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R2 CULTURA 42 GIOVEDÌ 22 AGOSTO 2013 CULTURA Ma è molto di più della sua semplice posizione geografica, a situare l’Islanda a cavallo tra l’Europa e l’America. E’ l’esi- stenza stessa dell’isola, a deri- vare dal fatto di trovarsi sulla li- nea di faglia che separa le due placche euroasiatica e norda- mericana. Le quali, a differenza di quelle convergenti dell’Hi- malaya, che producono pieghe montagnose, in Islanda sono divergenti, e tendono a “strap- pare” l’una dall’altra le due metà dell’isola, allontanandole a un ritmo di un paio di centi- metri l’anno. Le due metà ri- mangono però “incollate” fra loro da un continuo apporto di materiale magmatico emer- gente dal sottosuolo attraverso la faglia, che costituisce il con- fine tra la metà nord-occiden- tale americana e la metà sud- orientale europea dell’Islanda. Attraversando la dorsale me- dio-atlantica che la taglia in di- rezione sud-ovest/nord-est, dal parco nazionale di Pingvel- lir alla spaccatura vulcanica del Krafla, si passa dunque senza passaporti il “più caldo” confi- ne esistente al mondo, che se- para non due paesi, ma due continenti. In alcuni punti la separazione è visibile a occhio nudo, e lungo la faglia il terreno ribolle e fuma come l’Inferno dantesco. A Geysir, ad esempio, si trova il geyser per antonomasia, che costituisce una delle attrazioni turistiche più visitate dell’I- slanda: anche perché i suoi spruzzi fino a 30 metri sono puntuali come un orologio, ogni cinque o sei minuti. In realtà quello in attività oggi è solo un fratello minore del Gey- sir storico, che ha dato il nome al fenomeno e spruzzava fino a 80 metri, ma è stato otturato ne- gli anni ‘50 dalle pietre che i tu- risti ottusi gli tiravano dentro per fargliele “sputare”. Un’altra manifestazione del calore sotterraneo dell’isola è l’altrettanto popolare Laguna Blu, nei pressi dell’aeroporto internazionale. Immerse in un campo di lava nera, le pozze d’acqua fumante offrono ai tu- risti l’esperienza di un singola- re bagno ristoratore a tempera- tura corporea. La polvere di si- lice forma un fondo lattiginoso, mento degli arsenali nucleari delle due superpotenze, tra il russo Michail Gorbaciov e lo statunitense Ronald Reagan, persa da entrambi. Nel 2008 la prima folata della folle crisi economica investì l’i- sola, portando in una sola not- te al dimezzamento del valore della króna e all’amministra- zione controllata di tutte le banche del paese. E nel 2010 l’ennesima folata di ceneri vul- caniche, provocate questa vol- ta dall’eruzione del vulcano Eyjafjallajökull, bloccò il traffi- co aereo di mezzo mondo e lo costrinse a ricordarsi di quest’i- sola normalmente dimentica- ta. Effettivamente, quando si pensa all’Islanda viene in men- te più la geologia, esibita dai vulcani o dai ghiacci, che la geo- politica, combattuta con gli scacchi o le armi nucleari. An- che se gli scacchi costituiscono un passatempo talmente serio, che nell’isolotto artico di Grím- sey una sconfitta veniva segui- ta da un tragico tuffo in mare dalle scogliere, mentre nell’iso- la principale si rifugiò nel 2005 lo stesso Fischer, braccato dagli Stati Uniti come un dissidente, alla stregua di un Manning, un Assange o uno Snowden. E anche se l’intero paese è stato sotto tutela militare du- rante tutta la guerra fredda, fi- no al 2006, forse perché la sua temperatura fisica corrispon- deva a quella politica. Quattro basi della Nato, munite di rile- vatori radar e posizionate ai quattro angoli dell’isola, fun- gevano da sentinelle sempre all’erta contro le possibili inva- sioni da parte di un nemico for- zuto che distava esattamente tanto quanto l’amico forzato. L’ISOLA PIERGIORGIO ODIFREDDI A cavallo tra Europa e America, è il confine tra due continenti DIMEZZATA IL TURISTA MATEMATICO/5. ISLANDA, NEL CUORE DELLA FAGLIA DOVE RIBOLLE L’INFERNO DI DANTE O gni tanto le luci dei riflettori si accendono brevemen- te sull’Islanda, un’isola nel mezzo dell’Oceano Atlan- tico condannata al buio mediatico per tutto il resto del tempo, oltre che a quello artico per molti mesi dell’an- no. Nel 1972 il palazzetto dello sport di Reykjavik ospitò la “sfida del secolo” per il titolo mondiale di scacchi, tra il russo Boris Spassky e lo statunitense Bobby Fischer, vinta dal secondo. Nel 1986 una “casa stregata” (sì, gli islandesi credono a queste cose) al nord del- la capitale ospitò invece una partita di RisiKo per lo smantella- T homas Wolfe amava masturbarsi prima di mettersi a scrivere: diceva che quell’attività lo aiutava ispirando la sua immagina- zione e mettendolo nello stato d’animo giusto per scrivere (un «buon impulso maschile», lo definiva). A quanto sembra, an- che John Cheever era della stessa idea — tranne che nel suo caso l’atti- vità preferita era il sesso vero e proprio. «Due o tre orgasmi alla settima- na dovrebbero andare bene», era solito dire. Per gli scrittori come Mark Twain era della massima importanza l’orario: tra la colazione e le di- ciassette nessuno aveva il permesso di disturbarlo. In caso di necessità, per attirare la sua attenzione l’interlocutore poteva lanciare un segnale con un corno. Vladimir Nabokov, invece, si preoccupava meno dell’o- ra e più del procedimento. «La mia tabella di marcia è flessibile», rac- MARIA KONNIKOVA contò alla Paris Review, «ma sono alquanto esigente in fatto di stru- menti: cartoncini bristol a righe e matite ben appuntite, non troppo dure, corredate di gomma». Patri- cia Highsmith aveva piena fiducia in un drink bevuto proprio prima di mettersi a scrivere — «per atte- nuare la sua energia», a detta del suo biografo Andrew Wilson — , mentre Woody Allen preferisce un liquido del tutto diverso per calmarsi: docce lunghe, anche di 45 minuti l’una, perfette per «ri- flettere a fondo sulle idee ed ela- borare una trama». L’artista eccentrico esiste nel- l’immaginario collettivo da così tanto tempo da essere diventato uno stereotipo. Nuovi studi in merito, tuttavia, suggeriscono che in queste attitudini e in questi rituali potrebbe esserci qualcosa di più della mera stravaganza: im- pegnarsi in un rituale prima di de- dicarsi alla scrittura potrebbe ve- ramente influenzare la qualità dell’esperienza creativa. Nel 1983 lo psichiatra Otto van der Hart ipotizzò che i rituali rive- stissero un ruolo importante nel- l’accrescere il nostro coinvolgi- mento (o flusso) in qualsiasi atti- vità intraprendiamo. L’anno se- guente l’antropologa Linda Ben- net e lo psichiatra Steven Wolin indagarono il potere caratteristi- co dei rituali familiari, sostenendo che contribuissero a definire e plasmare l’identità della famiglia e favorissero il senso di apparte- nenza, tema più tardi ripreso con interesse dagli studiosi dell’età in- fantile che li collegarono alla sen- sazione di benessere che si prova nei primi anni di vita. Nel 1992 l’antropologa Margarte Visser svolse alcune ricerche sui rituali che si accompagnano ai pasti, ipotizzando che queste tradizioni aiutino a stimolare il desiderio e l’apprezzamento del cibo. Più volte gli studiosi hanno ribadito l’importanza dei rituali in campi quanto mai diversi, dalla religione alle prestazioni sportive. Benché le prove degli effetti dei rituali sulle prestazioni siano soli- de — in uno studio si è osservato per esempio che prima dei tiri li- beri i giocatori di basket che fanno affidamento su una routine iden- tica e reiterata hanno un indice di successo maggiore rispetto a quando non possono seguirla — restano tuttavia poco documen- tate le prove empiriche. Un mese fa, tuttavia, un gruppo di psicologi dell’università del Minnesota e dell’Harvard Busi- ness School hanno deciso di con- dizionare in via empirica alcuni comportamenti nei rituali e di os- servarne gli effetti sul grado di go- dimento e di coinvolgimento in- dividuale in varie attività. I ricer- catori hanno fatto sì che i parteci- panti eseguissero un rituale di persona, osservassero qualcun altro eseguirlo, o si impegnassero in attività random non rituali pri- ma di mangiare cioccolato o caro- te o di bere limonata. In seguito li hanno interrogati sulla natura dell’esperienza vissuta, chieden- do quanto fosse stata gradevole, in che misura si fossero sentiti coinvolti intensamente in essa e così via. Infine, hanno preso nota di alcuni parametri comporta- mentali, per esempio calcolando il tempo necessario ad alcuni par- tecipanti per degustare una bar- retta di cioccolato. In ciascuno di questi studi, i ri- cercatori hanno riscontrato sche- mi simili. Quando i partecipanti erano impegnati in un rituale pre- consumo alimentare di qualsiasi tipo — dallo spezzare una barret- ta di cioccolato a metà, allo scar- tarla, al mangiare ciascuna metà separatamente fino a tamburella- re con le nocche sul tavolo e chiu- dere gli occhi prima di mettere in bocca alcune carote in una se- quenza ben precisa — precorre- vano l’esperienza con maggiore intensità, assaporandola più a lungo e degustandola maggior- mente. Gli studiosi hanno riscon- trato che il cibo così consumato ri- sultava molto più stuzzicante e che i partecipanti erano disposti, in media, a pagare dai quindici ai venticinque centesimi in più ri- spetto a quando non avevano l’opportunità di poter eseguire un dato rituale pre-consumo. Se in- vece si lasciavano andare a gesti non rituali o se osservavano terze persone eseguire un dato rituale, gli effetti empirici scomparivano. In un esperimento conclusivo, gli psicologi si sono interessati al- la motivazione di fondo dei loro ri- sultati, chiedendo che cosa ci fos- se di particolare in un dato rituale da rendere così intensa un’espe- rienza apparentemente semplice come mangiare una barretta di cioccolata o sorseggiare un bic- chiere di limonata. La sensazione positiva, una delle prime motiva- zioni, è stata subito esclusa: non si sono constatate differenze emoti- ve tra i partecipanti che eseguiva- no i rituali e quelli che non li ese- guivano. In verità, la spiegazione è per certi aspetti di gran lunga più semplice: ciò che più conta è l’in- teresse intrinseco. Quando i par- tecipanti allo studio eseguivano un dato rituale, sperimentavano un’accentuata sensazione di coinvolgimento e quel coinvolgi- mento, a sua volta, influiva sull’in- tera esperienza. Non è così strano, di conseguenza, che nei rituali gli artisti trovino una gratificazione ricorrente e un valore creativo. Traduzione di Anna Bissanti © Le Scienze, edizione italiana di Scientific American Thomas Wolfe si masturbava, la Highsmith si faceva un drink, per Mark Twain contava l’ora Uno studio di Harvard: servono a concentrarsi sul lavoro A OGNI SCRITTORE IL SUO RITUALE © RIPRODUZIONE RISERVATA LA MAPPA Un’antica carta dell’Islanda Il primo insediamento dell’isola risale al nono secolo d.C. IL NOBEL Halldór Laxness (1902-1998) premio Nobel per la Letteratura nel 1955 LA SFIDA Il titolo mondiale di scacchi del 1972 tra il russo Boris Spassky e l’americano Bobby Fischer (che vinse) venne disputato a Reykjavik L’INCONTRO Era il 1986 quando Michail Gorbaciov e Ronald Reagan si incontrarono a Reykjavik per lo smantellamento degli arsenali militari I personaggi LO SCRITTORE Thomas Wolfe (1900–1938) è stato un romanziere e poeta statunitense Repubblica Nazionale

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GIOVEDÌ 22 AGOSTO 2013 CULTURA

Ma è molto di più della suasemplice posizione geografica,a situare l’Islanda a cavallo tral’Europa e l’America. E’ l’esi-stenza stessa dell’isola, a deri-vare dal fatto di trovarsi sulla li-nea di faglia che separa le dueplacche euroasiatica e norda-mericana. Le quali, a differenzadi quelle convergenti dell’Hi-malaya, che producono pieghemontagnose, in Islanda sonodivergenti, e tendono a “strap-pare” l’una dall’altra le duemetà dell’isola, allontanandolea un ritmo di un paio di centi-metri l’anno. Le due metà ri-mangono però “incollate” fraloro da un continuo apporto dimateriale magmatico emer-gente dal sottosuolo attraversola faglia, che costituisce il con-fine tra la metà nord-occiden-tale americana e la metà sud-orientale europea dell’Islanda.

Attraversando la dorsale me-dio-atlantica che la taglia in di-rezione sud-ovest/nord-est,dal parco nazionale di Pingvel-lir alla spaccatura vulcanica delKrafla, si passa dunque senzapassaporti il “più caldo” confi-ne esistente al mondo, che se-para non due paesi, ma duecontinenti. In alcuni punti laseparazione è visibile a occhionudo, e lungo la faglia il terrenoribolle e fuma come l’Infernodantesco.

A Geysir, ad esempio, si trovail geyser per antonomasia, checostituisce una delle attrazionituristiche più visitate dell’I-slanda: anche perché i suoispruzzi fino a 30 metri sonopuntuali come un orologio,ogni cinque o sei minuti. Inrealtà quello in attività oggi èsolo un fratello minore del Gey-sir storico, che ha dato il nomeal fenomeno e spruzzava fino a80 metri, ma è stato otturato ne-gli anni ‘50 dalle pietre che i tu-risti ottusi gli tiravano dentroper fargliele “sputare”.

Un’altra manifestazione delcalore sotterraneo dell’isola èl’altrettanto popolare LagunaBlu, nei pressi dell’aeroportointernazionale. Immerse in uncampo di lava nera, le pozzed’acqua fumante offrono ai tu-risti l’esperienza di un singola-re bagno ristoratore a tempera-tura corporea. La polvere di si-lice forma un fondo lattiginoso,

mento degli arsenali nuclearidelle due superpotenze, tra ilrusso Michail Gorbaciov e lostatunitense Ronald Reagan,persa da entrambi.

Nel 2008 la prima folata dellafolle crisi economica investì l’i-sola, portando in una sola not-te al dimezzamento del valoredella króna e all’amministra-zione controllata di tutte lebanche del paese. E nel 2010l’ennesima folata di ceneri vul-caniche, provocate questa vol-ta dall’eruzione del vulcanoEyjafjallajökull, bloccò il traffi-co aereo di mezzo mondo e locostrinse a ricordarsi di quest’i-sola normalmente dimentica-ta.

Effettivamente, quando sipensa all’Islanda viene in men-te più la geologia, esibita daivulcani o dai ghiacci, che la geo-politica, combattuta con gliscacchi o le armi nucleari. An-

che se gli scacchi costituisconoun passatempo talmente serio,che nell’isolotto artico di Grím-sey una sconfitta veniva segui-ta da un tragico tuffo in maredalle scogliere, mentre nell’iso-la principale si rifugiò nel 2005lo stesso Fischer, braccato dagliStati Uniti come un dissidente,alla stregua di un Manning, unAssange o uno Snowden.

E anche se l’intero paese èstato sotto tutela militare du-rante tutta la guerra fredda, fi-no al 2006, forse perché la suatemperatura fisica corrispon-deva a quella politica. Quattrobasi della Nato, munite di rile-vatori radar e posizionate aiquattro angoli dell’isola, fun-gevano da sentinelle sempreall’erta contro le possibili inva-sioni da parte di un nemico for-zuto che distava esattamentetanto quanto l’amico forzato.

L’ISOLA

PIERGIORGIO ODIFREDDI

A cavallo tra Europae America, è il confinetra due continenti

DIMEZZATA

IL TURISTAMATEMATICO/5.

ISLANDA, NEL CUORE DELLA FAGLIADOVE RIBOLLE L’INFERNO DI DANTE

Ogni tanto le luci dei riflettori si accendono brevemen-te sull’Islanda, un’isola nel mezzo dell’Oceano Atlan-tico condannata al buio mediatico per tutto il resto deltempo, oltre che a quello artico per molti mesi dell’an-no.

Nel 1972 il palazzetto dello sport di Reykjavik ospitò la “sfida delsecolo” per il titolo mondiale di scacchi, tra il russo Boris Spasskye lo statunitense Bobby Fischer, vinta dal secondo. Nel 1986 una“casa stregata” (sì, gli islandesi credono a queste cose) al nord del-la capitale ospitò invece una partita di RisiKo per lo smantella-

Thomas Wolfe amava masturbarsi prima di mettersi a scrivere:diceva che quell’attività lo aiutava ispirando la sua immagina-zione e mettendolo nello stato d’animo giusto per scrivere (un«buon impulso maschile», lo definiva). A quanto sembra, an-

che John Cheever era della stessa idea — tranne che nel suo caso l’atti-vità preferita era il sesso vero e proprio. «Due o tre orgasmi alla settima-na dovrebbero andare bene», era solito dire. Per gli scrittori come MarkTwain era della massima importanza l’orario: tra la colazione e le di-ciassette nessuno aveva il permesso di disturbarlo. In caso di necessità,per attirare la sua attenzione l’interlocutore poteva lanciare un segnalecon un corno. Vladimir Nabokov, invece, si preoccupava meno dell’o-ra e più del procedimento. «La mia tabella di marcia è flessibile», rac-

MARIA KONNIKOVA

contò alla Paris Review, «ma sonoalquanto esigente in fatto di stru-menti: cartoncini bristol a righe ematite ben appuntite, non troppodure, corredate di gomma». Patri-cia Highsmith aveva piena fiduciain un drink bevuto proprio primadi mettersi a scrivere — «per atte-nuare la sua energia», a detta delsuo biografo Andrew Wilson — ,mentre Woody Allen preferisceun liquido del tutto diverso percalmarsi: docce lunghe, anche di45 minuti l’una, perfette per «ri-flettere a fondo sulle idee ed ela-borare una trama».

L’artista eccentrico esiste nel-l’immaginario collettivo da cosìtanto tempo da essere diventatouno stereotipo. Nuovi studi inmerito, tuttavia, suggerisconoche in queste attitudini e in questirituali potrebbe esserci qualcosadi più della mera stravaganza: im-pegnarsi in un rituale prima di de-dicarsi alla scrittura potrebbe ve-ramente influenzare la qualitàdell’esperienza creativa.

Nel 1983 lo psichiatra Otto vander Hart ipotizzò che i rituali rive-

stissero un ruolo importante nel-l’accrescere il nostro coinvolgi-mento (o flusso) in qualsiasi atti-vità intraprendiamo. L’anno se-guente l’antropologa Linda Ben-net e lo psichiatra Steven Wolinindagarono il potere caratteristi-co dei rituali familiari, sostenendoche contribuissero a definire eplasmare l’identità della famigliae favorissero il senso di apparte-nenza, tema più tardi ripreso coninteresse dagli studiosi dell’età in-fantile che li collegarono alla sen-sazione di benessere che si provanei primi anni di vita. Nel 1992l’antropologa Margarte Vissersvolse alcune ricerche sui ritualiche si accompagnano ai pasti,ipotizzando che queste tradizioniaiutino a stimolare il desiderio el’apprezzamento del cibo. Piùvolte gli studiosi hanno ribaditol’importanza dei rituali in campiquanto mai diversi, dalla religionealle prestazioni sportive.

Benché le prove degli effetti deirituali sulle prestazioni siano soli-de — in uno studio si è osservatoper esempio che prima dei tiri li-beri i giocatori di basket che fannoaffidamento su una routine iden-tica e reiterata hanno un indice disuccesso maggiore rispetto aquando non possono seguirla —restano tuttavia poco documen-tate le prove empiriche.

Un mese fa, tuttavia, un gruppodi psicologi dell’università delMinnesota e dell’Harvard Busi-ness School hanno deciso di con-dizionare in via empirica alcunicomportamenti nei rituali e di os-servarne gli effetti sul grado di go-dimento e di coinvolgimento in-dividuale in varie attività. I ricer-catori hanno fatto sì che i parteci-panti eseguissero un rituale di

persona, osservassero qualcunaltro eseguirlo, o si impegnasseroin attività random non rituali pri-ma di mangiare cioccolato o caro-te o di bere limonata. In seguito lihanno interrogati sulla naturadell’esperienza vissuta, chieden-do quanto fosse stata gradevole,in che misura si fossero sentiticoinvolti intensamente in essa ecosì via. Infine, hanno preso notadi alcuni parametri comporta-mentali, per esempio calcolandoil tempo necessario ad alcuni par-tecipanti per degustare una bar-retta di cioccolato.

In ciascuno di questi studi, i ri-cercatori hanno riscontrato sche-mi simili. Quando i partecipantierano impegnati in un rituale pre-consumo alimentare di qualsiasitipo — dallo spezzare una barret-ta di cioccolato a metà, allo scar-tarla, al mangiare ciascuna metàseparatamente fino a tamburella-re con le nocche sul tavolo e chiu-dere gli occhi prima di mettere inbocca alcune carote in una se-quenza ben precisa — precorre-vano l’esperienza con maggioreintensità, assaporandola più alungo e degustandola maggior-mente. Gli studiosi hanno riscon-trato che il cibo così consumato ri-sultava molto più stuzzicante eche i partecipanti erano disposti,in media, a pagare dai quindici aiventicinque centesimi in più ri-spetto a quando non avevanol’opportunità di poter eseguire undato rituale pre-consumo. Se in-vece si lasciavano andare a gestinon rituali o se osservavano terzepersone eseguire un dato rituale,gli effetti empirici scomparivano.

In un esperimento conclusivo,gli psicologi si sono interessati al-la motivazione di fondo dei loro ri-sultati, chiedendo che cosa ci fos-se di particolare in un dato ritualeda rendere così intensa un’espe-rienza apparentemente semplicecome mangiare una barretta dicioccolata o sorseggiare un bic-chiere di limonata. La sensazionepositiva, una delle prime motiva-zioni, è stata subito esclusa: non sisono constatate differenze emoti-ve tra i partecipanti che eseguiva-no i rituali e quelli che non li ese-guivano. In verità, la spiegazione èper certi aspetti di gran lunga piùsemplice: ciò che più conta è l’in-teresse intrinseco. Quando i par-tecipanti allo studio eseguivanoun dato rituale, sperimentavanoun’accentuata sensazione dicoinvolgimento e quel coinvolgi-mento, a sua volta, influiva sull’in-tera esperienza. Non è così strano,di conseguenza, che nei rituali gliartisti trovino una gratificazionericorrente e un valore creativo.

Traduzione di Anna Bissanti © Le Scienze, edizione italiana

di Scientific American

Thomas Wolfesi masturbava, laHighsmith si facevaun drink, per MarkTwain contava l’ora

Uno studio di Harvard: servono a concentrarsi sul lavoro

A OGNI SCRITTOREIL SUO RITUALE

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LA MAPPA

Un’anticacartadell’IslandaIl primoinsediamentodell’isolarisale al nonosecolo d.C.

IL NOBEL

Halldór Laxness(1902-1998)premio Nobelper la Letteraturanel 1955

LA SFIDA

Il titolo mondiale di scacchidel 1972 tra il russo BorisSpassky e l’americano BobbyFischer (che vinse) vennedisputato a Reykjavik

L’INCONTRO

Era il 1986 quando MichailGorbaciov e Ronald Reagansi incontrarono a Reykjavikper lo smantellamentodegli arsenali militari

I personaggi

LO SCRITTORE

ThomasWolfe(1900–1938)è stato un romanzieree poetastatunitense

Repubblica Nazionale

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@GIOVEDÌ 22 AGOSTO 2013

PER SAPERNE DI PIÙ

www.piergiorgioodifreddi.itwww.lescienze.it

fangoso e soffice, che contrastacon l’azzurro dell’acqua, satu-ra di sali minerali e alghe. Eun’imponente centrale, co-struita nei pressi delle piscinenaturali all’aria aperta, ricordache l’intero fabbisogno ener-getico dell’isola è fornito dall’e-nergia geotermica.

Nonostante tutto il suo ribol-lire terrestre, il nome ingleseIceland definisce l’Islanda co-me una “terra di ghiacci”. Anzi-tutto, almeno per i turisti, ci so-no gli icebergdella spettacolarelaguna glaciale di Jökulsárlón,proprio lungo la statale n. 1 chesi snoda attorno all’isola: appe-na scesi dall’auto, ci si può dun-que imbarcare per una gita sulsurreale set del film di JamesBond La morte può attendere,tra i ghiacci tinti d’azzurro e lefoche che nuotano.

E poi, ci sono i ghiacciai chericoprono i vulcani: primo fratutti l’immenso Vatnajökull,terza calotta glaciale del mon-do dopo l’Antartide e la Groen-landia. Naturalmente, un tap-po di centinaia di metri dighiaccio su un cratere è forierodi guai, perché in caso di eru-zione può provocare due tipi didisastri. Il primo, è lo sciogli-mento dei ghiacci fino alla su-perficie, e la conseguente for-mazione di un gigantesco gey-ser che fuoriesce dal tappoaperto, sprizzando le ceneriprodotte dal contatto della lava

con l’acqua. Il secondo è loscioglimento dei ghiacci sottola superficie, e la conseguenteformazione di una gigantescaalluvione costituita dallo sfogodelle acque da sotto il ghiac-ciaio, verso le valli circostanti.

Entrambi i disastri avvenne-ro nel 2010 con l’Eyjafjal-lajökull, e provocarono gravidanni: i filmati mostrano lospettacolare salto di duecentometri di una cascata di lava li-quida, un enorme fiume d’ac-qua in piena che travolse i pon-ti e sommerse i campi, e i famo-si pennacchi alti chilometri e

trapuntati di fulmini, che spar-sero la cenere nei cieli di tuttaEuropa. Ma si trattò soltantodell’eruzione di una bocca se-condaria di un vulcano minore,che lascia immaginare qualipotrebbero essere le conse-guenze del risveglio di uno deivulcani maggiori. Il Grimsvötnsotto il Vatnajökull, ad esem-pio, che nel 1996 sciolse tre chi-lometri cubi di ghiaccio e pro-vocò una jökullhlaup, “inon-dazione glaciale”, che trascinò

con sé iceberg grandi come pa-lazzi.

Alcuni dei vulcani si trovanosu isole minori: come quellodella piccola Heimaey, che nel1973 eruttò per cinque mesiconsecutivi, formando unanuova montagna e costringen-do i 5000 abitanti a evacuare l’i-sola. Altri si trovano sotto le ac-que del mare: come quello, po-co lontano dal precedente, chetra il 1963 e il 1967 aggiunse al-lo stesso arcipelago la nuovaisola di Surtsey, di circa tre chi-lometri quadrati, oggi quasi di-mezzatasi a causa dell’erosio-ne. La stessa eruzione produs-se anche un’altra isola più pic-cola, in seguito scomparsa, euna terza subacquea, che nonraggiunse mai la superficie delmare.

Queste straordinarie carat-teristiche dell’Islanda sono do-vute al fatto che si tratta di unterritorio giovane, di pochi mi-lioni di anni, a fronte dei miliar-di di esistenza della Terra: più omeno come la famiglia degliominidi, alla quale appartenia-mo anche noi. E come tutti i gio-vani, l’isola ha un caratterecontraddittorio ed eccessivo:nel giro di qualche chilometro,può offrire gelidi iceberg o ter-me bollenti, terre desolate o ca-scate bucoliche, buffe pulci-nelle di mare o sbuffanti bale-ne, mansueti cavalli minuscolio aggressivi stercorari maggio-ri.

Non stupisce che un luogocosì variopinto e magico abbiagenerato leggende di ogni ge-nere. Alcune riguardano uomi-ni in carne e ossa, dai poemi e leprose dell’Eddaalle innumere-voli saghe islandesi. Altre inve-ce sono puri deliri, che popola-no l’isola di ogni sorta di esserifantastici: primi fra tutti i famo-si trolls, portati alla fama plane-taria da scrivani come Tolkien ela Rowling, e oggi assurti a sim-bolo dei rompiscatole della re-te informatica. Ma che i trollssiano più noti dei personaggidei romanzi dello scrittore Hal-ldór Laxness, premio Nobel perla letteratura nel 1955, è solouna prova del fatto che l’Islan-da è conosciuta poco e male, eche vale la pena di conoscerlamolto e meglio.

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Dal set di 007 alleleggende dei trollè un luogo magicoe “giovane”: pochimilioni di anni

Valle d’Itria

TRA MASSERIE, PIAZZE E CHIOSTRIAL VIA IL FESTIVAL DEI SENSI

MARTINA FRANCA — Il Festival dei Sensi in que-sta quinta edizione 2013 ha come tema il cielo e lestelle. La rassegna culturale (ideata da Milly Se-meraro) si snoda da domani a domenica tra mas-serie, piazze, chiese, chiostri, castelli dei comunidi Martina Franca, Cisternino, Locorotondo e Ce-glie Messapica. Il cartellone è fitto di laboratori,conversazioni, mostre, concerti. Si intitola “Ilpensiero divergente. Generare progetti” l’incon-tro di sabato 24 (alle 20 nella Masseria Nunzio,Martina Franca) tra Margherita Palli (la sceno-grafa di Luca Ronconi) e Italo Rota (archietto e de-signer). Modera Antonio Gnoli.

A

ticano alla Biennale Arte di Venezia.Paolo Rosa era nato a Rimini che

oggi lo ricorda tra i suoi cittadini piùimportanti, ma tutta la sua formazio-ne e attività si è svolta a Milano, cheinvece è stata avarissima di ricono-scimenti nonostante i numerosi suc-cessi internazionali. Studia all’Acca-demia di Brera (dove ora insegnava)e da subito la sua attività visiva si in-terseca con quella del cinema e dellenuove tecnologie. Studio Azzurro na-sce nell’82: il gruppo storico è forma-to da Rosa, Fabio Cirifino e LeonardoSangiorgi, artisti visivi. Nel ‘95 si ag-giunge Stefano Roveda, esperto in si-stemi interattivi. Lo spirito è quellodell’officina, del laboratorio dove siaccolgono giovani con tante idee edove si sperimentano, per scopi crea-tivi, le applicazioni multimediali alcinema, al teatro, alle arti visive. Daivideoambienti del periodo iniziale —installazioni di monitor, che intera-giscono con l’ambiente come il di-vertente Il nuotatore che si vide a Ve-nezia nell’84, o le Vedute dell’85, Ta-voli del ’95, la ricerca di Paolo Rosa eStudio Azzurro si dilata presto allospazio scenico e filmico (il corposo IlMnemonista del 2000 con SandroLombardi). Il momento più fertile inquesto ambito è quello dell’incontrocon il regista Giorgio Barberio Cor-setti con cui nasce il lungometraggioL’osservatorio nucleare del Sig. Nanofdell’85 e soprattutto il bellissimo Lacamera astratta commissionata daDocumenta 8 di Kassel nell’87.

E se la contaminazione col teatrocontinua a lungo, nella metà degli an-ni Novanta Paolo Rosa e Studio Az-zurro aprono nuovi territori artisticicon la creazione degli «ambienti sen-

sibili», veri e propri luoghi illusori chesi adattano ai materiali e ai contestidiversi e soprattutto instaurano unainedita relazione interattiva con lospettatore. Questa nuova fase si con-cretizza in una serie di esposizioni te-matiche (la mostra su De Andrè all’A-ra Pacis di Roma, “Sensitive City” alpadiglione Italia dell’Expo di Shan-ghai, “Geografie italiane” al Maxxitutte nel 2010, o la mostra “Fare gliItaliani — 150 anni di storia italiana”nel 2011) e addirittura musei, pensa-ti con sistemi di immagini audiovi-suali che si modificano con un toccodella mano, come il Museo Laborato-rio della Mente a Roma del 2008: la-vori che rivelano una nuova narra-zione dello spazio e del modo di espe-rire l’arte, ma soprattutto un uso vi-sionario delle tecnologie ancora tut-to da esplorare.

Pioniere nella videoarte e nelle videoambientazioni. Aveva 64 anni

ADDIO A PAOLO ROSAANIMA DI STUDIO AZZURRO

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L’ARTISTA

Paolo RosaDe-Creazione

alla Biennaledi Venezianel padiglionedella SantaSede è la suaultima opera

ANNA BANDETTINI

modo suo è stato un mago, che ha trasformato le immagini in corpi reali, espe-ribili, spazi interattivi e la realtà in visioni. E in effetti è stato davvero un artistaun po’ “speciale”, perché ha lavorato con incrollabile fiducia e passione nelterritorio poco riconosciuto dell’interdisciplinarietà, sempre sperimentan-do, cercando, scovando nuove frontiere. Paolo Rosa è morto nella notte tra il19 e 20, a 64 anni, a Corfù mentre era in vacanza per un infarto. Era stato l’i-deatore e l’anima di Studio Azzurro, lo storico gruppo milanese di videoarti-sti, una delle eccellenze italiane nelle produzioni che hanno incrociato la na-tura immateriale delle immagini e dei video con la fisicità dei luoghi e dei cor-pi. E con esiti riconosciuti in tutto il mondo: basterebbe citare il percorso fisi-co-sensoriale sulla Creazione in mostra in questi giorni nel padiglione del Va-

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