Uno stile quotidiano nella scuola · 2018-01-02 · nella scuola Un pensare che genera ......

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Uno stile quotidiano nella scuola Un pensare che genera ed è generato da azioni giocate in sordina Ivana Paganotto Quando si costruisce un edificio elegante, le impalcature alla fine non devono più essere visibili”. Il che è cosa buona e giusta se si vuole che il pubblico ammiri il risultato finale, ma non aiuta nessuno a costruirne un altro da sé. (Ian Stewart) Raccontando l’esperienza quotidiana di normali battaglie contro la noia, la passività, la disaffezione allo studio, la demotivazione, l’esclusione di qualcuno o di tutti non si vuole entrare nel panorama delle più o meno “buone pratiche” per allungarne l’elenco dei casi; e neppure presentare qualche metodo ben definito, da prendere in toto o quasi, per applicarlo con qualche variante a diverse situazioni. È piuttosto un tentativo di svelare processi d’apprendimento, architetture cognitive e strutture organizzative che possono diventare impalcature invisibili di azioni e strategie pedagogiche complesse, se animate anche dalla convinzione che tutti possono imparare, dalla fiducia nei valori universali, dall’assunzione di atteggiamenti tesi a valorizzare le capacità e le potenzialità dei soggetti cui si rivolgono. È la ricerca, ovviamente non esaustiva, di un alfabeto metodologico che, con un limitato numero di lettere e strutture grammaticali, permetta di scrivere infinite parole, infiniti discorsi in diversi stili e narrazioni creative. Antonio Calvani parla di un nucleo elementare di modelli, strategie o azioni didattiche efficaci 1 . 1 Calvani A., Principi dell’istruzione e strategie per insegnare, Carocci editore, Roma 2011. Uno stile non è la semplice somma di molteplici elementi: è qualcosa di più, di diverso e di eccedente. Così come una narrazione non è la semplice somma delle lettere, delle parole e delle regole sintattiche, da cui non può comunque prescindere. Uno stile è un modo relativamente soggettivo di combinare tra loro diversi elementi, a diversi livelli, secondo regole relativamente oggettive. Scoprire almeno alcuni di questi livelli e di queste regole permette di appropriarsi della capacità creativa di generare autonomamente e, dopo una certa esperienza, automaticamente, una molteplicità di soluzioni pratiche. Attraverso il concetto di stile si assume una strategia euristica che superara l’analisi caso per caso, evidenziando quelle strutture d’azione (framework, processi, saperi come) alla base dell’attività di insegnamento, che possono rivelarsi comuni anche a pratiche considerate diverse tra loro come l’educare e l’istruire. Ne emerge un sistema di categorie dei rapporti dinamici che legano le pratiche educative a quelle istruttive e viceversa. Cambiare paradigma nel lavoro quotidiano Quando l’esperienza quotidiana, in un qualsiasi ambito di vita e di lavoro, comincia a sfuggirci da qualche parte, ci appare relativamente ingovernabile, esce da quei binari che l’avevano tradizionalmente incanalata per lunghi periodi, siamo tentati di nasconderci dietro una parola magica: “complessità”.

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Uno stile quotidiano nella scuola Un pensare che genera ed è generato da azioni giocate in sordina

Ivana Paganotto

“Quando si costruisce un edificio elegante, le impalcature alla fine non devono più essere visibili”.

Il che è cosa buona e giusta se si vuole che il pubblico ammiri il risultato finale,

ma non aiuta nessuno a costruirne un altro da sé. (Ian Stewart)

Raccontando l’esperienza quotidiana di normali battaglie contro la noia, la passività, la disaffezione allo studio, la demotivazione, l’esclusione di qualcuno o di tutti non si vuole entrare nel panorama delle più o meno “buone pratiche” per allungarne l’elenco dei casi; e neppure presentare qualche metodo ben definito, da prendere in toto o quasi, per applicarlo con qualche variante a diverse situazioni. È piuttosto un tentativo di svelare processi d’apprendimento, architetture cognitive e strutture organizzative che possono diventare impalcature invisibili di azioni e strategie pedagogiche complesse, se animate anche dalla convinzione che tutti possono imparare, dalla fiducia nei valori universali, dall’assunzione di atteggiamenti tesi a valorizzare le capacità e le potenzialità dei soggetti cui si rivolgono. È la ricerca, ovviamente non esaustiva, di un alfabeto metodologico che, con un limitato numero di lettere e strutture grammaticali, permetta di scrivere infinite parole, infiniti discorsi in diversi stili e narrazioni creative. Antonio Calvani parla di un nucleo elementare di modelli, strategie o azioni didattiche efficaci1.

1 Calvani A., Principi dell’istruzione e strategie per insegnare,

Carocci editore, Roma 2011.

Uno stile non è la semplice somma di molteplici elementi: è qualcosa di più, di diverso e di eccedente. Così come una narrazione non è la semplice somma delle lettere, delle parole e delle regole sintattiche, da cui non può comunque prescindere. Uno stile è un modo relativamente soggettivo di combinare tra loro diversi elementi, a diversi livelli, secondo regole relativamente oggettive. Scoprire almeno alcuni di questi livelli e di queste regole permette di appropriarsi della capacità creativa di generare autonomamente e, dopo una certa esperienza, automaticamente, una molteplicità di soluzioni pratiche. Attraverso il concetto di stile si assume una strategia euristica che superara l’analisi caso per caso, evidenziando quelle strutture d’azione (framework, processi, saperi come) alla base dell’attività di insegnamento, che possono rivelarsi comuni anche a pratiche considerate diverse tra loro come l’educare e l’istruire. Ne emerge un sistema di categorie dei rapporti dinamici che legano le pratiche educative a quelle istruttive e viceversa.

Cambiare paradigma

nel lavoro quotidiano Quando l’esperienza quotidiana, in un qualsiasi ambito di vita e di lavoro, comincia a sfuggirci da qualche parte, ci appare relativamente ingovernabile, esce da quei binari che l’avevano tradizionalmente incanalata per lunghi periodi, siamo tentati di nasconderci dietro una parola magica: “complessità”.

Come se complesso fosse qualcosa di composito (e lo è), costituito da una molteplicità di elementi (è anche questo), che sfuggono a un qualsiasi ordine stabilito o da potersi stabilire. Si tratta, invece, di entrare in un ordine diverso, stratificato e non lineare, probabilistico e indeterminato; in cui ciò che in una logica tradizionale è percepito come paradossale o ambiguo diventa ambivalente2. In cui si inseguono continuamente i problemi più che le soluzioni, non essendo queste meccanicamente trasferibili da una situazione all’altra. Un ordine in cui sono anche i bisogni legati all’età e al contesto culturale del nostro tempo (come il bisogno di identità, di relazione con gli adulti e con i pari, di essere accettati e riconosciuti, di essere protagonisti creativi e un po’ iperattivi, il bisogno di cogliere un senso in ciò che si fa e di avere anche un po’ di successo) a guidare l’agenda e a trasformarsi in obiettivi, non solo le esigenze di programmazione o i profili di competenza attesi. Microazioni diffuse e processi ricorrenti In questo nuovo ordine le metodologie si traducono in microazioni specifiche e processi ricorrenti, informali e diffusi che generano e, contemporaneamente, sono generati da una molteplicità di stati mentali3: credenze e atteggiamenti dell’insegnante verso il proprio compito e il proprio pubblico; credenze e atteggiamenti degli allievi verso i pari e la scuola stessa. L’insegnamento cooperativo, per esempio, non viene qui visto come un metodo o una tecnica da applicare ogni tanto e casualmente, ma un momento in continua alternanza con momenti individuali e una sensibilità permanente alla dimensione relazionale e motivazionale. La didattica metacognitiva è un’attenzione diffusa che punteggia qualsiasi momento di qualsiasi attività, fino a tradursi nella metacompetenza cognitiva di monitorare il proprio operato attraverso processi cognitivi superiori:

2 In una visione complessa la logica tradizionale (dove

impera il principio di non contraddizione) non è negata, ma relativizzata a una logica tra altre, a un punto di vista tra altri. 3 Il pensiero genera l’azione che, a sua volta,

retroagisce sul pensiero: è un processo di causazione reciproca, proprio dei sistemi complessi ed emergenti.

riconoscere, valutare, ragionare e riformulare le proprie strategie operative e mappe mentali di sé, della vita quotidiana e del mondo. Bastano, a volte, una serie di piccoli elementi ludici distribuiti, apparentemente, a pioggia - possibilità di scegliere, di agire e di muoversi, un po’ di rischio e di competizione anche informale e con eventuale attribuzione di punteggio, presentazione di materiali incompleti o incongruenti, sfide, tolleranza dell’errore, fare squadra e dare spazio al divertimento - per agire sulla motivazione, che è uno stato mentale attivo e non passivo.4 Spezzare col ritmo noia e fatica Attraverso un’orchestrazione attenta di questi livelli ed elementi si può creare un ritmo, da combinare anche con l’alternarsi di fatica e riposo, velocità e lentezza, rottura e continuità, formale e informale, novità e tradizione, routine e fantasia. La realizzazione di opere, la capacità di risolvere problemi e la conquista di competenze da esibire pubblicamente (anche in una prova d’esame), oltre a essere oggetto di valutazione sia formale che informale, costituiscono motivatori all’azione abbastanza forti, ma bisogna tener conto anche del carico di fatica che comportano. Anche l’accoglienza non può limitarsi alle attività di inizio anno, la presa in carico della dimensione emotiva dell’apprendimento è un atteggiamento costante: uno stile. Spostare e focalizzare l’attenzione sui compiti da svolgere, sulla relazione educativa, sulle fatiche e sulle difficoltà che i ragazzi vivono a scuola, invece di concentrare tutte le forze sul mantenimento della disciplina, può essere di aiuto anche per la “tenuta della classe”. Più che di un nuovo ordine si tratta forse di un ordito, su cui intrecciare provvisorie e flessibili soluzioni ai nostri quotidiani problemi e costruire così diverse trame per diversi racconti. I racconti di una didattica dai processi intrecciati, come quelli che seguono.

4 Il gioco non è qui un elemento decorativo, ma di contesto,

capace di favorire un ambiente di apprendimento. In quanto attività umana automotivante, piacevole di per sé e prima di essere percepita come finalizzata a uno scopo esterno; permette di interagire con leggerezza con eventi, cose e persone.

Comprendere e interpretare un testo ad alta voce

Tutto ciò non solo è molto carino,

ma fa intuire l’esistenza di una struttura profonda. (Ian Stewart)

Il primo racconto è ambientato in una scuola secondaria di primo grado durante un ciclo di lezioni di italiano. Obiettivo: apprendere contenuti operativi attraverso un processo induttivo di scoperta, in una classe prima. Provocazione premeditata e reazione impulsiva

“Bene, oggi ci occupiamo di poesia”. Facce perplesse, occhi sgranati. “Prendiamo l’antologia a pagina ... ”. Brontolamenti. Gesti svogliati.

L’insegnante lancia una sfida più sul piano emotivo che cognitivo, l’argomento è di quelli percepiti come puramente scolastici e quindi demotivanti, gli allievi esprimono tutta la loro delusione e tutto il loro disappunto.

Situazione sfidante e soluzione del problema

“Scegliete, a due a due, una delle poesie che vedete su queste pagine. Organizzatevi, nei prossimi venti minuti, per farne una lettura espressiva. Al termine sarete filmati5”. Primi sorrisi: “Dai, si può fare!”. Per venti minuti tutti si sottopongono al rito dell’allenamento, fatto di ripetizioni e correzioni reciproche.

L’insegnante offre una possibilità di scelta e uno spaziotempo interattivo, gli allievi si sentono

5 L’uso della tecnologia è oggi imprescindibile, strumento

necessario ma mai sufficiente, da non confondere con la metodologia che agisce sul piano dell’organizzazione, delle operazioni mentali, della scelta degli strumenti di cui avvalersi di volta in volta.

sfidati a dimostrare di saper fare qualcosa di cognitivo – leggere, esplorare un testo e ricercare i significati delle parole sconosciute consultando note e vocabolario per comprenderlo e, infine, saperlo interpretare – ma ottengono di poterlo fare in uno spazio emotivo operativo: esibirsi pubblicamente di fronte a una videocamera e poter giocare di fronte agli altri e, soprattutto, a se stessi un piccolo momento da protagonisti. L’insegnante ha finalmente capito di dover prendere in carico il loro bisogno di sentirsi protagonisti attivi e anche un po’ iperattivi. Esibizione pubblica di competenze

Dopo venti minuti circa. Si sceglie un angolo dell’aula dove c’è più luce e le pareti, sullo sfondo, sono un po’ meno scrostate. Si sistemano un banco con due sedie e le coppie si alternano nella lettura espressiva ad alta voce. Chi interrompe le registrazioni dei compagni si assume la responsabilità di rimandare le registrazioni al giorno dopo.

Ci si alza, ci si sposta, si attrezza l’aula in modo da renderla funzionale all’attività da svolgere. Qualcuno si siede sui banchi, anche l’insegnante scende dalla cattedra e diventa regista (potrà in seguito delegare anche questo ruolo). Vanno in scena la creatività e le scelte personali, ognuno è accettato per come si presenta, la videocamera prende atto e non fa commenti. Ognuno vive il suo breve momento da piccolo eroe e aspetta pazientemente il suo turno in silenzio, per non interferire nella registrazione dei compagni. Ognuno dimostra agli altri e a se stesso di sapersi mettere in gioco anche su tematiche scolastiche che gli sono poco familiari. Superare la timidezza per esporsi in pubblico è, per qualcuno, una conquista. Analisi e confronto delle produzioni

Il giorno dopo i filmati vengono proiettati sulla lim. Ci si osserva divertiti, ci si addita, si ride. A turno, si commenta. Può esserci bisogno di darsi delle regole, nel caso in cui i commenti siano offensivi. Viene spontaneo commentare le performance da attori e la tenuta sulla scena di fronte a una videocamera, più che l’abilità di lettura espressiva ad alta voce. Per essere la prima esperienza va bene così. Le abilità di

lettura verranno focalizzate in una esperienza successiva.

Passato il primo momento di divertimento, si comincia a commentare. “Mentre Paola legge, Simone si fa i fatti suoi”. “Sì, ma mentre legge Simone, Paola gli fa il verso, come se considerasse Simone un deficiente”. “Ayoub e Pietro leggono insieme, ma Pietro tiene il libro tutto per sé e Ayoub è costretto a contorcersi sul banco per leggere anche lui”. Tutti riconoscono che “Angela e Anna sono le più brave: mentre una legge, l’altra segna il ritmo battendo le mani”. Passano così in rassegna tutte le esibizioni. Ognuno, spontaneamente e quasi senza rendersene conto, si autovaluta anche silenziosamente: non è necessario che proprio tutto venga detto e pubblicamente analizzato. È un processo di valutazione per l’apprendimento da tenere ben distinto da una valutazione dell’apprendimento. Anche Luca, con la sua dislessia, è stato allenato da Marianna a leggere alcuni versi durante il momento in coppia. Bravo Luca e brava Marianna. Tutti hanno partecipato, nessuno escluso. Nuove soluzioni al problema

“Si può rifare?”. Certo. La settimana successiva si ripete l’attività con testi e coppie diverse.

L’esperienza precedente permette a tutti di collaborare con più efficacia, di spostare l’attenzione da sé e concentrarsi maggiormente sul compito: sulla comprensione del significato dei testi e sulle modalità di lettura espressiva. Anche la creatività e l‘immaginazione interpretativa ne ricavano un giovamento. I testi vengono interpretati con variazioni nelle pause e nei toni di voce, alcuni accompagnano la lettura con diverse espressioni del viso, con gesti e movimenti. Si inseriscono ripetizioni per dare maggiore significatività alle parole. Il testo scritto dal poeta viene rivissuto in modo personale. Quasi tutti sorridono o ridacchiano durante la lettura, si lasciano prendere dal gioco e l’attività diventa automotivante. Chi non lo fa, chi non si lascia ancora andare all’ilarità, è più che concentrato, alle prese con un’attività che non padroneggia ancora del tutto. Ma non ci pensa neppure a tirarsi indietro: il contesto lo trascina. Se la prova non risulta secondo le aspettative,

sono i ragazzi stessi a chiedere di ripeterla, fino a ottenere il risultato desiderato. Il rito dell’apprezzamento e la soddisfazione

Di nuovo ci si rispecchia nei filmati alla lim. C’è un clima di attesa. Qualcuno teme il momento della propria esibizione pubblica, qualcun altro non vede l’ora: c’è posto per tutti.

Le proiezioni dei filmati dimostrano a tutti i passi che sono stati fatti nella comprensione dei testi e nella lettura espressiva ad alta voce. Si valuta e ci si autovaluta senza sentire il bisogno di assegnare un voto. Rivedersi e riascoltare la propria voce è sempre un grande divertimento. “Prof., mia mamma chiede quando smettiamo di divertirci e cominciamo a studiare”. Anche di questo ci si deve occupare. Ampliamenti e approfondimenti

La volta successiva ci si focalizza sul significato delle parole usate dai poeti. Si legge a coppie ad alta voce, ma non si sente più il bisogno di essere ripresi. Si usano invece delle griglie per raccogliere parole nuove e sconosciute. A due a due, in un’aula pomposamente chiamata “di informatica” si cercano diversi sinonimi delle parole raccolte, utilizzando siti diversi. Si scopre che i vocabolari, anche quelli on line, riportano come esempi frasi di uso comune delle parole in questione, oltre che citazioni di scrittori e poeti diversi. È un genere di lavoro che segue o anticipa ricerche lessicali anche a tema: per esempio, aggettivi relativi ai colori o alle emozioni, verbi riferiti alle percezioni sensoriali, ecc. Ogni coppia fa una raccolta di frasi e citazioni d’autore che permettono di contestualizzare le nuove parole acquisite, per poi confrontarle e scambiarle con altre coppie6. Ci si imbatte in nomi di poeti e scrittori sconosciuti. Partendo dai versi riportati sui vari dizionari si può risalire ai testi completi e scegliere quelli che si preferiscono. Ora tutti sono pronti per il rito della poesia d’autore da imparare a memoria, con grande gioia della mamma di Sara.

Dopo la fase eroica si accetta il passaggio ad attività di routine, la routine quotidiana fatta anche di esercizio ripetitivo, di allenamento, di

6 È un uso informale della tecnica del Jigsaw.

fatica, compiti e studio individuale a casa, un po’ di noia quasi, ma non del tutto, tradizionale. È una questione di ritmo. Se tutti i giorni fossero di festa, perderebbero il loro significato di giorni speciali. E tuttavia l’aver provato in prima persona come si può collaborare, come si possono trasformare banali momenti di quotidiana didattica con una personale immaginazione creativa è un’esperienza in grado di lasciare una traccia indelebile negli approcci e negli atteggiamenti, nella motivazione con cui affrontare ulteriori fatiche e apprendimenti, ulteriori esplorazioni nel panorama della letteratura italiana e non. Valutazione dell’apprendimento

“Ognuno sceglierà un testo della difficoltà e lunghezza che ritiene più consone alle proprie capacità di memorizzazione”. Insieme si decidono i criteri di valutazione anche in relazione al testo scelto. L’”interrogazione” sarà una vera recitazione da attori sul palcoscenico. In seguito ci si potrà anche cimentare, insieme o da soli, nella scrittura di testi poetici.

Così come nelle scenette filmate sono state accettate tutte le prestazioni, a diversi livelli di competenza individuale, anche nella verifica formale si dever tener conto delle diversità, considerando anche che ciascuno è partito da capacità diverse e che tutti hanno fatto un percorso di miglioramento. Se si è creato un ambiente davvero inclusivo, nessuno si stupisce del fatto che si possano prevedere prove diverse e diverse valutazioni. Chi si cimenta in una prova più semplice accetta in partenza di ottenere una valutazione ”oggettiva” inferiore, ma con la consapevolezza di avere di fronte un percorso di avanzamento possibile. Rientra comunque nella responsabilità e sensibilità dell’insegnante gestire, anche dal punto di vista emotivo, tutte le differenziazioni del caso.

Paesaggi da visitare in Europa Anche il secondo racconto è ambientato in una scuola secondaria di primo grado durante un ciclo di lezioni di geografia. Obiettivo: co-costruire

conoscenze disciplinari attraverso una produzione multimediale e un’organizzazione concettuale, in una classe seconda. Proposta degli argomenti e negoziazione del metodo di lavoro

“In queste lezioni scopriremo dei paesaggi europei un po’ particolari come quello della puszta ungherese o del Selciato del Gigante in Irlanda: i libri ci aiuteranno a scegliere quelli più interessanti. Poi cercheremo noi immagini e approfondimenti da realizzare attraverso presentazioni”. “Prof., possiamo farlo insieme?”. I ragazzi già sanno come si lavora in coppia e spontaneamente, a due a due, si organizzano: sfogliano i libri e scelgono gli argomenti da approfondire. Sulla lavagna, progressivamente, compare il disegno organizzativo.

La lettura del libro di testo, a casa come a scuola, sul tablet o sulla carta, non è così accattivante. Tuttavia i libri sono repertori di argomenti già preselezionati e possono aiutare, se non si è ancora esperti, a non disperdersi nell’universo di informazioni presenti nella rete. Alla lavagna i ragazzi scrivono i loro nomi e gli argomenti scelti. Se un argomento è scelto da più coppie si cerca di pervenire a un accordo, in modo da diversificare le ricerche; ma può anche essere utile, se si sceglie una tematica abbastanza complessa, lasciare che più gruppi lavorino in parallelo: questo permetterà di fare confronti e favorirà, nella fase finale, una ripetizione delle stesse informazioni in diverse modalità. È un momento di caos più o meno organizzato, in cui tutti si spostano, si parlano, scrivono - in più persone contemporaneamente - alla lavagna. Mettersi d’accordo comporta sempre qualche momento di frizione: fa parte del gioco dell’apprendere. La prospettiva di realizzare un prodotto che poi sarà visto e valutato da tutti, costituisce un contesto che dà senso e significato alle fatiche (provare per credere) che questo tipo di attività può comportare. Ovviamente le prime volte si affronteranno argomenti semplici con brevi presentazioni. Solo in un momento successivo le tematiche diventeranno più impegnative e complesse. Nel terzo anno si potrà richiedere di realizzare delle slide con titoli e immagini accompagnate non più da brevi didascalie ma da report orali di una certa durata prestabilita.

Ricerca e manipolazione di informazioni con assistenza personalizzata

Eccoci a due a due di fronte a un computer. Testa contro testa, spalla contro spalla, si selezionano immagini e testi, si prendono decisioni in modo non sempre del tutto condiviso. Emergono conflitti e prevaricazioni, momenti di sconforto ma anche di confronto costruttivo. Chi non sa ancora fare una certa operazione tecnica è invitato a chiedere aiuto a qualche compagno prima di rivolgersi all’insegnante. Si lavora a testa bassa per un’ora. Tutto viene salvato sulle chiavette che ognuno ormai usa come un quaderno oppure su una bacheca online.

I lavori si realizzano preferibilmente nelle ore in cui è presente anche l’insegnante di sostegno: è un momento cruciale, in cui c’è bisogno di una assistenza personale e personalizzata. È un’attività di esplorazione che, senza una guida, può risultare molto dispersiva. Rischio che val la pena di correre, ampiamente ripagato sul piano della motivazione e della disposizione ad apprendere a apprendere. Qui l’insegnante gioca il ruolo dell’artigiano esperto: gruppo per gruppo “fa vedere come” selezionare i siti e le informazioni all’interno dei siti, fa notare eventuali incoerenze negli accostamenti tra immagini e testi. Al contrario delle semplificazioni, i processi di e-semplificazione richiedono tempo e fatica, richiedono di rendere consapevoli e visibili le procedure da seguire passo passo, per poi ridurle all’inconsapevolezza una volta interiorizzate. Quando si fa copia e incolla il testo va rivisto e corretto, le concordanze e i verbi ricontrollati e adattati al nuovo contesto. Ci deve essere un equilibrio tra immagini e testo scritto. È un lavoro che richiede precisione, perseveranza, controllo dell’impulsività, attenzione e pazienza, proprio quello che i ragazzi di questa età normalmente non hanno. Dopo un’ora di concentrazione è più fruttuoso fare altro: ci fermiamo e cambiamo ambiente. Analisi e valutazione per l’apprendimento

Il giorno dopo proiettiamo alcuni dei lavori, ovviamente incompleti, sulla lim. “Prof. noi non siamo neppure a metà!”. “Non importa, è per vedere come stanno venendo le presentazioni.

Non è neppure necessario vederle tutte. Ne basta qualcuna, per capire come procedere”.

Reuven Feuerstein la chiama “sperimentazione breve”. Si prova e, prima di portare a termine tutto il lavoro, ci si ferma, si discute su ciò che va e ciò che non va. Si prende coscienza dei propri errori in un ambiente non giudicante, si ascoltano i suggerimenti degli altri e a propria volta si offrono consigli.7 È un processo di autoregolazione che dà un senso diverso, più significativo, al lavoro scolastico. L’insegnante non ha bisogno di dire dove stanno gli errori e come correggerli. La proiezione dei lavori sulla lim rende tutto ampiamente visibile: è sufficiente che l’insegnante ponga poche domande per suscitare diverse e libere riflessioni che portino alla “scoperta personale” (ovviamente guidata e strutturata) di ciò che è fatto bene e ciò che va modificato. Alla fine la soddisfazione di aver veramente imparato a fare qualcosa diventa palpabile. Una tecnica di regolazione della discussione può essere necessaria nelle classi particolarmente conflittuali. Anche per questa fase un’ora è sufficiente. È meglio non approfittare della pazienza di chi soffre nel rimanere a lungo seduto sulla stessa sedia. Nuove soluzioni al problema

Di nuovo, a coppie, di fronte al computer. Si va avanti fino alla fine del lavoro, eventualmente suddividendolo in più giorni o finendolo a casa.

Ora tutti, o quasi, sanno “come” devono fare. Molti si accingono a modificare un lavoro già fatto, alla luce delle osservazioni del giorno precedente. Correggere i propri errori costituisce uno dei momenti più dolorosi dell’apprendimento, ma lo si affronta abbastanza volentieri se l’errore è stato “scoperto da sé” e non segnalato direttamente dall’insegnante. Nell’apprendimento di abilità è bene che il feedback sia il più possibile immediato, ma non è sempre bene che sia anche diretto. Di nuovo l’insegnante offre aiuto a tu per tu in base alle necessità. Di nuovo chi ha capito come si fa si presta a fare da tutor a chi non ce la fa ancora, in una sorta di peer education spontanea e più che informale.

7 Il debrifing è una delle strategie che risultano essere più

efficaci dalle ricerche evidence based.

Può capitare che, una volta acquisito l’atteggiamento cooperativo, i ragazzi lo pratichino anche in situazioni non previste, per esempio durante una verifica scritta. “Prof., io ho già finito di ricopiare il mio testo in bella, posso andare a dettare a Elisa?”. “Prof., io ho già finito il mio esercizio, posso andare ad aiutare Luca?”. “Certo, ma non correggergli tu gli errori, faglieli notare e lascia che cerchi lui la soluzione”. Anche la verifica è un momento di apprendimento, sia di abilità cognitive che sociali. Alla fine, tutti presentano il loro prodotto pubblicamente e la narrazione di questa esperienza può prevedere diversi finali possibili. Esibizione pubblica e valutazione dei prodotti Primo finale. Se si è alla prima esperienza e gli argomenti sono piuttosto semplici e diversi per ogni gruppo.

In base a una griglia prestabilita si valutano tutte le presentazioni. La discussione può anche essere animata e richiedere diversi interventi regolativi. “Quanti hanno espresso un parere in base alla simpatia o all’antipatia verso chi ha presentato il lavoro?”. Molti alzano la mano ridacchiando. L’ultima parola su una valutazione formale rimane comunque quella dell’arbitro (l’insegnante) che si assume la responsabilità finale, non senza aver esposto le proprie ragioni. Anche in questo caso è gradita la presenza dell’insegnante di sostegno.

Se si sono scelti argomenti diversi e abbastanza semplici si valuta formalmente con voto il prodotto di ogni coppia, sulla base di una griglia che prenda in considerazione l’impaginazione, la correttezza formale e la chiarezza del messaggio, la significatività delle informazioni selezionate, la lettura o l’esposizione relativa alle informazioni stesse. Tutti devono aver chiari i criteri di valutazione e poter esprimere la propria opinione

in proposito. Se si valuta anche il processo di valutazione può capitare che molti ammettano di essersi schierati positivamente o negativamente in base all’amicizia (anche questa ammissione fa parte dello svelamento di un processo). Esibizione collettiva dei prodotti, appunti e verifica individuali Secondo finale. Se gli argomenti sono di una certa complessità e sono stati suddivisi in più gruppi.

Ogni gruppo presenta il proprio lavoro, mentre gli altri prendono appunti con schemi, riassunti o mappe. In un momento successivo, in gruppi di tre o quattro ragazzi, ciascuno integra i propri appunti confrontandoli con gli altri. La verifica formale, scritta oppure orale, viene rimandata a un momento successivo, dopo che ciascuno avrà ripassato individualmente a casa. Si possono anche richiedere valutazioni sul percorso di studio. “Questo metodo è stato molto utile perché già lavorando su un argomento, senza studiarlo, l’avevo già imparato e poi è stato bello vedere i lavori degli altri”. “Mi ha aiutato a memorizzare il fatto che era sul computer. Lo ripeterei ma con un altro compagno”. “Si potrebbero fare altri lavori in gruppo o in coppia in modo da fare qualcosa di divertente e da accrescere la nostra amicizia”.

Nel momento in cui i ragazzi espongono alla classe il loro lavoro, sperimentano il ruolo dell’insegnante e assumono, almeno in parte, la responsabilità della comprensione di chi ascolta. Se si è lavorato in precedenza e in diverse discipline sui concetti organizzatori, gli allievi che ascoltano saranno invitati a prendere degli “appunti organizzati” secondo vari modelli di mappe e schemi, riducendo così il carico cognitivo nel processo di memorizzazione delle conoscenze. In alternativa possono essere costruite insieme

delle griglie che facilitino la classificazione delle informazioni che ci si accinge ad apprendere, trasformandole così in conoscenze8. Organizzare le informazioni classificandole in poche categorie è come disporre tanti piccoli oggetti che sfuggono di mano in poche borse che li possono contenere tutti. Riduce la confusione mentale e la sensazione di aver la testa troppo piena e non poter ricordare tutto, alleggerisce il carico della memoria di lavoro e rende accessibili le nuove conoscenze in occasione di un nuovo recupero di queste dalla memoria a lungo termine9. Tutta la classe è stata così condotta a sperimentare un metodo di studio fatto di ricerca, esplorazione e approfondimento, rielaborazione personale dei contenuti (appunti individuali e in gruppo), memorizzazione significativa e ripasso a casa10.

Dai racconti il delinearsi di uno stile

“Mi sembra molto vago”, si lamentò Alice.

“Come se tu non fossi sicuro di ciò che c’è qui veramente”.

“Giusto!”, ribatté il Meccanico tutto allegro. Non te ne sei accorta? Possiamo parlare con una certa sicurezza

delle osservazioni, ma cosa realmente osserviamo... beh, questo è tutt’un altro paio di maniche”.

(Robert Gilmore)

Dietro le quinte/1. Quando le pratiche metodologiche diventano atteggiamenti e le tecniche si traducono in azioni abituali, informali e ricorrenti fino ad attivarsi automaticamente nelle più diverse situazioni e a creare un effetto stile; quando pensare e agire coincidono in un unico stato mentale, allora una didattica dai processi intrecciati può diventare tacita e automatica pratica quotidiana. Un sapere come che si attiva automaticamente e con la flessibilità necessaria per adattarsi alle diverse situazioni,

8 “Aiutare gli studenti a organizzare le informazioni in

strutture concettuali coese è l’aspetto fondamentale, sulla base del quale si decide l’efficacia del risultato, dato che le conoscenze non restano in memoria se non sono inserite in strutture organizzate”. Calvani A., Per un’istruzione evidence based, Erickson, Trento 2012, p. 60. 9 Una spiegazione breve sui limiti della memoria di lavoro si

può trovare in: http://vimeo.com/17225319. 10

“Più numerose, complesse e variate sono le elaborazioni condotte su un’informazione o conoscenza, più a lungo questa sarà conservata”. Calvani A., Op. cit. , p. 43.

anche a dispetto delle azioni previste e programmate, trasformando l’azione didattica da una tecnica a un’arte. Quali processi per quali competenze Quali categorie di strutture e processi intrecciare dovrebbe ormai essere chiaro:

Un sapere come costruire ambienti di apprendimento attraverso una mediazione organizzativa dei tempi, degli spazi, degli strumenti e dei gruppi, come molteplici ineludibili luoghi di interazione e di processi allo stesso tempo motivazionali, conoscitivi e cooperativi.

Un sapere come costruire ambienti di apprendimento attraverso una mediazione cognitiva e metacognitiva, fedele alle architetture della mente, essenziale per l’apprendimento di competenze, che si concretizza: o nell’esemplificare e allenare abilità e

strategie (saperi come)11; o nell’esplorare diversi ambiti del sapere

(saperi che)12; o nel conseguire competenze e nel

realizzare opere e eventi (saper usare); o nel riflettere e argomentare su che cosa si

prova, si fa, si sa e si vuole, si crede, si sogna, si sceglie e si decide; e su come si reagisce, si fa, si impara e si vive, si crede, si sogna, si sceglie e si decide (sapere di sapere ma anche di non sapere).

Un sapere come costruire ambienti educativi attraverso una mediazione metacomunicativa

11

Le conoscenze procedurali sono codificate nella memoria a lungo termine sotto forma di strutture subcognitive sommerse e stereotipate (script e frame) che determinano un apprendimento automatico. Si apprendono per deduzione (applicazione di regole), induzione (scoperta, anche guidata), imitazione. Si consolidano con allenamento (esercizi ripetuti) seguiti da feedback immediato, esempi e controesempi. 12

Le conoscenze dichiarative sono rappresentate nella memoria a lungo termine sotto forma di strutture subcognitive sommerse, reticolari e proposizionali. Si apprendono per ricezione costruttiva e significativa attraverso due processi che sono alla base di qualsiasi altro processo di comprensione: l’elaborazione integra le nuove informazioni alle

conoscenze già acquisite (preconoscenze); l’organizzazione classifica le informazioni in

sottoinsiemi collegati.

che confermi ogni persona in quanto esistente; mediazione generatrice di esperienze possibili che, a partire dai bisogni, dall’età e dalle capacità e preconoscenze degli allievi, si esplichi in una relazione educativa non solo tra insegnante e allievo ma anche tra pari.

Trasparenza e indeterminazione Pochi tipi di processi e strutture che, intrecciati tra loro e attuati ricorsivamente come le regole grammaticali di una lingua, permettono di costruire infinite e diverse storie e situazioni. Processi che aderiscono alle esigenze di un’intelligenza non monolitica ma a più dimensioni, rispondenti a poche categorie referenziali: un’intelligenza sensomotoria- emotiva e affettiva, un’intelligenza cognitiva e conoscitiva, un’intelligenza intenzionale e relazionale. Categorie che, a loro volta, si intersecano con altre, rispondenti a strutture e processi cognitivi articolati su livelli diversi. E come nei Tre mondi di Escher, l’ordito della complessità impone una tessitura a più strati13.

Lo strato base, il pelo dell’acqua su cui galleggiano le foglie, è il mondo sensibile e quotidiano di “immediata” (si fa per dire) comprensione. È il livello fenomenico delle competenze agite, dei comportamenti emotivi e affettivi, conoscitivi, intenzionali e relazionali.

Se lo si osserva da un livello esterno e in trasparenza, con gli occhiali della metacognizione, ci si accorge che è mosso dalla vita di un mondo subacqueo: il livello dei processi subcognitivi - schemi e rappresentazioni mentali (saperi come e saperi che) - anch’essi affettivi, conoscitivi e relazionali14.

Nello stesso tempo, riflette/ interpreta un mondo che sta al di fuori e al di sopra.

La trasparenza svela (rende visibile ciò che sta sotto), riflette e interpreta ciò che sta fuori. Nello

13

La metafora di Escher può esserci di aiuto nel costruire un’immagine mentale di alcuni aspetti della complessità, incrementandone così la comprensione. Anche le immagini mentali (Gagnè, E.) rivelano e inducono processi subcognitivi come l’analogia, considerata da Douglas Hofstadter come il “cuore pulsante del pensiero” in Superfici ed essenze (Codice edizioni, Torino 2015). 14

Se non avviene a questo livello profondo e tacito, l’apprendimento rimane superficiale e meccanico.

stesso tempo deforma e nasconde sotto il velo dell’ambiguità (non si distingue mai chiaramente a quale livello si sta operando, vivendo, parlando) e dell’ambivalenza (si parla, si vive e si opera contemporaneamente a tutti i livelli). Lo svelamento e il sostegno dei processi subcognitivi, cognitivi, conoscitivi e metacognitivi (nonostante siano sempre legati a punti di vista relativamente soggettivi, indeterminati e variabili) costituiscono il cuore dell’animazione dei processi di apprendimento in ambito scolastico. Una didattica focalizzata sull’esperienza sia cognitiva che cooperativa più che sull’esaustività (oggi impossibile) di nozioni e contenuti informativi, può essere più accessibile a un maggior numero di studenti.

Una trama di processi che si avvolgono su se stessi Dietro le quinte/2. L’intrecciarsi e l’intersecarsi di più categorie di strutture e di processi è stato lungamente descritto, in quanto oggetto dei precedenti racconti15. Un groviglio che, nella

15

Solo l’esperienza può essere vissuta e solo ciò che si vive si può raccontare. Si fa esperienza di apprendimento, non di

pratica quotidiana, può essere definito di sfondo, è qui emerso come figura: un cambio di prospettiva che ne ha permesso un’analisi a più strati, oltre che a più dimensioni. È come se la riflessione metacognitiva avesse abbassato il livello dell’acqua per far emergere il mondo di sotto. Un intreccio di processi che ha l’obiettivo, non garantito, di mantenere alti i livelli di attenzione, interesse, collaborazione, motivazione, impegno e partecipazione attiva e di trasformarli, da semplici attitudini e disposizioni, in atteggiamenti consapevoli e, quindi, in vere e proprie competenze. Ciò che nella didattica quotidiana è comunemente focalizzato come figura e specifico dell’insegnamento scolastico - l’insieme dei contenuti da studiare e apprendere - è stato reso trasparente e posto volutamente in secondo piano per far emergere l’apprendimento come flusso di esperienze, superando così il tradizionale flusso di nozioni da dimenticare subito dopo l’interrogazione. Con un salto concettuale e analogico, si può dire che, come la pragmatica della comunicazione, anche la pragmatica dell’apprendimento presenta due aspetti:

uno semantico di contenuto o informazione;

uno sintattico di esperienza o processo. I contenuti, in quanto informazioni (cose da imparare), rappresentano il che cosa dell’apprendimento, nel suo duplice aspetto di operatività e informazione. Lasciati in secondo piano nei racconti precedenti, hanno fatto emergere la narrazione dell’esperienza o processo: il come dell’apprendimento, declinato nell’intreccio dei processi di contesto organizzativo, di mediazione cognitiva e metacognitiva, di mediazione metacomunicativa e relazionale. Il primo racconto si è focalizzato sull’apprendimento di abilità (contenuti operativi): saper interpretare un testo ad alta voce (implica anche l’abilità di averlo compreso). Il secondo racconto ha messo in evidenza la maggior complessità dell’apprendimento di

conoscenze/contenuti. Le conoscenze/contenuti possono essere esposte e argomentate. E si fa esperienza di apprendimento non al di fuori o senza specifiche conoscenze/contenuti, ma attraverso qualsiasi conoscenza/contenuto.

conoscenze (i paesaggi europei) che, a loro volta, necessitano anche di conoscenze operative: cercare e selezionare informazioni, comporle in una produzione che si avvalga anche di una specifica tecnologia (non ancora del tutto padroneggiata)16. L’ordito della complessità richiede un continuo slittamento tra diversi punti di vista e diverse prospettive: ciò che, da una certa prospettiva, può essere considerato figura, può diventare sfondo se si guarda da una diversa angolazione e viceversa, giocando alternativamente tra linguaggi e metalinguaggi.

La spirale dell’inclusione

La crescita ha le sue esigenze formali... una di queste è soddisfatta

(in senso matematico, ideale) dalla forma a spirale.

(Gregory Bateson)

Dietro le quinte/3. Partire dall’assunzione dei bisogni dei ragazzi, così come vengono da loro vissuti, è fondamentale. Nella fascia d’età fin qui considerata, il bisogno di far parte del gruppo dei pari è ineludibile. La prima e spontanea richiesta quando si pone un problema da risolvere o un esercizio da svolgere riguarda il poterlo fare insieme. Subito dopo i bisogni primari e prima dei bisogni di cultura e autorealizzazione, vengono i bisogni di sicurezza, autostima, riconoscimento e appartenenza. Imparare insieme è percepito dai ragazzi come divertente, nel significato, anche etimologico del termine, di allontanamento, sollevamento dalla fatica e dalla preoccupazione.

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L’apprendimento di conoscenze informative o dichiarative si realizza quando queste permangono in modo significativo nella memoria a lungo termine, disponibili per essere rievocate e riutilizzate in tempi e situazioni diverse. L’apprendimento di conoscenze operative o procedurali si realizza quando queste si attivano automaticamente nel momento del bisogno. Le conoscenze procedurali possono essere espresse in forma dichiarativa (come nei diagrammi di flusso). Le conoscenze dichiarative (rappresentabili in reti proposizionali) possono anche essere utilizzate per fornire dati di analisi (regole) alle conoscenze procedurali e facilitarne l’apprendimento.

Risolvere problemi in due o tre, in un contesto di competizione17 tra gruppi e collaborazione fra individui, facilita la partecipazione di tutti e relativizza le ansie individuali. La leva della cooperazione Una cooperazione leggera dentro un contesto competitivo altrettanto leggero, vissuta in modo informale e diffuso, monitorata in modo altrettanto informale e diffuso dall’insegnante produce diverse categorie di risultati:

esiti emotivi/affettivi: riduce l’ansia e la paura individuale di sbagliare, alleggerisce la fatica che viene così condivisa, allena a riconoscere e gestire le proprie emozioni per sintonizzarsi sulle emozioni e reazioni degli altri;

esiti cognitivi/conoscitivi/metacognitivi: moltiplica la produzione delle idee, incoraggia il confronto e la co-costruzione del sapere, libera la creatività e la ricerca di soluzioni e strategie operative diversificate;

esiti relazionali/intenzionali: sprona ad assumersi la responsabilità nel fare la propria parte (soprattutto quando si lavora in due), sollecita a esprimersi nel perimetro di norme socialmente condivise, facilita l’appartenenza al gruppo e l’instaurarsi di rapporti di amicizia.

L’apprendimento cooperativo si presta a essere la prima e più immediata leva motivazionale, soprattutto quando la disaffezione alla scuola è la disposizione prevalente. La leva della comprensione La seconda leva, legata alla prima, è la comprensione: “C’è quel momento in cui non sei concentrata e non riesci a capire un procedimento di qualsiasi genere e dici: ‘Basta! Non lo capirò mai’. E poi magari, quando lavori in gruppo, lo capisci anche senza accorgerti”. È la testimonianza di una ragazza dodicenne. Lavorare in gruppo non solo alleggerisce la fatica: permette di dialogare, confrontarsi, copiare dagli altri18, assumere punti di vista diversi19.

17

La competizione non va demonizzata ma inclusa, in quanto percepita come elemento ludico. 18

Anche gli atteggiamenti si copiano, basta pensare agli studi sui neuroni specchio. 19

Alle tecniche cooperative si possono aggiungere una molteplicità di altre tipologie di tecniche, dal brainstorming

Il capire ha implicazioni emotive e motivazionali forti. “Sono qui, in questa classe, e finalmente capisco! Quando non succede, quando non capisco niente, mi sfaldo, mi disintegro in questo tempo che non passa, mi riduco in polvere e un soffio basta a disperdermi”. Questa volta la testimonianza è di Daniel Pennac in Diario di scuola. Com-prendere: afferrare con la mente, ognuno individualmente e con la propria mente. Si fa e si discute insieme, ma si capisce individualmente. I processi di comprensione implicano un coinvolgimento attivo, in prima persona, da protagonisti. Cosa possibile quando il compito implica diverse soluzioni tra cui scegliere, soprattutto discutendo con altri e provando e riprovando diverse combinazioni. Ascoltare una lezione frontale è un compito che solo un adulto, esperto ascoltatore, può affrontare con la consapevolezza di non essere passivo. Ridurre i tempi della lezione-esposizione non esautora l’insegnante (poche informazioni, se essenziali, sono sufficienti) in compenso gli consente di trasferire tutto l’impegno nell’assistenza ai singoli e ai gruppi durante le attività: l’esemplificazione di un esperto crea quell’ambiente di apprendimento che a buon diritto chiamiamo artigianale e laboratoriale, anche quando si tratta di artigianato cognitivo. In conclusione: la cooperazione attiva e rinforza la motivazione, la motivazione libera la concentrazione necessaria e la disposizione alla comprensione, la comprensione incrementa la motivazione che, a sua volta, facilita la partecipazione attiva e cooperativa. Ecco un ordito complesso e a spirale, una possibile struttura per una probabile, ma mai scontata, esperienza di inclusione. La motivazione è l’elemento centrale, rispetto al quale la scuola può svolgere un’azione di sostegno (spesso non lo fa), che rimane tuttavia insufficiente senza una cooperazione (non sempre presente) con i contesti familiari e sociali.

alle mappe che esemplificano e organizzano concetti e relazioni tra concetti, supportando così anche i processi cognitivi di comprensione e memorizzazione.

Una logica riflessiva e circolare

Alla fine noi, miraggi che si autopercepiscono,

si inventano, si autoconsolidano, siamo piccoli miracoli di autoreferenza.

(Douglas Hofstadter)

Infine, la riflessione come pratica argomentativa, frequente e generalizzata, conferisce consapevolezza e significato a tutto il sistema di processi, può contribuire ad arginare la reattività istintiva, a predisporre al ragionamento critico e a promuovere l’assunzione di autonomia e responsabilità. Attraverso la riflessione metacognitiva il pensiero, da inesperto e inconsapevole, può diventare esperto e consapevole; da istintivo e primordiale, può trasformarsi in evoluto e ragionato; da acritico, può evolversi in critico; da immaturo e bambino, può farsi maturo e adulto;

da superficiale e sommario, può mutarsi in pensiero complesso e articolato; da ingenuo e sprovveduto, può cambiarsi in accorto e informato; da impulsivo e avventato, può tradursi in analitico e meditato; da rozzo ed enfatico, si può tramutare in elaborato ed equilibrato; da cieco e fideistico, può modificarsi in pensiero lungimirante e problematico; da dogmatico e indiscutibile, può aprirsi in senso relativo e dialogante; da episodico e aneddotico, può passare a sistematico e globale; da opaco, può divenire trasparente. E, come nei Tre mondi di Escher la trasparenza dell’acqua, così il pensiero trasparente ci può mostrare ciò che sta in mezzo, ciò che sta sotto, ciò che sta fuori e, in questo suo mostrare, rivela se stesso e il ruolo che è in grado di svolgere.