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Atti Parlamentari 1 — Camera dei Deputati X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990 V COMMISSIONE PERMANENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) V COMMISSIONE PERMANENTE DEL SENATO DELLA RE- PUBBLICA (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) 8. SEDUTA CONGIUNTA DI GIOVEDÌ 7 GIUGNO 1990 (Ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del regolamento della Camera e dell'articolo /25-bis, comma 3, del regolamento del Senato della Repubblica) PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI MARIO D'ACQUISTO AUDIZIONE DEL DIRETTORE GENERALE DELLA BANCA D'ITALIA, DOTTOR LAMBERTO DINI INDICE PAG. Audizione del direttore generale della Banca d'Italia, dottor Lamberto Dini: D'Acquisto Mario, Presidente della V Commissione permanente della Ca- mera dei deputati .' 3, 8, 9, 20 Andreatta Beniamino, Presidente della V Commissione permanente del Senato 11 Becchi Ada (Sin. Ind.) 18, 19 Carrus Giovanni (DC) .' 8 Dini Lamberto, Direttore generale della Banca d'Italia 3, .9, 10, 12, 14, 17, 19 Guarino Giuseppe (DC) 15 Gunnella Aristide (PRI) 9, 17 Macciotta Giorgio (PCI) 13, 14 Soddu Pietro (DC) 19

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Atti Parlamentari — 1 — Camera dei Deputati X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990

V COMMISSIONE PERMANENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE)

V COMMISSIONE PERMANENTE DEL SENATO DELLA RE­PUBBLICA (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO)

8.

SEDUTA CONGIUNTA DI GIOVEDÌ 7 GIUGNO 1 9 9 0 (Ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del regolamento della Camera e dell'articolo /25-bis, comma 3, del regolamento del Senato della Repubblica)

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI MARIO D'ACQUISTO

AUDIZIONE DEL DIRETTORE GENERALE DELLA BANCA D'ITALIA, DOTTOR LAMBERTO DINI

I N D I C E

PAG.

Audizione del direttore generale della Banca d'Italia, dottor Lamberto Dini:

D'Acquisto Mario, Presidente della V Commissione permanente della Ca­mera dei deputati .' 3, 8, 9, 20

Andreatta Beniamino, Presidente della V Commissione permanente del Senato 11

Becchi Ada (Sin. Ind.) 18, 19 Carrus Giovanni (DC) .' 8 Dini Lamberto, Direttore generale della Banca d'Italia 3, .9, 10, 12, 14, 17, 19 Guarino Giuseppe (DC) 15 Gunnella Aristide (PRI) 9, 17 Macciotta Giorgio (PCI) 13, 14 Soddu Pietro (DC) 19

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X LEGISLATURA QUINTA COMMISSIONE SEDUTA CONGIUNTA DEL 7 GIUGNO 1990

La seduta comincia alle 15.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Audizione del direttore generale della Banca d'Italia, dottor Lamberto Dini.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore generale della Banca d'Italia, dottor Lamberto Dini, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del documento di programmazione economico-finanziaria.

Se non vi sono obiezioni, rimane sta­bilito, ai sensi dell'articolo 65, comma 2, del regolamento, che la pubblicità dei la­vori sia assicurata anche mediante im­pianto audiovisivo a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Il dottor Dini è stato delegato dal go­vernatore della Banca d'Italia, dottor Ciampi, ad illustrare alle Commissioni riunite le osservazioni dell'Istituto di emissione in relazione alla manovra eco­nomica per il triennio 1991-1993, sulla quale il Parlamento ha già svolto alcune audizioni che hanno consentito impor­tanti approfondimenti in materia. Ulte­riori passi in avanti, al fine di ampliare le informazioni sulla manovra di finanza pubblica, saranno consentiti dall'odierno intervento del direttore generale della Banca d'Italia con il quale si rinnova la ormai tradizionale collaborazione.

LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. Ringrazio il presidente e le Commissioni bilancio della Camera e del Senato per l'invito che ci è stato ri­volto.

Nel decennio trascorso, l'economia ita­liana ha conseguito importanti progressi e le prospettive permangono favorevoli per l'anno in corso. L'attività produttiva continua a espandersi a un ritmo del 3 per cento, favorita dal perdurare di un'in­tensa attività di investimento. L'inflazione è in diminuzione e il suo tasso, a di­stanza di dodici mesi, si è collocato nel maggio scorso sul 5,7 per cento. L'occu­pazione fa registrare ulteriori aumenti; il tasso di disoccupazione dà segni di mi­glioramento: esso è sceso all'I 1,5 per cento a gennaio. Per effetto dell'azione correttiva avviata dal Governo nel mese di maggio, il fabbisogno pubblico del­l'anno non dovrebbe discostarsi significa­tivamente dai valori inizialmente pro­grammati. La liberalizzazione valutaria è stata accolta con favore dai mercati. In questa prima parte del 1990, la lira si è costantemente mantenuta al margine su­periore della banda di fluttuazione, se­gnalando la fiducia dei mercati interna­zionali circa le prospettive di sviluppo e di stabilità della nostra economia.

I tassi d'interesse tendono a diminuire, quale riflesso del calo dell'inflazione e de­gli effetti positivi indotti dall'ingresso della lira nella banda stretta dello SME. Il 19 maggio è stato ridotto al 12,50 per cento il tasso ufficiale di sconto. Il rendi­mento medio lordo all'emissione dei BOT, dopo aver raggiunto un picco del 13,7 per cento nel novembre scorso, ha seguito una tendenza alla diminuzione; negli ul­timi mesi la discesa si è fatta più rapida: tra la fine di marzo e quella di maggio, il rendimento dei BOT è sceso dal 13,2 all'I 1,8 per cento.

In base alle previsioni formulate dagli organismi internazionali, nel prossimo triennio lo sviluppo del reddito dei paesi

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industrializzati dovrebbe collocarsi in­torno al 3 per cento. Il commercio mon­diale dovrebbe continuare a espandersi a ritmi sostenuti. Politiche monetarie e di bilancio meglio coordinate possono con­temperare l'obiettivo di espansione del­l'attività produttiva con quello del conte­nimento dei prezzi.

Gli eventi nei paesi dell'Europa cen­tro-orientale e, soprattutto, il processo di integrazione comunitaria aprono nuove prospettive per i paesi della CEE, ma presentano aree di rischio per quelle eco­nomie che non si ponessero nelle condi­zioni di affrontare con successo la cre­scente competizione internazionale.

Affinché l'Italia possa trarre beneficio dalle opportunità che il contesto interna­zionale offre, è necessario che vengano eliminati i principali elementi di debo­lezza che permangono nell'economia. Oc­corre rimuovere i rischi di instabilità in­siti nell'accumularsi del debito pubblico, oggi accentuati dalla maggior rapidità con cui turbolenze esterne possono tra­smettersi al mercato interno. La modera­zione nell'evoluzione dei redditi nominali e un incisivo sforzo per conseguire più elevati livelli di produttività, sono condi­zioni per annullare il divario di inflazione che ancora ci separa dagli altri principali paesi e avviare a soluzione i nodi struttu­rali del Mezzogiorno e della disoccupa­zione.

Anche ipotizzando una dinamica molto contenuta dei costi unitari dei fattori pro­duttivi diversi dal lavoro, l'obiettivo di ridurre l'inflazione al 3,5 per cento nel 1993 richiede, in particolare, che la cre­scita delle retribuzioni lorde pro capite, muovendo dagli attuali ritmi del 7-8 per cento, si avvicini a quella consentita dal tasso di inflazione programmato e dalla crescita della produttività stimabile, per l'intero sistema economico, intorno al 2 per cento all'anno.

La questione centrale dell'economia italiana resta il risanamento dei conti pubblici, condizione necessaria per una crescita equilibrata e per tenere il passo con le economie più stabili nella costru­zione europea.

Il riassorbimento del disavanzo cor­rente dello Stato, pari al 5,7 per cento del prodotto interno nel 1989, consenti­rebbe, oltre che di innescare un circolo virtuoso di riequilibrio, di ridurre il costo e di accrescere la disponibilità del credito per il finanziamento degli investimenti, indispensabili per il conseguimento di più elevati livelli di produttività. La politica monetaria potrà assecondare la discesa dei tassi di interesse che nelle condizioni delineate tenderebbe a configurarsi: il dif­ferenziale tra i tassi italiani e quelli pre­valenti sui mercati esteri dovrebbe gra­dualmente ridursi, come viene messo in rilievo nello stesso documento del Go­verno.

L'azione correttiva della finanza pub­blica e le linee di politica economica defi­nite nel documento del Governo sono coe­renti, a nostro giudizio, con gli obiettivi macroeconomici ivi indicati. Nel contesto internazionale sopra delineato appare possibile innalzare gradualmente il tasso di crescita del prodotto al 3,5 per cento nel 1993 e compiere ulteriori, significativi passi nel rientro dall'inflazione, tendendo ad annullare il differenziale che ci separa dai più stabili paesi della CEE.

Il Governo ha opportunamente rite­nuto necessario rafforzare l'azione diretta a correggere gli squilibri della finanza pubblica. A nostro giudizio vari fattori rendono indispensabile tale rafforza­mento; tra questi 'vi è la constatazione che i progressi fatti non sono stati suffi­cienti a ridurre il divario con gli altri paesi per.ciò che concerne lo stato della finanza pubblica (in assenza di incisivi interventi, tale divario tenderebbe anzi ad ampliarsi); la necessità di compensare il più alto livello dei saggi di interesse ri­spetto a quello ipotizzato nel documento dello scorso anno.

Con riferimento al primo aspetto, un raffronto dei nostri conti pubblici con quelli degli altri principali paesi della CEE mostra che il divario esistente nel­l'incidenza del disavanzo complessivo è rimasto pressoché immutato rispetto alla fine degli anni settanta. Dato il perma­nere di un elevato divario nei flussi, il

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differenziale nel peso della consistenza del debito si è aggravato.

Tra il 1979 ed il 1989 l'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni (quale emerge dalla contabilità nazionale) in rapporto al prodotto interno è lieve­mente aumentato sia in Italia sia in Francia; nella Germania federale è sceso di due punti; nel Regno Unito si è pas­sati da un disavanzo del 3,3 per cento del prodotto interno lordo ad un avanzo dell'1,7 per cento. Se si fa riferimento al disavanzo primario, in Italia esso è sceso di oltre 3 punti e mezzo, attestandosi sull'I,2 per cento nel 1989, sempre in base ai dati della contabilità nazionale; ma miglioramenti notevoli sono stati con­seguiti anche dagli altri principali paesi della CEE, dove tale saldo è diventato positivo. L'Italia è ormai l'unico tra i principali paesi europei in cui permane un disavanzo primario.

Da noi, alla forte crescita della pres­sione fiscale degli anni ottanta, si è ac­compagnato - a differenza degli altri principali paesi della CEE - un notevole aumento dell'incidenza della spesa pub­blica.

In Italia, infatti, la pressione fiscale è cresciuta di quasi dieci punti, passando dal 29,2 per cento nel 1979 al 38,8 nel 1989, quando risultava inferiore di poco più di due punti percentuali rispetto a quella media dei tre principali paesi della CEE. Come spiegato nel documento del Governo, la differenza riflette la minore incidenza nel nostro paese dell'imposi­zione indiretta, a sua volta da ricondurre al maggior grado di evasione, di elusione e di erosione delle basi imponibili, piutto--sto che a un più basso livello delle ali­quote.

L'incidenza delle erogazioni, al netto degli interessi, da noi è salita dal 36,1 per cento del prodotto interno nel 1979 al 42,7 nel 1989. Negli altri principali paesi della CEE tale incidenza è diminuita; la media dei valori riscontrati nella Germa­nia federale, in Francia e nel Regno Unito, inizialmente più elevata che in Ita­lia, è scesa al di sotto del livello nel frattempo raggiunto dal nostro paese.

Come risultato dell'andamento deline­ato si è ampliata la divergenza nel peso del debito sul prodotto: in Italia esso è cresciuto dal 61 per cento nel 1979 al 98 per cento nel 1989; negli altri principali paesi della CEE la sua crescita è risultata assai minore, ovvero, come nel Regno Unito, si è avuta una significativa dimi­nuzione.

Differenze rilevanti permangono anche nella qualità dei servizi resi e nell'effi­cienza dei loro processi di produzione. Indagini condotte da vari enti ed istituti di ricerca italiani segnalano disfunzioni e carenze in importanti settori dell'attività pubblica e, in generale, notevoli diver­genze rispetto ai livelli medi europei.

Il confronto internazionale pone quindi in luce l'esigenza di uno sforzo massiccio per avvicinare l'Italia ai princi­pali paesi della Comunità sotto il profilo sia degli equilibri della finanza pubblica sia dell'efficacia dei servizi resi.

Il riacuirsi dell'inflazione in Italia e l'aumento dei tassi di interesse dei princi­pali paesi industriali a partire dal­l'autunno non hanno consentito nel 1989 la programmata discesa dei nostri tassi sui titoli pubblici. I mutamenti interve­nuti nello scenario internazionale fanno temere che non si possa conseguire nei prossimi anni l'obiettivo di ricondurre i saggi di interesse al livello della crescita del prodotto, come ipotizzato nel docu­mentò di programmazione economico-fi­nanziaria 1990-1992. Vari fattori tendono a mantenere alti i tassi internazionali. Tra questi, la scarsità di risparmio dispo­nibile per far fronte alla maggior do­manda per investimenti che deriverà in particolare dall'unificazione tedesca e dal­l'apertura dei mercati dei paesi dell'Eu­ropa centro-orientale. Dato l'alto livello

• di utilizzo della capacità produttiva esi­stente nei paesi industriali, potrebbero emergere tensioni inflazionistiche ed orientamenti più restrittivi delle politiche monetarie.

Tuttavia tra le autorità dei principali paesi sta maturando il convincimento che alla base degli elevati tassi di interesse vi sia anche un eccessivo affidamento alla

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politica monetaria per contenere le pres­sioni della domanda sui prezzi. Se tale convincimento si tradurrà in un più inci­sivo ricorso alle politiche fiscali e di bi­lancio, per incrementare il risparmio e contenere la domanda aggregata, nei prossimi anni sarà possibile conseguire la ricercata riduzione dei tassi di interesse reali.

Per quanto riguarda l'azione di riequi­librio dei conti pubblici, i principali obiettivi programmatici per il periodo 1990-1993 contenuti nel documento del Governo possono essere riassunti come se­gue.

In primo luogo, anticipare il consegui­mento di un avanzo primario, pari allo 0,6 per cento del prodotto interno, al 1991 (in precedenza previsto per il 1992) ed accrescere tale avanzo dell'I per cento del prodotto nel 1992 e nel 1993, quando esso raggiungerebbe il 2,55 per cento del prodotto interno lordo.

In secondo luogo, ridurre il peso del fabbisogno sul prodotto interno dal 10,7 per cento previsto nel 1990 gradualmente al 9,4 nel 1991, all'8,2 nel 1992 ed al 6,4 nel 1993. Il peso del disavanzo corrente si ridurrebbe gradualmente dal 5,4 per cento previsto nel 1990 al 4,2 nel 1991, per flettere ulteriormente al 3,1 nel 1992 e all'1,4 per cento nel 1993.

Infine, assicurare così l'inversione della tendenza ascendente del peso del debito pubblico sul prodotto interno a partire dal 1993.

Per raggiungere questi risultati entro il 1993 la manovra correttiva prevede, rispetto alle tendenze in atto, provvedi­menti volti ad ottenere: maggiori entrate tributarie e contributive, pari, a fine pe­riodo, al 2,6 per cento del prodotto in­terno (3,1 per cento con l'adeguamento delle accise al tasso di inflazione); una riduzione della spesa al netto di quella per interessi pari al 2,1 per cento del prodotto interno, di cui 1,4 per la parte corrente e 0,7 per quella in conto capi­tale; la manovra prevede inoltre introiti, dell'ordine dello 0,4 per cento del pro­dotto interno, derivanti da dismissioni di beni patrimoniali, in ciascun anno del triennio 1991-1993.

Implicite nelle valutazioni tendenziali sono la graduale discesa dell'inflazione al 3,5 per cento nel 1993 e una riduzione dei tassi di interesse nominali di mercato in linea con quella dell'inflazione. Il qua­dro programmatico prevede un ulteriore calo dei tassi di interesse sul debito pub­blico per effetto della diminuzione dei di­savanzi e del connesso premio al rischio. Ne deriverebbe complessivamente un ridi­mensionamento, rispetto alle ipotesi ten­denziali, della spesa per interessi pari a due punti del prodotto interno lordo a fine periodo.

Gli obiettivi fissati nel documento del Governo sono giustamente ambiziosi, im­plicano scelte difficili. Tuttavia il loro conseguimento è necessario per scongiu­rare rischi di instabilità e per consentire al nostro paese di partecipare a pieno titolo con gli altri partner comunitari alla costruzione europea. L'integrazione econo­mica e finanziaria restringe sempre più i margini di manovra delle politiche mone­tarie nazionali e rende sempre più ur­gente il riequilibrio dei conti pubblici.

Il comitato dei governatori della CEE avvierà già da quest'anno un più stretto coordinamento dell'impostazione delle po­litiche monetarie finalizzato alla stabilità dei prezzi, dando così concretezza alla prima fase dell'Unione economica e mo­netaria. « •

L'analisi della composizione della ma­novra indicata nel documento del Go­verno solleva due ordini di problemi, tra loro strettamente connessi: la sostenibilità del livello della pressione fiscale pro­grammata e l'urgenza delle azioni dirette a modificare strutturalmente il tasso di crescita della spesa.

Nell'innalzamento della pressione fi­scale difficoltà potrebbero sorgere dalla restituzione completa e automatica del drenaggio fiscale, da misure di armoniz­zazione tributaria nei paesi comunitari, che potrebbero implicare perdite di get­tito, e dalla revisione degli oneri impro­pri gravanti sulle imprese.

Va rilevato inoltre che i provvedimenti di bilancio adottati nel 1990 dovrebbero innalzare la pressione fiscale a un livello

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inferiore solo di qualche decimo di punto a quello medio della Germania federale, della Francia e del Regno Unito. Poiché la pressione fiscale in quei paesi è in lieve diminuzione, il suo ulteriore innal­zamento di 2,1 punti percentuali in Italia nel triennio 1991-1993 porterebbe l'aggre­gato circa due punti al di sopra di quello medio di detti paesi.

D'altra parte è da ritenere che l'aumento programmato della pressione fiscale possa essere conseguito soprattutto ri ducendo gli ampi margini di evasione, di elusione e di erosione delle basi impo­nibili oggi esistenti. Ulteriori inasprimenti fiscali oltre a quelli programmati ap­paiono difficilmente perseguibili.

Queste considerazioni sottolineano l'urgenza di porre in essere interventi in gradp di ridimensionare la spesa, mode­randone la crescita. L'urgenza deriva an­che dai tempi, relativamente lunghi, oc­correnti per ottenere risultati apprezzabili sulle erogazioni: non è infatti da ritenere che si possa ridurre in misura significa­tiva l'attuale livello di servizi e presta­zioni: è perciò necessario moderare, so­prattutto, la dinamica delle nuove occor­renze. Per conseguire gli obiettivi indicati nel documento del Governo occorre defi­nire i necessari provvedimenti correttivi delle norme che regolano i vari settori di spesa (previdenza, sanità, finanza locale), seguendo le linee tracciate nel documento stesso.

Un contributo al risanamento potrà provenire da una riforma del processo di formazione del bilancio dello Stato e della sua struttura che consenta una ri­considerazione della parte discrezionale della spesa in funzione degli obiettivi per­seguiti. Nella spesa in conto capitale le risorse disponibili andrebbero concentrate nella realizzazione di opere in grado di dare un significativo apporto al migliora­mento delle infrastrutture al servizio della produzione.

È necessario, inoltre, che all'azione correttiva dei disavanzi si accompagnino interventi diretti ad accrescere l'efficienza dei processi produttivi nei servizi pub­blici e la loro efficacia nel soddisfaci­

mento dei bisogni della collettività. Im­portante al riguardo potrebbe essere una ridefinizione della linea di demarcazione tra « pubblico » e « privato » nella nostra economia.

Per quanto riguarda la politica mone­taria e i tassi di interesse nel resto del­l'anno, il recente rafforzamento della ma­novra correttiva del fabbisogno del 1990 e la discesa dell'inflazione hanno già con­sentito significative riduzioni dei tassi di interesse. Il loro calo continua a essere favorito dalla fiducia nella stabilità della lira e dall'afflusso di fondi dall'estero. Entro la fine dell'anno, se il disavanzo sarà contenuto nei limiti indicati e i com­portamenti delle parti sociali saranno co­erenti con la discesa dell'inflazione, non è impossibile conseguire risultati migliori di quelli ipotizzati nel documento del Go­verno, che prevede per il dicembre del 1990 un tasso di interesse medio sui BOT dell'ordine dell'I 1,5 per cento.

La crescita della moneta (M2) si è mantenuta fino ad aprile in prossimità del valore centrale della fascia obiettivo del 6-9 per cento. Nei prossimi mesi, spinte a un più rapido accrescimento della massa monetaria potrebbero manife­starsi qualora le banche, per sostenere l'espansione degli impieghi, non riduces­sero i tassi passivi in linea con l'ipotiz­zata flessione del rendimento dei titoli di Stato. L'evoluzione del quadro macroeco­nomico del settembre scorso conferma la validità dell'obiettivo monetario allora in­dicato (espansione della quantità di mo­neta dal 6 al 9 per cento), che la Banca centrale è impegnata a perseguire.

L'evoluzione del credito al settore non statale dovrebbe rimanere nei limiti del 12 per cento, come indicato nel settembre scorso al CIPE. La crescita degli impieghi bancari si va riavvicinando a quella dei depositi; questa tendenza è favorita dal-l'assottigliarsi del portafoglio titoli delle banche: per alcuni istituti, la dimensione del portafoglio si è ormai ridotta a un minimo tecnico e l'andamento della rac­colta è tornato a essere un vincolo per l'ulteriore crescita dei prestiti. Peraltro, tra i vari effetti che conseguono dalla

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liberalizzazione valutaria, vi è anche la graduale perdita di significatività della distinzione tra credito interno e credito dall'estero; infatti, in questi mesi prose­gue a ritmo intenso la crescita del credito concesso a operatori residenti dalle filiali estere delle nostre banche.

In conclusione, ritengo che l'economia italiana, per la sua forza, sia in grado di sostenere l'onere dell'aggiustamento pro­grammato, senza correre rischi di rallen­tamento produttivo, ma anzi vedendo raf­forzate le sue prospettive di sviluppo nel medio termine. Va infatti posto in rilievo che la spesa corrente del bilancio dello Stato non solo terrebbe il passo con l'in­flazione, ma crescerebbe in termini reali del 2 per cento all'anno nel periodo 1991-1993. Il ridimensionamento della spesa in conto capitale troverebbe compenso in un aumento degli investimenti privati stimo­lati dalla riduzione dei tassi di interesse e dal consolidarsi delle aspettative di cre­scita.

Il riequilibrio della finanza pubblica, integrandosi con un'azione coerente di politica economica, potrà rafforzare le prospettive di crescita della nostra econo­mia, consentendo al paese di utilizzare appieno le elevate potenzialità di cui di­spone.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Dini per la sua relazione estremamente lucida che fornisce un quadro completo e abbastanza rasserenante rispetto ad altre analisi che, invece, giorni fa avevano su­scitato motivi di preoccupazione e di al­larme.

GIOVANNI CARRUS. Mi associo al rin­graziamento del presidente per l'inter­vento svolto dal dottor Dini, al quale de­sidero rivolgere una domanda.

Il dottor Dini e, in altre occasioni, i rappresentanti della Banca d'Italia hanno posto la loro attenzione sulla diminuzione del deficit primario, affidando ad una sola variabile - al tasso di interesse anziché allo stock di debito - la diminuzione del­l'incidenza della spesa per interessi nel servizio del debito.

Le chiedo, se non ritenga (così come era avvenuto del resto l'anno scorso a fronte di un ottimismo governativo, aval­lato anche da vari istituti di ricerca, sulla discesa dei tassi) che il tasso di interesse possa divenire una variabile sempre più indipendente dalle autorità di Governo quindi sempre più legata all'andamento dei mercati internazionali.

Lo stock del debito è certamente pre­occupante; vi è una valutazione abba­stanza diversa sulla determinazione del limite di compatibilità del debito rispetto al disavanzo al lordo degli interessi. Vi è insomma una divergenza tra le iniziative parlamentari e quelle governative, per quanto riguarda, per esempio, l'aliena­zione di beni pubblici o le privatizza­zioni. Mentre le iniziative parlamentari tendono a destinare i proventi delle pri­vatizzazioni e delle alienazioni di beni pubblici alla pura e semplice riduzione dello stock di debito, il disegno di legge di iniziativa governativa, in discussione al Senato, sembra più mirato ad ottenere un miglioramento del saldo netto da finan­ziare senza porsi problemi qualitativi.

Giunti a questo punto, anche un azze­ramento del deficit primario porterebbe il nostro fabbisogno ad un livello di circa 125-130 mila miliardi di lire per il solo ed esclusivo servizio del debito pubblicò. Credo sia importante da parte dell'auto­rità monetaria, nel momento in cui i no­stri impegni europei ci portano a bloc­care qualsiasi tentativo di finanziamento monetario del deficit, enfatizzare questo dato veramente preoccupante.

Il secondo problema concerne l'antici­pazione della Banca d'Italia ai fabbisogni del Tesoro, che non è altro che un finan­ziamento monetario del debito. Rispetto agli impegni assunti recentemente al ver­tice di Dublino, ritiene il direttore gene­rale che vi debba essere una revisione legislativa dei limiti entro i quali la Banca d'Italia possa effettuare anticipa­zioni al Tesoro ? Desidero sapere se que­sti siano soltanto impegni politici oppure stiano per diventare impegni istituzionali; se così fosse, dovremmo porre mano ad una riforma della norma che consente le

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anticipazioni della Banca d'Italia al Te­soro per i fabbisogni di cassa.

LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. Onorevole Carrus, il Go­verno si è posto già da alcuni anni l'o­biettivo dell'eliminazione del disavanzo primario. Il secondo obiettivo più ambi­zioso, ma che deve essere perseguito, con­siste nell'eliminazione del disavanzo cor­rente del bilancio dello Stato. Il pro­gramma di Governo si muove in questa direzione in maniera efficace, mirando a ridurre nel 1993 il disavanzo corrente all'1,4 per cento rispetto al prodotto in­terno lordo.

L'obiettivo del programma - che, come ho detto, comporta scelte difficili — è quello di invertire la tendenza del rap­porto debito-prodotto interno lordo nel 1993. Se il programma venisse realizzato, in quell'anno comincerebbe a ridursi il peso dello stock del debito sul prodotto nazionale.

Ritengo che questi siano obiettivi, an­che se ambiziosi, coerenti con un raffor­zamento del processo di crescita; essi de­vono pertanto essere perseguiti. Arrivare al 1993 nelle condizioni indicate dal do­cumento del Governo non significa essere esattamente nelle medesime condizioni degli altri principali paesi europei, perché permarrebbe un fabbisogno complessivo di circa il 6,4 per cento rispetto al pro­dotto interno lordo, quando i disavanzi complessivi dei principali paesi europei sono molto inferiori in rapporto al PIL (nel Regno Unito vi è addirittura un avanzo). Ci troveremmo comunque in fase avanzata di convergenza con la situazione comunitaria.

Mi sembra, quindi, che il documento governativo ponga l'enfasi su un'inver­sione della tendenza fra il peso del debito pubblico ed il prodotto interno.

Per quanto riguarda i tassi d'interesse, lei ha giustamente osservato che essi sono sempre meno nelle mani delle autorità monetarie nazionali. L'Italia (che è parte integrante del Sistema monetario euro­peo) deve perseguire politiche monetarie

che consentano la stabilità della lira en­tro la fascia di fluttuazione. I tassi di interesse permangono elevati, oltre che per le ragioni che ho indicato, anche per una generale scarsità di risparmio che comincia ad avvertirsi nel mondo, a cui si accompagna un peso eccessivo confe­rito dai principali paesi industriali - in primo luogo dagli Stati Uniti - alla poli­tica monetaria per il contenimento della domanda (e quindi dei prezzi) piuttosto che ad un policy-mix diverso nel quale le politiche di bilancio svolgano un ruolo più incisivo.

Per quanto riguarda il secondo quesito da lei sollevato, relativo al conto corrente di tesoreria presso la Banca d'Italia, in effetti non posso che confermare che negli incontri a livello comunitario viene posta come condizione per la prima fase dell'U­nione economica e monetaria l'elimina­zione. - ove esso esista - di un accesso automatico del Tesoro al finanziamento della Banca centrale. È corretto ciò che lei ha affermato, cioè che in Italia do­vremo tener conto della volontà che emèrge a livello europeo nel senso di ri­formare le disposizioni di cui alle norme del 1948, che consentono al Governo l'ac­cesso al finanziamento della Banca d'Ita­lia.

PRESIDENTE. La ringrazio per la sua esauriente risposta. L'onorevole Carrus, come è sua consuetudine, ha consentito alla Commissione un approfondimento della questione.

ARISTIDE GUNNELLA. Ringrazio il di­rettore generale Dini per la sua relazione in ordine alla quale svolgerò una brevis­sima considerazione cui farà seguito una domanda.

Mi sembra che il giudizio della Banca d'Italia sul programma presentato dal Governo sia positivo, pur ritenendo che gli obiettivi siano ambiziosi, ma, nello stesso tempo, è critico perché reputa che si debba compiere uno sforzo enorme per raggiungere tali obiettivi. Sorge quasi il dubbio se tale impegno sia possibile nel-

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l'attuale stato della finanza pubblica sia per la struttura del bilancio sia per quella della pubblica amministrazione, a fronte di un nuovo impegno internazio­nale e di una rinnovata collocazione a livello mondiale dell'Italia. Si tratta di situazioni che stanno maturando nel quadro genenale indicato nel documento del Governo e riassunto nella relazione che il direttore generale della Banca d'I­talia ha presentato oggi alla Commis­sione.

Per non essere onnicomprensivo desi­dero sottolineare un solo aspetto. Il docu­mento del Governo fa leva essenzialmente su un aumento degli investimenti pub­blici in tutti i settori: in quelli di base, nelle infrastrutture e nelle strutture. Tutto ciò dovrebbe essere realizzato — si ritiene - con uno sforzo eccezionale, se­condo quanto illustrato sia nella prima parte del documento del Governo sia nelle parti che riguardano i settori. Tali obiettivi vengono posti mentre assistiamo ad un ridimensionamento nel bilancio de­gli investimenti pubblici ritenuti invece, nel documento governativo, la parte es­senziale della manovra economica per de­terminare le condizioni favorevoli allo sviluppo della struttura privata, del red­dito e conseguentemente del gettito, in definitiva per porre le basi di un riequili­brio finanziario. Allora mi chiedo come si possa conciliare questo fortissimo impe­gno del Governò con il ridimensiona­mento di bilancio che viene richiamato soltanto in una breve battuta finale della relazione del direttore generale; il ridi­mensionamento degli investimenti sa­rebbe compensato dall'aumento dell'atti­vità privata, ma gli obiettivi dell'uno e dell'altra non sono comparabili per quanto riguarda la formazione di tutte le strutture necessarie per lo sviluppo del sistema Italia. Questa è la preoccupa­zione fondamentale che nutro soprattutto in riferimento al Mezzogiorno. Su tale punto, che mi premeva sottolineare con forza, sarà gradita la risposta del dottor Dini.

Il secondo tema che intendo affrontare riguarda le variabili indipendenti legate alla determinazione del tasso d'interesse, le quali possono naturalmente mutare in relazione ai momenti decisionali e pos­sono influire sulla prospettiva program­matica che il Governo si è posto sia per l'inflazione sia per la riduzione del debito primario sia per l'incidenza del debito sul prodotto interno lordo sia, infine, per quanto concerne l'aumento della pres­sione fiscale più alta in Italia ed in lieve calo negli altri paesi, con uno scarto di due punti.

Facendo riferimento ad un errore com­messo ieri in televisione da qualcuno il quale ha sostenuto che la pressione fi­scale nel Mezzogiorno è molto più bassa che al Nord - mentre è esattamente il contrario - vorrei sapere se lei non ri­tenga, dottor Dini, che con l'aumento della base imponibile possano essere dav­vero raggiunti gli equilibri che il Governo indica quale obiettivo prioritario.

LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. La prima domanda dell'o­norevole Gunnella riguarda gli investi­menti pubblici. Il programma di Governo, per i tre anni dal 1991 al 1993 rispetto alle tendenze in atto, prevede una ridu­zione dell'1,4 per cento della spesa cor­rente rispetto al PIL e dello 0,7 per cento' della spesa in conto capitale. Non si pre­vede, quindi, al momento, una riduzione degli attuali livelli delle spese di parte corrente in conto capitale, ma un rallen­tamento della loro crescita. Non posso giudicare se la spesa in conto capitale prevista nel documento del Governo sia sufficiente per soddisfare le necessità di investimento pubblico cui ha fatto riferi­mento l'onorevole Gunnella. Ciò che resta da verificare è se la distribuzione della riduzione della spesa tendenziale tra quella corrente e quella in conto capitale possa essere corretta a favore di quest'ul­tima, operando uno sforzo maggiore sulla prima. Non credo di poter dire di più al riguardo.

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L'onorevole Gunnella ha poi accennato ai tassi d'interesse; ora essi sono in dimi­

nuzione. L'inflazione sta scendendo e se, come previsto, essa si collocherà intorno al 5 per cento alla fine dell'anno, non è irrealistico l'obiettivo del Governo di giungere al 4,5 nel 1991; ciò consenti­

rebbe di proseguire la tendenza alla ridu­

zione dei tassi, che potrebe essere raffor­

zata per effetto di una diminuzione del premio al rischio. Per quanto riguarda i tassi d'interesse, quindi, la realizzazione del programma di Governo dovrebbe ar­

recare i benefìci attesi. A proposito dell'aumento delle ali­

quote fiscali e contributive, il programma prevede un notevole sforzo (2,6 per cento oppure 3,1, se s'includono anche gli ag­

giustamenti delle accise). Potrebbero sor­

gere difficoltà, come ho indicato nella re­

lazione, dal pieno ristorno del fiscal drag, dalle possibili armonizzazioni fiscali co­

munitarie e dall'atteggiamento del Go­

verno verso gli oneri impropri a carico delle imprese. È uno sforzo non indiffe­

rente, ma realizzabile se si pensa al grado di evasione, elusione ed erosione delle aliquote. Consideriamo cioè possi­

bile il raggiungimento dell'obiettivo rela­

tivo alle entrate soprattutto attraverso la riduzione delle aree di evasione, piuttosto che con un aumento delle aliquote. A fine periodo, secondo l'obiettivo del Governo, in Italia si arriverebbe ad una pressione fiscale superiore di 2 punti a quella degli altri paesi. Pertanto, riteniamo non perse­

guibile la strada di ulteriori inasprimenti fiscali rispetto a quelli programmati, an­

che per mantenere la concorrenzialità del sistema Italia nei riguardi degli altri paesi.

BENIAMINO ANDREATTA, Presidente della V Commissione permanente del Se­

nato. Desidero innanzitutto fare un'osser­

vazione: anche quest'anno vi è nella rela­

zione della Banca d'Italia una tabella ma­

liziosa, la n. 4, con la quale il dottor Dini ci suggerisce che lo sforzo da lui definito « non indifferente, ma realizza­

bile », è lo stesso che in qualche data degli anni ottanta hanno compiuto tutti i

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paesi europei, operando una riduzione (o­

scillante tra il 5 ed il 10 per cento) del deficit primario rispetto al PIL. È interes­

sante notare come in tutti i paesi in cui negli anni Ottanta si è tentata e rea­

lizzata una politica di stabilizzazione non vi siano stati rallentamenti o interruzioni nella crescita del PIL.

La Banca d'Italia ha pubblicato nella relazione una nuova tabella molto inte­

ressante sull'andamento della creazione di liquidità per conto del tesoro, su base giornaliera. Da questa risulta un'estrema volatilità, per percentuali molto alte, dello stock monetario, per effetto del ti­

raggio intramensile del conto di tesoreria. Personalmente, ritengo molto meno preoc­

cupante il problema dell'apporto annuale al finanziamento del Tesoro (che può es­

sere fornito attraverso il conto di tesore­

ria) rispetto alla « volatilità » piuttosto ri­

levante, della creazione mensile di mo­

neta che ritengo comporti qualche diffi­

coltà, naturalmente saggiamente ammini­

strata dalla Banca d'Italia attraverso ope­

razioni pronti contro termine. Vorrei sa­

pere se la « volatilità » di cui ho parlato rappresenti un problema serio di gestione della politica monetaria. Desidero inoltre qualche chiarimento in ordine ad un al­

tro punto. Il Governo pensa di poter far fronte, nei primi anni (soprattutto attra­

verso la vendita di azioni di enti già organizzati in società per azioni o da tra­

sformare in società di questo tipo) al fi­

nanziamento del deficit. Naturalmente, non si tratta di collocare tali azioni sol­

tanto sul mercato italiano, anche se, os­

servando le esperienze degli altri paesi, si può effettivamente notare che le privatiz­

zazioni sono state in gran parte assorbite dal mercato domestico. Pertanto, data la dimensione dell'attuale assorbimento del­

l'emissione di nuovi titoli sul mercato fi­

nanziario italiano, vorrei sapere se il dot­

tor Dini ritenga che vi possano essere difficoltà per un assorbimento aggiuntivo di 6­7 mila miliardi.

Nella semantica della Banca d'Italia si colloca ancora come obiettivo la crescita degli aggregati monetari ­ M2 ­ , nell'am­

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bito di una determinata forchetta; con­temporaneamente, ci viene detto che la crescita di tali aggregati non dipende più dal comportamento delle autorità. Se, al­lora, consideriamo tale elemento come una meta da raggiungere, può sembrare effettivamente troppo alto ed inflazioni­stico un obiettivo che si colloca tra il 6 ed il 9 per cento: esso tenderebbe a rico­noscere tutta la dinamica dei prezzi esi­stente, senza agire come elemento di con­tenimento. In realtà, però, la Banca d'Ita­lia non ha la libertà di determinare tale obiettivo, perché esso in un mercato aperto dei capitali è largamente determi­nato dai comportamenti dell'economia; pertanto in queste condizioni la crescita della base monetaria è il sottoprodotto della crescita dell'inflazione e del reddito. Mi domando, allora, se non convenga ac­centuare questa presunta area di autorità della Banca d'Italia, quando in realtà si tratta di evitare che si formino movi­menti disordinati. La soluzione non è fa­cile. Sappiamo, infatti, che il nostro non è il paese centrale del sistema; le monete agganciate a quella del paese centrale del sistema, infatti, hanno come unico obiet­tivo quello di restare nel mercato. Se, invece, quello ricordato dovesse essere an­nunciato come un obiettivo di rigore, mi sembra che esso presenterebbe - a con­fronto con quelli delle altre banche cen­trali - un eccésso verso l'alto, rispetto ad una politica antinflazionistica.

Infine, mi domando se la Banca d'Ita­lia non sia preoccupata della tendenza all'accumulo di debiti netti verso l'estero, cioè dei cosiddetti debiti invisibili che ca­ratterizzano, in gran parte, la nostra bi­lancia dei pagamenti. Infatti, per la parte relativa ai redditi da capitale i debiti invisibili rappresentano 10 mila miliardi di esborso, mentre risulta rilevante il tasso di aumento dell'accumulo della po­sizione debitoria netta sull'estero. Proba­bilmente la politica di stabilizzazione avrà anche un effetto su quest'anda­mento, ma se non vi sarà un cambia­mento della tendenza in atto, potremmo

trovarci con 300-400 miliardi di lire di accumulo di debito estero. Tuttavia, an­che nel caso in cui fosse possibile rea­lizzare una politica di stabilizzazione, l'impressione ricavata dalle simulazioni compiute è che la tendenza attuale non muterebbe ugualmente.

LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. Per quanto riguarda la prima domanda posta dal senatore Andre­atta, relativa alla creazione della liquidità tramite il conto corrente del Tesoro, sono stati rilevati non solo una notevole varia­bilità, ma anche un ricorso mediamente più elevato, nel mese, di quello previsto per la fine del mese dalle disposizioni vigenti. Tuttavia, ciò non ha posto pro­blemi seri, in quanto la Banca d'Italia è in condizione di compensare la liquidità che il Tesoro crea giorno per giorno at­traverso le proprie operazioni di mercato aperto. In ogni caso, il problema po­trebbe sussistere anche se il conto cor­rente di tesoreria venisse abolito. Infatti, per il Tesoro l'abolizione del conto cor­rente implicherebbe la necessità di costi­tuire un « cuscinetto » di cassa per far fronte agli sbilanci giornalieri fra entrate e uscite.

Dunque, anche nel caso in cui si costi­tuisse quel « cuscinetto », ricorrendo eventualmente ad una maggiore emis­sione di titoli, nel momento in cui il Tesoro utilizzasse questo conto corrente positivo, evidentemente la liquidità conti­nuerebbe a variare così come avviene oggi. Quindi, a me sembra che, con gli strumenti attualmente a disposizione, sia possibile compensare le fluttuazioni di li­quidità causate dal Tesoro nel corso del mese.

Per quanto riguarda la vendita di azioni e le privatizzazioni, non crediamo che sia difficile assorbire 6-7 mila mi­liardi nel corso di un anno; ci sembra invece piuttosto difficile identificare quei beni e quelle società che nel corso di un anno possano portare a flussi di quell'or­dine. In effetti, se si guarda alle socie-

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■tà quotate (bancarie e non), collocamenti dell'ordine di 5 mila miliardi possono si­

gnificare operazioni di privatizzazione piuttosto ragguardevoli.

A proposito degli obiettivi monetari, il senatore Andreatta ha indicato, giusta­

mente, come il controllo della moneta si sia ridotto con l'apertura dei mercati e l'appartenenza al Sistema monetario eu­

ropeo, di modo che la crescita della mo­

neta (M2) fra il 6 ed il 9 per cento po­

trebbe risultare alta, rispetto all'obiettivo di ridurre ulteriormente l'inflazione.

Noi riteniamo che tale crescita, oltre a non essere necessariamente restrittiva del­

l'attività economica, possa, nel contempo, conciliarsi con la situazione corrente, nonché con una bilancia dei pagamenti che, grosso modo, nel corso di questi ul­

timi anni ed anche nel 1990, ha manife­

stato disavanzi continui, ma contenuti. Il ricorso alla leva monetaria per forzare i prezzi al ribasso significherebbe tassi d'interesse più elevati, i quali di per sé potrebbero indurre afflussi di capitali dal­

l'estero e, conseguentemente, rendere più difficile il controllo della domanda in­

terna. L'obiettivo da raggiungere può es­

sere considerato non rigoroso, ma certa­

mente non è lassista: noi lo consideriamo in linea con la crescita spontanea dell'e­

conomia e non certo in grado di causare, di per sé, squilibri insostenibili, in parti­

colare nella bilancia dei pagamenti. Anche se i limiti quantitativi all'e­

spansione monetaria appaiono, nel nuovo assetto, meno significativi a livello nazio­

nale, essi mantengono tutte le loro vali­

dità a livello di creazione monetarie euro­

pee. In effetti, il coordinamento delle po­

litiche monetarie europee si effettuerà at­

traverso la fissazione di limiti quantita­

tivi. Un andamento negativo nell'ambito

della bilancia dei pagamenti, presenta il saldo delle partite invisibili, in relazione sia ai flussi turistici, sia alle remunera­

zioni del debito estero. Nel 1989 il saldo di tali partite è risultato negativo per oltre 90 mila miliardi, livello da ritenere elevato. Tuttavia, senatore Andreatta, a me non pare che esso sia suscettibile di

portare, rapidamente, ad un accumulo di debito estero delle dimensioni da lei indi­cate e che possa rappresentare un ele­mento destabilizzante della nostra econo­mia. Mentre da un lato l'apertura dei mercati e la liberalizzazione valutaria fa­voriscono un afflusso di fondi in grado di facilitare la crescita dell'economia, dal­l'altro esse generano una fuoriuscita di fondi, a causa della diversificazione dei portafogli, in particolare da parte delle famiglie. Finora i flussi verificatisi non hanno assunto un livello tale da destare preoccupazione, anche se nella relazione ho posto l'accento sulla crescita dell'inde­bitamento netto; se esso dovesse aumen­tare ulteriormente, si imporrebbe la ne­cessità di adottare politiche monetarie più restrittive.

GIORGIO MACCIOTTA. Innanzitutto, vorrei rifarmi ad una questione già posta dal senatore Andreatta, cioè quella rela­tiva ai flussi intramensili della tesoreria.

Concordo con quanto ha affermato poco fa il direttore generale della Banca d'Italia, ma ritengo che dovrebbe esservi, comunque, un « cuscinetto » per far fronte alla differenza giornaliera tra en­trate ed uscite. Vi è però la necessità di rendere esplicito un uso dei flussi che, al momento, appare distorto. Da questo punto di vista, taluni suggerimenti offerti dalla commissione Spaventa (la quale prevedeva la valutazione media dell'espo­sizione di tesoreria) potrebbero rappresen­tare uno dei modi con cui responsabiliz­zare maggiormente il Tesoro ed evitare usi eventualmente distorti del conto cor­rente di tesoreria, con rientri a fine mese ­ per restare nei margini ­ e con mag­giori scoperti nel corso del mese.

Vorrei conoscere l'opinione della Banca d'Italia, anche in relazione a quanto è stato esplicitato in documenti scritti del Ministero del tesoro.

La seconda domanda che desidero porle, dottor Dini, è relativa alla sotto­scrizione all'estero dei titoli del debito pubblico. La Banca d'Italia ritiene che essa sia sotto controllo ? Inoltre, vorrei conoscere le dimensioni di tale sottoscri­zione e quali problemi potrebbero porsi

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in relazione alla compiuta liberalizza­zione dei mercati.

Una terza domanda riguarda l'infla­zione, a proposito della quale il Governo prevede tassi abbastanza contenuti. In particolare, le chiedo quale tasso d'infla­zione tendenziale la Banca d'Italia ritiene compatibile a fine anno, tenendo conto che ci si è proposti di raggiungere l'obiet­tivo di un tasso medio del 5,5 per cento ? Tale tasso medio è ritenuto dalla Banca d'Italia in linea con le successive evolu­zioni dell'inflazione previste nel decennio, eventualmente anche in relazione all'input di inflazione internazionale dei prossimi anni ?

LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. Onorevole Macciotta, per quanto riguarda il conto corrente del Te­soro, il documento della commissione Spaventa era stato predisposto prima che in sede comunitaria si manifestasse con­senso sull'abolizione di ogni accesso auto­matico alla Banca centrale. Credo che quella commissione prevedesse di costi­tuire un fondo per far fronte alla stagio­nalità degli sbilanci tra entrate e spese modificando il ricorso al conto corrente di tesoreria. Quella maniera di vedere il problema a me pare superata dalla ten­denza, ora prevalente in sede comunita­ria, che dovrebbe portare, se non all'abo­lizione, ad una sostanziale revisione del­l'automaticità di accesso al conto cor­rente di tesoreria.

Per quanto riguarda i titoli del debito pubblico, le emissioni di certificati in ECU sono sottoscritte in buona parte da non residenti. Si tratta di emissioni lorde dell'ammontare di circa 1000-1500 mi­liardi di lire al mese. Poiché tali titoli quando sono in scadenza vengono nor­malmente rinnovati, l'importo netto sotto­scritto risulta essere molto minore. Per quanto riguarda la consistenza, i nostri dati mostrano che i titoli pubblici netti nelle mani di non residenti alla fine del 1989 ammontavano a circa 10 mila mi­liardi di lire. Si tratta, quindi, di un

volume non rilevante rispetto alle dimen­sioni dell'economia ed ai flussi monetari e finanziari.

L'andamento dell'inflazione nel 1990, è compatibile con l'obiettivo del Governo del 5,5 per cento; ciò implica che il tasso d'inflazione tendenziale nel corso del se­condo semestre scenda al 5 per cento, dato che ad inizio d'anno esso era pari al 6 per cento.

Questa tendenza al ribasso, a meno di sconvolgimenti di natura esterna, quali eventuali importanti cambiamenti del li­vello del cambio del dollaro o dei prezzi delle materie prime, in particolare del petrolio, dovrebbe consentire senza ecces­sive difficoltà il raggiungimento dell'o­biettivo del 4,5 per cento stabilito per il 1989. Anzi, per alcuni tale obiettivo po­trebbe essere considerato non sufficiente­mente ambizioso: se la manovra di bilan­cio impostata in maggio sarà realizzata e se l'evoluzione delle retribuzioni non ec­cederà i limiti previsti, vi sono buone possibilità di contenere l'inflazione entro il limite indicato.

GIORGIO MACCIOTTA. Il contenimento dell'evoluzione delle retribuzioni mi sem­bra un'ipotesi abbastanza irreale.

LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. Onorevole Macciotta, il ritmo di crescita delle retribuzioni lorde pro capite è dell'ordine del 7-8 per cento annuo. Se si accettassero nella loro inte­rezza le piattaforme sindacali sugli aumenti retributivi, l'aumento sarebbe dell'ordine del 10 per cento. Come ho dichiarato nella mia relazione, preve­diamo che il ritmo di tali aumenti nel corso dell'anno rimarrà sui livelli indi­cati; per essere in linea con gli obiettivi del Governo, è necessario che successiva­mente gli aumenti si riducano in funzione del calo del tasso d'inflazione e dell'incre­mento della produttività media dell'intera economia, che riteniamo si attesterà al 2 per cento annuo.

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GIUSEPPE GUARINO. Signor direttore generale, ritengo che vi sia una certa mancanza di omogeneità tra quanto si afferma nella sua relazione a pagina I l e ciò che, invece, si sostiene a pagina 6 del medesimo documento da noi letto in modo necessariamente frettoloso. A me pare di intendere che nel primo capo­verso di pagina 11 vi sia un'affermazione di fatto ed una previsione quando si so­stiene che: « Il recente rafforzamento della manovra correttiva del fabbisogno del 1990 e la discesa dell'inflazione hanno già consentito significative riduzioni dei tassi di interesse ». A pagina 6, invece, leggo che: « Il riacuirsi dell'inflazione in Italia e l'aumento dei tassi di interesse nei principali paesi industriali a partire dall'autunno non hanno consentito nel 1989 la programmata discesa dei nostri tassi sui titoli pubblici ».

Quanto alle previsioni per il futuro, la diminuzione dei tassi, anche al di là degli obiettivi ipotizzabili nel documento del Governo, la si collega in modo particolare alla discesa dell'inflazione, mentre da quanto desumo da pagina 6 e ancora da quanto si afferma a pagina 11, secondo capoverso, sembra che si debba attri­buire, invece, ad . un preminente anda­mento dei tassi internazionali. Se questi ultimi sono determinati dalla domanda per investimenti (che deriverà in partico­lare dall'unificazione tedesca e dall'aper­tura dei mercati, quindi da una politica di espansione anche interna degli impie­ghi che indurrebbe una maggiore richie­sta di credito interno, indipendentemente dall'inflazione) è probabile che anche nel prossimo anno si abbia un aumento dei tassi internazionali, con riflessi anche su quelli interni. Aggiungerei a tutto ciò il fenomeno delle attese in relazione a ciò che sta accadendo nell'Europa orientale.

Nell'eventualità che prevalga l'effetto internazionale anziché quello interno con­nesso alla discesa dell'inflazione, mi do­mando - naturalmente questo non ri­guarda tanto l'istituto di emissione, quanto le valutazioni del Parlamento - se il giudizio e le preoccupazioni per il fu­turo non debbano essere molto più cauti

e se non si debba richiamare l'attenzione su tale questione molto di più di quanto non avvenga anche nella relazione del di­rettore generale della Banca d'Italia. Il dottor Dini mentre da una parte apprezza l'obiettivo della manovra governativa, dall'altra solleva dubbi ragionevoli per ciascuna delle componenti della manovra stessa, la quale dovrebbe riguardare so­prattutto tre aspetti tra cui la manovra fiscale, per la quale si pone in evidenza la necessità di incidere sull'evasione e sull'elusione fiscale. Sappiamo come fino a questo momento siano stati vani tutti i tentativi e non mi risulta che sia stato ipotizzato dal documento governativo un sistema per arrivare a tale risultato, men­tre sappiamo come le manovre condotte fino a questo momento - in modo parti­colare l'aumento delle aliquote sull'impo­sizione indiretta - siano state sicura­mente una delle componenti che ha ri­dotto l'andamento dell'inflazione.

Inoltre, nello stesso documento, si mette in rilievo - personalmente ne sono perfettamente convinto - che l'impossibi­lità di ottenere un'armonizzazione fiscale per via autoritaria in ambito CEE deter­minerà una situazione di svantaggio per i paesi che non vi provvederanno autono­mamente; di conseguenza, quanto più aumentiamo le aliquote, soprattutto del­l'imposizione indiretta, tanto più penaliz­ziamo il nostro paese.

Per quanto concerne la spesa, consi­dero la percentuale di spesa della pub­blica amministrazione in Italia non tra le più elevate rispetto agli altri paesi, ed anzi ritengo che essa sia abbastanza con­tenuta: ciò è preoccupante perché l'Italia è ancora uno dei paesi che ha maggiore bisogno di capitalizzazione sociale, nelle ferrovie, nelle strade e, soprattutto in al­cune zone, nelle scuole e negli ospedali. Inoltre, va tenuto presente che nel nostro paese alcuni costi sono più elevati a causa della situazione geografica e morfo­logica (per esempio, nelle zone di monta­gna e di alta collina). Ho, pertanto, l'im­pressione che incidendo sulla spesa si possano bloccare investimenti già in corso, con effetti (cui si accenna rapida-

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mente anche nel documento al nostro esame), da ritenersi più negativi che posi­tivi.

Anche con riferimento alla spesa, pe­raltro, vi è una notevole differenza tra « il dire e il fare »; dovremmo, infatti, essere certi che i provvedimenti diretti alla riduzione della spesa siano in grado di produrre effetti immediati nel corso dell'anno !

Per quanto riguarda il terzo punto, quello delle cessioni (argomento di cui ultimamente si discute molto), va consi­derato l'interrogativo sollevato dal sena­tore Andreatta circa l'esistenza di un ri­sparmio disponibile per l'acquisizione dei beni in questione, o se, in sua assenza, tali acquisizioni dovranno essere finan­ziate mediante il credito, il che determi­nerebbe non solo un ritorno al punto di partenza, ma anche un incentivo al­l'aumento dei tassi di interesse. Quello che è più difficile, però, è predisporre misure legislative che siano operative in tempi brevi.

Le misure indicate finora non incidono sul bilancio dello Stato: per esempio, la normativa sulla trasformazione delle ban­che pubbliche in società per azioni sicu­ramente non produrrà alcun beneficio per il bilancio statale perché il ricavo dalle partecipazioni vendute rimarrà agli enti pubblici, attualmente proprietari delle aziende di credito. Anche se consideriamo cessioni nell'ambito delle partecipazioni statali, dobbiamo ritenere che non potrà prodursi alcun effetto diretto sul bilancio dello Stato, che potrebbe invece rea­lizzarsi se trasformassimo gli enti di ge­stione in società a partecipazione statale, con notevole alterazione degli attuali equilibri, anche istituzionali. Svolgo tali considerazioni per dimostrare che le diffi­coltà di ordine istituzionale nel persegui­mento degli obiettivi che ci proponiamo non devono essere sottovalutate.

Se ci rendiamo conto che i tre mezzi tecnici che dovrebbero rendere attuabile la manovra possono dar luogo a problemi di elaborazione e di applicazione a livello istituzionale e che comunque essi non ci consentono di prevedere risultati in tempi brevi, resta il fatto che il nostro sistema

appare affidato a variabili esterne: i tassi internazionali d'interesse, il prezzo del petrolio e l'andamento del turismo. Per quanto concerne il prezzo del petrolio, dovremmo porci ogni anno una domanda relativa al suo prevedibile livello (il Go­verno dovrebbe in proposito impegnarsi ogni anno in una previsione il più atten­dibile possibile): per esempio, nel pros­simo anno, probabilmente si registrerà un aumento del prezzo del petrolio, poiché a ciò conducono interessi concorrenti. Non va sottovalutata inoltre, la maggiore pro­duzione che si rende necessaria per rifor­nire di beni i paesi dell'Europa orientale.

Se teniamo conto di tali valutazioni e del fatto che la « comunitarizzazione » conseguente all'Atto unico europeo e ad una serie di sue applicazioni privano l'autorità monetaria della parte più im­portante dei poteri di cui disponeva nel passato, credo che dovremmo esprimere un giudizio di attenta preoccupazione ed invocare provvedimenti più radicali ri­spetto a quelli oggi all'attenzione del Go­verno, al fine di soddisfare le esigenze del nostro paese.

In particolare, sul seguente punto vor­rei una risposta precisa: se sia vero che i poteri dell'autorità monetaria vanno gra­dualmente scomparendo rispetto al loro assetto originario e che, dipendendo da variabili esterne, dovremmo avere un margine molto ampio di flessibilità nella manovra interna. A ciò non è possibile giungere con la strumentazione politica e giuridica che stiamo immaginando, come del resto è possibile constatare nell'altro grafico, che non è stato ancora richia­mato, ma è molto rilevante, dimostrando che, nonostante tutte le politiche cui fac­ciamo riferimento negli ultimi anni, l'in­cidenza dell'indebitamento sul prodotto interno lordo è salita notevolmente, arri­vando al 98,3 per cento nel 1989, mentre era il 93 per cento nel 1987 ed il 95,6 per cento nel 1988; ciò dimostra che il peri­colo che tale incidenza si accresca anche nel prossimo anno è realistico, nonostante tutti i programmi (e fino a quando essi rimarranno contenuti in determinati àm­biti).

Atti Parlamentari — 17 — Camera dei Deputati

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LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. Cercherò di rispondere alle considerazioni dell'onorevole Guarino, os­servando innanzitutto che, a nostro giudi­zio, gli obiettivi fissati nel documento del Governo sono compatibili con il quadro macroeconomico ivi delineato. Le conside­razioni che ho svolto partono dall'ipotesi che il programma sia realizzato, per quanto i suoi intenti possano apparire ambiziosi.

La realizzazione degli obiettivi con­duce ad un'inversione di tendenza nel rapporto tra lo stock del debito ed il prodotto interno lordo; ciò rappresente­rebbe un successo notevole, anche se esso sarà raggiunto soltanto nel 1993.

Per quanto concerne le entrate, ho sot­tolineato che forse vi saranno difficoltà per conseguire il previsto obiettivo del­l'aumento del 2,6 per cento del peso delle entrate sul PIL. Tuttavia, esso non mi sembra richiedere uno sforzo eccezionale, tenendo conto del fatto che l'Italia pre­senta un'economia forte ed in continua espansione; visto che il prodotto interno continua a crescere al ritmo del 3 per cento, o più appare realizzabile un aumento della pressione fiscale nella mi­sura dello 0,8.

I livelli della nostra spesa pubblica, al netto degli interessi sul debito, sono già in linea con quelli comunitari. Non si può quindi affermare che l'Italia sia di­vergente, perché la sua spesa pubblica rapportata al PIL è più bassa rispetto a quella degli altri paesi. Nulla impedisce evidentemente alle autorità, in particolare al Parlamento, di fissare limiti di spesa più elevati di quelli degli altri paesi. Tut­tavia ciò avrebbe conseguenze dal lato della fiscalità; un aumento del livello della pressione fiscale, notevolmente al di sopra di quello degli altri paesi, produr­rebbe riflessi negativi sulla competitività del sistema italiano.

ARISTIDE GUNNELLA. Allora questo potrebbe suggerire nella previsione una leggera diminuzione dal 2,6 al 2,2, per

evitare scostamenti eccessivi tra noi e gli altri paesi ?

LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. Muoversi nella direzione che lei indica significa compiere uno sforzo ancora maggiore verso un'ulteriore riduzione della spesa, dato l'obiettivo di diminuire i disavanzi indicati nel docu­mento; è una questione di dosaggio, sulla quale spetterà al Governo ed al Parla­mento prendere decisioni.

Per quanto riguarda i tassi, forse non è chiaro quello che appare alle pagine 11 e 6 della relazione che ho rassegnato. A pagina 11 è indicato che nel corso del 1990 i tassi di interesse sono in diminu­zione; in effetti, essi sono calati notevol­mente. Nel 1989 era stato impossibile raggiungere una riduzione dei tassi, prin­cipalmente a causa dell'aumento del tasso di inflazione.

In effetti i tassi medi netti sui BOT nei primi cinque mesi dell'anno sono diminuiti dell'1,20 per cento, essendo passati dall'I 1,40 circa al 10,20 per cento, a fronte di una riduzione dell'in­flazione dello 0,8, ossia dal 6,5 al 5,7 per cento; ciò significa che i tassi reali di interesse hanno registrato una sensi­bile diminuzione in un arco di tempo limitato.

Le osservazioni di pagina 6 della rela­zione riguardano, ciò che non è stato pos­sibile conseguire nel 1989, a causa del­l'aumento dell'inflazione, specialmente per quanto concerne gli obiettivi che erano stati posti nel documento di pro­grammazione economico-finanziaria per gli anni 1990-1992, il quale prevedeva, a fine periodo, l'allineamento dei tassi di interesse alla crescita del prodotto. Il quadro internazionale è cambiato e si può temere che questo obiettivo possa non essere raggiunto neppure nel 1993, a meno che vi sia un mutamento nel policy mix da parte dei grandi paesi industriali, a cominciare dagli Stati Uniti.

Pertanto, una discesa dei tassi reali di interesse richiede più incisive politiche fi-

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scali e di bilancio nei grandi paesi, com­presa la Germania, che dovrà far fronte a spese aggiuntive dell'ordine di 2-3 punti percentuali del prodotto interno in cia­scuno dei tre anni a venire, e che do­vranno in qualche modo essere finanziate.

ADA BECCHI. La prima domanda che intendo rivolgerle è relativa alla que­stione di cui alle pagine 2 e 3 della sua relazione nella quale vi sono due punti che non capisco. Innanzitutto, non com­prendo su quali basi la Banca d'Italia stimi (mi sembra di capire che si tratti di una stima della Banca e non del docu­mento ufficiale del Governo) un incre­mento medio della produttività del 2 per cento annuo, essendo noto - e del resto ricordato in questo appunto — che la do­manda nell'ultimo periodo è rimasta su livelli elevati soprattutto a causa della componente investimenti. Nel prossimo triennio dovrebbe quindi registrarsi un aumento della produttività come conse­guenza anche dell'elevato livello di inve­stimenti che è stato realizzato nell'ultimo periodo e che dovrebbe contribuire ad ac­crescere il tasso medio di aumento della produttività rispetto al trend. Non com­prendo bene perché si parli del 2 per cento e chiedo spiegazioni sul modo in cui è stato effettuato il calcolo.

Vengo ora al secondo punto che non comprendo. Non credo di essere l'unica (anche se il dottor Dini ha alle spalle un'esperienza internazionale e non so dove fosse a metà degli anni sessanta) a ricordare che a metà degli anni sessanta questo paese ha sperimentato un dibattito sulle modalità di realizzazione di una po­litica dei redditi. Da allora la cosa ha funzionato molto poco, come ricordiamo tutti; sia l'ipotesi di politica dei redditi centralizzata, sia quella di politica dei redditi decentrata non hanno avuto so­stanzialmente una vera adozione, non se ne è più parlato, ed i richiami che la Banca d'Italia fa ogni anno alla politica dei redditi hanno poca credibilità, al punto che l'avvocato Agnelli, commen­tando le considerazioni finali del Gover­natore il 31 maggio scorso, ha affermato

che di politica dei redditi si parla, ma poi non la si attua.

La domanda sta « a valle » di queste considerazioni un po' sconfortate e scon­fortanti ed è la seguente: nel corso degli anni ottanta abbiamo assistito ad un ria­prirsi dei differenziali retributivi interset­toriali che ha riportato (in questo mo­mento non ricordo esattamente le quan­tità, ma solo le tendenze) la situazione dei differenziali retributivi tra settori e, in particolare, tra lavoratori dell'industria e lavoratori del settore pubblico intorno alle condizioni degli anni sessanta. La tendenza si è ulteriormente accentuata in questo periodo. Sappiamo che lo splafo-namento della spesa del 1990 rispetto a quanto programmato è stato dovuto fon­damentalmente a due voci: le retribuzioni del pubblico impiego e gli interessi. Vor­rei sapere se la Banca d'Italia ritenga che non sia fair predicare la politica dei red­diti a questo punto, nel quale (del resto la stampa ha correttamente interpretato così le considerazioni finali lette dal Go­vernatore il 31 maggio) sembra inevitabil­mente un'esortazione rivolta ai contratti del settore privato che sono in questo momento in corso di negoziazione, esorta­zione che non ha nemmeno il pudore di essere fatta almeno dopo una valutazione di quello che è stato il peso sulla finanza pubblica dei contratti rinnovati recente­mente - cioè negli ultimi due anni — nel settore pubblico. Le sarei grata se potesse dare un chiarimento a questi sospetti o a queste critiche che sono state rivolte.

Un'ultima brevissima domanda è rela­tiva alla spesa in conto capitale. Nello scenario prefigurato dal Governo, la spesa in conto capitale avrebbe una contrazione nell'arco del prossimo triennio. Vi sono però molti elementi che suggeriscono un'interpretazione peculiare di questa contrazione, perché vi è una tendenza a recuperare un modo di finanziamento de­gli investimenti pubblici che era stato adottato tra la fine degli anni cinquanta e l'inizio degli anni sessanta (e forse an­che dopo), cioè di autorizzare le imprese pubbliche o a partecipazione statale ad

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emettere obbligazioni con cui finanziare spese in conto capitale di breve periodo, essendo queste emissioni obbligazionarie totalmente coperte dal contributo dello Stato. Se di questo si trattasse, questa riduzione della spesa in conto capitale sarebbe evidentemente una finzione che ipotecherebbe pesantemente il futuro.

PIETRO SODDU. Nella relazione del dottor Dini ed anche nei documenti del Governo, sia quello di programmazione, sia quello a medio termine, ho notato un certo ottimismo. L'esperienza degli anni scorsi, invece, ci porta a dubitare che tale programma abbia successo poiché non lo ha avuto nel passato. Desidero allora porre una domanda forse ingenua: quali sono i motivi che hanno ingenerato l'in­successo degli anni scorsi, quali ancora persistono e quali abbiamo superato ?

Sono stati posti obiettivi a medio ter­mine molto ambiziosi e aggiungerei molto onerosi dal punto di vista della finanza pubblica, a cominciare dall'am­modernamento generale della pubblica amministrazione, dal recupero delle sac­che di inefficienza ed anche dalla lotta ad alcuni fenomeni come quello dell'evasione fiscale, della criminalità organizzata e di tanti altri di cui conosciamo l'esistenza.

LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. La prima domanda dell'o­norevole Becchi riguardava la produtti­vità. Abbiamo assunto come punto di ri­ferimento la media della produttività per l'intera economia degli ultimi cinque anni, che si è assestata su circa il 2 per cento. Il periodo di forte aumento della produttività connesso con la ristruttura­zione del sistema industriale è in parte superato; pertanto, non prevediamo — a meno che aumenti il ritmo degli investi­menti anche attraverso la realizzazione del programma di Governo sulla finanza pubblica - che la produttività possa es­sere mediamente più elevata. Nel settore di trasformazione industriale essa è stata mediamente superiore ogni anno a quella dell'intera economia.

Prevediamo che le retribuzioni media­mente debbano adeguarsi al ritmo della produttività per l'intera economia e non a quello per determinati settori; per esempio, nel campo dei servizi la produt­tività è più bassa.

ADA BECCHI. E le retribuzioni sono più alte.

LAMBERTO DINI, Direttore generale della Banca d'Italia. Questo è l'obiettivo per realizzare una produttività media della quale tener conto nelle retribuzioni lorde pro capite.

Per quanto riguarda la politica dei redditi, a noi sembra che senza una poli­tica rigorosa e senza che il Governo sta­bilisca limiti quantitativi, i comporta­menti non tenderanno ad allinearsi ai grandi obiettivi del paese (il primo dei quali è rappresentato dalla collocazione europea dell'Italia). Per compiere passi verso il conseguimento di tali obiettivi occorre una maggiore consapevolezza di ciò che è necessario per una crescita equilibrata della nostra economia: le re­tribuzioni devono crescere in linea con la produttività, come accade nei principali paesi della Comunità, per favorire in par­ticolare l'occupazione e gli investimenti.

Del resto - e vengo al problema del rapporto pubblico-privato - la stretta del cambio è di per sé un fattore limitativo della crescita della remunerazione dei set­tori dell'economia aperti alla concorrenza internazionale. Nel settore industriale, in particolare, la competitività di prezzo è in diminuzione; nel corso del 1989 essa è scesa del 2,9 per cento. Sono considera­zioni che le imprese esposte alla concor­renza non possono ignorare. Lei ha no­tato, giustamente, che gli aumenti retri­butivi nel pubblico impiego negli ultimi anni hanno superato quelli concessi nel settore privato; forse vi era un recupero da realizzare per lo meno sulle remunera­zioni nominali. Rispetto ai livelli di pro­duttività è difficile operare un confronto, perché esse nei servizi, ed in quelli pub­blici in particolare, sono di difficile misu­razione. In particolare i contratti del set-

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tore pubblico, stipulati nel corso del 1989 e del 1990, eccedono i limiti che abbiamo indicato come coerenti con la realizza­zione del programma di Governo. Comun­que non possiamo che prendere atto di quanto è accaduto ed indicare ciò che è necessario predisporre in avvenire per quanto riguarda le compatibilità.

L'avvocato Agnelli, cui lei ha fatto ri­ferimento, conosce molto bene la situa­zione della sua azienda e del settore automobilistico e sa quali siano le possi­bilità di variazione delle remunerazioni per rimanere sul mercato. Quindi, la con­trattazione in quel settore ed in altri avrà luogo tenendo conto di quelle che sono le compatibilità di azienda e del vincolo del cambio, che sta diventando un punto di riferimento fondamentale nella condotta della politica economica.

Per quanto riguarda la spesa in conto capitale, lei ha fatto una osservazione pertinente: la sua contrazione, prevista nel programma di Governo è dello 0,7 per cento nell'intero periodo. Natural­mente, se le imprese pubbliche fossero autorizzate — come lei dice - ad emettere titoli garantiti dalla Stato per il finanzia­mento degli investimenti, si opererebbe uno spostamento di spesa dallo Stato agli enti pubblici, ma il risultato rimarrebbe invariato.

L'onorevole Soddu notava un certo ot­timismo nella relazione che stride se po­sto a raffronto con gli insuccessi del pas­sato nel controllo della finanza pubblica. Tali insuccessi sono derivati in partico­lare dall'andamento della spesa pubblica, soprattutto a causa dei contratti del pub­blico impiego che hanno pesato più del previsto, ed anche dall'andamento dei tassi di interesse ai quali abbiamo fatto ampio riferimento. Si prevedeva una loro diminuzione sul piano internazionale ed

in Italia, in funzione di una riduzione del disavanzo che poi non si è verificata nei limiti inizialmente previsti. Non inten­diamo certo peccare di ottimismo, le ban­che centrali sono tipicamente prudènti, ma operiamo in un contesto particolar­mente favorevole allo sviluppo della no­stra economia, del quale dobbiamo ap­profittare per compiere lo sforzo necessa­rio. Infatti, in un periodo di espansione come quello attuale - ci troviamo all'ot­tavo anno di crescita continuativa dell'e­conomia italiana e a ritmi sostenuti, con un aumento dell'occupazione — lo sforzo che il Governo richiede con tale pro­gramma è tutt 'altro che irrealistico, è anzi realizzabile. Vi saranno difficoltà nell'attuazione, ma è un programma che nelle sue mete finali noi riteniamo indi­spensabile, anche per l'obiettivo Europa cui ho fatto riferimento.

PRESIDENTE. Ringrazio anche a nome delle Commissioni il direttore gene­rale della Banca d'Italia per il suo im­pulso che, da un canto, significa fiducia nel futuro della nostra economia e, dal­l'altro, ci obbliga ad un grande senso di responsabilità e serietà nello svolgimento del nostro lavoro.

La seduta termina alle 16,50.

IL CONSIGLIERE CAPO DEL SERVIZIO STENOGRAFIA DELLE COMMISSIONI

ED ORGANI COLLEGIALI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

DOTT. LUCIANA PELLEGRINI CAVE BONDI

Licenziato per la composizione e la stampa dal Servizio Stenografia delle Commissioni

ed Organi Collegiali il 27 giugno 1990.

STABILIMENTI TIPOGRAFICI CARLO COLOMBO