Uno più uno fa tre
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Transcript of Uno più uno fa tre
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A cura di
Massimiliano Martucci
Serveco
Uno pi uno fa tre.
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In copertina una foto del Volkswagen Transporter utilizzato per le prime consegne dei rifiuti art director: Angelo Saracino
Libro realizzato grazie al progetto: Giovani innovatori in azienda
un'attivit inserita nell'Azione "Innovazione per l'occupabilit" del Piano
Straordinario per il Lavoro della Regione Puglia e cofinanziata a valere sul
PO Puglia FSE, Asse VII "Capacit istituzionale".
ISBN 978-88-98869-00-8
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3
SOMMARIO
AVVERTENZE PER IL LETTORE
(ovvero perch 1+1=3) 6
PREFAZIONE | VITO MANZARI
(l'impresa deve esprimere grande curiosit) 11
INTRODUZIONE | 5 EURO
(perch conta essere precisi) 17
CAP. 1 | PIERINO CHIRULLI
(tutto nasce da "Avere o Essere" di Erich Fromm) 22
CAP. 2 | CARMELO MARANGI
(la vera intuizione) 31
CAP. 3 | MARTINO PIZZIGALLO
(all'inizio era convinto di non essere nemmeno pagato) 40
CAP. 4 | PIERINO CHIRULLI
(ovvero di quando all'inizio si vendevano solo forni) 46
CAP.5 | CARMELO MARANGI
(la prima raccolta differenziata fu ad Alberobello) 53
CAP. 6 | DORELLA TAGLIENTE
(al principio di tutto) 64
CAP. 7 | PIERINO CHIRULLI
(in cui si racconta di quando la differenziata non interessava a nessuno) 69
CAP. 8 |CARMELO MARANGI
(un padre onesto fa il figlio onesto) 72
CAP. 9 | FRANCESCO SPERTI
(cosa ha insegnato l'esperienza in Serveco) 77
CAP. 10 | PIERINO CHIRULLI
(il salto di qualit) 81
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4
CAP. 11 | CARMELO MARANGI
(ogni nuovo progetto fatto per migliorare l'ultimo realizzato) 85
CAP. 12 | LUCA CASTAGNA
(perch ci sono gare a cui non partecipiamo) 89
CAP. 13 | MARIA PIA BRUNO
(l'azienda si comporta come una famiglia) 94
CAP. 14 | ANTONIO LUCARELLA
(tutto cambia e bisogna sapersi adattare) 98
CAP. 15 | ROSALBA GRECO E ANTONELLA SCATIGNA
(il senso del lavoro migliorare il futuro) 104
CAP. 16 | CARMELO MARANGI
(il trasferimento a Montemesola) 112
CAP. 17 | ANTONIO LOPARCO
(l'attitudine alla correttezza) 114
CAP. 18 | SABINO ROSATO
(le bonifiche) 119
CAP. 19 | PIERINO CHIRULLI
(il porta a porta) 128
CAP. 20 | PINO CARAMIA
(la prima gara vinta fu quella di Maruggio) 131
CAP. 21 | PIERINO CHIRULLI
(la nostra forza sono le persone) 139
CAP. 22 | LELLA MICCOLIS
(la prima start up) 142
CAP. 23 | CONCLUSIONI
(la sfida del futuro) 150
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POSTFAZIONE | ELIO GRECO
(Serveco e la cultura) 154
L'IMMONDIZIA NON LIQUIRIZIA
(il fumetto) 157
INDICE DELLE FIGURE
FIGURA 1 - LA BIBLIOTECA DI SERVECO 25
FIGURA 2 - IL VOLKSWAGEN TRANSFERT 49
FIGURA 3 - PROPOSTA DI COMMISSIONE PER LA VENDITA DI UN FORNO
PIROMIX 55
FIGURA 4 - IL 684 FIAT 58
FIGURA 5 - DEMOLIZIONE DELLA NAVE TELLARO 122
FIGURA 6 - LA BONIFICA DI BUFALORIA - MARTINA FRANCA 123
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Avvertenze per il lettore.
Lopportunit del bando per i Giovani Innovatori in
Azienda, promosso da Arti Puglia, mi ha dato loccasione
per entrare in profondit in unazienda con un progetto
innovativo, ma contemporaneamente in controtendenza.
Linnovazione una prospettiva, un nuovo punto di vista,
non un chip o un algoritmo. Non solo, almeno. Anche un
libro, come questo, uno strumento di comunicazione che ha
cinque secoli di vita (quello stampato, almeno), pu avere
nuovi utilizzi, pu diventare strumento di innovazione. Pu
riportare alla luce vecchie storie, creare partecipazione,
rafforzare la comunit. Pu, come abbiamo cercato di fare
in questo caso, essere un modo per spolverare e rafforzare
i valori sui quali stata fondata unazienda, riproporli con
forza in un periodo di crisi, aiutarne la diffusione tra le
nuove generazioni di dipendenti, fornitori e collaboratori.
Pu rafforzare la comunit aziendale.
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Scrivere questo libro stato come affondare le mani dentro
un sacco di legumi, con la sensazione di piacevolezza ma
anche di timore per quello che il tatto avrebbe fatto
percepire. A partire dallidea che ho di Pierino Chirulli, che
corrisponde grosso modo alla sensazione di piacevolezza, e
il timore di quello che le mie mani avrebbero toccato
quando, appunto, le avessi affondate nel sacco,
intervistando i collaboratori e i dipendenti di Serveco. Dopo
tutti questi mesi di lavorazione, di interviste, di sbobinature,
di appuntamenti e di incontri, posso dire che le mani sono
affondate e la sensazione di piacevolezza rimasta intatta.
Lidea che ci si fa di unazienda conoscendone la testa
sembra corrispondere a verit. Come ho scoperto dopo, la
Serveco fatta a immagine e somiglianza, innanzitutto, di
Pietro Vito Chirulli e di Carmelo Marangi, ma anche dei
collaboratori che, man mano, hanno occupato posti chiave.
Una azienda speculare alle persone di cui composta, nel
bene e nel male. Se i fondatori sono vitali e precisi, capaci
di guardare di traverso e attraverso, cio capaci di cogliere
collegamenti inaspettati ma anche di andare in profondit
nelle cose, cos lazienda, dalle parole di chi ho intervistato,
unorganizzazione che lavora perch trova in quello che
fa un senso ultimo che va oltre la strumentalit dellazione.
Chi ho intervistato racconta di unazienda resiliente,
resistente, attrice sociale consapevole, composta da tante
individualit che, guarda caso, si sono trovate al posto
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giusto al momento giusto. Anzi, lazienda stessa che si
trovata al posto giusto al momento giusto. Cos come i
fondatori, la Serveco lungimirante e accorta.
Dalle pagine di questo libro trasparir una specie di
gratitudine dei dipendenti nei confronti dellazienda e di
Pierino e Carmelo. Chi si occupa di indagini sociologiche,
per esempio, o i giornalisti pi accorti, sanno che il
microfono, il taccuino, influiscono sulle risposte e spesso
lintervistato risponde in base a quello che pensa sia giusto
per lintervistatore. In questo caso, in maniera implicita,
silenziosamente, ho sempre tenuto ben in evidenza questo
post-it nella mia mente, sia mentre ascoltavo, sia mentre
scrivevo, consapevole che i miei interlocutori sapevano che
il libro sarebbe comunque prima passato dallok
dellamministrazione e della direzione aziendale.
Ma.
Dalla media delle interviste, dalla media delle esperienze,
il minimo comune denominatore dei racconti una specie
di gratitudine umana nei confronti dei fondatori, che
occupano un posto speciale nellimmaginario degli
intervistati e che non sono considerati come meri datori di
lavoro, ma come fossero fratelli maggiori che conducono
lazienda verso nuove avventure. E cos come i fratelli
maggiori non sono infallibili, anzi, nella loro fallibilit il
rapporto acquista un valore speciale, perch i pi piccoli
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sono chiamati a riempire le lacune, a far notare gli errori, a
contribuire a quella dimensione di infallibilit attraverso un
senso di protezione inverso.
Ecco lavvertenza, il senso profondo di quello che ho
raccolto e cercato di rendere a parole, proprio questo:
scremate lentusiasmo delle parole e il romanticismo dei
ricordi, e vi accorgerete che davvero c la sensazione di
aver fatto parte di qualcosa, e di farne ancora parte e di
lottare perch questo qualcosa duri per il pi lungo tempo
possibile.
Questo libro ha anche lambizione di offrire a chi non ha
fatto parte della vecchia guardia di conoscere i momenti
iniziali, le ambizioni, i valori con cui nata Serveco, quasi
trentanni fa, nel retrobottega di un emporio edile, esempio
di azienda virtuosa dalla presenza lieve sul territorio.
I capitoli sono le testimonianze in prima persona dei
protagonisti dellazienda: Pierino Chirulli e Carmelo
Marangi, che tesseranno il filo conduttore della storia
aziendale. La parola quindi passer ai collaboratori storici,
gli operativi, come vengono chiamati in azienda, cio
coloro che ricoprono un ruolo di responsabilit nei diversi
settori, e pi in generale a chi fa parte della vecchia
guardia, coloro che hanno iniziato la loro carriera
lavorativa a Martina Franca, in via Villa Castelli e che
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quindi, con il proprio contributo, il proprio lavoro, hanno
contribuito a portare la Serveco dove ora.
Ho cercato di seguire quanto pi possibile una successione
cronologica, dettata dai racconti di Pierino e Carmelo, a
volte invece per coerenza dei temi trattati.
Perch 1 + 1 = 3
Sar Vito Manzari, presidente di Costellazione Apulia,
consorzio di imprese di cui fa parte Serveco, a suggerire il
nome, inconsapevolmente, di questo libro. Due persone,
racconta Vito Manzari, possono incontrarsi in vari modi. Il
modo migliore, anche dal punto di vista lavorativo, lo
scambio di idee: da due idee condivise ne pu nascere una
terza. La somma di due idee, quindi, (almeno) tre idee.
Cos le persone che decidono che condividere un percorso,
un lavoro, delegando, affidando responsabilit, dando
fiducia, aprono varchi nei processi decisionali e
moltiplicano le possibilit, esattamente al contrario di chi,
preferisce affidarsi alla forza centripeta dellautorit che
riduce tutto a uno.
Massimiliano Martucci
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Prefazione
Vito Manzari1
Ho conosciuto la Serveco durante un evento organizzato da
Sud Sistemi sulle learning organization. Da informatico mi
sono sempre appassionato ai processi di organizzazione,
perch il miglior software, perch funzioni al meglio, deve
accompagnarsi ad una buona organizzazione aziendale.
Abbiamo introdotto quindi un lavoro sullinnovazione di
processo, riscontrando per una serie di difficolt, perch
avevamo trascurato una terza dimensione, che quella delle
persone, delle persone che lavorano insieme. Il nostro
1 Vito Manzari il presidente di Sud Sistemi, unimpresa di Bari che si occupa di sistemi informatici, ma anche del Consorzio Costellazione Apulia, di cui fa parte Serveco. E tra i fornitori storici dellazienda ma anche, possiamo definirlo, un compagno di strada che condivide la visione fondante di Serveco.
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interesse era quindi su come le organizzazioni apprendono,
come le persone che stanno insieme mettono a fattor
comune la capacit di apprendimento. Il problema che
quando due persone si mettono insieme, uno pi uno non fa
due ma uno e mezzo. Il nostro obiettivo era capire come
fare in modo che uno pi uno facesse tre. Abbiamo iniziato
a frequentare ambienti in cui questi temi erano discussi, tra
cui uno che faceva riferimento ad un grande pensatore che
si chiama Ugo Sgrosso. Costituimmo ASCOA,
lAssociazione per lo Sviluppo delle Competenze delle
Organizzazioni che Apprendono, e grazie a lui mettemmo
su questo progetto sulle learning organization. Un progetto
ambizioso che metteva insieme pi nazioni, pi
professionisti, e la Sud Sistemi era lazienda che aveva le
caratteristiche per fare il project leader. Il progetto fu
approvato, inaspettatamente, dallUnione Europea,
nonostante non avessimo esperienza su progetti di questo
tipo. Tra quattrocento progetti, fu quello premiato come
migliore. LItalia port il nostro progetto come esempio
allUE, tanto che lo raccontammo nel Parlamento Europeo
e poi fummo invitati anche dal Parlamento Tedesco.
Il progetto prevedeva il coinvolgimento di una decina di
imprese che avrebbero dovuto sperimentare una serie di
sintesi esperienziali che dovevamo teorizzare in una fase di
ricerca, in un percorso che innescava nei gruppi la capacit
di cooperare per fare in modo che uno pi uno non fosse
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tre. Il problema era come attirare le aziende. Siamo nel
1997, pi o meno. Decidemmo di fare una serie di eventi in
Puglia.
La cosa che ci colp che quasi tutte le aziende che
parteciparono agli eventi, poi aderirono al progetto. Erano
ventiquattro e a noi bastavano dieci. Rimodulammo il
progetto per un numero maggiore di aziende. Pierino ebbe
la sensibilit di staccarsi e di venire allevento che fu fatto
su Taranto, se non ricordo male. Come sempre Pierino ebbe
unintuizione delle sue, perch capace di guardare oltre:
decise di aderire e far partecipare molte persone della sua
azienda. Unesperienza che credo abbia inciso sulla storia
di Pierino e della sua azienda.
Dopo lesperienza delle learning organization, con Pierino
c stato un confronto continuo, dal quale scaturita prima
LearNet, la rete delle imprese che apprendono e poi il
Consorzio Costellazione Apulia, che organizza i Colloqui
di Martina Franca.
Ho avuto modo di conoscere Serveco in maniera pi
intima grazie al fatto che sono diventato fornitore
dellazienda. Sono entrato nei meandri dei processi,
nellintimit del pensiero dei singoli con cui ho collaborato
e con cui oggi i miei collaboratori collaborano. Ho dato un
contributo a formalizzare i processi. Lintimit della
Serveco la posso raccontare attraverso il binomio Pierino e
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Carmelo e anche qui non sai onestamente quanta fortuna o
quanto intuito, quanta capacit sta nel fatto che loro si sono
dotati di persone a loro modo speciali. Io penso che il
binomio tra i due, lintuito, la creativit, la sfrontatezza, la
voglia di approfondire di Pierino, il metodo, la
determinazione, lapproccio ingegneristico, la
testardaggine di Carmelo. Apparentemente hanno poco in
comune, ma hanno creato insieme una chimica, una magia,
attraendo attorno a loro persone che reputo intimamente
oneste che hanno votato la loro vita a quello che facevano.
Questo binomio pu tradursi cos: Pierino lavora al fronte
e Carmelo nelle retrovie. Pierino quello che, secondo me,
apre strategie, cura le relazioni, attrae a s idee, persone e
iniziative, fomenta lo sviluppo di pensieri divergenti.
Carmelo fa il diavoletto, cio prova a metterli in
discussione, ma con la capacit di ammettere che alcune
cose possono funzionare. Pierino era quello con cui
costruivo gli scenari, ma la formalizzazione avveniva con
Carmelo, che tentava di mettere in discussione in maniera
critica.
Per lavoro entro in tantissime aziende, ogni anno. Nella
maggioranza delle imprese c una sola persona che decide,
nel bene e nel male. Nessuno, per, si rif al modello
bocconiano dellimprenditore, cio qualcuno che sa
rischiare, che ha le idee chiare, che analizza i dati. Sono di
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solito lesatto opposto. Imprenditori che tendenzialmente
non rischiano, che prendono decisioni senza tener conto dei
dati, ma basandosi sullistinto, su una cultura spesso
scarsissima.
A differenza di questi, Pierino legge tanto, legge tutto,
nonostante non si ponga come una persona colta
nellimmaginario collettivo. Parla un italiano spesso
inventato, a met tra il dialetto e litaliano. Ma efficace,
perch lui pensa fuori dagli schemi dominanti, fuori dallo
scontato. Pierino non mai scontato, e riesce a cogliere da
tutto ci che gli passa davanti i collegamenti con lo scenario
a lui noto. Pierino apre i fronti, li immagina, li sogna. Ma
ha alle spalle la sicurezza di Carmelo, capace di
regolarizzare, dettare i tempi, che si occupa degli indicatori
di controllo.
Ci sono aziende in cui imprenditori sono riusciti a costruire
un gruppo a cui stato dato fiducia, e che ha ricambiato.
Queste persone per sono anche il limite, perch non puoi
cambiarle pi. Serveco in qualche modo rompe questo
schema, perch si creano altri spazi in cui altri soggetti
diventano protagonisti: non c bisogno di insidiare spazi,
perch ce ne sono altri che nascono.
Alla domanda se replicabile lesperienza Serveco, credo
che la migliore risposta sia cambiare la domanda: cosa
posso portare a casa dellesperienza di Serveco? Io mi sono
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portato a casa lidea che c lopportunit e la necessit di
cogliere i segnali deboli della societ e su questi
immaginare modelli di business. Pierino fa proprio questo,
grazie alla sua sensibilit. Lui gioca la sua partita proprio
su questo. Una volta ho posto una domanda a Pierino: Ti
sei mai chiesto perch le cose che fai mediamente
funzionano?. Lui mi rispose: Mi sono dato delle regole
che sono le mie regole con cui gioco la partita. E quando
gli altri capiranno le regole del mio gioco, io avr gi
vinto. Ovviamente la lettura pu essere duplice, perch
anche qualcun altro potrebbe pensarla uguale e fare del
male. Un po come un cuscino, che puoi usarlo per dormire
o per soffocare. Pierino non insegue quindi il modello
ricorrente, la massa, la anticipa.
Limpresa deve esprimere una grande curiosit, seguendo
il modello Pierino Carmelo. Bisogna dedicare una parte
del proprio tempo a fare cose che apparentemente non sono
legate al tuo lavoro. Cose che ad un imprenditore
stereotipato sembrano una perdita di tempo. Pierino riesce
per esempio a navigare in situazioni e in ambienti in cui lui
gi ha intravisto collegamenti e investe del tempo. Un
imprenditore che si tuffa al 100% nel suo modello di
business, dovrebbe capire che necessario praticare luoghi
e pensieri diversi. Questa una grande lezione.
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Introduzione
5 euro
La sede della Serveco nella zona industriale di
Montemesola, uno dei pi piccoli comuni della provincia di
Taranto. Che sia inverno o estate, sembra comunque di
essere sempre ai limiti di un deserto, in un territorio conteso
tra la Valle dItria e lacciaieria pi famigerata dItalia.
Montemesola a met strada, un po spostata verso oriente,
rispetto alla statale che collega la provincia da nord a sud.
La sede della Serveco un grande capannone situato tra
tanti che sono vuoti o in vendita. Quello dellazienda
fondata nel 1987 si divide tra una parte dedicata agli uffici
e una grande officina che ospita i mezzi della raccolta
differenziata, ma anche pezzi di pale eoliche o qualche
prototipo da testare.
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Uno degli ultimi nati tra questi il volano della Encosys.
Unidea che nasce da un geniale ingegnere martinese e
brevettata in tutto il mondo. Ogni volta che un ascensore
scende produce energia che di solito va sprecata, grazie al
Sem di Encosys questa viene accumulata e utilizzata nella
risalita, abbattendo cos i costi. Uno dei primi prototipi
montato allascensore dellazienda, anche se sono solo tre
piani. Nel caso in cui doveste trovarvi a passare da queste
parti state pur certi che Pierino Chirulli ci terr a farvi
provare lebbrezza di una salita a basso consumo. Con uno
di questi volani un ascensore normale potrebbe essere
alimentato anche da un impianto elettrico domestico, ci
dice il giorno in cui lo andiamo a trovare per parlare di
questo libro.
Lasciata lascensore, passiamo al nocciolo della questione:
come si fa a raccontare la storia di unazienda senza essere
troppo melensi, accondiscendenti, riuscendo a mettere
insieme la personalit dei protagonisti e un contesto, quello
jonico, non troppo facile? Serve una chiave di lettura, una
specie di minimo comune denominatore che possa fornire
a chi legge la possibilit di capire con chi si ha a che fare,
quali sono i modi di pensare, e quindi di agire, dei
protagonisti.
Lopportunit ce la offre proprio Pierino Chirulli lo stesso
giorno dellepisodio dellascensore. Lamministratore di
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Serveco stato selezionato per far parte della giuria di un
importante concorso pugliese sulle start-up. Uno dei criteri
di giudizio, secondo lui, il business plan, quel documento
aziendale che segna i passi da compiere per raggiungere un
obiettivo, due colonne di excel di cui alla fine si fa la
somma o la differenza: dare o avere. I partecipanti al
concorso dovevano presentare quello relativo alla loro idea
imprenditoriale, ma alcuni forse lhanno sottovalutato:
Non altro che un ragionamento che si deve seguire: darsi
delle domande e trovare risposte. Allultimo si mettono i
numeri, per alla fine bisogna pure metterli. Facciamo il
caso che si decida di produrre penne a sfera. Si inizia con
unanalisi di mercato: ci sono altri fornitori che producono
questa penna? Quanti ce ne sono? Dove sono collocati? La
mia penna come si differenzia da questi fornitori? Quali
sono i miei punti di forza? E quali quelli deboli? Ok, ho
fatto lanalisi, e c la possibilit di produrre. Ora servono i
macchinari, un capannone magari, organizzare la
produzione, se interna o esterna. E quindi porsi delle
domande: quanto costa il macchinario? Quanto spazio mi
serve? Ogni domanda corrisponde a numeri. Se il
macchinario che mi serve costa centomila euro, forse non
posso permettermelo, e quindi ne devo trovare un altro che
costa di meno. Se non lo trovo, vuol dire che devo
inventarmelo. Quindi devo trovare un fornitore a cui devo
chiedere di adattare il macchinario. E questo significa altri
costi. Il capannone, poi, devo comprarlo o affittarlo. E
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quante persone? E con quali caratteristiche? E dopo aver
prodotto la penna come la commercializzo? Sono tutte
domande che diventano numeri che alla fine danno un
risultato.
Se dovessimo immaginare, quindi, un investimento di un
milione di euro, si portati a pensare che gli spiccioli,
anche cinque euro, non contino molto. E invece proprio
qui che si fa la differenza: Non sono i cinque euro in s,
ma il principio di bilancio secondo il quale le entrate e le
uscite devono equipararsi. Per fare un palazzo non si pu
pensare alla metratura dei balconi, se prima non si
calcolano le fondamenta Questa attenzione incide sulla
salute dellazienda: se hai unidea e non ci metti bene i
numeri, se non ti impegni a prevedere, se non verifichi con
la rendicontazione non si pu capire se lobiettivo vicino
o meno. Non si pu partire senza sapere quanto ti serve. Se
non si sa nemmeno quanto ti serve, che fai? Rischi di partire
e di fermarti dopo dieci minuti.
Non tutto si impara a scuola
A fare le addizioni tinsegna la scuola elementare, ma a
mettere in colonna i numeri per tenere in piedi e far
funzionare unazienda, alla fine, quanto conta davvero
lesperienza e quanto contano i libri? Se cinque euro, meno
di una pizza, un paio di settimanali, una ricarica al cellulare,
sono importanti a fine anno nel bilancio dellazienda, in
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quale capitolo di quale libro di quale esame
scritto? Lesperienza, cio la traduzione in pratica della
teoria, conta tantissimo, serve come dimostrazione o
confutazione: Se tu ci pensi continua Pierino Chirulli i
nostri nonni non sono andati a scuola, per il buon senso
permetteva di fare molto. Adesso pi complicato. Tutto
sta nel farsi delle domande e darsi delle risposte. Bisogna
sapere quanti soldi servono per fare unimpresa e da dove
bisogna prendere i fondi. E soprattutto devi sapere in
quanto tempo puoi recuperare linvestimento e avere un
ritorno.
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22
Cap. 1
Pierino Chirulli
La societ stata costituita a gennaio 1987, io avevo 27
anni. Ma ne discutevamo gi da un anno. Allinizio
eravamo in tre, cera un geologo, che aveva qualche anno
pi di noi, ma dopo sette o otto mesi gli chiedemmo di
uscire, perch lavorava gi e non mostrava lo stesso
entusiasmo mio e di Carmelo.
Negli anni 80 la raccolta dei rifiuti non comprendeva la
raccolta differenziata, era un servizio a parte, erano canali
paralleli. La prima raccolta differenziata stata fatta per il
vetro, perch ne intuimmo il valore simbolico, basti pensare
al vuoto a rendere. Gi nella mentalit del cittadino cera
quello di recuperare il vetro per fare la salsa destate, per
esempio. Non siamo stati i primi in assoluto. Cera qualche
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23
campana in giro, probabilmente qualcuno avr avuto dei
finanziamenti per acquistarle. In provincia di Taranto si
potevano vedere, soprattutto nei piccoli comuni, queste
campane verdi. Il problema era cosa fare dopo aver
raccolto, sapere come affrontare il ciclo. Queste campane
del vetro sono state letteralmente abbandonate. Bisogna
creare un ciclo, nel vero senso della parola, dalla raccolta al
recupero, che non da poco. Questo ciclo mancava: le
campane sono rimaste l piene di vetro. Per noi questo non
ha rappresentato un vantaggio, perch era una specie di
cattivo biglietto da visita: quando andavamo in qualche
comune dove cerano le campane per la raccolta del vetro,
le amministrazioni pubbliche erano diffidenti, perch
succedeva che alcune aziende si erano improvvisate in
questo servizio per poi abbandonare la campane piene. Un
primo impatto negativo che spesso ci creava degli
handicap.
Tutto iniziato per caso. Non cera unidea precisa, ma una
particolare sensibilit. Lidea generale era quella
ambientale: sono le letture, la cultura, a fare determinate
scelte nella vita. Era il 1978 o il 1979, avevo diciotto o
diciannove anni, non ricordo bene, e quello da cui tutto ha
avuto inizio un libro: Avere o essere di Erich Fromm2.
Lho iniziato a leggere e mi ha appassionato. Secondo il
2 Il libro fu scritto nel 1976 e tradotto e pubblicato in italiano nel 1977.
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pensiero dellautore, il rispetto della natura legato al fatto
che luomo ne fa parte. Mi sono appassionato e ho
approfondito molte tematiche legate alluomo e alla natura.
Non ricordo se il libro fosse di moda, ma mi appassionava
il confronto tra avere o essere, tra laspetto materialistico
dellavere e laspetto interiore dellessere. Lo comprai da
Clio Libri, ce laveva in vetrina, in via Vittorio Emanuele,
mi ricordo che passavo spesso, mi fermavo a leggere i titoli,
e mi colp proprio quello. Non conoscevo Fromm. Non ero
nemmeno diplomato ancora. Mi colp il libro: sono quelle
letture che capitano nei momenti di maturazione di un
ragazzo, quando premono le domande esistenziali.
Le letture ti aprono la mente: uno pu anticipare un evento
con la lettura. Quando qualcosa diventata di dominio
pubblico, la si recepisce passivamente. Mentre spesso chi
ha scritto, anche se nell800, ti d unanticipazione di un
comportamento, o di un pensiero. E quindi puoi anticipare
levento, puoi aprire la mente, come se fosse un serbatoio
di acqua. Pi acqua c, pi pesci possono nuotarci. In
questo caso a nuotare sono i pensieri. Fromm, per esempio
metteva al centro luomo e lessere, quindi. Negli anni 80,
gli anni doro del consumismo, si iniziavano a gettare i semi
per una maggiore attenzione al consumo, alla predilezione
dellessere rispetto allavere.
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25
Ho approfondito, continuando a leggere Fromm ma anche
altri autori, soffermandomi sul rapporto tra uomo e natura,
ma anche sulla condizione delluomo nella societ
industriale. Un altro libro che mi ha segnato Luomo a
una dimensione di Marcuse3.
Figura 1 La biblioteca di Serveco
Leggere per imparare mi sempre piaciuto, studiare per
fare gli esami no, non lho mai ritenuto utile e non mi sono
pentito di questa scelta. Nella vita non conta il titolo, non
3 Scritto nel 1964 e pubblicato in Italia nel 1977. Lautore sostiene che le societ industriali avanzate non sono lantitesi dei regimi totalitari ma la loro prosecuzione
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26
mi sento diverso da chi ha una laurea. Rimpiango solo di
non aver studiato le lingue. A scuola facevamo sia inglese
che francese, ma non sono mai riuscito ad appassionarmi,
allora.
Dalle elementari agli anni 80: Pierino e Carmelo
Carmelo stava al Politecnico di Torino, ci vedevamo solo
destate o a Natale. Andavamo a scuola insieme, alle
elementari. Non eravamo amici, tipo quelli che
condividono tutto. Carmelo sempre stato molto pi
riservato, uno studente modello, di quelli che il pomeriggio
non si esce perch bisogna studiare. Dopo aver lavorato al
nord decise di scendere per andare a lavorare allILVA, che
allepoca si chiamava Italsider. Nel 1985 lacciaieria era
ambita, non come ora che rappresenta un mostro. Molto
ambita anche professionalmente, perch ti dava possibilit
enormi. Poter lavorare appena laureato nella pi grande
acciaieria dEuropa era unoccasione e i problemi
ambientali allepoca non ce li ponevamo come ora. Proprio
l, per, nacque in Carmelo quellidea di fare qualcosa da
solo, vivendo le condizioni di lavoro dellItalsider. In lui
scatt qualcosa, secondo me.
Scegliere di provare a fare qualcosa insieme non avvenuto
in un momento preciso, ma fu il frutto di una serie di
incontri, di conversazioni. Mentre Carmelo era fuori da
Martina, io sono rimasto con lEmporio di mio padre, ma
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27
ho sempre fatto associazionismo, mi sono sempre occupato
di ambiente, chiedendomi se ci fosse qualcosa che potevo
fare. Cera Legambiente, il Wwf, Italia Nostra, la Lipu. Mi
sono chiesto chi fosse pi vicino al mio pensiero.
Legambiente era estrema, troppo a sinistra. Conoscevo il
WWF, ma a Martina non cera ancora una sezione.
Telefonai alla sede di Bari e chiesi informazioni, se ci
fossero iscritti su Martina, per capire se si poteva fare
qualcosa insieme. Il caso ha voluto che proprio in quel
momento in sede cera un ragazzo di Martina che chiedeva
proprio la stessa cosa, era Nino Martino, con cui eravamo
andati a scuola insieme. Insieme a lui fondammo la sezione
del WWF a Martina Franca. Grazie a questa scelta iniziai
ad avere informazioni pi specifiche, anche prime degli
altri. Nella rivista Il Panda, per esempio, cera sempre la
pagina sul recupero e il riciclaggio, che raccontavano che
al Nord si faceva la raccolta, la carta, il vetro, lalluminio.
In quel periodo non cerano urgenze, si pensava a fare il
Bosco delle Pianelle come oasi. Grazie a Nino Martino ma
anche a noi tutti. Cera la possibilit di fare la pi grande
oasi protetta in Puglia dopo il Gargano. Questo contatto con
la natura ti porta ad essere pi sensibile, a fare altre
battaglie. Si stavano per costruire tre dorsali che avrebbero
portato lelettricit da Brindisi alla zona industriale di
Taranto. Un pezzo di questo elettrodotto sarebbe dovuto
passare dal bosco della Pianelle. Come WWF lottammo
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affinch il percorso venisse spostato pi a valle. Vincemmo
la battaglia, dimostrando che non solo passando da sotto i
monti facevano meno danni, ma sarebbe pure costato di
meno. Non era facile coinvolgere le persone, allepoca.
Adesso pi facile. Allepoca mancava proprio la cultura
di base in tema ambientale. Non ci chiedevamo a che
servivano le dorsali, se potevano essere inquinanti a
prescindere dalla posizione. Allepoca ci interessava che
non passassero dal bosco. Adesso si mettono in discussione
le dorsali, perch si conosce lelettrosmog, per esempio.
Era lindustrializzazione e serviva.
Nel frattempo torn Carmelo, e inizi a partecipare a
qualche iniziativa del WWF, in quelle occasioni abbiamo
iniziato a scambiare impressioni, idee. Da l nasce tutto.
Sono state due le motivazioni per le quali abbiamo iniziato
a pensare di fare qualcosa insieme: Carmelo si sentiva
stretto allItalsider e io non volevo pi fare il negoziante,
perch ero allEmporio Edile da quando avevo sei anni e
allora ne avevo ventisei. Era tempo di mettersi in
discussione.
Iniziammo a chiederci se potevamo fare qualcosa insieme,
perch eravamo entrambi insoddisfatti del nostro lavoro e
iniziavamo ad avere accesso ad informazioni diverse
rispetto agli altri. Fu come arrivare al matrimonio, un
percorso fatto di piccole tappe, ma non ricordo
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precisamente quando abbiamo iniziato. Labbiamo fatto
senza accorgercene, naturalmente, assegnandoci gi i ruoli
che avremmo mantenuto.
Mi ricordo andammo a vedere qualche fiera di settore:
allepoca non cera internet e per approfondire cerano le
fiere specialistiche. In quel periodo stava sbocciando
lattenzione allambiente e ci accorgemmo che cerano altri
come noi, che si iniziavano ad interessare agli stessi temi,
come se qualcuno stesse seminando in pi punti. Mi ricordo
che andammo ad una fiera a Padova, Sep Pollution, per
curiosare. Volevamo capire di pi. Giravamo per gli stand
e ci accorgevamo che cera tantissimo: depurazione acque,
rifiuti. Andavamo l a chiedere informazioni, ci
spacciavamo per studenti universitari che dovevano fare la
tesi. Per fare in modo che parlassero liberamente, senza
timore di dire qualcosa a possibili concorrenti. Ci
incontrammo con una coppia di calabresi, che stavano
facendo la stessa nostra esperienza. Siamo diventati amici
e tuttora capita di essere partner in qualche lavoro. La loro
azienda si chiama Eco System, sta a Lamezia Terme.
Alla fiera iniziammo a vedere, aria, acqua, rifiuti, suolo. Ci
chiedevamo: cosa potevamo fare con tutto questo? Le
informazioni che arrivavano dallassociazionismo erano
pi rivolte verso i rifiuti. Gi occuparsi di aria, significa
occuparsi di industria. A quel punto iniziammo a tagliare
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con laccetta. No la depurazione perch era roba di
Acquedotto pugliese. Laria uguale, che era appannaggio
delle grandi aziende. Rimanevano i rifiuti e il solare.
Scartammo il solare perch era troppo avveniristico. Un
pannello fotovoltaico costava un sacco di soldi. Fare il
solare termico costava, non poteva avere uno sviluppo
veloce. Rimanevano i rifiuti: ma sui Rifiuti Solidi Urbani
(RSU) il mercato sembrava saturo. Oltretutto noi venivamo
dal mondo dellambientalismo, pensavamo che servisse la
raccolta differenziata, che gi facevano al nord. Si poteva
iniziare anche con meno soldi, perch era un servizio, non
era produzione. Il vantaggio che avemmo, perch nella vita
bisogna avere un po di fortuna, era la legge 915/19824, che
iniziava a regolamentare il mondo della gestione dei rifiuti.
Poi, un anno dopo la costituzione della societ, fu fatta la
475/1988.
4 Decreto del Presidente della Repubblica per lattuazione delle direttive (CEE) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi.
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Cap. 2
Carmelo Marangi
Io e Pierino siamo andati a scuola insieme, terza quarta e
quinta elementare. Finito il liceo, mi sono iscritto al
Politecnico di Torino, dove ho vissuto sei anni. Torino non
era la citt che oggi, dove studiano i miei figli, e che la
citt che forse prediligo in Italia. Quelli erano gli anni delle
Brigate Rosse, di Prima Linea, e in citt cera un clima che
faceva paura ad uno studente di diciannove anni come me.
Mi ci trovai, comunque, bene, ma solo come studente. Mi
laureai brillantemente nel 1984, ma non avevo intenzione
di rimanere l, nonostante le opportunit non mancassero.
Infatti appena laureato ricevetti una lettera dalla FIAT per
un corso di perfezionamento di sei mesi. Ci pensai, perch
sarei dovuto andare in quella fabbrica che fino a qualche
tempo prima era stata teatro di agguati e gambizzazioni.
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Accettai e dopo il corso mi assunsero alla OM, Iveco. Ben
presto, per, mi accorsi che non era quello che volevo.
Mancava la dimensione dellautonomia, non volevo essere
inquadrato in una realt dove altri decidessero per me.
Avevo tanta voglia di tornare a casa, nella mia terra.
Caratterialmente, sono molto legato al mio nido, alla mia
casa. Credo che le radici di una persona rappresentino
qualcosa di molto importante e in senso molto pi ampio la
societ non dovrebbe mai perdere la consapevolezza delle
proprie. Non credo che le mie radici siano migliori di quelle
di coloro che vivono dallaltra parte del pianeta, ma sono il
mio background, qualcosa che ti porti dentro e quindi
inevitabilmente ti conduce a fare certe scelte. E quando
parlo di radici penso che lambiente sia una cosa
fondamentale.
Lesperienza in FIAT e allIveco le considerai come
formazione, e infatti mi misi subito a cercare altro e quasi
subito fui informato che lItalsider cercava ingegneri per i
propri stabilimenti. Mandai una lettera, alla quale mi
risposero, informandomi che ci sarebbero state delle
selezioni a Genova. Io ci andai, da Torino, e dichiarai subito
che il mio interesse era per Taranto, che era il loro
principale stabilimento. Non erano gli ingegneri laureati a
Torino volessero andare a Taranto. AllItalsider la
formazione fu pi breve e meno curata, rispetto a quella in
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Fiat. Feci parte di un gruppo di sei o sette neolaureati che
furono inseriti allinterno dello stabilimento, per
ringiovanire i ranghi. Io fui destinato in area Acciaieria, e
cominciai con un altro collega di Faggiano, che aveva
studiato a Bari, a girare sugli impianti. Era una formazione
guidata ma molto distante, cerano delle figure di
tutoraggio, ma ci lasciarono fare. in questi anni che
comincio a mettere in atto la mia strategia, perch avevo
accettato la carriera in Italsider solo per tornare a casa.
Lasciai Torino, quindi, per tornare a casa, ma anche perch
il mio obiettivo era fare impresa.
Avevo fatto una tesi in termotecnica, una specializzazione
di meccanica. Una tesi su generatori di calore ad alto
rendimento. Appena tornai al sud, nonostante avessi un
posto in Italsider, cercai unazienda che installasse caldaie.
Erano i tempi della metanizzazione. La qualit
dellimprenditoria, purtroppo, era cos lontana da quella a
cui io miravo, che abbandonai.
Non provengo da una famiglia di imprenditori, mia madre
era casalinga, veniva da una famiglia che aveva lavorato in
una masseria. Imprenditori agricoli, diremmo oggi. Mio
padre era un carabiniere. Avevo sempre visto la mia
formazione come qualcosa che dovesse permettermi di
affermarmi, unambizione positiva che mi doveva
permettere di raggiungere una posizione importante. Non
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avevo un modello. Avevo solo tanta voglia di sacrificarmi.
Sono convinto di essere una persona molto responsabile.
Quando individuo strategie le porto avanti con
responsabilit. Sicuramente vedevo che la mia occupazione
in unazienda come dipendente non mi avrebbe lasciato
libero. Gli imprenditori locali erano qualcosa che non mi
soddisfacevano, senza progettualit, senza futuro. Almeno,
quelli che cercai nel settore della termotecnica e
dellimpiantistica.
In quegli anni ero fermamente deciso di dovermi affermare
nel mondo del lavoro ma in piena autonomia. Maturai, nel
frattempo, una grande sensibilit verso il tema ambientale
e mi ricordo che in quel periodo (era il 1987) iniziai a
frequentare un gruppo di amici, in particolare Pierino,
iscritti al WWF, con cui iniziai a fare attivit di
volontariato.
LItalsider per un anno mi fece girare sugli impianti senza
nessuna destinazione specifica. Unacciaieria come quella
una realt incredibile: si dovrebbe vederla dallinterno per
conoscerla davvero. In quellanno ebbi modo di girare tutta
lacciaieria, ma ci sentivamo, io e gli altri ingegneri
neoassunti, un po sottoutilizzati. Sentivo che perdevo
del tempo. Mi ricordo che andammo dal nostro direttore di
area, una persona che in quegli anni aveva sotto di s circa
4000 persone (ce nerano quattro in tutto lo stabilimento).
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Gli facemmo notare che non facevamo nulla. Dal giorno
dopo ci mise su due impianti diversi. Io occupai la
posizione di caporeparto di manutenzione della colata
continua, la Colata Continua 1, la pi vecchia. In quel
momento inizi una vera e propria odissea che mi port da
l a tre anni ad andare via. Da una parte cera un impegno
incredibile, ma dallaltra la mia volont di fare bene si
scontrava con un andazzo generale, una realt fatta di
sprechi, di persone che lavoravano in maniera inefficiente.
Tutto questo mi fece maturare lidea che quel posto non era
assolutamente qualcosa che potesse fare per me. Tuttavia
devo dire che sono stati anni di grande formazione, che mi
hanno messo davvero di fronte ad una realt produttiva con
tutti i suoi problemi, con le delicatezze della gestione del
personale, della turnazione. Si lavorava ovviamente h24,
sette giorni su sette, in condizioni di estrema difficolt
ambientale, economica. Una situazione difficile, ma come
tutte le situazioni difficili, stata una scuola fondamentale,
che mi ha poi messo nelle condizioni, nella mia vita
lavorativa, di affrontare problemi tecnici in maniera
oggettiva e razionale, individuando problemi e cause.
Andai via dallItalsider. Non ce la facevo pi a lottare,
fisicamente, ogni giorno, contro una realt completamente
opposta a quelle che erano le mie linee guida. Una realt di
sprechi enormi, di gente che non lavorava, di scelte
sbagliate, in cui i miei sforzi erano inutili. Sono gli anni
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dellinefficienza, del deficit dellItalsider, che avrebbe
portato di l a poco alla vendita ad un privato, passando di
fatto da un male estremo allaltro, invece di individuare una
strada intermedia pi equilibrata.
Andai a lavorare con unazienda dellindotto dellItalsider,
nel settore della carpenteria. Anche questa scelta non che
mi soddisfacesse molto. Erano gli anni in cui la Serveco
cominciava a muoversi, e avevo bisogno di fare qualcosa
per finanziare le attivit. Prendevo i soldi del mio stipendio
e li investivo nella Serveco con Pierino. La fortuna fu che
mi si present unaltra occasione. Fui contattato da un mio
vecchio professore di matematica, Angelo Colucci, che ora
non c pi, uno dei miei maestri di vita, delle scuole medie.
Aveva sentito da un suo ex allievo che cera questa
possibilit. Feci i colloqui e fui assunto alla Prisma, che era
una societ di ingegneria del gruppo TPL e aveva sede a
Martina Franca e fui incaricato di organizzare il settore
della progettazione meccanica, quindi apparecchiature
meccaniche di apparecchiature, come scambiatori di calore
e colonne di distillazione, per impianti chimici e
petrolchimici. In quelloccasione ricevetti una formazione
eccezionale, andai a lavorare a Roma per otto mesi. In
quegli anni avevano circa 1200 tra ingegneri e tecnici
esperti che facevano progettazione industriale. Dopo la
formazione a Roma, tornai a Martina e mi occupai con
responsabilit del settore. Lesperienza in Italsider mi fu
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assolutamente preziosa, perch avevo gi avuto modo di
vedere un impianto, complesso, ma anche gli anni trascorsi
in Prisma sono stati molto formativi.
Linizio di Serveco
In quegli anni lesigenza primaria era trovare qualcosa che
ci mettesse nella condizione di produrre, fare impresa,
affermarsi nel mondo del lavoro.
Io e Pierino avevamo deciso di provarci, ma non sapevamo
precisamente cosa. Una cosa era essere impegnati con il
WWF e unaltra era quella che sarebbe dovuto diventare il
nostro lavoro. La scelta di mettere insieme questo fu voler
cogliere unopportunit. Per esempio avevo, in quegli anni,
unaltra idea di cui avevo parlato con un amico: mettere su
unazienda agricola per la produzione di cacioricotta. In
quegli anni, nel 1985, 1986, non si sentiva molto parlare di
imprese che operavano nel settore dellambiente, dei rifiuti,
del recupero. Forse, se fossi riuscito con qualche
facilitazione nella realizzazione dei formaggi, ora mi
occuperei di altro.
Il perch con Pierino mi chiaro. In quegli anni viveva lo
stesso tipo di sogno. Questa la cosa importante. Serveco
fu un tentativo, io avevo il mio lavoro e Pierino il suo
negozio, non avevamo bisogno di trovare lavoro, tanto che
la Serveco allinizio non ci dava nulla, anzi, stato un
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investimento anche delle nostre famiglie, come per il
terreno di Venturizzo.
Eravamo in tre, allinizio. La compagine era composta da
Pierino che un ragioniere e che ha una formazione
contabile commerciale, da me che sono un ingegnere
meccanico con esperienza nel settore industriale e un
geologo. Il terzo socio era anche un insegnante, che per
manifest ben presto disinteresse. Io e Pierino, che eravamo
mossi dalla fortissima volont di realizzare un progetto, ben
presto ci trovammo daccordo che questa persona non
poteva contribuire alla realizzazione.
In quegli anni, non cerano, forse, imprese che si
occupassero di ambiente quotidianamente. Forse questa
stata lintuizione. Il WWF, non dimentichiamolo, era una
attivit fatta di volontari, che avevano un altro lavoro.
Lidea con Pierino fu questa: lambiente ha s bisogno di
volontari, perch non c niente di pi bello che dare tutti,
volontariamente, il proprio contributo, ma noi dicevamo
che lambiente aveva bisogno di qualcuno che vi si
dedicasse tutti i giorni, perch si facessero passi verso un
mondo migliore, pi pulito. Questa stata lintuizione. Il
dubbio era se ci potesse essere qualcuno disposto a pagare
per un lavoro fatto per lambiente, un dubbio che ho
mantenuto per qualche tempo, anche allinizio, quando
chiedevo a Pierino se fosse possibile che per questo
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progetto ci fosse stato bisogno di investire cos tanto denaro
(cio tutto il mio stipendio mensile!).
Allinizio sono stati fondamentali i nostri genitori.
Avevamo bisogno di soldi, ma anche di garanzie. Pierino
consigli, allinizio, di fondare un sas (societ in
accomandita semplice) e non una srl (societ a
responsabilit limitata), che non offriva nessun tipo di
garanzia se i soci non avevano beni propri. Con lui abbiamo
sempre diviso tutto perfettamente a met, da sempre.
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Cap. 3
Martino Pizzigallo
Lavoro in Serveco dal 21 aprile 1991, sono passati 24 anni,
fui il secondo operaio, dopo Oronzo Magistri. Allinizio
non credevo molto in quello che facevo e in quello che
facevano Pierino e Carmelo. Nemmeno lavoravano
nellazienda. Io venivo da un mobilificio. Ero convinto che
tempo qualche mese non mi avrebbero nemmeno pagato,
perch ero convinto che quello che volevano fare non stesse
in piedi: la raccolta differenziata, le pile esauste, i farmaci
scaduti. Ne parlavo con mia moglie: Fra due o tre mesi
zomperanno. Si iniziava a sentir parlare di raccolta
differenziata, ma sembrava una cosa troppo lontana, tanto
che quando rispondevo a chi mi chiedeva che mestiere
facessi mi guardavano strano. Quando Pierino riusc ad
avere lappalto della differenziata a Martina Franca, ricordo
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41
che i negozianti dove avrei dovuto piazzare i contenitori mi
dicevano: No grazie, non vogliamo nulla. E invece i mesi
passavano e il lavoro aumentava. Facevamo la differenziata
in comuni come Bisceglie, Andria, il nord barese. Pierino e
Carmelo ci credevano tantissimo, era un loro sogno che si
realizzava.
Comprammo un camion per fare la raccolta, prima
utilizzavamo un furgone. Mi occupavo di piazzare i
contenitori. Fino a poco tempo prima ci rivolgevamo ad una
ditta esterna, ma proposi a Pierino di acquistare
lattrezzatura e fare il lavoro da soli. Comprammo un
gruppo elettrogeno, un trapano e una cassetta dei ferri. Non
c stato un giorno in cui siamo stati con le mani in mano,
cera sempre qualcosa da fare. Dopo qualche tempo
Carmelo inizi a lavorare solo per Serveco, diede
limpostazione al lavoro, come direttore tecnico. un
cervellone, difficile che sbagli qualche volta. La sua
impostazione lha trasferita a tutti, e i suoi consigli valgono
ancora di pi oggi che il nostro lavoro diventato pi
pericoloso.
Ora mi occupo di cantierizzazione, bonifiche, demolizioni,
ripristino di discariche abbandonate. Sono cresciuto con
lazienda, ma ad un certo punto servivano altre competenze.
Ho fatto fatica, inizialmente, come quando al militare
arrivava un ragazzino di ventanni appena uscito
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dallAccademia che iniziava a dare ordini. Servivano
persone che sapessero leggere le carte, per capirci.
Lazienda cresciuta pi di me, ma adesso ho capito quanto
posso essere importante per il lavoro che facciamo.
Questa azienda mi ha permesso di fare il lavoro che mi
piaceva e non cos scontato. Mi sono sempre sentito
rispettato e questo rispetto lho sempre ricambiato. In
questa azienda si pu sempre entrare nellufficio di Pierino
o di Carmelo per chiedere consigli, o confrontarsi. Le porte
non sono chiuse, anche lultimo arrivato pu parlare col
capo. Non ho mai sentito forte la gerarchia, anzi. Io ho
avuto le chiavi dellazienda fin da subito e quelle chiavi me
le difendo.
Ad un certo punto ho percepito che le cose erano cambiate,
che lazienda era diventata pi grande. successo quando
ci siamo trasferiti a Montemesola da Martina Franca. Prima
lufficio era piccolo, era come una famiglia,
inevitabilmente avevi rapporti quotidiani. Allepoca ero
allimpianto di Specchia Tarantina, e ogni sera tornavo in
ufficio e scambiavamo due parole, con gli impiegati e le
segretarie. Ora abbiamo i reparti, gli uffici con le porte
chiuse, il primo piano, il secondo piano, lamministrazione.
C stata una crescita, unesplosione. Io ero abituato a
lavorare fianco a fianco con gli amministratori, poi qui i
magazzini erano chiusi, siamo passati dalla bottega
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allindustria. Nel 2000 avevo gi dieci anni di esperienza e
quando ho visto che Pierino, Carmelo, Antonio Loparco,
Sabino, avevano la loro stanza e mi sono sentito un po
perso. Ho pensato che non ci saremmo visti pi. Uno come
me faceva fatica ad andare negli uffici personali. Ho
pensato, allinizio, che non servissi pi. Ma le cose poi si
sono stabilizzate, quando si sono ripartite le responsabilit
tutto tornato normale. Io vengo dal basso, dal lavoro
fisico. Fai fatica ad adattarti allevoluzione veloce. Molti
hanno fatto fatica a starci dietro: si passa dal cellulare con i
tasti fino al touch screen. Non facile stare al passo: ho
cercato sempre di arrampicarmi, di non perdermi. Dovevo,
per forza di cosa, stare nella loro scia. Ora sono soddisfatto
di quello che ho imparato: non avevo mai scritto e letto
nulla prima di venire qui e invece lavorando con Serveco
ho imparato a leggere, a scrivere, a usare il computer. Sono
stato tra i primi a comprare un computer: la sera invece di
vedere la televisione ho imparato a usare le mail, chiedendo
magari a Sabino. Cos come lui chiedeva a me come fare
per demolire una trave, io chiedevo a lui come entrare in un
programma. Ho ricevuto tantissimo, anche per quanto
riguarda il modo di fare. Prima ero un semplice muratore,
non conoscevo molti vocaboli, non leggevo, non scrivevo.
Non ho mai messo sulla bilancia quanto ho dato e quanto
ho ricevuto, ma sicuramente ho avuto tanto, anche per
quanto riguarda leducazione, il modo di stare con gli altri,
il dare il giusto valore al saluto quotidiano.
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Il lavoro
Non ci sono mai stati lavori che mi hanno spaventato, anche
se abbiamo fatto cantieri in altezza o sulle navi. Abbiamo
avuto delle rogne terribili, abbiamo lavorato per bonificare
zone dellIlva, della Cementir, non ci siamo mai tiranti
indietro. Pi la sfida complicata, pi ci impegniamo nella
soluzione. Da dieci anni a questa parte il nostro lavoro
una scommessa quotidiana. Ricordo il cantiere del 2011, a
Teramo. Era un capannone di Marcegaglia, in cui si
costruivano profili in acciaio, dovevamo bonificare il tetto
e ricoprirlo in breve tempo, destate, prima che tornassero
al lavoro gli operai. Durante una riunione di
coordinamento, il responsabile dellazienda chiese a Sabino
Rosato se fosse davvero convinto di portare a termine il
lavoro nei tempi prestabiliti. Non sapeva che la nostra
azienda capatosta, appassionata di sfide. Lavorammo
come pazzi, sotto al sole, dal primo al venticinque agosto.
Eravamo trentadue persone, destate, a 600 km da casa.
Non potevamo permetterci di sbagliare, perch il tempo era
poco ed eravamo troppo lontani dalla nostra sede. Ecco
quanto importante la pianificazione.
Altre esperienze che mi hanno segnato molto, a parte quella
di Teramo, sono state le bonifiche delle grotte. Scendere
aggrappato ad una corda, e poi risalire. Grotte profonde
sessanta, cento metri. Trovavamo di tutto: copertoni, rifiuti,
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carcasse di animali. A differenza degli altri cantieri, solo in
quelloccasione ho avuto dei dubbi su come fare per
fuggire, in caso di guai. Non ci mai successo nulla, per,
e questo lo si deve sia alla pianificazione del lavoro sia al
fatto che in azienda non si lesina sui materiali relativi alla
sicurezza, mentre in altre aziende spesso loperaio a
doverseli acquistare.
Non unazienda come le altre, secondo me. In Pierino e
Carmelo ho trovato qualcosa di diverso. Non li considero
semplici imprenditori. Il tipico imprenditore meridionale,
dopo aver guadagnato duecentomila euro si compra la
macchina da centomila, magari mette al primo posto s e la
famiglia, loro no. Ho avuto il rispetto di tutti e tutti hanno
avuto rispetto di me. Questa la differenza con le altre
aziende. Chi ci vede da fuori e non si sbaglia, vede
unazienda collaboratrice, famigliare, che ha rispetto del
dipendente. Non mai saltato uno stipendio. Se qualcuno
ha portato un problema in ditta, magari che serviva una
particolare attrezzatura, non mi mai stata negata. In altre
realt invece il trapano te lo devi recuperare tu. Si lascia
alloperaio il problema, la rogna. Invece il problema va
vissuto, affrontato. Per questo tengo tantissimo al nome
della Serveco, sono orgoglioso di indossare ogni mattina la
mia divisa. E cerco di trasmettere questo modo di pensare
anche agli altri che lavorano con me, condividendo quello
che so.
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Cap. 4
Pierino Chirulli
Il primo indirizzo della Serveco stato via Lelio Fanelli 16,
il retro del negozio, un buco in mezzo ai tubi, grande un
metro e venti per un metro e mezzo.
Ci costituimmo nel 1987, eravamo una sas, noi eravamo gli
accomandatari, il terzo socio era laccomandante.
Cominciammo ad occuparci di rifiuti, ma dovevamo
trovare un modo per finanziarci e in quel momento cera la
domanda di incenerimento di rifiuti ospedalieri, anche
grazie al DPR 915 del 1982. Decidemmo di
commercializzare dei forni inceneritori. Contattammo una
societ che si chiama Ciroldi, per poter commercializzare i
loro forni. Contattammo tutti gli ospedali, pubblici e
privati, di Puglia e Basilicata. Ci risposero la Casa di Cura
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Santa Rita di Taranto e Le Case di Cura Riunite di Bari, la
Mater Dei, che stavano costruendo e la Salus di Brindisi.
Fornimmo due piccoli inceneritori ospedalieri, alla Salus e
alla Santa Rita di Taranto, grandi quanto un caminetto di
casa e alla Mater Dei, invece, forni pi grandi.
Ricordo listallazione alla Mater Dei di Bari, il forno fatto
salire con una gru, per farlo poi passare in uno spazio largo
non pi di un metro e mezzo: le persone per strada che si
fermavano a guardare. Quel contratto labbiamo avuto
grazie ad un ingegnere della Mater Dei che faceva il
responsabile acquisti delle case di cura. Ci prese in
simpatia, eravamo giovani, non avevamo nemmeno
trentanni. Ci dette una possibilit, anche se poteva
comprare direttamente da Ciroldi. Noi ci vendevamo la
vicinanza, la possibilit di fare assistenza, di essere
disponibili ad intervenire per qualsiasi problema. Noi
dicevamo che facevamo assistenza, che eravamo vicini, per
qualsiasi problema. Per linstallazione ci rivolgemmo ad un
termoidraulico, Giovanni Santoro, che veniva a rifornirsi
allEmporio Edile.
Dai forni alle pile
In quel periodo fu votata la legge 475 che obbligava i
comuni a fare la raccolta differenziata dei rifiuti urbani
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pericolosi: pile, farmaci e quelli con letichetta T e/o F5. In
quel periodo cera un compagno di classe di Carmelo che
era assessore allambiente al comune di Alberobello e gli
proponemmo di fare la differenziata di pile e farmaci.
Riuscimmo ad ottenere lincarico per un anno, per fare la
raccolta differenziata di pile, farmaci scaduti e vetro. Allora
era pi semplice, ma stavamo parlando di servizi piccoli,
piccole cifre. Comprammo i contenitori e li andammo a
posizionare, grazie allaiuto di qualcuno dei clienti del mio
negozio. I primi contenitori li svuotavamo con la Uno di
Carmelo. Li mettevamo nella rimessa dove cavevo i
prodotti, dellEmporio Edile, Dopo quindici giorni, tempo
di fare due o tre raccolte e li portavamo a Milano. La prima
cosa che comprammo fu un furgone Volkswagen, il
Transporter, il furgone degli hippy.
5 Rifiuti che hanno letichetta tossico o infiammabile
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Figura 2 Il Volkswagen Transporter
Lo comprammo con le cambiali, firmai per
cinquecentomila lire al mese. Andammo a Milano, a
Cernusco sul Naviglio, alla Omar. Passavo la mattina e il
pomeriggio al negozio, che nel frattempo era diventato mio.
La sera e la notte ci vedevamo con Carmelo per pianificare
le attivit. Se cera bisogno di andare a parlare con qualche
Comune, chiedevo a mio padre di sostituirmi. E quindi
assumemmo il primo dipendente. Comprammo un fax in
questo metro quadro avevamo un Commodore 64, un M20
usato della Olivetti, due tastiere e una stampante. Sembrava
una centrale nucleare. Mi ricordo che presi un programma
di contabilit. Gestivamo tutte le attivit.
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La mia testa stava alla Serveco. Prendevo lo stipendio
dallEmporio, un milione circa, met mi servivano per
pagare i primi debiti della Serveco. A Carmelo chiedevo
500/600 mila lire per pagare i buchi. Dal comune di
Alberobello prendevamo 18 milioni allanno, mi pare.
Uscivano solo le spese per il servizio. Bisognava per
anticipare il costo dei contenitori e poi si pagava per
conferire i farmaci e le pile. Il rottamatore di Bari, a cui
davamo il vetro, veniva, con un giovane ragioniere, e
insieme andavamo ad Alberobello. Mi facevo trovare
davanti al cimitero, arrivava il camion con la gru. Lasciavo
la macchina, e con il camion andavamo a svuotare i
contenitori, perch io sapevo dove stavano, e il vetro lo
regalavamo. Ogni tanto ci dava qualcosa ma gi che ci
svuotava le campane
Il nostro cavallo di battaglia stata la sensibilizzazione. Il
nostro servizio era raccolta, trasporto e sensibilizzazione.
Non a caso il primo manifesto, di Piero Angelini, era
lalbero con la farfalla e larcobaleno. stato il primo
manifesto della differenziata. Allinizio erano manifesti e
un pieghevole A3. Giravamo molto nelle scuole, facevamo
classe per classe.
Allinizio lho fatto io, ma nel giro del WWF cera
qualcuno che poteva farlo, anzi lidea di andare nelle scuole
a parlare di differenziata labbiamo presa proprio dal fatto
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che col WWF giravamo le classi parlando di ambiente.
stata la scelta vincente, perch non solo riuscivamo a
sensibilizzare, ma lAmministrazione Comunale si faceva
vedere, riceveva una promozione indiretta importantissima.
Alberobello allepoca era il paese pi turistico della zona, e
allettavamo lamministrazione con la possibilit di mettersi
allocchiello il fiore della differenziata. Lamministrazione
si dimostrata sensibile e questo ci ha aiutato moltissimo,
anche perch poi abbiamo utilizzato questo esempio per
andare negli altri comuni.
Il numero dei contenitori si calcolava in base al numero
degli abitanti. Una campana del vetro ogni 300 abitanti, per
esempio. Contenitori dei farmaci davanti alle farmacie.
Quelli delle pile davanti alle scuole e a chi vendeva le pile
e poi nei punti nevralgici. Avevamo visto gli altri come
facevano. Ad Alberobello la gente rispose bene.
Allora la raccolta e il trasporto delle pile e dei farmaci
doveva essere autorizzata. Presentammo la domanda a Bari,
perch era di competenza regionale. Ma appena
presentammo la domanda, la Regione deleg la province.
Fummo i primi ad essere autorizzati a Taranto.
Siamo stati tre o quattro anni ad Alberobello,
sperimentammo la tecnica per approcciare le
amministrazioni. Poi arrivammo a Bisceglie e Canosa.
Avevamo tutti i dati statistici. Sapevamo quanto
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raccoglievamo contenitore per contenitore. Mettevamo in
una busta, mettevamo il numero e misuravamo. Usavamo
la bilancia del mio negozio.
Nel 1990 ci facemmo un ufficio un po pi grande. In due
stavamo stretti, facemmo un investimento per allargare:
due metri per due metri e mezzo. Mettemmo la scrivania,
perch finora avevamo un vecchio tavolo che aveva almeno
quarantanni. Poi stavamo stretti. Avevamo il primo
dipendente, part time.
Comprammo un camion con la gru, del 1968, un 684. Non
avevamo un autista assunto, ma ci rivolgevamo ad un
vicino di casa in pensione di Carmelo, che chiamavamo
quando ci serviva. Allinizio eravamo costretti ogni volta
ad andare a Milano a conferire, ma quando abbiamo avuto
lautorizzazione allo stoccaggio, allimpianto di Specchia
Tarantina, iniziammo a prendere un po di respiro. La
nostra autorizzazione per le pile e i farmaci fu la prima in
assoluto: andammo noi a prendere le carte da Bari per il
funzionario della Provincia che non sapeva proprio da dove
iniziare.
Vendetti il negozio, cera bisogno di un impegno costante
e continuativo.
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Cap.5
Carmelo Marangi
Noi cominciammo come installatori di forni6. Dur un po
di tempo e ci dette dei buoni ritorni economici. E devo dire
che trovammo da parte delle Case di Cure Riunite una certa
sensibilit. Cera un ingegnere che proveniva dalla
raffineria di Taranto che ci prese in simpatia, perch ci
vedeva come due ragazzi pieni di voglia di fare. Aveva
colto in noi, da vecchio manager esperto, la seriet. Ci dette
questi ordini per una quarantina, una cinquantina di milioni
di lire. Per noi cerano grossi margini, per cui ci
impegnammo. La cosa and bene.
Facevo lequilibrista, ma non potevo assentarmi molto da
lavoro. Era soprattutto Pierino a stare dietro la societ. Ma
6 Vedi figura 3
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quando si dovevano montare i forni, non potevo non
esserci, perch Pierino non ha mai avuto doti tecniche.
Le prime raccolte differenziate
Avevamo avuto lidea di attivare un servizio di raccolta di
pile e farmaci scaduti. Ne parlammo con un mio amico del
liceo, mio compagno di banco, che era diventato assessore
al Comune di Alberobello.
Nessuno aveva mai svolto un servizio simile, iniziammo a
crearci una nicchia di mercato. Contattavamo i comuni con
le lettere, le scrivevamo con due vecchi computer che
avevamo nel retrobottega del negozio di Pierino. Era un
sottoscala. Un ambiente di un metro e mezzo per due metri
dove cera un tavolo su cui ci appoggiavamo. Mi ricordo
nottate incredibili in cui cominciavamo alle sette, otto, e si
finiva a tarda notte, in cui si discuteva, si parlava. Pierino
impostava la lettera da spedire ai comuni e poi la
rivedevamo insieme.
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Figura 3 Proposta di commissione per la vendita di un forno Piromix
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Il primo incarico per la raccolta differenziata arriv da
Alberobello: andai a parlare con questo mio amico che era
assessore alle Attivit Produttive al Comune. Lui si attiv,
ne parl col sindaco e alla fine ci affid questo lavoretto, un
servizio che poi abbiamo svolto per qualche anno. Parliamo
di una cifra intorno a una quindicina di milioni di lire
allanno. Qualcosa che il Comune era in grado di affidare
direttamente, senza gara. La prima raccolta di farmaci
labbiamo fatta con la mia Fiat Uno, io e Pierino. Un
ricordo, come se fosse un sogno, utilizzavamo la Uno per il
posizionamento dei contenitori; per la raccolta serviva
avere un mezzo autorizzato: acquistammo un Transporter
Volkswagen.
Le pile e i farmaci li conferivamo a Cernusco Sul Naviglio.
Il Transporter fu uno dei primi mezzi autorizzati al
trasporto di rifiuti dalla Provincia di Taranto, una delle
prime autorizzazioni in materia. Tanto che la
documentazione ce la procurammo io e Pierino mentre
frequentavamo un corso di formazione a Milano.
Andammo alla Regione Lombardia a chiedere cosa servisse
per essere autorizzati e adattammo quei documenti per Bari.
Ricordo il primo viaggio per conferire la raccolta.
Partimmo nel tardo pomeriggio del gioved, prendemmo il
venerd di ferie dai nostri rispettivi lavori. Caricammo sette
o otto fustini dal deposito di Pierino, portammo con noi un
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migliaio di chili di pile e farmaci. Cercavamo di
concentrare la raccolta nei giorni in cui avremmo fatto il
conferimento, perch non potevamo stoccare. Ci
fermammo a Termoli e mi ricordo un ottimo brodetto di
pesce. Un bel viaggio, una bella esperienza, la memoria del
sacrificio che allinizio dovemmo profondere per la
Serveco.
Successivamente comprammo un Fiat 6847 che aveva gi
ventanni. Ci inventammo un sistema che ci permetteva di
avere sul pianale due cassoni distinti, ribaltabili
separatamente. In uno mettevamo la carta, nellaltro la
plastica. Non esistevano allepoca i compattatori
multistadio. Cera la gru che serviva per prendere la
campana e posizionarla sul corrispondente cassone. Una
volta pieno, la gru sollevava il cassone per svuotarlo. Era
una cassa ancorata sul pianale, incernierata su un lato, si
liberava il chiavistello e questa cassa poteva essere ribaltata
lateralmente. Cera anche una sponda che quando si doveva
ribaltare, faceva da scivolo per evitare che il vetro e la
plastica finisse sotto le ruote.
7 Vedi figura 4
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Figura 4 Il FIAT 684
Le quantit crescevano e non potevamo andare ogni volta a
Cernusco sul Naviglio per conferire la raccolta. Iniziammo
a pensare ad un capannone. Individuammo questo terreno
in localit Venturizzo, nei pressi della cava sulla via che va
da Martina Franca verso Villa Castelli, in una zona
abbastanza deserta. Sapevamo che il titolare voleva disfarsi
di questo terreno, pattuimmo il prezzo, se non ricordo male
erano una ventina di milioni. Ma non avevamo questi soldi
e dovemmo firmare delle cambiali. La doccia fredda fu che
commettemmo un errore di inesperienza: comprammo
questo terreno senza aver fatto le dovute verifiche se fosse
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o meno idoneo. Dopo averlo acquistato e fatto il
compromesso, andammo a chiedere e ci dissero che non
potevamo costruire il capannone, perch era zona agricola.
Ci croll il mondo addosso. Ancora oggi questo terreno fa
parte dei nostri cespiti. Produce grano, o foraggio,
labbiamo affidato ad un contadino. Non comprammo pi
nulla, non avendo grandi capitali: quellerrore ci insegn
che, quando si hanno scarse risorse, preferibile investire
in uomini e mezzi, piuttosto che in immobili.
La promozione nelle scuole fu unintuizione di Pierino, lo
ricordo bene. Lobiettivo era fare bene e dovevamo trovare
un modo per sensibilizzare la gente. Fare bene e non fare
soldi. Questo sicuramente. I soldi non hanno mai
significato molto per me e per Pierino. Il mio obiettivo era
essere primo, essere il leader. Avevamo sempre questa idea:
correre, essere avanti agli altri, anticipare gli altri. Se
avessimo fatto qualcosa quando anche gli altri avevano
deciso di farla, saremmo stati perdenti, perch non avevamo
la potenza finanziaria come gli altri da utilizzare. La nostra
scelta sempre stata fare le cose che gli altri ancora non
hanno visto. Molte nostre imprese sono nate da questo
spirito. Anche le attuali start up. Tra dieci anni, magari, nel
settore dei led ci sar saturazione di offerta e non avr pi
alcun senso investirci. Come ora, per esempio, non pi
remunerativo investire nel settore dei rifiuti: lofferta
supera la domanda. Bisogna trovare dei settori in cui non
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c nessuno, in cui nessuno ha ancora colto il bisogno. In
quegli anni cera il bisogno di imprese che lavorassero per
lambiente. La base del successo questa: fare le cose bene,
ma soprattutto riuscire a individuare quale necessit prima
che lo facciano gli altri. Arrivare primi degli altri.
Dopo Alberobello, ci fu Putignano. Poi altri comuni.
Avevano tutti lesigenza di adeguarsi ad una norma che era
stata fino ad allora disattesa. Il DPR 915 del 1982 fu il
primo a porre in embrione il concetto di rifiuti pericolosi e
di raccolta differenziata. Non lo faceva nessuno, perch le
imprese di nettezza urbana che viaggiavano a livelli di
miliardi di lire allanno non erano interessati alla
differenziata; buttavano tutto nelle discariche, come
avveniva a Martina, dove la societ Sap buttava tutto a
Buffaloria. Quel terreno noi labbiamo bonificato, anni
dopo8. Ci finivano dentro i rifiuti speciali, i rifiuti di
officina. Le aziende industriali che facevano? Una cosa non
serviva, scavavano un buco e gettavano. I rifiuti si
buttavano sotto terra o nel cassonetto pi vicino. Non cera
lidea che il rifiuto andava smaltito correttamente. Non
cera lidea che il rifiuto fosse una risorsa. Noi sono
ventanni che lo diciamo. Cera quindi una nicchia di
mercato in cui inserirsi. Proponemmo ai Comuni di farlo.
8 Vedi figura 6
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La mia famiglia non comprese benissimo allinizio quale
fosse il nostro progetto. Mi ricordo che mi chiedevano
come mai io da ingegnere meccanico volessi fare lo
spazzino. Nellimmaginario collettivo non era gratificante
occuparsi di ambiente. Noi ci tenevamo a farlo per bene
perch dovevamo sviluppare delle competenze che le altre
imprese non avevano, e non avrebbero avuto per alcuni anni
successivi. Fare la promozione nelle scuole era una scelta
strategica, che andava proprio in questa direzione:
attingevamo al patrimonio di competenze che ci aveva dato
il WWF.
Il trasporto a norma, il registro di carico e scarico, la
promozione nelle scuole, tutto doveva essere fatto bene.
Grazie alla collaborazione con Piero Angelini, scrivemmo
una favola e ne facemmo un fumetto: Limmondizia non
liquirizia e va buttata con furbizia9.
Eravamo noi a dire ai Comuni che esisteva una legge che li
obbligava a fare la raccolta. I primi anni firmammo contratti
con Comuni come Bisceglie e Canosa: dopo un po
riuscimmo a servire fino a quarantina di comuni, arrivando
anche in Basilicata. Per anni ci siamo occupati solo di
raccolta differenziata, non di igiene urbana. Ben presto il
9 Vedi a pagina 157
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nostro interesse nei forni cess, perch per i rifiuti
ospedalieri servivano autorizzazioni particolari.
Tra me e Pierino c sempre stata identit di vedute. Per
esempio per come trattare dipendenti e collaboratori. Io ho
sempre creduto che la fortuna di unazienda partisse
dallorganizzazione e dalla responsabilizzazione di
ciascuno. Abbiamo sempre delegato, responsabilizzando il
personale. E questa scelta ha pagato, tanto che sia il mio
telefono che quello di Pierino squillano pochissimo.
Ci trasferimmo in un ufficio tutto nostro, in via Paolotti 48.
Ancora io e Pierino avevamo i nostri rispettivi lavori, ma i
contatti e le commesse aumentavano e scegliemmo di
assumere una segretaria, Dorella Tagliente. stata un punto
di riferimento per tutta la Serveco. Lei aveva una ventina
Arriva una mail, mentre facciamo lintervista. E da parte di
Recsel, dove stato montato la settimana prima, un
impianto per la selezione ottica della plastica.
Il responsabile dellimpianto, Giuseppe Palmisano, scrive ad
una serie di persone che se ne sono occupate, avvisando
che le attivit sono tornate alla normalit: Dopo tanti anni
di progetti, finalmente Recsel ha la forza di raggiungere altri
obiettivi. Abbiamo un gioiello: il nostro impianto di
selezione. Carmelo a questo punto si commuove e
lintervista si blocca.
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danni quando inizi a lavorare con noi. Per la segreteria
tecnica deve essere funzionale al proprio responsabile,
perch ne costituisce un punto di forza: prepara le gare, si
occupa della corrispondenza, di fatto limmagine
dellazienda verso il pubblico.
La Serveco dopo qualche tempo poteva permettersi un
minimo di stipendio anche per me e quindi decisi di lasciare
il lavoro alla Prisma. Non mi sono mai pentito di questa
scelta, mi ha consentito insieme a Pierino di realizzare tutti
i nostri sogni, di condividere il modo di fare impresa, di
vivere le difficolt, trovare le soluzioni, in maniera tenace,
in maniera corretta, concreta, facendo passi in maniera ben
ragionata, mettendo i piedi su qualcosa di ben stabile e mai
di traballante, senza mai scegliere scorciatoie, usare
stratagemmi. In quei sette o otto anni di lavoro da
dipendente (dal 1984 al 1992) la mia formazione
industriale, nel senso di gestione di impianti e
progettazione, si era completata, avevo raggiunto la piena
maturit, per dare il meglio a quello che era gi iniziato, che
poi sarebbe diventata la realt di Serveco e di tutte le sue
imprese sorelle.
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Cap. 6
Dorella Tagliente
Facevo linsegnante privata e studiavo alluniversit,
quando unamica che lavorava con Carmelo in Prisma mi
disse che cercavano una segretaria. Dovevano aprire il
nuovo ufficio in via Paolotti, dove siamo stati fino al 1994,
prima di trasferirci in via Villa Castelli. Feci il colloquio e
il fatto che conoscessi il programma Word e il Lotus (un
foglio di calcolo) fece la differenza. Avevo 24 anni e nel
tempo avrei ricoperto diversi ruoli allinterno dellazienda:
dalla programmazione alla contabilit. Ho deciso di andare
via quando mia figlia ha compiuto un anno, avevo voglia di
fare qualcosa di mio, ma in azienda mi trovavo molto bene,
perch si era sviluppato un rapporto che andava al di l di
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65
quello lavorativo, forse anche questo servito a far crescere
Serveco. Lasciai il testimone a Maria Pia Bruno10
Allinizio lavoravo solo 4 ore al giorno, il pomeriggio
insegnavo il Basic. Dovevo rispondere al telefono,
compilare i pochissimi formulari della raccolta. Cera
davvero poco lavoro, solo Alberobello come comune
servito. Pierino andava a fare la raccolta con la sua auto e
io in ufficio spesso mi annoiavo, tanto che la settimana
enigmistica mi ha fatto molta compagnia. Lozio durato
pochi mesi per. Da gennaio il lavoro crebbe
vorticosamente e io passai full time.
Sulla storia di Serveco ci sarebbero cos tante cose da dire,
partendo dallinizio, da quando sia Pierino che Carmelo
non lavoravano nemmeno alla Serveco. Da me, in ufficio,
passavano la mattina, Carmelo prima di pranzo. Io nel
frattempo attendevo telefonate dei clienti o dei Comuni. In
breve tempo non solo il mio lavoro aument ma
assumemmo altro personale, altri impiegati, altri operai.
Nel 1994, quando passammo in un ufficio pi grande,
avevamo gi limpianto di Specchia Tarantina, ma in quei
primi mesi cera ben poco da fare. Nel tempo poi tutto
cresciuto, Pierino e Carmelo si dimostravano gi
lungimiranti, anche a partire dal settore in cui avevano
scelto di intraprendere. Dallassunzione di Enzo Magistri,
10 Vedi intervista a Maria Pia Bruno a pagina 94
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Pierino racconta sempre che il suo unico cruccio era quello
di riuscire a pagargli lo stipendio. Lo raccontava spesso
durante le riunioni.
Per motivi caratteriali con Pierino cera pi empatia, era pi
estroverso, mentre Carmelo lo percepivo pi rigido. Sono
completamente diversi e spesso li sentivo litigare, e
pensavo che con un rapporto del genere lazienda non
sarebbe andata da nessuna parte. Ma mi sbagliavo: proprio
perch sono molto diversi, i loro punti di vista si
scontravano, ma da questa diversit hanno tratto la loro
forza. Di Carmelo ricordo la precisione e la meticolosit
che spesso lo portavano a sgridarci. Iniziava con Io voglio
sapere chi. Chi aveva fatto qualcosa che non era riuscita
nel migliore dei modi. Ogni volta che mi capitava mi
chiedevo come avessi fatto a non accorgermi dellerrore. Se
sono diventata autonoma lo devo a loro. Devo a loro anche
lattenzione alla precisione, lattenzione alla prospettiva,
quel guardare oltre che ha permesso alla Serveco di arrivare
dove ora.
Allinizio non pensavo che lazienda sarebbe cresciuta cos
tanto, anche se Pierino e Carmelo non smettevano un attimo
di guardarsi intorno, di informarsi, di andare alle fiere, di
promuovere i servizi verso i Comuni.
Avevano costituito il servizio promozione, che lavorava
principalmente nelle scuole. Allinizio ci lavorava Grazia,
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la moglie di Pierino, e unaltra ragazza. La strategia era
semplice: promuovere la differenziata nelle scuole,
coinvolgere i pi piccoli, in modo che si facessero
portavoce a casa. Quando i Comuni iniziarono ad
aumentare, assumemmo altro personale. In via Villa
Castelli avevamo una grande lavagna dove scrivevo i turni
o le cose da fare, tipo Enzo raccolta Bisceglie o Martino
raccolta Putignano. Prima usavamo un quadernone, ma
poi non bast pi. Organizzavamo i ritiri con molta
attenzione: accorpavamo i comuni vicini, e eravamo attenti
agli eventi, come il mercato settimanale. Cercavamo di
ottimizzare la raccolta per evitare che il camion girasse a
vuoto.
Pierino e Carmelo sono stati bravi a relazionarsi con gli
assessori e i sindaci, ma la svolta, secondo me, c stata
quando arrivato Antonio Lucarella11, quando abbiamo
iniziato la microraccolta. Veniva dalle vendite, era un
commerciale estremo. Iniziammo a prendere clienti pi
piccoli: commercianti, artigiani. Mentre Carmelo si
occupava dei contratti pi grossi, Antonio lavorava con i
piccoli clienti. Se fino ad allora il mio telefono squillava
poco per la raccolta dei Comuni, con la microraccolta il
servizio di segreteria aument il traffico in entrata. Mi
ricordo un parrucchiere che ci tormentava, chiamava per
11 Vedi intervista a Antonio Lucarella a pagina 98
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essere certo che sul formulario avessimo messo il peso
esatto, roba di grammi. Il codice dei capelli lo ricordo
ancora, era lH022. Avevamo nel frattempo sviluppato un
servizio di consulenza per i privati, facevamo i MUD, la
dichiarazione dei rifiuti trattati durante lanno. Fu assunto
Antonio Loparco per questo12.
I miglioramenti erano costanti, non cera giorno senza che
ci fosse qualcosa di nuovo da fare. Nel frattempo si
allacciavano i rapporti anche tra i collaboratori di Serveco,
anche oltre il lavoro. Verso la fine della mia avventura in
azienda avevamo iniziato a fare gite, fare cene. Momenti
importanti per rafforzare il lavoro di squadra.
La Serveco arrivata dov grazie alle persone che ne
hanno fatto parte. Ognuno ha portato qualcosa. Io portavo
la conoscenza di alcuni software, che allepoca non erano
cos diffusi come oggi, un foglio di calcolo, che poi fu
sostituito con Excel e poi da un programma di gestione tutto
nostro. Fondamentale stata la presenza di Pierino e
Carmelo, perch hanno tracciato la rotta dellazienda,
hanno dettato le regole e i comportamenti.
12 Vedi intervista a Antonio Loparco a pagina 114
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Cap. 7
Pierino Chirulli
Sapevamo cosa stava per succedere, da l a poco tempo. Per
questo prendemmo Dorella, che valutammo come la
persona migliore al momento giusto. Gi da allora siamo
stati attenti alle persone, ai collaboratori. Sovraccaricare di
lavoro una persona, stremarla e poi buttarla via, non serve
a nulla: danneggia il lavoratore e lazienda. Ci si deve
muove a passi felpati, fare abituare la persona alle
dinamiche lavorative. Altrimenti le persone si perdono,
perch pensano di non essere adatte. Le persone si scelgono
e si prendono non quando si ha lacqua alla gola, bisogna
giocare danticipo anche in questo caso. Per Dorella,
probabilmente, allinizio, sarebbe bastata unora al giorno
di lavoro.
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Il cambiamento avvenuto grazie ad azioni precise che
abbiamo messo in campo, abbiamo lasciato poco al caso.
Dalla nostra avevamo il fatto che cera la nuova legge che
obbligava i Comuni ad attrezzarsi per fare la differenziata.
Abbiamo sfruttato questa occasione per proporre il nostro
servizio, che era semplice da gestire ma,
contemporaneamente, innovativo. Non posizionavamo
semplicemente le campane per strada, ma andavamo nelle
scuole a fare sensibilizzazione tra i ragazzi. Nei depliant
che lasciavamo cera scritto che lazione di
sensibilizzazione, la raccolta differenziata, era fatta dal
Comune e dallAssessorato. Il servizio costava
relativamente poco al Comune ma aveva in cambio non
solo il rispetto di una norma ma un lavoro sul consenso in
tutta la citt. La leva del consenso ci ha aperto molte porte,
ma la divulgazione nelle scuole, una tecnica appresa
durante gli anni al WWF, ci ha permesso di diffondere in
maniera capillare il messaggio della differenziata. Erano gli
anni novanta e non era un argomento semplice da
comprendere e da condividere. Noi spiegavamo, ad
esempio, la pericolosit di gettare le pile per strada,
linquinamento che ne sarebbe derivato. Informazioni
importanti anche per i bambini.
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In quel periodo venne istituito il ministero allAmbiente13 e
quindi nacquero i primi assessorati nei comuni. Di solito
venivano considerati assessorati di serie B, se non di serie