Università di Pisa Facoltà di Lettere e Filosofia Scuola ... · Università di Pisa Facoltà di...
-
Upload
vuongxuyen -
Category
Documents
-
view
229 -
download
2
Transcript of Università di Pisa Facoltà di Lettere e Filosofia Scuola ... · Università di Pisa Facoltà di...
Università di Pisa
Facoltà di Lettere e Filosofia
Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici
Studio dei resti cremati umani provenienti dalla
necropoli villanoviana di via Marche a Pisa
Direttore della Scuola di Specializzazione
Prof. Giampaolo Graziadio
Relatore
Prof. Renata Grifoni Cremonesi
Candidato
Dott.ssa Jasmine Bagnoli
Anno Accademico 2011-2012
2
Sommario
Introduzione ........................................................................................................................... 4
Capitolo 1 ............................................................................................................................... 6
La necropoli villanoviana di via Marche Pisa............................................................................ 6
Capitolo 2 ............................................................................................................................. 11
Metodi di studio ..................................................................................................................... 11
2.1 L’applicazione della TC al microscavo dei cinerari ........................................................... 11
2.2 Microscavo e preparazione al restauro .............................................................................. 15
2.3 Lo studio dei resti ossei cremati ........................................................................................ 24
Capitolo 3 ............................................................................................................................. 27
Materiali ................................................................................................................................ 27
3.1 Dati antropologici: esame dei resti scheletrici combusti .................................................... 27
Capitolo 4 ............................................................................................................................. 52
Risultati ................................................................................................................................. 52
4.1 Profilo demografico .......................................................................................................... 52
4.2 Analisi quantitativa........................................................................................................... 55
4.3. Temperatura di combustione e grado di frammentazione .................................................. 60
4.4 Alterazioni scheletriche di tipo funzionale e patologico..................................................... 62
4.5 Confronti con altre necropoli a cremazione ....................................................................... 63
Capitolo 5 ............................................................................................................................. 67
Inquadramento Storico ........................................................................................................... 67
5.1. La cultura villanoviana .................................................................................................... 67
Capitolo 6 ............................................................................................................................. 78
Pisa nella prima età del Ferro ................................................................................................. 78
3
Conclusioni ........................................................................................................................... 86
Appendice ............................................................................................................................. 94
Necropoli villanoviane nell’Etruria costiera e interna.............................................................. 94
Scheda 1. Livorno-Stagno: la necropoli di Parrana San Martino .............................................. 94
Scheda 2. Livorno: l’ipotetico sepolcreto di Quercianella ....................................................... 95
Scheda.3 Livorno: la necropoli di Villa Barone (PB) .............................................................. 97
Scheda 4. Volterra: il sepolcreto delle Ripaie .......................................................................... 98
Scheda.5. Populonia: la necropoli di Podere Casone e Podere S.Cerbone ................................ 99
Scheda 6. Populonia: la necropoli di Piano delle Granate e Poggio Granate ...........................100
Scheda 7. Vetulonia: le necropoli di “Il Poggio alla Guardia” “Poggio Belvedere”, “Poggio alle
Birbe” ...................................................................................................................................101
Scheda 8. Sticciano Scalo ......................................................................................................103
Scheda 9. Crostoletto di Lamone e Pian Sultano due siti a confronto......................................104
Scheda 10. Sesto Fiorentino: le necropoli di Val di Rose e di Madonna del Piano ..................107
Scheda 11. Firenze: le tombe “del Gambrinus” ......................................................................109
Scheda 12. Chiusi: i sepolcreti di Poggio Renzo, Fornace Marcianella. ..................................111
Scheda 13. Vulci: le necropoli di Ponterotto, Cavalupo e Poggio Mengarelli .........................112
Scheda 14. Sasso di Furbara (Cerveteri) ................................................................................114
Riferimenti Bibliografici .....................................................................................................118
4
Introduzione
Tra il 2005 e il 2006 fu indagata da parte della Soprintendenza dei beni
Archeologici della Toscana l’area estesa tra via Marche, via Abba e via
Bianchi; dove furono individuate due sepolcreti: il primo, più recente,
ascrivibile all’età tardo antica (III-VI secolo d.C.) ed il secondo, più antico,
afferente ai primi dell’età del Ferro (IX-VIII secolo a.C.). Quest’ultimo ha
restituito 37 cinerari, i quali, dopo la rimozione, sono stati analizzati in
laboratorio. In questa sede inizialmente si riporteranno i dati di scavo del
complesso sepolcrale di via Marche; descrivendo preliminarmente i materiali
recuperati. Nei capitoli che seguono saranno presentati dettagliatamente tutti i
metodi impiegati per lo studio delle urne funerarie come l’utilizzo di
strumentazioni proprie della diagnosi medica, in particolare, l’applicazione
della TC (Tomografia Computerizzata), che si è rilevata estremamente utile in
questo campo. Verranno sviluppate inoltre tutte le operazioni effettuate per
preparare i cinerari al restauro, nonché i metodi antropologici utilizzati sui resti
combusti per determinare il sesso, l’età di morte, rilevazioni di eventuali
alterazioni patologiche, temperatura di combustione e infine per ricavare
informazioni ascrivibile al rituale funerario. Successivamente saranno illustrati
e discussi i risultati antropologici finali (completi) ricavati dallo studio svolto
in laboratorio. Verrà affrontato anche un inquadramento storico della cultura
Villanoviana nell’Etruria propria (la nascita e lo sviluppo di questa realtà
culturale, le caratteristiche della tessitura insediativa e degli aspetti funerari).
Saranno presi in esame diversi centri riferibili a questo orizzonte cronologico,
distribuiti nell’Etruria settentrionale e meridionale, che hanno restituito dati
esaustivi concernenti l’ambito funerario. Le varie aree cimiteriali sono state
distribuite seguendo un ordine preciso, da quelle più vicine alla necropoli di via
marche a Pisa (area di Livorno/Firenze) a quelle più lontane, ubicate a nord del
Lazio (Tarquinia, Veio). il fine di questo confronto è quello di individuare le
analogie e le differenze tra i vari nuclei funerari (in particolare con il sepolcreto
di Pisa) nonché, il circuito dei contatti/influenze tra le varie realtà culturali; per
ricostruire un quadro delle pratiche culturali e delle trasformazioni sociali del
territorio etrusco.
5
Infine, sarà discusso l’origine di Pisa, evidenziando gli indicatori emersi nelle
varie indagini archeologiche che confermano la genuinità della sua etruscità,
nonché del ruolo assunto e dei contatti maturati in età Protostorica. E’ stato
inoltre aggiunto un’appendice con alcuni siti di confronto.
6
Capitolo 1
La necropoli villanoviana di via Marche Pisa
Tra il 2005 e il 2006 in occasione della costruzione di edifici residenziali
eseguiti nella zona ubicata tra le vie Marche, Abba e Bianchi, localizzata a
settentrione delle mura medievali di Pisa, subito fuori Porta a Lucca, furono
individuate importanti tracce di frequentazione che vanno dall’epoca
villanoviana ai giorni nostri (Paribeni, 2008).
L’area cimiteriale afferente all’età villanoviana ed orientalizzante (in parte
coperta dal sepolcreto di età romana) era ubicata nell’angolo nord-ovest del
settore e si estendeva su un’area di circa 100mq (fig.1.1); furono portate in luce
37 sepolture ad incinerazione, in pozzetti semplici con fodera di elementi litici.
Il sepolcreto era probabilmente collocato su di un’altura, sulla base
dell’andamento del profilo altimetrico dello strato nell’unica parte dove è stato
possibile individuare il suo limite originario. A causa di un intaccamento di
questa superficie da parte di alcune strutture di età contemporanea, che ne
hanno interrotto la continuità fisica, danneggiando inoltre molti cinerari, non è
possibile rilevare l’estensione originaria. Tuttavia è molto probabile che il
nucleo sepolcrale si estendesse oltre l’area indagata (verso nord e verso est).
I complessi funerari erano connotati da 15 dolii (fig. 1.2), 21 ossuari-biconici
(fig. 1.3) e 1 pithos ingobbiato. Quest’ultimo fu portato in luce soltanto nel
quarto superiore: era caratterizzato da un orlo ingrossato e da quattro anse a
nastro insellate impostate sulla spalla. Interessante notare che I dolii (tb. 98,
177, 178, 185, 187, 188, 189, 194, 195, 196, 197, 198, 199, 200, 202, 209)
erano concentrati lungo il perimetro esterno del distretto indagato; sono tutti
d’impasto rossastro, eccetto uno in impasto scuro (tb.200), la maggior parte di
essi era caratterizzata da una decorazione con cordonatura semplice o digitata.
Secondo i dati di scavo alcuni doli inoltre contenevano un ossuario biconico e
oggetti del corredo (Rizzitelli, 2005). I vasi biconici erano d’impasto nero o
bruno, lucidati a stecca e decorati con motivi peculiari del repertorio
villanoviano (meandri, motivi a falsa cordicella, stampiglie a cerchi
concentrici, motivi ad N, fasci di linee). Tutti presentavano una ciotola di
copertura, con un’ansa a pseudo tortiglione o a bastoncello, a volte con apofisi
7
laterali; in un caso fu rilevata un’ansa bifora (tb.237). Alcune di esse erano
caratterizzate da una decorazione tipica di questa produzione (motivi ad N,
denti di lupo a falsa cordicella, motivi a zig-zag, motivo metopale con croce
gammata).
Una sola urna era chiusa da un coperchio simbolico (tb.239), costituito da un
elmo crestato fittile, decorato da quattro coppie di apofisi ricurve (“denti di
cinghiale”) disposte sulla calotta in corrispondenza del punto di innesto della
cresta (Rizzitelli, 2005).
La necropoli villanoviana di via Marche conferma la destinazione ad uso
sepolcrale della fascia di territorio posta a settentrione di Pisa già da
quest’epoca. Evidentemente la necropoli villanoviana (come già accennato
sopra) si impianta su una porzione di terreno leggermente più rilevata rispetto
alle aree circostanti, interessate da continui fenomeni di erosione e allagamento
(Paribeni, 2008).
Il settore che si estende tra di via Marche via Abba e via Bianchi fu soggetto
nelle varie epoche di molti sconvolgimenti sia naturali che antropici.
Al VI-V secolo a.C. è da riferire la presenza di accumuli di pietre, laterizi,
concotti e ceramiche (bucchero, impasto a scisti microclastici, attica e a figure
rosse), interpretati come crolli di strutture demolite da violente esondazioni
dell’Arno e dell’Auser. Dal punto di vista idrografico, ricordiamo che già in
epoca preistorica a nord di Pisa scorreva un fiume, detto “Aesar”, poi “Auser”,
che si gettava nell'Arno all'altezza di Vicopisano e Calcinaia, scendendo
agevolmente nella depressione di Bientina, compresa tra il Monte Pisano e
l'altopiano delle Cerbaie. In una seconda fase non esattamente individuabile
(ma quasi certamente in epoca pre-romana), il percorso dell'Auser si spostò
verso ovest, per poi gettarsi nell’Arno a valle di Pisa. Successivamente un
braccio dell'Auser si era reso autonomo per volgersi decisamente verso nord-
ovest: passando per Avane, raggiungeva il Tirreno in prossimità della stessa
foce dell'Auser, questo ramo fu dunque detto Serchio (da Auserculus, 'piccolo
Auser'). Verso il III secolo a.C. nell’area denominata B viene costruito un muro
in blocchi di calcarenite con orientamento W/E, documentato per circa 20 m di
lunghezza, che prosegue nella fascia di terreno non scavata tra le due aree e che
lì pare interrompersi. Forse la funzionalità di questo muro era quello di difesa
8
dalle esondazioni fluviali; il tipo di tecnica con cui è stato realizzato sembra
ricondurlo all’età ellenistica (Costantini, 2006-07).
Successivamente, tra il II secolo a.C. e il II secolo d.C., entrambe le aree sono
interessate da fenomeni alluvionali, i quali causano l’obliterazione della
struttura muraria e la deposizione di notevoli quantità di sedimenti sul terreno.
In questa fase è completamente assente qualsiasi traccia di frequentazione
antropica. I periodici allagamenti a cui l’area era sottoposta in età antica e
l’abbondante presenza di acqua che caratterizzava il passaggio del suburbio
settentrionale di Pisa probabilmente sono la causa delle enormi risalite
dell’acqua di falda, che hanno provocato varie complicazioni nelle operazioni
di scavo in numerosi settori dell’area. In età tardo antica, sull’intera superficie
indagata si sviluppa una necropoli con sepolture ad inumazione.
Particolarmente effimere appaiono le tracce relative alla frequentazione di
quest’area in età medievale, cui appartiene solo un piccolo ambiente
quadrangolare, forse una discarica domestica (Costantini, 2006-07). In seguito,
nel XVII-XVIII secolo, furono costruiti due pozzi circolari, uno nell’area A e
uno nell’area B, e una cisterna di grandi dimensioni ancora nell’area A,
realizzata in laterizi legati con malta e rivestita con intonaco idraulico
particolarmente tenace.
Infine, in età contemporanea questa cisterna viene rifunzionalizzata con
l’aggiunta di due serbatoi metallici per carburante. Inoltre in questo periodo si
verifica la costruzione di due grandi vasche quadrangolari e di una abitazione
privata; tali costruzioni hanno intaccato il deposito archeologico impedendo di
cogliere la continuità del sepolcreto tardo antico nel settore centrale dell’area
A.
Fino alle recenti demolizioni per la costruzione del complesso residenziale, la
superficie è stata occupata dall’edificio della GEA ( Ente pubblico per i servizi
dell’Ambiente) e da alcuni vivai (Costantini, 2006-07).
11
Capitolo 2
Metodi di studio
Per questa ricerca è stato necessario avvalersi delle tecniche di indagine proprie
di diverse discipline, che spaziano dalla medicina all’archeologia
all’antropologia, seguendo un approccio multidisciplinare. In particolare, la
ricerca ha compreso l’uso della Tomografia Computerizzata (TC), lo studio
archeologico sulle caratteristiche morfologiche e decorative dei cinerari,
nonché degli oggetti ornamentali e personali (in bronzo e fittile) legati al
corredo funerario. I vari cinerari sono stati preparati alla fase del restauro
attraverso l’uso di varie tecniche: pulitura del vaso, mappatura, velatura,
microscavo del contenuto (scavo stratigrafico), consolidamento degli oggetti in
metallo. Il materiale osseo, una volta rimosso dal suo contenitore, è stato
sottoposto all’esame antropologico, con l’obiettivo di rilevare informazioni sul
sesso, età di morte, eventuali patologie, temperatura di combustione e dati sul
rituale.
2.1 L’applicazione della TC al microscavo dei cinerari
L’uso della TC si è rivelato di grande efficacia per indagare virtualmente il
contenuto dei cinerari prima di affrontare il microscavo. La TC nella ricerca
archeologica rappresenta un’innovazione di grande rilievo, poiché ci permette
di ottenere, con l’acquisizione di centinaia di sezioni radiologiche, la
mappatura completa dei cinerari, del loro contenuto e la successiva
ricostruzione virtuale tridimensionale. Inoltre ci segnala la presenza, le distanze
e le dimensioni approssimative di eventuali oggetti di metallo appartenenti al
corredo, guidando così l’azione dello scavo. In alcuni casi la TC rimane l’unica
documentazione della presenza nel corredo di oggetti in bronzo completamente
mineralizzati che, all’atto del recupero, si rivelano totalmente privi di
consistenza o addirittura indistinguibili.
L’apparecchio utilizzato per il primo gruppo di urne funerarie (T.191, T.192,
T.78, T.205, T.181, T.182, T.98) è una TC spirale mono detettore (ad una
corona Det). I principali parametri che sono stati impiegati per ottenere la serie
12
di immagini del contenuto sono i seguenti: il S33.4 è il livello di scansione,
ossia la posizione del tavolo lungo l'asse Z. Il az.90 rappresenta l'angolo di
incidenza del fascio che colpisce a 90 gradi. Il KV 100 è la tensione del tubo
radiogeno e il Ma 40 la corrente. Questi ultimi tre valori indicano la qualità del
fascio RX usato in questa acquisizione. Il DFOV è di circa 19,2cm, (DFOV o
display FOV di 19,2cm significa che la matrice fissa dell’apparecchio TC
(512X512) viene distribuita su una ideale superfice circolare di diametro
19,2cm e le strutture prese in esame devono essere comprese in questo spazio;
in questo modo la dimensione dei pixels viene ottimizzata con un guadagno in
risoluzione rispetto allo SFOV di 48.0 cm (SFOV o ScanFOV) che è
semplicemente il campo di vista impostato in acquisizione, cioè su quale ideale
area di circonferenza viene distribuita la matrice (512X512) in cui i pixels, per
motivi geometrici avranno sicuramente una dimensione maggiore. Un altro
criterio degno di nota è la dimensione delle varie sezioni il cui spessore è di 5.0
mm, prodotte ogni 0.3 mm (Screyer, Walfield, 2002).
Per tutti cinerari del gruppo successivo fu utilizzato un apparecchio più
avanzato, la TC spirale multi detettore (a 16 corone Det). Quest’ultimo,
attraverso l’impiego di raggi proiettati ad una velocità più elevata, su una
superficie di detezione più ampia rispetto alla macchina precedente, ci offre la
possibilità di ottenere immagini più numerose, più precise, più dettagliate, e
quindi una gamma d’informazioni e di dati più completi (fig. 2.1). Infatti i
parametri applicati ai vari vasi funerari sono più elevati e più precisi rispetto ai
precedenti, la maggiore quantità di dati ci consente ricostruzioni migliori. La
tensione del tubo radiogeno è di 120 (KV 120), la corrente è di 180 (Ma 180),
ciò comporta una penetrazione maggiore di vari raggi all’interno dell’oggetto
interessato. Il DFOV è di circa 35.0 cm, quindi la matrice è stata distribuita su
una superficie circolare più ampia, il SFOV è di 60cm, perciò il campo di vista
è più elevato. L’aumento del DSFOV e del SFOV permette una visione più
chiara di tutto il contenuto da varie angolazioni. Anche lo spessore delle
acquisizioni è minore, lo spessore delle fette è di 1.2 mm ogni 0.6 mm, nel
senso che vengono effettuate molte più sezioni, più sottili, rispetto a quelle
precedenti. Inoltre anche la qualità del fascio Rx è migliore. Con la TC spirale
multi detettore è quindi possibile avere sezioni radiologiche multiplanari (fig.
2.2) più dettagliate che consentono di visualizzare in modo più preciso oggetti
13
di vario materiale (metallico, ceramico, litico, e oggetti in avorio, ambra) e di
varie dimensioni, nonché la loro precisa forma, dimensione e posizione
all’interno o all’esterno del cinerario. Interessante sottolineare che tutte le urne
villanoviane al momento dell’applicazione della TC erano completamente
avvolte in un robusto imballaggio, che rendeva impossibile l’osservazione delle
varie caratteristiche morfologiche di ciascun contenitore ceramico. Tuttavia la
TC ci ha offerto anche l’opportunità di una ricostruzione virtuale in 3D esterna
dell’oggetto archeologico, ottenendo così importanti informazioni sul suo stato
di conservazione, prima dell’apertura dall’imballaggio.
Concludendo, dopo Anderson e Roberston è la prima volta che viene applicata
la TC su un campione così cospicuo di urne funerarie (37 urne).
Figura 2.1. Il cinerario (T.184) viene sottoposto a TC, attraverso la quale è
possibile ottenere per mezzo di tutta una serie di sezioni virtuali informazioni sul
contenuto del vaso ( come ad esempio la presenza di oggetti metallici appartenenti al corredo).
14
Figura 2.2. La TC permette di acquisire centinaia di sezioni radiologiche
trasversali e longitudinali che, forniscono una documentazione completa dei cinerari, del loro contenuto.
15
2.2 Microscavo e preparazione al restauro
Una volta sottoposti a TC, 37 cinerari sono stati portati in laboratorio, con
l’obiettivo di effettuare lo scavo archeologico, e di prepararli quindi al restauro.
Inizialmente, eliminato l’imballaggio di protezione, l’urna è stata sottoposta
alla fase della pulizia, volta ad eliminare qualsiasi porzione di terra, o
comunque qualsiasi traccia di elementi estranei, depositati nel tempo sul vaso
funerario. Per ottenere una pulizia completa senza danneggiare la superficie
ceramica viene utilizzato il “Preventol”, una soluzione chimica a base di
composti del sale quaternario d’ammonio, che ha un ottimo potere contro i
batteri e ogni tipo di muffa, la quale viene diluita con acqua (3%). Si procede
imbevendo un batuffolo di cotone idrofilo in questa sostanza chimica, e lo si
applica su tutta la superficie esterna del cinerario. Terminata questa prima
operazione, si completa la pulizia utilizzando batuffoli di cotone idrofilo
imbevuti di acqua, per sciacquare ed eliminare la soluzione chimica applicata
precedentemente dalla superficie ceramica (fig.2.1).
Figura 2.2. Fase della pulizia esterna del vaso.
16
Successivamente, si prosegue con la fase della cosiddetta “mappatura” della
ciotola-coperchio e del biconico stesso. La mappatura consiste nello stendere
sui vari frammenti ceramici un foglio di plastica trasparente particolarmente
sottile, e nel ricalcare con un pennarello indelebile il contorno di tutti i
frammenti, seguendo e rispettando la loro posizione. Ogni frammento ceramico
sarà poi numerato progressivamente e registrato sulla mappatura stessa.
L’obiettivo di questa operazione è quello di facilitare la ricostruzione del
contenitore e della sua ciotola-coperchio nel momento del restauro, soprattutto
nei casi in cui i cinerari sono completi ma particolarmente frammentati
(fig.2.3).
Figura 2.3. Fase della mappatura della ciotola coperchio.
I frammenti ceramici che compongono la ciotola vengono quindi
completamente asportati uno per uno per permettere il microscavo stratigrafico
all’interno del cinerario. Ciò comporta la scomposizione totale della ciotola che
Figura 2.3. Fase della mappatura della ciotola coperchio.
17
perde così la sua forma originaria; la mappatura in questo caso interviene per
agevolare la sua ricomposizione, poiché registra graficamente ogni frammento
nella sua posizione originaria.
Dopo la fase della mappatura, prima di poter asportare i frammenti, è spesso
necessario procedere con il consolidamento “velatura” della ciotola-coperchio
e in alcuni casi, anche del biconico. Gli strumenti che vengono impiegati in
questa operazione sono semplice garza medica, pennelli sottili da pittore e
archeoconsolidante ad acqua, una soluzione chimica a base di polimeri
organici, diluita in acqua. Una volta preparato l’archeoconsolidante si procede
tagliando porzioni di garza medica su misura dei vari frammenti ceramici da
consolidare. Ogni frammento viene rivestito da questa garza, possibilmente a
doppio strato, sulla quale viene spalmato in modo omogeneo, attraverso l’uso
di un pennello di piccole dimensioni, l’archeoconsolidante (fig.2.4). Terminata
l’operazione, il tutto viene lasciato riposare per circa 24 ore, con lo scopo di far
asciugare il consolidante. L’obiettivo di questa fase è protettivo, per evitare una
ulteriore frammentazione della ceramica durante la rimozione.
Figura 2.4. Fase consolidamento.
18
Figura 2.5. Rimozione dei frammenti consolidati.
Dopo che la velatura si è asciugata e solidificata, si procede all’asportazione
dei vari frammenti ceramici della ciotola-coperchio (fig.2.5), per mezzo
dell’utilizzo di specilli odontoiatrici e bisturi chirurgico. I frammenti vengono
così inseriti singolarmente in sacchetti di plastica, sui quali è stato riportato il
numero progressivo segnato precedentemente sulla mappatura. Completata la
rimozione della ciotola-coperchio (fig.2.6) può finalmente iniziare lo scavo del
contenuto del cinerario, che viene effettuato seguendo una stratigrafia. Le
quote vengono registrate attraverso l’uso di una livella laser e di un metro a
stecca posto in posizione verticale sul punto che vogliamo quotare. Il
microscavo che verrà eseguito all’interno del cinerario è di tipo stratigrafico,
perciò il contenuto viene diviso in vari strati, e ogni strato sarà così misurato
sia al suo inizio che alla sua fine. Per questo motivo la prima quota (fig.2.7),
nominata quota zero è il punto di partenza da cui vengono segnate via via che
si prosegue nella rimozione del contenuto, tutte le successive quote dei vari
strati, nonché la posizione dei vari oggetti in bronzo appartenenti al corredo
funerario.
19
Figura 2.6. Completata la fase della rimozione del coperchio.
Presa la prima quota, si procede con il microscavo vero e proprio, attraverso
l’uso di specilli odontoiatrici, palettine sia di legno che in metallo, cucchiaini
da caffè, con i quali si asportano piccole porzioni di terra, pennelli di varie
dimensioni o piccola pompettina d’aria per soffiare polvere e terra,
evidenziando eventuali frammenti in bronzo. Inoltre, pinze mediche in metallo
per prelevare elementi vegetali (radici o semi di piante), carboni, frammenti
ceramici caduti all’interno del cinerario appartenenti alla ciotola o al biconico
stesso, e infine i vari frammenti ossei (fig.2.8). Nella maggior parte dei casi il
primo strato è caratterizzato esclusivamente da terra sterile, che si è depositata
nel cinerario per cause naturali, la quale può comunque contenere tracce di
carbone e di elementi vegetali. Sia la terra che ogni elemento organico vengono
campionati, mentre tutta la terra viene divisa a seconda dello strato di
appartenenza e inserita in appositi sacchetti di plastica, mentre i vari elementi
vegetali vengono raccolti in apposite provette, per una miglior protezione
dall’aria esterna.
20
Figura 2.7. Attraverso l'uso di un metro a stecca e di una livella laser viene presa
la quota "0", sul punto più alto dell'orlo del vaso.
Il prelievo di questi campioni viene effettuato al fine di ottenere, attraverso
analisi paleobotaniche, sedimentologiche e chimiche, informazioni sul tipo di
vegetazione presente in quell’epoca, sul tipo di legname usato per il rogo
funebre, nonché sul tipo di terreno di sepoltura. La porzione di terra contenente
i frammenti ossei viene suddivisa almeno in due strati, a volte anche in tre, se
la quantità è cospicua. Lo scopo di questa suddivisione è legato alla
ricostruzione del rituale funerario, al fine di verificare se sono stati seguiti dei
criteri nella deposizione dei frammenti ossei nell’urna funeraria oppure se
questi vi sono stati inseriti casualmente. Inoltre, nel caso fosse presente più di
un individuo, è possibile comprendere se i resti dei defunti sono stati introdotti
contemporaneamente o in momenti successivi. Successivamente, rispettando la
divisione degli strati, i frammenti vengono asportati e inseriti in apposite
vaschette in attesa di essere lavati, per poi essere studiati. Gli oggetti in bronzo
che appartengono al corredo funerario, una volta individuati e portati alla luce,
vengono consolidati per mezzo di un contagocce in vetro o una siringa medica
senza ago, con “l’Incralac”, una soluzione chimica a base di Paraloid e
benzotriazolo diluito in acetone (fig.2.9).
21
Figura 2.8. Inizio del microscavo.
Dopo che la soluzione chimica si è asciugata e solidificata, si esegue
l’asportazione dell’oggetto in metallo e la sua deposizione in una vaschetta di
plastica o di cartone ammortizzata da un letto di cotone idrofilo e garza medica,
per proteggere il reperto metallico. Un’altra strategia utilizzata, per certi casi a
scopo protettivo e in altri per ricalcare e decifrare una forma anomala di non
facile interpretazione, è rappresentata dall’uso del gesso. Due esempi di
particolare rilevanza sono la T.182 e la T.189: per la prima è stato applicato il
gesso nella parte inferiore del biconico, a scopo protettivo. Questa operazione è
stata eseguita attraverso l’applicazione di una pellicola di plastica trasparente
intorno al vaso, sulla quale è stato poi steso con una spatola il gesso impastato
in acqua. Nel secondo caso, all’interno del dolio era presente un foro a sezione
quadrangolare, che iniziava all’altezza dell’orlo per finire sul fondo del
contenitore, per un’altezza di circa 30 cm (fig.2.10). Del foro è stato così
eseguito un calco in gesso, con l’obiettivo di definire il suo andamento ed
evitare di perderlo durante il microscavo. Durante lo svolgimento di ogni
operazione, dall’apertura del cinerario alla fine del suo microscavo, è stata
effettuata una completa documentazione fotografica con macchina digitale e
con l’aiuto di un faretto, per far risaltare le forme e i vari motivi decorativi
presenti sul cinerario. Di grande importanza è la compilazione di un diario di
22
scavo, in cui sono stati registrati giorno per giorno i vari interventi conservativi
e le sostanze chimiche utilizzate e inoltre, tutte le operazioni effettuate prima e
durante il microscavo, le note riguardanti il corredo funerario, lo stato di
conservazione del cinerario, le sue caratteristiche morfologiche e decorative.
Insomma ogni caratteristica, ogni piccolo dettaglio sia del contenitore che del
suo contenuto sono stati annotati giornalmente.
Figura 2.9. Consolidamento di un oggetto in bronzo.
Infine, tutta la documentazione, costituita da schede archeologiche e
antropologiche realizzate durante il microscavo. Le schede sono state inserite
in un database realizzato su Microsoft Access che permette non solo di
archiviare tutti i numerosi dati raccolti, ma anche di favorire la ricerca e
l’elaborazione dei risultati Sulla scheda archeologica di ciascuna urna vengono
riportati i dati relativi al tipo di tomba (a pozzetto o dolio), al tipo di cinerario
(biconico o dolio con biconico), al suo stato di conservazione (frammentario
ma completo, integra ecc), alle caratteristiche degli oggetti metallici, ceramici
o fittili che appartengono al corredo e la descrizione dei vari strati. Sulle schede
antropologiche vengono invece annotati tutti i dati antropologici, ricavati dallo
studio delle ossa, come il sesso, l’età di morte, eventuali patologie, il
cromatismo delle ossa, che permette di determinare la temperatura di
23
combustione, il grado di frammentazione delle ossa combuste, e il peso dei vari
distretti ossei suddivisi in strati, per individuare l’ordine di deposizione delle
ossa nel contenitore funerario.
Concludendo, l’ultima fase effettuata prima del restauro, è rappresentata
dall’imballaggio dei vasi con le relative ciotole (asportate in frammenti), gli
oggetti del corredo sia interno che esterno, e ogni tipo di documentazione
(mappatura, scheda di scavo e scheda archeologica) in scatoloni muniti di
porzioni di “tessuto non tessuto” a scopo protettivo.
Figura 2.10. Calco in gesso del foro presente nel cinerario (T.189).
24
2.3 Lo studio dei resti ossei cremati
Dopo l’asportazione delle varie porzioni di ossa combuste dai propri
contenitori funerari, è stato necessario procedere al lavaggio dei resti per
poterli separare dalla matrice terrosa che li inglobava. Il lavaggio è avvenuto
mediante spruzzatura di acqua su setacci a maglie fini, fino a rimuovere
completamente la terra. Dopo l’asciugatura, avvenuta all’aria aperta, il
materiale osseo è stato sottoposto all’esame antropologico, con l’obiettivo di
rilevare il numero di individui all’interno del cinerario, il sesso, l’età di morte,
eventuali patologie, la temperatura di combustione, il grado cromatico di
frammentazione dei resti e informazioni relative al rituale funerario. La prima
fase del lavoro, effettuata per strati separati, è consistita nel riconoscimento di
ciascun frammento osseo e nella suddivisione in distretti anatomici: cranio,
denti, tronco, arti superiori, arti inferiori, mani e piedi e frammenti che la per
loro piccolissima dimensione non sono determinabili. Ciascun distretto
scheletrico è stato inoltre pesato, al fine di calcolare la rappresentatività di
ciascuna categoria rispetto al peso totale, consentendo così di evidenziare
un’eventuale raccolta selettiva dei resti e di valutare in quale proporzione il
materiale è andato disperso. Inoltre, il peso delle ossa non identificabili ci ha
permesso di quantificare il livello di frammentazione dei resti (fig.2.11). Il
numero minimo di individui è stato valutato in base all’eventuale presenza di
elementi scheletrici soprannumerari o discordanti per dimensioni ed età. La
diagnosi del sesso nei resti incinerati è fortemente limitata dalla frammentarietà
dei materiali e dalla distorsione e contrazione dell’osso dovute alla
combustione, perciò non in tutti i casi è stato possibile determinarlo.
Comunque, aldilà di queste difficoltà, il sesso è stato valutato in base alle
principali caratteristiche morfologiche discriminanti utilizzate anche per gli
inumati (Ferembach et al. 1977-79) ed in diversi casi è stato possibile
osservare alcuni di questi caratteri, come la protuberanza del piano occipitale,
le dimensioni del condilo mandibolare e del processo mastoideo, lo sviluppo
della linea aspra del femore, le dimensioni della tuberosità ischiatica, nonché la
posizione dell’inizio del processo zigomatico sul meato acustico; sono state
inoltre valutate le dimensioni dei frammenti ossei, in particolare lo spessore
della corticale del cranio e delle diafisi degli arti. La stima dell’età di morte per
gli adulti è stata basata principalmente sull’osservazione del grado di sinostosi
25
delle suture craniche e sull’eventuale presenza di alterazioni degenerative del
tessuto osseo legate all’età, come artrosi e rarefazioni del tessuto spugnoso
(Meindl, Lovejoy 1985; Canci, Minozzi 2005), nonché sulla morfologia
dell’estremità sternale delle coste e sulle variazioni della sinfisi pubica (Burns,
1999). L’età dei subadulti è stata valutata sul riconoscimento di denti decidui,
sulle dimensioni delle diafisi e sullo stadio di saldatura tra epifisi e diafisi
(Canci., Minozzi., 2005). E’ stata inoltre osservata l’eventuale presenza di
alcune caratteristiche alterazioni del tessuto osseo, come osteofitosi ed
enteropatie. Sono state rilevate, in modo sistematico (rilevando sia la presenza
che l’assenza), l’iperostosi porotica sulla teca cranica (cribra cranii) in base a
gravità e diffusione (Hengen, 1971) e lo sviluppo delle inserzioni muscolari in
tre gradi di espressione (deboli, medie e forti). Inoltre, è stato possibile
osservare eventuali tracce di alterazioni patologiche delle ossa e dei denti,
come la periostite, l’artrosi, gli esiti di eventi traumatici, ed alcune patologie
dentoalveolari. La temperatura di combustione è stata stimata in base alla
valutazione del cromatismo dei frammenti ossei, utilizzando diverse scale
cromatiche (Shipman et al. 1984; Mays 1998, Schmidt et al 2008) e in base alle
alterazioni della struttura ossea e dentale causate dalla combustione (Holck
1986). Tali metodi sono basati sull’osservazione dei cambiamenti di colore
delle ossa, generalmente secondo un gradiente che varia dal giallo chiaro al
nero (intorno ai 350°C), al blu, al grigio, con varie sfumature, fino al
raggiungimento di un colore bianco e di un aspetto calcinato, dopo i 600°C. La
combinazione dei colori e del grado di contrazione e di deformazione subiti dai
reperti indica generalmente la temperatura, il tempo di esposizione ed il
contatto diretto o indiretto con la fonte di calore (fig. 2.12). Il grado di
frammentazione del materiale scheletrico è stato valutato secondo tre criteri:
elevato, quando più del 50% del materiale ha dimensioni inferiori a 2x2 cm;
medio, quando più del 50% del materiale ha dimensioni superiori a 2x2 cm;
basso, quando più del 50% del materiale ha dimensioni superiori a 5x2 cm.
26
Figura 2.11.- Suddivisione del materiale combusto nei vari distretti anatomici.
Figura 2.12. Osservazione comparata delle diverse tonalità di colore.
27
Capitolo 3
Materiali
3.1 Dati antropologici: esame dei resti scheletrici
combusti
In questa sezione saranno descritti, per ciascun cinerario, i risultati dell’esame
antropologico e paleopatologico eseguito sui resti ossei combusti. Per motivi
tecnici e logistici non dipendenti dalla volontà di chi scrive non è stato
possibile eseguire lo studio antropologico sui reperti di 4 cinerari.
Tomba 78
Il defunto deposto in questo cinerario è un neonato di circa 2-5 mesi, di sesso
non determinabile. E’ stato possibile ottenere questa informazione attraverso le
piccole dimensioni del dente dell’epistrofeo, della seconda vertebra cervicale
(da 2 mesi a 1 anno), e dalla presenza di alcune gemme di canini e molari
decidui (da 2 a 5 mesi), nonché dallo spessore particolarmente sottile del
cranio. Dal tipo di cromatismo della superficie ossea, che va da un grigio
scuro-nero a un marroncino chiaro quasi bianco, si deduce una temperatura di
combustione intorno ai 400-500° C.
Riassumendo, si tratta di un soggetto di circa 2.5 mesi, la cui età è testimoniata
da alcune gemme dentarie.
Tomba 98
La presenza di una marcata tuberosità ischiatica del bacino, la linea nucale
(occipitale) particolarmente evidente, le inserzioni muscolari mediamente
marcate, la corticale diafisiaria spessa, nonché il notevole spessore del cranio,
permettono di attribuire questo individuo al sesso maschile. Le suture craniali
aperte (le suture craniali cominciano a saldarsi vero i 20 anni e continuano, in
modo discontinuo, fino alla completa obliterazione in età molto avanzata), le
epifisi saldate degli arti superiori e inferiori, nonché le affezioni dento-alveolari
28
e l’estremità sternale di una costa, caratterizzata da una superficie
particolarmente rugosa, hanno suggerito un’età di morte tra i 30 e i 40 anni. Il
soggetto presentava delle inserzioni muscolari mediamente marcate. Da un
punto di vista patologico è stata rilevata una lieve artrosi sul dente
dell’epistrofeo e un lieve “lipping” (rialzamento del bordo del disco epifisario
dovuto a manifestazioni artrosiche) sul corpo di una vertebra toracica. La
presenza dell’artrosi sul dente dell’epistrofeo, alterazione degenerativa delle
cartilagini e delle altre strutture articolari che si manifesta oltre i 30 anni di età,
è sicuramente un dato importante che ci aiuta a rilevare l’età di morte. Di un
certo rilievo la perdita di un dente avvenuta in vita, come si evince dalla
chiusura dell’alveolo mandibolare. Le superfici ossee presentano un grado
cromatico che va da un prevalente grigio chiaro, ad un nero scuro con zone
bianche, con un grado medio di frammentazione. Secondo la scala di Holck
questa colorazione si produce intorno ai 500-600°C, mentre secondo la scala
cromatica di Mays la temperatura di combustione si aggira intorno ai 360-
600°C. L’analisi del materiale osseo suddiviso in 3 strati ha evidenziato che
ritualmente la deposizione delle ossa all’interno cinerario non ha seguito un
ordine ben preciso, ma bensì casuale.
Riassumendo, si tratta di un soggetto di sesso maschile, non particolarmente
robusto, tra i 30 e i 40 di età, con lieve artrosi.
Tomba 177
Dalle piccole dimensioni dei frammenti ossei, dalle inserzioni muscolari
deboli, dal sottile spessore craniale, nonché dalla linea aspra non molto
pronunciata si evince che l’individuo deposto è di sesso femminile. Le epifisi
saldate, le suture in parziale chiusura e la presenza di artrosi su alcune vertebre
cervicali suggeriscono un’età di morte tra i 35 e i 45 anni. Oltre alle tracce di
artrosi sono state rilevate lievi cribra cranii e lieve periostite localizzata sulle
diafisi tibiali e femorali. Di grande interesse il recupero di numerosi linfonodi
calcificati di piccole dimensioni, che suggeriscono che il soggetto è stato
affetto di tubercolosi. Per ciò che concerne la temperatura di combustione,
29
attraverso un cromatismo bianco calcinato con macchie grigio scure possiamo
arguire un grado di combustione tra i 600° e i 700° C.
Ricapitolando, si tratta di un individuo femminile, tra i 35 e i 45 anni, affetto da
artrosi e probabilmente da tubercolosi.
Tomba 178
A causa del parziale stato di conservazione del materiale combusto è stato
difficile ottenere dati su eventuali alterazioni patologiche e precise
informazioni sull’età di morte e sul sesso dell’individuo. Tuttavia, alcuni
elementi, quali una forte protuberanza occipitale e un corpo spugnoso ben
compatto, assenza di artrosi e presenza dei denti definitivi, hanno suggerito un
individuo di sesso forse maschile di età di morte tra i 20 e i 29 anni. Il
materiale combusto è caratterizzato da una colorazione variabile che va dal
grigio-nero al bianco calcinato, che associato ad un elevata frammentazione
indica una temperatura di combustione tra i 600 e i 700°C.
Tomba 179
Le piccole dimensioni delle varie ossa e del condilo mandibolare, lo spessore
particolarmente sottile del cranio, lo spessore corticale medio delle diafisi e le
inserzioni muscolari poco marcate, ci hanno suggerito che potrebbe trattarsi di
un individuo di sesso femminile. Le epifisi saldate degli arti superiori e
inferiori, le suture craniali aperte e la presenza dei denti definitivi indicano che
l’età di morte si aggira intorno ai 30-40 anni. Il soggetto presentava delle
inserzioni muscolari mediamente marcate. Da un punto di vista patologico i
cribra cranii sono presenti su pochi frammenti cranici (la presenza di “cribra
cranii”, una porosità localizzata sulla volta cranica, in particolar modo sui
parietali, espressione della cosiddetta iperostosi porotica, condizione
imputabile a quadri anemici). E’ emersa inoltre una traccia di osteofitosi su una
patella destra, che però sembrerebbe non pertinente all’individuo, viste le sue
grandi dimensioni rispetto al resto dei frammenti ossei. L’osteofitosi rientra
30
nelle malattie articolari, trattandosi di una degenerazione delle membrane
sinoviali e della cartilagine articolare, la quale progredisce a tal punto da
determinare un contatto tra le superfici ossee dell’articolazione che produce
l’eburneazione. Le superfici ossee sono caratterizzate da un cromatismo che va
da un prevalente grigio chiaro e scuro, a zone bianche; questa colorazione e
l’elevata frammentazione indicano una temperatura di combustione intorno ai
600-800°C. L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una buona
rappresentatività dei vari distretti per i due 2 strati in cui è stato suddiviso, ha
permesso di chiarire che ritualmente la deposizione delle ossa all’interno
cinerario non ha seguito un ordine ben preciso, ma bensì casuale.
Riassumendo, si tratta di un individuo di sesso femminile, di medie dimensioni,
tra i 30 e i 40 di età. La presenza di una rotula non pertinente e l’epifisi
prossimale dell’ulna sinistra di grosse dimensioni suggeriscono forse la
presenza occasionale di un secondo individuo. Gli altri resti ossei sono
compatibili con un unico soggetto di dimensioni molto piccole.
Tomba 180
Nella tomba 180 è stata rilevata la presenza di due individui, un adulto e un
subadulto. Dalla presenza di un processo zigomatico di piccole dimensioni, da
una corticale diafisiaria e da uno spessore craniale particolarmente sottili, è
stato possibile attribuire il primo individuo (A) al sesso femminile. Del
secondo individuo (B) non è stato possibile determinare il sesso, a causa della
scarsa quantità di materiale osseo. Nell’individuo A la presenza di suture
craniali aperte, di un capitello radiale saldato e di anelli apifisari vertebrali
saldati, ha permesso di stabilire che si tratta sicuramente di un adulto, ma per
l’assenza di frammenti significativi non è stato possibile risalire alla precisa età
di morte. Per quanto riguarda il subadulto, attraverso l’esistenza di alcune
radici appartenenti a denti decidui e in base alle dimensioni delle varie ossa, si
è rilevata un’età di morte compresa tra gli 8 e i 10 anni. Per quanto riguarda le
presenza di patologie, all’individuo A appartengono frammenti cranici
caratterizzati da tracce di cribra cranii (grado 2), nonché frammenti relativi
agli arti inferiori con evidenze di lieve periostite. La periostite è un tipo di
31
alterazione patologica che rientra nel gruppo delle infezioni aspecifiche. Il
periostio è una membrana aderente alla superficie dell’osso e che, a causa di
un’infiammazione, può ossificarsi assumendo un aspetto porotico e spugnoso.
Le superfici ossee dell’adulto sono caratterizzate da un cromatismo che va da
un bianco-grigiastro a un grigio più scuro; questa colorazione, associata alla
media frammentazione, ha suggerito una temperatura di combustione di 500-
600°C. A causa della scarsa conservazione dei resti scheletrici non è possibile
ottenere dei dati sul rituale funerario, ossia sulla distribuzione del materiale
osseo all’interno dell’urna. Comunque, aldilà della parzialità dei resti
scheletrici è stato osservato che i due soggetti sono stati deposti insieme, senza
un ordine prestabilito.
Riassumendo, la presenza di un bambino è testimoniata dalla radice di un
molare deciduo e da diafisi di piccole dimensioni, in particolare le diafisi dei
due radii che per dimensioni non possono collegarsi al capitello di un radio di
dimensioni maggiori. Alcuni frammenti di diafisi erano caratterizzati da un
tessuto spugnoso a trabecole fitte, tipico dei bambini (alcuni frammenti
sembrano appartenere a rotule e ad ossa lunghe). Infine, vari frammenti di
diafisi con tracce di cartilagini di accrescimento, il processo zigomatico molto
piccolo e la presenza di 2 frammenti di rocca petrosa dello stesso lato, ma di
dimensioni diverse, confermano questa ipotesi.
Tomba 181
La presenza di un’arcata sopraorbitaria leggermente marcata, le dimensioni
medio grandi delle varie ossa, una linea aspra femorale particolarmente
robusta, nonché una corticale spessa e uno spessore craniale medio, hanno
permesso di attribuire l’individuo al sesso maschile. Inoltre, l’apertura delle
suture craniali, le epifisi saldate delle falangi, l’assenza di artrosi e la presenza
di una spugnosa ben compatta, hanno suggerito un età di morte tra i 25 e 35
anni. Il soggetto inoltre presentava delle inserzioni muscolari mediamente
marcate. E’ stata rilevata la presenza su pochi frammenti cranici di lieve cribra
cranii, nonché una lieve periostite sulle diafisi tibiali e femorali. Le superfici
ossee presentano un cromatismo che va da un grigio ad un marrone chiaro con
32
zone bianche; la combinazione di questi colori insieme ad una media
frammentazione indicano che la temperatura di combustione si aggirava
intorno ai 500-600°C. L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una
buona rappresentatività dei vari distretti per i due 2 strati in cui è stato
suddiviso, ha permesso di chiarire che ritualmente la deposizione delle ossa
all’interno cinerario non ha seguito un ordine ben preciso, ma bensì casuale.
Riassumendo, si tratta di un individuo maschile, tra i 25 e i 35 anni di età, di
medie dimensioni, affetto da cribra cranii e lieve periostite.
Tomba 182
Attraverso il notevole spessore della diafisi femorale (caratteristica prettamente
maschile), le dimensioni medie del pilastro, lo spessore medio del cranio e le
inserzioni muscolari mediamente marcate (tutti caratteri che possono essere sia
maschili che femminili), è stato supposto che l’individuo potrebbe essere di
sesso maschile. Le suture craniche ancora aperte, le epifisi saldate sia delle
mani che dei piedi, la presenza dei denti definitivi, una spugnosa
particolarmente compatta (che ci indica un’età non tanto avanzata, al di sotto
dei 40 anni) e la presenza di una lieve artrosi, suggeriscono che l’età di morte
di questo individuo era compresa tra i 30 e i 40 anni. Il soggetto presentava
delle inserzioni muscolari mediamente marcate. Oltre alla presenza di artrosi
(lieve lipping artrosico su condilo del femore), sono stati rilevati su alcuni
frammenti cranici lievi cribra cranii (grado 1). Le superfici ossee sono
caratterizzate da un cromatismo che varia dal bianco al grigio scuro; di
particolare interesse la colorazione più scura degli arti inferiori rispetto a quelli
superiori, che lascia supporre che il fuoco al di sotto del cadavere fosse
localizzato verso la parte superiore. Da questi elementi è stato possibile dedurre
che la temperatura di combustione si aggirava intorno ai 400-600°C. Dalla
parzialità del materiale osseo non è possibile rilevare alcuna informazione sulla
deposizione delle ossa nell’urna da un punto di vista rituale.
Riassumendo, si tratta di un uomo tra i 30 e i 40 anni, non particolarmente
robusto, affetto da cribra cranii e artrosi.
33
Tomba 183
La presenza di caratteri prettamente maschili, come un’arcata sopraciliare ben
pronunciata, radici dei denti particolarmente lunghe, una forte protuberanza
occipitale e una marcata inserzione muscolare del calcagno, detta anche
tendine di Achille, hanno testimoniato che si tratta sicuramente di un individuo
di sesso maschile, seppure di medie dimensioni. Inoltre, le epifisi
completamente saldate degli arti superiori e inferiori e alcune tracce di artrosi
sulle articolazioni delle mani e dei piedi, hanno suggerito un’età di morte tra i
30 e i 40 anni. Oltre alla presenza di artrosi sulle falangi delle mani e dei piedi,
nonché sul dente dell’epistrofeo, sul margine del corpo di una vertebra toracica
e su una patella, sono state rilevate tracce di periostite sulle diafisi tibiali e
femorali. Oltre a ciò, è stato osservato un microtrauma sulla prima falange del
piede, forse provocato da una caduta o per motivi legati all’attività lavorativa.
Le superfici ossee sono caratterizzate da un cromatismo che va dal bianco ad
un marrone chiaro, con macchie di colore grigio chiaro e scuro; questa
colorazione, associata ad una media frammentazione, indica una temperatura di
combustione tra i 600 e i 900°C.
L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una buona rappresentatività dei
vari distretti per i due 2 strati in cui è stato suddiviso, ha permesso di chiarire
che ritualmente la deposizione delle ossa all’interno cinerario non ha seguito
un ordine ben preciso, bensì casuale.
Riassumendo, si tratta di un uomo tra i 30 e i 40 anni di età, mediamente
robusto, caratterizzato da un microtrauma sull’alluce del piede (intram vitam,)
e affetto da periostite e artrosi.
Tomba 184
Sono presenti caratteri misti, appartenenti sia ad un individuo di sesso maschile
che femminile, quali linea aspra accentuata ma piccola, processo mastoideo di
medie dimensioni, arco zigomatico tagliente (femminile), condilo mandibolare
spesso (maschile) e rotula di grosse dimensioni (maschile). Dalla presenza di
alcune suture craniche in chiusura possiamo arguire che l’età di morte
34
dell’individuo (o degli individui) oscilla tra i 30 e i 39 anni. Per ciò che
concerne l’attestazione di eventuali patologie, è stata rilevata solo una lieve
presenza di cribra cranii. La superficie ossea è caratterizzata da un cromatismo
che va dal grigio marroncino a tracce di bianco; da questa colorazione unita al
grado di frammentazione anatomica si evince una temperatura di combustione
tra i 600° e i 700° C.
Riassumendo, la maggior parte dei frammenti ossei sembrano appartenere ad
un soggetto di piccole dimensioni e con caratteristiche femminili, mentre
diversi frammenti sono di grandi dimensioni con caratteri maschili. La
presenza due individui non è però confermata dalla presenza di elementi
ripetuti, benché sia probabile e suggerito anche dal peso complessivo dei
frammenti di 1919g.
Tomba 185
Dalle dimensioni mediamente robuste delle varie ossa (carattere sia femminile
che maschile), dalla presenza di radici dentarie particolarmente lunghe
(carattere maschile) e da una testa femorale di 39mm (carattere intermedio), è
stato supposto che si tratti di un individuo di sesso maschile. L’età di morte è
stata rilevata dall’osservazione di alcuni frammenti dell’estremità sternale delle
coste, caratterizzate da una superficie con margini poco regolari e rialzati
rispetto al centro, che indicano un’età tra i 24 e i 30 anni. La presenza di alcune
vertebre toraciche con l’anello epifisiario completamente fuso e privo di tracce
artrosiche, dell’estremità sternale della clavicola che appare non fusa (la
clavicola rispetto alle altre ossa si salda tra i 20 e i 28 anni) e di 2 terzi molari
suggerisce un età di morte tra i 24 e i 30 anni. Inoltre, il soggetto presentava
delle inserzioni muscolari mediamente marcate. Per quanto riguarda le
patologie, è stata osservata la presenza di cribra cranii (grado 1°) su pochi
frammenti cranici, di tracce di periostite sulle diafisi femorali, di tartaro (grado
2°) su alcune radici dentarie, di una carie su un incisivo mandibolare (1C-B) e
di una sorta di appendice alla radice di un premorale mandibolare. Le superfici
ossee presentano un cromatismo caratterizzato in prevalenza da un bianco
calcinato con macchie grigie bluastre; questo grado di colorazione, associato ad
35
una media frammentazione, suggerisce una temperatura di combustione intorno
ai 600-800°C. L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una buona
rappresentatività dei vari distretti per i due 2 strati in cui è stato suddiviso, ha
permesso di chiarire che ritualmente la deposizione delle ossa all’interno
cinerario non ha seguito un ordine ben preciso, bensì casuale.
Riassumendo, si tratta di un soggetto di sesso maschile, tra i 24 e i 30 anni di
età, mediamente robusto, affetto da lievi cribra cranii, periostite e affezione
dento-alveolare.
Tomba 186
Dalle grandi dimensioni delle ossa, nonché dalla corticale diafisiaria
particolarmente spessa, da un condilo mandibolare piuttosto grande e dal
notevole spessore craniale, è stato supposto che si tratta sicuramente di un
individuo di sesso maschile. Inoltre, diverse epifisi saldate degli arti superiori e
inferiori (il cui processo di saldatura si ha tra i 15 e i 25 anni), una spugnosa
della testa omerale ben compatta (individuo giovane), la presenza di un terzo
molare (indica che un individuo ha superato i 20 anni di età), le suture craniali
aperte e alcuni solchi che interessano il piatto vertebrale (tracce che compaiono
oltre i 25 anni di età), hanno suggerito un’età di morte tra i 25 e i 35 anni.
Il soggetto presentava inoltre delle inserzioni muscolari mediamente marcate e
2 ossicini suturali sovrannumerari di piccole dimensioni (piccoli porzioni di
osso che si sviluppano tra le suture craniali). Dal punto di vista paleopatologico
è stata rilevata la presenza di cribra cranii su vari frammenti cranici (grado 2°)
e di una lieve periostite sulle diafisi femorali e tibiali. Le superfici ossee sono
caratterizzate da un colore bianco-grigio chiaro, con zone grigie scure. Questo
grado di colorazione, associato ad una media frammentazione, indica una
temperatura di combustione tra i 500-700°C. Gli arti inferiori sembrano essere
più scuri rispetto a quelli superiori, particolare peraltro già riscontrato nella
T.182, che indica che il fuoco era concentrato maggiormente nella parte
inferiore del corpo. L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una buona
rappresentatività dei vari distretti per i due 3 strati in cui è stato suddiviso, ha
36
permesso di chiarire che ritualmente la deposizione delle ossa all’interno
cinerario non ha seguito un ordine ben preciso, bensì casuale.
Riassumendo, si tratta di un individuo di sesso maschile, tra i 25 e i 35 anni di
età, di medie dimensioni, affetto da cribra cranii e da una lieve periostite.
Tomba 187
La protuberanza occipitale poco pronunciata, l’arcata orbitaria tagliente, il
condilo mandibolare di piccole dimensioni nonché il mento stretto con
andamento a punta e infine una linea aspra particolarmente debole ci
suggeriscono un individuo di sesso femminile. Per quanto concerne l’età di
morte, osservando il corpo spugnoso particolarmente compatto, il processo
coracoide scapolare non sviluppato, l’assenza di artrosi, la presenza di denti
definitivi, nonché la rotula completamente saldata, si evince un’età tra i 20 e i
25 anni. Non è stato rilevato nessun tipo di patologia. Per ciò che riguarda la
temperatura di combustione anche per questa tomba (cromatismo biancastro
con macchie grigie scure) possiamo supporre un grado tra i 600° e i 700°C.
Riassumendo, il soggetto deposto è di sesso femminile, di giovane età ed è
privo di eventuali patologie.
Tomba 188
A causa della scarsa quantità e dell’alta frammentarietà del materiale osseo non
è stato facile determinare in modo preciso sia il sesso che l’età di morte di
questo individuo. Dalle piccole dimensioni delle varie ossa, dallo spessore
corticale e dallo spessore sottile del cranio è stato ipotizzato che si tratti di un
individuo di sesso femminile. Dal capitello radiale saldato, dalle suture craniali
aperte e dalla presenza dei denti definitivi è stato supposto che sicuramente si
tratta di un individuo adulto, caratterizzato inoltre da inserzioni muscolari
mediamente marcate. Da un punto di vista patologico, è stato possibile rilevare
soltanto lievi tracce di cribra cranii su pochi frammenti cranici. Le superfici
ossee sono caratterizzate ad un cromatismo che va dal bianco al grigio chiaro
37
con varie macchie più scure. Questo grado di colorazione suggerisce una
temperatura di combustione tra i 600 e gli 800°C. Dalla parziale presenza di
materiale osseo non è stato possibile ricavare informazioni riguardo la
deposizione delle ossa all’interno dell’urna da un punto di vista rituale.
Riassumendo, si tratta di una donna adulta, di medie dimensioni, affetta da
lievi cribra cranii.
Tomba 189
Le dimensioni particolarmente piccole delle ossa, la presenza di una patella
microscopica e gli spessori piuttosto sottili sia del cranio che della corticale
diafisiaria suggeriscono un individuo di sesso femminile. La presenza inoltre
della cartilagine di accrescimento inoltre su un frammento della cresta iliaca
del bacino, di alcune epifisi delle mani e dei piedi non ancora saldate (distretti
il cui fenomeno di saldatura avviene dai 15 anni in poi), di vari denti definitivi
(la cui eruzione avviene al di sopra dei 13 anni di età), di epifisi prossimali
femorali e tibiali non ancora saldate (la cui saldatura si verifica oltre i 15 anni),
e ancora di suture craniche aperte e coxale sinistro non ancora fuso, testimonia
un’età di morte tra i 13 e i 15 anni. Si tratta dunque di un individuo adolescente
di sesso femminile di dimensioni piccolissime. Dal punto di vista
paleopatologico, solo su un frammento sono stati rilevati cribra cranii. Le
superfici ossee presentano da un cromatismo caratterizzato da un prevalente
bianco grigio, tipo di colore che indica una temperatura di combustione intorno
i 600-900°C. E’ stato possibile osservare che la distribuzione delle ossa
all’interno del contenitore, da un punto di vista rituale non segue un ordine ben
preciso bensì casuale.
Riassumendo, si tratta di un individuo adolescente di sesso femminile di
dimensioni molto piccole.
38
Tomba 190
Dalla presenza di frammenti di dimensioni differenti, quali un frammento
orbitale caratterizzato da margini piatti, spessore corticale diafisario, radici
dentarie assai lunghe e frammenti di grosse dimensioni, è possibile arguire che
probabilmente sono deposti almeno due individui adulti: uno di sesso
femminile e uno di sesso maschile. La presenza di alcune gemme e di denti
decidui ci suggerisce la deposizione anche di un terzo individuo infantile di 6-9
anni di età. Osservando la completa saldatura dell’epifisi, l’assenza di artrosi e
la spugnosa ben compatta il soggetto maschile ha un’età tra i 25 e 35 anni,
mentre l’individuo femminile per le caratteristiche della superficie della sinfisi
pubica ha un età tra i 20 e i 25 anni. Per quanto riguarda eventuali alterazioni
patologiche sono state rilevate sui frammenti ascrivibili al soggetto adulto:
presenza di cribra orbitalia (grado2), cribra cranii (grado 1), tracce di
periostite localizzata sulla diafisi femorale e sul terzo trocantere (maschio).
Degna di nota la presenza di resti ossei faunistici. Le superfici ossee presentano
un cromatismo caratterizzato in prevalenza da un bianco calcinato con macchie
grigie bluastre; questo grado di colorazione, associato ad una media
frammentazione, suggerisce una temperatura di combustione intorno ai 600-
800°C.
Riassumendo, dalle caratteristiche di frammenti sembrano esserci almeno due
individui adulti: il primo con ossa di grosse dimensioni (maschile) tra i 25 e 35
anni di età ed, il secondo di medie e piccole dimensioni (femminile) di 20 e 25
anni. Probabilmente è presente anche un terzo soggetto infantile (gemme e
denti decidui).
Di particolare interessante inoltre la cospicua quantità di materiale scheletrico
faunistico presente insieme ai resti umani combusti.
39
Tomba 191
A causa della scarsa quantità di materiale osseo e per l’assenza di frammenti
significativi, non è stato possibile determinare il sesso dell’individuo contenuto
in questo cinerario. Tuttavia, la presenza di una gemma di un 1° molare
definitivo, della radice di un 2° molare definitivo, di alcune radici di molari
decidui, nonché le dimensioni particolarmente piccole della troclea dell’omero
e le piccole dimensioni delle teste omerale e femorale, evincono un individuo
subadulto con età compresa tra i 6 e i 7 anni di età. Degne di nota la presenza
di lievi cribra cranii su alcuni frammenti cranici, probabilmente legati ad una
maggior vascolarizzazione, poiché si tratta di un soggetto infantile. Le superfici
ossee sono caratterizzate da un colore bianco con molte zone grigie scure.
Questa colorazione indica una temperatura di combustione tra i 500 e i 700°C.
Dalla scarsa presenza di materiale osseo non è stato possibile ricavare
informazioni riguardo la deposizione delle ossa all’interno dell’urna da un
punto di vista rituale. Di grande rilievo la presenza di un elemento estraneo,
una radice di dente di animale, forse legato al soggetto e sacrificato insieme ad
esso, o di residui dei pasti funerari o ancora di offerte rituali.
Riassumendo, si tratta di un bambino tra i 6 e 7 anni di età, anch’esso come la
maggior parte degli adulti, affetto da cribra cranii.
Tomba 192
Per l’assenza di frammenti significativi non è stato possibile determinare il
sesso di questo individuo. Tuttavia, la presenza della troclea omerale non
ancora saldata (la troclea subisce il processo di saldatura tra i 14-18 anni di
età), di alcuni denti definitivi (la cui eruzione avviene al di sopra dei 10 anni) e
del dente dell’epistrofeo saldato (che si salda al di sopra dei 12 anni), hanno
suggerito un’età di morte tra gli 11 e i 14 anni. E’ stato osservato la presenza di
un ossicino suturale soprannumerario. Dal punto di vista paleopatologico, non
è stata rilevata alcuna lesione. Le superfici ossee sono caratterizzate da un
cromatismo bianco calcinato e grigio particolarmente scuro, quasi bluastro.
Questi colori indicano una temperatura di combustione tra i 600 e i 900°C.
40
L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una buona rappresentatività dei
vari distretti per i due 3 strati in cui è stato suddiviso, ha permesso di chiarire
che ritualmente la deposizione delle ossa all’interno cinerario non ha seguito
un ordine ben preciso, bensì casuale. Si è rilevata la presenza di alcuni elementi
estranei, ossia frammenti di diafisi di animale, forse un animale legato al
soggetto e sacrificato insieme ad esso o residui dei pasti funerari o ancora
offerte rituali.
Riassumendo, si tratta di un adolescente (la presenza della fuseruola nel
corredo funerario, suggerisce un soggetto di sesso femminile), privo di
alterazioni patologiche.
Tomba 193
In questo cinerario è stato deposto un individuo di sesso femminile con feto. La
determinazione del sesso è stata ricavata principalmente dalle piccole
dimensioni dei vari distretti anatomici. Un frammento di sinfisi pubica
(caratterizzata da solchi meno evidenti, da un margine dorsale che delimita la
superficie e da estremità superiori ed inferiori non ben delimitate, indicano
un’età tra i 22 e i 26 anni), l’estremità sternale di una costa (con i margini
definiti e ondulati, indicanti 22-28 anni), le varie epifisi degli arti superiori e
inferiori saldate, ad eccezione del grande trocantere del femore che risulta non
saldato (particolare che indica un età tra i 17 e i 20 anni) hanno suggerito
un’età di morte tra i 20 e i 25 anni. Per quanto riguarda il feto, a causa della
scarsità di materiale osseo, non è stato possibile rilevarne l’età. Inoltre
l’individuo (A) presentava delle inserzioni muscolari particolarmente deboli e
alcuni ossicini suturali soprannumerari (fig. 3.1). Le superfici ossee presentano
un colore marrone chiaro con zone bianche. Questo grado di colorazione,
associato all’elevata frammentazione, indica una temperatura di combustione
tra i 500 e i 700°C. L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una buona
rappresentatività dei vari distretti per i due o tre strati in cui è stato suddiviso,
ha permesso di chiarire che ritualmente la deposizione delle ossa all’interno
cinerario non ha seguito un ordine ben preciso, bensì casuale.
41
Riassumendo, frammenti provenienti dai vari distretti risultano appartenenti ad
un individuo adulto, che potrebbe essere stato affetto da nanismo ipofisario,
come si evince dalle piccolissime dimensioni dei resti ossei. Inoltre, l’esistenza
di un feto è testimoniata dalla presenza di due piccole rocche petrose e da una
piccola falangina.
Figura 3.1. Coppie di rocche petrose appartenenti all'individuo A (adulto), e all'individuo B (bambino).
Tomba 194
Dalla linea nucale particolarmente lieve, da un condilo di piccole dimensioni e
dai denti anch’essi di piccole dimensioni possiamo evincere che all’interno del
vaso è stato deposto un soggetto di sesso femminile. L’apertura delle suture
craniali, il grado di saldatura delle epifisi, la presenza di artrosi, nonché di
osteofiti sul calcagno e una superficie auricolare usurata indicano un’età tra i
42
35 e i 45 anni. Per ciò che riguarda la presenza di alterazioni patologiche sono
state rilevate: lieve linea artrosica sul condilo mandibolare, ernie di Schmoirl
su due vertebre toraciche e su una lombare. Sono emerse inoltre tracce di
erosione forse di tipo tubercolare (deduzione rafforzata dalla presenza di due
linfonodi calcificati) su un piatto vertebrale toracica.
Il grado di cromatismo è connotato da una colorazione grigio scuro e da zone
marrone chiaro. Questa colorazione associata ad una bassa frammentazione
suggerisce una temperatura di combustione bassa tra i 300° e i 500°C.
Riassumendo, l’individuo deposto è di sesso femminile tra i 35 e i 45 anni di
età, affetto non solo da artrosi ma anche da tubercolosi.
Tomba 195
Sepoltura con deposizione femminile, come si evince dalla presenza del bordo
orbitario tagliente (carattere tipicamente femminile), arcata sopraciliare non
pronunciata, forma circolare del’orbita e rotula di piccole dimensioni. Dal
grado di saldatura delle epifisi, dall’assenza di artrosi e dall’incompleta
saldatura delle suture craniali è stato possibile arguire un’età di morte tra i 20 e
i 30 anni. Non sono state rilevate tracce di alterazioni patologiche. Le superfici
ossee sono caratterizzate da un cromatismo bruno-grigio con zone bluastre che,
associato ad una frammentazione media, suggerisce una temperatura di
combustione di 645-940°C.
Riassumendo, si tratta di un soggetto femminile di giovane età tra i 20 e 30
anni, non affetto da particolari patologie.
Tomba 196
Sono attestati due individui: il primo è un adulto forse di sesso maschile
(frammenti di medie dimensioni e inserzioni muscolari medie, alcuni
frammenti di grosse dimensioni) tra i 25 e i 35 anni di età (epifisi saldate). Il
secondo è un subadulto il cui sesso non è determinale, di età di morte compresa
43
tra 11 e 15 anni (epifisi non saldate). Non sono state rilevate tracce di
alterazioni patologiche. Per quanto riguarda la temperatura di combustione dal
cromatismo bianco calcinato con macchie scure bluastre, e dalla media
frammentazione ossea è possibile arguire che essa oscilla tra 600 e i 700°C.
Riassumendo, la tomba è connotata dalla deposizione di due soggetti, un adulto
tra i 25 e i 35 anni e un giovane tra gli 11 e 15 anni di età.
Tomba 197
Dalle inserzioni muscolari medie e dall’arco zigomatico posteriore si evince
che è un soggetto di sesso maschile. La presenza di artrosi su un condilo
mandibolare e su una vertebra cervicale, nonché la chiusura delle suture
craniche suggeriscono un età di morte tra i 40 e i 49 anni. Per quanto concerne
le alterazioni patologiche, oltre alle tracce artrosiche (presenti sul condilo
mandibolare e su una falangina), sono state rilevate un’ernia su una vertebra
lombare e tracce di gotta su un metatarsale. Da un cromatismo di colore
marrone con zone grigie associato ad una media frammentazione ossea si
evince una temperatura di combustione tra i 600 e i 700°C.
Ricapitolando, è stato deposto un individuo di sesso maschile di età adulta,
affetto da gotta.
Tomba 198
Le piccole dimensioni dei frammenti ossei, le epifisi non saldate, la presenza di
cartilagini di accrescimento su alcune epifisi, nonché le suture craniche aperte,
suggeriscono che si tratti di un individuo di sesso forse femminile ,di età di
morte tra i 12 e i 15 anni. Degna di nota la presenza di un ossicino sesamoide
che, è un carattere ereditario. All’interno del materiale combusto sono stati
rilevati diversi resti di animali di piccole dimensioni. Il cromatismo che
caratterizza la superficie dei frammenti ossei è di colore bianco calcinato con
diverse macchie nere bluastre, la tipica colorazione provocata da una
temperatura di combustione di 500-700°C.
44
Per riassumere brevemente possiamo dire che si tratta di un individuo di
giovane età, probabilmente di sesso femminile, privo di varie alterazioni
patologiche e connotato da un ossicino sesamoide, elemento ereditario.
Tomba 199
La presenza di radici dentarie particolarmente piccole (carattere puramente
femminile), dell’inizio del processo zigomatico posto anteriormente rispetto al
meato acustico (altro carattere prettamente femminile, nei maschi è posteriore),
lo spessore medio del cranio, le dimensioni piccole del dente dell’epistrofeo e
la corticale sottile hanno suggerito un individuo di sesso femminile. Le suture
craniali aperte, le epifisi degli arti superiori e inferiori saldate e la presenza di
osteofitosi su una patella e sulla tuberosità del calcagno, detto anche tendine di
Achille, hanno testimoniato un’età di morte compresa tra i 25 e i 35 anni. Il
soggetto presentava delle inserzioni muscolari mediamente marcate. Oltre alla
presenza di un ossicino sovrannumerario (piccole porzioni di osso che si
sviluppano tra le suture craniali), è da segnalare un frammento di vertebra di
dimensioni troppo piccole rispetto a tutto il resto. Su alcuni frammenti sono
stati rilevati dei lievi cribra cranii, mentre una radice di molare risulta distrutta
da carie. Le superfici ossee sono caratterizzate da un cromatismo bianco e
grigio, con zone più scure. Questo grado cromatico, associato ad una bassa
frammentazione, ha suggerito una temperatura di combustione tra 600 e 700°C.
Dalla parziale presenza di materiale osseo non è stato possibile ricavare
informazioni riguardo la deposizione delle ossa all’interno dell’urna da un
punto di vista rituale.
Riassumendo, si tratta di un soggetto di sesso femminile di età tra i 25 e i 35
anni, di medie dimensioni, affetto da lievi cribra cranii e da affezione dento-
alveolare.
45
Tomba 200
Dalla troclea omerale di piccole dimensioni, dal capitello radiale anch’esso di
piccole dimensioni, dalla forma circolare dell’orbita e dalla testa omerale di
dimensioni minori, possiamo arguire che si tratti di un individuo di sesso
femminile. La presenza di artrosi su due vertebre cervicali e dei denti definitivi
(con radici ricurve), ci permettono di risalire all’età di morte intorno ai 30-39
anni. A parte le tracce artrosiche, non state rilevate altre alterazioni
patologiche. Anche per questa sepoltura si deduce una temperatura di
combustione tra i 600 e i 700°C.
Riassumendo, si tratta della deposizione di individuo femminile di età di morte
tra i 30 e i 39 anni, non affetto da particolari patologie (eccetto l’artrosi).
Tomba 202
Dalla presenza di frammenti diafisari femorali particolarmente robusti, dalla
linea nucale ben evidente e dalle dimensioni medio-grandi del ramo
mandibolare è stato possibile arguire che si tratta di un soggetto di sesso
maschile. Le tracce di artrosi (su un frammento di atlante e su una falange,
nonché su una vertebra cervicale) e le inserzioni alquanto rugose delle suture
aperte suggeriscono un età di morte tra i 30 e i 39 anni. Oltre alla presenza di
artrosi sono state rilevate tracce di periostite su alcuni frammenti femorali. Il
materiale combusto è caratterizzato da una colorazione variabile che va dal
grigio-nero al bianco calcinato che, associato ad un elevata frammentazione,
indica una temperatura di combustione tra i 600 e i 700°C.
Ricapitolando, nella tomba è deposto un soggetto di sesso maschile di età
adulta, affetto da una lieve periostite e da artrosi.
Tomba 205
Attraverso la presenza di un frammento di orbita caratterizzata da una forma
circolare con andamento tagliente (carattere prettamente femminile), di un
46
processo mastoideo, di un condilo mandibolare di piccole dimensioni e del
dente dell’epistrofeo di dimensioni particolarmente piccole, di uno spessore del
cranio piuttosto sottile, è stato possibile attribuire il sesso femminile a questo
individuo. Inoltre, le suture craniali ancora aperte, l’epifisi distale dell’ulna
saldata (l’estremità distale dell’ulna nelle femmine si salda tra i 16 e i 21 anni),
la cresta iliaca ancora non saldata (si salda tra i 21 e i 24 anni), e le epifisi delle
falangi sia delle mani che dei piedi saldati (processo di saldatura tra i 16-20
anni) hanno suggerito un età di morte tra i 17 e i 20 anni. Nel complesso le ossa
sono di piccole dimensioni, con inserzioni muscolari poco marcate; questi
particolari confermano che i resti appartenessero ad un adolescente o
comunque ad un giovane, anche se alcuni frammenti della tibia e di femore
sono caratterizzati da un forte spessore della corticale. Sono state diagnosticate
varie patologie su diversi frammenti: tracce di cribra orbitalia nell’orbita
destra (grado 2°), cribra cranii su alcuni frammenti cranici e una lieve
periostite sulle diafisi tibiale e femorale. Le superfici ossee sono caratterizzate
da un cromatismo bianco grigio con varie zone di color marrone chiaro. Questo
grado cromatico associato ad una media frammentazione indica una
temperatura di combustione tra 500 e 800°C L’analisi del materiale osseo,
caratterizzato da una buona rappresentatività dei vari distretti per i due o tre
strati in cui è stato suddiviso, ha permesso di chiarire che ritualmente la
deposizione delle ossa all’interno cinerario non ha seguito un ordine ben
preciso, bensì casuale. E’ stata infine rilevata la presenza di un frammento di
costa e di un dente di animale, forse legato al soggetto e sacrificato insieme ad
esso. Questo è il terzo caso, oltre alla T.191 e alla T.192, in cui sono state
rilevate tracce di ossa animali in cinerari di bambini o adolescenti.
Riassumendo, si tratta di una giovane donna, tra i 17 e i 20 anni di età, di
piccole dimensioni, affetta da cribra cranii e orbitalia, nonché da una lieve
periostite.
Tomba 208
Un frammento di condilo mandibolare particolarmente piccolo, alcune radici
dentarie di dimensioni piccole e l’inizio del processo zigomatico posto
47
anteriormente rispetto al meato acustico (tutti particolari prettamente
femminili), hanno suggerito che questo individuo fosse di sesso femminile.
L’età di morte, che si aggira tra i 25 e i 35 anni di età, è stata determinata
attraverso l’osservazione di un frammento dell’estremità sternale di una costa,
caratterizzata dai margini piuttosto regolari e rialzati rispetto al centro della
superficie (25-35 anni). Inoltre, una vertebra con l’anello epifisario
completamente fuso (20-29 anni), le epifisi sia degli arti superiori che inferiori
completamente fuse (soggetto adulto) e l’assenza di artrosi, confermano che si
tratta di un individuo di età non avanzata. Il soggetto presentava inoltre, delle
inserzioni muscolari decisamente poco marcate, una corticale mediamente
spessa, e un ossicino suturale sovrannumerario. Di grande interesse la presenza
di varie alterazioni patologiche. Sono state osservate lievi tracce di periostite
sulla diafisi tibiale, forti tracce sempre di periostite su 2 frammenti di coste, 1
carie sulla radice di un dente anteriore. Per quanto concerne le inserzioni
muscolari, è stata rilevata la presenza di un’entesopatia (per entesopatia si
intende un’erosione e/o ossificazione dell’inserzione, causata da movimenti
intensi e ripetuti, forse legati all’attività lavorativa). Le superfici ossee
presentano un cromatismo grigio chiaro, marrone chiaro, con zone bianche; gli
arti inferiori presentano macchie molto più scure di colore grigio-nero. Questo
tipo di colorazione indica un temperatura di combustione tra i 500 e i 700°C.
L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una buona rappresentatività dei
vari distretti per i due 2 strati in cui è stato suddiviso, ha permesso di chiarire
che ritualmente la deposizione delle ossa all’interno del cinerario non ha
seguito un ordine ben preciso, bensì casuale.
Riassumendo, si tratta di una donna tra i 25 e i 35 anni di età, di medie
dimensioni, affetta da periostite, entesopatia e affezione dento-alveolare.
Tomba 210
La linea aspra particolarmente pronunciata, una nucale accentuata e un condilo
mandibolare medio grande, suggeriscono un individuo di sesso forse maschile,
la cui età di morte è tra i 40 e i 50 anni (presenza di artrosi e suture in parziale
saldatura). Per quanto concerne le alterazioni patologiche, sono state rilevate
48
tracce di lieve periostite su un femore e artrosi su due vertebre lombari e
cervicali. Dalla media frammentazione ossea associata ad un cromatismo di
colore grigio scuro con zone marroni si evince una temperatura di combustione
tra i 300 e i 500°C.
Riassumendo, si tratta di un individuo di sesso maschile di età avanzata,
connotato da frammenti di medie e grandi dimensioni e forti rilievi muscolari,
in parte dovuti all’età.
Tomba 211
A causa della scarsa quantità ed elevata frammentazione del materiale osseo
(presenti solo 5 gr di frammenti ossei non identificabili) non è stato possibile
determinare né il sesso né l’età di morte dell’individuo, e neppure rilevare
alcuna alterazione patologica. L’unica informazione che è stato possibile
ricavare è la temperatura di combustione che risulta compresa tra i 500 e i 700
C°, come si deduce dal colore grigio chiaro-scuro, con zone bianche, dei
frammenti ossei.
Tomba 217
E’ una sepoltura con deposizione di un individuo di sesso forse maschile, ciò è
suggerito dallo spessore robusto delle diafisi e dai denti mediamente lunghi.
Dalle epifisi non saldate, dalle suture craniche aperte, dal processo acromiale
non saldato, da un molare deciduo e infine dalla presenza dei denti con le radici
non chiuse, è possibile inquadrare il soggetto in un età di morte tra i 10 e i 14
anni. Per quanto riguarda eventuali alterazioni patologiche, è stata rilevata la
presenza di osteomielite (tracce in alcuni punti degli arti inferiori). Anche per
questa sepoltura la temperatura di combustione è tra i 600-700°C.
Ricapitolando, si tratta di un soggetto di sesso maschile di età di morte tra i 10
e i 14 anni, affetto da osteomielite.
49
Tomba 237
Anche per la tomba 237 a causa della scarsità ed elevata frammentarietà del
materiale osseo non è stato possibile ricavare informazioni sul sesso e rilevare
alterazioni patologiche, ad eccezione di un trauma su una piccola falange.
Tuttavia, la presenza di una gemma dentaria, di alcune radici di denti decidui e
la dimensione delle ossa hanno suggerito un’età di morte tra i 2 e i 3 anni
(essendo un bambino, anche con una maggior quantità di materiale anatomico,
non sarebbe stato possibile determinare il sesso). Da notare la presenza di una
trauma su una piccola falange. Il cromatismo bianco con zone grigie bluastre
ha indicato una temperatura di combustione tra i 600 e gli 800°C (da osservare
che essendo un bambino, le ossa bruciano più velocemente anche ad un
temperatura di combustione più bassa). Dalla scarsa presenza di materiale
osseo non è stato possibile ricavare informazioni riguardo la deposizione delle
ossa all’interno dell’urna da un punto di vista rituale.
Concludendo, il contenuto era parziale a causa del collasso del vaso funerario,
che ne ha provocato la fuoriuscita dal contenitore. Si sono conservati pochi
frammenti tutti di piccole dimensioni e compatibili con lo scheletro di un
bambino.
Tomba 238
Attraverso l’osservazione del processo mastoideo che risulta particolarmente
piccolo (carattere femminile), dell’inizio del processo zigomatico in posizione
anteriore rispetto al meato acustico, di una linea aspra (femorale) poco
pronunciata e di una corticale diafisiaria piuttosto sottile (tutti caratteri
prettamente femminili) è stato possibile determinare il sesso, che è risultato
femminile. La presenza delle epifisi degli arti sia superiori che inferiori saldate,
delle suture craniali aperte e dei denti definitivi ha suggerito un’età di morte
intorno ai 40 anni. Il soggetto presentava inoltre delle inserzioni muscolari
particolarmente lievi. Di grande interesse è stato il rinvenimento di un
linfonodo calcifico di forma più o meno sferica, di 9 mm di diametro, ben
compatto. Questa formazione si presenta come una concrezione calcarea ossea,
50
la cui calcificazione può rappresentare una risposta ad un’infiammazione di
tipo tubercolare. Le superfici ossee sono caratterizzate da un colore marrone
chiaro, con zone bianche. Questo grado cromatico, associato ad un’elevata
frammentazione, indica una temperatura di combustione tra i 500 e i 600°C.
L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una buona rappresentatività dei
vari distretti per i due 3 strati in cui è stato suddiviso, ha permesso di chiarire
che ritualmente la deposizione delle ossa all’interno cinerario non ha seguito
un ordine ben preciso, bensì casuale.
Concludendo, si tratta di un soggetto di sesso femminile che, pur essendo un
adulto, è di dimensioni molto piccole. La presenza del linfonodo calcifico (fig.
3.2) testimonia che probabilmente l’individuo è stato affetto da tubercolosi.
Tomba 239
Dalla linea nucale dell’occipitale che risulta ben evidente, senza però rilievi
muscolari marcati (grado che può essere sia maschile ma anche femminile),
dalle teste femorali particolarmente grandi, dal dente dell’epistrofeo piuttosto
spesso, dalla troclea omerale anch’essa spessa (caratteri maschili), si è
supposto che si tratti di un individuo di sesso maschile. Tuttavia, la presenza di
due particolari quali un condilo mandibolare di dimensioni piccole e una linea
aspra non molto marcata (caratteri puramente femminili), hanno messo in
dubbio i risultati relativi alla determinazione del sesso. Le epifisi
completamente saldate, una vertebra toracica con l’anello totalmente fuso
(adulto), e la presenza di una lieve artrosi sulle ossa delle mani e dei piedi (non
giovanissimo) hanno suggerito un’età di morte tra i 30 e i 40 anni. Per quanto
riguarda i caratteri discontinui, è stata rilevata la presenza di 5 ossa suturali
sovrannumerarie, mentre le inserzioni muscolari mostrano un medio grado di
sviluppo.Oltre all’esistenza di artrosi su un corpo vertebrale cervicale, è stato
rilevato un’entesofita sulla tuberosità del calcagno, detto anche tendine di
Achille. Inoltre, è stata rilevata una cospicua quantità di linfonodi calcifici che,
rispetto alla tomba 238, da un punto di vista quantitativo erano numerosi, di
piccole dimensioni e caratterizzati da un corpo non compatto, bensì con varie
trabecole, assumendo un aspetto quasi spugnoso. La presenza dei numerosi
51
linfonodi calcifici testimonia che probabilmente l’individuo è stato affetto da
tubercolosi. Per quanto riguarda i caratteri discontinui, è stata rilevata la
presenza di 5 ossa suturali sovrannumerarie. Le superfici ossee presentano un
colore bianco, grigio chiaro, con varie zone più scure, quasi nere. Questo grado
cromatico, associato ad una media frammentazione, indica una temperatura di
combustione intorno ai 500-700°C. L’analisi del materiale osseo, caratterizzato
da una buona rappresentatività dei vari distretti per i due o tre strati in cui è
stato suddiviso, ha permesso di chiarire che ritualmente la deposizione delle
ossa all’interno del cinerario non ha seguito un ordine ben preciso, bensì
casuale.
Concludendo, si tratta di un soggetto adulto che, pur essendo di sesso maschile,
risulta di medie dimensioni e affetto da cribra cranii e artrosi; la presenza dei
linfonodi calcifici testimonia che fu colpito da tubercolosi.
Figura. 3.2. Linfonodo calcifico di forma più o meno sferica, di 9 mm di diametro (T.238).
52
Capitolo 4
Risultati
4.1 Profilo demografico
L’esame antropologico ha evidenziato un numero minimo di 38 individui
contenuti in 34 urne. Quasi tutti i cinerari sono deposizioni singole, tranne in
cinque casi (T.180, T.184, T.190, T.193, T.196) in cui un individuo adulto era
deposto insieme ad un bambino (la tomba 190 è l’unica che ha restituito tre
individui, di cui due adulti, uno di sesso femminile, l’altro di sesso maschile e un
bambino). Nella tabella 1 è riportata la suddivisione del campione per sesso e per
classi di età; la diagnosi di sesso è stata effettuata sia su base archeologica che
antropologica. Sono stati individuati 16 maschi e 18 femmine, mentre per 4
soggetti non abbiamo dati certi per il sesso, in quanto si tratta di soggetti infantili
che non hanno ancora sviluppato caratteristiche scheletriche dimorfiche. Il
rapporto tra i due sessi è leggermente è bilanciato e simile a quello delle
popolazioni attuali (Hernandez, 2006). E’ possibile osservare inoltre che la fascia
di età in cui si ha la mortalità più elevata è quella adulta (30-39 anni), seguita
dalla fascia giovanile (20-29 anni). La mortalità infantile, risulta piuttosto elevata,
in quanto il 16,2% degli individui è morto prima dei 13 anni: il 6,7% risulta
deceduto prima dei 6 anni, il 6,7% tra 7 e 12 anni. Tra gli adolescenti (tra i 13 e i
19 anni) il 13,3% è rappresentato dalle femmine e il 6,7% dai maschi:
complessivamente il 27% del campione è deceduto prima di raggiungere l’età
adulta. La figura 7.1 riporta la distribuzione dell’età di morte tra i vari individui a
sessi separati. La mortalità femminile è più elevata nella fascia tra i 13-19 e tra i
20-29 anni, mentre nei maschi la mortalità più alta è nella fascia tra i 30-39 anni.
La maggior parte degli uomini raggiungeva età più avanzate rispetto alle donne,
che probabilmente morivano a causa di complicanze legate alla gravidanza e al
parto. L’assenza di soggetti di età superiore ai 40 anni può essere dovuta alla
difficoltà di applicare i metodi per la diagnosi d’età sulle ossa combuste.
Interessante notare che la maggior parte dei soggetti che non hanno ancora
raggiunto l’età adulta sono di sesso femminile (solo per quattro individui non è
stato possibile determinare il sesso) con quella desunta dai corredi. E’ stato
53
possibile effettuare il confronto per 19 soggetti e la diagnosi antropologica è
risultata corretta in 18 casi.
Considerando il fatto che si tratta di resti cremati, il 94,7% di diagnosi corrette
non solo conferma l’affidabilità delle metodologie applicate, ma indica un forte
dimorfismo sessuale all’interno della popolazione, soprattutto nelle dimensioni e
nella robustezza delle ossa, principali indicatori di sesso utilizzati per la diagnosi.
In 3 casi (bambini) non è stato possibile rilevare il sesso antropologico mentre è
stato determinato in base ai corredi. Su 12 soggetti i dati archeologici non ci
hanno suggerito il sesso, tuttavia è stato possibile rilevarlo in base all’esame
antropologico. Infine, su 4 casi di bambini non è stato possibile evincere il sesso
né attraverso i dati archeologici né attraverso quelli antropologici.
Tabella 1. Suddivisione del campione per classe di età e per sesso
età maschi femmine indet. totali %(n=35)
0-1 0 1 1 2 5,7
2-6 0 1 0 1 2,9
7-12 0 1 2 3 8,6
13-19 1 3 1 5 14,3
20-29 2 5
7 20,0
30-39 9 4
13 37,1
40-49 3 1
4 11,4
50+
0 0,0 adulti n.d. 1 2
3
totali 16 18 4 38 % (n=38) 42,1 47,4 10,5
% (n=34) 47,1 52,9
giovani< 19 anni - 11:38= 28,9%
bambini < 13 anni - 6:38= 15,8%
54
Figura 4.1. Confronto dei due sessi, suddivisi in classi di età
0
10
20
30
40
50
60
70
0-1 2-6 7-12 13-19 20-29 30-39 40-49 50+
Distribuzione dei due sessi in intervalli d'età
%M
%F
55
4.2 Analisi quantitativa
Nella tabella 2 sono riportati i pesi medi di ciascun distretto anatomico,
relativamente agli individui sia adulti sia subadulti contenuti nelle urne a
deposizione singola (i cinerari a deposizione bisoma non sono stati considerati),
assieme ai valori minimi, massimi e alla deviazione standard (DS).
Tabella 2. Peso medio di ciascun distretto anatomico, diviso per sesso.
peso medio dei soggetti adulti di sesso maschile è di 1254,8g, quello degli
individui adulti di sesso femminile è di 1061,1g, mentre per i bambini il peso
medio risulta di 142g e infine per gli adolescenti di 721g. Nei soggetti adulti è
stata osservata una elevata variabilità da un cinerario all’altro, probabilmente a
causa del fatto che non tutti i cinerari erano intatti e completi.
Secondo studi, effettuati su cremazioni moderne, il peso totale dei resti ossei di
un individuo adulto è in media 2288g per gli uomini e 1550g per le donne
(Mays, 1998). Perciò il contenuto medio dei cinerari esaminati è inferiore alla
media delle cremazioni moderne, ciò in parte è dovuto al fatto che quest’ultime
vengono effettuate in forni crematori dove è possibile raccogliere tutti i resti
della combustione, inoltre, neo resti di interesse archeologico, parte dei resti
vanno dispersi a causa di fattori post deposizionali e diagenetici.
Nel grafico (fig. 4.2) sono rappresentate le frequenze di peso in percentuale
rispetto al peso totale dei diversi distretti anatomici negli adulti e negli
FEMMINE MASCHI INF 0-6 ADOL 13-19
n. di individui 9 13 3 5
CRANIO 180,8 218,1 49,3 147,8
ARTI SUPERIORI 169,7 190,7 36 118,6
ARTI INFERIORI 246,6 316,6 3,7 158
MANI PIEDI 66,1 74,8 3 53
TRONCO 116 183,9 12,3 94,6
INDETERMINATI 282 270,6 37,7 149
TOTALE 1061,1 1254,8 142 721
Peso minimo 554 526 50 411
Peso massimo 1499 1973 282 915
DS 332,5 421,6 123,2 191,8
56
adolescenti. Il grafico mostra una grande uniformità nei vari distretti
scheletrici. Ciò significa che ogni distretto è rappresentato con la stessa
percentuale, indipendentemente dal sesso o dall’età, e che, quindi, non sono
state fatte selezioni intenzionali o rituali nella raccolta dei resti dopo la
cremazione.
Figura 4.2. Distribuzione percentuale dei diversi distretti scheletrici in maschi e femmine adulti e negli adolescenti (tra 13-19 anni).
L’assenza di una selezione preferenziale, nella raccolta dei resti di una parte
del corpo rispetto all’altra si evidenzia ancora nei confronti delle frequenze di
peso tra gli individui adulti di Via Marche e quelle calcolate su materiale
anatomico moderno, riprese dalle tabelle pubblicate da Silvia et al (2009), che
riportano il peso percentuale di ciascun osso rispetto al peso totale dello
scheletro (fig. 4.3). In questo confronto è stato osservato che la
rappresentazione relativa dei diversi distretti segue quella di uno scheletro
normale, ad eccezione della categoria degli arti superiori e del tronco. Per
quest’ultimo, ciò può essere dovuto alla maggiore fragilità di questa parte del
corpo rispetto alle altre; è noto comunque che anche tra gli inumati il cinto
0
5
10
15
20
25
30
35
cranio arti sup arti inf mani piedi tronco
Distribuzione percentuale del peso dei diversi distretti scheletrici
%F
%M
%SUB
57
scapolare e pelvico, le vertebre e le coste, sono generalmente le ossa che si
conservano peggio.
Figura 4.3. Percentuali del peso di ciascun distretto scheletrico rispetto al peso
totale nel campione adulto di via Marche, Confrontato con quello elaborato dal campione CEI (Portuguese identified Skeletal Collection, Silva et al. 2009).
Nelle figure che seguono (fig. 4.4, 4.5, 4.6) è rappresentata la distribuzione in
percentuale dei pesi dei diversi distretti, distinti in tre classi (maschi e femmine
adulti e adolescenti), e suddivisi in due settori dell’urna. Benché il microscavo
stratigrafico del contenuto abbia previsto la suddivisione della parte contenente
ossa in almeno tre strati, questi sono stati raggruppati in due nuclei di simile
spessore: il primo rappresenta la porzione superiore del vaso, mentre il secondo
quello inferiore, posta alla base del cinerario. Si può osservare, che i diversi
distretti scheletrici dei soggetti adulti sono ugualmente rappresentati in
entrambi i settori: questo suggerisce che non vi sia stata una selezione
preferenziale nella sequenza di deposizione dei resti scheletrici all’interno del
cinerario, sia per gli uomini che per le donne. Negli adolescenti vi è una
leggera differenza tra i due strati: in quello superiore gli arti sono
maggiormente rappresentati rispetto alla porzione inferiore. Visto il ridotto
campione degli adolescenti sul quale sono state calcolate le frequenze, è
possibile che ciò sia da attribuire a fluttuazioni casuali piuttosto che a
comportamenti rituali nella deposizione dei resti.
0
5
10
15
20
25
30
35
cranio arti sup arti inf mani piedi tronco
Distribuzione percentuale del peso dei diversi
distretti scheletrici
%F
%M
%SUB
CEI
58
Figura 4.4. Distribuzione percentuale del peso dei vari distretti suddivisi in due
settori (parte alta e bassa dell'urna), nei maschi adulti.
Figura 4.5. Distribuzione percentuale del peso dei vari distretti scheletrici suddivisi in due parti (zona alta e bassa dell'urna), nei soggetti adulti femminili.
0
5
10
15
20
25
30
35
cranio arti sup arti inf mani piedi tronco
Distribuzione percentuale del peso dei diversi distretti scheletrici negli UOMINI ADULTI
alto
basso
0
5
10
15
20
25
30
35
cranio arti sup arti inf mani piedi tronco
Distribuzione percentuale del peso dei diversi distretti scheletrici nelle DONNE
ADULTE alto
basso
59
Figura 4.6. Distribuzione percentuale del peso dei diversi distretti anatomici, suddivisi in due settori (parte alta e bassa dell'urna), negli adolescenti.
Figura 4.7. Peso totale dei resti cremati divisi per i tre gruppi (maschi/femmine adulti e subadulti).
0
5
10
15
20
25
30
35
cranio arti sup arti inf mani piedi tronco
Distribuzione percentuale del peso dei diversi distretti scheletrici negli
ADOLESCENTI alto
basso
F 33%
M 56%
SUB 11%
Distribuzione percentuale del peso dei resti cremati (tot: 29,1 kg)
60
4.3. Temperatura di combustione e grado di
frammentazione
La tipologia di deformazione e frammentazione dei resti ossei combusti indica
che i corpi dei defunti erano sottoposti alla cremazione subito dopo la morte o
almeno quando ancora conservavano tessuti molli e masse muscolari. I resti
presentano infatti uno o più dei tipici effetti “S”, “U”, “LD” (Reverte Coma,
1996). L’effetto “S” (“sandwich”) si ha quando la diploe, protetta dai tavolati
esterno ed interno, subisce un’azione ridotta del calore e presenta, di
conseguenza, una colorazione diversa. L’effetto “U” (fig. 4.8) si manifesta con
fratture trasversali di forma ellittica, localizzate sulle ossa lunghe, note anche
con il nome di “fratture concoidi”. Il cosiddetto effetto “LD” (fig. 4.9) consiste
in un insieme di piccole fratture poligonali, una sorta di fitto mosaico, che
interessa in particolar modo le radici dentarie ed il tavolato cranico. La
presenza di questa varietà di fratture e di deformazioni, nonché la riduzione in
volume, suggeriscono che l’osso al momento della combustione era ancora
ricoperto dai tessuti molli (Reverte Coma, 1996). Il livello di frammentazione
dei resti scheletrici è, in genere, piuttosto alto; infatti il 45% dei resti presenta
un forte livello di frantumazione ed il 50% un livello medio, mentre solo il 5%
è caratterizzato da un basso grado di frantumazione. Per quanto riguarda il
rapporto tra il colore dei frammenti e la temperatura di combustione, il
campione mostra una colorazione piuttosto omogenea, con tonalità dal marrone
e marrone chiaro (400-500°C), al bianco gesso con sfumature grigio-bluastro
chiaro e grigio chiaro (600-800°C). Quindi, la temperatura media di
combustione per ciascun cinerario è quasi sempre compresa tra 500-700°C.
Alcuni distretti scheletrici sono stati sottoposti maggiormente all’azione del
fuoco, consentendo in tal modo di formulare ipotesi sulla disposizione del
cadavere. Ad esempio in alcuni casi il settore degli arti inferiori e quello
mani/piedi risulta di un colore bianco calce con macchie grigie bluastre; da
questa tonalità si può ragionevolmente ipotizzare che la sorgente di calore
fosse disposta a di sotto del corpo che giaceva supino sulla pira con le estremità
inferiori lontane da questa e quindi meno interessate dall’azione del fuoco. I
cromatismi osservati sui reperti ossei indicano che, nella maggior parte dei
casi, durante la cremazione del cadavere è stata raggiunta una temperatura di
61
combustione di circa 600-700°C, con variazioni non particolarmente
significative nei diversi distretti scheletrici.
Figura 4.8. L'effetto "U", fratture trasversali localizzate sulle ossa lunghe, note anche con il nome di “fratture concoidi”.
Figura 4.9. L'effetto "LD", piccole fratture di forma poligonali.
62
4.4 Alterazioni scheletriche di tipo funzionale e
patologico
E’ stato possibile osservare alcune impronte lasciate dalle inserzioni muscolari
e valutarne il grado di espressione. Nella tabella 3 sono riportati i gradi di
sviluppo delle inserzioni muscolari negli adulti di entrambi i sessi; i risultati
indicano che gli uomini avevano una muscolatura più sviluppata rispetto alle
donne, probabilmente in relazione ad una attività fisica o lavorativa più dura e
faticosa.
F %F M %M
deboli 6 46,2 4 28,6
medie 7 53,8 9 64,3
forti 0 0,0 1 7,1
tot 13 14
Tabella 3. Distribuzione del grado di sviluppo delle inserzioni muscolari negli adulti di entrambi i sessi
Malgrado l’elevata frammentarietà è stato possibile rilevare alcune alterazioni
scheletriche riconducibili ad episodi di stress nutrizionale o a malattie. Nella
tabella 4 sono riportate le principali patologie ossee osservate. Solo in 4
individui adulti (2 femmine e 2 maschi) sono state osservate patologie
dentoalveolari, quali carie e perdite dentarie in vita. Questa scarsa presenza è
legata al fatto che l’azione del fuoco sui denti è distruttiva; infatti, a causa della
differenza di densità tra smalto e dentina, le corone dei denti esplodono anche a
temperature non particolarmente elevate. Così le patologie dentoalveolari
osservabili rimangono principalmente quelle che colpiscono le radici o il
colletto del dente e, in alcuni casi, gli alveoli. L’iperostosi porotica si presenta
come porosità diffusa sulla teca cranica e sul tetto dell’orbita; solo nel primo
caso è stato possibile rilevarla in modo sistematico, valutando, cioè, sia la
presenza che l’assenza (allo scopo di effettuare delle frequenze), poiché l’osso
della volta cranica si conserva meglio delle orbite. E’ stato rilevato che
l’iperostosi porotica, in forma di cribra crani,i colpisce il 75% degli individui
63
osservati, quasi sempre in forma lieve, con frequenze leggermente più alte
negli uomini (83,3%) rispetto alle donne (75%). I cribra orbitalia sono stati
rilevati solo in un individuo di sesso femminile di età tra i 17 e i 20 anni.
Questa alterazione può essere considerata un indicatore di stress aspecifico
legato ad anemie di diverso genere spesso in relazione con un discreto carico
patogeno ambientale (Hengen 1971, Walker et al. 2009). Nove soggetti (6
maschi e tre femmine) mostrano tracce di periostite (infiammazione del
periostio) localizzata sulle diafisi delle ossa lunghe degli arti inferiori,
probabilmente correlata a microtraumi. E’ attestato solo un caso di osteomielite
in un ragazzo tra gli 11 e i 14 anni d’età. Segni di artrosi sono stati osservati in
vari individui soprattutto di sesso maschile, prevalentemente a livello
vertebrale e probabilmente riconducibili a stress meccanico legato ad attività
fisica, mentre indicazioni dirette di stress funzionale e traumatico, come
microfratture, sono state riscontrate solo in un uomo adulto. In quattro soggetti
sono state rilevate alcune varianti anatomiche di origine genetica, quali ossicini
cranici suturali accessori. Tra i resti di quattro individui adulti (un maschio e
tre femmine) sono state rinvenute concrezioni calcaree identificate come
linfonodi calcifici. La calcificazione dei linfonodi può rappresentare una
risposta ad un’infiammazione di tipo tubercolare. Infine, è emerso un caso di
gotta, su un individuo di sesso maschile di età avanzata tra i 40 e i 49 anni (T.197).
4.5 Confronti con altre necropoli a cremazione
La possibilità di effettuare confronti con altre serie scheletriche della stessa
epoca è fortemente limitata dalla scarsità di studi antropologici sui resti dei
cremati, soprattutto per quanto concerne le necropoli villanoviane dell’Etruria
propria. In questa sede considereremo alcune necropoli provenienti da varie
zone e, ascrivibili a diversi orizzonti cronologici, per le quali possediamo dati
sufficientemente dettagliati: la necropoli di Ameglia (IV-III secolo a.C.)
(Minozzi, 2005), l’area cimiteriale del Pozzillo (XIV-XII secolo a.C.)
(Minozzi, 2005) e, il sepolcreto di Morano sul Po (XI-X secolo a.C.) (Bedini,
2006). Nella figura 4.8 sono riportate le percentuali delle frequenze relative
alle tre fasce di età (bambini, adolescenti e adulti), afferenti ai diversi
sepolcreti. Nella necropoli di Via Marche rispetto agli altri siti sono ben
64
rappresentati i subadulti, in particolare gli adolescenti (27%), a seguire la
necropoli di Pozzillo 22,6%, Ameglia 4% e infine Morano sul Po che risulta
del tutto composta da individui adulti (83%).
Figura 4.8. Distribuzioni per classi di età in via Marche, a confronto con le necropoli di Pozzillo, Morano e Ameglia.
Nella maggior parte dei casi, i neonati e i bambini tra i 2 e i 3 anni sono
sottostimati rispetto alle aspettative. La scarsità di resti ossei dei bambini può
essere legata o alla poca resistenza del materiale osseo all’azione del fuoco del
rogo o al fatto che, in certe popolazioni di diverse epoche, i bambini venivano
seppelliti in aree distinte rispetto agli adulti (Wahl, 2008).
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
Marche Ameglia Pozzillo Morano
Bambini
Adolescenti
Adulti
65
Pesi medi in grammi F M TOTALE
V.Marche 1061,1 1254,8 1175,54
Ameglia 749,2 1175 1011
Pozzillo 244 372 266
Morano 822 1399 870
Campi di Urne 438 562 393
Hallstat LaTene 401 572 347
Età Imperiale 479 638 317
Cremazioni moderne 1550 2288
Tabella 4. Peso medio in grammi dei soli individui adulti suddivisi per sesso (di diverse necropoli).
Nella tabella 4 sono rappresentati i pesi medi, relativi ai soli individui adulti di
entrambi i sessi, a confronto con le necropoli di Ameglia, Pozzillo, Morano sul
Po, le culture dei Campi D’Urne e di Hallstatt, nonché esempi di cremazione di
età imperiale e di età moderna. I siti che maggiormente si avvicinano ai valori
delle cremazioni moderne sono quelli di Via Marche (F. 1061,1, M. 1254) e di
Morano sul Po (F. 822, M. 1399). Per tutte le altre necropoli, e in particolar
modo per quella di Pozzillo, a causa della scarsità dei resti ossei, si è ipotizzato
che la raccolta del materiale scheletrico non fosse completa ma parziale
(Minozzi, 2005). Nella distribuzione dei pesi dei vari distretti anatomici a
confronto con le diverse necropoli (fig.4.9) è stato osservato che il sito di Via
Marche è quello che si avvicina di più al modello di CEI (indici calcolati su
materiale scheletrico moderno), seguito dai siti di Ameglia e di Morano sul Po.
Ciò suggerisce e conferma che in entrambe le necropoli di Via Marche e di
Ameglia veniva effettuata ritualmente una raccolta completa dei resti
scheletrici.
66
Figura 4.9. Distribuzione dei pesi di diversi distretti anatomici a confronto nelle necropoli di via Marche, Ameglia, Morano sul Po e CEI.
0,0
5,0
10,0
15,0
20,0
25,0
30,0
35,0
40,0
CRANIO ARTI SUP ARTI INF MANI PIEDI
TRONCO
CEI
V.Marche
Ameglia
Morano
67
Capitolo 5
Inquadramento Storico
5.1. La cultura villanoviana
Il termine “Villanoviano” deriva dalla scoperta casuale, avvenuta nel 1853 da
parte di Giovanni Gozzadini nella tenuta di Villanova presso Bologna, di una
serie di tombe ad incinerazione (Bartoloni, 2002). Si trattava della prima
necropoli ascrivibile ai primi dell’età del Ferro dell’Italia settentrionale,
connotata dalla deposizione di resti ossei in vasi di ceramica lavorata a mano e
cotta a temperatura non troppo elevata, definiti biconici a causa della loro
forma a due tronchi di cono sovrapposti, e per lo più coperti da ciotole,
anch’esse d’impasto nero, che fungono da coperchio. All’interno dei vasi erano
deposti alcuni oggetti ornamentali legati al corredo funerario. Il termine
villanoviano fu esteso alle altre analoghe manifestazioni funerarie riscontrate a
Bologna, Tarquinia, Bisenzio e in altri siti dell’Etruria tirrenica ed è
un’espressione tipica della civiltà materiale dell’area che sarà storicamente
etrusca; tale termine è inoltre variamente utilizzato con significato etnico,
cronologico e legato al rito funerario.
La civiltà villanoviana compare all’inizio del I millennio a.C., e rappresenta un
evento culturale di grande importanza per la stessa Etruria “protostorica” e per
le altre culture dell’Italia preromana (cultura laziale, paleoveneta, picena ecc.).
Il passaggio dal protovillanoviano al villanoviano (X-IX secolo a.C.,) avvenne
nelle zone minerarie della Toscana, in rapporto con lo sfruttamento delle
Colline Metallifere, nei centri di Populonia e Vetulonia dove il fenomeno di
occupazione appare particolarmente precoce rispetto al resto dell’Etruria
meridionale, con addensamenti di abitati e necropoli già nel X secolo a.C.
(Bartoloni, 2002)
Gli aspetti peculiari della cultura villanoviana in ambito funerario sono il rito
dell’incinerazione e l’uso di vasi biconici come ossuari, generalmente ornati da
motivi geometrici incisi e ricoperti da ciotole monoansate, talvolta da elmi di
ceramica (Bartoloni 2002). Tali caratteri distinguono il villanoviano dalle altre
68
realtà culturali della fine dell’età del Bronzo e dell’inizio dell’età del Ferro
dell’Italia antica.
Nell’Italia settentrionale, dove prevale il rito dell’incinerazione e sono evidenti
contatti con le culture del Ferro dell’Europa centrale e della Slovenia, si
distinguono a Ovest la civiltà di Golasecca, manifestatasi a meridione del Lago
Maggiore, e a Est la civiltà Paleoveneta o Atestina, da Ateste, nome latino di
Este. Per quanto concerne il rito dell’inumazione sembra invece svilupparsi
nell’ambito della cultura medio-adriatica, localizzata nelle odierne Marche e
Abruzzo. Altri orizzonti culturali degni di nota sono la cultura Japigia,
espressione della Puglia protostorica, e la cultura delle tombe a fossa, che
interessa tutta l’Italia sud-occidentale dalla Campania alla Calabria. Queste
culture regionali corrisponderanno, in modo più o meno preciso, ad aree
linguistiche differenziate (Bartoloni, 2002).
Per ciò che riguarda l’estensione della cultura Villanoviana, è da notare che
non si limita esclusivamente al territorio dell’Etruria propria, ma si distinguono
un villanoviano emiliano nel Nord, che comprende la regione a Sud della
Pianura Padana, e un villanoviano romagnolo con testimonianze soprattutto nel
riminese. Si sviluppa inoltre un villanoviano salernitano, documentato lungo la
costa tirrenica, che dal fiume Picentino prosegue fino al promontorio di
Agropoli, con le necropoli di Pontecagnano, Arenosola e Capodifiume. Nella
zona di Capua e nel Casertano la situazione risulta più complessa, tanto che
non si può parlare di una cultura Villanoviana in senso proprio, poiché le
affinità culturali tra quest’area e l’Etruria consistono essenzialmente nell’uso
del rito dell’incinerazione che caratterizza le deposizioni più antiche (IX secolo
a.C.), mentre gli elementi tipici della cultura villanoviana sono assenti. Infatti
l’ossuario non è un biconico, ma un’olla ovoide ricoperta da una grossa ciotola
priva di anse.
Da un punto di vista cronologico si distinguono due periodi storici (Bartoloni
2002): il primo, definito Villanoviano Tipico (IX secolo, a.C.) connotato
dall’uso incineratorio con l’ossuario costituito dal vaso biconico o da un
modellino di capanna, è un momento di grande assestamento del territorio e di
probabile intenso sfruttamento agricolo. I centri, rispetto al periodo precedente,
dislocati a “macchia di leopardo” in posizioni strategiche e si distribuiscono in
dense aggregazioni caratterizzate da una maggiore concentrazione di
69
insediamenti. Di particolare interesse la serie di villaggi ubicati per lo più su
altopiani difficilmente accessibili, con fine puramente difensivo, e l’emergere
di insediamenti su ampi pianori dove la popolazione si raggruppa in villaggi
ravvicinati. Questi ampi pianori appaiono scelti, oltre che per l’estensione e
l’accessibilità, anche per la possibilità di risorse esistenti nelle loro vicinanze e
per la loro localizzazione in prossimità di approdi costieri (Vulci, Tarquinia,
Cerveteri, Vetulonia), fluviali (Chiusi, Orvieto e Veio) o lacustri (Bisenzio),
(Guidi e Piperno, 2003).
Verso la fine del villanoviano tipico, periodo in cui al rito crematorio si viene
affiancando in alcuni centri quello inumatorio, si sviluppa l’interesse per le
attività marinare, testimoniate dai frequenti contatti con le altre popolazioni del
mar Tirreno,. Nel secondo periodo (Fine IX, inizio VIII secolo a.C.,), chiamato
Villanoviano Evoluto, prende il sopravvento l’uso del rito dell’inumazione;
insieme all’introduzione della tomba a fossa, cominciano le prime importazioni
di prodotti di lusso, e si ha un sviluppo delle attività marinare, testimoniate dai
più frequenti contatti con altre popolazioni del mar Tirreno e da una
progressiva crescente apertura al mondo greco. Tra la fine dell’VIII secolo e i
primi del VII secolo a.C., emerge la cultura cosiddetta Orientalizzante, dalla
matrice prettamente greca, scaturita dall’assiduo contatto con il mondo
orientale. Questo appare come un periodo caratterizzato da grandi
cambiamenti, quali l’influsso dell’arte del Vicino Oriente, l’intenso movimento
commerciale e coloniale dal bacino orientale a quello occidentale, la
circolazione di oggetti di lusso da varie regioni Vicino-Orientali e greche e
sviluppo dell’oreficeria; nell’architettura funeraria si afferma la tomba a
camera; inoltre verso il VII secolo a.C., nasce la grande arte (Camporeale,
2000).
5.1.1 L’origine del rito incineratorio
La cremazione è un rito di antichissima tradizione, introdotto e diffuso in tutta
Europa dalla cultura dei “campi d’Urne”, la quale si è sviluppata nell’Europa
centrale nella tarda età del Bronzo. Questa manifestazione culturale seguì la
“cultura dei tumuli” (media età del Bronzo) e precedette la “cultura di
Hallstatt” (età del Ferro). La caratteristica principale dalla quale la cultura
70
prese il nome, è l’usanza del rito incineratorio, che sostituì il precedente rito
inumatorio. Il rito dell'incinerazione si diffuse abbastanza rapidamente a partire
dai massicci prealpini orientali o dai Balcani, ma non sempre sostituì
immediatamente il precedente rito dell'inumazione: in alcune zone della
Germania si ebbero contemporaneamente sepolture dei due tipi e i corredi
funebri mostrano una mescolanza di materiali della "cultura dei tumuli" e della
"cultura dei campi d’Urne". La diffusione inoltre, interessò anche alcune zone
dell’Europa centrale, dall’Ungheria occidentale alla Francia orientale e dalle
Alpi alle coste del Mare del Nord (Bartoloni, 2003). In Italia le più
significative testimonianze di questa cultura provengono dai complessi
protovillanoviani, diffusi in tutta la penisola e in Sicilia alla fine dell’età del
Bronzo (XII-X secolo a.C.). Presso queste comunità era affermato l’uso della
cremazione, come dimostrano i rinvenimenti effettuati in numerose necropoli:
ad esempio a Bismantova (Reggio Emilia), a Tolfa e Allumiere (Roma), a
Timmari (Matera), a Milazzo (Messina). Con la fine del X e l’inizio del IX
secolo a.C. si assiste al passaggio dalla fase “protovillanoviana” alla fase
“villanoviana”, un orizzonte cronologico in cui il rito esclusivo della maggior
parte delle necropoli villanoviane rimane quello incineratorio. Tuttavia, sono
documentati casi di deposizione ad inumazione in fossa, nel sito di
Pontecagnano e nel cuore dell’Etruria, come a Cerveteri, dove quindi i due riti
coesistono.
I Siti villanoviani distribuiti nell’Etruria che hanno restituito preziosi ed
esaustivi dati sono: Pisa (necropoli di via Marche), Livorno (necropoli di
Parrana di S.Martino), Sesto Fiorentino, Volterra, Populonia, Vetulonia,
Chiusi, Bisenzio, Ceveteri, Tarquinia (le necropoli di Poggio Salciatello e
Poggio dell’Impiccato, Le Rose), Vulci, e Veio (i sepolcreti di Valle la Fata,
Quattro Fontanili, Grotta Gramiccia), (Bartoloni, 2003). Nella maggior parte
dei casi le tombe erano situate all’interno dell’area cimiteriale sulla cima di
colline limitrofe alle aree abitative e apparivano sviluppate in senso radiale.
Non mancano esempi di necropoli collocate in pianura o a fondo valle, come
quella di Valle La Fata, nella zona di Veio, che risultava estesa lungo un corso
d’acqua, o come il sepolcreto “Le Rose” nell’area tarquinese, che si sviluppava
sulle pendici sud-orientali dell’alto pianoro dei Monterozzi. Le strutture
tombali erano in genere a pozzetto, di forma cilindrica più o meno regolare. In
71
Etruria settentrionale e in Emilia Romagna il pozzetto poteva essere anche
rivestito di ciottoli o da pietre, queste ultime disposte in modo da costituire una
cista litica (Bietti Sestieri., 2010).
Figura 5.1 Esempio di tomba con custodia in tufo.
Nell’Etruria meridionale a scopo di protezione dell’ossuario era presente una
custodia in tufo o in nenfro (fig. 5.1) (Bartoloni, 2003). L’ossuario tipico era
rappresentato da un vaso biconico d’impasto, di forma più allungata rispetto a
quello “protovillanoviano”, caratterizzato da una o due anse orizzontali
impostate sul punto di massima espansione (fig.5.2). Nel caso di vasi biansati
una delle due anse generalmente veniva spezzata ritualmente. I vasi
monoansati sembravano eseguiti espressamente per la cerimonia funebre,
mentre gli altri venivano adattati allo scopo funerario, eliminando una delle due
anse. Erano inoltre connotati da una ricca decorazione incisa, ottenuta con uno
strumento a pettine a più punte, che si sviluppava sul corpo e sul collo del vaso,
articolandosi in più fasce più o meno distanziate. In genere a Bologna e
nell’Etruria settentrionale le decorazione è limitata ad una fascia sotto alla base
e alla sommità del collo e ad una più alta sulla spalla (Bartoloni, 2003). Si
distinguono così due sistemi decorativi: uno caratterizzato da motivi continui
per lo più a meandro o ad angoli apicati, disposti liberamente sulla superficie
del vaso senza cornici di sorta, ed uno caratterizzato da grandi riquadri dalle
incorniciature complesse, includenti motivi a meandri angolari. Il coperchio dei
vasi-funerari era quasi sempre costituito da una ciotola anch’essa caratterizzata
da un’ansa. La tipica ciotola-coperchio villanoviana si presentava come una
72
vasca troncoconica e labbro rientrante, con anse ad anello o a
pseudotortiglione, poste fra due piccole apofisi.
Figura 5.2. Esempio di tipico ossuaro-biconico villanoviano.
Altri tipi di coperchio erano costituiti da scodelle troncoconiche con labbro
piatto, mentre è di grande rilevanza l’uso di elmi di terracotta pileati e crestati
(già attestati a Veio e a Tarquinia), probabilmente riproduzioni in terracotta di
esemplari di metallo (fig.5.3). Il significato attribuito a questi ultimi coperchi
era quella di conferire caratteri antropomorfi al vaso cinerario, che assumerà
alla fine dell’VIII e all’inizio del VII secolo a.C. caratteri sempre più evidenti,
fino ad arrivare ai coperchi a globo e ai cosiddetti canopi di Vulci e Chiusi.
73
Figura 5.3. Esempi di coperchi a ciotola, a forma di elmo apicato e crestato.
Degni di un certo interesse sono i modellini di capanne, il cui uso, già attestato
nel momento finale dell’età del Bronzo (Monti della Tolfa), appariva
strettamente connesso dal punto di vista cronologico al periodo d’uso
dell’incinerazione. Erano caratterizzate da piante di varie forme, con pareti e
tetto decorati con le stesse tecniche e motivi ornamentali riscontrati nei vasi;
inoltre un ornato plastico sul tetto era costituito dall’incrocio dei pali sul trave
di colmo, con un caratteristico motivo falcato o cornuto, imitante decorazioni
reali di probabile significato apotropaico (fig.5.4). Questo tipo di urne era
attestato soprattutto nell’Etruria costiera (Vetulonia, Vulci, Tarquinia,
Populonia) e meridionale interna (Bisenzio e nel territorio veiente) (Bartoloni,
1987). Tuttora sfuggono i motivi del perché venissero utilizzate urne funerarie
di varia forma; forse attraverso la riproduzione miniaturizzata della casa del
morto si voleva compensare la distruzione del corpo, ottenuta attraverso la
cremazione, con un processo analogo a quello dell’antropomorfizzazione
dell’ossuario biconico (Bartoloni, 1987).
74
Figura 5.4. Esempio di urna capanna.
Il corredo funerario era connotato da oggetti che offrono informazioni sul
sesso, sul rango dell’individuo, sulle tipologie decorative degli oggetti
ornamentali (come le armille, fibule, orecchini, anelli, fermatrecce), sulla
morfologia di oggetti personali (rasoi, fuseruole) o legati alla sfera bellica
(pugnali, spade). In particolare, il corredo maschile era caratterizzato dalla
presenza di rasoi del tipo quadrangolare bitagliente e del tipo semilunato a
dorso interrotto (fig. 5.5), e da fibule ad arco serpeggiante. Eccezionale inoltre
la documentazione di una sorta di “bastone di comando” o “scettro”; questo
oggetto, che sicuramente qualificava il prestigio o la funzione del defunto, è
caratterizzato da una verga di bronzo rettangolare delimitata alle estremità
appuntite da elementi circolari o piramidali, d’osso o d’ambra (Bartoloni,
2003). Le tombe femminili si distinguevano generalmente per la presenza di
spirali da capelli di filo di bronzo, di fibule del tipo ad arco semplice, ad arco
leggermente ingrossato, ad arco elicoidale, o ritorto a fune, con staffa
simmetrica o a disco spiraliforme, e di fuseruole, piccoli oggetti fittili
troncoconici legati all’attività della filatura/tessitura. Nei casi in cui gli esami
antropologici non sono effettuati l’unica distinzione sicura tra i due sessi è data
dalla presenza di armi e rasoi per gli uomini e di strumenti legati alla filatura e
alla tessitura per le donne (Bartoloni, 2003).
75
Figura 5.5. Rasoio semilunato.
Successivamente verso le fasi finali del villanoviano si avvertono grandi
cambiamenti, soprattutto nelle zone dell’Etruria costiera e tiberina. Accanto
all’incinerazione appare l’inumazione, per lo più in fosse terragne ed,
eccezionalmente a Populonia, in tombe a camera; i corredi si arricchiscono di
elementi accessori, di segni indicanti le varie comunità etrusche e altre
comunità di diversa cultura (Bartoloni, 2003). Questo arricchimento potrebbe
essere attribuito a un desiderio di esibizione di ricchezze e ad una più
complessa cerimonia funebre; frequenti erano le brocchette e ciotole d’impasto,
sempre realizzate a mano, e talvolta appariva il coltello in ferro sia in
deposizioni femminili che maschili. E’ certo che ovunque, nell’Italia antica, il
rito dell’inumazione era accompagnato da un maggior numero di oggetti, anche
più articolati, rispetto a quanto si riscontra nelle tombe ad incinerazione (armi,
vasellame metallico, morsi di cavallo, tripodi, coppie d cavallini miniaturistici,
tavolini bronzei in miniatura), (Bartoloni, 2003). Queste fosse si presentavano
generalmente coperte da gruppi di pietre o tufi o, come a Veio, da grandi
blocchi di tufo, accuratamente scolpiti e a volte crestati o displuviati. Le tombe
a camera di Populonia (fig. 5.6) erano connotate da una camera a pianta
ellissoidale, rettangolare o circolare, con copertura a pseudocupola, il cui
76
modello probabilmente deriva da origini sarde. Rispetto ad altre comunità
villanoviane Populonia presentava un carattere decisamente eterogeneo; la
scelta dell’uno o dell’altro rito, di una o di altre strutture tombali, non sembra
legata ad un determinato status, bensì a scelte puramente personali di origine
familiare. Oltre ad un cospicuo arricchimento del corredo funerario, si assiste
in questo periodo ad un aumento delle urne a capanna rinvenute in Etruria,
ossuario sicuramente di un certo prestigio e generalmente associato a corredi
emergenti. Questi cambiamenti nell’ideologia funeraria indicano un processo
di trasformazione in atto, nonchè un forte incremento demografico dei singoli
villaggi (Fugazzola Delpino, 1984).
Con l’Orientalizzante (fine VIII-VII secolo a.C.) si afferma il rito inumatorio e
si sviluppa la tomba a camera, riflesso dell’immagine aristocratica, che spesso
ha la forma di un tumulo monumentale, a pianta rettangolare o ellissoidale,
talvolta con pareti rivestite di lastre calcaree, piano lastricato e copertura a
pseudocupola. Questa nuova tipologia tombale veniva utilizzata per più
defunti, contenendo in genere le deposizioni di una coppia maritale e dei figli
giovani, cioè un nucleo familiare piuttosto ristretto. Nelle fasi finali del VII
secolo a.C., questa nuova architettura tombale ebbe la sua massima
espressione, raggiungendo dimensioni maggiori rispetto alle tombe a camere
precedenti. Il tumulo rappresenta il segno più evidente di possesso della terra e
costituisce quindi la manifestazione più concreta del potere dell’aristocrazia.
L’emergere della monumentalità dei tumuli è sicuramente un’invenzione
etrusca, ma ispirata a conoscenze orientali (Camporeale, 2000).
78
Capitolo 6
Pisa nella prima età del Ferro
Il territorio di Pisa si estende nella parte terminale della valle dell’Arno,
orientata verso il mare, delimitata nel settore meridionale dal promontorio di
Livorno, ad oriente dalla catena del Monte Pisano e a Nord dal Lago di
Massaciuccoli, resti di una laguna costiera in origine assai più estesa. In
quest’area si sviluppava il confine nord occidentale dell’Etruria e il centro di
Pisa, la cui storia antica ha comportato una ricostruzione assai difficoltosa. Fin
dall’antichità le origini di Pisa erano alquanto dubbie, e le fonti letterarie la
immaginavano città di fondazione greca, etrusca o ligure. Tuttavia
l’insediamento pisano ha restituito nelle varie campagne di scavo (effettuate a
più riprese in diversi anni) preziosi materiali che sembrano indicare un
etruscità del centro, ascrivibile al IX secolo a.C., se non addirittura alle ultime
fasi del Bronzo finale, confermando l’appartenenza del sito all’orizzonte
etrusco fin dalle sue origini (Bruni, 1998). Durante i primi anni Ottanta fu
indagata l’area Scheibler ubicata tra il fianco occidentale delle mura medievali
e l’attuale tracciato della via Aurelia, la quale restituì i resti di un abitato
arcaico (VII-VI secolo a.C.), e interessanti frammenti ceramici caratterizzati
dalla tipica decorazione incisa afferente al repertorio villanoviano, nonché
relativi ad un abitato. Più a nord dell’area Scheibler, tra le vie delle Cascine,
Pietrasantina e Bragazzi, emerse un esteso sepolcreto, i cui reperti riferibili a
tutta l’età del Ferro, attestano l’esistenza di forme insediative fin dal IX secolo
(Bruni, 1998). Le sepolture che furono rilevate si distribuivano in un’area
particolarmente vasta, articolata topograficamente in diversi nuclei sepolcrali,
vicini fra loro. Interessante notare che le strutture tombali più antiche si
concentravano nella zona del sottopasso di via Pietrasantina e nell’estremo
margine nord-orientale della stessa area Scheibler (fig. 6.1) (Bruni, 1998). Da
ciò possiamo arguire la presenza di un insediamento etrusco nella fascia nord
occidentale della città moderna. Dal distretto settentrionale di Pisa (nei pressi
di Porta a Lucca), in via Buonarroti e in via di Gello provengono materiali che
attestano la presenza di insediamenti addirittura ascrivibili alle fasi recente e
finale dell’età del Bronzo. In particolare furono recuperati elementi tipicamente
79
protovillanoviani, quali a decorazione a solcature, a solcature associate a
coppelle, a costolature, associate inoltre, alle strutture abitative emerse in via
di Gello (Bruni, 1997). Degno di nota è il recupero di reperti in Piazza Vittorio,
che ci offre la testimonianza di una frequentazione, ascrivibile tra la fine del età
Bronzo e i primi dell’età del Ferro, anche nella parte a sud dell’Arno, zona che
diverrà nel VII secolo il cuore del centro pisano. Tra il 2005 e il 2006 inoltre,
fu individuato fuori Porta a Lucca, in via Marche, un piccolo nucleo funerario
riferibile ai primi dell’età del Ferro e afferente probabilmente ad un’area
sepolcrale di maggiore estensione, di cui non conosciamo attualmente i limiti. I
materiali che ne furono rilevati, insieme alle altre attestazioni archeologiche
rafforzano la genuina etruscità di Pisa (Paribeni, 2010). Dalle varie tracce
analizzate in questa sede si evince un quadro insediativo pisano alquanto
disarticolato, una forma abitativa sparsa e rarefatta, dove i vari abitati con le
relative necropoli componevano un paesaggio “a isole”, confrontabile con la
laguna veneta. Uno scenario probabilmente legato ad una situazione
morfologica particolare, caratterizzata da un contesto idrogeologico difficile,
dove l’Arno assieme all’Auser, proveniente dal monte Pisano a nord della
piana, componeva il più importante fiume di Pisa. L’Auser, dopo aver creato
una grande ansa nell’area di Porta a Lucca, proseguiva col suo ramo
meridionale e dopo aver oltrepassato la città si gettava con un scontro violento
nell’Arno. Erano due arterie che hanno determinato l’origine e lo sviluppo del
centro pisano, il quale sorse in una zona a monte del punto di confluenza dei
due fiumi, dipingendo un paesaggio caratterizzato da aree depresse e
impaludate d’acqua e canali che univano la trama del distretto pisano (Bruni,
2003).
80
Figura 6.1. Pisa: Il settore dove sono state rilevate le varie strutture abitative e funerarie di età Protostorica.
Al centro di Pisa si legano altri centri “minori”, alcuni ubicati lungo i cordoni
costieri e altri di vocazione prettamente agricola, che si distribuivano nella
parte orientale del distretto. I siti del primo gruppo (insediamenti della Fortezza
Vecchia di Livorno: Stagno, Isola di Coltano, San Piero a Grado e Isola di
Migliarino), sembrano costituire una sorta di sistema di approdi funzionale alla
proiezione marittima del territorio , già attivo dalla fine dell’età del Bronzo
(Bruni, 1999). I siti del secondo gruppo, collocati tra la pianura e i rilievi
collinari, svolgevano o il ruolo di sfruttamento agricolo-pastorale (sito di Fossa
5 della Bonifica di Bientina) o in quello di approvvigionamento del legname e
di materie lapideo del Monte Pisano (sito di Romita di Asciano), (Bruni, 1999).
Di un certo interesse è il sito di Fossa 5 della Bonifica di Bientina, accennato
sopra, il quale, oltre ad restituire materiali confrontabili con quelli di via di
Gello (centro di Pisa) e della zona delle Ripaie a Volterra, ha offerto dati
sull’organizzazione spaziale di un piccolo insediamento (fig. 6.2).
Quest’ultimo era caratterizzato dai resti di otto capanne di forma ellissoidale,
81
ubicate intorno ad un grande spazio centrale, e connotate da focolari protetti da
piccoli circoli di pietre collocate all’interno (Ciampoltrini, 2010).
Figura 6.2. Buche di palo delle capanne di Fossa cinque (immagini di scavo).
La presenza di prodotti “esotici” nel centro pisano, nonché nei grandi centri
etruschi, giunti probabilmente per via marittima da qualcuno degli approdi che
abbiamo citato poco fa, testimonia lo sviluppo dei contatti marittimi e
l’intensificarsi degli interessi minerari verso la seconda metà del IX secolo a.C.
Ad esempio, l’attestazione di un bottone nuragico di fattura sarda recuperato in
via delle Cascine, è un indicatore che segnala i contatti e gli scambi instaurati
in questo periodo da parte di genti interessati alle risorse metallifere (Cateni,
1984). Se consideriamo che il territorio pisano è completamente privo di
proprie sorgenti minerarie, la presenza di questi reperti lascia qualche
perplessità. Tuttavia, è probabile che la città di Pisa fosse stata il “trampolino”
per accedere alle fonti del territorio apuo-versiliese, dove il settore delle Alpi
Apuane era particolarmente ricco di minerali metalliferi, già sfruttati alla fine
dell’età del Bronzo (attestati dai ripostigli di Pariana, Colle alle
82
Banche/Valdicastello vicino Pietrasanta e nel territorio tra Campiglia e il
Monte Amiata), (Cocchi Genick, 1985, Giardino, 2008). Il territorio versiliese
fu un settore importante per l’approvvigionamento di materie prime, che ben
presto provocherà un certo interesse anche dal centro pisano. Si tratta di
un’area la cui accessibilità era facilitata da sud per mezzo della navigazione
lungo la costa o attraverso arterie fluviali interne lungo il ramo settentrionale
dell’Auser che sfociava a Poggio al Marmo. Questo collegamento fu inoltre
semplificato dalle propaggini meridionali del Lago di Massaciuccoli, un antico
vastissimo lago costiero, il quale contribuì e favorì l’espansione e la conquista
da parte del sito di Pisa verso questo settore. Uno degli indicatori chiave che ci
attesta questo fenomeno è l’emporio di San Rocchino/Campo Casali, ubicato
sulla riva settentrionale dello stesso Lago. Collocato in un punto strategico,
vicino alla via di comunicazione con il mare aperto e in grado di offrire un
approdo ben riparato, fu attivo verso la fine del VIII secolo a.C., (Maggiani,
2004). L’area che va dalla Versilia alla foce del Magra fungeva da cerniera tra
il territorio pisano e quello insediato dai liguri orientali, una popolazione che
già prima del centro pisano conosceva e sfruttava le risorse minerarie versiliesi
(eneolitico, fine Bronzo inizio Ferro). La necropoli di Chiavari è uno dei pochi
siti liguri che attesta i collegamenti di queste genti con gli etruschi dell’VIII-
VII secolo a.C., contatti che si incrementarono durante il VII secolo. Degni di
nota, la presenza nell’area cimiteriale di alcuni rasoi lunati in bronzo tipo
Sarteano, nonché di due pendagli con due protomi ornitomorfe (fig.6.3), diffusi
principalmente nel mondo etrusco (Bologna, Verucchio, Bisenzio, Veio,
Vulci), ascrivibili all’VIII secolo (De Marinis, 2004).
83
Figura 6.3. Rasoio semilunato (tipo sarteano) e i due pendagli recuperati nella
necropoli di Chiavari.
Altro indicatore di un certo interesse è, la diffusione e forse fabbricazione a
Chiavari di una fibula a navicella (purtroppo in cattivo stato di conservazione),
che riprende gli esemplari di Volterra del VII secolo. Per quanto concerne
materiale fittile di provenienza etrusca nel territorio ligure, furono rilevate
diverse tipologie vascolari: anforetta munita di piccole prese a perforazione
orizzontale alla base del collo e decorazione, e lunghi triangoli con rosetta
stampigliata, confrontabile con gli esemplari di Volterra e Populonia, olla
connotata da una decorazione geometrica dipinta che trova corrispondenza nel
repertorio dell’area etrusca-laziale (Poggio Buco, Veio, La Rustica, Tivoli,
Osteria dell’Osa); olle con decorazione a cordoni piegati ad arco a bugne o a
cordoni verticali, provenienti dall’area etrusca meridionale (Saturnia, Bisenzio,
Vulci). Da sottolineare che la ceramica in bucchero attestata a Chiavari, e
diffusa anche nei centri della costa dalla foce del fiume Magra al Golfo della
Spezia, nonché verso l’interno della Lunigiana, era di probabile provenienza
pisana (De Marinis, 2004). Il sito di Chiavari, oltre al materiali di diversa
provenienza, restituì dei cinerari (urne prive di ansa, con alto labbro
84
imbutiforme, corpo sferoidale e alto piede), (fig. 6.4) che ricordano gli
esemplari riferibili al sepolcreto del Baccatoio ubicato allo sbocco sul mare
della Valdicastello, afferente al VIII secolo a.C. Ciò riflette la distribuzione di
insediamenti liguri nell’area della foce del Seravezza-Versilia (De Marinis.,
2004).
Figura 6.4. Urna che ricorda gli esemplari della necropoli di Baccatoio.
Dai dati emersi in questa sede si evince lo sviluppo nell’VIII secolo di un
fiorente circuito di contatti tra il mondo etrusco con il territorio ligure orientale.
In particolare si assiste all’attivarsi di una direttrice marittima che muove da
sud verso il nord e coinvolge per la prima volta in modo significativo le coste
della Toscana settentrionale e della Liguria (ciò è attestato anche dall’apertura
dello scalo di Campo Casali/S.Rocchino di cui abbiamo trattato poco fa),
almeno fino a Chiavari. Quest’ultimo assunse il ruolo di port of trade, un
centro di traffici frequentato da genti provenienti da vari territori e in
particolare dagli Etruschi di Pisa (De Marinis, 2004).
Allo stato attuale delle conoscenze è possibile arguire che il centro di Pisa
durante l’VIII secolo a.C. era inserito inizialmente in quella costellazione di
piccoli ma potenti nuclei insediativi sparsi su un vastissimo territorio, con la
funzione di controllo sulle vie che conducevano verso la costa da un lato e
85
verso l’Arno e la pianura dall’altro. In questo orizzonte cronologico emerge
una certa omogeneità negli elementi peculiari provenienti dalle varie realtà
culturali, quali area volterrana, costa livornese, distretto della Valdera e valle
dell’Arno. Emersero infatti forti analogie nelle tipologie tombali, in particolare
nei biconici recuperati da Pisa, e dagli abitati della Valdera e della valle del
Serchio e dalle necropoli di Volterra e del suo territorio (Quercianella),
connotati da un motivo decorativo a meandro. Anche altri tipi di decori diffusi
in Etruria settentrionale (inclusa anche Vetulonia), come in Emilia,
contribuiscono alla ricostruzione di un quadro alquanto omogeneo (Paribeni,
2010). Tuttavia, a differenza degli altri siti, Pisa acquisì le caratteristiche di un
centro di rilevanza elevata tale da avviare un proprio sviluppo urbano e una
forte espansione territoriale, dove la vocazione marittima ebbe un ruolo
determinante. Infatti intorno al VII secolo si assiste al maturare di un controllo
per la via del basso corso dell’Arno fino allo sbocco alle porte di Livorno. Si
trattava di un importante direttrice che univa il Tirreno all’Etruria settentrionale
interna (Bruni, 1998).
86
Conclusioni
Questo studio si è proposto come primo obiettivo quello di riportare i dati
antropologici finali del campione scheletrico combusto dei cinerari provenienti
dalla necropoli villanoviana-orientalizzante (IX-VIII secolo a.C.) di via Marche
di Pisa; si tratta di un nucleo funerario indagato dalla Soprintendenza tra il
2005 e il 2006. Il secondo obiettivo è stato di quello inserire il sepolcreto
pisano, ovviamente con i dati attuali di scavo (poiché lo studio del materiale
archeologico non è ancora concluso), nello scenario delle necropoli
villanoviane ascrivibili ai centri dell’Etruria propria. In questa ricerca è stato
necessario avvalersi di tecniche di indagine afferenti a diverse discipline,
spazianti dalla medicina all’archeologia, all’antropologia scheletrica, seguendo
un approccio multidisciplinare. Inizialmente, attraverso l’utilizzo della
Tomografia Computerizzata (TC), eseguita prima dell’apertura di ciascun
cinerario, è stato possibile ottenere informazioni sullo stato di conservazione e
sulla distribuzione del suo contenuto, individuando la posizione, le dimensioni
e la tipologia di oggetti relativi al corredo funerario e guidando così la mano
dell’archeologo durante lo scavo. In seguito, tutti i vasi sono stati sottoposti al
microscavo stratigrafico in laboratorio e alla preparazione per un successivo
restauro. Ogni urna è stata accuratamente ripulita e, dove necessario, è stata
eseguita la registrazione grafica dei frammenti ceramici (mappatura) e il
consolidamento (velatura) sia del coperchio che del contenitore. Dopo la
rimozione della ciotola è stato eseguito il microscavo seguendo una stratigrafia
che comprendeva il rilevamento della quota di ogni strato e di ogni oggetto
presente. Questa operazione ha permesso di ricavare importanti informazioni
riguardanti il rito funerario e di verificare se la disposizione del materiale osseo
seguiva o meno una deposizione preferenziale. Successivamente, completata la
rimozione dei contenuto, e dopo un’accurata pulizia, il materiale combusto di
ciascuna urna è stato suddiviso per distretti anatomici (cranio, tronco, arti
superiori, arti inferiori, manie piedi e frammenti non determinabili); inoltre è
stato pesato, al fine di calcolare la rappresentatività di ciascuno distretto
rispetto al peso totale. Ciò ha consentito di evidenziare un’eventuale raccolta
selettiva dei resti e di valutarne la dispersione. L’esame stratigrafico della
87
diposizione dei resti, associato all’analisi della distribuzione dei pesi, ha
permesso di constatare una raccolta piuttosto accurata dei residui della
cremazione. Le frequenze di peso degli individui adulti di via Marche,
confrontate con quelle calcolate su materiale anatomico moderno, suggeriscono
che la rappresentazione relativa ai diversi distretti segue quella di uno scheletro
normale, in quanto tutti i distretti scheletrici sono equamente rappresentati.
Non sono stati evidenziati, inoltre, particolari criteri di selezione (in base al
sesso e all’età di morte), né un particolare ordine di prelievo dei vari elementi
anatomici. I risultati ottenuti per Via Marche sono stati messi a confronto con i
dati provenienti dalla necropoli di Pozzillo (Bari, XIV-XII secolo a.C.),
Morano sul Po (Alessandria, X-IX secolo a.C.), Ameglia (La Spezia, IV-III
secolo a.C.) e da necropoli afferenti ad alcune culture Europee, come i Campi
d’Urne (fine Età del Bronzo) e Hallstatt (inizio Età del Ferro), e con serie di
cremati del periodo imperiale romano (I-III secolo a.C). E’ stato così osservato
che nei siti di Via Marche e di Morano sul Po, seguiti da Ameglia, il peso
medio degli individui adulti si avvicina di più ai valori medi delle cremazioni
moderne; questo dato conferma che veniva effettuata una raccolta completa del
materiale scheletrico combusto. I resti scheletrici analizzati appartengono
complessivamente a 38 individui. E’ stato osservato che su un campione di 34
cinerari la maggior parte conteneva una sola deposizione, eccetto quattro che
risultavano bisome (ognuno conteneva un individuo adulto e un bambino,
deposti contemporaneamente) e solo in un caso risultava forse trisoma (due
adulti e un infante), Sono stati identificati 13 individui adulti di sesso maschile
e 12 individui di sesso femminile, mentre 11 soggetti erano subadulti; di questi
6 erano di sesso femminile, uno di sesso maschile e 4 di sesso non
determinabile. I subadulti, rappresentati soprattutto da bambini al di sotto dei
13 anni, costituiscono il 27% del campione e presentano una frequenza più
elevata rispetto alle necropoli di confronto. Quasi tutti gli individui adulti, in
particolare gli uomini, morivano tra i 30 e i 39 anni, mentre le donne perivano
più giovani tra i 20 e i 29 anni, probabilmente a causa dei rischi legati alla
gravidanza e al parto. La presenza piuttosto omogenea di soggetti di entrambi i
sessi, e appartenenti a tutte le fasce di età, dimostra che il rituale funerario non
prevedeva differenziazioni legate al sesso e all’età. Un risultato di un certo
interesse ascrivibile alla determinazione del sesso, è stato il confronto tra la
88
diagnosi antropologica e quella desunta dai corredi; infatti, su 19 individui per i
quali è stato possibile il confronto (18 casi sono stati confermati dai dati
archeologici), la diagnosi antropologica è risultata corretta in tutti i casi
(94,7%). Una percentuale così elevata di attribuzioni corrette, anche in
considerazione che si tratta di resti cremati, non solo conferma l’affidabilità
delle metodologie applicate, ma suggerisce un forte dimorfismo sessuale nella
popolazione, soprattutto nelle dimensioni e nella robustezza, principali
indicatori di sesso utilizzati per la diagnosi. Una discreta robustezza degli
uomini emerge anche dall’esame delle inserzioni muscolari, che risultano
essere più forti rispetto alle donne. Per quanto concerne la presenza di
eventuali patologie, sono state rilevate diverse alterazioni scheletriche
riconducibili a malattie o a episodi di stress. Sia soggetti di sesso femminile
che maschile, adulti e subadulti, presentavano segni di iperostosi porotica, un
marcatore di quadri anemici, sotto forma di cribra cranii e cribra orbitalia.
L’iperostosi porotica localizzata sulla volta cranica era largamente diffusa in
forma lieve ed interessava il 75% della popolazione di via Marche, suggerendo
condizioni di salute non ottimali. In diversi individui sono state osservate
tracce di periostite sulle ossa lunghe degli arti inferiori,un’infiammazione
aspecifica del periostio, prevalentemente riconducibile a piccoli eventi
traumatici. Gli uomini erano affetti maggiormente rispetto alle donne da
degenerazioni osteoartrosi localizzate prevalentemente sulla colonna
vertebrale, probabilmente in seguito ad un grado di impegno fisico e lavorativo
abbastanza elevato e/o all’età. Un rinvenimento importante concerne numerose
concrezioni calcaree sferoidali di piccole dimensioni, che sono state
identificate come linfonodi calcifici, presenti in quattro individui adulti (tre
soggetti di sesso femminile e uno maschile). La calcificazione dei linfonodi
può rappresentare una risposta ad un’infiammazione di tipo tubercolare, il che
potrebbe suggerire la presenza di tubercolosi in questa popolazione. Infine, è
attestato un solo caso di gotta su un soggetto di sesso maschile di età avanzata.
Le alterazioni macroscopiche dei frammenti ossei hanno dimostrato che i corpi
dei defunti erano sottoposti alla cremazione subito dopo la morte o, almeno,
quando ancora conservavano tessuti molli e masse muscolari. Il colore dei
reperti attesta che i roghi funebri, ben ossigenati ed alimentati fino al termine
della cremazione, nella maggior parte dei casi raggiungevano, e talvolta
89
superavano, i 600 e 700°C di temperatura. Nelle necropoli di Via Marche,
Morano sul Po e Pozzillo la temperatura media di combustione raggiungeva i
700°C; invece ad Ameglia è stata riscontrata una temperatura media di
combustione leggermente più bassa, intorno ai 400-500°C. I dati che sono
emersi da questo modesto campione antropologico dipingono un quadro
demografico particolarmente eterogeneo, rappresentato da soggetti di entrambi
i sessi ascrivibili alle diverse classi di età. E’ stata rilevata inoltre l’assenza di
una distinzione sociale fra i vari soggetti di entrambi e sessi (il rito
incineratorio è impiegato per tutte la classi senza prevalenza), una certa cura
nella raccolta del materiale combusto, e uno stato di salute alquanto precario.
Allo stato attuale della ricerca le strutture funerarie villanoviane portate in luce
nel nucleo funerario di via Marche richiamano i tipici complessi tombali del
repertorio villanoviano (tombe a pozzetto semplice foderato di pietre con
ossuaro-biconico), riscontrati nella maggior parte delle necropoli coeve
dell’Etruria settentrionale costiera e interna, quali il sepolcreti di Parra San
Martino, di Quercianella e di Villa Barone nel territorio livornese (vedi schede
1,2 e 3 dell’Appendice), nonché nella necropoli delle Ripaie a Volterra (vedi
scheda 4), nei nuclei sepolcrali di Podere Casone, Podere S.Cerbone, di Piano
delle Granate e Poggio Granate a Populonia ( vedi scheda 5/6). Quest’ultimo
sito è connotato da altri sepolcreti caratterizzati da strutture tombali
monumentali ad inumazione, che la distinguono in parte dalle altre realtà
culturali coeve. Anche Vetulonia oltre a introdurre complessi organizzati in
“circoli di pietre interrotte” e tombe sotto tumulo, ha restituito strutture
funerarie analoghe a quelle del sito pisano (vedi scheda 7). Sempre lungo la
costa, sono degni di nota i siti di Sticciano Scalo nel grossetano e di Crostoletto
di Lamone nella valle del Fiume Fiora: il primo è connotato da tombe a
pozzetto, sia semplici che strutturate, ascrivibili alle ultime fasi finali del
Bronzo finale (vedi scheda 8); il secondo si distingue nettamente per aver
restituito tombe monumentali riferibili al Bronzo finale (vedi scheda 9), ma
comunque meritevole di essere segnalato poiché è da ritenersi il promotore dei
prototipi delle tombe monumentali che connoteranno la cultura etrusca. Infine,
nella parte interna dell’Etruria settentrionale, le aree sepolcrali fiorentine
(necropoli di Val di Rose e di Madonna del Piano a Sesto Fiorentino e le tombe
“del Gambrinus” a Firenze) e quelle di Chiusi (vedi schede 10, 11, 12), hanno
90
offerto pozzetti con cinerari tipici della cultura villanoviana e deposizioni in
dolio, costume riscontrato anche a Pisa. E’ stato osservato che la maggior parte
dei vasi di via Marche era coperto da ciotole coperchio, eccetto in un caso in
cui l’urna era chiusa da un elmo crestato fittile. Quest’ultimo, se messo a
confronto con le altre realtà culturali, sostituisce verso l’inizio del’VIII secolo
l’elmo a calotta apicato (presente in particolare a Vetulonia, Chiusi- Vulci e nei
siti dell’Etruria meridionale, quali Tarquinia, Cerveteri, Veio etc..), una
tipologia completamente assente in via Marche. Di particolare interesse è il
fatto che nel sepolcreto di Pisa, oltre agli ossuari biconici, sono stati recuperati
molti dolii che fungevano o loro stessi da contenitore per le ceneri o da
custodia di copertura per i vasi. La presenza di questa tipologia di cinerario
avvicina il sepolcreto di Pisa alle necropoli di Volterra, Firenze, Bisenzio,
Chiusi e Tarquinia, dove sono state recuperate deposizione in dolio, tutte
ascrivibili all’VIII secolo a.C. E’ stato osservato che a Pisa sono
completamente assenti le urne a capanna e le strutture tombali più complesse,
quali cassette litiche e a custodia con nenfro, invece ben presenti nei siti
dell’Etruria meridionale e nel bolognese. L’Etruria era caratterizzata da
importanti centri, quali Vulci (Scheda 13), Tarquinia, Cerveteri, Sasso di
Furbara (scheda 14), tutti insediamenti inseriti in un circuito di contatti che
collegava la Toscana meridionale, il territorio di Bologna e il nord del Lazio.
Ciascun sito ha restituito nuclei funerari caratterizzati da sepolture a pozzetto
semplice (Cerveteri, Sasso di Furbara )- come quelle rilevate a Pisa, e più
complesse come pozzetto a risega, a cassetta o a custodia litica.
Complessivamente in questo distretto territoriale emergono tipologie tombali
ad incinerazione più strutturate rispetto a quelle provenienti dalle necropoli
dell’Etruria settentrionale costiera e interna .Riassumendo, a di là di alcune
differenze che affiorano tra i due settori del territorio etrusco, la necropoli di
via Marche (connotata da elementi funerari peculiari della cultura villanoviana
e orientalizzante, come dolii in impasto e pithoi ingobbiato), si inserisce in un
quadro funerario abbastanza omogeneo, che lega i centri più importanti
dell’Etruria propria del primo Ferro.
Allo stato attuale delle conoscenze è possibile, grazie alle diverse indagini
archeologiche effettuate nel territorio pisano, confermare l’etruscità di Pisa,
centro insediativo sorto sul punto di incontro tra i fiumi Auser e Arno. Il nucleo
91
pisano è connotato da resti di strutture abitative e aree cimiteriali afferenti alla
fine dell’età del Bronzo (via di Gello, piazza Vittorio), e ai primi dell’età del
Ferro (area Scheibler, via Marche, Piazza Duomo, Piazza Dante), che
testimoniano la frequentazione di questo territorio già in epoca protostorica.
Associati al sito di Pisa sono alcuni complessi insediativi minori distribuiti sia
lungo i cordoni costieri (sembrano costituire una sorta di sistema di approdi
funzionale alla proiezione marittima del territorio), che nella parte orientale del
territorio pisana, tra la pianura e i rilievi collinari (di vocazione prettamente
agricolo-pastorale e/o per l’approvvigionamento del legname dai Monti pisani).
Quest’ultimo settore si estende nella Piana dell’Auser, ed era infatti un cruciale
snodo di itinerari fra i distretti tirrenici nord-occidentali e Pianura Padana,
particolarmente ricca di opportunità per l’agricoltura e l’allevamento. Si tratta
di un’area in cui sorgevano moltissimi importanti abitati come, per esempio,
quello di Fossa 5 nella bonifica di Bientina, ubicato nel punto in cui si
confluiscono i due rami principali del corso dell’Auser che andava a
raggiungere l’Arno all’altezza di Bientina. Il sito di Fossa 5 era un
insediamento attivo già sullo scorcio finale dell’Età del Bronzo (periodo di
massima fioritura). Grazie alla sua posizione il sito di Fossa 5 rivestì inoltre un
ruolo nodale anche come vettore di traffici, promovendo ad esempio i contatti
tra l’area pisana con quella fiorentina. Ben presto verso i primi dell’età del
Ferro (intorno all’VIII secolo) subì un rapido indebolimento, indotto da fattori
ambientali e dal dominio di alcune comunità emergenti, come quella di
Volterra Il distretto fiorentino-fiesolano-sestese (area compresa tra Firenze-
Prato-Pistoia) si estendeva a nord dell’Arno e questa posizione gli consentiva
un forte controllo della via d’acqua e del territorio da essa attraversato, in
particolare per i commerci e le comunicazioni. Le attestazioni dei ripostigli di
bronzi delle Apuane e del livornese indiziano una consistente attività di scambi
e di uomini, che trovava nell’area portuale delle lagune livornesi (accennata
sopra) un possibile terminale, così come una rete portuale vera e propria è
quella suggerita nell’area delle lagune dell’Etruria centrale dagli insediamenti
di Fonteblanda di Talamone e di Punta degli Stretti, e dal ripostiglio del
Campese all’isola del Giglio. La presenza di questi piccoli centri (i quali si
intensificano nell’VIII secolo) suggerisce che già in questo orizzonte
cronologico il territorio pisano era connotato da un sistema funzionale per
92
favorire i contatti con gli altri territori e per accedere alla risorse locali. Il
centro di Pisa, collegato all’area versiliese per mezzo del Lago di
Massaciuccoli (lago costiero), fungeva da cerniera per l’accesso alle sorgenti
metallifere, ubicate nel territorio apuo-versiliese (area particolarmente ricca).
Quest’ultimo è un settore territoriale conosciuto e sfruttato già in epoca
eneolitica, particolarmente ricco di minerali argentiferi e cupriferi. In generale,
dal punto di vista dello sfruttamento delle risorse metallifere si possono
riconoscere in Etruria principalmente due grossi poli geografici distinti, che
traggono origine dalle caratteristiche giacimentologiche della regione. A sud,
verso il Tevere, si configura l’area dell’Etruria meridionale, nella quale le
mineralizzazioni a metalli sono localizzate sui Monti della Tolfa e nella
Maremma tosco-laziale. A nord, con epicentro presso il promontorio di
Piombino, si stende l’Etruria settentrionale, con gli importanti distretti minerari
delle Colline Metallifere e dell’Isola d’Elba. Vi sono inoltre una serie di
evidenze minori, ma non per questo prive di interesse, sparse all’interno
dell’attuale Toscana, come i Monti Rognosi (Anghiari, Ar), il Senese
(Vallerano, Rapolano, Asciano, Sinalunga), la Val di Cecina (Montecatini, Pi),
le Alpi Apuane (in Versilia). Tutte queste attestazioni archeometallifere
riflettono la posizione che rivestì l’Etruria mineraria, in particolare nell’età del
Bronzo Finale (ma poi anche nella prima età del Ferro), nei traffici di metallo a
lunga distanza. Pisa, grazie alla sua posizione strategica, rientra in quel circuito
di contatti che fiorì nel territorio etrusco e che va dall’area della valle del fiume
Fiora al settore versiliese, favorito dalle vie di comunicazioni naturali, quali le
arterie fluviali (Arno e Auser) e le vie marittime. L’elemento chiave che accese
l’interesse da parte di queste popolazioni per questo settore territoriale, e che
provocò dunque il sorgere di molti insediamenti su tutta l’area (in particolare,
nei punti strategici di comunicazione), fu appunto quello
dell’approvvigionamento delle risorse metallifere, di cui il territorio né era
particolarmente ricco.
Concludendo, da tutti questi indicatori, si evince che la città di Pisa già prima
di diventare uno dei più importanti centri etruschi dell’Etruria settentrionale
(VII secolo a.C.), giocò un ruolo importante per i contatti commerciali tra gli
etruschi e le altre popolazioni, quali sardi e liguri, nonché per
l’approvvigionamento delle risorse locali.
93
Il territorio etrusco per le sue ricchezze soprattutto minerarie, per la sua
posizione geografica accessibile sia per via terrestre che per via marittima,
nonché facilmente collegabile alla zone dell’Italia settentrionale (Indici
plausibili di una nuova trasformazione dell’ambiente, che genera i paesaggi
destinati poi a rimanere sostanzialmente stabili per tutto l’arco dell’antichità
classica, fino alle soglie dell’Alto Medioevo), rivestì una posizione
fondamentale nello sviluppo culturale/sociale/ideologico di queste genti.
94
Appendice
Necropoli villanoviane nell’Etruria costiera e
interna
Scheda 1. Livorno-Stagno: la necropoli di Parrana San
Martino
Nel luglio del 2010, attraverso una ricognizione effettuata sul territorio
livornese avvenne la scoperta della necropoli di Parrana San Martino. L’area
cimiteriale si estende su un pianoro, all’interno del Parco dei Monti Livornesi,
nei pressi dell’abitato di Parrana San Martino. Durante la prima esplorazione
emersero ben novantasette sepolture di cui soltanto dieci sono state sinora
esplorate (Sammartino, 1989). All’interno dei pozzetti semplici erano deposti
degli ossuari-biconici monoansati (fig.1), caratterizzati da particolari
decorazioni villanoviane (solcature parallele rettilinee riunite in fasci,
delimitate da una fila di punti impressi, che formano motivi angolari o
curvilinei; solcature semicircolari; impressioni a falsa cordicella; motivi a
“sole” costituiti da depressioni circolari circondate da piccoli punti impressi),
disposti in modo circolare e contenenti molti frammenti di ossa combuste.
Furono rilevati, inoltre molti oggetti in bronzo appartenenti al corredo
funerario, quali fibule, verghette ritorte e probabili armille (bracciali).
Interessante notare che nella maggior parte dei casi la parte superiore del
contenitore era stata asportata dai mezzi meccanici che avevano operato nella
zona alcune decine di anni fa. Ad una prima analisi sui reperti recuperati la
necropoli risulterebbe inquadrabile cronologicamente tra la fine dell’Età del
Bronzo e l’inizio dell’età del Ferro.
Questa scoperta riveste un’importanza scientifica eccezionale in quanto ha
messo in luce la testimonianza di una necropoli protostorica nel territorio
livornese e nell’area costiera della Toscana settentrionale (Sammartino, 1989).
95
Figura 1. Cinerario proveniente dalla necropoli di Parrana San Martino.
Scheda 2. Livorno: l’ipotetico sepolcreto di
Quercianella
Il sito di Quercianella fu oggetto di diverse dispute, a causa dell’incerta
provenienza del materiale, recuperato intorno il 1851 nel Podere della famiglia
Gower. Le prime informazioni risalgono al 1883-1884 e sono reperibili nelle
pubblicazioni di Chierici e Mantovani, i quali espressero da subito un certo
scetticismo al riguardo. La volontà di verificare l’attendibilità di questo dubbio
ritrovamento li spinse ad effettuare un sopralluogo sul sito, dove rilevarono
solo pochi frammenti ceramici incisi con la tipica decorazione villanoviana.
Nel 1933 anche Toscanelli, nella sua opera su Pisa considera falsa la
provenienza delle urne donate da Abele Gower. E ancora, nel 1942 L. Banti
considerava, del tutto incerto tale complesso. Verso il 1982-1983 A. Romualdi
contribuisce ad avvalorare tale ipotesi negativa. F. Fugazzola Delpino inoltre,
pur mantenendo una posizione dubbia e perplessa, non nega l’eventualità di
una qualche attestazione di epoca villanoviana a Quercianella (Zanini, 1997).
Tuttavia, attraverso le nuove metodiche di analisi effettuate sul materiale, è
stato possibile ottenere preziose informazioni sull’area di provenienza che pare
96
proprio quella livornese. I reperti recuperati all’epoca presentano forma e
decorazioni proprie dell’Etruria settentrionale dell’età del Ferro; l’assenza della
decorazione metopale e il gusto per la decorazione continua a meandri angolari
li avvicina all’area fiorentina. Il motivo a meandro campito da punti impressi
richiama il sito di Volterra (IX secolo a.C.); inoltre, i motivi a falsa cordicella
sono tipicamente impiegati a Pisa e a Livorno-Stagno. Per quanto concerne la
tipologia dei cinerari, sono attestati vasi biconici, vasi globulari, monoansati a
spalla distinta, muniti di ciotole-coperchio (fig.2). I vari cinerari erano, inoltre
accompagnati da oggetti appartenenti al corredo funerario, come molte
fuseruole, armi (punte di lancia a profilo sinuoso ascrivibili alla prima età del
Ferro), fibule ad arco foliato decorato a bulino, staffa a disco spiraliforme e
sbarretta trasversale. In particolare, i manufatti metallici trovano riscontro nelle
necropoli populiniesi e di Vetulonia sia per la morfologia, che per l’ideologia
della presenza di armi sin dalle fasi più antiche (Zanini, 1997).
Riepilogando, dalle caratteristiche morfologiche e decorative dei materiali
rilevati, è possibile auspicarne un inquadramento cronologico che va dal IX al
VIII secolo a.C., (Zanini, 1997).
Figura 2. Vaso funerario proveniente dal sito di Quercianella (LI).
97
Scheda.3 Livorno: la necropoli di Villa Barone (PB)
L’area cimiteriale è localizzata lungo la parte sommitale e le pendici orientali
del rilievo a sud di Villa Barone De Stefano, attualmente adibito a bosco ceduo
rado. Il sito fu indagato nei primi anni Sessanta da A. Galiberti e F. Bagnoli,
componenti dell’Associazione Archeologica Piombinese (Fedeli, 1997).
La necropoli ha restituito una buona quantità di tombe a pozzetto semplice
contenenti vari cinerari, purtroppo in cattivo stato di conservazione.
Quest’ultimi si suddividono in due tipologie vascolari: il primo caratterizzato
da un vasellame a pareti spesse, ben levigate, mentre il secondo raccoglie vasi
con pareti sottili ben lucidate. Sono attestate sia urne di forma globulare che
vere e proprie brocche biconiche, interessate da una decorazione incisa e/o
impressa, munite di anse impostate nella parte mediana del collo e sulla spalla.
La maggior parte degli ossuari sono ascrivibili al Bronzo Finale e alla prima
età del Ferro (fig. 3). La distruzione di cui sono stati oggetto alcuni vasi ha
comportato la dispersione dei corredi funerari, nonché, delle ciotole-coperchio
(scarsa presenza). Solo pochi oggetti sono giunti fino a noi, come alcuni
anellini bronzei, un frammento di testa di spillone a rotella, frammenti di fibula
ad arco ingrossato con nodulo e trecce di decorazione incisa (Fedeli, 1997).
Figura 3. Urna proveniente dal sepolcreto di Villa Barone (LI).
98
Scheda 4. Volterra: il sepolcreto delle Ripaie
Nella zona sud del colle di Volterra, dove sorgeva il centro abitato ,ascrivibile
all’età del Bronzo medio-finale, si sviluppa la vasta area cimiteriale delle
Ripaie, scoperta nel 1969 a causa dei lavori di demolizione per la realizzazione
del nuovo impianto sportivo della città. A circa un metro di profondità dal
piano di campagna sono emersi diversi pozzetti villanoviani. Questi ultimi
furono scavati e parzialmente studiati da Enrico Fiumi, direttore del Museo
etrusco Guarnacci ed ispettore della Soprintendenza di Volterra, il quale non
riuscì a pubblicare una completa analisi dei vari materiali, a causa della sua
improvvisa scomparsa. La mancanza di un giornale di scavo e il fortunoso
recupero dei reperti legato alle esigenze di cantiere hanno inoltre impedito
qualsiasi definizione della stratigrafia orizzontale della necropoli e la
realizzazione di una documentazione completa (Camporeale, 2008). Ciò
nonostante, attraverso recenti indagini è stato possibile rilevare un numero
cospicuo di complessi tombali: sono state portate in luce 36 tombe ad
incinerazione, afferenti a tre fasi (prima fase IX sec, seconda fase metà VIII
sec, terza fase fine VIII sec). Alcune sepolture sono sistemate entro pozzetti
semplici, contenenti ossuari biconici monoansati (fig. 4), muniti di ciotole di
copertura (Fase 1). Altre sono organizzate entro doli di impasto, impiegati per
raccogliere direttamente il materiale combusto o come fodera per l’urna,
coperti nella maggior parte dei casi da una lastra litica (cfr. tombe 8/21 della
necropoli Guerruccia). I cinerari sopra citati per i loro caratteri morfologici
fortemente locali, con forme ovoidi o globulari tozze e compresse, rientrano
pienamente nel repertorio etrusco-settentrionale, trovando chiari confronti con
le necropoli coeve di Nomadelfia, di Vetulonia-Poggio alla Guardia e in area
meridionale si può riscontrare qualche affinità con gli ossuari dell’Osteria di
Vulci, di tradizione protovillanoviana (Rosselli, 2008). Per quanto riguarda i
corredi funerari, un primo gruppo di tombe più antiche ne è completamente
privo, mentre un secondo gruppo è caratterizzato da alcune suppellettili di
ornamento personale. Di una certa importanza la presenza in tre sepolture di
armi e rasoi, elementi che rilevano lo stato sociale del defunto (Camporeale,
2008). L’area delle Ripaie utilizzata come luogo funerario fino alla fase recente
del Villanoviano, conserva le tipiche tombe del periodo precedente,
caratterizzate ancora da deposizioni singole entro pozzetti semplici. In questo
99
periodo si assiste ad un spostamento degli abitanti residenti nell’antico
insediamento, verso il settore nord-occidentale del pianoro volterrano,
favorendo lo sviluppo di nuovi spazi abitativi e sepolcrali. Infine, tra la fase
recente del villanoviano e l’Orientalizzante, già accennate precedentemente, si
diffondono le sepolture a cremazione entro ziro, concentrate nel settore
centrale e occidentale dell’area (Rosselli, 2008).
Figura 4. Biconico proveniente dalla necropoli delle Ripaie a Volterra.
Scheda.5. Populonia: la necropoli di Podere Casone e
Podere S.Cerbone
Entrambe le aree sepolcrali sono ubicate nella parte centrale del Golfo di
Baratti, appartengono evidentemente ad un’unica necropoli di grandi
dimensioni, che sfrutta la natura argillosa del terreno, particolarmente adatto
alla realizzazione di pozzetti e fosse funerarie. Nel 1908 Antonio Minto scoprì
circa una quindicina di sepolture a cremazione afferenti all’età del Ferro
(Minto, 1943). Si distinguono tombe a buca semplice di forma irregolare e
tombe a pozzetto (fine del IX secolo a.C. e inizio VIII secolo a.C.),
accompagnate da diverse sepolture ad inumazione, semplici fosse terragne. Gli
ossuari sono di tipo biconico accompagnati nella maggior parte dei casi da
corredo, composto da molte fibule di vario tipo: una ad arco serpeggiante a
100
doppio occhiello, una a disco con l’arco lievemente ingrossato, tre foliate a
disco, una a sanguisuga; inoltre alcuni spirali di bronzo, fermatrecce di bronzo,
una collana di perle di pasta vitrea e diversi altri oggetti di un certo interesse
culturale.
Il dualismo del rito funebre è attestato anche in questa necropoli come nelle
altre dell’area di Populonia, ad eccezione di Poggio della Porcareccia.
Interessante notare la cospicua quantità di sepolture ad inumazione affiancate
ai pozzetti ad incinerazione (Fedeli, 1983).
Scheda 6. Populonia: la necropoli di Piano delle
Granate e Poggio Granate
Le necropoli di Piano delle Granate e Poggio Granate si estendono nella parte
orientale del Golfo di Baratti a breve distanza dall’attuale linea di costa, e
purtroppo risultano seriamente danneggiate dall’azione delle onde. Le
sepolture ad incinerazione del colle omonimo, concentrate lungo il declivio
digradante verso il Piano e sul versante occidentale, hanno subito un discreto
danneggiamento causato dall’azione erosiva delle acque meteoriche.
Tra il 1915 e il 1929 Antonio Minto indagò entrambe le necropoli (Minto,
1922), le quali restituirono una ventina di tombe ad incinerazione databili
generalmente al Villanoviano IA-IB (IX-VIII secolo a.C.). Le sepolture sono
ricavate in uno spesso strato di sabbie e argille e si raggruppano in piccoli
nuclei distribuiti sul territorio. Sono presenti complessi sepolcrali a pozzetto
cilindrico con rivestimento delle pareti, provviste sia della lastra di posa che di
quella di copertura dell'ossuario e tombe costituite da una semplice buca di
forma irregolare. Sono caratterizzate da ossuari di tipo biconico decorati
secondo gli schemi consueti e da oggetti appartenenti ai corredi, ma difficili da
inventariare. Questa difficoltà di registrazione dei vari oggetti fu causata dalla
sovrapposizione delle tombe a fossa sulle tombe a pozzetto, le quali
provocarono una seria confusione tra i materiali al momento del ritrovamento
(Acconcia, 2005).
Di particolare interesse le caratteristiche di alcuni ossuari meglio conservati; è
stato rinvenuto un cinerario del tipo ovoide, con breve orlo estroflesso e fondo
piatto, munito di un’ansa a maniglia semicircolare. Un altro cinerario di tipo
101
biconico presentava una decorazione caratterizzata da una duplice solcatura
orizzontale sul collo e da una serie di motivi angolari eseguiti a doppia
solcatura sul ventre. A questi cinerari è da aggiungere un frammento di urna a
capanna, rinvenuto sporadicamente da Antonio Minto sul versante rivolto verso
il mare. Per ciò che concerne le tombe a inumazione furono rilevate sepolture a
fossa con le pareti sia rivestite che non rivestite da muretti a secco o da lastroni
di calcare ricoperte da una lastra o riempite di terra e pietre.
Concludendo, la distribuzione delle necropoli villanoviane nel territorio di
Populonia può fornire importanti informazioni sull’ubicazione degli
insediamenti durante l’età del Ferro. Nel corso del IX secolo a.C. i sepolcreti
individuati risultano distribuiti nella parte orientale e centrale del golfo di
Baratti. Quasi tutte le necropoli di questo periodo continuano ad essere in uso
durante tutto l’VIII secolo a.C. (Fedeli, 1983).
Scheda 7. Vetulonia: le necropoli di “Il Poggio alla
Guardia” “Poggio Belvedere”, “Poggio alle Birbe”
Le necropoli di Poggio alla Guardia, Poggio Belvedere e Poggio alle Birbe
appartengono tutte alla prima età del Ferro e occupano il versante orientale
della città di Vetulonia.
Il nucleo funerario più ricco e significativo proviene da Poggio alla Guardia,
area cimiteriale più vicina all’abitato di Vetulonia. Le tombe indagate da Falchi
risultano tutte a pozzetto; salvo rare eccezioni i pozzetti erano privi di
rivestimento e fittamente concentrati (Cygielman, 1986). Inoltre, quasi sempre
le sepolture erano ad unica deposizione, anche se non mancano esempi di
deposizioni bisome, con due cinerari sovrapposti divisi da una lastra di pietra.
Gli ossuari più comuni sono vasi biconici decorati a graffito, coperti da una
ciotola-coperchio, caratterizzate da due anse, di cui una spezzata ritualmente.
In un momento avanzato del IX secolo a.C., emerse tutta una serie di
trasformazioni legate all’aumento demografico: espansione delle necropoli e un
profondo mutamento negli usi funerari, costituito dall’introduzione dei “circoli
di pietre interrotte” (Poggio alla Guardia), delle tombe sotto tumulo (Colle
102
Baroncio) e delle deposizioni bisome. Probabilmente, questi sono da
interpretare come segni ben tangibili di una precoce volontà di riunione in clan
familiari, simbolo della formazione di sfere di potere all’interno della comunità
(Cygielman, 1986).
Rilevante l’introduzione, nella seconda metà del IX secolo a.C., dei primi
elementi di prestigio come oggetti d’oro, dei primi prodotti d’importazione e
del cinerario a capanna (tipo di urna circoscritta esclusivamente alla necropoli
orientale: Poggio alla Guardia, Poggio alle Birbe e Poggio Belvedere).
Quest’ultima, in questa fase si presenta di notevole dimensione, caratterizzata
da una pianta circolare con o senza zoccolo, pareti che si restringono verso
l’alto e gronda aggettante con decorazione a lamelle metalliche (Bartoloni,
1987). Parallelamente allo sviluppo dell’urna a capanna (fig. 7), il cinerario
biconico di tipo più comune subisce dei cambiamenti; presenta orlo svasato,
collo più allungato a profilo convesso, spalla sfuggente, ventre rastremato,
piede ad anello o piatto, e viene introdotta la tecnica decorativa a lamelle
metalliche (Cygielman, 1986).
Nella fase finale del IX secolo a.C. compaiono nei corredi maschili elementi
che appartengono al corredo femminile, probabilmente si tratta di sepolture
miste o forse di offerte femminili.
Tuttavia, in questo periodo sono assenti nei corredi maschili gli elementi propri
dell’armamento (spade, lance e puntali); l’elmo pileato rimane l’unico
elemento caratterizzante di un particolare “status sociale”.
Tra la fine del IX e l’inizio dell’VIII secolo a.C. non emergono sostanziali
cambiamenti nella tipologia delle sepolture, ma si evidenzia apparizione delle
armi nei contesti maschili (punte di lancia a lama foliata, puntali conici, spade
di foggia italica). Anche i corredi femminili si arricchiscono di vari oggetti
ornamentali (spilloni, fibule ad arco a sezione quadrangolare, fibula a
sanguisuga con dorso decorato e armille a fune e a bastoncello). In questo
periodo persiste l’uso dell’urna a capanna, sempre a pianta circolare; gli ossuari
biconici sono spesso privi di decorazione e presentano un profilo più fluido.
Infine, si arricchisce il repertorio delle forme ceramiche, diventa molto
frequente nei corredi l’askos a collo obliquo e compaiono forme particolari,
come una tazzina gemina d’impasto, decorata a lamelle metalliche, tipo noto
anche a Tarquinia (Cygielman, 1986).
103
Figura 4. Urna a capanna proveniente dal sepolcreto di Poggio alla guardia.
Scheda 8. Sticciano Scalo
Il sepolcreto di Sticciano Scalo si sviluppava nei pressi della foce
dell’Ombrone in località Rigocchio, sotto la provincia di Grosseto. Si
estendeva su un’area particolarmente limitata di circa 150 mq, ma è probabile
che in origine fosse più vasta. Nel 1950, durante un sopralluogo eseguito da
parte della Soprintendenza Archeologica, venne casualmente individuata l’area
cimiteriale, che divenne da subito oggetto di intense campagne di scavo. Il sito,
particolarmente sconvolto dai lavori agricoli e dai precedenti scavi clandestini,
restituì 18 sepolture a pozzetto semplice e strutturate, localizzate in parte a
nord e più densamente a sud (suddivise a sua volta in due nuclei distinti,
orientale e occidentale) del settore sepolcrale e ascrivibili alle ultime fasi del
Bronzo finale (Zanini, 1995). Gli ossuari deposti entro i complessi funerari
erano in parte danneggiati a causa delle azioni antropiche. Tuttavia, furono
recuperati diversi vasi funerari di tipo biconico muniti di ciotola coperchio (fig.
8), i cui caratteri morfologici richiamano i cinerari dei sepolcreti del Sasso di
Furbara. I corredi che accompagnavano le urne erano particolarmente scarsi o
addirittura assenti; gli unici elementi che connotavano i complessi erano:
qualche fibula, un rasoio a paletta quadrangolare, e pochi vasi accessori fittili
(Zanini, 1993).
104
Infine, la povertà dei contesti funerari analizzati in questa sede non consente né
una precisa collocazione cronologica nè fornisce un quadro arealmente definito
della culturale materiale. Dal magro “tessuto connettivo” la necropoli di
Sticciano Scalo risulta di fatto un’emergenza quasi isolata (Zanini, 1993).
Figura 8. Cinerario ascrivibile alla necropoli di Sticciano Scalo.
Scheda 9. Crostoletto di Lamone e Pian Sultano due siti
a confronto
Il sito di Crostoletto di Lamone si sviluppa nella valle del Fiume Fiora. Sul
vasto pianoro argilloso detto di Crostoletto, posto tra l’estremità occidentale
della Selva del Lamone, sorgeva la preziosa area cimiteriale. L’area sepolcrale
di Pian Sultano è invece ubicata su un pianoro presso il Fosso Eri, di fronte alla
località di Fontanile Pietrone, a circa 50 km da Roma. Entrambi i siti sono di
una eccezionale importanza per la tipologia dei complessi tombali che
restituirono durante la varie campagne di scavo eseguite a più riprese tra gli
anni ’50-‘70. Nel sepolcreto di Crostoletto furono rilevate otto strutture
monumentali (dei tumuli di forma circolare) collegate fra loro, tutte ascrivibili
al Bronzo finale, all’interno dei quali erano deposte sia tombe ad inumazione
che a cremazione (urne biconiche), (Rittatore Vonwiller, 1968). I complessi
erano connotati da vari oggetti riferibili al corredo, quali fibule di vari tipo,
vasi fittili accessori, perline in pasta vitrea e una lama in ossidiana (fig. 9.1).
105
Nella necropoli di Pian Sultano furono portati in luce 5 complessi funerari a
struttura megalitica o pseudo-megalitica, “i Dolmen”, composti da grossi
lastroni irregolari di travertino sorretti e contenuti da un tumulo di pietre e terra
e caratterizzati inoltre da deposizioni esclusivamente ad inumazione (fig. 9.2).
E’ probabile che le varie strutture ospitassero sepolture multiple di individui
legati da vincoli di parentela (Rittatore Vonwiller, 1968).
Concludendo, sono stati presi in considerazione e messi a confronto questi due
siti per la loro eccezionalità e unicità delle strutture sepolcrali. Siamo di fronte
ad una manifestazione sepolcrale di aspetto assai composito per elementi
(tomba dolmenica, tumulo, incinerazione) che in altri momenti sono isolati e
caratterizzano individualmente i diversi orizzonti culturali. Qui sono tutti e tre
riuniti nello stesso nucleo, probabile espressione di un elevato grado di
evoluzione raggiunto da queste culture locali già nell’età tarda e finale del
Bronzo. Di un certo interesse, il fatto che la monumentalità sepolcrale attestata
in queste due necropoli proto villanoviane svanirà nella fase successiva della
cultura villanoviana (Rittatore Vonwiller, 1971). In questo orizzonte
cronologico non sono documentate strutture di questa complessità. Queste
strutture rifioriranno con grande maestranza (più grandi e regolari) nel periodo
etrusco, nelle forme a camera o corridoio sotto tumulo in tutto il territorio da
Veio a Firenze. Detto questo sorge la domanda: i sepolcreti di Crostoletto di
Lamone e Pian Sultano ubicati nel cuore dell’Etruria posso ritenersi i prototipi
delle tombe monumentali (già menzionati sopra) che si svilupperanno più tardi
nel territorio etrusco?
106
Figura 9.1. Materiale proveniente dall'era archeologica di Crostoletto di Lamone.
Figura 9.2. Strutture sepolcrali del sepolcreto di Pian Sultano.
107
Scheda 10. Sesto Fiorentino: le necropoli di Val di Rose
e di Madonna del Piano
Tra il 1992 e il 1993, in occasione dei lavori di costruzione del nuovo Polo
Scientifico dell’Università di Firenze a Sesto Fiorentino, venne condotta
un’esplorazione archeologica nella località di Val di Rose, sotto la direzione
della Soprintendenza e dell’Università di Siena (M. Salvini, 2007).
L’area indagata è di circa 250 metri quadrati e si trova a 38 metri sul livello del
mare. Le tombe villanoviane emerse hanno la peculiarità di essere tagliate nei
livelli compresi tra l’età del Bronzo antico e quelli degli inizi del Bronzo
medio, immediatamente sotto la superficie agricola. Le sepolture individuate
formano un piccolo nucleo coerente, composto da 5 fosse a pozzetto contenenti
doli con biconici e relative ciotole di copertura, accompagnati da alcuni oggetti
di ornamento personale (fig. 10.1). Degna di nota è la quinta fossa funeraria per
i suoi scarsi frammenti ceramici di impasto grossolano, probabilmente riferibili
ad un grande contenitore.
In via Lazzerini, a breve distanza dal nucleo funerario di Val di Rose, emerse
una sepoltura a cremazione, in cui il defunto era un adulto di sesso maschile,
accompagnato da un pugnale di ferro e da una fibula a sanguisuga in bronzo,
posti all’altezza del cranio. La deposizione si data tra la fine dell’VIII e l’inizio
VII secolo a.C. (Salvini, 2007).
Nel 1993 gli scavi della Soprintendenza e dell’Università di Siena
proseguirono nella vicina area di Madonna del Piano, dove furono rinvenute 5
tombe del tipo a pozzetto e i resti di due sepolture in fossa di inumati (orientati
SE-NO, con la testa rivolta verso sud-est), oltre a due deposizioni di animali
(un cane e un bovide). In preistoria sono frequenti sepolture intenzionali di
animali, in particolare per la zona fiorentina. Gli incinerati sono deposti
direttamente nei doli coperti da lastre di arenaria o a volte i doli stessi fungono
da vasi funerari (fig. 10.2). Da rilevare che tre sepolture sono bisome e
contengono i frammenti ossei di individui adulti associati a quelle di soggetti di
età giovanile (Salvini, 2007).
Tutti i complessi sepolcrali erano ricoperti da lastre litiche, un costume tipico
della cultura villanoviana. Rientra tra i rituali della cultura villanoviana anche
l’usanza della rottura intenzionale di una o di entrambe le anse del vaso
108
(interessati sia i biconici che i doli), chiaro intento defunzionalizzante
dell’oggetto, indipendente dalla diversità di sesso e di età di morte del defunto.
Entrambe le necropoli, analoghe nella strutture, nel rituale funebre e nei
corredi, sono inquadrabili nell’arco dell’VIII secolo a.C., un periodo in cui il
rito dell’inumazione si affianca a quello dell’incinerazione.
La deposizione delle tombe per piccole aree sepolcrali, infine, potrebbe essere
legata ai diversi gruppi umani che si stabilirono per nuclei ristretti nella pianura
fiorentina durante l’VIII secolo a.C., area particolarmente apprezzata per la sua
posizione di crinale, a controllo di due direttrici di comunicazione, quali la
Valle dell’Arno e la Val di Sieve, che ne favorì la crescita e il successivo
sviluppo come principale centro etrusco dell’area a nord dell’Arno (Salvini,
2010).
Figura 10.1. Urna riferibile al nucleo funerario di Sesto Fiorentino (Val di rose).
109
Figura 10.2. Tomba proveniente da Madonna del Piano in corso di scavo in laboratorio.
Scheda 11. Firenze: le tombe “del Gambrinus”
Verso la seconda metà dell’ottocento furono scoperte nell’antico centro di
Firenze, alcuni nuclei di tombe a pozzetto ascrivibili alla prima metà dell’VIII
secolo a.C. La prima notizia del ritrovamento fu data da L.A.Milani nelle
Notizie degli Scavi nel 1892 e successivamente nei Monumenti Antichi dei
Lincei nel 1895. In tutto erano 6 sepolture a pozzetto semplice, nei quali erano
deposti i doli, caratterizzati da un’ansa spezzata ritualmente e ricoperti da lastre
di arenaria. Quest’ultimi contenevano gli ossuari-biconici (fig. 11), monansati,
muniti di ciotola-coperchio (tipo Villanova)e accompagnati inoltre, da diversi
oggetti appartenenti al corredo (deposti al di fuori dello ziro, eccetto per la
tomba 5), quali fibule (ad arco ribassato ritorto a cordicella, staffa a disco, ad
arco rivestito), fuseruole fittili, e una collana composta da elementi in quarzite.
Solo in un caso (tomba 5), il dolio fungeva direttamente da vaso sepolcrale. Le
analisi antropologiche effettuate sul materiale combusto hanno permesso di
ottenere dati sul sesso e l’età dei morte dei vari defunti; sono presenti due
femmine due maschi adulti e tre infanti, forse ascrivibili ad unico nucleo
familiare-parentale. Interessante notare che, la pratica rituale di deporre il
cinerario entro un dolio o ziro rientra pienamente nei costumi vigenti dei siti
dell’età del Ferro dell’Etruria settentrionale interna (Volterra e Chiusi) (Salvini,
2010). Le poche sepolture dell’età del Ferro recuperate nel centro di Firenze
non sono probabilmente, le uniche presenti nell’area fiorentina, e lo si evince
110
dai ritrovamenti sporadici effettuati nello stesso periodo in città, poiché per la
sua collocazione quest’area godeva di una posizione idonea ad ospitare abitati
e/o necropoli. L’area infatti era ubicata vicino ad uno dei punti di
attraversamento dell’Arno, dove il fiume si restringeva fortemente permettendo
un facile passaggio. Dallo studio del sepolcreto “del Gambrinus”, infine,
emerge l’importanza che l’area fiorentina dovette rivestire già in questo
periodo storico, favorita dalla sua posizione nei pressi di importanti vie naturali
che facilitavano gli stretti rapporti con gli altri centri villanoviani (Salvini,
2010).
Figura 11. Urna recuperata nel nucleo funerario del “Gambrinus” a Firenze.
111
Scheda 12. Chiusi: i sepolcreti di Poggio Renzo,
Fornace Marcianella.
Entrambe le necropoli, ascrivibili all’età del Ferro, furono portate in luce verso
la fine dell’Ottocento, ubicate rispettivamente a nord (Poggio Renzo), e a ovest
(Fornace Marcianella) di Chiusi. E’ probabile che Poggio Renzo fosse legato
all’abitato di Monte Venere e/o di Monte S.Paolo e Fornace con quello di
Petrina-Petriolo .Le tombe che furono rilevate nel sepolcreto di Poggio Renzo
erano di tipo a pozzetto rivestito di ciottoli o di sottili lastre di tufo, disposte
ordinatamente lungo tre file orizzontali, a distanze regolari l’una dall’altra. Da
osservare l’assenza di limiti topografici o raggruppamenti che potevano
corrispondere e diversi nuclei familiari. Purtroppo durante i recuperi andarono
dispersi tutti i corredi funebri, composti dal cinerario, vasi d’impasto
accessorio, fuseruole, e alcuni oggetti in bronzo (rasoi, fibule, catenelle,
spilloni) (Bettini, 2000). Tra le poche informazioni concernenti il materiale
funerario, è noto che erano presenti due tipi di coperture dell’urna, la ciotola-
coperchio monoansata, un coperchio con presa configurata con due figure che
si abbracciano nel momento del commiato funebre e l’elmo pileato (cfr.
Tarquinia e Veio), l’unico elemento che consente di evidenziare una
distinzione di ruoli nell’ambito della società (Bettini, 2000).Per quanto
riguarda i ritrovamenti villanoviani nell’area di Fornace-Marcianella, i dati
sono alquanto scarsi; è noto che i materiali confluirono nella collezione Bonci
Casuccini al Museo di Siena. Degna di un breve accenno, è la necropoli di
Montebello ubicata a nord di Chiusi, la quale restituì alcuni importanti corredi
che segnano il passaggio tra l’età del Ferro e l’inizio dell’orientalizzante
mostrando una facies culturale particolarmente povera, ancora fortemente
legata al periodo villanoviano. Con il periodo orientalizzante si assiste nell’area
chiusina alla sostituzione dei pozzetti villanoviani con le tombe cosiddette a
ziro e di doli d’impasto contenenti gli ossuari e gli elementi di corredo. I pochi
cinerari villanoviani chiusini, nonché alcuni manufatti metallici, presentano
una forte variabilità tipologica, che trova analogie con esempi provenienti da
Tarquinia, Veio, Vulci. Vetulonia, Populonia e con in centri della pianura
Padana. Ciò è da imputare alla posizione geografica e soprattutto al ruolo di
intermediario assunto dal territorio chiusino nel quadro dei rapporti a largo
112
raggio tra i centri dell’Etruria meridionale, Bologna e l’Italia settentrionale,
attraverso l’uso di una delle vie principali, quello della Val del Chiana. Chiusi,
pur avendo un ruolo importante in questo complesso scenario di contatti,
rimane parzialmente esclusa da certi aspetti ideologici propri dei centri
villanoviani dell’Etruria meridionale/settentrionale costiera, quali l’adozione
dell’urna a capanna e la deposizione di armi offensive nei corredi funerari.
Infine, verso l’VIII secolo si assiste all’ingresso del rito inumatorio nel
territorio etrusco; ciò nonostante, Chiusi conserva il rito incineratorio, come
buona parte dell’Etruria settentrionale (Bettini, 2000).
Scheda 13. Vulci: le necropoli di Ponterotto, Cavalupo e
Poggio Mengarelli
L’Insediamento di Vulci, distante dal centro di Tarquinia di circa 20 km, fu
oggetto di varie indagini tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento,
dalle quali furono portati in luce diversi sepolcreti ascrivibili alla prima età del
Ferro (IX-VIII secolo a.C.), quali Ponterotto, Cavalupo e Poggio Mengarelli
(studiati soprattutto dall’archeologo francese Stephane Gsell) (Falconi
Amorelli, 1983-1987).
La necropoli di Ponterotto, ubicata a pochi metri dal famoso tumulo arcaico
della “Cuccumella”, restituì 14 tombe a pozzo, collegate fra loro da “piccoli
corridoi” (fenditure), che creavano una “rete” di 10 pozzetti (Iaia, 1999). Tale
organizzazione di tipo “pianificatorio” rifletteva la volontà di sottolineare
l’appartenenza ad uno stesso gruppo degli individui sepolti. Le strutture
tombali erano la maggior parte di tipo a pozzetto a risega e, in minoranza
pozzetti con custodia cilindro-ovoide, legate a una differenziazione sociale
(tipologia sepolcrale ben documentata a Tarquinia). Tra gli ossuari deposti nei
vari complessi prevale nettamente il biconico della classica foggia
“villanoviana”, quasi sempre monoansato, munito di ciotola-coperchio
caratterizzata da orlo rientrante. Da notare inoltre che non tutti i vasi erano
accompagnati dagli elementi del corredo. All’interno delle varie sepolture si
assiste ad un crescendo di complessità, che va dalle tombe completamente
prive di oggetti funerari a quelle particolarmente ricche (Iaia, 1999). Anche il
113
sepolcreto di Cavalupo era organizzato secondo uno schema di
“pianificazione” ben preciso (afferente come per la necropoli precedente allo
scorcio pieno/evoluto della fase I). I vari pozzetti di dimensioni molto piccole
erano distribuiti in 4 gruppi separati, e si aprivano sul fondo di fosse di pianta
molto irregolare (Iaia, 1999). Oltre alle tombe di tipo a pozzetto a risega e con
custodia erano attestati, inoltre, complessi funerari a fossa sia a deposizione
singola che multipla. I vasi funerari erano prevalentemente contenitori biconici,
tuttavia, emersero 4 esemplari di urne a capanna (Bartoloni, 1987). A
differenza dell’area cimiteriale di Ponterotto, Cavalupo restituitì dei coperchi
simbolici, quali elmi fittili a calotta, e a calotta ed apice d’impasto (di cui un
esemplare ha l’apice a forma di capanna), indicatore del ruolo bellico di alcuni
individui di sesso maschile. Per quanto concerne i corredi si dividono in tre
gruppi: corredi semplici femminili composti da fuseruole e fibule ad arco (in
alcuni casi accompagnati da vasellame accessorio), sepolture prive di corredo
(la maggioranza), e scarsi complessi maschili caratterizzati da rasoio e fibule
(Bartoloni, 1987). Dalla terza area cimiteriale furono portate in luce le stesse
tipologie tombali riscontrate nelle altre due necropoli; furono inoltre recuperate
una sepoltura a deposizione bisoma (all’interno erano deposte un’urna a
capanna afferente ad un individuo maschile e un vaso biconico ascrivibile ad
un individuo femminile), e due a pozzo sovrapposte, quasi a formare due
“piani”. Il sepolcreto di Poggio Mengarelli ha inoltre restituito oltre alle
classiche urne biconiche, anche preziosi cinerari a capanna, contenenti rasoi,
fibule e anelli (Falconi Amorelli, 1983, Iaia, 1999).
Concludendo, la documentazione dei complessi funerari del territorio vulcente
della prima età del Ferro è alquanto frammentario; tuttavia, allo stato attuale
delle conoscenze è stato possibile ricostruire alcuni aspetti delle pratiche
funerarie. Per tutta la prima età del Ferro sono note a Vulci diverse strutture
funerarie, quali pozzetto a risega, con custodia (cilindro-ovoide) e a fossa a
deposizione singola o multipla. Sono inoltre attestati ossuari-biconici muniti di
ciotola-coperchio e/o coperchio simbolico (elmo a calotta con o senza apice), e
scarse ma importanti urne a capanna. Ogni necropoli segue una organizzazione
pianificata, riflesso di una società complessa e articolata. Dalla presenza di
alcuni bronzetti sardi (nella necropoli di Cavalupo), riferibili ad una fase
114
avanzata del villanoviano antico, si evince come già in questo periodo Vulci
fosse inserita in un grande giro commerciale (Camporeale, 1975).
Figura 13. Vaso funerario con coperchio simbolico rilevato nell'area cimiteriale di Cavalupo (Vulci).
Scheda 14. Sasso di Furbara (Cerveteri)
Sasso di Furbara, collocato su una zona dominate, aperta al mare e vicino
Cerveteri era un’area particolarmente ricca di sepolcreti ascrivibili al proto
villanoviano, e di cui alcuni si protraggono al Villanoviano. Fu indagata tra gli
anni ’50 e ‘60 del Novecento. Le necropoli di Montorgano, Puntone di
Norcino, Puntone dell’Oliveto, Monte della Ginestra sono solo alcune di un
gruppo particolarmente vasto di aree cimiteriali che pullulavano nel territorio.
Il sepolcreto di Montorgano, oggi oramai distrutto, si estendeva a nord-ovest
del villaggio del Sasso su due piccoli dossi contigui che costituisco la località
di Montorgano. Al momento della scoperta avvenuta fortuitamente vennero
recuperate sulla sommità dei due dossi circa 8 sepolture ad incinerazione, le
quali si suddividevano in tre gruppi tipologici: il primo con custodia sferoidale
in tufo, il secondo a “cassetta”, e il terzo in pozzetto semplice (Brusadin,
1987). Le urne deposte nei vari complessi tombali erano di tipo biconico o
115
ovoide, nella maggior parte dei casi munite di ciotola coperchio (fig. 14.1),
eccetto in una tomba dove il coperchio era a forma a pileo. Da ricordare inoltre
l’eccezionale recupero di un coperchio a forma di capanna. I cinerari erano
accompagnati dai vari elementi del corredo, quali vasetto fittili accessori,
qualche fibula arco semplice, perline vitree ed un rasoio. Nel complesso i
corredi erano alquanto poveri. La necropoli di Puntone di Norcino era ubicata
su un piccolo altorilievo tondeggiante sul Puntone. Si estendeva su una
superficie di 150 mq, nella quale furono portate in luce 15 tombe a pozzetto
rivestite da ciottoli e in custodia sferoidale in tufo, orientate su un allineamento
NE-SO. I vari complessi funerari (di cui alcuni in pessimo stato di
conservazione) erano connotati da ossuari-biconici con ciotola-coperchio.
Furono rilevati inoltre diversi oggetti appartenenti al corredo, quali vasi
accessori fittili (askos, una lucerna, bicchieri, un vasetto a barchetta), qualche
fibula ad arco semplice e due fuseruole. Gli elementi fittili rispetto a quelli in
metallo erano particolarmente frequenti. Degna di nota la presenza di alcuni
segnacoli posti per evidenziare la presenza delle strutture sepolcrali (Brusadin,
1964). Le piccole aree cimiteriali di Puntone dell’Oliveto e di Monte della
Ginestra erano collocate, la prima a ovest e la seconda a sud del Puntone di
Norcino (fig. 14.2), purtroppo distrutte a causa dei lavori agricoli. Rispetto alle
altre necropoli restituirono diversi materiali ascrivibili sia al proto villanoviano
che al villanoviano, quali molti frammenti ceramici caratterizzati da
decorazioni tipiche. Le strutture tombali richiamavano le stesse che furono
recuperate negli altri sepolcreti proto villanoviani del Sasso; come custodie
tufacee, pozzetti foderati di ciottoli e tombe a cassetta (Brusadin, 1987). Nel
complesso fu osservato che nei sepolcreti proto villanoviani del Sasso erano
presenti le stesse strutture tombali. La composizione dei corredi era
particolarmente scarso, o assente, pochi i casi di sepolture accompagnate da un
ricco corredo (materiale fittile). Sono tuttavia di forte interesse le attestazioni
provenienti dalla necropoli di Montorgano; un coperchio a tetto di capanna e
una figurazione plastica umana rappresentata sul collo di un’urna.
L’eccezionale coperchio a tetto di capanna di Montorgano, che diverrà nella
cultura villanoviana elemento peculiare della cultura laziale, contribuisce con
certezza a individuare l’origine di questo tipo nel territorio del Sasso, visto che
in questo periodo (Bronzo finale) questa tipologia di ossuario è completamente
116
assente in ambito laziale. Riguardo alla figurazione decorativa antropomorfa,
fu osservato da Brusadin che era del tutto analogo ad un motivo inciso su un
coperchio proveniente da Montetosto; inoltre, entrambi richiamano le rese
plastiche che erano realizzate sulla copertura della maggior parte delle urne a
capanna villanoviane (Brusadin, 1987). Altri elementi di notevole interesse
erano: un piattello tripode in miniatura associato ad un coperchio con apice
sempre provenienti da Montorgano, che verrà preso in prestito nelle necropoli
del Sorbo e di Selciatello nell’orizzonte cronologico successivo. Sempre da
quest’ultimo sepolcreto era documentato un coperchio di forma ad elmo
specializzato. Dalla necropoli ai Puntoni emerse un’urna biconica, non
decorata, con ansa orizzontale, munita di ciotola-coperchio troncoconica a
bordo rientrante, ansa sporgente sul bordo; infine, tutte le forme vascolari degli
ossuari ascrivibili alle aree cimiteriali del Sasso, diverranno tipiche nella facies
villanoviana (Brusadin, 1987).
Concludendo, al territorio del Sasso, per tutti quei caratteri specifici del
protovillanoviano che sono stati sopra descritti, è da attribuire un ruolo
importante di centro innovatore, per la spinta e brusca accelerazione alla
formazione del villanoviano locale, nonché per la diffusione di alcuni elementi
culturali che contribuirono al processo di formazione delle facies circonvicine
(Brusadin, 1987). Un’ultima osservazione concerne i rapporti tra il Sasso e la
vicina Cerveteri, i primi insediamenti protostorici erano attestati
esclusivamente nell’area del Sasso e completamenti assenti a Cerveteri.
Successivamente la situazione si capovolge, Cerveteri: diventerà centro
propulsore, probabilmente un fenomeno legato allo spostamento della
popolazione che abitava l’altra area, spinta per la ricerca di nuovi terreni
agricoli da coltivare e per rapporti economici e sociali più complessi (Brusadin,
1987).
117
Figura 14.1. Cinerario con corredo fittile recuperato nel nucleo sepolcrale di Montorgano.
Figura.14.2. Custodia funeraria dal sepolcreto del Puntone di Norcino.
118
Riferimenti Bibliografici
Acconcia V., (2005)-Nuove ricerche nella necropoli populiniese di Piano
Poggio delle Granate, in Camilli A., Gualandi M.L., (a cura di), Materiali per
Populonia 4, Firenze, pp. 165-174.
Bartoloni G.,Buranelli f., D’Atri V., De Santis A., (1987)-Le urne a capanna
rinvenute in Italia, Firenze.
Bartoloni G., (2002)- La Cultura villanoviana all’inizio della storia etrusca.
Roma.
Bartoloni G., (2003)-Le società dell’Italia primitiva. Lo studio delle necropoli
e la nascita dell’aristocrazia. Roma.
Bedini E., (2006)-L’analisi dei resti scheletrici umani, in Venturino Gambari
M a cura di Navigando lungo l’Eridano, la necropoli protogolasecchiana di
Morano sul Po. Museo Civico-Casale Monteferrato, pp. 41-48.
Bettini M.C., (2000)-Chiusi nell’età del Ferro, in “Ann MuseoFaina”, VII, pp
41-78.
Bietti Sestieri A.M., (2010)- L’Italia nell’età del bronzo e del ferro. Dalle
palafitte a Romolo (2200-700 a.C). Roma.
Bruni S., (1997)a-Pisa-via Buonarroti, in Zanini A., (a cura), Dal Bronzo al
Ferro, il II millennio a.C., nella Toscana centro-occidentale, Pisa, pp. 75-79.
Bruni S., (1997)b-Pisa via di Gello, in Zanini A., (a cura di), Dal Bronzo al
Ferro, il II millennio a.C., nella Toscana centro-occidentale, Pisa, pp. 96-101.
Bruni S., (1998)-Pisa Etrusca, Anatomia di una città scomparsa, Milano, pp.
86-113.
Brusadin Laplace D.B., (1964)-Le necropoli del Sasso di Furbara, in
Bullettino di Paletnologia Italiana, 73, Roma, pp. 143-185.
Brusadin Laplace D.B., (1984-87)-Le necropoli del Sasso di Furbara, in
Origini. Preistoria e Protostoria delle Civiltà Antiche, III, pp. 341-408.
119
Burns K.R., (1999)-Forensic Anthopology Training Manual. Prentic Hall.
Englewood Cliffs (NJ).
Camporeale G., (1975)-La civiltà arcaica di Vulci e la sua espansione, Atti
del X Convegno di Studi Etruschi e Italici, Grosseto-Roselle-Vulci, Firenze,
pp. 215-228.
Camporeale G., (2000)-Gli Etruschi Storia e civiltà, Milano, pp. 70-78, 98-
111.
Camporeale G., Maggiani A.,(a cura di), (2008)-Volterra alle origini di una
città etrusca. in Atti della giornata di studio in memoria di Gabriele Cateni,
Pisa-Roma.
Canci A., Minozzi S., (2005)-Archeologia dei resti umani. Roma.
Cateni G., (1984)-Il ripostiglio di Pariana, in Studi di antichità in onore di G.
Maetzke, Archeologia, 49, Roma, pp. 19-29.
Ciampoltrini G., (a cura) (2010)-Fossa cinque della bonifica di Bientina, un
insediamento nella Piana dell’Auser intorno al 1000 a.C., Lucca.
Cygielman M., (1986)-Note preliminari per una periodizzazione del
Villanoviano di Vetulonia. Firenze.
Cocchi Genick D., Grifoni Cremonesi R., (1985).L’età dei metalli nella
Toscana nord-occidentale, Pisa, pp. 21-29.
Costantini A., (2006-07)-La necropoli tardo antica di Pisa-Via Marche, Tesi
di Specializzazione in Archeologia, Università di Pisa.
Delpino F., (1977)-Elementi antropomorfi in corredi villanoviani, in La
Civilità arcaica di Vulci e la sua espansione, in Atti X Convegno Studi Etruschi
Italici (Grosseto-Roselle-Vulci), Firenze, pp. 173-182.
Delpino F., (1995)-Strutture tombali nell’Etruria meridionale villanoviana,
Atti II Incontro di Studi Preistoria in Etruria. Milano, pp. 217.224.
120
De Marinis G., Salvini M., (1999)-Le testimonianze villanoviane, in De
Marinis G (a cura di) Lunga memoria della piana, l’area fiorentina dalla
preistoria alla romanizzazione, Firenze, pp. 79-89.
De Marinis R.C., (2004)-I Liguri tra VIII e V secolo a.C. in (a cura di) De
Marinis R.C., Spadea G., I Liguri Un antico popolo tra le Alpi e Mediterraneo,
Genova, pp. 197-210.
Falchi I., (1891)-Vetulonia e la sua necropoli antichissima. Firenze, pp. 31-87.
Falconi Amorelli M. T., (1983)-Vulci, scavi Bendinelli (1919-1923,.Roma.
Falconi Amorelli M.T., (1987)-Vulci, scavi Mengarelli (1925-1929), Roma.
Fedeli F., (1983)-Populonia, Storia e Territorio. Firenze.
Fedeli F., (1997)-Villa del Barone (Piombino LI), in Zanini A., (a cura), Dal
Bronzo al Ferro, il II millennio a.C., nella Toscana centro-occidentale, Pisa, pp.
169-171.
Ferembach D., Schwidetzky I., & Stloukal M., (1977-1979)-
Raccomandazioni per la determinazione dell’età e del sesso sullo scheletro.
Rivista di Antropologia 60, pp. 5-51.
Fugazzola Delpino A.M., (1984)-La Cultura Villanoviana, Guida ai materiali
della prima età del Ferro nel Museo di Villa Giulia, Roma Edizioni
Dell’Ateneo, pp. 19-58.
Giardino C., (2008)-Paesaggi minerari dell’Etruria pre-protostorica, in
Negroni Catacchio N., (a cura di), Preistoria e Protostoria in Etruria, Atti
dell’Ottavo Incontro di Studi, Paesaggi reali e paesaggi mentali, Ricerche e
scavi, Milano, pp. 73-86.
Guidi A., Piperno M., a cura di(2003)-L’Italia Preistorica,Roma.
Hengen O.P., (1971)-Cribra orbitalia: pathogenesis and probableatiolgy.
Homo, 22, pp. 57-75.
Hernandez L.M., Blazer D.G.,(2006)-Genes, Behavior, and the Social
Environment, Institute of Medicine (US), Washinghton.
121
Holck P., (1986)-Cremated bones. A medical anthropological study of an
archaeological material on crematioc burials. Antropologiske Skrifter 1 Olso:
Anatomisk Universitetet.
Iaia C., (1999)-Simbolismo funerario e ideologia alle origini di una civiltà
urbana. Forme rituali nelle sepolture “villanoviane” a Tarquinia e Vulci, e nel
loro entroterra. Firenze.
Maggiani A., (2004)-La prima età del Ferro nella Toscana settentrionale. In
(a cura di) De Marinis R.C., Spadea G., I Liguri Un antico popolo tra le Alpi e
Mediterraneo, Genova, pp. 199-161.
Mays S., (1998)-The Archaeology of Human Bone. London.
Meind R.S., Lovejoy C.O., (1985)-Ectoranial suture closure: a revised
method the determination of age at death based on the lateral-anterior sutures.
American Fournal of Physical Anthropology 68, pp. 57-66.
Minto A., (1922)-Populonia, la necropoli arcaica. Firenze.
Minozzi S., Vanzetti A., Borgognini Tarli S.M., (2005)-Il sepolcreto a
cremazione del Pozzillo (Canosa, Bari) dell’età del Bronzo: esame
antropologico dei resti incinerati. In XVI Congresso degli Antropologi Italiani,
Genova, pp. 29-31.
Minozzi S., Durante A.M., (2006)-Il rituale della cremazione tra i Liguri:
evidenze antropologiche dalla necropoli di Ameglia (La Spezia). In Atti del
XVI Congresso degli Antropologi Italiani, Milano, pp. 681-690.
Pacciareli M., (1998)-Rito funerario e società nel Bronzo finale dell’Etruria
meridionale, in Negroni Catacchio N., (a cura di), Atti III Incontro di Studi
Preistoria e Protostoria in Etruria, Milano, pp. 35-46.
Paribeni E., Fornacirai G., Caramella D., (2008)- Il Progetto Antica gente di
Pisa per lo studio delle necropoli di Porta a Lucca / via Marche, in Notiziario
della Soprintendenza e Beni Archeologici della Toscana 3, Pisa, pp. 303-306.
Paribeni E., (2010)-Pisa nell’Etruria nord occidentale della prima età del
Ferro. In Burgio R., Campagnari S., Malnati L (a cura di), Cavalieri etruschi
122
dalle valli al Po. Tra Reno e Panaro, la valle del Samoggia nell’VIII e VII
secolo a.C. Museo civico “Arsenio Crespellani”, Bazzano (Bo), pp.77-81.
Peroni R.,(1981)-Usi funerari e forme di organizzazione sociale nella età del
Ferro. Bari.
Peroni R., (1976)-Il Villanoviano nell’Etruria meridionale, in Popoli e Civiltà
dell’Italia antica, Roma, pp. 261-324.
Puglisi S., (1956)-I “Dolmen” con muri a secco di Pian Sultano. Nuovi Scavi e
precisazioni, in BPI , pp. 157-174.
Reverte Coma J.R., (1996)-Estudio de las cremaciones, in Villalain Blanco
J.D., Gòmez Bellard F (eds.) Act del II° Congreso Nacional de Paleopatologia,
Asociacìon Espanola de Paleopatologia. València, pp. 31-39.
Ricciardi L., (1989)-La necropoli settentrionale di Vulci. Resoconto di
un’indagine bibliografica e di archivio, in“Bollettino di Archeologia”, 58, pp.
27-52.
Rittatore Vonwiller F., (1968)-Necropoli di età Eneolitica e proto
villanoviana della vallata del Fiora, in St.Etr, XXXV (serie II), pp. 285-294.
Rittatore Vonwiller F., (1971)-Ischia di Crostoletto di Lamone, in RSP Not,
XXVI, 2, p. 481.
Rizzitelli C., (2005)-Pisa Via Marche/Via Abba (Relazione), Pisa: Se.Arch
s.n.c. (doi:10.4456/MAPPA.2012.27).
Rosselli L., (2008)-Nuovi dati dalla Necropoli delle Ripaie, in (a cura di)
Camporeale G., Maggiani A., Volterra alle origini di una città Etrusca, Atti
della Giornata di studio in memoria di Gabriele Cateni, Pisa-Roma, pp. 269-
303.
Salvini M., (1996)-L’età del Ferro a Firenze: le tombe del Gambrinus, in ( a
cura di) Capecchi G., Alle origini di Firenze dalla preistoria alla città romana,
Firenze, pp. 17-143.
Salvini M., (2007)-Le tombe villanoviane di Sesto fiorentino. L’età del Ferro
nel territorio. Pisa Roma.
123
Salvini M., (2010)a-L’età del Ferro (VIII secolo a.C.) nella valle dell’Arno
sud-orientale. In (a cura di)Burgio R., Campagnari S., Malnati L, Cavalieri
etruschi dalle valli al Po. Tra Reno e Panaro, la valle del Samoggia nell’VIII e
VII secolo a.C. Museo civico “Arsenio Crespellani”, Bazzano (BO), pp.65-71.
Salvini M., (2010)b-Le necropoli di Firenze. In (a cura di) Burgio R.,
Campagnari S., Malnati L, Cavalieri etruschi dalle valli al Po. Tra Reno e
Panaro, la valle del Samoggia nell’VIII e VII secolo a.C. Museo civico
“Arsenio Crespellani”, Bazzano (BO), pp. 241-258.
Sammartino F., (1989)-Ritrovamenti preistorici nel comune di Collesalvetti-
Livorno. Atti Soc. Tosc. Sci. Nat. Mem, Ser., A, 96, pp. 281-294.
Screyer A.G., Walfield S.K., (2002)-Surface Rendering. In Bartolozzi C., e
Caramella D., (Eds) “3D Image processing: techniques and clinical
application”. Berlin.
Schmidt C.W., Symes S.A., (2008)-The Analysis of Burned Human Remains.
London.
Shipman P., Foster G., & Schoeninger M., (1984)-Burnt bones and teeth. An
experimental study of colou, morphology, crystal structure and shrinkage.
Journal of Archaeological Science 11, pp. 307-325.
Silva A.M., Crube E., Zyband E., Cuhna A., (2009)-International Journal
Osteoarchaeology, 19, pp. 628-641.
Steingraber S., (1989)-L’architettura funeraria chiusina, in La civiltà di
Chiusi e del suo territorio, Atti del XVII convegno di Studi Etruschi ed Italici
Chianciano Terme, Firenze, pp.171-182.
Wahl J., (2008)-Investigations on Pre-Roman and Roman Crematico Remains
from Southwestern Germany: Results, Potentialities and limits. In Schmidt
C.W., Symes s.A-The Analysis of Burned Human Remains. London, pp. 145-
156.
Walker P.L., Rhonda R.B., Richman R., Gjerdrum T., Andrushko V.A.,
(2009)-The Causes of Porotic Hyperostosis and Cribra Orbitalia: A
124
Reappraisal of the Iron-Deficiency-Anemia Hypothesis, American Journal of
Physical Anthropology, 139, pp. 109-125.
Zanini A., (1993)-La necropoli del Bronzo Finale di Sticciano Scalo (GR), in
St Etr, LX (Notiziario), pp. 3-41.
Zanini A., (1995)-La necropoli del Bronzo Finale di Sticciano Scalo (GR), in
Negroni Catacchio N., (a cura di), Preistoria e Protostoria in Etruria Atti del
Secondo Incontro di Studi, Milano, pp. 175-176.
Zanini A., (1997)-Quercianella (Livorno), in Zanini A., (a cura di), Dal
Bronzo al Ferro. Il II Millennio a.C. nella Toscana centro-occidentale, Pisa, pp.
172-174.