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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA Scuola di Scienze umane, sociali e del patrimonio culturale CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN COMUNICAZIONE Corso di laurea D.M. 270/2004 - ordinamento 2010/11 PROVA FINALE L’italiano moderno e la morte: “humor nero” e vita quotidiana. Indagine sul rapporto tra le forme linguistico-comunicative dell'umorismo nero e la percezione odierna della morte. Anno accademico 2015/2016 Relatore: Prof. Vincenzo Romania Laureando: Alessandro Pinarello Matricola: 1070322

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA Scuola di Scienze umane, sociali e del patrimonio culturale

CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN COMUNICAZIONE

Corso di laurea D.M. 270/2004 - ordinamento 2010/11

PROVA FINALE

L’italiano moderno e la morte: “humor nero” e vita quotidiana.

Indagine sul rapporto tra le forme linguistico-comunicative dell'umorismo nero e la percezione odierna della morte.

Anno accademico 2015/2016

Relatore: Prof. Vincenzo Romania

Laureando: Alessandro Pinarello

Matricola: 1070322

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INDICE

1. PARTE INTRODUTTIVA

1.1 PREMESSE 3 1.2 RICERCA BIBLIOGRAFICA 10 1.3 METODOLOGIA 11

2. MORTE E UMORISMO: COMPONENTI SOCIOLOGICHE 2.1 LA MORTE AL GIORNO D’OGGI 12

2.1.1 LE QUATTRO FASI 14 2.2 L’IRONIA, IL RISO 17 2.3 IL CINISMO 19

3. UMORISMO NERO

3.1 DEFINIZIONE E CENNI STORICI 20 3.2 LERCIO E SPINOZA 22 3.3 ALTRE FORME DI UMORISMO NERO 29 3.4 ELOGI E CRITICHE (ULTIMI FATTI NOTI) 34

4. CONCLUSIONI 38

5. BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA 39

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1. PARTE INTRODUTTIVA 1.1 PREMESSE

La percezione umana della morte costituisce indubbiamente una delle dinamiche sociologicamente più interessanti da indagare. Essa offre spunti di riflessione pressoché quotidiani, nonché una costante separazione tra chi la percepisce co-me “argomento tabù” e chi invece ne risulta affascinato al punto di elaborare una forma, piuttosto cinica, di ironia che prende il nome di “umorismo nero”. L’italiano moderno si confronta quotidianamente con la morte, sia dal punto di vista concreto che dal punto di vista astratto. Ci imbattiamo concretamente in essa, nel corso della nostra esistenza, quando viene a mancare al nostro affetto un parente o un qualche nostro conoscente. Più il fatto è inaspettato, più l’impatto con la morte risulterà aggravato e violento. La morte però ci accompagna anche dal punto di vista ideale, astratto. La perce-zione della morte nella nostra sfera personale avviene costantemente. Tutte e tutti sappiamo di dover prima o poi morire. Questa consapevolezza finisce inevi-tabilmente per guidare e condizionare ogni singolo istante del nostro percorso umano. L’obbiettivo principale che desidero raggiungere con la seguente ricerca è dun-que quello di analizzare in profondità le forme e le strategie comunicative messe in atto dall’umorismo nero. Una breve analisi della percezione moderna della morte farà da sfondo alla ricerca. Il focus sarà ricercare nella percezione attuale della morte le motivazioni che portano molti italiani a respingere con forza lo “humor nero” (di cui fornirò una definizione nella pagina successiva). Il mio progetto partì un anno fa, quando pensai sarebbe stato interessante trattare il tema della spettacolarizzazione della morte in riferimento al genere letterario della cronaca nera. Da lì a poco l’attenzione si spostò sulle componenti ironica e sarcastica di tale genere, coinvolgendo nell’analisi anche l’umorismo nero. In ultima battuta, data la vastità di quest’ultimo topic, ho scelto di concentrarmi unicamente sui meccanismi di apprezzamento e di rifiuto dell’umorismo nero, partendo da una riflessione di natura sociologica sul tema della morte. Il mio al-to livello di gradimento per questa tipologia di comicità apparirà piuttosto evi-dente nel corso della trattazione. CRONACA E SATIRA Spesso la comprensione che cerchiamo nelle persone non è altro che la com-prensione che vorremmo avere (ma non abbiamo) di noi stessi. La morte è pur

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sempre una fase della vita. Viene percepita universalmente come una situazione nella quale ogni forma di comunicazione cessa di esistere. Dopo la morte invece risulta evidente come la forza comunicativa umana resti immutata e con essa an-che la possibilità di essere compresi. Altrimenti perché mai l’uomo si interro-gherebbe così spesso sulla morte e sulla vita dopo la morte? La fine della vita ci interroga sul significato della vita stessa. L’impatto con la morte però può anche avvenire in maniera più serena: pensia-mo ad esempio a tutte quelle persone che, nel pieno delle proprie facoltà mentali ed emozionali, decidono di porre fine a un’esistenza segnata dalla sofferenza. L’eutanasia rende sicuramente meno violento l’incontro tra l’essere umano e la morte. Il suicidio invece può assumere connotati molto differenti, che variano caso per caso. Esso dal punto di vista sociologico non smette mai di interrogare le coscienze. Si tende quasi sempre a escluderlo a priori, privandolo della digni-tà sociale che gli spetterebbe. Proprio all’interno questi meccanismi s’inserisce la satira. Come si interseca l’umorismo nero con tutte queste considerazioni circa la per-cezione attuale della morte nella società italiana? Per “umorismo nero” (o “humor nero”) s’intende una forma molto particolare di satira. Con “satira” intendiamo “genere letterario che ritrae con intenti critici e morali personaggi e ambienti della realtà e dell’attualità, in toni che vanno dalla pacata ironia alla denuncia, all’invettiva più acre”1. Una straordinaria definizione di satira l’ha fornita Dario Fo in un’intervista tele-visiva nell’ormai lontano 2001:  “Un aspetto libero, assoluto, del teatro. Cioè quando si sente dire, per esempio, “è meglio mettere delle regole, delle forme limitative a certe battute, a certe situazioni”, allora mi ricordo una battuta di un grandissimo uomo di teatro il quale diceva: “Prima regola: nella satira non ci sono regole”. E questo penso sia fondamentale. Per di più ti dirò che la satira è un'espressione che è nata proprio in conseguenza di pressioni, di dolore, di pre-varicazione, cioè è un momento di rifiuto di certe regole, di certi atteggiamenti: liberatorio in quanto distrugge la possibilità di certi canoni che intruppano la gente.” 2 Come desumibile dal nome, l’umorismo nero utilizza l’ironia per dipingere cari-cature/parodie di personaggi, o di episodi, legati alla cronaca nera. Lo scopo? Probabilmente esso riesce a far breccia per le sue capacità sdrammatizzanti, ma ciò lo illustrerò meglio successivamente.                                                        1 Dizionario Garzanti Linguistica, versione Web 2 Dario Fo, intervista di Daniele Luttazzi, Satyricon, 04/04/2001 

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LA SPETTACOLARIZZAZIONE DELLA MORTE Nella nostra società (specialmente in ambito radiotelevisivo) vi è una sempre più marcata e palese spettacolarizzazione della morte.

Bruno Vespa, giornalista Rai, nella sua celeberrima trasmissione Porta a Porta spesso propone analisi dei casi più clamorosi di cronaca nera invitando crimino-logi più o meno noti (tra i quali Roberta Bruzzone, conduttrice di Donne Mortali sul canale satellitare Real Time, nota più che altro per la parodia fattale da Vir-ginia Raffaele) ed esibisce in studio riproduzioni 3D in scala delle location dei delitti analizzati nel corso delle trasmissioni. I famosi “plastici di Bruno Vespa”, sui quali moltissima ironia è stata fatta negli anni (vedasi ad esempio i numerosi sketch del comico Rosario Fiorello).

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Paola Perego e Salvo Sottile, giornalisti e conduttori della trasmissione televisi-va Domenica Live, si spingono addirittura oltre, dando in pasto ai telespettatori sondaggi, in forma di gossip, riguardanti le vite private delle persone coinvolte in fatti di cronaca (in questo caso Veronica Panarello, accusata dell’omicidio del figlio3). Spesso le trasmissioni di questo tipo elaborano ipotesi alternative, inter-vistano testimoni privilegiati e creano un effetto suspense pressoché costante. Il 5 agosto 2015 un’imbarcazione carica di migranti affonda al largo della Libia e centinaia di persone perdono la vita4. Vengono pubblicate le foto e immedia-tamente infuria la polemica in merito all’opportunità di mostrare determinate immagini. Ci si domanda se sia giusto o meno mostrare le foto dei bambini an-negati nel naufragio che è costato la vita a trecento persone. Al di là dei numero-si commenti razzisti sui quali vale la pena sorvolare, sono comparsi, nei social network più noti, commenti molto aspri sia da parte di chi sosteneva che pubbli-care quelle foto ledesse la dignità delle vittime che da chi invece difendeva la scelta di pubblicarle. Riporto il pensiero della blogger e scrittrice Selvaggia Lu-carelli:

Viene dunque da domandarsi se la dignità delle vittime sia stata lesa maggior-mente dalla spettacolarizzazione o dall’oblio. Probabilmente entrambi possono generare le medesime conseguenze, trattandosi di atteggiamenti estremi. Tutto questo ragionamento circa la spettacolarizzazione della morte mi porta a una serie di brevi riflessioni che vado brevemente a esporre:

                                                       3 Caso Loris, Veronica Panarello: "L'ha ucciso mio suocero, eravamo amanti", Huffingtonpost Italia (versione Web), 12/02/2016 4 Libia, si rovescia barcone con 700 migranti a bordo, 373 in salvo. Msf: "Forse centinaia di annegati", Huffingtonpost Italia (versione Web), 05/08/2015 

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- Dalla spettacolarizzazione della morte si avviano tutti quei processi che portano alla formazione della struttura basilare sulla quale si fonda il ge-nere della cronaca nera. In particolar modo la spettacolarizzazione risulta assai amplificata con la progressiva introduzione delle nuove strumenta-zioni delle quali i media si possono avvalere. Quindi la morte diviene un soggetto da immortalare e da ritoccare, al fine di renderlo più appetibile per il pubblico.

- Su tale costruzione l’umorismo nero muove le sue critiche, sotto forma di ironia pungente. Dunque il processo di spettacolarizzazione della morte (l’istantanea ritoccata e portata alla ribalta) rappresenta il punto fonda-mentale sul quale la satira costruisce il proprio linguaggio. Ciò che i sati-rici (non solo gli umoristi neri, anche chi fa satira politico-sociale) pren-dono di mira infatti non è mai il fatto in sé, ma l’enorme costruzione che viene operata attorno a esso. Un omicidio o un suicidio in sé non riescono a produrre materiale sufficiente per generare umorismo. Se però i media riportano quotidianamente dettagli “scottanti” in merito alle persone coin-volte.

Nel testo La televisione del crimine, riguardante le forme espressive che caratte-rizzano l’esposizione dell’universo del crimine all’interno della televisione ita-liana, viene affrontata nello specifico questa componente “voyeuristica”. Secondo l’interpretazione di Ruggero Eugeni e Andrea Bellavita la presentazio-ne dei fatti di cronaca, mediante il mezzo televisivo, si snoda in due procedi-menti fondamentali:

1. La guerra dialettica: vengono chiamati in causa esperti di varia natura (medici, psicologi, giuristi) e avvengono animate discussioni sugli aspetti tecnici dei fatti di cronaca nera. Esempio: Porta a Porta;

2. La rete di testimonianze “razionali”: viene effettuata una raccolta di di-chiarazioni di persone coinvolte, direttamente o indirettamente, nei fatti e da esse si ricavano ricostruzioni meno dettagliate, meno precise ma più emotivamente forti. Esempio: Chi l’ha visto?

“La presentazione di azioni criminali (o ipotizzate tali) viene spettacolarizzata mediante una presentazione e una manipolazione discorsiva (…) Alla messa in scena della criminalità si sostituisce il suo racconto, la citazione, il discorso, uti-lizzati come strumento per la satira sociale.” 5 Riporto di seguito una tabella riassuntiva tratta da La televisione del crimine in grado di evidenziare gli scontri che caratterizzano la rappresentazione televisiva del crimine: 5                                                        5 G. Forti e M. Bartolino (a cura di) 2004, La televisione del crimine. Atti del Convegno «La rappresentazione televisiva del crimi‐ne», Milano, Vita e Pensiero 

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Impegno vs Divertimento Finzione vs Realtà

UMORISMO NERO E INDIGNAZIONE COLLETTIVA Un recente fatto interessante, che può aiutare a comprendere le motivazioni che mi hanno spinto a intraprendere il percorso di ricerca sull’umorismo nero, è quello dell’accesissima polemica innescata da due vignette ideate dal giornale satirico francese Charlie Hebdo, riguardanti il recentissimo sisma che ha colpito la città di Amatrice. Tale giornale era noto in Italia (come nel resto d’Europa) soprattutto per essere stato vittima di un feroce attacco terroristico, datato 7 gen-naio 2015, contro la propria sede parigina. Nell'attentato si erano registrati 12 vittime e 11 feriti.6

                                                       6 Charlie Hebdo, attentato alla redazione: la dinamica dell'attacco. La vignettista sopravvis‐suta Coco: "Dicevano di essere di al Qaeda", Huffingtonpost Italia (versione Web), 07/01/2015 

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Le reazioni sono state durissime, a seguito della prima vignetta. La seconda è stata provocatoriamente pubblicata il giorno successivo, in risposta alla vigorosa polemica che stava nascendo in Italia. Il presidente del Senato Pietro Grasso ha definito “schifosa” la scelta di Charlie Hebdo7 e tantissimi altri esponenti del mondo della politica hanno sposato que-sta scuola di pensiero. La satira colpisce, destabilizza le nostre convinzioni e ci invita alla riflessione. Non sempre è in grado di generare risate. L’importante è che trovi il coraggio di affermare ciò che tutte e tutti noi pensiamo ma non siamo in grado di dire. La prima vignetta potrebbe essere letta nel seguente modo: “Gli italiani schiac-ciati sono come le lasagne al forno”. Se realmente il significato fosse questo, la vignetta non sarebbe neppure qualificabile. Apparirebbe priva di qualsiasi senso. Ritengo che la sua lettura più sensata invece sia: “Le stragi all’Italiana oramai sono divenute un elemento tradizionale, come la lasagna”. Un preciso attacco al-la pessima gestione delle norme di sicurezza presente nel nostro paese. Già in questa chiave di lettura assume una funzione sociale totalmente differente. Con un velo di amarezza ci poniamo la seguente domanda: ma è possibile che l’Italia venga considerata la patria dei disastri? La seconda vignetta invece replica al “moralismo” di coloro i/le quali avevano criticato la prima. Il fatto che la mafia non c’entri nulla è palese. Ricordiamoci però che stiamo parlando di satira, non di informazione. La satira ha tra le sue caratteristiche quella di esasperare e di distorcere la realtà. Di tutte queste argomentazioni, momentaneamente lasciate in sospeso, cercherò di fornire riscontro nelle sezioni seguenti dell’elaborato. Per ora ho voluto dare semplicemente uno spunto di riflessione.

1.2 RICERCA BIBLIOGRAFICA Ricavare materiale umoristico di natura noir non si è rivelato per nulla semplice. La bibliografia è decisamente scarsa in Italia. Per non parlare dei personaggi i quali, talvolta, vengono censurati o posti nelle condizioni di non operare in ma-niera pienamente soddisfacente sia per loro stessi che per i loro affezionati letto-ri/ascoltatori. Risulta praticamente impossibile intervistare qualche figura vicina al mondo dell’umorismo nero. Salvo personaggi appartenenti a realtà virtuali come Spino-za.it e Lercio.it. Nel corso della ricerca citerò quelli che sono gli autori più fa-

                                                       7 Vignetta Charlie su sisma, Grasso: "Libero di dire che fa schifo", TgCom24 (versione Web), 02/09/2016 

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mosi, Daniele Luttazzi su tutti. Dedicherò ampio spazio ai siti web che in questo periodo si occupano di black humor, come Spinoza.it e Lercio.it. Per esigenze di spazio e di tempo prenderò in considerazione solo alcuni esempi di materiale prodotto da questi due portali, circoscrivendo la ricerca all’ anno in corso (2016).

1.3 METODOLOGIA Indubbiamente l’aspetto più complesso dell’intero lavoro di ricerca sarà quello, come anticipavo poc’anzi, relativo alla formazione di un corpus d’indagine. Non avendo grandi possibilità di intervistare testimoni privilegiati, mi limiterò quasi esclusivamente all’analisi testuale, andando a descrivere e interpretare le caratte-ristiche linguistiche proprie dell’umorismo nero, prendendo in esame ciò che è stato prodotto in merito nell’anno in corso (ossia da gennaio 2016 a oggi) nei due portali satirici Lercio.it e Spinoza.it. La ricerca prenderà avvio da una breve parentesi sulla percezione umana odierna della morte. In particolare l’accento sarà posto su ciò che si avverte, si percepi-sce e si riscontra nella società italiana. Nella sezione seguente invece affronterò la suddetta analisi linguistica dell’umorismo nero, cercando di rilevare all’interno di tale analisi tutte le considerazioni inizialmente fatte sulla percezio-ne della morte. In Italia l’umorismo nero (per lo meno all’interno del servizio pubblico radiote-levisivo) ha visto un primo straordinario interprete in Raimondo Vianello, per poi vedere l’emergere di autori e interpreti appartenenti alla storia più recente come Daniele Luttazzi, oltre che il proliferare di pagine web a sfondo satirico (soprattutto sui principali social network). In merito all’umorismo nero non vi è in pratica alcuno studio italiano (gli studi si limitano generalmente ad analizzare la satira nel suo insieme, soprattutto la satira a sfondo politico/sociale). Sarà quindi mio compito quello di trarre delle conclusioni a partire dal materiale satirico stesso e da ricerche concernenti l’ironia, la risata e il comico. Trattandosi di una ricerca quasi esclusivamente bibliografica, ho inizialmente predisposto un corpus d’indagine di base, arricchito progressivamente nel corso della stesura. La decisione di limitare il corpus all’anno in corso è nata sia da esigenze di spa-zio sia dall’intenzione di non divagare eccessivamente nell’esposizione, focaliz-zando l’attenzione sulle battute che, nel 2016, hanno generato più controversie. Premetto fin da subito che aprirò un numero considerevole di parentesi nel corso dell'esposizione, giacché l'oggetto della ricerca contiene al suo interno una gran-

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dissima quantità di collegamenti. Mi rendo perfettamente conto di quanto sia fondamentale non andare fuori tema (affrontando argomenti così ampi è tre-mendamente facile che accada) e cercare di ottenere piuttosto una sorta di "ar-monia" argomentativa, creando un'omogeneità tra tutti questi "link”. 2. L’ITALIANO MODERNO E LA MORTE

2.1 LA MORTE AL GIORNO D’OGGI “Socialmente pare davvero di poter leggere i segni che ci fanno dire che ci sia-mo accomodati a questa paradossale finzione sociale: che la morte non esiste. E che, se anche sospettiamo esista, in ogni caso non dobbiamo parlarne. Meno che mai con il morente. E ancora meno con i bambini. La società dell’informazione e della conoscenza ha scelto in questo caso, volontariamente, l’ignoranza, il na-scondimento, il silenzio.” 8 La riflessione sul ruolo e sulla percezione attuale della morte nell’italiano mo-derno, prende avvio da questa breve considerazione del professor Stefano Allie-vi. Ritengo essa riassuma perfettamente tutte le considerazioni e le constatazioni che al giorno d’oggi possiamo fare in merito alla morte. Vorrei soffermarmi nell’analizzarla dettagliatamente. La “finzione sociale” dell’inesistenza della morte, alla quale ci saremmo accomodati, consiste nel considerare la morte tal-mente distante dal nostro immaginario da non poter neppure considerarla per un attimo. Il sospetto che esista vi è indubbiamente. Oserei dire che esso si configu-ra più come una vera e propria certezza. La morte esiste, ci circonda, pur stando a debita distanza. Il meccanismo mentale che porta l’uomo moderno a celarsi dietro questa assurda quanto paradossale omertà consiste molto probabilmente nella necessita, insita in esso, di mantenere inalterata la propria distanza dalla morte. Si ritiene, in altre parole, che il semplice non parlare della morte possa in qualche modo tenere lontani gli eventi tragici. Il ragionamento appena formulato si può circoscrivere anche entro i confini occidentali, pensando all’uomo occi-dentale moderno (“moderno” nel senso di attuale). L’italiano, linguisticamente parlando, da questo punto di vista è notevolmente creativo, creando sempre nuove perifrasi atte a evitare di pronunciare la fatidica parola “Morte”. Alcuni                                                        8 Corrado Viafora , Francesca Marin (a cura di) 2014, Morire altrove. La buona morte in un contesto interculturale, Roma, FrancoAngeli  

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esempi di celebri perifrasi per definire, a titolo puramente esemplificativo, la morte di un proprio affetto: “Se n’è andato”, “E’ mancato all’affetto dei suoi cari”, “Ha smesso di soffrire”, “E’ dipartito”, “Il suo cuore ha smesso di bat-tere”. Ne esistono ovviamente forme equivalenti in altre lingue europee. Si trat-ta, senza ombra di dubbio, di un meccanismo di difesa che, in quanto tale, meri-ta assoluti rispetto e comprensione. D’altra parte risulta assai interessante inda-garne non tanto le profonde motivazioni alla base (compito di chi studia psico-logia), ma le ripercussioni sul nostro percepire e recepire la comunicazione che ruota attorno questi delicati temi. Ovviamente parlarne risulta fuori luogo, malaugurante, talvolta persino proibito. Argomento tabù che crea notevole imbarazzo in chi cerca di esprimerlo e chi fi-gura come destinatario della comunicazione a riguardo. Con il/la “morente” ri-sulta pressoché impossibile affrontarlo, per paura di ferire ulteriormente egli/ella o chi in quel momento vi presti assistenza. Mio nonno non seppe mai da cosa fosse affetto e men che meno di esser prossimo alla morte. Fu una scelta, rispet-tabile o meno, di chi lo assistette fino alla fine. Parlare della morte con i bambini poi, se ci fermiamo qualche secondo a riflettere, appare inappropriato. La peri-frasi “Andare in cielo” nasce proprio con il preciso scopo di fornire alla morte una valenza quasi fiabesca, al fine di renderla più comprensibile e accettabile ai più piccoli. In realtà sappiamo molto bene come i bambini generalmente abbia-no una grandissima e innata capacità di sdrammatizzare le situazioni più diffici-li. Tale forma di “censura” operata nei loro confronti nasce da un istinto protet-tivo che vuole rendere i bambini il meno partecipi possibile alle disavventure e ai dissapori della vita. Come si pone la “società dell’informazione” nei confronti della morte? Innanzi-tutto occorre definire, per dovere di chiarezza, cosa intendiamo per “società dell’informazione”. La definizione probabilmente più completa ed esaustiva è la seguente: “L’elevato dinamismo che caratterizza la società contemporanea col-loca l’informazione in posizione centrale, attribuendole il ruolo di risorsa strate-gica che condiziona l’efficienza dei sistemi, divenendo fattore di sviluppo socia-le ed economico, di crescita e di ricchezza culturale.” 9 La società dell’informazione quindi si può configurare come una sorta di specchio entro il quale tutta la società riflette i propri punti di vista, confrontandosi con l’immagine da esso restituita. La società dell’informazione, per quanto concerne la morte, si è palesemente adattata alla sua percezione all’interno della collettivi-tà. L’ignoranza in questo campo è intesa a livello puramente denotativo: ignora-re nel senso di non conoscere determinati aspetti volutamente omessi da chi si occupa di fare informazione. Facile riscontrare come le trasmissioni televisive nelle quali la morte è affrontata direttamente, spesso siano collocate nelle fasce                                                        9 Treccani.it, Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2008), voce “Società dell’informazione” 

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orarie meno accessibili ai più piccoli, edulcorate al fine comunque di contornare quasi cinematograficamente i fatti narrati. 2.1.1 LE QUATTRO FASI Lo storico francese Philippe Ariès propone di distinguere quattro diverse fasi, esposte in ordine cronologico, per quanto riguarda la percezione della morte in Occidente.10 La prima fase riscontrabile è quella della morte addomesticata. Storicamente tale fase è collocabile nella prima metà del Medioevo. La morte in questa fase pare riguardare tutti e nessuno, pare far parte della natura. Di fronte a un destino dato per assodato, l’atteggiamento più diffuso non poteva che essere quello della più malinconica rassegnazione. Oltre alla rassegnazione però vi era la coscienza umana di appartenere alla natura, banalmente, sia da vivi sia da morti. La morte dunque non solo è pienamente degna (a prescindere da come essa avviene), ma è parte essa stessa della vita di ognuno. Non sancisce la sua fine ma l’inizio di una nuova sua fase. Il destino socialmente accettato portava a celebrare la morte in forma cerimonia pubblica, con riti semplici e in qualche modo privi di carica emotiva. Da circa la metà del Medioevo riscontriamo invece la fase della morte di sé. La morte comincia ad assumere un carattere individuale. Vediamo nascere ad esempio le artes moriendi11 e le danze macabre12 (su quest’ultima forma d’arte tornerò nel corso della terza parte della ricerca). Il descrivere così violentemente e macabramente la morte (in particolare la decomposizione dei cadaveri) da una parte può essere considerato un superamento delle fasi iniziali di profondo ri-spetto per la morte. D’altra parte però il “macabro” spesso è utilizzato proprio da coloro i quali temono fortemente la morte e cercano, tramite la violenza delle

                                                       10 Fonti:  

Corrado Viafora , Francesca Marin (a cura di) 2014, Morire altrove. La buona morte in un contesto interculturale, Roma, FrancoAn‐geli 

Philippe Ariès  1975, Storia della morte in Occidente, Milano, Rizzoli 1998, L’uomo e la morte dal Medioevo ad oggi, Roma, Laterza  

11 ARTES MORIENDI: manuali di preparazione religiosa alla buona morte, XV e XVI secolo. (definizione classica) 12 DANZA MACABRA: tema iconografico tardomedievale nel quale è rappresentata una dan‐za fra uomini e scheletri. (definizione classica) 

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immagini proposte, di alimentare quel sentimento di forti timore e disgusto nei confronti di essa. S'inizia a percepire anche una “personalizzazione” della figura stessa della morte. Il ruolo di Dio quasi scompare. Esso non è più causa diretta della morte ma si configura quasi come osservatore esterno di una realtà da egli prescindibile.

Frammento dell'affresco della Danse macabre (XV secolo) sito su una parete interna dell'Ab-

bazia di Chaise-Dieu in Alvernia (Francia)

La terza fase descritta da Ariès è la morte dell’altro, collocabile storicamente all’inizio del XVIII secolo. La morte è estremamente drammatizzata. Non si tratta più però di una concezione individualista. L’essere umano comincia a in-terrogarsi sulla morte, appunto, dell’altro. Inizia a percorrersi strada il timore della morte dei propri cari, dei propri amici. Il susseguirsi delle notizie circa le morti altrui scandisce, come lancette di un orologio, il trascorrere dell’esistenza e di conseguenza il timore della propria dipartita. L’idea della morte inoltre pro-voca commozione, le cerimonie di commemorazione si caricano emotivamente. Questo è indubbiamente un elemento nuovo. Si assiste, in questa terza fase, an-che a un processo di laicizzazione della morte (perdita di connotazione religio-sa). Nascono il "culto dei morti" e il "culto delle tombe". Il rapporto con il mo-rente (e con la morte stessa) diviene intimo, confidenziale. La quarta fase, riconducibile nei giorni nostri, è quella della morte proibita, a partire circa dal secondo dopoguerra. La morte torna a perdere i suoi connotati emozionali (soprattutto per quanto concerne i riti) e diventa in più motivo di vergogna, di disgusto. L’atteggiamento dinanzi a essa è quello della presa di di-stanza. Quel “dolce morire” tra le mura domestiche, circondati da tutta la fami-

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glia e dagli amici più cari, scompare quasi del tutto per lasciar posto alla morte in ospedale, spesso in solitudine pressoché totale. Vi è infine una scomparsa progressiva della morte stessa dal panorama sociale. “Un carattere significativo delle società più industrializzate è che la morte vi ha preso il posto della sessua-lità come principale tabù. E’ un fenomeno recente e scoperto molto di recen-te.”13 La citazione appena riportata rappresenta, seppur in forma palesemente sarcasti-ca, la miglior concretizzazione della quarta fase poc’anzi descritta. “Il nostro parlare della morte, sia in privato che in pubblico, svela oppure occul-ta le dimensioni essenziali di quell’esperienza tutta umana, in realtà “troppo umana”, che è la morte? Dopo tutto, come ci insegna Heidegger, “solo l’uomo muore.” 14 Domanda particolarmente interessante. A giudicare dalla quarta fase descritta da Ariès e dalla nostra attuale propensione a mascherare sempre più le nostre emo-zioni (spesso stroncandole sul nascere) si direbbe che il nostro parlare della mor-te occulti le dimensioni essenziali dell’esperienza umana della morte. La frase di Heidegger la trovo personalmente strabiliante nel suo apparire banale pur esprimendo una miriade di significati. Cosa intendeva dire il filosofo tede-sco con l’espressione “solo l’uomo muore”? L’interpretazione che mi sento di dare, alla luce della breve ricerca svolta, è la seguente: tutti gli esseri viventi a un certo punto terminano di vivere. Solo l’uomo però “muore”. L’idea della “morte” non esiste in nessun altro essere vivente. A partire proprio dalla parola “morte” che è un vocabolo. I vocaboli, per definizione, sono forme di comuni-cazione esclusivamente umane. Ergo la morte, sia denotativamente che connota-tivamente parlando, esiste solo tra gli esseri umani i quali hanno cercato (e cer-cano tutt’ora) di attribuirne un significato, mediante un processo di significazio-ne tipico di ogni circostanza che avviene attorno a noi. “Si assiste a una progressiva presa in conto della morte come accadimento natu-rale, da accettare, talvolta persino da ricercare – anche a dispetto e contro la scienza medica che cerca di rinviarla per via tecnologica – comunque da uma-nizzare: la ‘morte ritrovata’, forse (anche se non ancora veramente ‘riconcilia-ta’).” 15 Con questo estratto, firmato dal professor Allievi, vorrei concludere questa pri-ma parte riguardante il rapporto tra l’italiano moderno e la morte. Si è già fatto riferimento all’attitudine della nostra popolazione, in quanto occidentale, a per-cepire la morte come un qualcosa di talmente distante dalla realtà da non volerne parlare mai. Il riferimento alla “ricerca” della morte “a dispetto e contro la                                                        13 Philippe Ariès  1975, Storia della morte in Occidente, Milano, Rizzoli 14 Stefano Allievi in Morire altrove. La buona morte in un contesto interculturale 15 Roberto Dell’Oro in Morire altrove. La buona morte in un contesto interculturale 

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scienza medica che cerca di rinviarla per via tecnologica” si riferisce natural-mente all’annosa questione etico-scientifica riguardante l’eutanasia. Al di là del-le considerazioni sul merito, non pertinenti con la ricerca, il tema fondamentale che subentra è quello della “dignità” della morte. Per dignità s’intende letteral-mente la “condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dal-le sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e ch’egli deve a sé stesso.” 16 Sulla “dignità della morte” sono state spese tante (talvolta troppe) parole e sono stati svolti numerosi studi e tesi di laurea in questi ultimi anni, soprattutto dopo il noto caso di Eluana Englaro. Come avremo modo di osservare in seguito, le più feroci critiche mosse sia nei confronti del mondo della satira si fondano pro-prio sull’accusa di ledere, in qualche modo, la dignità della morte o dell’evento tragico preso in esame. Sorge spontaneo porsi una semplice questione: ha ancora senso parlare di “dignità” in riferimento alla morte? Se pensiamo alla menziona-ta fase della morte addomesticata, ci si rende conto di come secoli addietro la morte venisse considerata degna a prescindere dalle sue modalità e dalla sua col-locazione temporale. La morte era degna per definizione, poiché parte stessa dell’esistenza di ognuno e di ognuna. La progressiva presa di coscienza circa i connotati spirituali (sia individuali che collettivi) della morte ha seguito tempo-ralmente l’evolversi delle società, fino a giungere alle dinamiche, talvolta al li-mite del paradossale, che viviamo al giorno d’oggi.

2.2 L’IRONIA, IL RISO

Per comprendere pienamente da dove derivi l’enorme diffidenza nei confronti dell'umorismo nero (che argomenterò nel capitolo 3), ritengo sia necessario in-dagarne le fondamenta. Quali significati può assumere una risata? Cosa s'intende per "ironia"? Per indagarne bene i risvolti e per ricavarne un nesso con la materia in esame, mi sono avvalso di un testo di sociologia dell'ironia (di Ludovico Ferro) e del celeberrimo saggio Il riso del filosofo Henri Bergson. Una risata può significare allegria franca, schietta e intensa, oppure può configu-rarsi come manifestazione di derisione, scherno, noncuranza.17 L'ironia invece, secondo la definizione del sociologo Ludovico Ferro, è analiz-zabile sotto tre diversi aspetti:

                                                       16  Treccani.it, voce “Dignità” 17  Treccani.it, voce “Risata” 

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L’aspetto che interessa la mia ricerca è sicuramente quello in posizione centrale nello schema: le funzioni, le conseguenze e i meccanismi sociali dell’ironia. L’ironia, secondo Ferro, gioca un ruolo rilevante nei meccanismi e nelle dinami-che sociali, a essa si può attribuire un significato sociale, delle funzioni e delle conseguenze sociali18. Essa, sempre nella lettura del sociologo veneto, fa sempre capo a una qualche forma di moralità, opera come criterio e strumento di inces-sante verifica, ridiscussione, e proposizione di valori sociali.18 Ecco quindi spie-gata la motivazione legata alla reticenza di gran parte della popolazione italiana nell’accettare di buon grado le forme di ironia maggiormente “irrispettose”. Re-ticenza che nel corso degli anni è andata sempre più affievolendosi, segno che è anche grazie all’ironia se la nostra società si è progressivamente evoluta. L’ironia sulla morte però fa ancora paura, produce ancora indignazione Forse perché l’essere umano, una volta entrato nella sua dimensione emotiva, mette momentaneamente da parte la sua componente naturale. Questo quesito ritorna spesso. Più che fornire una definizione sociologica, conviene porsi una questione mag-giormente pratica: qual è la valenza sociologica dell’ironia? Il sociologo può es-sere ironico? Secondo la linea di pensiero di Ludovico Ferro, che personalmente trovo estremamente puntuale e valida, il sociologo necessita dell’ironia per pro-vocare l’interlocutore e indurlo automaticamente a riflettere su un piano concre-

                                                       18 Ludovico Ferro 2006, Sociologia dell´ironia. Comunicazione e rappresentazione della complessità moderna nei romanzi filosofici di Voltaire e nel cinema di Woody Allen, Padova, CLEUP 

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to. La sociologia ha un suo lessico, una sua struttura, una sua complessità. Non tutti sono in grado di fruirne in maniera esaustiva. Semplificare troppo le que-stioni da affrontare risulterebbe deleterio. L’ironia si pone come “via di mezzo” tra la complessità e l’estrema semplificazione. In pratica costituisce quel bana-lizzare che in realtà non banalizza affatto.18 Mentre l’ironia può essere un valido espediente narrativo, la risata costituisce un altrettanto valido espediente per guardare la realtà da un’altra prospettiva, su un piano parallelo. La risata inoltre è sincera, nasce senza costrizioni e si manifesta talvolta in maniera difficilmente controllabile. Il filosofo francese Henri-Louis Bergson, nel suo saggio Il riso, analizza l’atto della risata dal punto di vista filo-sofico, indagandone il significato profondo. In sintesi il riso per Bergson è uno strumento di cui la società si serve per sco-raggiare i comportamenti asociali, specie quelli statici che interrompono la flui-dità della vita sociale. “Questa rigidità è il comico, il riso ne è il suo castigo.” 19 Il comico, nella lettura di Bergson, “è tutto ciò che attira l’attenzione sul fisico e sulla fisicità di una persona quando dovremmo badare solo alla morale di es-sa”19. Senza scendere eccessivamente nel dettaglio per quanto concerne lo studio ope-rato dal filosofo francese, riporto alcune citazioni significative (tratte dal libro Il riso) che suonano quasi come aforismi, straordinari nella loro attualità:

o “Il riso castiga certi difetti pressappoco come la malattia castiga certi ec-cessi.” 19

o “L'unica cura per la vanità è il riso, e l'unico difetto che sia ridicolo è la vanità.” 19

o “Il comico esige, per produrre tutto il suo effetto, qualcosa che somigli a un’anestesia momentanea del cuore. Si rivolge alla pura intelligenza.” 19

2.3 IL CINISMO L’umorismo nero non riguarda esclusivamente il tema della morte. Viene comu-nemente definita “nera” (o “macabra”) tutta quell’ironia che cerca di far leva sulle coscienze e sull’indignazione delle persone. Il cinismo ne è un tratto fon-damentale. Una straordinaria definizione di cinismo la si può ricavare analiz-zando brevemente due splendidi aforismi di Oscar Wilde:

                                                       19 Henri Bergson 2007, Il riso. Saggio sul significato del comico, Roma, Laterza 

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- “Il cinismo è l'arte di vedere le cose come sono, non come dovrebbero es-sere.” 20

- “Il cinico è uno che conosce il prezzo di tutto, e il valore di nulla.” 21 Secondo il filosofo e sociologo tedesco Georg Simmel vi è però una distinzione importante da fare. Esiste un atteggiamento cosiddetto blasé che si ha quando non si avvertono differenze tra i valori. Esiste poi l’atteggiamento cinico che in-vece riscontriamo quando i valori più alti sono riportati a quelli bassi. 22 “In ambito moderno e socio-psicologico, invece, il cinismo è un atteggiamento o stato mentale caratterizzato da una sfiducia generale nelle motivazioni altrui, nella convinzione che gli esseri umani sono egoisti per natura, governati da emozioni, e fortemente influenzati dagli stessi istinti primitivi che hanno aiutato l'umanità a sopravvivere nell'epoca preistorica.” 23 3. UMORISMO NERO

3.1 DEFINIZIONE E CENNI STORICI

La locuzione umorismo nero è stata coniata dal teorico del surrealismo André Breton nel 1935. Viene talvolta utilizzata anche la locuzione humor nero. La de-finizione classica è quella di un genere letterario che si basa sull’ironia applicata alla nuda drammaticità della realtà. Esso può riguardare morte, malattia, razzi-smo e altri temi di tale portata. Una tipologia di umorismo che inventa una sorta di spazio, caratterizzato da un “regime” di finzione assoluta, nel quale diviene lecito giocare in modo astratto con grandi tabù, per il solo scopo di far ridere. A quel punto l’argomento tabù per eccellenza, ossia la morte, viene tenuto a debita distanza osservandolo da una prospettiva completamente diversa. Porre la realtà su un piano differente ci permette di analizzarla, criticarla o dileggiarla senza particolari coinvolgimenti o eccessivi sensi di colpa. “Per chi rimuove la morte o

                                                       20 Oscar Wilde 1995, Il ritratto di Dorian Gray, Torino, Il Capitello 21 Oscar Wilde 2000, Aforismi, Milano, Mondadori 22 Georg Simmel 2014, Filosofia del denaro, Milano, Ledizioni 23 Luis E. Navia 1996, Classical Cynicism: A Critical Study, California, Praeger 

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ne rispetta il tabù la morte diventa naturale proprio perché il tabù o la rimozione le hanno sottratto violenza.” 24 Breton, nel suo testo Antologia dello humour nero del 1970 , indica come “ini-ziatore” dell’umorismo nero lo scrittore e poeta irlandese Jonathan Swift. Un'o-pera molto interessante di Swift fu Una modesta proposta (1729), in cui la "pro-posta", ovviamente satirica, era quella di utilizzare i bambini poveri irlandesi come cibo per i ricchi, fornendo anche ricette per poterli apprezzare al meglio. Un genere di umorismo sottile ma allo stesso tempo brutale. Se proviamo a tra-sferirlo per un attimo entro i nostri confini geografici, al giorno d’oggi non cree-rebbe eccessivo scompiglio, se non in una ristretta parte della popolazione ita-liana. Chiaro che per l’epoca si trattava di una tipologia di ironia capace di gene-rare scandalo, soprattutto nelle persone maggiormente sensibili. “Quando si parla di umorismo nero, tutto lo indica (Swift, ndr) come il vero ini-ziatore. In realtà, è impossibile coordinare le tracce diffuse di questo tipo di umorismo prima di lui, nemmeno in Eraclito e i Cinici o nelle opere dei poeti drammatici elisabettiani. (...) storicamente giustifica il suo essere presentato co-me il primo umorista nero. Contrariamente a quanto avrebbe detto Voltaire, Swift non era in alcun modo un "Rabelais perfezionato”. Ha condiviso solo al più piccolo grado possibile il gusto di Rabelais per gli innocenti scherzi a mano pesante e per il suo costante buon umore ubriaco. (…) un uomo che ha afferrato le cose con la ragione e non col sentimento, e che si è chiuso nello scetticismo; (…) Swift può a buon diritto essere considerato l'inventore dell'umorismo "sel-vaggio" o "del patibolo".” 25 Nel cinema infine l’umorismo nero si è espresso in questi anni tramite un genere molto affascinante dal nome inequivocabile: Black Comedy. Esso possiede uno stretto rapporto con il cinema Horror, basato sui meccanismi connessi alla paura. Una dichiarazione del regista Roman Polanski che trovo personalmente straor-dinaria è la seguente: “Le persone amano aver paura senza pericolo reale. A par-tire da questo dato si può constatare che la paura è molto vicina all’umorismo, che consiste appunto nel ridere delle disavventure degli altri o delle proprie.” 26

                                                       24 Di cosa si parla quando si parla del tabù della morte, rivista “Oltre Magazine” (edizione novembre 2004) 25 André Breton  1970, Antologia dello humour nero, Milano, Einaudi 26 Angelo Moscariello 2016, Black Comedy. Horror e Humor nel cinema, Roma, Profondo Rosso 

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Locandina di “L’esorciccio”, film italiano del 1975 diretto e interpretato da Ciccio Ingrassia La Black Comedy è appunto un genere cinematografico o teatrale in cui gli spunti classici della commedia fondano i loro elementi su dinamiche delittuose o su scenari macabri. Sono comprese, in tale genere, anche le note parodie degli altrettanto noti film Gialli e Horror.

3.2 LERCIO E SPINOZA

Tra tutte le realtà virtuali le più note e criticate sono sicuramente quelle di Ler-cio e di Spinoza.

Spinoza.it è un blog satirico collettivo. Esiste dal 2005. Nel 2009, nel 2010 e nel 2011 è stato nominato Miglior blog italiano. Esso vive essenzialmente delle bat-tute provenienti dagli iscritti al forum. Il giornalista Marco Travaglio, nella pre-fazione di una raccolta di battute satiriche tratte dal blog Spinoza.it, ha parlato nel seguente modo dei relativi redattori: “Oltre all’assoluta naturalezza delle loro battute, mai costruite, complicate, ela-

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borate, men che meno banali o scontate, i mascalzoni di Spinoza hanno una ca-ratteristica preziosa: la brevità. La sintesi fulminante richiede tempo.” 27

Lercio.it è un sito satirico italiano di cosiddette fictional news, ossia uno spazio web che raccoglie false notizie di taglio umoristico che costituiscono una paro-dia vera e propria della stampa sensazionalistica. Nasce nel 2014 come parodia del giornale quotidiano Leggo, dal quale riprende il font del logo. Il Giornale del Molise, in un articolo riferito a una battuta satirica sul festival di Sanremo, ha così delineato le caratteristiche di Lercio.it: “La chiave interpretativa della loro comicità è l’assurdo che parte dal possibile: le notizie vengono rielaborate, rimasticate e riproposte in chiave surreale. Quel surreale che strappa sempre un sorriso, ma che soprattutto fa riflettere, sui limiti della società e sulle potenzialità dei social network se utilizzati in modo sbaglia-to.” 28

Proverò ora ad analizzare sinteticamente due battute, prese rispettivamente da ciascuno di questi portali. A seguito dell’analisi fornirò un esempio di reazione positiva e un esempio di reazione negativa. In questo modo riuscirò nel contem-po a scovare in tali battute sia un valore artistico che una rilevanza sociologica.

                                                       27 Stefano Andreoli e Alessandro Bonino  2010, Spinoza. Un libro serissimo, Reggio Emilia, Aliberti 28 L’umorismo surreale di “Lercio” arriva a Isernia, domenica 13 marzo all’Holzhaus, Il Giorna‐le del Molise, versione web, 23/02/2016 

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Esempio di umorismo nero firmato Lercio.it :

Omicidio Regeni. L’Egitto fa chiarezza: “È stato il suo gattino” 29

La battuta è breve, immediata. In questo caso i bersagli dell’ironia pungente di Lercio sono chiaramente le autorità egiziane. Il “gattino” venne chiamato in causa in quanto la foto di repertorio di Giulio Regeni, utilizzata nella maggior parte delle testate giornalistiche in quel periodo, lo ritraeva in compagnia del suo piccolo animale domestico.30

Di seguito uno scambio estremamente interessante avvenuto all’interno della pagina Facebook di Lercio.it tra un utente indignato per la battuta e un altro utente schieratosi dalla parte degli autori satirici.

Non vi è molto da aggiungere in realtà. La satira non nasce per dissacrare de-terminati valori per il puro piacere di farlo. Soprattutto non si pone come obbiet-tivo quello di ingiuriare la memoria di chicchessia. La sua funzione sociale è

                                                       29 Lercio.it sul caso Regeni, 30/03/2016  

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quella di indurre alla riflessione, semplificandone lo svolgersi mediante l’uso dell’ironia.

Esempio di umorismo nero firmato Spinoza.it :

L'aspetto positivo è che stamattina mi è bastato urlare "Allah akbar!" per trovare posto sulla spiaggia libera. 31

Anche in questo caso prendo in esame le reazioni del pubblico all’interno del social network Facebook e riporto uno scambio avvenuto tra alcuni utenti della pagina pubblica di Spinoza.it.

                                                       31 Spinoza.it sull’attentato di Monaco, 23/07/2016 

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Dai commenti in difesa dell’umorismo nero ricavo due spunti di riflessioni ec-cezionali. Il primo basta citarlo testualmente: “Se non ci fosse chi si scandalizza non sarebbe satira”. Effettivamente che senso avrebbe produrre satira (di qual-siasi tipologia) se si ricevessero esclusivamente feedback positivi? Daniele Lut-tazzi diceva: “La satira, per definizione, è contro il potere. Contro ogni potere. E’ una combinazione di ribellione e irriverenza e mancanza di rispetto per l’autorità. (…) La satira è esercizio di libertà. (…) La satira dev’essere contro ogni potere. Anche contro il potere della satira” 32. La seconda riflessione è quella legata al curioso e paradossale fatto che molte persone, pur dichiarandosi indignate da una determinata tipologia di ironia, siano sempre presenti per muo-vere critiche di qualsiasi natura. Ciò ci fa dedurre che queste persone, nonostan-te la repulsione che dicono di provare, fruiscano continuamente di quella tipolo-gia di materiale. Una possibile chiave interpretativa di questo paradosso è quella della paura del coinvolgimento: secondo questa interpretazione, assolutamente personale, l’umorismo nero viene tenuto a distanza per paura che possa piacerci (e di conseguenza farci percepire come persone frivole, insensibili, fredde). Da-niele Luttazzi su questo punto disse: “La satira è una forma di comicità che esprime un giudizio. Ed è il motivo per cui alcuni spettatori non ridono a battute satiriche su temi per loro sensibili, temi cioè che riguardano la struttura del loro mondo di valori; ma questa è la grande lezione di Lenny Bruce, che diceva: «La realtà è ciò che è, non ciò che dovrebbe essere». Le ideologie, le religioni verto-no su quello che dovrebbe essere; la satira si occupa invece di ciò che è.” 33

Uno dei redattori di Lercio, Alfonso Biondi, mi ha gentilmente rilasciato una brevissima intervista nella quale abbiamo affrontato nello specifico questo tema. Non è stato semplice arrivare a contattare la redazione, ma è stato motivo di grande soddisfazione personale il constatare come il mio progetto di ricerca ri-sultasse interessante ai loro occhi.

Di seguito la trascrizione dell’intervista al redattore Alfonso Biondi.

Come mai secondo voi il dibattito sulla legittimità dell’umorismo nero (spesso definito irrispettoso, inopportuno) è ancora apertissimo in Italia?

Purtroppo l'impressione è che il dibattito non ci sia proprio. Nel Belpaese, lo humour nero, così come molte altre forme di comicità e satira, non viene com-preso dalla maggior parte delle persone: ciò avviene soprattutto perché, molto

                                                       32 Daniele Luttazzi 2006, Bollito misto con mostarda, Milano, Feltrinelli 33 Daniele Luttazzi, intervista TV, Decameron, 24/11/2007 

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spesso, ci si ferma a un'indignazione superficiale di fronte a un registro stilisti-co inusuale. Basti pensare che molti dei proverbiali dialoghi di Woody Allen, uno dei maestri della comicità, in passato venivano stravolti in maniera tale da renderli più fruibili al pubblico. In Italia, si tende a dare al pubblico ciò che il pubblico è preparato psicologicamente ad aspettarsi. E ciò non favorisce, ov-viamente, un'evoluzione progressiva nel gusto comico.

Il confine tra la spettacolarizzazione dei fatti di cronaca e lo humour nero è decisamente labile. Ci sono caratteristiche che accomunano questi due ge-neri letterari?

Troviamo difficile considerare la spettacolarizzazione dei fatti di cronaca un genere letterario. In ogni caso, sì, il confine a volte può essere labile, ma solo per quanto riguarda la riuscita; nelle intenzioni. Invece la cronaca, per quanto spettacolarizzata, e lo humour nero dovrebbero avere delle intenzioni e degli obiettivi diversi.

Quali sono i temi sui quali l’opinione pubblica s’indigna maggiormente do-po una battuta? Quelli invece più apprezzati?

La morte, specie se recente. Anche se usate per colpire altro, le battute sulla morte indignano sempre. Per le persone meno abituate alla satira è un argo-mento che va rimosso o comunque non “sporcato” dal commento ironico. La morte, invece, è uno dei temi fondamentali di cui la satira si deve occupare. Il pubblico è libero di indignarsi per qualsiasi cosa, è un suo diritto; ciò che inve-ce è inopportuno è la pretesa che certi temi non vengano trattati. Per quanto ri-guarda la seconda parte della domanda la risposta è: potenzialmente qualsiasi cosa che abbia a che fare con le osservazioni di "costume”.

Dalla testimonianza di Alfonso Biondi possiamo ricavare due osservazioni piut-tosto illuminanti. La prima è la seguente: “In Italia, si tende a dare al pubblico ciò che il pubblico è preparato psicologicamente ad aspettarsi”. Il primo criterio utilizzato da coloro i quali fanno informazione in Italia spesso è proprio questo. Si tende a seleziona-re i contenuti da veicolare non in base alla loro fruibilità e alla loro portata ma in base alle reazioni che potrebbero scaturire nel pubblico medio. Il comico Danie-le Luttazzi negli anni ’90 lamentava come la Gialappa’s Band nella trasmissione Fininvest “Mai Dire Gol”(nella quale Luttazzi, tra i vari personaggi, imperso-nava un certo Panfilo Maria Lippi, leggendo in tono serio alcune fictional news) “censurava” preventivamente alcune sue battute in quanto il pubblico poteva non capirle bene o comunque dargli una chiave di lettura errata. La seconda osservazione è la seguente: “La morte è uno dei temi fondamentali

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di cui la satira si deve occupare”. Ad eccezione della satira politica che possiede regole particolari e precisamente definite, la satira si deve irrinunciabilmente oc-cupare di argomenti “tabù” come morte e malattia. Altrimenti cesserebbero sia la sua funzione sociale che la sua efficacia.

Vi è però un’altra breve intervista che sono riuscito a strappare. Grazie a essa ho potuto comprendere meglio la natura dei meccanismi che portano alla reticenza nell’accettare questa determinata tipologia di umorismo. Stefano Andreoli è un blogger italiano piuttosto noto. Insieme ad Alessandro Bonino ha fondato il blog Spinoza, il quale, come ho detto in precedenza (e co-me ritengo importante ribadire) si è aggiudicato il premio "Miglior blog italia-no" negli anni 2009, 2010 e 2011 e il premio internazionale di satira di Forte dei Marmi. Ho avuto l’enorme piacere di porgli un paio di domande circa queste ul-time riflessioni emerse.

L’umorismo nero è una forma di mancanza di rispetto nei confronti della morte? Le accuse di superficialità sono un’esclusiva italiana? Il discorso non si limita all'Italia. il culto dei morti che ha accompagnato per millenni la nostra civiltà - anzi praticamente tutte le civiltà - sopravvive e so-pravviverà ancora, in certi luoghi in maniera più vivida rispetto ad altri, ma non si può immaginare un tempo in cui un evento luttuoso risulti completamente spogliato dal suo lato tragico e, quindi, meritevole di rispetto. Si dice, superfi-cialmente, che l'umorismo debba risparmiare chi non c'è più, ma è anche vero che chi ha compiuto in vita azioni discutibili è meritevole di essere oggetto di satira anche da morto. Ognuno ha le proprie sensibilità e soglie di tollerabilità differenti. La satira sui fatti tragici lascia intendere che c'è un ragionamento dietro alla battuta, che non esiste solo per il fatto di essere letta e di divertire ma di smascherare lati oscuri del fatto descritto, e magari indicarne le respon-sabilità, toccando corde che costringano (parola grossa) a una riflessione. Non è facile. Credi che ironizzare sulla morte di determinati personaggi rischi di tradire la funzione sociale della satira? Commentare la morte di un personaggio famoso, specie molto amato, è estre-mamente difficile: l'essenziale è farlo in maniera onesta, e resistere alla tenta-zione di "fare la battuta a ogni costo", tentazione che spesso coglie tanti umori-sti e battutisti. Molto spesso chi si offende di più sono le persone toccate nel lo-ro credo, che sia religioso o etico o politico: tifosi di calcio, grillini, animalisti, vegetariani si offendono molto più dei cattolici. Una battuta su un cane (vale anche in radio, o in tv) disturba molto più di una battuta su un bambino, e pro-

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voca molte più reazioni. Il massimo traguardo è riuscire a ironizzare efficace-mente (e in modo originale) su questi temi così delicati e divisivi. Ritengo fondamentale soffermarsi su un concetto: “Si dice, superficialmente, che l'umorismo debba risparmiare chi non c'è più, ma è anche vero che chi ha compiuto in vita azioni discutibili è meritevole di essere oggetto di satira anche da morto”. La morte, essendo l’ultimo atto della vita di un essere vivente, non dovrebbe costituire un motivo di distacco da ciò che quella vita ha significato e del suo rapporto con la realtà circostante.

3.3 ALTRE FORME DI UMORISMO NERO MORTE La morte in sé difficilmente genera umorismo, a differenza degli atteggiamenti umani dinanzi a essa. Più sono noti i personaggi più è forte la propensione a iro-nizzare circa la dipartita degli stessi. Un ragazzo investito da un’automobile dif-ficilmente può suscitare forme di ironia. Essa nasce, oltre che dalla fama delle persone coinvolte, dal grado di divulgazione mediatica del fatto di cronaca. Un esempio significativo è quello dell’apparente disgrazia accorsa allo studente pa-dovano Domenico Maurantonio, durante una gita nella città di Milano. Egli pre-cipitò da una finestra del quinto piano e dalle indagini preliminari emerse che la probabile causa della caduta era l’essersi sporto eccessivamente per defecare dalla finestra. Il tutto immerso nell’omertà dei compagni e di parte dei docenti. Spinoza commentò così: “Lo studente in gita sarebbe caduto mentre stava defe-cando in balcone. Eppure gli stronzi erano tutti in camera”. Ironia che, per quan-to pungente, non ha come bersaglio la vittima ma coloro i/le quali hanno taciuto sia negli istanti della morte che successivamente. Altro caso estremamente inte-ressante è quello, piuttosto recente, che ha visto un giovane ragazzo nigeriano subire un’aggressione prima verbale e poi fisica, nel centro di Fermo, da un “ul-tras” della Fermana calcio appartenente a movimenti di destra estrema. Il ragaz-zo è deceduto a seguito del pestaggio. La morte può anche essere il pretesto per generare satira di natura politica. Spinoza infatti ha reagito in questo modo al ca-so di Fermo: “L'uomo che ha ucciso il nigeriano a Fermo era noto alla Polizia per le sue idee di estrema destra. Quindi probabilmente era un amico”. Una stoccata in piena regola nei confronti delle forze dell’ordine, non riconducibile direttamente al fatto di cronaca in esame. Nella sezione della ricerca dedicata alla percezione umana della morte in Occi-dente, avevo trattato le quattro fasi descritte da Ariès, concludendo il percorso

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descrivendo l’atteggiamento attuale dinanzi alla morte come quello della “presa di distanza”. Ironizzare in merito alla morte riesce a creare questo enorme di-stacco, permettendoci di manifestare il nostro rispetto nei confronti della morte diminuendone la tragicità e rimarcandone l’assoluta normalità. Ininfluente do-vrebbe essere la morte nella formulazione di un giudizio riguardante una perso-na. La morte non condanna né assolve nessuno. MALATTIA/DISABILITA’ Altro argomento sul quale risulta spesso piuttosto difficile ironizzare è quello dello stato di salute di particolari soggetti. Anche in questo caso vale il discorso fatto precedentemente, ossia più sono noti i personaggi più è forte la propensio-ne a scherzare sul relativo stato di salute. Nel febbraio 2016 al festival della canzone di Sanremo tra gli ospiti musicali spiccava il nome di Ezio Bosso, pianista di straordinaria fama e bravura, affetto da una forma particolarmente violenta di Sclerosi Laterale Amiotrofica. Durante l’esibizione (che ha ricevuto applausi e suscitato lacrime di commozione), e successivamente alla stessa, nessuno/a si è discostato dall’atteggiamento di stu-pore dinanzi alla bravura di Bosso “nonostante la grave disabilità”. Come se la malattia fosse un elemento indispensabile da prendere in considerazione al fine di elaborare un giudizio tecnico. Nemmeno la Gialappa’s Band durante il Dopo-festival ha avuto il “coraggio” di ironizzare sulla situazione. Spinoza invece ha deciso di aprire un varco in quel muro spesso di stucchevole retorica con un’espressione di puro e autentico umorismo nero, alla quale lo stesso Ezio Bos-so ha replicato in maniera altrettanto umoristica. Di seguito la videata tratta dalla versione mobile del social network Twitter.com

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La stampa italiana non ha affatto apprezzato l’ironia del blog satirico in questa circostanza. Qui una videata della testata Huffingtonpost.it.

Effettivamente estrapolando e decontestualizzando l’espressione “una pettinatu-ra da coglione” è piuttosto facile generare indignazione. Pare invece evidente il reale intento del blog ossia quello di ironizzare sulla pettinatura del pianista (esattamente come si farebbe per qualsiasi altra persona) e su chi stava conti-nuando, da diverse ore, a parlare di lui inserendo puntualmente il prefisso “no-nostante la grave disabilità”. Oltretutto quel “contro” è assolutamente fuori luo-go in quanto Bosso si è prestato apertamente allo sfottò, ironizzando a sua volta. Viene dunque spontaneo domandarsi se sia più irrispettoso e discriminatorio l’atteggiamento di chi considera alcune persone meritevoli di un trattamento di-versificato o quello di chi invece, nel bene e nel male, tratta tutti/e nello stesso modo. Per quale motivo una battuta rivolta a una persona diversamente abile (ovviamente non riferita nello specifico allo stato di disabilità) viene valutata di-versamente rispetto a una stessa identica battuta rivolta a una persona sana? Il concetto di politicamente corretto nel nostro paese, per come è posto, rischia di fare danni enormi. L’espressione angloamericana politically correct (in italia-no politicamente corretto) designa un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti, nel quale cioè si evita ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone. Secondo tale orientamento, le opinioni che si

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esprimono devono apparire esenti, nella forma linguistica e nella sostanza, da pregiudizi razziali, etnici, religiosi, di genere, di età, di orientamento sessuale o relativi a disabilità fisiche o psichiche della persona34. La società italiana ha pe-rò, nel corso degli anni, esteso eccessivamente questo concetto. Termini come “non vedente” e “non udente” nascono proprio per questa volontà di creare un linguaggio meno esplicito, che mostri una realtà velata. Il difetto in tutto ciò è l’attaccamento eccessivo nei confronti delle parole. La persona sorda, ad esem-pio, difficilmente si sentirà rispettata unicamente da una differente parola utiliz-zata per descrivere il proprio status. Così come una persona nera non si sentirà più rispettata se la chiamiamo “persona di colore”. Anche perché la popolazione nera stessa utilizza tranquillamente il termine “black” per identificarsi. Il rispetto nei confronti delle persone non si deve limitare a un uso apparentemente osse-quioso (ma spesso involontariamente discriminatorio) delle parole, ma deve ma-nifestarsi nelle nostre azioni ordinarie. Spesso risulta paradossalmente più complesso inventare battute sulla malattia che sulla morte, in quanto il concetto di malattia è generalmente molto più vici-no al nostro vivere quotidiano. La forma linguistico-comunicativa di questa tipologia di comicità è molto simile a quella riscontrabile quando a essere presa di mira è la morte. Per quanto ri-guarda il tema della malattia però l’ironia gioca molto di più sulle classiche “fra-si di circostanza” che accompagnano l’evolversi di determinate dinamiche socia-li legate alla malattia stessa. RELIGIONE Il terreno della religione (soprattutto negli ultimi mesi) si rivela essere proba-bilmente quello più insidioso. Scherzare sui credi religiosi, sulle usanze e sul fondamentalismo è semplicissimo, ma con conseguenze che possono rivelarsi devastanti. La strage Charlie Hebdo (rivendicata dalla neoformazione islamista Isis contro gli autori di vignette satiriche inerenti l’Islam) è l’esempio più lam-pante, ma assolutamente non l’unico. Quotidianamente l’integralismo religioso tenta velleitariamente di censurare i contenuti satirici di natura religiosa. Cadere nella blasfemia è un rischio tutt’altro che remoto ed è questo ovviamente a sca-tenare le ire degli integralisti. Il comune credente difficilmente s’indigna, piutto-sto ignora e prosegue nel suo cammino di fede. Le reazioni più dure (così come avviene nel mondo della politica) giungono da coloro i/le quali hanno una con-cezione bipolare della realtà, vista come un eterno scontro “bene vs male”.

                                                       34  Treccani.it, voce “Politicamente corretto” 

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Da Lercio.it Forma di satira prettamente religiosa. Il bersaglio non sono abitudini o convin-zioni inerenti un determinato credo ma il credo religioso stesso. RAZZA, ORIENTAMENTO SESSUALE Appare evidente oramai che nel nostro paese esistono forme di razzismo consi-derate “di serie A” e altre considerate “di serie B”. Ci sono soggetti verso i quali risulta automaticamente sgradevole e di cattivo gusto polemizzare o scherzare e ci sono altri soggetti ai quali si può tranquillamente dire qualsiasi cosa, anche sconfinando nell’ingiuria.35 In Italia viene considerato razzista solo tutto ciò che è esplicitamente razzista.36 Di conseguenza la satira riceve trattamenti iniqui. La comunità ebraica è in assoluto quella meno colpita dalla satira (per lo meno da quella considerata pubblicabile), per evidenti motivi riconducibili alla facile as-sociazione con l’antisemitismo. Quindi la logica dell’inopportunità andrebbe applicata sempre. Oppure mai.

                                                       35 Si veda il seguente articolo: L’omofobia è razzismo, Il Fatto Quotidiano (versione Web), 06/07/2010 36 Si veda il paragrafo “Razzismo velato” del testo: Tahar Ben Jelloun 2005, Il razzismo spiegato a mia figlia, traduzione di Greta Agostinelli e Giulia Raffaeli, Mila‐no, Bompiani 

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Da Lercio.it Come possiamo notare l’ironia non asseconda mai comportamenti discriminato-ri, prendendosene invece amabilmente gioco.

3.4 ELOGI E CRITICHE (ULTIMI FATTI NOTI) L’umorismo nero per definizione, come già ho ampiamente espresso in prece-denza, è irriverente, irrispettoso e cinico. Numerose critiche e altrettanto nume-rosi elogi giungono quotidianamente nei confronti di tale genere letterario. Ciò è stato amplificato in questi anni dall’avvento dei Social Network, delle piatta-forme web e dei giornali online.

La morte di Gianluca Buonanno

Il 5 giugno 2016 un’inaspettata notizia ha sconvolto il mondo della politica: l’onorevole Gianluca Buonanno (Lega Nord, europarlamentare) è deceduto a seguito di un fortuito incidente stradale nel Varesotto. L’opinione pubblica si è spaccata letteralmente in tre fazioni. Da una parte coloro i/le quali gioivano per la morte dell’europarlamentare, dall’altra coloro i/le quali pur non gioendo uti-lizzavano la notizia per produrre satira (politica e non) e dall’altra parte ancora coloro i/le quali consideravano volgari e irrispettosi tutti gli atteggiamenti diffe-renti da quello del cordoglio. Ecco come il blog satirico Spinoza.it ha reagito alla notizia:

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Qualche giorno prima infatti ci aveva lasciati l’attore Muhammad Alì. La battuta ovviamente gioca sul fatto che Alì oltre che nero era anche uno dei pugili più amati della storia del pugilato mondiale. Al diffuso invito al rispetto per la morte Spinoza ha risposto in questo modo:

Qui il riferimento era invece al ricovero ospedaliero, sempre avvenuto in quei giorni, dell’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

La strage di Orlando

Poco fa si citavano le “politiche omofobe” che sono tutt’ora molto accentuate all’interno dello scenario politico italiano. Nella notte tra l'11 e il 12 giugno 2016 avvenne una sparatoria di massa all'interno del locale gay Pulse di Orlan-do, in Florida. 49 le vittime (compreso l’attentatore stesso) e 53 le persone rima-ste ferite. La matrice è apparsa subito di natura terroristica, legata al fondamen-talismo islamico del movimento Isis. Il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama definì la strage un "atto d'odio e di terrore”. Gran parte della stampa in-ternazionale decise di dedicare ampio spazio alla strage e, vagando per l’Europa all’epoca dei fatti, si sono potuti vedere numerosi monumenti illuminati con le luci arcobaleno (bandiera LGBT). L’Italia è andata in leggera controtendenza. Non vi sono stati cerimoniali e la stampa ha, nella maggior parte dei casi, volu-tamente omesso il fatto che si trattasse di un attentato a sfondo omotransfobico in un locale LGBT.37 Anzi nel nostro paese, in quei giorni, si sono potute “ap-

                                                       37 Si veda il seguente articolo: STRAGE DI ORLANDO E I GIORNALI ITALIANI: DOV’È FINITA L’OMOFOBIA? , Gaypost.it, 13/06/2016 

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prezzare” numerose espressioni di approvazione, a seguito dell’apprendimento della morte di 49 persone gay, lesbiche e trans. Alcune di esse provenienti anche da personaggi noti al grande pubblico come Giancarlo Gentilini38 (Lega Nord, ex sindaco di Treviso) e Carlo Taormina39 (avvocato e politico). L’indignazione del resto della popolazione però è stata decisamente inferiore rispetto a quella che, ad esempio, riscontriamo quotidianamente in riferimento alla satira (come nel caso precedentemente analizzato). Lo stesso web che inorridiva per la man-canza di sensibilità di coloro i/le quali gioivano per la morte dell’on. Buonanno (giustamente, poiché è la gioia a essere fuori luogo, non la satira) non dimostra-va alcun segno di sdegno verso chi usava la stessa scortesia nei confronti delle vittime di Orlando. Di conseguenza lo humor nero sul caso di Orlando non destò alcuno scandalo.

Spinoza in merito alla strage di Orlando:

Una geniale e arguta battuta sul fatto che la frase sulle presunte amicizie gay venga quasi sempre utilizzata per introdurre frasi di natura omofobica, ammor-bidendone (o tentando goffamente di ammorbidirne) i contenuti.

Riferimento implicito ai vari “baci” che hanno causato stragi o disgrazie di qual-siasi natura nel mondo, dal bacio di Giuda a Gesù datato 33 d.C. fino al bacio di Berlusconi a Gheddafi datato 2010 d.C.

                                                       38 Treviso, Gentilini: “Gay Pride? Manganello e olio di ricino. Strage Usa? Se la sono cercata”, Il Fatto Quotidiano (versione Web), 16/06/2016 39 L'avvocato Carlo Taormina su twitter: "Se si fossero baciati due etero non ci sarebbe stata la strage", Huffingtonpost Italia (versione Web), 13/06/2016 

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Vorrei infine citare un interessante articolo comparso sulla testata giornalistica on-line linkiesta.it dal titolo Si può ridere della morte? Quando muore un per-sonaggio famoso in rete c'è chi fa ironia: non è per forza un gesto da condanna-re. Eccone un breve estratto: “Si può ridere della morte, quindi, e non ci si deve sentire in colpa se lo si fa, basta farlo con eleganza e nel contesto giusto. Ridere della morte è un gesto no-bile e l'approccio ironico alla morte, che è poi la madre di tutte le nostre paure, è per molti versi migliore dell'approccio drammatico. L'approccio drammatico alle cose prevede che ci si ponga al di sotto, che quindi ci si faccia sormontare, ingigantendole e rendendole insormontabili. L'approccio ironico, al contrario, inverte il rapporto e ci permette di porci al di sopra delle cose, di ridimensionarle, di scrollarci di dosso un po' di paura e di affrontarle, con un gran sorriso.” 40

                                                       40 Si può ridere della morte? , Linkiesta.it, 11/12/2014 

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4. CONCLUSIONI L'umorismo nero non conosce mezze misure, così come il gradimento che riceve dall’esterno. Si può amarlo, si può detestarlo. Una "via di mezzo" non è ammes-sa. Si tratta di una forma di satira molto particolare, sulla quale occorre prestare molta attenzione. Tale attenzione deve essere prestata necessariamente sia da chi produce i contenuti sia da chi ne fruisce. Nelle forme di polemica evidenziate nel corso della ricerca non vi era una com-ponente (religiosa, politica, sociale) prevalente sulle altre. L’indignazione ri-guarda molto più da vicino ciò che, per qualche motivo, consideriamo “intocca-bile”. Essa dunque varia in base alle sensibilità individuali, ma con determinate caratteristiche comuni riconducibili a una precisa sensibilità collettiva. Il cosid-detto "moralismo" potrebbe nascere dalla nostra volontà di separarci dalla morte (o più in generale dalla sofferenza), pensando di renderle omaggio elevandola, ponendola su un livello superiore rispetto a quello della banalità del vivere quo-tidiano. Ritengo invece vi sia un grande malinteso di fondo in tale ragionamen-to. Una sorta di "peccato originale" che lo rende del tutto fuorviante. La morte esiste e riguarda qualsiasi essere vivente. Se smettessimo improvvisamente di parlarne, essa non cesserebbe di esistere, anzi si rafforzerebbe nel suo generare inquietudine. Diventerebbe un tabù da sfatare e causerebbe nel genere umano una costante sensazione di paura, capace di rovinare il suo quieto vivere, ren-dendolo meno felice e spensierato. Il modo più nobile (e allo stesso tempo effi-cace) per rispettare la morte è proprio quello di saper fare dell'ironia su di essa. Saperci "ridere su", in parole povere. La vera elevazione della morte non può es-sere che il suo venir riportata sullo stesso piano di qualsiasi altra componente della vita. La morte è parte della vita e non vi è nulla di più "materiale" di essa. Per quanto brutale e intima, la morte è sincera, trasparente. Noi quindi abbiamo il dovere morale di essere altrettanto sinceri nei suoi confronti. Se una semplice risata, seppur beffarda, può essere in grado di far fronte al nostro senso di inade-guatezza, perché non ridere?

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ALESSANDRO PINARELLO       HUMOR NERO E VITA QUOTIDIANA       Tesi di laurea triennale LTCOM 

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5. BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

Libri di testo consultati:

André Breton 1970, Antologia dello humour nero, Milano, Einaudi

Corrado Viafora , Francesca Marin (a cura di) 2014, Morire altrove. La buona morte in un contesto interculturale, Ro-ma, FrancoAngeli

Henri Bergson 2007, Il riso. Saggio sul significato del comico, Roma, Laterza

Ludovico Ferro 2006, Sociologia dell´ironia. Comunicazione e rappresentazione della complessità moderna nei romanzi filosofici di Voltaire e nel cinema di Woody Allen, Padova, CLEUP

Oscar Wilde 1995, Il ritratto di Dorian Gray, Torino, Il Capitello 2000, Aforismi, Milano, Mondadori

Luis E. Navia 1996, Classical Cynicism: A Critical Study, California, Praeger

Philippe Ariès 1975, Storia della morte in Occidente, Milano, Rizzoli 1998, L’uomo e la morte dal Medioevo ad oggi, Roma, Laterza

Daniele Luttazzi 2006, Bollito misto con mostarda, Milano, Feltrinelli

Stefano Andreoli e Alessandro Bonino 2010, Spinoza. Un libro serissimo, Reggio Emilia, Aliberti

G. Forti e M. Bartolino (a cura di) 2004, La televisione del crimine. Atti del Convegno «La rappresentazione televisiva del crimine», Milano, Vita e Pensiero

Georg Simmel 2014, Filosofia del denaro, Milano, Ledizioni

Angelo Moscariello 2016, Black Comedy. Horror e Humor nel cinema, Roma, Profondo Ros-so

Tahar Ben Jelloun 2005, Il razzismo spiegato a mia figlia, traduzione di Greta Agostinelli e Giulia Raffaeli, Milano, Bompiani

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Siti web consultati:

www.garzantilinguistica.it www.huffingtonpost.it www.tgcom24.mediaset.it www.treccani.it www.linkiesta.it www.ilfattoquotidiano.it www.oltremagazine.com www.spinoza.it www.facebook.com www.twitter.com www.lercio.it www.gaypost.it

Ultima consultazione: 29/09/2016