V Serie 1973 fascicolo IV (Ottobre-Dicmbre)...terre nel Beneventano, e forse costruttore, ancora...

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RECENSIONI M. RoTILI, L'arco di Traiano a Benevento, 1st. Poligrafico dello Stato, s. a. (1972], pp. 231, tavv. CLI. Dell'Arco di Traiano a Benevento e della sua profusa decora- :z;ione scultorea, caratteristica espressione, insieme con la colonna Traiana e con il grande fregio, immesso nell'arco di Costantino con ogni probabilità-proveniente dal Foro T raiano, del più rappresentativo e più splendido dell'arte romana, non c'è manuale di storia di questa arte che non parli più o meno ampia- mente, come non vi è volume che rievochi la storia dell'impero di Traiano, che non abbia preso in esame e cercato di interpretare quanto ci rappresentano i rilievi figurati del monumento, rievocan- ti fatti ed episodi del regno dell'optimus princeps, anche per com- pensare la singolare assenza o scarsezza delle fonti letterarie relati- ve a questo periodo: primo fra tutti il volume del Paribeni. Ma ac- canto a questi copiosi richiami delle storie generali e particolari, e accanto ad una serie innumerevole di studi particolari sulla inter- pretazione delle scene sia nel loro complesso sia di questo o quel pannello singolo (meno considerate invece sono state le forme ar- chitettoniche del monumento), si può affermare clie una edizione critica e completa dell'arco finora non esisteva. Ce la dà ora Mario Rotili in un volume di oltre 200 pagine di testo e di 151 tavole, di cui alcune a colori, edito dall'Istituto Poligrafico dello Stato: occasione determinante del volume è stata la possibilità di rile- vare una completa e particolareggiata documentazione fotografica del monumento grazie -alla costruzione di ponteggi alzati per l'opera di restauro di esso. Il Rotili è soprattutto uno studioso dell'arte medioevale, ma è spirito aperto e sensibile alle forme ed alle espressioni dell'arte di ogni periodo, come dimostrano, oltre al volume che abbiamo dinanzi e ad altre delle sue opere, la cura - e la sapienza con la quale ha retto per molti anni il Museo del Sannio e ne ha riordinato e ristrutturato qualche anno fa le col- le::ioni che, dai materiali di età preromana, vengono giù giù, attraverso il periodo romano, medioevale e rinascimentale, fino alle manifestazioni dell'arte contemporanea. Ed è d'altra parte il Rotili un conoscitore profondo e acuto della storia di Benevento, degli artisti che vi lavorarono, dei committenti delle loro opere, sì che ricco di notizie e di richiami a documenti d'archivio, a di- segl_li, ad d.i ogni tempo è i! primo capitolo del volume, cap1tolo che costitUisce, come era g1usto che fosse, la .ovvia in- troduzione all'esame critico dell'arco: non senza una punta di civica soddisfazione per la presenza nella città di così 1nsigne e celebrato monumento, l'A. ha intitolato questo capitolo: Fortuna dell'Arco di T raiano . Effettivamente, e la cosa è singolare, ma non unica, come ho altra volta avuto occasione di ricordare per altri monumenti del- l'antichità, mentre del monumento nessuna fonte antica ci ha conservato il ricordo, e nemmeno l'iscri;:ione dell'attico fa men- zione dell'occasione per cui fu innalzato, quanto mai copiosa invece è la documentazione che di esso è rimasta attraverso i secoli, a cominciare dal secolo XI, quando col nome di Porta Aurea (l'arco era stato inglobato nella cerchia longobarda e ser- viva appunto da porta) esso è ricordato in una relazione della traslazione avvenuta qualche secolo prima, nel 768, delle reli- quie di S. Mercurio patrono della città: l'appellanvo di Aurea di cui la porta è insignita, e che ricorre anche in altri documenti e come appellativo di chiese site nelle adiacenze, è la testimonianza del valore che i Beneventani davano al monumento, delle cui si l'eco in o_Pere del romanico beneventano, in alcum pannelli della porta d1 bronzo della Cattedrale, purtroppo assai danneggiata dagli eventi dell'ultima guerra, e nella statua inginocchiata del Cavaliere sulla facciata dello stesso Duomo. la fama dell'arco si limitava alla città, bensì si irradiava anche nella all'intorno, se, come è stato _già più volte rilevato, una s1cura influenza delle sue forme architettoniche e delle sue sculture è facile riconoscere nell'arco di Alfonso di Aragona del Castelnuovo di Napoli. Con il secolo XV i ricordi e le riproduzioni a disegno dell'arco si fanno più frequenti, da Giuliano da Sangallo a Fra Giocondo, da Battista da Sangallo detto il Gobbo,. fratello di Antonio il Giovane, al Serlio, che ce ne una descrizione particolareggiata e abbastanza esatta; Ciriaco di Ancona aveva d'altra parte com- presa l'iscrizione fra le altre da lui raccolte. Si giunge così alle incisioni del '6 e '7oo, del Panini e del Piranesi, a quelle dell'8oo del Rossini e del Canina, più vicine allo stato reale del monu- mento, infine alle vedute dei pittori della Scuola di Posillipo. I primi lavori di isolamento furono ordinati da Pio IX in occa- sione della sua visita alla città nel 1849, ma furono completati solo dopo l'unione della città al regno d'Italia. L'arco rimaneva tuttavia ancora soffocato dagli edifici limitrofi: i lavori di isola- mento e di sistemazione delle adiacenze furono iniziati nel 1939 e nel corso di essi furono ritrovate le statue mutile, probabilmente di Traiano e di Plotina, forse, ma non è certo, poste al di sopra dell'attico. Interrotti .dalla guerra, che, tra tanti e gravi danni recati alla città, lasciò fortunatamente indenne l'arco, hanno finito dopo di essa per dare alle adiacenze del monumento un assetto sufficien- temente decoroso. Frattanto dalla seconda metà dell'Ottocento e nella prima metà del Novecento, nell"affermarsi dell'indagine critica nel campo dell'archeologia e della storia dell'arte antica, un maggiore e più impegnativo interesse si era rivolto al monu- mento, sì che singolarmente ampia è la bibliografia ad esso rela- tiva, anche se, come notavo in principio, una vera e completa illustrazione sia fino a questo momento mancata. Essa si impo- neva con tanta maggiore necessità oggi perché, corredata come è da una copiosa documentazione fotografica, ti una visione del monumento che· tra qualche tempo sarà più difficile avere; anche esso infatti è minacciato dai danni provocati dall'inquina- mento e dalle cosiddette conquiste della tecnologia moderna: come le sculture degli archi di Tito, di Settirnio Severo e di Costantino a Roma, e come le decorazioni architettoniche e scul- toree delle cattedrali romaniche. Il secondo capitolo intitolato Il Monumento è il più ampio del volume 'e contiene di esso la precisazione cronologica (109, data della delibera::ione della sua erezione, in coincidenza con l'inau- gurazione della via Traiami; n4, data della sua dedicazione, quale è fornita dall'iscrizione), la descrizione delle sue forme architettoniche, e soprattutto quella delle sue sculture con le d!verse _che dei vari pannelli hanno dato quanti d1 esso SI sono occupat1. Qualche osservazione particolare meritano alcuni degli argo- menti trattati. Innanzi tutto chi poté essere il promotore di così insigne monumento, forse sproporzionato, soprattutto per la e sue gesta, s1a alla c1ttà m cu1 esso vemva mna!zato s1a all'occasiOne che gli dava origine: l'apertura della via Traiana, importante per · la maggiore rapidità e comodità di rapporti che consentiva con Brindisi e con l'Oriente, elemento certo di notevole interesse per l'imperatore, che dopo la conquista della Dacia volgeva la sua attenzione alle terre al di là dei confini orientali dell'impero, ma n!Jlla piÌ;I in fondo che una variante della più antica e gloriosa v1a App1a. Chi figura nella iscrizione dedicatoria è, come ovvio, il senato e.il _POpolo romano: ma chi poté suggerire a questi in Roma l'ini- Ziat1va? L'A. vuole riconoscere tale promotore in M . Rutilio Lupo, cavaliere, prefetto dell'annona e apprezzato amico di Traiano, ricco esponente dell 'in dustria laterizia, proprietario di terre nel Beneventano, e forse costruttore, ancora sotto Domizia- no, del tempio di Iside, come è ricordato nelle iscrizioni dei due obelischi, secondo una recente interpretazione del Muller (Il culto di Iside nell'antica Benevento. Catalogo delle sculture prove- nienti dai santuari egiziani dell'antica Benevento nel Museo del Sannio, BeneventQ 1970, p. 12 ss.): l'ipotesi è certamente geniale, e ha probabilità di essere nel vero. Sotto i riguardi della forma e della decorazione architettonica, indubbia è la sua stret;.t a. analogia con l'arco di Tito, al quale lo accosta anche l'inserziòne di una decorazione di pannelli scolpiti (tuttavia assai più copiosa che in quello), di non molti anni ante- riore, secondo l'opimone di molti studiosi, mentre Ininori somi- glianze esso presenta con gli altri archi traianei superstiti in Italia e nelle provincie (Africa, Spagna), privi di decorazione scultorea. Maggiore era questa somiglianza con l'arco a tre fornici che se- gnava l'ingresso monumentale del foro di Traiano e con altro di ubicazione ignota, le cui immagini ci sono conservate da monete: ciò che potrebbe essere un elemento in favore dell'ipotesi (Bian- chi Bandinelli) che anche ideatore dell'arco di Benevento sia stato Apollodoro di Damasco: ipotesi sulla quale ritorneremo parlando delle sculture: certo l'armonia delle linee e delle pro- porzioni, la sobrietà della decorazione architettonica, soprattutto la felice inserzione in questa della decorazione scultorea, non possono derivare che da un artista di alto livello. Tra gli archi traianei superstiti l'A. include quello quadri- fronte di Caparra in Spagna, che, come il compianto Garc1a Bel- lido ha dimostrato in una sua non ancora pubblicata comunica- zione all'Accademia dei Lincei, va datato effettivamente intorno all'anno 100, e quello di Thamugadi, che invece, per recenti indagini sulla sua inserzione nell'urbanistica della città sembra doversi riportare alla metà circa del secondo secolo, al tempo di Antonino Pio o di Marco Aurelio. Dopo un più rapido esame delle forme stilistiche delle sculture di carattere semplicemente decorativo e della loro interpretazione: figure nelle serraglie dei fornici, nei triangoli ai !an di questi (Vittorie, Geni delle Stagioni, personificazioni dei fiumi: il Tisia ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

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  • RECENSIONI

    M. RoTILI, L'arco di Traiano a Benevento, 1st. Poligrafico dello Stato, s. a. (1972], pp. 231, tavv. CLI.

    Dell'Arco di Traiano a Benevento e della sua profusa decora-:z;ione scultorea, caratteristica espressione, insieme con la colonna Traiana e con il grande fregio, immesso nell'arco di Costantino con ogni probabilità- proveniente dal Foro T raiano, del period~ più rappresentativo e più splendido dell'arte romana, non c'è manuale di storia di questa arte che non parli più o meno ampia-mente, come non vi è volume che rievochi la storia dell'impero di Traiano, che non abbia preso in esame e cercato di interpretare quanto ci rappresentano i rilievi figurati del monumento, rievocan-ti fatti ed episodi del regno dell'optimus princeps, anche per com-pensare la singolare assenza o scarsezza delle fonti letterarie relati-ve a questo periodo: primo fra tutti il volume del Paribeni. Ma ac-canto a questi copiosi richiami delle storie generali e particolari, e accanto ad una serie innumerevole di studi particolari sulla inter-pretazione delle scene sia nel loro complesso sia di questo o quel pannello singolo (meno considerate invece sono state le forme ar-chitettoniche del monumento), si può affermare clie una edizione critica e completa dell'arco finora non esisteva. Ce la dà ora Mario Rotili in un volume di oltre 200 pagine di testo e di 151 tavole, di cui alcune a colori, edito dall'Istituto Poligrafico dello Stato: occasione determinante del volume è stata la possibilità di rile-vare una completa e particolareggiata documentazione fotografica del monumento grazie -alla costruzione di ponteggi alzati per l'opera di restauro di esso. Il Rotili è soprattutto uno studioso dell 'arte medioevale, ma è spirito aperto e sensibile alle forme ed alle espressioni dell'arte di ogni periodo, come dimostrano, oltre al volume che abbiamo dinanzi e ad altre delle sue opere, la cura

    - e la sapienza con la quale ha retto per molti anni il Museo del Sannio e ne ha riordinato e ristrutturato qualche anno fa le col-le::ioni che, dai materiali di età preromana, vengono giù giù, attraverso il periodo romano, medioevale e rinascimentale, fino alle manifestazioni dell 'arte contemporanea. Ed è d'altra parte il Rotili un conoscitore profondo e acuto della storia di Benevento, degli artisti che vi lavorarono, dei committenti delle loro opere, sì che ricco di notizie e di richiami a documenti d'archivio, a di-segl_li, ad incisio~ d.i ogni tempo è i! primo capitolo del volume, cap1tolo che costitUisce, come era g1usto che fosse, la .ovvia in-troduzione all'esame critico dell'arco: non senza una punta di civica soddisfazione per la presenza nella città di così 1nsigne e celebrato monumento, l'A. ha intitolato questo capitolo: Fortuna dell'Arco di T raiano.

    Effettivamente, e la cosa è singolare, ma non unica, come ho altra volta avuto occasione di ricordare per altri monumenti del-l'antichità, mentre del monumento nessuna fonte antica ci ha conservato il ricordo, e nemmeno l'iscri;:ione dell'attico fa men-zione dell'occasione per cui fu innalzato, quanto mai copiosa invece è la documentazione che di esso è rimasta attraverso i secoli, a cominciare dal secolo XI, quando col nome di Porta Aurea (l'arco era stato inglobato nella cerchia longobarda e ser-viva appunto da porta) esso è ricordato in una relazione della traslazione avvenuta qualche secolo prima, nel 768, delle reli-quie di S. Mercurio patrono della città : l'appellanvo di Aurea di cui la porta è insignita, e che ricorre anche in altri documenti e come appellativo di chiese site nelle adiacenze, è la testimonianza del valore che i Beneventani davano al monumento, delle cui scult~re si co~lie l'eco in o_Pere del romanico beneventano, in alcum pannelli della porta d1 bronzo della Cattedrale, purtroppo assai danneggiata dagli eventi dell'ultima guerra, e nella statua inginocchiata del Cavaliere sulla facciata dello stesso Duomo. Né la fama dell'arco si limitava alla città, bensì si irradiava anche nella ~egion_e all'intorno, se, come è stato _già più volte rilevato, una s1cura influenza delle sue forme architettoniche e delle sue sculture è facile riconoscere nell'arco di Alfonso di Aragona del Castelnuovo di Napoli.

    Con il secolo XV i ricordi e le riproduzioni a disegno dell'arco si fanno più frequenti, da Giuliano da Sangallo a Fra Giocondo, da Battista da Sangallo detto il Gobbo,. fratello di Antonio il Giovane, al Serlio, che ce ne dà una descrizione particolareggiata e abbastanza esatta; Ciriaco di Ancona aveva d 'altra parte com-presa l'iscrizione fra le altre da lui raccolte. Si giunge così alle incisioni del '6 e '7oo, del Panini e del Piranesi, a quelle dell'8oo del Rossini e del Canina, più vicine allo stato reale del monu-mento, infine alle vedute dei pittori della Scuola di Posillipo. I primi lavori di isolamento furono ordinati da Pio IX in occa-sione della sua visita alla città nel 1849, ma furono completati solo dopo l'unione della città al regno d'Italia. L'arco rimaneva tuttavia ancora soffocato dagli edifici limitrofi: i lavori di isola-mento e di sistemazione delle adiacenze furono iniziati nel 1939 e nel corso di essi furono ritrovate le statue mutile, probabilmente

    di Traiano e di Plotina, forse, ma non è certo, poste al di sopra dell'attico.

    Interrotti .dalla guerra, che, tra tanti e gravi danni recati alla città, lasciò fortunatamente indenne l'arco, hanno finito dopo di essa per dare alle adiacenze del monumento un assetto sufficien-temente decoroso. Frattanto dalla seconda metà dell 'Ottocento e nella prima metà del Novecento, nell"affermarsi dell'indagine critica nel campo dell'archeologia e della storia dell'arte antica, un maggiore e più impegnativo interesse si era rivolto al monu-mento, sì che singolarmente ampia è la bibliografia ad esso rela-tiva, anche se, come notavo in principio, una vera e completa illustrazione sia fino a questo momento mancata. Essa si impo-neva con tanta maggiore necessità oggi perché, corredata come è da una copiosa documentazione fotografica, ti dà una visione del monumento che· tra qualche tempo sarà più difficile avere; anche esso infatti è minacciato dai danni provocati dall'inquina-mento e dalle cosiddette conquiste della tecnologia moderna: come le sculture degli archi di Tito, di Settirnio Severo e di Costantino a Roma, e come le decorazioni architettoniche e scul-toree delle cattedrali romaniche.

    Il secondo capitolo intitolato Il Monumento è il più ampio del volume 'e contiene di esso la precisazione cronologica (109, data della delibera::ione della sua erezione, in coincidenza con l'inau-gurazione della via Traiami; n4, data della sua dedicazione, quale è fornita dall'iscrizione), la descrizione delle sue forme architettoniche, e soprattutto quella delle sue sculture con le d!verse ~terpretazioni _che dei vari pannelli hanno dato quanti d1 esso SI sono occupat1.

    Qualche osservazione particolare meritano alcuni degli argo-menti trattati. Innanzi tutto chi poté essere il promotore di così insigne monumento, forse sproporzionato, soprattutto per la l~rga dec~raz~one ~cultorea ~sal~ante l'imp~ratore e l~ sue gesta, s1a alla c1ttà m cu1 esso vemva mna!zato s1a all'occasiOne che gli dava origine: l'apertura della via Traiana, importante per· la maggiore rapidità e comodità di rapporti che consentiva con Brindisi e con l'Oriente, elemento certo di notevole interesse per l'imperatore, che dopo la conquista della Dacia volgeva la sua attenzione alle terre al di là dei confini orientali dell'impero, ma n!Jlla piÌ;I in fondo che una variante della più antica e gloriosa v1a App1a.

    Chi figura nella iscrizione dedicatoria è, come ovvio, il senato e.il _POpolo romano: ma chi poté suggerire a questi in Roma l'ini-Ziat1va? L'A. vuole riconoscere tale promotore in M . Rutilio Lupo, cavaliere, prefetto dell'annona e apprezzato amico di Traiano, ricco esponente dell 'industria laterizia, proprietario di terre nel Beneventano, e forse costruttore, ancora sotto Domizia-no, del tempio di Iside, come è ricordato nelle iscrizioni dei due obelischi, secondo una recente interpretazione del Muller (Il culto di Iside nell'antica Benevento. Catalogo delle sculture prove-nienti dai santuari egiziani dell'antica Benevento nel Museo del Sannio, BeneventQ 1970, p. 12 ss.) : l'ipotesi è certamente geniale, e ha probabilità di essere nel vero.

    Sotto i riguardi della forma e della decorazione architettonica, indubbia è la sua stret;.ta. analogia con l'arco di Tito, al quale lo accosta anche l'inserziòne di una decorazione di pannelli scolpiti (tuttavia assai più copiosa che in quello), di non molti anni ante-riore, secondo l'opimone di molti studiosi, mentre Ininori somi-glianze esso presenta con gli altri archi traianei superstiti in Italia e nelle provincie (Africa, Spagna), privi di decorazione scultorea. M aggiore era questa somiglianza con l'arco a tre fornici che se-gnava l'ingresso monumentale del foro di Traiano e con altro di ubicazione ignota, le cui immagini ci sono conservate da monete: ciò che potrebbe essere un elemento in favore dell'ipotesi (Bian-chi Bandinelli) che anche ideatore dell'arco di Benevento sia stato Apollodoro di Damasco: ipotesi sulla quale ritorneremo parlando delle sculture: certo l'armonia delle linee e delle pro-porzioni, la sobrietà della decorazione architettonica, soprattutto la felice inserzione in questa della decorazione scultorea, non possono derivare che da un artista di alto livello.

    Tra gli archi traianei superstiti l 'A. include quello quadri-fronte di Caparra in Spagna, che, come il compianto Garc1a Bel-lido ha dimostrato in una sua non ancora pubblicata comunica-zione all'Accademia dei Lincei, va datato effettivamente intorno all'anno 100, e quello di Thamugadi, che invece, per recenti indagini sulla sua inserzione nell'urbanistica della città sembra doversi riportare alla metà circa del secondo secolo, al tempo di Antonino Pio o di Marco Aurelio.

    Dopo un più rapido esame delle forme stilistiche delle sculture di carattere semplicemente decorativo e della loro interpretazione: figure nelle serraglie dei fornici, nei triangoli ai !an di questi (Vittorie, Geni delle Stagioni, personificazioni dei fiumi: il Tisia

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  • e il Danubio), teorie di Vittorie tauroctone e di efebi ai· lati di thymiateria nei fre~i tra i pannelli di soggetto storico, l'A. passa all'esame di questi.

    Prima della descrizione particolareggiata e precisa, che viene data più oltre, quando l'A. proporrà la lettura e la successione di essi, sono dapprima riassunte e discusse le varie interpretazioni che ne hanno date i diversi studiosi (Meomartini, Petersen, Do-maszewski, Paribeni, Hassel, Hamberg, Hommel, ecc.), e i pro-blemi che ad essi si riferiscono: si tratta, oserei dire, di una selva " aspra e forte" di idee, che ora coincidono, ora si contrad-dicono, ora variano totalmente o parzialmente, si che non è certo facile orientarsi in esse: né è possibile in una recensione accen-narvi nemmeno sommariamente. Uno e forse il più importante di questi problemi, sia dal punto di vista storicQ che storico-artistico, è quello che riguarda i pannelli dell'attico. Essi sono da alcuni (Paribeni, Rostovzeff, Bianchi Bandinelli, Snijder, Veyne) attribuiti all'età di Adriano, ciò che comporterebbe la conseguenza che l'arco, nonostante la datazione dell'iscrizione al II4, sia stato completato dopo la morte di Traiano, o, serondo lo Hamberg, siano pure questi pannelli traianei, ma siano essi stati eseguiti nella seconda metà del II4 e si riferiscano pertanto ai primi epi-sodi della campagna partica.

    Il Rotili, che ha potuto esaminare da vicino le sculture ed osservarne e valutarne pertanto con grande scrupolosa attenzione, non mai possibile prima d'ora, i particolari stilistici e gli accorgi-menti tecnici, giunge alla conclusione, non solo che anche questi rilievi sono traianei, ma che siano coevi agli altri dei piloni e del for-nice e strettamente connessi con essi. Quanto alle differenze stili-stiche, maggiore plasticità e classicità delle fi~ure, minore articola-zione nella composizione con la riduzione de1 piani, esse, a suo pa-rere, sarebbero meno accentuate di quanto da altri è stato notato, e possono spiegarsi con la diversità di concezione e di mano alla quale · vanno attribuiti, nonché alla loro collocazione, e quindi alla necessità di adeguare la forma artistica al diverso punto nel quale si presentavano all'osservatore.

    Quanto al pannello mutilo l'A. accetta la ricostruzione del Vessberg, riconoscendo come appartenente ad esso il frammento oggi conservato nel museo di Benevento, e non quello di Villa Medici.

    Esaminate e discusse così le diverse interpretazioni dei rilievi, l'A. passa ad esporr~ partitamente quelli che sono, a suo parere, il modo e l'ordme con cui la decorazione scultorea deve es5ere letta e interpretata: è questo uno degli aspetti più originali della trattazione del Rotili, lettura e interpretazione che potrà essere oggetto di discussione, ma che comunque costituisce uno degli argomenti più apprezzabili del volume. La decorazione ha una sua unità e un suo significato complessivo : essa è, si può dire, la traduzione plastica di un panegirico dell'imperatore, che può essere messa vicino, se non crederla addirittura ispirata da esso, al panegirico di Plinio o alla riconosciuta felicitas temporum, di cui Tacito parla nelle sue opere a proposito del regno di T raiano.

    La rappresentazione infatti ripercorre e celebra,tutti i fatti più salienti della vita e dell'opera di Traiano, dalle sue imprese in Germania, durante le quali gli giunse la notizia della sua assun-zione all' impero dopo la morte di Nerva, fino alla conquista della Dacia, delle sue provvidenze nel campo sociale ed economico, nella riorganizzaz10ne dell'esercito : in tutti cioè gli aspetti della sua attività che gli meritarono l'appellativo di optimus princeps.

    Da tale organica celebrazione della sua opera in prò dell'im-pero si distaccano i due rilievi del fornice, più particolarmente rifeientisi alla città di Benèvento, perché rappresentanti l'uno il sacrificio compiuto all'atto della inaugurazione della vi

  • strazioni nel testo sono riservate_ a soggetti che si riferiscono prevalentemente alla storia del monumento o a termini di con-fronto con la decorazione scultorea.

    Quella che interessa maggiormente è ovviamente la prima. Essa non poteva desiderarsi più copiosa e più dettagliata e fonda-ta su riprese dirette più felici, per quanto riguarda i particolari delle figure: esse permettono infatti di leggere queste figure co-me finora non era stato mai possibile, del che va data ampia lode al Gramignazzi-Serrone. Quelle che invece lasciano piut-tosto a desiderare sono le riproduzioni di insieme di interi pan-nelli, spesso confusi e di difficile lettura, come lo sono altresì varie delle illustrazioni nel testo: credo che la causa di tale in-sufficienza sia dovuta soprattutto alla tecnica adoperata per la riproduzione e alla qualità della carta.

    Nonostante tali difetti, e pur con le poche riserve che ho avuto occasione di esprimere su talune delle conclusioni dell'A., deve darsi atto a questo di averci per la prima volta fornito un'edizione completa ed aggiornata dell'importante monumento: le incer-tezze che ancora restano potranno essere d'ora innanzi affron-tate sulla base di una descrizione e di un esame critico sotto ogni riguardo esaurienti. PIETRO RoMANELLI

    M . STUCKY-SCHtlRER, Die Passionsteppiche von San Marco in Venedig, "Schriften der Abegg-Stiftung Bern,, Stampfli & Cie AG, Bern 1972, pp. 131, ili. 86, tav. a colori r. Il volume qui recensito è stato pubblicato tra gli " Schriften

    der Abegg-Stiftung Bern , , cioè nella serie di studi sulle arti tessili promossa dalla Fondazione Abegg. L'aveva preceduto il monumentale testo di B. Kl.ESsE, Seidenstoffe in der italienischen Malerei des vierzehnten ]ahrhunderts, B. l, Bern 1967. Al para-gone, l'argomento trattato da M. Stucky-Schiirer può apparire (se si giudica dal titolo) più delimitato: uno studio monografico dedicato al paramento d'arazzi rappresentante la Passione di Cristo nel Museo di San Marco a Venezia. In realtà, come si dirà meglio in seguito, lo svolgimento di questo tema comporta un esame assai vasto ed approfondito di tutta la storia della araz-zeria nel XIV e nella prima parte del XV secolo. Ma, prima ancora di entrare in argomento, conviene rallegrarsi con l'A. per la scelta di questo paramento come oggetto della sua ricerca. Non si tratta certamente di un capolavoro ignorato, e tuttavia gli studi, numerosi ma occasionali, condotti su di esso non erano adeguati alla sua importanza reale. Giustamente, l'A. ricorda che la Passione marciana " dopo i magnifici arazzi dell'Apocalisse di Angers , costituisce " il secondo ciclo in ordine di grandezza di arazzi istoriati dell'epoca , .

    Come è noto, la Passione marciana consta di dieci arazzi, di non grandi dimensioni (m. 2 x 2,15 ciascuno) raffiguranti tre-dici soggetti: r) Ultima Cena; 2) Preghiera nell'orto e Bacio di Giuda; 3) Giudizio di Caifa e Flagellazione; 4) Giudizio di Pilato; 5) Salita al Calvario; 6) Crocefissione; 7) Deposizione; 8) Resurre-zione; g) Apparizione alle Pie Donne e Noli me tangere; ro) In-credulità di San Tommaso. È dunque un ciclo iconograficamente completo e che, se non presenta difficoltà di interpretazione let-terale, è per altri aspettt (tecnici, storici, stilistici) estremamente problematico, per non dire enigmatico. Ma forse sarebbe meglio dire " era,, in quanto il volume di M. Stucky-Schiirer ha ora chiarito la massima parte dei problemi e degli enigmi.

    Prima cura dell 'A. è stata quella di studiare l'iconografia della Passione marciana. Il ciclo dipende, com'è naturale, dalle narra-zioni della Passio nei Vangeli; esso risponde alle specifiche esi-genze culturali dei riti della Settimana Santa, in cu1 veniva pub-blicamente esposto. Accanto alle spiegazioni e descrizioni dei soggetti, in rapporto sia alloro significato sia al loro uso e fun-zione, l'A. espone i risultati di una vastissima ed accuratissima ricerca condotta sulle fonti e le trattazioni del tema della Passione di Cristo in altre opere d'arte, cominciando dal V secolo, e fino a tutta la prima metà del Quattrocento. Così facendo, raccoglie una messe imponente di confronti, parallelismi, analogie, diffe-renze, varianti, che non sono un semplice sfoggio di erudizione, ma servono a precisare ed indicare le vie di un giudizio stilistico. La conclusione è che gli arazzi di San Marco " si collegano nelle caratteristiche principali alla pittura trecentesca dell'Italia cen-tro-settentrionale ,. In questo quadro rientrano i " riferimenti diretti a Giotto e Duccio,, specie "nelle forme architettoni-che,. Ma altri elementi "rivelano ... una componente bizanti-neggiante , ; altri ancora possono definirsi legati alla corrente del gotico internazionale; mentre tipicamente italiano è il disegno dei bordi, con fregio di foglie d'acanto.

    In seguito è tracciata la storia della Passione marciana, sulla scorta anche di documenti ritrovati, e di fonti attentamente con-siderate e rilette. Dove tacciono i documenti, le integrazioni sono fatte con cautela, e soprattutto con sensate ipotesi. Ad esempio, la presenza, nei bordi del paramento, del Leone di S. Marco è giustamente indicata come prova di una tessitura eseguita per

    diretta committenza della Basilica. Altri problemi, però, non sono altrettanto facili da chiarire : in particolare quello della sin-golare anomalia, per cui gli arazzi sono figurati in controparte. Regolarmente, cioè, quello che dovrebbe essere a destra si trova a sinistra, e viceversa. E questo non solo nei singoli arazzi, ma in tutta la successione delle scene, che si presentano in ordine inverso rispetto al normale ordine cronologico. Questa sconcer-tante particolarità aveva dato origine a molte e discordanti ipo-tesi: che non mette conto di enumerare qui, ma che certamente non erano risolutive. La spiegazione è data in questo volume dalla Stucky-Schiirer, ed è semplicissima e convincente : nel corso di un antico restauro gli arazzi, sciupati e sbiaditi, vennero

    . rivoltati, e quello che vediamo attualmente è il loro rovescio. Di qui l'inversione. A questa conclusione chiarificatrice l'A. è giunta attraverso un esame accuratissimo della tessitura, che ha rivelato anche l'esistenza di estesi rifacimenti (intere parti sono state ritessute ex novo) : e in illustrazioni accuratissime sono indicate e distinte le parti rifatte e quelle originarie. Distinzione impor-tantissima, perché è evidente che qualsiasi studio critico può fondarsi solo sulle parti ancora conservate nel loro primitivo aspetto.

    Sono così stabilite dall'A. le premesse per risolvere l'altro problema della Passione marciana: la provenienza, cioè il luogo m cui fu tessuta. In realtà, la maggior parte degli studiosi aveva avanzato l'ipotesi di una tessitura del paramento a Venezia, ad opera di un arazziere d 'oltralpe. Unica ecFezione, P. Ackerman, aveva sostenuto che il paramento proveniva dalla celebre mani-fattura di Robert Dary a Tourna1. Ma né chi propendeva per una esecuzione in loco, a Venezia, né chi vi si opponeva aveva portato argomenti decisivi a soste~no delle proprie tesi. L'A. ha quindi ritenuto inc;lispensabile nesaminare la questione dalle fondamenta, e ha svolto (come si accennava prima) una indagine relativa all'intero corpus di arazzi franco-fiamminghi del Trecento e del primo Quattrocento giunto sino a noi. Pochissimi sono gli esemplari dell'epoca di cui si conosca, con documentaria certezza, l'origine. In pratica, sono due soli: la mirabile Apocalisse di Angers, iniziata a tessere non prima del 1375, e fornita a Luigi I d'Angiò dal grande mercante ed industriale parigino Nicolas Bataille; e la Storia dei SS. Piat ed Eleuterio, nella Cattedrale di Tournai, terminata nel 1402 dall'arazziere Pierre Féré di Arras. Paramento, quest'ultimo, più modesto dell'aulica e monumentale Apocalisse, ma a modo suo estremamente affascinante, per il suo " realismo gotico , tendenzialmente popolare, e il suo fresco gusto narrativo. Su questi due r.aramenti l'A. ha condotto una approfondita analisi formale e sttlistica, valendosene poi come di termini di confronto per studiare altri panni coevi: i Nove Frodi del Metropolitan Museum di New York; l'arazzo parte di una più ampia (e perduta) Storia di ]ourdain de Blaye nel Museo di Pa-dova; il ctclo della Passione del Museo della Cattedrale La Seo a Saragozza, ed altri ancora, tra i quali spicca una stupenda (e fin qui inedita) Deposizione nel Victoria and Albert Museum di Londra. All'esame di questi arazzi (anche condotto in rapporto alle analogie, più o meno marcate, che presentano con la Passione marciana) l'A. ha fatto seguire una analisi delle " Wirkerformen , o "formule di tessitura,, cioè del repertorio di forme disegna-tive caratteristiche usate dagli arazzieri di Arras per rappresen-tare determinati particolari. In chiare tavole sono raffrontate le forme delle foglie, dei fiori, dei m_ptivi paesistici, dei motivi ornamentali che si riscontrano in egni arazzo, o serie di arazzi, in esame. A conclusione l'A. è staill" in grado di individuare otto arazzi (o paramenti) riconducibili al linguaggio formale in uso ad Arras. Tra essi non è tuttavia la Passione marciana, che presenta con tale codice linguistico ed espressivo alcune affinità, ma anche non lievi divergenze. In sostanza, l'A. giunge a dimostrare, per questa via, che la Passione di San Marco fu tessuta a Venezia, circa il 1420, da un artigiano originario di Arras ed ivi immigrato (dell'esistenza di arazzieri d'oltralpe a Venezia, e in Italia, v'è la testimonianza in parecchi documenti).

    Riguardo all'ultimo, e spinoso, problema della identificazione dell'artista che diede i modelli per la Passione marciana, l'A. assume una posizione alquanto sfumata. Si ricorderà da tutti che Roberto Longhi, il quale per primo riconobbe ed affermò l'altissima qualità della Passione come opera d'arte " tout court, (e non come esempio, sia pure validissimo, di un'arte "mino-re,), ne attribuì l'ideazione a Zanino di Pietro. Altri studiosi fecero nomi diversi: di particolare interesse la proposta di Ro-dolfo Pallucchini, per Ntccolò di Pietro. M. Stucky-Schiirer in-dica, più vagamente, " un pittore veneziano, forse del gruppo che faceva capo a Nicolò di Pietro ,. Può darsi, in effetti, che i cartoni veri e propri siano stati eseguiti da un ~ittore minore, come usava. Ma 1! modello della Passione marctana (probabil-mente in forma di disegni di piccolo formato) deve essere stato opera di una personalità di rilievo, di un artista di forza e capa-cità creativa; non di una figura di secondo piano.

    Dal volume della Stucky-Schiirer, del resto, il valore del pa-ramento marciano come opera di autentica qualità artisttca,

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  • e di singolare po.tenza espressiva, risulta assai bene. Lo· studio è completato, in apertura, da una ricchissima e precisa bibliografia; in chiusura, da riassunti in tedesco, inglese, francese e italiano, che utilmente riepilogano i principali argomenti svolti. Ottime le riproduzioni, abbondanti e scelte con sensibilità ed intelligenza. Ottima pure la veste tipografica, accurata ed elegante ma senza alcuno sfoggio di lusso editoriale : di conseguenza, il prezzo è accessibile, cosa rara nel campo dei libri d'arte. È da augurarsi che questo testo esemplare sia noto e diffuso in Italia: dove forse potrà incoraggiare qualche iniziativa analoga, volta a far conoscere meglio il cospicuo, ma poco noto e poco curato, patri-monio arazziere italiano. MERCEDES FERRERO VIALE

    LIBRI RICEVUTI

    Apulum - Acta Musei Apulensis, VIII, IX, X (in memoriam Auriam Iancu, I872-I972), Alba Julia I970, I9JI, I972, pp. 594, 752, 888, con ill.

    Atti e Memorie della Società Magna Grecia, N. S., XI-XII (I97D-I97I), Roma I972, pp. I64, figg. I4, tavv. 67.

    M. BARRUCAND, Le retable du Miroir du Solut dans l'oeuvre de Konrad Witz, Ed. Librarie Droz, Genève I972, pp. IJO, tavv. 52·

    M. BoNGHI ]OVINO, Documenti di coroplastica italiota, siceliota ed etrusco-[aziale nel Museo Civico di Legnano, La Nuova Italia Editrice, Firenze I9721 pp. go, ill. 40.

    Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, LXXXI, Ed. "L'Erma 11 di Bretschneider, Roma I972, pp. I8I, tavv. 76.

    G. DAREGGI, Urne del territorio perugino, Quaderni dell'Istituto di Archeologia dell'Università di Perugia, I, De Luca Editore, Roma I972, pp. 67, tavv. 57·

    Disegni di Francesco Furini e del suo ambiente, introduz. e cat. a cura di G. CANTELLI, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, XXXVI, Ed. Leo S. Olschki, Firenze I972, pp. 77, tavv. 6g.

    J. GARDELLES, Les chateaux du moyen age dans la France du Sud-Ouest - La Gascogne anglaise de I2I6 à I3271 Bibliothèque de la Société Française d 'Archéologie, Ed. Librairie Droz, Genève I972, pp. 272, figg. I85, tavv. XII.

    A. CH. GRUBER, Les Grandes Fetes et leurs décors à zlépoque de Louis XVI, Ed. Librairie Droz, Genève I972, pp. 24I 1 figg. I I2.

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    G. PACCAGNINI, Pisanello alla Corte dei Gonzaga, Electa Editrice, I 972, pp. I 34, il!.

    G. PACCAGNINI, Pisanello e il ciclo cavalleresco di Mantova, Electa Editrice, I972, pp. 300, tavv. IO a colori, figg. 260.

    Rivista di Archeologia Cristiana, XL VIII (I972), Pontificio Isti-tuto di Archeologia Cristiana, Città del Vaticano I9721 pp. 396, ill.

    Saggi e Memorie di Storia dell'arte, 71 Leo S. Olschki Editore, Firenze I9721 pp. 108, ili. 65.

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    G. Tosi, La casa romana di Valdonega e il problema degli Oeci colonnati, ed. Cedam, Padova I971, pp. 6g, tavv. III, ill. 36.

    VIII Mosira di opere d'arte restaurate, Catalogo, Soprintendenza alle Gallerie ed Opere d'Arte della Sicilia, Palermo I9721 pp. 50, tavv. 6g.

    R. WAGNER-RIEGER, Das Haus der Oesterreichischen Akademie der Wissenschaften, Ed. Hermann Bohlaus Nachf, Wien I9721 pp. 55, figg. I2, tavv. 44· .

    K. WEITZMANN, Catalogue of the Byzantine and Early Medieval Antiquities in the Dumbarton Oaks Collection, 3 : Ivories and Steatites, Dumbarton Oaks Center Byz. Studies, Washington I972, pp. 108, tavv. 72.

    Direttore responsabile: SALVATORE ACCARDO

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