Uno più uno fa tre

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Nel 1987 due amici decidono di occuparsi di ambiente a tempo pieno, inventandosi i servizi di raccolta differenziata, in Puglia, quando nessuno ancora pensava fosse possibile. Dopo quasi trent'anni la Serveco è diventata un'azienda all'avanguardia. Ecco la storia degli uomini e delle donne che hanno reso possibile l'impresa.

Transcript of Uno più uno fa tre

  • A cura di

    Massimiliano Martucci

    Serveco

    Uno pi uno fa tre.

  • 2

    In copertina una foto del Volkswagen Transporter utilizzato per le prime consegne dei rifiuti art director: Angelo Saracino

    Libro realizzato grazie al progetto: Giovani innovatori in azienda

    un'attivit inserita nell'Azione "Innovazione per l'occupabilit" del Piano

    Straordinario per il Lavoro della Regione Puglia e cofinanziata a valere sul

    PO Puglia FSE, Asse VII "Capacit istituzionale".

    ISBN 978-88-98869-00-8

    [email protected]

  • 3

    SOMMARIO

    AVVERTENZE PER IL LETTORE

    (ovvero perch 1+1=3) 6

    PREFAZIONE | VITO MANZARI

    (l'impresa deve esprimere grande curiosit) 11

    INTRODUZIONE | 5 EURO

    (perch conta essere precisi) 17

    CAP. 1 | PIERINO CHIRULLI

    (tutto nasce da "Avere o Essere" di Erich Fromm) 22

    CAP. 2 | CARMELO MARANGI

    (la vera intuizione) 31

    CAP. 3 | MARTINO PIZZIGALLO

    (all'inizio era convinto di non essere nemmeno pagato) 40

    CAP. 4 | PIERINO CHIRULLI

    (ovvero di quando all'inizio si vendevano solo forni) 46

    CAP.5 | CARMELO MARANGI

    (la prima raccolta differenziata fu ad Alberobello) 53

    CAP. 6 | DORELLA TAGLIENTE

    (al principio di tutto) 64

    CAP. 7 | PIERINO CHIRULLI

    (in cui si racconta di quando la differenziata non interessava a nessuno) 69

    CAP. 8 |CARMELO MARANGI

    (un padre onesto fa il figlio onesto) 72

    CAP. 9 | FRANCESCO SPERTI

    (cosa ha insegnato l'esperienza in Serveco) 77

    CAP. 10 | PIERINO CHIRULLI

    (il salto di qualit) 81

  • 4

    CAP. 11 | CARMELO MARANGI

    (ogni nuovo progetto fatto per migliorare l'ultimo realizzato) 85

    CAP. 12 | LUCA CASTAGNA

    (perch ci sono gare a cui non partecipiamo) 89

    CAP. 13 | MARIA PIA BRUNO

    (l'azienda si comporta come una famiglia) 94

    CAP. 14 | ANTONIO LUCARELLA

    (tutto cambia e bisogna sapersi adattare) 98

    CAP. 15 | ROSALBA GRECO E ANTONELLA SCATIGNA

    (il senso del lavoro migliorare il futuro) 104

    CAP. 16 | CARMELO MARANGI

    (il trasferimento a Montemesola) 112

    CAP. 17 | ANTONIO LOPARCO

    (l'attitudine alla correttezza) 114

    CAP. 18 | SABINO ROSATO

    (le bonifiche) 119

    CAP. 19 | PIERINO CHIRULLI

    (il porta a porta) 128

    CAP. 20 | PINO CARAMIA

    (la prima gara vinta fu quella di Maruggio) 131

    CAP. 21 | PIERINO CHIRULLI

    (la nostra forza sono le persone) 139

    CAP. 22 | LELLA MICCOLIS

    (la prima start up) 142

    CAP. 23 | CONCLUSIONI

    (la sfida del futuro) 150

  • 5

    POSTFAZIONE | ELIO GRECO

    (Serveco e la cultura) 154

    L'IMMONDIZIA NON LIQUIRIZIA

    (il fumetto) 157

    INDICE DELLE FIGURE

    FIGURA 1 - LA BIBLIOTECA DI SERVECO 25

    FIGURA 2 - IL VOLKSWAGEN TRANSFERT 49

    FIGURA 3 - PROPOSTA DI COMMISSIONE PER LA VENDITA DI UN FORNO

    PIROMIX 55

    FIGURA 4 - IL 684 FIAT 58

    FIGURA 5 - DEMOLIZIONE DELLA NAVE TELLARO 122

    FIGURA 6 - LA BONIFICA DI BUFALORIA - MARTINA FRANCA 123

  • 6

    Avvertenze per il lettore.

    Lopportunit del bando per i Giovani Innovatori in

    Azienda, promosso da Arti Puglia, mi ha dato loccasione

    per entrare in profondit in unazienda con un progetto

    innovativo, ma contemporaneamente in controtendenza.

    Linnovazione una prospettiva, un nuovo punto di vista,

    non un chip o un algoritmo. Non solo, almeno. Anche un

    libro, come questo, uno strumento di comunicazione che ha

    cinque secoli di vita (quello stampato, almeno), pu avere

    nuovi utilizzi, pu diventare strumento di innovazione. Pu

    riportare alla luce vecchie storie, creare partecipazione,

    rafforzare la comunit. Pu, come abbiamo cercato di fare

    in questo caso, essere un modo per spolverare e rafforzare

    i valori sui quali stata fondata unazienda, riproporli con

    forza in un periodo di crisi, aiutarne la diffusione tra le

    nuove generazioni di dipendenti, fornitori e collaboratori.

    Pu rafforzare la comunit aziendale.

  • 7

    Scrivere questo libro stato come affondare le mani dentro

    un sacco di legumi, con la sensazione di piacevolezza ma

    anche di timore per quello che il tatto avrebbe fatto

    percepire. A partire dallidea che ho di Pierino Chirulli, che

    corrisponde grosso modo alla sensazione di piacevolezza, e

    il timore di quello che le mie mani avrebbero toccato

    quando, appunto, le avessi affondate nel sacco,

    intervistando i collaboratori e i dipendenti di Serveco. Dopo

    tutti questi mesi di lavorazione, di interviste, di sbobinature,

    di appuntamenti e di incontri, posso dire che le mani sono

    affondate e la sensazione di piacevolezza rimasta intatta.

    Lidea che ci si fa di unazienda conoscendone la testa

    sembra corrispondere a verit. Come ho scoperto dopo, la

    Serveco fatta a immagine e somiglianza, innanzitutto, di

    Pietro Vito Chirulli e di Carmelo Marangi, ma anche dei

    collaboratori che, man mano, hanno occupato posti chiave.

    Una azienda speculare alle persone di cui composta, nel

    bene e nel male. Se i fondatori sono vitali e precisi, capaci

    di guardare di traverso e attraverso, cio capaci di cogliere

    collegamenti inaspettati ma anche di andare in profondit

    nelle cose, cos lazienda, dalle parole di chi ho intervistato,

    unorganizzazione che lavora perch trova in quello che

    fa un senso ultimo che va oltre la strumentalit dellazione.

    Chi ho intervistato racconta di unazienda resiliente,

    resistente, attrice sociale consapevole, composta da tante

    individualit che, guarda caso, si sono trovate al posto

  • 8

    giusto al momento giusto. Anzi, lazienda stessa che si

    trovata al posto giusto al momento giusto. Cos come i

    fondatori, la Serveco lungimirante e accorta.

    Dalle pagine di questo libro trasparir una specie di

    gratitudine dei dipendenti nei confronti dellazienda e di

    Pierino e Carmelo. Chi si occupa di indagini sociologiche,

    per esempio, o i giornalisti pi accorti, sanno che il

    microfono, il taccuino, influiscono sulle risposte e spesso

    lintervistato risponde in base a quello che pensa sia giusto

    per lintervistatore. In questo caso, in maniera implicita,

    silenziosamente, ho sempre tenuto ben in evidenza questo

    post-it nella mia mente, sia mentre ascoltavo, sia mentre

    scrivevo, consapevole che i miei interlocutori sapevano che

    il libro sarebbe comunque prima passato dallok

    dellamministrazione e della direzione aziendale.

    Ma.

    Dalla media delle interviste, dalla media delle esperienze,

    il minimo comune denominatore dei racconti una specie

    di gratitudine umana nei confronti dei fondatori, che

    occupano un posto speciale nellimmaginario degli

    intervistati e che non sono considerati come meri datori di

    lavoro, ma come fossero fratelli maggiori che conducono

    lazienda verso nuove avventure. E cos come i fratelli

    maggiori non sono infallibili, anzi, nella loro fallibilit il

    rapporto acquista un valore speciale, perch i pi piccoli

  • 9

    sono chiamati a riempire le lacune, a far notare gli errori, a

    contribuire a quella dimensione di infallibilit attraverso un

    senso di protezione inverso.

    Ecco lavvertenza, il senso profondo di quello che ho

    raccolto e cercato di rendere a parole, proprio questo:

    scremate lentusiasmo delle parole e il romanticismo dei

    ricordi, e vi accorgerete che davvero c la sensazione di

    aver fatto parte di qualcosa, e di farne ancora parte e di

    lottare perch questo qualcosa duri per il pi lungo tempo

    possibile.

    Questo libro ha anche lambizione di offrire a chi non ha

    fatto parte della vecchia guardia di conoscere i momenti

    iniziali, le ambizioni, i valori con cui nata Serveco, quasi

    trentanni fa, nel retrobottega di un emporio edile, esempio

    di azienda virtuosa dalla presenza lieve sul territorio.

    I capitoli sono le testimonianze in prima persona dei

    protagonisti dellazienda: Pierino Chirulli e Carmelo

    Marangi, che tesseranno il filo conduttore della storia

    aziendale. La parola quindi passer ai collaboratori storici,

    gli operativi, come vengono chiamati in azienda, cio

    coloro che ricoprono un ruolo di responsabilit nei diversi

    settori, e pi in generale a chi fa parte della vecchia

    guardia, coloro che hanno iniziato la loro carriera

    lavorativa a Martina Franca, in via Villa Castelli e che

  • 10

    quindi, con il proprio contributo, il proprio lavoro, hanno

    contribuito a portare la Serveco dove ora.

    Ho cercato di seguire quanto pi possibile una successione

    cronologica, dettata dai racconti di Pierino e Carmelo, a

    volte invece per coerenza dei temi trattati.

    Perch 1 + 1 = 3

    Sar Vito Manzari, presidente di Costellazione Apulia,

    consorzio di imprese di cui fa parte Serveco, a suggerire il

    nome, inconsapevolmente, di questo libro. Due persone,

    racconta Vito Manzari, possono incontrarsi in vari modi. Il

    modo migliore, anche dal punto di vista lavorativo, lo

    scambio di idee: da due idee condivise ne pu nascere una

    terza. La somma di due idee, quindi, (almeno) tre idee.

    Cos le persone che decidono che condividere un percorso,

    un lavoro, delegando, affidando responsabilit, dando

    fiducia, aprono varchi nei processi decisionali e

    moltiplicano le possibilit, esattamente al contrario di chi,

    preferisce affidarsi alla forza centripeta dellautorit che

    riduce tutto a uno.

    Massimiliano Martucci

  • 11

    Prefazione

    Vito Manzari1

    Ho conosciuto la Serveco durante un evento organizzato da

    Sud Sistemi sulle learning organization. Da informatico mi

    sono sempre appassionato ai processi di organizzazione,

    perch il miglior software, perch funzioni al meglio, deve

    accompagnarsi ad una buona organizzazione aziendale.

    Abbiamo introdotto quindi un lavoro sullinnovazione di

    processo, riscontrando per una serie di difficolt, perch

    avevamo trascurato una terza dimensione, che quella delle

    persone, delle persone che lavorano insieme. Il nostro

    1 Vito Manzari il presidente di Sud Sistemi, unimpresa di Bari che si occupa di sistemi informatici, ma anche del Consorzio Costellazione Apulia, di cui fa parte Serveco. E tra i fornitori storici dellazienda ma anche, possiamo definirlo, un compagno di strada che condivide la visione fondante di Serveco.

  • 12

    interesse era quindi su come le organizzazioni apprendono,

    come le persone che stanno insieme mettono a fattor

    comune la capacit di apprendimento. Il problema che

    quando due persone si mettono insieme, uno pi uno non fa

    due ma uno e mezzo. Il nostro obiettivo era capire come

    fare in modo che uno pi uno facesse tre. Abbiamo iniziato

    a frequentare ambienti in cui questi temi erano discussi, tra

    cui uno che faceva riferimento ad un grande pensatore che

    si chiama Ugo Sgrosso. Costituimmo ASCOA,

    lAssociazione per lo Sviluppo delle Competenze delle

    Organizzazioni che Apprendono, e grazie a lui mettemmo

    su questo progetto sulle learning organization. Un progetto

    ambizioso che metteva insieme pi nazioni, pi

    professionisti, e la Sud Sistemi era lazienda che aveva le

    caratteristiche per fare il project leader. Il progetto fu

    approvato, inaspettatamente, dallUnione Europea,

    nonostante non avessimo esperienza su progetti di questo

    tipo. Tra quattrocento progetti, fu quello premiato come

    migliore. LItalia port il nostro progetto come esempio

    allUE, tanto che lo raccontammo nel Parlamento Europeo

    e poi fummo invitati anche dal Parlamento Tedesco.

    Il progetto prevedeva il coinvolgimento di una decina di

    imprese che avrebbero dovuto sperimentare una serie di

    sintesi esperienziali che dovevamo teorizzare in una fase di

    ricerca, in un percorso che innescava nei gruppi la capacit

    di cooperare per fare in modo che uno pi uno non fosse

  • 13

    tre. Il problema era come attirare le aziende. Siamo nel

    1997, pi o meno. Decidemmo di fare una serie di eventi in

    Puglia.

    La cosa che ci colp che quasi tutte le aziende che

    parteciparono agli eventi, poi aderirono al progetto. Erano

    ventiquattro e a noi bastavano dieci. Rimodulammo il

    progetto per un numero maggiore di aziende. Pierino ebbe

    la sensibilit di staccarsi e di venire allevento che fu fatto

    su Taranto, se non ricordo male. Come sempre Pierino ebbe

    unintuizione delle sue, perch capace di guardare oltre:

    decise di aderire e far partecipare molte persone della sua

    azienda. Unesperienza che credo abbia inciso sulla storia

    di Pierino e della sua azienda.

    Dopo lesperienza delle learning organization, con Pierino

    c stato un confronto continuo, dal quale scaturita prima

    LearNet, la rete delle imprese che apprendono e poi il

    Consorzio Costellazione Apulia, che organizza i Colloqui

    di Martina Franca.

    Ho avuto modo di conoscere Serveco in maniera pi

    intima grazie al fatto che sono diventato fornitore

    dellazienda. Sono entrato nei meandri dei processi,

    nellintimit del pensiero dei singoli con cui ho collaborato

    e con cui oggi i miei collaboratori collaborano. Ho dato un

    contributo a formalizzare i processi. Lintimit della

    Serveco la posso raccontare attraverso il binomio Pierino e

  • 14

    Carmelo e anche qui non sai onestamente quanta fortuna o

    quanto intuito, quanta capacit sta nel fatto che loro si sono

    dotati di persone a loro modo speciali. Io penso che il

    binomio tra i due, lintuito, la creativit, la sfrontatezza, la

    voglia di approfondire di Pierino, il metodo, la

    determinazione, lapproccio ingegneristico, la

    testardaggine di Carmelo. Apparentemente hanno poco in

    comune, ma hanno creato insieme una chimica, una magia,

    attraendo attorno a loro persone che reputo intimamente

    oneste che hanno votato la loro vita a quello che facevano.

    Questo binomio pu tradursi cos: Pierino lavora al fronte

    e Carmelo nelle retrovie. Pierino quello che, secondo me,

    apre strategie, cura le relazioni, attrae a s idee, persone e

    iniziative, fomenta lo sviluppo di pensieri divergenti.

    Carmelo fa il diavoletto, cio prova a metterli in

    discussione, ma con la capacit di ammettere che alcune

    cose possono funzionare. Pierino era quello con cui

    costruivo gli scenari, ma la formalizzazione avveniva con

    Carmelo, che tentava di mettere in discussione in maniera

    critica.

    Per lavoro entro in tantissime aziende, ogni anno. Nella

    maggioranza delle imprese c una sola persona che decide,

    nel bene e nel male. Nessuno, per, si rif al modello

    bocconiano dellimprenditore, cio qualcuno che sa

    rischiare, che ha le idee chiare, che analizza i dati. Sono di

  • 15

    solito lesatto opposto. Imprenditori che tendenzialmente

    non rischiano, che prendono decisioni senza tener conto dei

    dati, ma basandosi sullistinto, su una cultura spesso

    scarsissima.

    A differenza di questi, Pierino legge tanto, legge tutto,

    nonostante non si ponga come una persona colta

    nellimmaginario collettivo. Parla un italiano spesso

    inventato, a met tra il dialetto e litaliano. Ma efficace,

    perch lui pensa fuori dagli schemi dominanti, fuori dallo

    scontato. Pierino non mai scontato, e riesce a cogliere da

    tutto ci che gli passa davanti i collegamenti con lo scenario

    a lui noto. Pierino apre i fronti, li immagina, li sogna. Ma

    ha alle spalle la sicurezza di Carmelo, capace di

    regolarizzare, dettare i tempi, che si occupa degli indicatori

    di controllo.

    Ci sono aziende in cui imprenditori sono riusciti a costruire

    un gruppo a cui stato dato fiducia, e che ha ricambiato.

    Queste persone per sono anche il limite, perch non puoi

    cambiarle pi. Serveco in qualche modo rompe questo

    schema, perch si creano altri spazi in cui altri soggetti

    diventano protagonisti: non c bisogno di insidiare spazi,

    perch ce ne sono altri che nascono.

    Alla domanda se replicabile lesperienza Serveco, credo

    che la migliore risposta sia cambiare la domanda: cosa

    posso portare a casa dellesperienza di Serveco? Io mi sono

  • 16

    portato a casa lidea che c lopportunit e la necessit di

    cogliere i segnali deboli della societ e su questi

    immaginare modelli di business. Pierino fa proprio questo,

    grazie alla sua sensibilit. Lui gioca la sua partita proprio

    su questo. Una volta ho posto una domanda a Pierino: Ti

    sei mai chiesto perch le cose che fai mediamente

    funzionano?. Lui mi rispose: Mi sono dato delle regole

    che sono le mie regole con cui gioco la partita. E quando

    gli altri capiranno le regole del mio gioco, io avr gi

    vinto. Ovviamente la lettura pu essere duplice, perch

    anche qualcun altro potrebbe pensarla uguale e fare del

    male. Un po come un cuscino, che puoi usarlo per dormire

    o per soffocare. Pierino non insegue quindi il modello

    ricorrente, la massa, la anticipa.

    Limpresa deve esprimere una grande curiosit, seguendo

    il modello Pierino Carmelo. Bisogna dedicare una parte

    del proprio tempo a fare cose che apparentemente non sono

    legate al tuo lavoro. Cose che ad un imprenditore

    stereotipato sembrano una perdita di tempo. Pierino riesce

    per esempio a navigare in situazioni e in ambienti in cui lui

    gi ha intravisto collegamenti e investe del tempo. Un

    imprenditore che si tuffa al 100% nel suo modello di

    business, dovrebbe capire che necessario praticare luoghi

    e pensieri diversi. Questa una grande lezione.

  • 17

    Introduzione

    5 euro

    La sede della Serveco nella zona industriale di

    Montemesola, uno dei pi piccoli comuni della provincia di

    Taranto. Che sia inverno o estate, sembra comunque di

    essere sempre ai limiti di un deserto, in un territorio conteso

    tra la Valle dItria e lacciaieria pi famigerata dItalia.

    Montemesola a met strada, un po spostata verso oriente,

    rispetto alla statale che collega la provincia da nord a sud.

    La sede della Serveco un grande capannone situato tra

    tanti che sono vuoti o in vendita. Quello dellazienda

    fondata nel 1987 si divide tra una parte dedicata agli uffici

    e una grande officina che ospita i mezzi della raccolta

    differenziata, ma anche pezzi di pale eoliche o qualche

    prototipo da testare.

  • 18

    Uno degli ultimi nati tra questi il volano della Encosys.

    Unidea che nasce da un geniale ingegnere martinese e

    brevettata in tutto il mondo. Ogni volta che un ascensore

    scende produce energia che di solito va sprecata, grazie al

    Sem di Encosys questa viene accumulata e utilizzata nella

    risalita, abbattendo cos i costi. Uno dei primi prototipi

    montato allascensore dellazienda, anche se sono solo tre

    piani. Nel caso in cui doveste trovarvi a passare da queste

    parti state pur certi che Pierino Chirulli ci terr a farvi

    provare lebbrezza di una salita a basso consumo. Con uno

    di questi volani un ascensore normale potrebbe essere

    alimentato anche da un impianto elettrico domestico, ci

    dice il giorno in cui lo andiamo a trovare per parlare di

    questo libro.

    Lasciata lascensore, passiamo al nocciolo della questione:

    come si fa a raccontare la storia di unazienda senza essere

    troppo melensi, accondiscendenti, riuscendo a mettere

    insieme la personalit dei protagonisti e un contesto, quello

    jonico, non troppo facile? Serve una chiave di lettura, una

    specie di minimo comune denominatore che possa fornire

    a chi legge la possibilit di capire con chi si ha a che fare,

    quali sono i modi di pensare, e quindi di agire, dei

    protagonisti.

    Lopportunit ce la offre proprio Pierino Chirulli lo stesso

    giorno dellepisodio dellascensore. Lamministratore di

  • 19

    Serveco stato selezionato per far parte della giuria di un

    importante concorso pugliese sulle start-up. Uno dei criteri

    di giudizio, secondo lui, il business plan, quel documento

    aziendale che segna i passi da compiere per raggiungere un

    obiettivo, due colonne di excel di cui alla fine si fa la

    somma o la differenza: dare o avere. I partecipanti al

    concorso dovevano presentare quello relativo alla loro idea

    imprenditoriale, ma alcuni forse lhanno sottovalutato:

    Non altro che un ragionamento che si deve seguire: darsi

    delle domande e trovare risposte. Allultimo si mettono i

    numeri, per alla fine bisogna pure metterli. Facciamo il

    caso che si decida di produrre penne a sfera. Si inizia con

    unanalisi di mercato: ci sono altri fornitori che producono

    questa penna? Quanti ce ne sono? Dove sono collocati? La

    mia penna come si differenzia da questi fornitori? Quali

    sono i miei punti di forza? E quali quelli deboli? Ok, ho

    fatto lanalisi, e c la possibilit di produrre. Ora servono i

    macchinari, un capannone magari, organizzare la

    produzione, se interna o esterna. E quindi porsi delle

    domande: quanto costa il macchinario? Quanto spazio mi

    serve? Ogni domanda corrisponde a numeri. Se il

    macchinario che mi serve costa centomila euro, forse non

    posso permettermelo, e quindi ne devo trovare un altro che

    costa di meno. Se non lo trovo, vuol dire che devo

    inventarmelo. Quindi devo trovare un fornitore a cui devo

    chiedere di adattare il macchinario. E questo significa altri

    costi. Il capannone, poi, devo comprarlo o affittarlo. E

  • 20

    quante persone? E con quali caratteristiche? E dopo aver

    prodotto la penna come la commercializzo? Sono tutte

    domande che diventano numeri che alla fine danno un

    risultato.

    Se dovessimo immaginare, quindi, un investimento di un

    milione di euro, si portati a pensare che gli spiccioli,

    anche cinque euro, non contino molto. E invece proprio

    qui che si fa la differenza: Non sono i cinque euro in s,

    ma il principio di bilancio secondo il quale le entrate e le

    uscite devono equipararsi. Per fare un palazzo non si pu

    pensare alla metratura dei balconi, se prima non si

    calcolano le fondamenta Questa attenzione incide sulla

    salute dellazienda: se hai unidea e non ci metti bene i

    numeri, se non ti impegni a prevedere, se non verifichi con

    la rendicontazione non si pu capire se lobiettivo vicino

    o meno. Non si pu partire senza sapere quanto ti serve. Se

    non si sa nemmeno quanto ti serve, che fai? Rischi di partire

    e di fermarti dopo dieci minuti.

    Non tutto si impara a scuola

    A fare le addizioni tinsegna la scuola elementare, ma a

    mettere in colonna i numeri per tenere in piedi e far

    funzionare unazienda, alla fine, quanto conta davvero

    lesperienza e quanto contano i libri? Se cinque euro, meno

    di una pizza, un paio di settimanali, una ricarica al cellulare,

    sono importanti a fine anno nel bilancio dellazienda, in

  • 21

    quale capitolo di quale libro di quale esame

    scritto? Lesperienza, cio la traduzione in pratica della

    teoria, conta tantissimo, serve come dimostrazione o

    confutazione: Se tu ci pensi continua Pierino Chirulli i

    nostri nonni non sono andati a scuola, per il buon senso

    permetteva di fare molto. Adesso pi complicato. Tutto

    sta nel farsi delle domande e darsi delle risposte. Bisogna

    sapere quanti soldi servono per fare unimpresa e da dove

    bisogna prendere i fondi. E soprattutto devi sapere in

    quanto tempo puoi recuperare linvestimento e avere un

    ritorno.

  • 22

    Cap. 1

    Pierino Chirulli

    La societ stata costituita a gennaio 1987, io avevo 27

    anni. Ma ne discutevamo gi da un anno. Allinizio

    eravamo in tre, cera un geologo, che aveva qualche anno

    pi di noi, ma dopo sette o otto mesi gli chiedemmo di

    uscire, perch lavorava gi e non mostrava lo stesso

    entusiasmo mio e di Carmelo.

    Negli anni 80 la raccolta dei rifiuti non comprendeva la

    raccolta differenziata, era un servizio a parte, erano canali

    paralleli. La prima raccolta differenziata stata fatta per il

    vetro, perch ne intuimmo il valore simbolico, basti pensare

    al vuoto a rendere. Gi nella mentalit del cittadino cera

    quello di recuperare il vetro per fare la salsa destate, per

    esempio. Non siamo stati i primi in assoluto. Cera qualche

  • 23

    campana in giro, probabilmente qualcuno avr avuto dei

    finanziamenti per acquistarle. In provincia di Taranto si

    potevano vedere, soprattutto nei piccoli comuni, queste

    campane verdi. Il problema era cosa fare dopo aver

    raccolto, sapere come affrontare il ciclo. Queste campane

    del vetro sono state letteralmente abbandonate. Bisogna

    creare un ciclo, nel vero senso della parola, dalla raccolta al

    recupero, che non da poco. Questo ciclo mancava: le

    campane sono rimaste l piene di vetro. Per noi questo non

    ha rappresentato un vantaggio, perch era una specie di

    cattivo biglietto da visita: quando andavamo in qualche

    comune dove cerano le campane per la raccolta del vetro,

    le amministrazioni pubbliche erano diffidenti, perch

    succedeva che alcune aziende si erano improvvisate in

    questo servizio per poi abbandonare la campane piene. Un

    primo impatto negativo che spesso ci creava degli

    handicap.

    Tutto iniziato per caso. Non cera unidea precisa, ma una

    particolare sensibilit. Lidea generale era quella

    ambientale: sono le letture, la cultura, a fare determinate

    scelte nella vita. Era il 1978 o il 1979, avevo diciotto o

    diciannove anni, non ricordo bene, e quello da cui tutto ha

    avuto inizio un libro: Avere o essere di Erich Fromm2.

    Lho iniziato a leggere e mi ha appassionato. Secondo il

    2 Il libro fu scritto nel 1976 e tradotto e pubblicato in italiano nel 1977.

  • 24

    pensiero dellautore, il rispetto della natura legato al fatto

    che luomo ne fa parte. Mi sono appassionato e ho

    approfondito molte tematiche legate alluomo e alla natura.

    Non ricordo se il libro fosse di moda, ma mi appassionava

    il confronto tra avere o essere, tra laspetto materialistico

    dellavere e laspetto interiore dellessere. Lo comprai da

    Clio Libri, ce laveva in vetrina, in via Vittorio Emanuele,

    mi ricordo che passavo spesso, mi fermavo a leggere i titoli,

    e mi colp proprio quello. Non conoscevo Fromm. Non ero

    nemmeno diplomato ancora. Mi colp il libro: sono quelle

    letture che capitano nei momenti di maturazione di un

    ragazzo, quando premono le domande esistenziali.

    Le letture ti aprono la mente: uno pu anticipare un evento

    con la lettura. Quando qualcosa diventata di dominio

    pubblico, la si recepisce passivamente. Mentre spesso chi

    ha scritto, anche se nell800, ti d unanticipazione di un

    comportamento, o di un pensiero. E quindi puoi anticipare

    levento, puoi aprire la mente, come se fosse un serbatoio

    di acqua. Pi acqua c, pi pesci possono nuotarci. In

    questo caso a nuotare sono i pensieri. Fromm, per esempio

    metteva al centro luomo e lessere, quindi. Negli anni 80,

    gli anni doro del consumismo, si iniziavano a gettare i semi

    per una maggiore attenzione al consumo, alla predilezione

    dellessere rispetto allavere.

  • 25

    Ho approfondito, continuando a leggere Fromm ma anche

    altri autori, soffermandomi sul rapporto tra uomo e natura,

    ma anche sulla condizione delluomo nella societ

    industriale. Un altro libro che mi ha segnato Luomo a

    una dimensione di Marcuse3.

    Figura 1 La biblioteca di Serveco

    Leggere per imparare mi sempre piaciuto, studiare per

    fare gli esami no, non lho mai ritenuto utile e non mi sono

    pentito di questa scelta. Nella vita non conta il titolo, non

    3 Scritto nel 1964 e pubblicato in Italia nel 1977. Lautore sostiene che le societ industriali avanzate non sono lantitesi dei regimi totalitari ma la loro prosecuzione

  • 26

    mi sento diverso da chi ha una laurea. Rimpiango solo di

    non aver studiato le lingue. A scuola facevamo sia inglese

    che francese, ma non sono mai riuscito ad appassionarmi,

    allora.

    Dalle elementari agli anni 80: Pierino e Carmelo

    Carmelo stava al Politecnico di Torino, ci vedevamo solo

    destate o a Natale. Andavamo a scuola insieme, alle

    elementari. Non eravamo amici, tipo quelli che

    condividono tutto. Carmelo sempre stato molto pi

    riservato, uno studente modello, di quelli che il pomeriggio

    non si esce perch bisogna studiare. Dopo aver lavorato al

    nord decise di scendere per andare a lavorare allILVA, che

    allepoca si chiamava Italsider. Nel 1985 lacciaieria era

    ambita, non come ora che rappresenta un mostro. Molto

    ambita anche professionalmente, perch ti dava possibilit

    enormi. Poter lavorare appena laureato nella pi grande

    acciaieria dEuropa era unoccasione e i problemi

    ambientali allepoca non ce li ponevamo come ora. Proprio

    l, per, nacque in Carmelo quellidea di fare qualcosa da

    solo, vivendo le condizioni di lavoro dellItalsider. In lui

    scatt qualcosa, secondo me.

    Scegliere di provare a fare qualcosa insieme non avvenuto

    in un momento preciso, ma fu il frutto di una serie di

    incontri, di conversazioni. Mentre Carmelo era fuori da

    Martina, io sono rimasto con lEmporio di mio padre, ma

  • 27

    ho sempre fatto associazionismo, mi sono sempre occupato

    di ambiente, chiedendomi se ci fosse qualcosa che potevo

    fare. Cera Legambiente, il Wwf, Italia Nostra, la Lipu. Mi

    sono chiesto chi fosse pi vicino al mio pensiero.

    Legambiente era estrema, troppo a sinistra. Conoscevo il

    WWF, ma a Martina non cera ancora una sezione.

    Telefonai alla sede di Bari e chiesi informazioni, se ci

    fossero iscritti su Martina, per capire se si poteva fare

    qualcosa insieme. Il caso ha voluto che proprio in quel

    momento in sede cera un ragazzo di Martina che chiedeva

    proprio la stessa cosa, era Nino Martino, con cui eravamo

    andati a scuola insieme. Insieme a lui fondammo la sezione

    del WWF a Martina Franca. Grazie a questa scelta iniziai

    ad avere informazioni pi specifiche, anche prime degli

    altri. Nella rivista Il Panda, per esempio, cera sempre la

    pagina sul recupero e il riciclaggio, che raccontavano che

    al Nord si faceva la raccolta, la carta, il vetro, lalluminio.

    In quel periodo non cerano urgenze, si pensava a fare il

    Bosco delle Pianelle come oasi. Grazie a Nino Martino ma

    anche a noi tutti. Cera la possibilit di fare la pi grande

    oasi protetta in Puglia dopo il Gargano. Questo contatto con

    la natura ti porta ad essere pi sensibile, a fare altre

    battaglie. Si stavano per costruire tre dorsali che avrebbero

    portato lelettricit da Brindisi alla zona industriale di

    Taranto. Un pezzo di questo elettrodotto sarebbe dovuto

    passare dal bosco della Pianelle. Come WWF lottammo

  • 28

    affinch il percorso venisse spostato pi a valle. Vincemmo

    la battaglia, dimostrando che non solo passando da sotto i

    monti facevano meno danni, ma sarebbe pure costato di

    meno. Non era facile coinvolgere le persone, allepoca.

    Adesso pi facile. Allepoca mancava proprio la cultura

    di base in tema ambientale. Non ci chiedevamo a che

    servivano le dorsali, se potevano essere inquinanti a

    prescindere dalla posizione. Allepoca ci interessava che

    non passassero dal bosco. Adesso si mettono in discussione

    le dorsali, perch si conosce lelettrosmog, per esempio.

    Era lindustrializzazione e serviva.

    Nel frattempo torn Carmelo, e inizi a partecipare a

    qualche iniziativa del WWF, in quelle occasioni abbiamo

    iniziato a scambiare impressioni, idee. Da l nasce tutto.

    Sono state due le motivazioni per le quali abbiamo iniziato

    a pensare di fare qualcosa insieme: Carmelo si sentiva

    stretto allItalsider e io non volevo pi fare il negoziante,

    perch ero allEmporio Edile da quando avevo sei anni e

    allora ne avevo ventisei. Era tempo di mettersi in

    discussione.

    Iniziammo a chiederci se potevamo fare qualcosa insieme,

    perch eravamo entrambi insoddisfatti del nostro lavoro e

    iniziavamo ad avere accesso ad informazioni diverse

    rispetto agli altri. Fu come arrivare al matrimonio, un

    percorso fatto di piccole tappe, ma non ricordo

  • 29

    precisamente quando abbiamo iniziato. Labbiamo fatto

    senza accorgercene, naturalmente, assegnandoci gi i ruoli

    che avremmo mantenuto.

    Mi ricordo andammo a vedere qualche fiera di settore:

    allepoca non cera internet e per approfondire cerano le

    fiere specialistiche. In quel periodo stava sbocciando

    lattenzione allambiente e ci accorgemmo che cerano altri

    come noi, che si iniziavano ad interessare agli stessi temi,

    come se qualcuno stesse seminando in pi punti. Mi ricordo

    che andammo ad una fiera a Padova, Sep Pollution, per

    curiosare. Volevamo capire di pi. Giravamo per gli stand

    e ci accorgevamo che cera tantissimo: depurazione acque,

    rifiuti. Andavamo l a chiedere informazioni, ci

    spacciavamo per studenti universitari che dovevano fare la

    tesi. Per fare in modo che parlassero liberamente, senza

    timore di dire qualcosa a possibili concorrenti. Ci

    incontrammo con una coppia di calabresi, che stavano

    facendo la stessa nostra esperienza. Siamo diventati amici

    e tuttora capita di essere partner in qualche lavoro. La loro

    azienda si chiama Eco System, sta a Lamezia Terme.

    Alla fiera iniziammo a vedere, aria, acqua, rifiuti, suolo. Ci

    chiedevamo: cosa potevamo fare con tutto questo? Le

    informazioni che arrivavano dallassociazionismo erano

    pi rivolte verso i rifiuti. Gi occuparsi di aria, significa

    occuparsi di industria. A quel punto iniziammo a tagliare

  • 30

    con laccetta. No la depurazione perch era roba di

    Acquedotto pugliese. Laria uguale, che era appannaggio

    delle grandi aziende. Rimanevano i rifiuti e il solare.

    Scartammo il solare perch era troppo avveniristico. Un

    pannello fotovoltaico costava un sacco di soldi. Fare il

    solare termico costava, non poteva avere uno sviluppo

    veloce. Rimanevano i rifiuti: ma sui Rifiuti Solidi Urbani

    (RSU) il mercato sembrava saturo. Oltretutto noi venivamo

    dal mondo dellambientalismo, pensavamo che servisse la

    raccolta differenziata, che gi facevano al nord. Si poteva

    iniziare anche con meno soldi, perch era un servizio, non

    era produzione. Il vantaggio che avemmo, perch nella vita

    bisogna avere un po di fortuna, era la legge 915/19824, che

    iniziava a regolamentare il mondo della gestione dei rifiuti.

    Poi, un anno dopo la costituzione della societ, fu fatta la

    475/1988.

    4 Decreto del Presidente della Repubblica per lattuazione delle direttive (CEE) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi.

  • 31

    Cap. 2

    Carmelo Marangi

    Io e Pierino siamo andati a scuola insieme, terza quarta e

    quinta elementare. Finito il liceo, mi sono iscritto al

    Politecnico di Torino, dove ho vissuto sei anni. Torino non

    era la citt che oggi, dove studiano i miei figli, e che la

    citt che forse prediligo in Italia. Quelli erano gli anni delle

    Brigate Rosse, di Prima Linea, e in citt cera un clima che

    faceva paura ad uno studente di diciannove anni come me.

    Mi ci trovai, comunque, bene, ma solo come studente. Mi

    laureai brillantemente nel 1984, ma non avevo intenzione

    di rimanere l, nonostante le opportunit non mancassero.

    Infatti appena laureato ricevetti una lettera dalla FIAT per

    un corso di perfezionamento di sei mesi. Ci pensai, perch

    sarei dovuto andare in quella fabbrica che fino a qualche

    tempo prima era stata teatro di agguati e gambizzazioni.

  • 32

    Accettai e dopo il corso mi assunsero alla OM, Iveco. Ben

    presto, per, mi accorsi che non era quello che volevo.

    Mancava la dimensione dellautonomia, non volevo essere

    inquadrato in una realt dove altri decidessero per me.

    Avevo tanta voglia di tornare a casa, nella mia terra.

    Caratterialmente, sono molto legato al mio nido, alla mia

    casa. Credo che le radici di una persona rappresentino

    qualcosa di molto importante e in senso molto pi ampio la

    societ non dovrebbe mai perdere la consapevolezza delle

    proprie. Non credo che le mie radici siano migliori di quelle

    di coloro che vivono dallaltra parte del pianeta, ma sono il

    mio background, qualcosa che ti porti dentro e quindi

    inevitabilmente ti conduce a fare certe scelte. E quando

    parlo di radici penso che lambiente sia una cosa

    fondamentale.

    Lesperienza in FIAT e allIveco le considerai come

    formazione, e infatti mi misi subito a cercare altro e quasi

    subito fui informato che lItalsider cercava ingegneri per i

    propri stabilimenti. Mandai una lettera, alla quale mi

    risposero, informandomi che ci sarebbero state delle

    selezioni a Genova. Io ci andai, da Torino, e dichiarai subito

    che il mio interesse era per Taranto, che era il loro

    principale stabilimento. Non erano gli ingegneri laureati a

    Torino volessero andare a Taranto. AllItalsider la

    formazione fu pi breve e meno curata, rispetto a quella in

  • 33

    Fiat. Feci parte di un gruppo di sei o sette neolaureati che

    furono inseriti allinterno dello stabilimento, per

    ringiovanire i ranghi. Io fui destinato in area Acciaieria, e

    cominciai con un altro collega di Faggiano, che aveva

    studiato a Bari, a girare sugli impianti. Era una formazione

    guidata ma molto distante, cerano delle figure di

    tutoraggio, ma ci lasciarono fare. in questi anni che

    comincio a mettere in atto la mia strategia, perch avevo

    accettato la carriera in Italsider solo per tornare a casa.

    Lasciai Torino, quindi, per tornare a casa, ma anche perch

    il mio obiettivo era fare impresa.

    Avevo fatto una tesi in termotecnica, una specializzazione

    di meccanica. Una tesi su generatori di calore ad alto

    rendimento. Appena tornai al sud, nonostante avessi un

    posto in Italsider, cercai unazienda che installasse caldaie.

    Erano i tempi della metanizzazione. La qualit

    dellimprenditoria, purtroppo, era cos lontana da quella a

    cui io miravo, che abbandonai.

    Non provengo da una famiglia di imprenditori, mia madre

    era casalinga, veniva da una famiglia che aveva lavorato in

    una masseria. Imprenditori agricoli, diremmo oggi. Mio

    padre era un carabiniere. Avevo sempre visto la mia

    formazione come qualcosa che dovesse permettermi di

    affermarmi, unambizione positiva che mi doveva

    permettere di raggiungere una posizione importante. Non

  • 34

    avevo un modello. Avevo solo tanta voglia di sacrificarmi.

    Sono convinto di essere una persona molto responsabile.

    Quando individuo strategie le porto avanti con

    responsabilit. Sicuramente vedevo che la mia occupazione

    in unazienda come dipendente non mi avrebbe lasciato

    libero. Gli imprenditori locali erano qualcosa che non mi

    soddisfacevano, senza progettualit, senza futuro. Almeno,

    quelli che cercai nel settore della termotecnica e

    dellimpiantistica.

    In quegli anni ero fermamente deciso di dovermi affermare

    nel mondo del lavoro ma in piena autonomia. Maturai, nel

    frattempo, una grande sensibilit verso il tema ambientale

    e mi ricordo che in quel periodo (era il 1987) iniziai a

    frequentare un gruppo di amici, in particolare Pierino,

    iscritti al WWF, con cui iniziai a fare attivit di

    volontariato.

    LItalsider per un anno mi fece girare sugli impianti senza

    nessuna destinazione specifica. Unacciaieria come quella

    una realt incredibile: si dovrebbe vederla dallinterno per

    conoscerla davvero. In quellanno ebbi modo di girare tutta

    lacciaieria, ma ci sentivamo, io e gli altri ingegneri

    neoassunti, un po sottoutilizzati. Sentivo che perdevo

    del tempo. Mi ricordo che andammo dal nostro direttore di

    area, una persona che in quegli anni aveva sotto di s circa

    4000 persone (ce nerano quattro in tutto lo stabilimento).

  • 35

    Gli facemmo notare che non facevamo nulla. Dal giorno

    dopo ci mise su due impianti diversi. Io occupai la

    posizione di caporeparto di manutenzione della colata

    continua, la Colata Continua 1, la pi vecchia. In quel

    momento inizi una vera e propria odissea che mi port da

    l a tre anni ad andare via. Da una parte cera un impegno

    incredibile, ma dallaltra la mia volont di fare bene si

    scontrava con un andazzo generale, una realt fatta di

    sprechi, di persone che lavoravano in maniera inefficiente.

    Tutto questo mi fece maturare lidea che quel posto non era

    assolutamente qualcosa che potesse fare per me. Tuttavia

    devo dire che sono stati anni di grande formazione, che mi

    hanno messo davvero di fronte ad una realt produttiva con

    tutti i suoi problemi, con le delicatezze della gestione del

    personale, della turnazione. Si lavorava ovviamente h24,

    sette giorni su sette, in condizioni di estrema difficolt

    ambientale, economica. Una situazione difficile, ma come

    tutte le situazioni difficili, stata una scuola fondamentale,

    che mi ha poi messo nelle condizioni, nella mia vita

    lavorativa, di affrontare problemi tecnici in maniera

    oggettiva e razionale, individuando problemi e cause.

    Andai via dallItalsider. Non ce la facevo pi a lottare,

    fisicamente, ogni giorno, contro una realt completamente

    opposta a quelle che erano le mie linee guida. Una realt di

    sprechi enormi, di gente che non lavorava, di scelte

    sbagliate, in cui i miei sforzi erano inutili. Sono gli anni

  • 36

    dellinefficienza, del deficit dellItalsider, che avrebbe

    portato di l a poco alla vendita ad un privato, passando di

    fatto da un male estremo allaltro, invece di individuare una

    strada intermedia pi equilibrata.

    Andai a lavorare con unazienda dellindotto dellItalsider,

    nel settore della carpenteria. Anche questa scelta non che

    mi soddisfacesse molto. Erano gli anni in cui la Serveco

    cominciava a muoversi, e avevo bisogno di fare qualcosa

    per finanziare le attivit. Prendevo i soldi del mio stipendio

    e li investivo nella Serveco con Pierino. La fortuna fu che

    mi si present unaltra occasione. Fui contattato da un mio

    vecchio professore di matematica, Angelo Colucci, che ora

    non c pi, uno dei miei maestri di vita, delle scuole medie.

    Aveva sentito da un suo ex allievo che cera questa

    possibilit. Feci i colloqui e fui assunto alla Prisma, che era

    una societ di ingegneria del gruppo TPL e aveva sede a

    Martina Franca e fui incaricato di organizzare il settore

    della progettazione meccanica, quindi apparecchiature

    meccaniche di apparecchiature, come scambiatori di calore

    e colonne di distillazione, per impianti chimici e

    petrolchimici. In quelloccasione ricevetti una formazione

    eccezionale, andai a lavorare a Roma per otto mesi. In

    quegli anni avevano circa 1200 tra ingegneri e tecnici

    esperti che facevano progettazione industriale. Dopo la

    formazione a Roma, tornai a Martina e mi occupai con

    responsabilit del settore. Lesperienza in Italsider mi fu

  • 37

    assolutamente preziosa, perch avevo gi avuto modo di

    vedere un impianto, complesso, ma anche gli anni trascorsi

    in Prisma sono stati molto formativi.

    Linizio di Serveco

    In quegli anni lesigenza primaria era trovare qualcosa che

    ci mettesse nella condizione di produrre, fare impresa,

    affermarsi nel mondo del lavoro.

    Io e Pierino avevamo deciso di provarci, ma non sapevamo

    precisamente cosa. Una cosa era essere impegnati con il

    WWF e unaltra era quella che sarebbe dovuto diventare il

    nostro lavoro. La scelta di mettere insieme questo fu voler

    cogliere unopportunit. Per esempio avevo, in quegli anni,

    unaltra idea di cui avevo parlato con un amico: mettere su

    unazienda agricola per la produzione di cacioricotta. In

    quegli anni, nel 1985, 1986, non si sentiva molto parlare di

    imprese che operavano nel settore dellambiente, dei rifiuti,

    del recupero. Forse, se fossi riuscito con qualche

    facilitazione nella realizzazione dei formaggi, ora mi

    occuperei di altro.

    Il perch con Pierino mi chiaro. In quegli anni viveva lo

    stesso tipo di sogno. Questa la cosa importante. Serveco

    fu un tentativo, io avevo il mio lavoro e Pierino il suo

    negozio, non avevamo bisogno di trovare lavoro, tanto che

    la Serveco allinizio non ci dava nulla, anzi, stato un

  • 38

    investimento anche delle nostre famiglie, come per il

    terreno di Venturizzo.

    Eravamo in tre, allinizio. La compagine era composta da

    Pierino che un ragioniere e che ha una formazione

    contabile commerciale, da me che sono un ingegnere

    meccanico con esperienza nel settore industriale e un

    geologo. Il terzo socio era anche un insegnante, che per

    manifest ben presto disinteresse. Io e Pierino, che eravamo

    mossi dalla fortissima volont di realizzare un progetto, ben

    presto ci trovammo daccordo che questa persona non

    poteva contribuire alla realizzazione.

    In quegli anni, non cerano, forse, imprese che si

    occupassero di ambiente quotidianamente. Forse questa

    stata lintuizione. Il WWF, non dimentichiamolo, era una

    attivit fatta di volontari, che avevano un altro lavoro.

    Lidea con Pierino fu questa: lambiente ha s bisogno di

    volontari, perch non c niente di pi bello che dare tutti,

    volontariamente, il proprio contributo, ma noi dicevamo

    che lambiente aveva bisogno di qualcuno che vi si

    dedicasse tutti i giorni, perch si facessero passi verso un

    mondo migliore, pi pulito. Questa stata lintuizione. Il

    dubbio era se ci potesse essere qualcuno disposto a pagare

    per un lavoro fatto per lambiente, un dubbio che ho

    mantenuto per qualche tempo, anche allinizio, quando

    chiedevo a Pierino se fosse possibile che per questo

  • 39

    progetto ci fosse stato bisogno di investire cos tanto denaro

    (cio tutto il mio stipendio mensile!).

    Allinizio sono stati fondamentali i nostri genitori.

    Avevamo bisogno di soldi, ma anche di garanzie. Pierino

    consigli, allinizio, di fondare un sas (societ in

    accomandita semplice) e non una srl (societ a

    responsabilit limitata), che non offriva nessun tipo di

    garanzia se i soci non avevano beni propri. Con lui abbiamo

    sempre diviso tutto perfettamente a met, da sempre.

  • 40

    Cap. 3

    Martino Pizzigallo

    Lavoro in Serveco dal 21 aprile 1991, sono passati 24 anni,

    fui il secondo operaio, dopo Oronzo Magistri. Allinizio

    non credevo molto in quello che facevo e in quello che

    facevano Pierino e Carmelo. Nemmeno lavoravano

    nellazienda. Io venivo da un mobilificio. Ero convinto che

    tempo qualche mese non mi avrebbero nemmeno pagato,

    perch ero convinto che quello che volevano fare non stesse

    in piedi: la raccolta differenziata, le pile esauste, i farmaci

    scaduti. Ne parlavo con mia moglie: Fra due o tre mesi

    zomperanno. Si iniziava a sentir parlare di raccolta

    differenziata, ma sembrava una cosa troppo lontana, tanto

    che quando rispondevo a chi mi chiedeva che mestiere

    facessi mi guardavano strano. Quando Pierino riusc ad

    avere lappalto della differenziata a Martina Franca, ricordo

  • 41

    che i negozianti dove avrei dovuto piazzare i contenitori mi

    dicevano: No grazie, non vogliamo nulla. E invece i mesi

    passavano e il lavoro aumentava. Facevamo la differenziata

    in comuni come Bisceglie, Andria, il nord barese. Pierino e

    Carmelo ci credevano tantissimo, era un loro sogno che si

    realizzava.

    Comprammo un camion per fare la raccolta, prima

    utilizzavamo un furgone. Mi occupavo di piazzare i

    contenitori. Fino a poco tempo prima ci rivolgevamo ad una

    ditta esterna, ma proposi a Pierino di acquistare

    lattrezzatura e fare il lavoro da soli. Comprammo un

    gruppo elettrogeno, un trapano e una cassetta dei ferri. Non

    c stato un giorno in cui siamo stati con le mani in mano,

    cera sempre qualcosa da fare. Dopo qualche tempo

    Carmelo inizi a lavorare solo per Serveco, diede

    limpostazione al lavoro, come direttore tecnico. un

    cervellone, difficile che sbagli qualche volta. La sua

    impostazione lha trasferita a tutti, e i suoi consigli valgono

    ancora di pi oggi che il nostro lavoro diventato pi

    pericoloso.

    Ora mi occupo di cantierizzazione, bonifiche, demolizioni,

    ripristino di discariche abbandonate. Sono cresciuto con

    lazienda, ma ad un certo punto servivano altre competenze.

    Ho fatto fatica, inizialmente, come quando al militare

    arrivava un ragazzino di ventanni appena uscito

  • 42

    dallAccademia che iniziava a dare ordini. Servivano

    persone che sapessero leggere le carte, per capirci.

    Lazienda cresciuta pi di me, ma adesso ho capito quanto

    posso essere importante per il lavoro che facciamo.

    Questa azienda mi ha permesso di fare il lavoro che mi

    piaceva e non cos scontato. Mi sono sempre sentito

    rispettato e questo rispetto lho sempre ricambiato. In

    questa azienda si pu sempre entrare nellufficio di Pierino

    o di Carmelo per chiedere consigli, o confrontarsi. Le porte

    non sono chiuse, anche lultimo arrivato pu parlare col

    capo. Non ho mai sentito forte la gerarchia, anzi. Io ho

    avuto le chiavi dellazienda fin da subito e quelle chiavi me

    le difendo.

    Ad un certo punto ho percepito che le cose erano cambiate,

    che lazienda era diventata pi grande. successo quando

    ci siamo trasferiti a Montemesola da Martina Franca. Prima

    lufficio era piccolo, era come una famiglia,

    inevitabilmente avevi rapporti quotidiani. Allepoca ero

    allimpianto di Specchia Tarantina, e ogni sera tornavo in

    ufficio e scambiavamo due parole, con gli impiegati e le

    segretarie. Ora abbiamo i reparti, gli uffici con le porte

    chiuse, il primo piano, il secondo piano, lamministrazione.

    C stata una crescita, unesplosione. Io ero abituato a

    lavorare fianco a fianco con gli amministratori, poi qui i

    magazzini erano chiusi, siamo passati dalla bottega

  • 43

    allindustria. Nel 2000 avevo gi dieci anni di esperienza e

    quando ho visto che Pierino, Carmelo, Antonio Loparco,

    Sabino, avevano la loro stanza e mi sono sentito un po

    perso. Ho pensato che non ci saremmo visti pi. Uno come

    me faceva fatica ad andare negli uffici personali. Ho

    pensato, allinizio, che non servissi pi. Ma le cose poi si

    sono stabilizzate, quando si sono ripartite le responsabilit

    tutto tornato normale. Io vengo dal basso, dal lavoro

    fisico. Fai fatica ad adattarti allevoluzione veloce. Molti

    hanno fatto fatica a starci dietro: si passa dal cellulare con i

    tasti fino al touch screen. Non facile stare al passo: ho

    cercato sempre di arrampicarmi, di non perdermi. Dovevo,

    per forza di cosa, stare nella loro scia. Ora sono soddisfatto

    di quello che ho imparato: non avevo mai scritto e letto

    nulla prima di venire qui e invece lavorando con Serveco

    ho imparato a leggere, a scrivere, a usare il computer. Sono

    stato tra i primi a comprare un computer: la sera invece di

    vedere la televisione ho imparato a usare le mail, chiedendo

    magari a Sabino. Cos come lui chiedeva a me come fare

    per demolire una trave, io chiedevo a lui come entrare in un

    programma. Ho ricevuto tantissimo, anche per quanto

    riguarda il modo di fare. Prima ero un semplice muratore,

    non conoscevo molti vocaboli, non leggevo, non scrivevo.

    Non ho mai messo sulla bilancia quanto ho dato e quanto

    ho ricevuto, ma sicuramente ho avuto tanto, anche per

    quanto riguarda leducazione, il modo di stare con gli altri,

    il dare il giusto valore al saluto quotidiano.

  • 44

    Il lavoro

    Non ci sono mai stati lavori che mi hanno spaventato, anche

    se abbiamo fatto cantieri in altezza o sulle navi. Abbiamo

    avuto delle rogne terribili, abbiamo lavorato per bonificare

    zone dellIlva, della Cementir, non ci siamo mai tiranti

    indietro. Pi la sfida complicata, pi ci impegniamo nella

    soluzione. Da dieci anni a questa parte il nostro lavoro

    una scommessa quotidiana. Ricordo il cantiere del 2011, a

    Teramo. Era un capannone di Marcegaglia, in cui si

    costruivano profili in acciaio, dovevamo bonificare il tetto

    e ricoprirlo in breve tempo, destate, prima che tornassero

    al lavoro gli operai. Durante una riunione di

    coordinamento, il responsabile dellazienda chiese a Sabino

    Rosato se fosse davvero convinto di portare a termine il

    lavoro nei tempi prestabiliti. Non sapeva che la nostra

    azienda capatosta, appassionata di sfide. Lavorammo

    come pazzi, sotto al sole, dal primo al venticinque agosto.

    Eravamo trentadue persone, destate, a 600 km da casa.

    Non potevamo permetterci di sbagliare, perch il tempo era

    poco ed eravamo troppo lontani dalla nostra sede. Ecco

    quanto importante la pianificazione.

    Altre esperienze che mi hanno segnato molto, a parte quella

    di Teramo, sono state le bonifiche delle grotte. Scendere

    aggrappato ad una corda, e poi risalire. Grotte profonde

    sessanta, cento metri. Trovavamo di tutto: copertoni, rifiuti,

  • 45

    carcasse di animali. A differenza degli altri cantieri, solo in

    quelloccasione ho avuto dei dubbi su come fare per

    fuggire, in caso di guai. Non ci mai successo nulla, per,

    e questo lo si deve sia alla pianificazione del lavoro sia al

    fatto che in azienda non si lesina sui materiali relativi alla

    sicurezza, mentre in altre aziende spesso loperaio a

    doverseli acquistare.

    Non unazienda come le altre, secondo me. In Pierino e

    Carmelo ho trovato qualcosa di diverso. Non li considero

    semplici imprenditori. Il tipico imprenditore meridionale,

    dopo aver guadagnato duecentomila euro si compra la

    macchina da centomila, magari mette al primo posto s e la

    famiglia, loro no. Ho avuto il rispetto di tutti e tutti hanno

    avuto rispetto di me. Questa la differenza con le altre

    aziende. Chi ci vede da fuori e non si sbaglia, vede

    unazienda collaboratrice, famigliare, che ha rispetto del

    dipendente. Non mai saltato uno stipendio. Se qualcuno

    ha portato un problema in ditta, magari che serviva una

    particolare attrezzatura, non mi mai stata negata. In altre

    realt invece il trapano te lo devi recuperare tu. Si lascia

    alloperaio il problema, la rogna. Invece il problema va

    vissuto, affrontato. Per questo tengo tantissimo al nome

    della Serveco, sono orgoglioso di indossare ogni mattina la

    mia divisa. E cerco di trasmettere questo modo di pensare

    anche agli altri che lavorano con me, condividendo quello

    che so.

  • 46

    Cap. 4

    Pierino Chirulli

    Il primo indirizzo della Serveco stato via Lelio Fanelli 16,

    il retro del negozio, un buco in mezzo ai tubi, grande un

    metro e venti per un metro e mezzo.

    Ci costituimmo nel 1987, eravamo una sas, noi eravamo gli

    accomandatari, il terzo socio era laccomandante.

    Cominciammo ad occuparci di rifiuti, ma dovevamo

    trovare un modo per finanziarci e in quel momento cera la

    domanda di incenerimento di rifiuti ospedalieri, anche

    grazie al DPR 915 del 1982. Decidemmo di

    commercializzare dei forni inceneritori. Contattammo una

    societ che si chiama Ciroldi, per poter commercializzare i

    loro forni. Contattammo tutti gli ospedali, pubblici e

    privati, di Puglia e Basilicata. Ci risposero la Casa di Cura

  • 47

    Santa Rita di Taranto e Le Case di Cura Riunite di Bari, la

    Mater Dei, che stavano costruendo e la Salus di Brindisi.

    Fornimmo due piccoli inceneritori ospedalieri, alla Salus e

    alla Santa Rita di Taranto, grandi quanto un caminetto di

    casa e alla Mater Dei, invece, forni pi grandi.

    Ricordo listallazione alla Mater Dei di Bari, il forno fatto

    salire con una gru, per farlo poi passare in uno spazio largo

    non pi di un metro e mezzo: le persone per strada che si

    fermavano a guardare. Quel contratto labbiamo avuto

    grazie ad un ingegnere della Mater Dei che faceva il

    responsabile acquisti delle case di cura. Ci prese in

    simpatia, eravamo giovani, non avevamo nemmeno

    trentanni. Ci dette una possibilit, anche se poteva

    comprare direttamente da Ciroldi. Noi ci vendevamo la

    vicinanza, la possibilit di fare assistenza, di essere

    disponibili ad intervenire per qualsiasi problema. Noi

    dicevamo che facevamo assistenza, che eravamo vicini, per

    qualsiasi problema. Per linstallazione ci rivolgemmo ad un

    termoidraulico, Giovanni Santoro, che veniva a rifornirsi

    allEmporio Edile.

    Dai forni alle pile

    In quel periodo fu votata la legge 475 che obbligava i

    comuni a fare la raccolta differenziata dei rifiuti urbani

  • 48

    pericolosi: pile, farmaci e quelli con letichetta T e/o F5. In

    quel periodo cera un compagno di classe di Carmelo che

    era assessore allambiente al comune di Alberobello e gli

    proponemmo di fare la differenziata di pile e farmaci.

    Riuscimmo ad ottenere lincarico per un anno, per fare la

    raccolta differenziata di pile, farmaci scaduti e vetro. Allora

    era pi semplice, ma stavamo parlando di servizi piccoli,

    piccole cifre. Comprammo i contenitori e li andammo a

    posizionare, grazie allaiuto di qualcuno dei clienti del mio

    negozio. I primi contenitori li svuotavamo con la Uno di

    Carmelo. Li mettevamo nella rimessa dove cavevo i

    prodotti, dellEmporio Edile, Dopo quindici giorni, tempo

    di fare due o tre raccolte e li portavamo a Milano. La prima

    cosa che comprammo fu un furgone Volkswagen, il

    Transporter, il furgone degli hippy.

    5 Rifiuti che hanno letichetta tossico o infiammabile

  • 49

    Figura 2 Il Volkswagen Transporter

    Lo comprammo con le cambiali, firmai per

    cinquecentomila lire al mese. Andammo a Milano, a

    Cernusco sul Naviglio, alla Omar. Passavo la mattina e il

    pomeriggio al negozio, che nel frattempo era diventato mio.

    La sera e la notte ci vedevamo con Carmelo per pianificare

    le attivit. Se cera bisogno di andare a parlare con qualche

    Comune, chiedevo a mio padre di sostituirmi. E quindi

    assumemmo il primo dipendente. Comprammo un fax in

    questo metro quadro avevamo un Commodore 64, un M20

    usato della Olivetti, due tastiere e una stampante. Sembrava

    una centrale nucleare. Mi ricordo che presi un programma

    di contabilit. Gestivamo tutte le attivit.

  • 50

    La mia testa stava alla Serveco. Prendevo lo stipendio

    dallEmporio, un milione circa, met mi servivano per

    pagare i primi debiti della Serveco. A Carmelo chiedevo

    500/600 mila lire per pagare i buchi. Dal comune di

    Alberobello prendevamo 18 milioni allanno, mi pare.

    Uscivano solo le spese per il servizio. Bisognava per

    anticipare il costo dei contenitori e poi si pagava per

    conferire i farmaci e le pile. Il rottamatore di Bari, a cui

    davamo il vetro, veniva, con un giovane ragioniere, e

    insieme andavamo ad Alberobello. Mi facevo trovare

    davanti al cimitero, arrivava il camion con la gru. Lasciavo

    la macchina, e con il camion andavamo a svuotare i

    contenitori, perch io sapevo dove stavano, e il vetro lo

    regalavamo. Ogni tanto ci dava qualcosa ma gi che ci

    svuotava le campane

    Il nostro cavallo di battaglia stata la sensibilizzazione. Il

    nostro servizio era raccolta, trasporto e sensibilizzazione.

    Non a caso il primo manifesto, di Piero Angelini, era

    lalbero con la farfalla e larcobaleno. stato il primo

    manifesto della differenziata. Allinizio erano manifesti e

    un pieghevole A3. Giravamo molto nelle scuole, facevamo

    classe per classe.

    Allinizio lho fatto io, ma nel giro del WWF cera

    qualcuno che poteva farlo, anzi lidea di andare nelle scuole

    a parlare di differenziata labbiamo presa proprio dal fatto

  • 51

    che col WWF giravamo le classi parlando di ambiente.

    stata la scelta vincente, perch non solo riuscivamo a

    sensibilizzare, ma lAmministrazione Comunale si faceva

    vedere, riceveva una promozione indiretta importantissima.

    Alberobello allepoca era il paese pi turistico della zona, e

    allettavamo lamministrazione con la possibilit di mettersi

    allocchiello il fiore della differenziata. Lamministrazione

    si dimostrata sensibile e questo ci ha aiutato moltissimo,

    anche perch poi abbiamo utilizzato questo esempio per

    andare negli altri comuni.

    Il numero dei contenitori si calcolava in base al numero

    degli abitanti. Una campana del vetro ogni 300 abitanti, per

    esempio. Contenitori dei farmaci davanti alle farmacie.

    Quelli delle pile davanti alle scuole e a chi vendeva le pile

    e poi nei punti nevralgici. Avevamo visto gli altri come

    facevano. Ad Alberobello la gente rispose bene.

    Allora la raccolta e il trasporto delle pile e dei farmaci

    doveva essere autorizzata. Presentammo la domanda a Bari,

    perch era di competenza regionale. Ma appena

    presentammo la domanda, la Regione deleg la province.

    Fummo i primi ad essere autorizzati a Taranto.

    Siamo stati tre o quattro anni ad Alberobello,

    sperimentammo la tecnica per approcciare le

    amministrazioni. Poi arrivammo a Bisceglie e Canosa.

    Avevamo tutti i dati statistici. Sapevamo quanto

  • 52

    raccoglievamo contenitore per contenitore. Mettevamo in

    una busta, mettevamo il numero e misuravamo. Usavamo

    la bilancia del mio negozio.

    Nel 1990 ci facemmo un ufficio un po pi grande. In due

    stavamo stretti, facemmo un investimento per allargare:

    due metri per due metri e mezzo. Mettemmo la scrivania,

    perch finora avevamo un vecchio tavolo che aveva almeno

    quarantanni. Poi stavamo stretti. Avevamo il primo

    dipendente, part time.

    Comprammo un camion con la gru, del 1968, un 684. Non

    avevamo un autista assunto, ma ci rivolgevamo ad un

    vicino di casa in pensione di Carmelo, che chiamavamo

    quando ci serviva. Allinizio eravamo costretti ogni volta

    ad andare a Milano a conferire, ma quando abbiamo avuto

    lautorizzazione allo stoccaggio, allimpianto di Specchia

    Tarantina, iniziammo a prendere un po di respiro. La

    nostra autorizzazione per le pile e i farmaci fu la prima in

    assoluto: andammo noi a prendere le carte da Bari per il

    funzionario della Provincia che non sapeva proprio da dove

    iniziare.

    Vendetti il negozio, cera bisogno di un impegno costante

    e continuativo.

  • 53

    Cap.5

    Carmelo Marangi

    Noi cominciammo come installatori di forni6. Dur un po

    di tempo e ci dette dei buoni ritorni economici. E devo dire

    che trovammo da parte delle Case di Cure Riunite una certa

    sensibilit. Cera un ingegnere che proveniva dalla

    raffineria di Taranto che ci prese in simpatia, perch ci

    vedeva come due ragazzi pieni di voglia di fare. Aveva

    colto in noi, da vecchio manager esperto, la seriet. Ci dette

    questi ordini per una quarantina, una cinquantina di milioni

    di lire. Per noi cerano grossi margini, per cui ci

    impegnammo. La cosa and bene.

    Facevo lequilibrista, ma non potevo assentarmi molto da

    lavoro. Era soprattutto Pierino a stare dietro la societ. Ma

    6 Vedi figura 3

  • 54

    quando si dovevano montare i forni, non potevo non

    esserci, perch Pierino non ha mai avuto doti tecniche.

    Le prime raccolte differenziate

    Avevamo avuto lidea di attivare un servizio di raccolta di

    pile e farmaci scaduti. Ne parlammo con un mio amico del

    liceo, mio compagno di banco, che era diventato assessore

    al Comune di Alberobello.

    Nessuno aveva mai svolto un servizio simile, iniziammo a

    crearci una nicchia di mercato. Contattavamo i comuni con

    le lettere, le scrivevamo con due vecchi computer che

    avevamo nel retrobottega del negozio di Pierino. Era un

    sottoscala. Un ambiente di un metro e mezzo per due metri

    dove cera un tavolo su cui ci appoggiavamo. Mi ricordo

    nottate incredibili in cui cominciavamo alle sette, otto, e si

    finiva a tarda notte, in cui si discuteva, si parlava. Pierino

    impostava la lettera da spedire ai comuni e poi la

    rivedevamo insieme.

  • 55

    Figura 3 Proposta di commissione per la vendita di un forno Piromix

  • 56

    Il primo incarico per la raccolta differenziata arriv da

    Alberobello: andai a parlare con questo mio amico che era

    assessore alle Attivit Produttive al Comune. Lui si attiv,

    ne parl col sindaco e alla fine ci affid questo lavoretto, un

    servizio che poi abbiamo svolto per qualche anno. Parliamo

    di una cifra intorno a una quindicina di milioni di lire

    allanno. Qualcosa che il Comune era in grado di affidare

    direttamente, senza gara. La prima raccolta di farmaci

    labbiamo fatta con la mia Fiat Uno, io e Pierino. Un

    ricordo, come se fosse un sogno, utilizzavamo la Uno per il

    posizionamento dei contenitori; per la raccolta serviva

    avere un mezzo autorizzato: acquistammo un Transporter

    Volkswagen.

    Le pile e i farmaci li conferivamo a Cernusco Sul Naviglio.

    Il Transporter fu uno dei primi mezzi autorizzati al

    trasporto di rifiuti dalla Provincia di Taranto, una delle

    prime autorizzazioni in materia. Tanto che la

    documentazione ce la procurammo io e Pierino mentre

    frequentavamo un corso di formazione a Milano.

    Andammo alla Regione Lombardia a chiedere cosa servisse

    per essere autorizzati e adattammo quei documenti per Bari.

    Ricordo il primo viaggio per conferire la raccolta.

    Partimmo nel tardo pomeriggio del gioved, prendemmo il

    venerd di ferie dai nostri rispettivi lavori. Caricammo sette

    o otto fustini dal deposito di Pierino, portammo con noi un

  • 57

    migliaio di chili di pile e farmaci. Cercavamo di

    concentrare la raccolta nei giorni in cui avremmo fatto il

    conferimento, perch non potevamo stoccare. Ci

    fermammo a Termoli e mi ricordo un ottimo brodetto di

    pesce. Un bel viaggio, una bella esperienza, la memoria del

    sacrificio che allinizio dovemmo profondere per la

    Serveco.

    Successivamente comprammo un Fiat 6847 che aveva gi

    ventanni. Ci inventammo un sistema che ci permetteva di

    avere sul pianale due cassoni distinti, ribaltabili

    separatamente. In uno mettevamo la carta, nellaltro la

    plastica. Non esistevano allepoca i compattatori

    multistadio. Cera la gru che serviva per prendere la

    campana e posizionarla sul corrispondente cassone. Una

    volta pieno, la gru sollevava il cassone per svuotarlo. Era

    una cassa ancorata sul pianale, incernierata su un lato, si

    liberava il chiavistello e questa cassa poteva essere ribaltata

    lateralmente. Cera anche una sponda che quando si doveva

    ribaltare, faceva da scivolo per evitare che il vetro e la

    plastica finisse sotto le ruote.

    7 Vedi figura 4

  • 58

    Figura 4 Il FIAT 684

    Le quantit crescevano e non potevamo andare ogni volta a

    Cernusco sul Naviglio per conferire la raccolta. Iniziammo

    a pensare ad un capannone. Individuammo questo terreno

    in localit Venturizzo, nei pressi della cava sulla via che va

    da Martina Franca verso Villa Castelli, in una zona

    abbastanza deserta. Sapevamo che il titolare voleva disfarsi

    di questo terreno, pattuimmo il prezzo, se non ricordo male

    erano una ventina di milioni. Ma non avevamo questi soldi

    e dovemmo firmare delle cambiali. La doccia fredda fu che

    commettemmo un errore di inesperienza: comprammo

    questo terreno senza aver fatto le dovute verifiche se fosse

  • 59

    o meno idoneo. Dopo averlo acquistato e fatto il

    compromesso, andammo a chiedere e ci dissero che non

    potevamo costruire il capannone, perch era zona agricola.

    Ci croll il mondo addosso. Ancora oggi questo terreno fa

    parte dei nostri cespiti. Produce grano, o foraggio,

    labbiamo affidato ad un contadino. Non comprammo pi

    nulla, non avendo grandi capitali: quellerrore ci insegn

    che, quando si hanno scarse risorse, preferibile investire

    in uomini e mezzi, piuttosto che in immobili.

    La promozione nelle scuole fu unintuizione di Pierino, lo

    ricordo bene. Lobiettivo era fare bene e dovevamo trovare

    un modo per sensibilizzare la gente. Fare bene e non fare

    soldi. Questo sicuramente. I soldi non hanno mai

    significato molto per me e per Pierino. Il mio obiettivo era

    essere primo, essere il leader. Avevamo sempre questa idea:

    correre, essere avanti agli altri, anticipare gli altri. Se

    avessimo fatto qualcosa quando anche gli altri avevano

    deciso di farla, saremmo stati perdenti, perch non avevamo

    la potenza finanziaria come gli altri da utilizzare. La nostra

    scelta sempre stata fare le cose che gli altri ancora non

    hanno visto. Molte nostre imprese sono nate da questo

    spirito. Anche le attuali start up. Tra dieci anni, magari, nel

    settore dei led ci sar saturazione di offerta e non avr pi

    alcun senso investirci. Come ora, per esempio, non pi

    remunerativo investire nel settore dei rifiuti: lofferta

    supera la domanda. Bisogna trovare dei settori in cui non

  • 60

    c nessuno, in cui nessuno ha ancora colto il bisogno. In

    quegli anni cera il bisogno di imprese che lavorassero per

    lambiente. La base del successo questa: fare le cose bene,

    ma soprattutto riuscire a individuare quale necessit prima

    che lo facciano gli altri. Arrivare primi degli altri.

    Dopo Alberobello, ci fu Putignano. Poi altri comuni.

    Avevano tutti lesigenza di adeguarsi ad una norma che era

    stata fino ad allora disattesa. Il DPR 915 del 1982 fu il

    primo a porre in embrione il concetto di rifiuti pericolosi e

    di raccolta differenziata. Non lo faceva nessuno, perch le

    imprese di nettezza urbana che viaggiavano a livelli di

    miliardi di lire allanno non erano interessati alla

    differenziata; buttavano tutto nelle discariche, come

    avveniva a Martina, dove la societ Sap buttava tutto a

    Buffaloria. Quel terreno noi labbiamo bonificato, anni

    dopo8. Ci finivano dentro i rifiuti speciali, i rifiuti di

    officina. Le aziende industriali che facevano? Una cosa non

    serviva, scavavano un buco e gettavano. I rifiuti si

    buttavano sotto terra o nel cassonetto pi vicino. Non cera

    lidea che il rifiuto andava smaltito correttamente. Non

    cera lidea che il rifiuto fosse una risorsa. Noi sono

    ventanni che lo diciamo. Cera quindi una nicchia di

    mercato in cui inserirsi. Proponemmo ai Comuni di farlo.

    8 Vedi figura 6

  • 61

    La mia famiglia non comprese benissimo allinizio quale

    fosse il nostro progetto. Mi ricordo che mi chiedevano

    come mai io da ingegnere meccanico volessi fare lo

    spazzino. Nellimmaginario collettivo non era gratificante

    occuparsi di ambiente. Noi ci tenevamo a farlo per bene

    perch dovevamo sviluppare delle competenze che le altre

    imprese non avevano, e non avrebbero avuto per alcuni anni

    successivi. Fare la promozione nelle scuole era una scelta

    strategica, che andava proprio in questa direzione:

    attingevamo al patrimonio di competenze che ci aveva dato

    il WWF.

    Il trasporto a norma, il registro di carico e scarico, la

    promozione nelle scuole, tutto doveva essere fatto bene.

    Grazie alla collaborazione con Piero Angelini, scrivemmo

    una favola e ne facemmo un fumetto: Limmondizia non

    liquirizia e va buttata con furbizia9.

    Eravamo noi a dire ai Comuni che esisteva una legge che li

    obbligava a fare la raccolta. I primi anni firmammo contratti

    con Comuni come Bisceglie e Canosa: dopo un po

    riuscimmo a servire fino a quarantina di comuni, arrivando

    anche in Basilicata. Per anni ci siamo occupati solo di

    raccolta differenziata, non di igiene urbana. Ben presto il

    9 Vedi a pagina 157

  • 62

    nostro interesse nei forni cess, perch per i rifiuti

    ospedalieri servivano autorizzazioni particolari.

    Tra me e Pierino c sempre stata identit di vedute. Per

    esempio per come trattare dipendenti e collaboratori. Io ho

    sempre creduto che la fortuna di unazienda partisse

    dallorganizzazione e dalla responsabilizzazione di

    ciascuno. Abbiamo sempre delegato, responsabilizzando il

    personale. E questa scelta ha pagato, tanto che sia il mio

    telefono che quello di Pierino squillano pochissimo.

    Ci trasferimmo in un ufficio tutto nostro, in via Paolotti 48.

    Ancora io e Pierino avevamo i nostri rispettivi lavori, ma i

    contatti e le commesse aumentavano e scegliemmo di

    assumere una segretaria, Dorella Tagliente. stata un punto

    di riferimento per tutta la Serveco. Lei aveva una ventina

    Arriva una mail, mentre facciamo lintervista. E da parte di

    Recsel, dove stato montato la settimana prima, un

    impianto per la selezione ottica della plastica.

    Il responsabile dellimpianto, Giuseppe Palmisano, scrive ad

    una serie di persone che se ne sono occupate, avvisando

    che le attivit sono tornate alla normalit: Dopo tanti anni

    di progetti, finalmente Recsel ha la forza di raggiungere altri

    obiettivi. Abbiamo un gioiello: il nostro impianto di

    selezione. Carmelo a questo punto si commuove e

    lintervista si blocca.

  • 63

    danni quando inizi a lavorare con noi. Per la segreteria

    tecnica deve essere funzionale al proprio responsabile,

    perch ne costituisce un punto di forza: prepara le gare, si

    occupa della corrispondenza, di fatto limmagine

    dellazienda verso il pubblico.

    La Serveco dopo qualche tempo poteva permettersi un

    minimo di stipendio anche per me e quindi decisi di lasciare

    il lavoro alla Prisma. Non mi sono mai pentito di questa

    scelta, mi ha consentito insieme a Pierino di realizzare tutti

    i nostri sogni, di condividere il modo di fare impresa, di

    vivere le difficolt, trovare le soluzioni, in maniera tenace,

    in maniera corretta, concreta, facendo passi in maniera ben

    ragionata, mettendo i piedi su qualcosa di ben stabile e mai

    di traballante, senza mai scegliere scorciatoie, usare

    stratagemmi. In quei sette o otto anni di lavoro da

    dipendente (dal 1984 al 1992) la mia formazione

    industriale, nel senso di gestione di impianti e

    progettazione, si era completata, avevo raggiunto la piena

    maturit, per dare il meglio a quello che era gi iniziato, che

    poi sarebbe diventata la realt di Serveco e di tutte le sue

    imprese sorelle.

  • 64

    Cap. 6

    Dorella Tagliente

    Facevo linsegnante privata e studiavo alluniversit,

    quando unamica che lavorava con Carmelo in Prisma mi

    disse che cercavano una segretaria. Dovevano aprire il

    nuovo ufficio in via Paolotti, dove siamo stati fino al 1994,

    prima di trasferirci in via Villa Castelli. Feci il colloquio e

    il fatto che conoscessi il programma Word e il Lotus (un

    foglio di calcolo) fece la differenza. Avevo 24 anni e nel

    tempo avrei ricoperto diversi ruoli allinterno dellazienda:

    dalla programmazione alla contabilit. Ho deciso di andare

    via quando mia figlia ha compiuto un anno, avevo voglia di

    fare qualcosa di mio, ma in azienda mi trovavo molto bene,

    perch si era sviluppato un rapporto che andava al di l di

  • 65

    quello lavorativo, forse anche questo servito a far crescere

    Serveco. Lasciai il testimone a Maria Pia Bruno10

    Allinizio lavoravo solo 4 ore al giorno, il pomeriggio

    insegnavo il Basic. Dovevo rispondere al telefono,

    compilare i pochissimi formulari della raccolta. Cera

    davvero poco lavoro, solo Alberobello come comune

    servito. Pierino andava a fare la raccolta con la sua auto e

    io in ufficio spesso mi annoiavo, tanto che la settimana

    enigmistica mi ha fatto molta compagnia. Lozio durato

    pochi mesi per. Da gennaio il lavoro crebbe

    vorticosamente e io passai full time.

    Sulla storia di Serveco ci sarebbero cos tante cose da dire,

    partendo dallinizio, da quando sia Pierino che Carmelo

    non lavoravano nemmeno alla Serveco. Da me, in ufficio,

    passavano la mattina, Carmelo prima di pranzo. Io nel

    frattempo attendevo telefonate dei clienti o dei Comuni. In

    breve tempo non solo il mio lavoro aument ma

    assumemmo altro personale, altri impiegati, altri operai.

    Nel 1994, quando passammo in un ufficio pi grande,

    avevamo gi limpianto di Specchia Tarantina, ma in quei

    primi mesi cera ben poco da fare. Nel tempo poi tutto

    cresciuto, Pierino e Carmelo si dimostravano gi

    lungimiranti, anche a partire dal settore in cui avevano

    scelto di intraprendere. Dallassunzione di Enzo Magistri,

    10 Vedi intervista a Maria Pia Bruno a pagina 94

  • 66

    Pierino racconta sempre che il suo unico cruccio era quello

    di riuscire a pagargli lo stipendio. Lo raccontava spesso

    durante le riunioni.

    Per motivi caratteriali con Pierino cera pi empatia, era pi

    estroverso, mentre Carmelo lo percepivo pi rigido. Sono

    completamente diversi e spesso li sentivo litigare, e

    pensavo che con un rapporto del genere lazienda non

    sarebbe andata da nessuna parte. Ma mi sbagliavo: proprio

    perch sono molto diversi, i loro punti di vista si

    scontravano, ma da questa diversit hanno tratto la loro

    forza. Di Carmelo ricordo la precisione e la meticolosit

    che spesso lo portavano a sgridarci. Iniziava con Io voglio

    sapere chi. Chi aveva fatto qualcosa che non era riuscita

    nel migliore dei modi. Ogni volta che mi capitava mi

    chiedevo come avessi fatto a non accorgermi dellerrore. Se

    sono diventata autonoma lo devo a loro. Devo a loro anche

    lattenzione alla precisione, lattenzione alla prospettiva,

    quel guardare oltre che ha permesso alla Serveco di arrivare

    dove ora.

    Allinizio non pensavo che lazienda sarebbe cresciuta cos

    tanto, anche se Pierino e Carmelo non smettevano un attimo

    di guardarsi intorno, di informarsi, di andare alle fiere, di

    promuovere i servizi verso i Comuni.

    Avevano costituito il servizio promozione, che lavorava

    principalmente nelle scuole. Allinizio ci lavorava Grazia,

  • 67

    la moglie di Pierino, e unaltra ragazza. La strategia era

    semplice: promuovere la differenziata nelle scuole,

    coinvolgere i pi piccoli, in modo che si facessero

    portavoce a casa. Quando i Comuni iniziarono ad

    aumentare, assumemmo altro personale. In via Villa

    Castelli avevamo una grande lavagna dove scrivevo i turni

    o le cose da fare, tipo Enzo raccolta Bisceglie o Martino

    raccolta Putignano. Prima usavamo un quadernone, ma

    poi non bast pi. Organizzavamo i ritiri con molta

    attenzione: accorpavamo i comuni vicini, e eravamo attenti

    agli eventi, come il mercato settimanale. Cercavamo di

    ottimizzare la raccolta per evitare che il camion girasse a

    vuoto.

    Pierino e Carmelo sono stati bravi a relazionarsi con gli

    assessori e i sindaci, ma la svolta, secondo me, c stata

    quando arrivato Antonio Lucarella11, quando abbiamo

    iniziato la microraccolta. Veniva dalle vendite, era un

    commerciale estremo. Iniziammo a prendere clienti pi

    piccoli: commercianti, artigiani. Mentre Carmelo si

    occupava dei contratti pi grossi, Antonio lavorava con i

    piccoli clienti. Se fino ad allora il mio telefono squillava

    poco per la raccolta dei Comuni, con la microraccolta il

    servizio di segreteria aument il traffico in entrata. Mi

    ricordo un parrucchiere che ci tormentava, chiamava per

    11 Vedi intervista a Antonio Lucarella a pagina 98

  • 68

    essere certo che sul formulario avessimo messo il peso

    esatto, roba di grammi. Il codice dei capelli lo ricordo

    ancora, era lH022. Avevamo nel frattempo sviluppato un

    servizio di consulenza per i privati, facevamo i MUD, la

    dichiarazione dei rifiuti trattati durante lanno. Fu assunto

    Antonio Loparco per questo12.

    I miglioramenti erano costanti, non cera giorno senza che

    ci fosse qualcosa di nuovo da fare. Nel frattempo si

    allacciavano i rapporti anche tra i collaboratori di Serveco,

    anche oltre il lavoro. Verso la fine della mia avventura in

    azienda avevamo iniziato a fare gite, fare cene. Momenti

    importanti per rafforzare il lavoro di squadra.

    La Serveco arrivata dov grazie alle persone che ne

    hanno fatto parte. Ognuno ha portato qualcosa. Io portavo

    la conoscenza di alcuni software, che allepoca non erano

    cos diffusi come oggi, un foglio di calcolo, che poi fu

    sostituito con Excel e poi da un programma di gestione tutto

    nostro. Fondamentale stata la presenza di Pierino e

    Carmelo, perch hanno tracciato la rotta dellazienda,

    hanno dettato le regole e i comportamenti.

    12 Vedi intervista a Antonio Loparco a pagina 114

  • 69

    Cap. 7

    Pierino Chirulli

    Sapevamo cosa stava per succedere, da l a poco tempo. Per

    questo prendemmo Dorella, che valutammo come la

    persona migliore al momento giusto. Gi da allora siamo

    stati attenti alle persone, ai collaboratori. Sovraccaricare di

    lavoro una persona, stremarla e poi buttarla via, non serve

    a nulla: danneggia il lavoratore e lazienda. Ci si deve

    muove a passi felpati, fare abituare la persona alle

    dinamiche lavorative. Altrimenti le persone si perdono,

    perch pensano di non essere adatte. Le persone si scelgono

    e si prendono non quando si ha lacqua alla gola, bisogna

    giocare danticipo anche in questo caso. Per Dorella,

    probabilmente, allinizio, sarebbe bastata unora al giorno

    di lavoro.

  • 70

    Il cambiamento avvenuto grazie ad azioni precise che

    abbiamo messo in campo, abbiamo lasciato poco al caso.

    Dalla nostra avevamo il fatto che cera la nuova legge che

    obbligava i Comuni ad attrezzarsi per fare la differenziata.

    Abbiamo sfruttato questa occasione per proporre il nostro

    servizio, che era semplice da gestire ma,

    contemporaneamente, innovativo. Non posizionavamo

    semplicemente le campane per strada, ma andavamo nelle

    scuole a fare sensibilizzazione tra i ragazzi. Nei depliant

    che lasciavamo cera scritto che lazione di

    sensibilizzazione, la raccolta differenziata, era fatta dal

    Comune e dallAssessorato. Il servizio costava

    relativamente poco al Comune ma aveva in cambio non

    solo il rispetto di una norma ma un lavoro sul consenso in

    tutta la citt. La leva del consenso ci ha aperto molte porte,

    ma la divulgazione nelle scuole, una tecnica appresa

    durante gli anni al WWF, ci ha permesso di diffondere in

    maniera capillare il messaggio della differenziata. Erano gli

    anni novanta e non era un argomento semplice da

    comprendere e da condividere. Noi spiegavamo, ad

    esempio, la pericolosit di gettare le pile per strada,

    linquinamento che ne sarebbe derivato. Informazioni

    importanti anche per i bambini.

  • 71

    In quel periodo venne istituito il ministero allAmbiente13 e

    quindi nacquero i primi assessorati nei comuni. Di solito

    venivano considerati assessorati di serie B, se non di serie