentati. All’alba ci troviamo sullacresta del Piton des Italiens. In tarda mattinata raggiungiamo la sommi-tà del Dome du Gouter a 4306 mt. Il panorama è stupendo e vediamole cordate che dalla Capanna Vallot risalgono la cresta del Monte Bian-co. Cominciamo a scendere seguendo un tracciato ben evidente. Prestomi accorgo di non essere scesa sul versante giusto ma su quello delrifugio del Grand Mulets. Siamo scese troppo per risalire, dopo un at-timo di sconforto decidiamo di proseguire. Il ghiacciaio è spaventosotalmente pieno di crepacci enormi che siamo costrette ad aggirare ed,a volte, a saltare. Finalmente vediamo il rifugio ma non riusciamo asalire perché si trova in cima ad un torrione roccioso e siamo troppostanche per arrampicarci. Scendiamo allora attraverso un tratto difficilee privo di traccia dove, per fortuna, riesco a trovare l’unico passaggioin mezzo ai crepacci che ci porta sul sentiero immerso nella pineta.Proseguiamo per il sentiero: sta arrivando il buio ed abbiamo terminatol’acqua. Quando ormai non c’è più luce sbuchiamo all’uscita del tunnel

128-155.p65 08/10/2013, 16.20153

Page 27: Valenza e la Montagna - Terza Parte

154

del Monte Bianco. Qui chiediamo un passaggio in auto ad un franceseche gentilmente, ci accompagna a Les Huches alla casa per ferie “DonBosco” dove possiamo fare una doccia, cenare e riposarci. Il giornodopo ci svegliamo in piena forma, felici e rientriamo in Italia con lafunivia e gli ovetti attraverso la Valleé Blanche.”Due anni dopo, però, Maria e mamma Triestina riescono nell’impresa, senzaavvalersi della guida, e solo grazie alla loro esperienza e preparazione: “Il tanto

atteso mese di agosto è so-praggiunto all’insegna delmaltempo. In programmac’è l’ascensione al MonteBianco. Occorre ancoraun po’ di allenamento,soprattutto per la mam-ma, sessantaquattrenne,non più in giovane età.Prendiamo la funivia daLes Houches alle 7,30del mattino per Bellevue.Poi proseguiamo con iltrenino a cremaglierafino a Nid D’Aigle. Zai-no sulle spalle, si inco-mincia a salire verso ilRifugio del Gouter (mt.3817) che raggiungiamodopo 7 ore di dura salitasu neve e roccia. Alle 2la sveglia e alle tre dinotte sotto le stelle ca-denti, muoviamo i primipassi sul ghiacciaio del

Gouter. Sulla cresta dei Bosses il vento forte che solleva la neve e laquota rendono l’ascesa lenta e faticosa. Alle 10,10 siamo in vetta a4810 metri. La gioia è davvero grande”.La famiglia Bajardi ha rappresentato un punto di riferimento per gene-razioni di alpinisti e di amanti della montagna. Insieme a tanti altri,anche qui citati, è stata una realtà attenta a trasmettere esperienze, ad

31 luglio 2011: inaugurazione della palestra di roc-cia dedicata a Davide Guerci a Courmayeur.

Archivio CAI Valenza

128-155.p65 08/10/2013, 16.20154

Page 28: Valenza e la Montagna - Terza Parte

155

incitare, a fungere da stimolo importante: se il CAI di Valenza è cre-sciuto e si è affermato, lo si deve anche alla loro presenza e al loroconcreto impegno. Il CAI d’altra parte, nella nostra realtà locale costi-tuisce da molti anni e in particolare dal 1974, quando la sezione diValenza è diventata autonoma, un luogo di amicizia e collaborazionefra generazioni diverse, tutte mosse dall’amore per la montagna e peri valori della natura. Questo sentimento è ben rappresentato dalle paro-le dell’attuale presidente Fausto Capra:”La nostra sezione CAI rappre-senta un fatto concreto, una realtà storica e la storia non è fatta soltantodi accadimenti ma è fatta dagli uomini. Tutti quelli appena ricordatihanno fatto la storia del nostro sodalizio, non per nulla la Sezione èstata dedicata a Davide Guerci, un giovane amante della montagna cheproprio la montagna ha voluto rapirci precocemente. E’ attraverso que-sti uomini che il CAI di Valenza è diventato un “faro” culturale, umano,di pratica all’escursionismo, di conoscenza e rispetto dell’ambiente alpi-no ma anche del nostro territorio. E’ nostro dovere “passare il testimone”alle giovani generazioni, arricchendolo di quei sentimenti e di quei valoriincorrotti che abbiamo ereditato”.Al termine di questa seconda parte mi auguro di essere riuscito conquesto scritto a trasmettere ai lettori il significato di una passione, quelladi tanti valenzani per la montagna, che non è solo cimento per intra-prendere pur significative imprese che mettono alla prova chi le affron-ta, ma che si manifesta soprattutto come amore, legame e poesia per iluoghi e per la natura. Come ricerca individuale di uno spazio da con-dividere con altri compagni di avventura che diventa dimensione dellospirito ed avvicinamento al mistero ed al fascino della Creazione. Ilsilenzio, il raccoglimento, la fatica e lo stesso camminare ci propongo-no un’idea dell’alpinismo come elevazione della mente e dell’anima,non solo come raggiungimento di obiettivi fisici o materiali. Questomessaggio, in un modo bello e naturale, si è trasmesso fra le generazio-ni che, idealmente, si sono susseguite, prima educando ed insegnandopoi cooperando ed accompagnando. Tutto è avvenuto e avviene in unluogo che, secondo me, sa ancora trasmettere valori ed emozioni verein una società dispersiva e chiassosa che ha tanto bisogno di recuperareil senso profondo ed autentico di sé stessa.

128-155.p65 08/10/2013, 16.20155