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Università di Pisa Facoltà di Lettere e Filosofia Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici Studio dei resti cremati umani provenienti dalla necropoli villanoviana di via Marche a Pisa Direttore della Scuola di Specializzazione Prof. Giampaolo Graziadio Relatore Prof. Renata Grifoni Cremonesi Candidato Dott.ssa Jasmine Bagnoli Anno Accademico 2011-2012

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Università di Pisa

Facoltà di Lettere e Filosofia

Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici

Studio dei resti cremati umani provenienti dalla

necropoli villanoviana di via Marche a Pisa

Direttore della Scuola di Specializzazione

Prof. Giampaolo Graziadio

Relatore

Prof. Renata Grifoni Cremonesi

Candidato

Dott.ssa Jasmine Bagnoli

Anno Accademico 2011-2012

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Sommario

Introduzione ........................................................................................................................... 4

Capitolo 1 ............................................................................................................................... 6

La necropoli villanoviana di via Marche Pisa............................................................................ 6

Capitolo 2 ............................................................................................................................. 11

Metodi di studio ..................................................................................................................... 11

2.1 L’applicazione della TC al microscavo dei cinerari ........................................................... 11

2.2 Microscavo e preparazione al restauro .............................................................................. 15

2.3 Lo studio dei resti ossei cremati ........................................................................................ 24

Capitolo 3 ............................................................................................................................. 27

Materiali ................................................................................................................................ 27

3.1 Dati antropologici: esame dei resti scheletrici combusti .................................................... 27

Capitolo 4 ............................................................................................................................. 52

Risultati ................................................................................................................................. 52

4.1 Profilo demografico .......................................................................................................... 52

4.2 Analisi quantitativa........................................................................................................... 55

4.3. Temperatura di combustione e grado di frammentazione .................................................. 60

4.4 Alterazioni scheletriche di tipo funzionale e patologico..................................................... 62

4.5 Confronti con altre necropoli a cremazione ....................................................................... 63

Capitolo 5 ............................................................................................................................. 67

Inquadramento Storico ........................................................................................................... 67

5.1. La cultura villanoviana .................................................................................................... 67

Capitolo 6 ............................................................................................................................. 78

Pisa nella prima età del Ferro ................................................................................................. 78

3

Conclusioni ........................................................................................................................... 86

Appendice ............................................................................................................................. 94

Necropoli villanoviane nell’Etruria costiera e interna.............................................................. 94

Scheda 1. Livorno-Stagno: la necropoli di Parrana San Martino .............................................. 94

Scheda 2. Livorno: l’ipotetico sepolcreto di Quercianella ....................................................... 95

Scheda.3 Livorno: la necropoli di Villa Barone (PB) .............................................................. 97

Scheda 4. Volterra: il sepolcreto delle Ripaie .......................................................................... 98

Scheda.5. Populonia: la necropoli di Podere Casone e Podere S.Cerbone ................................ 99

Scheda 6. Populonia: la necropoli di Piano delle Granate e Poggio Granate ...........................100

Scheda 7. Vetulonia: le necropoli di “Il Poggio alla Guardia” “Poggio Belvedere”, “Poggio alle

Birbe” ...................................................................................................................................101

Scheda 8. Sticciano Scalo ......................................................................................................103

Scheda 9. Crostoletto di Lamone e Pian Sultano due siti a confronto......................................104

Scheda 10. Sesto Fiorentino: le necropoli di Val di Rose e di Madonna del Piano ..................107

Scheda 11. Firenze: le tombe “del Gambrinus” ......................................................................109

Scheda 12. Chiusi: i sepolcreti di Poggio Renzo, Fornace Marcianella. ..................................111

Scheda 13. Vulci: le necropoli di Ponterotto, Cavalupo e Poggio Mengarelli .........................112

Scheda 14. Sasso di Furbara (Cerveteri) ................................................................................114

Riferimenti Bibliografici .....................................................................................................118

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Introduzione

Tra il 2005 e il 2006 fu indagata da parte della Soprintendenza dei beni

Archeologici della Toscana l’area estesa tra via Marche, via Abba e via

Bianchi; dove furono individuate due sepolcreti: il primo, più recente,

ascrivibile all’età tardo antica (III-VI secolo d.C.) ed il secondo, più antico,

afferente ai primi dell’età del Ferro (IX-VIII secolo a.C.). Quest’ultimo ha

restituito 37 cinerari, i quali, dopo la rimozione, sono stati analizzati in

laboratorio. In questa sede inizialmente si riporteranno i dati di scavo del

complesso sepolcrale di via Marche; descrivendo preliminarmente i materiali

recuperati. Nei capitoli che seguono saranno presentati dettagliatamente tutti i

metodi impiegati per lo studio delle urne funerarie come l’utilizzo di

strumentazioni proprie della diagnosi medica, in particolare, l’applicazione

della TC (Tomografia Computerizzata), che si è rilevata estremamente utile in

questo campo. Verranno sviluppate inoltre tutte le operazioni effettuate per

preparare i cinerari al restauro, nonché i metodi antropologici utilizzati sui resti

combusti per determinare il sesso, l’età di morte, rilevazioni di eventuali

alterazioni patologiche, temperatura di combustione e infine per ricavare

informazioni ascrivibile al rituale funerario. Successivamente saranno illustrati

e discussi i risultati antropologici finali (completi) ricavati dallo studio svolto

in laboratorio. Verrà affrontato anche un inquadramento storico della cultura

Villanoviana nell’Etruria propria (la nascita e lo sviluppo di questa realtà

culturale, le caratteristiche della tessitura insediativa e degli aspetti funerari).

Saranno presi in esame diversi centri riferibili a questo orizzonte cronologico,

distribuiti nell’Etruria settentrionale e meridionale, che hanno restituito dati

esaustivi concernenti l’ambito funerario. Le varie aree cimiteriali sono state

distribuite seguendo un ordine preciso, da quelle più vicine alla necropoli di via

marche a Pisa (area di Livorno/Firenze) a quelle più lontane, ubicate a nord del

Lazio (Tarquinia, Veio). il fine di questo confronto è quello di individuare le

analogie e le differenze tra i vari nuclei funerari (in particolare con il sepolcreto

di Pisa) nonché, il circuito dei contatti/influenze tra le varie realtà culturali; per

ricostruire un quadro delle pratiche culturali e delle trasformazioni sociali del

territorio etrusco.

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Infine, sarà discusso l’origine di Pisa, evidenziando gli indicatori emersi nelle

varie indagini archeologiche che confermano la genuinità della sua etruscità,

nonché del ruolo assunto e dei contatti maturati in età Protostorica. E’ stato

inoltre aggiunto un’appendice con alcuni siti di confronto.

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Capitolo 1

La necropoli villanoviana di via Marche Pisa

Tra il 2005 e il 2006 in occasione della costruzione di edifici residenziali

eseguiti nella zona ubicata tra le vie Marche, Abba e Bianchi, localizzata a

settentrione delle mura medievali di Pisa, subito fuori Porta a Lucca, furono

individuate importanti tracce di frequentazione che vanno dall’epoca

villanoviana ai giorni nostri (Paribeni, 2008).

L’area cimiteriale afferente all’età villanoviana ed orientalizzante (in parte

coperta dal sepolcreto di età romana) era ubicata nell’angolo nord-ovest del

settore e si estendeva su un’area di circa 100mq (fig.1.1); furono portate in luce

37 sepolture ad incinerazione, in pozzetti semplici con fodera di elementi litici.

Il sepolcreto era probabilmente collocato su di un’altura, sulla base

dell’andamento del profilo altimetrico dello strato nell’unica parte dove è stato

possibile individuare il suo limite originario. A causa di un intaccamento di

questa superficie da parte di alcune strutture di età contemporanea, che ne

hanno interrotto la continuità fisica, danneggiando inoltre molti cinerari, non è

possibile rilevare l’estensione originaria. Tuttavia è molto probabile che il

nucleo sepolcrale si estendesse oltre l’area indagata (verso nord e verso est).

I complessi funerari erano connotati da 15 dolii (fig. 1.2), 21 ossuari-biconici

(fig. 1.3) e 1 pithos ingobbiato. Quest’ultimo fu portato in luce soltanto nel

quarto superiore: era caratterizzato da un orlo ingrossato e da quattro anse a

nastro insellate impostate sulla spalla. Interessante notare che I dolii (tb. 98,

177, 178, 185, 187, 188, 189, 194, 195, 196, 197, 198, 199, 200, 202, 209)

erano concentrati lungo il perimetro esterno del distretto indagato; sono tutti

d’impasto rossastro, eccetto uno in impasto scuro (tb.200), la maggior parte di

essi era caratterizzata da una decorazione con cordonatura semplice o digitata.

Secondo i dati di scavo alcuni doli inoltre contenevano un ossuario biconico e

oggetti del corredo (Rizzitelli, 2005). I vasi biconici erano d’impasto nero o

bruno, lucidati a stecca e decorati con motivi peculiari del repertorio

villanoviano (meandri, motivi a falsa cordicella, stampiglie a cerchi

concentrici, motivi ad N, fasci di linee). Tutti presentavano una ciotola di

copertura, con un’ansa a pseudo tortiglione o a bastoncello, a volte con apofisi

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laterali; in un caso fu rilevata un’ansa bifora (tb.237). Alcune di esse erano

caratterizzate da una decorazione tipica di questa produzione (motivi ad N,

denti di lupo a falsa cordicella, motivi a zig-zag, motivo metopale con croce

gammata).

Una sola urna era chiusa da un coperchio simbolico (tb.239), costituito da un

elmo crestato fittile, decorato da quattro coppie di apofisi ricurve (“denti di

cinghiale”) disposte sulla calotta in corrispondenza del punto di innesto della

cresta (Rizzitelli, 2005).

La necropoli villanoviana di via Marche conferma la destinazione ad uso

sepolcrale della fascia di territorio posta a settentrione di Pisa già da

quest’epoca. Evidentemente la necropoli villanoviana (come già accennato

sopra) si impianta su una porzione di terreno leggermente più rilevata rispetto

alle aree circostanti, interessate da continui fenomeni di erosione e allagamento

(Paribeni, 2008).

Il settore che si estende tra di via Marche via Abba e via Bianchi fu soggetto

nelle varie epoche di molti sconvolgimenti sia naturali che antropici.

Al VI-V secolo a.C. è da riferire la presenza di accumuli di pietre, laterizi,

concotti e ceramiche (bucchero, impasto a scisti microclastici, attica e a figure

rosse), interpretati come crolli di strutture demolite da violente esondazioni

dell’Arno e dell’Auser. Dal punto di vista idrografico, ricordiamo che già in

epoca preistorica a nord di Pisa scorreva un fiume, detto “Aesar”, poi “Auser”,

che si gettava nell'Arno all'altezza di Vicopisano e Calcinaia, scendendo

agevolmente nella depressione di Bientina, compresa tra il Monte Pisano e

l'altopiano delle Cerbaie. In una seconda fase non esattamente individuabile

(ma quasi certamente in epoca pre-romana), il percorso dell'Auser si spostò

verso ovest, per poi gettarsi nell’Arno a valle di Pisa. Successivamente un

braccio dell'Auser si era reso autonomo per volgersi decisamente verso nord-

ovest: passando per Avane, raggiungeva il Tirreno in prossimità della stessa

foce dell'Auser, questo ramo fu dunque detto Serchio (da Auserculus, 'piccolo

Auser'). Verso il III secolo a.C. nell’area denominata B viene costruito un muro

in blocchi di calcarenite con orientamento W/E, documentato per circa 20 m di

lunghezza, che prosegue nella fascia di terreno non scavata tra le due aree e che

lì pare interrompersi. Forse la funzionalità di questo muro era quello di difesa

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dalle esondazioni fluviali; il tipo di tecnica con cui è stato realizzato sembra

ricondurlo all’età ellenistica (Costantini, 2006-07).

Successivamente, tra il II secolo a.C. e il II secolo d.C., entrambe le aree sono

interessate da fenomeni alluvionali, i quali causano l’obliterazione della

struttura muraria e la deposizione di notevoli quantità di sedimenti sul terreno.

In questa fase è completamente assente qualsiasi traccia di frequentazione

antropica. I periodici allagamenti a cui l’area era sottoposta in età antica e

l’abbondante presenza di acqua che caratterizzava il passaggio del suburbio

settentrionale di Pisa probabilmente sono la causa delle enormi risalite

dell’acqua di falda, che hanno provocato varie complicazioni nelle operazioni

di scavo in numerosi settori dell’area. In età tardo antica, sull’intera superficie

indagata si sviluppa una necropoli con sepolture ad inumazione.

Particolarmente effimere appaiono le tracce relative alla frequentazione di

quest’area in età medievale, cui appartiene solo un piccolo ambiente

quadrangolare, forse una discarica domestica (Costantini, 2006-07). In seguito,

nel XVII-XVIII secolo, furono costruiti due pozzi circolari, uno nell’area A e

uno nell’area B, e una cisterna di grandi dimensioni ancora nell’area A,

realizzata in laterizi legati con malta e rivestita con intonaco idraulico

particolarmente tenace.

Infine, in età contemporanea questa cisterna viene rifunzionalizzata con

l’aggiunta di due serbatoi metallici per carburante. Inoltre in questo periodo si

verifica la costruzione di due grandi vasche quadrangolari e di una abitazione

privata; tali costruzioni hanno intaccato il deposito archeologico impedendo di

cogliere la continuità del sepolcreto tardo antico nel settore centrale dell’area

A.

Fino alle recenti demolizioni per la costruzione del complesso residenziale, la

superficie è stata occupata dall’edificio della GEA ( Ente pubblico per i servizi

dell’Ambiente) e da alcuni vivai (Costantini, 2006-07).

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Figura 1.1, Area generale di scavo (edificio A e B).

Figura 1.2. Tomba 188 pozzetto con dolio

10

Figura 1.3. Tomba 184 pozzetto con ossuaro-biconico

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Capitolo 2

Metodi di studio

Per questa ricerca è stato necessario avvalersi delle tecniche di indagine proprie

di diverse discipline, che spaziano dalla medicina all’archeologia

all’antropologia, seguendo un approccio multidisciplinare. In particolare, la

ricerca ha compreso l’uso della Tomografia Computerizzata (TC), lo studio

archeologico sulle caratteristiche morfologiche e decorative dei cinerari,

nonché degli oggetti ornamentali e personali (in bronzo e fittile) legati al

corredo funerario. I vari cinerari sono stati preparati alla fase del restauro

attraverso l’uso di varie tecniche: pulitura del vaso, mappatura, velatura,

microscavo del contenuto (scavo stratigrafico), consolidamento degli oggetti in

metallo. Il materiale osseo, una volta rimosso dal suo contenitore, è stato

sottoposto all’esame antropologico, con l’obiettivo di rilevare informazioni sul

sesso, età di morte, eventuali patologie, temperatura di combustione e dati sul

rituale.

2.1 L’applicazione della TC al microscavo dei cinerari

L’uso della TC si è rivelato di grande efficacia per indagare virtualmente il

contenuto dei cinerari prima di affrontare il microscavo. La TC nella ricerca

archeologica rappresenta un’innovazione di grande rilievo, poiché ci permette

di ottenere, con l’acquisizione di centinaia di sezioni radiologiche, la

mappatura completa dei cinerari, del loro contenuto e la successiva

ricostruzione virtuale tridimensionale. Inoltre ci segnala la presenza, le distanze

e le dimensioni approssimative di eventuali oggetti di metallo appartenenti al

corredo, guidando così l’azione dello scavo. In alcuni casi la TC rimane l’unica

documentazione della presenza nel corredo di oggetti in bronzo completamente

mineralizzati che, all’atto del recupero, si rivelano totalmente privi di

consistenza o addirittura indistinguibili.

L’apparecchio utilizzato per il primo gruppo di urne funerarie (T.191, T.192,

T.78, T.205, T.181, T.182, T.98) è una TC spirale mono detettore (ad una

corona Det). I principali parametri che sono stati impiegati per ottenere la serie

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di immagini del contenuto sono i seguenti: il S33.4 è il livello di scansione,

ossia la posizione del tavolo lungo l'asse Z. Il az.90 rappresenta l'angolo di

incidenza del fascio che colpisce a 90 gradi. Il KV 100 è la tensione del tubo

radiogeno e il Ma 40 la corrente. Questi ultimi tre valori indicano la qualità del

fascio RX usato in questa acquisizione. Il DFOV è di circa 19,2cm, (DFOV o

display FOV di 19,2cm significa che la matrice fissa dell’apparecchio TC

(512X512) viene distribuita su una ideale superfice circolare di diametro

19,2cm e le strutture prese in esame devono essere comprese in questo spazio;

in questo modo la dimensione dei pixels viene ottimizzata con un guadagno in

risoluzione rispetto allo SFOV di 48.0 cm (SFOV o ScanFOV) che è

semplicemente il campo di vista impostato in acquisizione, cioè su quale ideale

area di circonferenza viene distribuita la matrice (512X512) in cui i pixels, per

motivi geometrici avranno sicuramente una dimensione maggiore. Un altro

criterio degno di nota è la dimensione delle varie sezioni il cui spessore è di 5.0

mm, prodotte ogni 0.3 mm (Screyer, Walfield, 2002).

Per tutti cinerari del gruppo successivo fu utilizzato un apparecchio più

avanzato, la TC spirale multi detettore (a 16 corone Det). Quest’ultimo,

attraverso l’impiego di raggi proiettati ad una velocità più elevata, su una

superficie di detezione più ampia rispetto alla macchina precedente, ci offre la

possibilità di ottenere immagini più numerose, più precise, più dettagliate, e

quindi una gamma d’informazioni e di dati più completi (fig. 2.1). Infatti i

parametri applicati ai vari vasi funerari sono più elevati e più precisi rispetto ai

precedenti, la maggiore quantità di dati ci consente ricostruzioni migliori. La

tensione del tubo radiogeno è di 120 (KV 120), la corrente è di 180 (Ma 180),

ciò comporta una penetrazione maggiore di vari raggi all’interno dell’oggetto

interessato. Il DFOV è di circa 35.0 cm, quindi la matrice è stata distribuita su

una superficie circolare più ampia, il SFOV è di 60cm, perciò il campo di vista

è più elevato. L’aumento del DSFOV e del SFOV permette una visione più

chiara di tutto il contenuto da varie angolazioni. Anche lo spessore delle

acquisizioni è minore, lo spessore delle fette è di 1.2 mm ogni 0.6 mm, nel

senso che vengono effettuate molte più sezioni, più sottili, rispetto a quelle

precedenti. Inoltre anche la qualità del fascio Rx è migliore. Con la TC spirale

multi detettore è quindi possibile avere sezioni radiologiche multiplanari (fig.

2.2) più dettagliate che consentono di visualizzare in modo più preciso oggetti

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di vario materiale (metallico, ceramico, litico, e oggetti in avorio, ambra) e di

varie dimensioni, nonché la loro precisa forma, dimensione e posizione

all’interno o all’esterno del cinerario. Interessante sottolineare che tutte le urne

villanoviane al momento dell’applicazione della TC erano completamente

avvolte in un robusto imballaggio, che rendeva impossibile l’osservazione delle

varie caratteristiche morfologiche di ciascun contenitore ceramico. Tuttavia la

TC ci ha offerto anche l’opportunità di una ricostruzione virtuale in 3D esterna

dell’oggetto archeologico, ottenendo così importanti informazioni sul suo stato

di conservazione, prima dell’apertura dall’imballaggio.

Concludendo, dopo Anderson e Roberston è la prima volta che viene applicata

la TC su un campione così cospicuo di urne funerarie (37 urne).

Figura 2.1. Il cinerario (T.184) viene sottoposto a TC, attraverso la quale è

possibile ottenere per mezzo di tutta una serie di sezioni virtuali informazioni sul

contenuto del vaso ( come ad esempio la presenza di oggetti metallici appartenenti al corredo).

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Figura 2.2. La TC permette di acquisire centinaia di sezioni radiologiche

trasversali e longitudinali che, forniscono una documentazione completa dei cinerari, del loro contenuto.

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2.2 Microscavo e preparazione al restauro

Una volta sottoposti a TC, 37 cinerari sono stati portati in laboratorio, con

l’obiettivo di effettuare lo scavo archeologico, e di prepararli quindi al restauro.

Inizialmente, eliminato l’imballaggio di protezione, l’urna è stata sottoposta

alla fase della pulizia, volta ad eliminare qualsiasi porzione di terra, o

comunque qualsiasi traccia di elementi estranei, depositati nel tempo sul vaso

funerario. Per ottenere una pulizia completa senza danneggiare la superficie

ceramica viene utilizzato il “Preventol”, una soluzione chimica a base di

composti del sale quaternario d’ammonio, che ha un ottimo potere contro i

batteri e ogni tipo di muffa, la quale viene diluita con acqua (3%). Si procede

imbevendo un batuffolo di cotone idrofilo in questa sostanza chimica, e lo si

applica su tutta la superficie esterna del cinerario. Terminata questa prima

operazione, si completa la pulizia utilizzando batuffoli di cotone idrofilo

imbevuti di acqua, per sciacquare ed eliminare la soluzione chimica applicata

precedentemente dalla superficie ceramica (fig.2.1).

Figura 2.2. Fase della pulizia esterna del vaso.

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Successivamente, si prosegue con la fase della cosiddetta “mappatura” della

ciotola-coperchio e del biconico stesso. La mappatura consiste nello stendere

sui vari frammenti ceramici un foglio di plastica trasparente particolarmente

sottile, e nel ricalcare con un pennarello indelebile il contorno di tutti i

frammenti, seguendo e rispettando la loro posizione. Ogni frammento ceramico

sarà poi numerato progressivamente e registrato sulla mappatura stessa.

L’obiettivo di questa operazione è quello di facilitare la ricostruzione del

contenitore e della sua ciotola-coperchio nel momento del restauro, soprattutto

nei casi in cui i cinerari sono completi ma particolarmente frammentati

(fig.2.3).

Figura 2.3. Fase della mappatura della ciotola coperchio.

I frammenti ceramici che compongono la ciotola vengono quindi

completamente asportati uno per uno per permettere il microscavo stratigrafico

all’interno del cinerario. Ciò comporta la scomposizione totale della ciotola che

Figura 2.3. Fase della mappatura della ciotola coperchio.

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perde così la sua forma originaria; la mappatura in questo caso interviene per

agevolare la sua ricomposizione, poiché registra graficamente ogni frammento

nella sua posizione originaria.

Dopo la fase della mappatura, prima di poter asportare i frammenti, è spesso

necessario procedere con il consolidamento “velatura” della ciotola-coperchio

e in alcuni casi, anche del biconico. Gli strumenti che vengono impiegati in

questa operazione sono semplice garza medica, pennelli sottili da pittore e

archeoconsolidante ad acqua, una soluzione chimica a base di polimeri

organici, diluita in acqua. Una volta preparato l’archeoconsolidante si procede

tagliando porzioni di garza medica su misura dei vari frammenti ceramici da

consolidare. Ogni frammento viene rivestito da questa garza, possibilmente a

doppio strato, sulla quale viene spalmato in modo omogeneo, attraverso l’uso

di un pennello di piccole dimensioni, l’archeoconsolidante (fig.2.4). Terminata

l’operazione, il tutto viene lasciato riposare per circa 24 ore, con lo scopo di far

asciugare il consolidante. L’obiettivo di questa fase è protettivo, per evitare una

ulteriore frammentazione della ceramica durante la rimozione.

Figura 2.4. Fase consolidamento.

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Figura 2.5. Rimozione dei frammenti consolidati.

Dopo che la velatura si è asciugata e solidificata, si procede all’asportazione

dei vari frammenti ceramici della ciotola-coperchio (fig.2.5), per mezzo

dell’utilizzo di specilli odontoiatrici e bisturi chirurgico. I frammenti vengono

così inseriti singolarmente in sacchetti di plastica, sui quali è stato riportato il

numero progressivo segnato precedentemente sulla mappatura. Completata la

rimozione della ciotola-coperchio (fig.2.6) può finalmente iniziare lo scavo del

contenuto del cinerario, che viene effettuato seguendo una stratigrafia. Le

quote vengono registrate attraverso l’uso di una livella laser e di un metro a

stecca posto in posizione verticale sul punto che vogliamo quotare. Il

microscavo che verrà eseguito all’interno del cinerario è di tipo stratigrafico,

perciò il contenuto viene diviso in vari strati, e ogni strato sarà così misurato

sia al suo inizio che alla sua fine. Per questo motivo la prima quota (fig.2.7),

nominata quota zero è il punto di partenza da cui vengono segnate via via che

si prosegue nella rimozione del contenuto, tutte le successive quote dei vari

strati, nonché la posizione dei vari oggetti in bronzo appartenenti al corredo

funerario.

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Figura 2.6. Completata la fase della rimozione del coperchio.

Presa la prima quota, si procede con il microscavo vero e proprio, attraverso

l’uso di specilli odontoiatrici, palettine sia di legno che in metallo, cucchiaini

da caffè, con i quali si asportano piccole porzioni di terra, pennelli di varie

dimensioni o piccola pompettina d’aria per soffiare polvere e terra,

evidenziando eventuali frammenti in bronzo. Inoltre, pinze mediche in metallo

per prelevare elementi vegetali (radici o semi di piante), carboni, frammenti

ceramici caduti all’interno del cinerario appartenenti alla ciotola o al biconico

stesso, e infine i vari frammenti ossei (fig.2.8). Nella maggior parte dei casi il

primo strato è caratterizzato esclusivamente da terra sterile, che si è depositata

nel cinerario per cause naturali, la quale può comunque contenere tracce di

carbone e di elementi vegetali. Sia la terra che ogni elemento organico vengono

campionati, mentre tutta la terra viene divisa a seconda dello strato di

appartenenza e inserita in appositi sacchetti di plastica, mentre i vari elementi

vegetali vengono raccolti in apposite provette, per una miglior protezione

dall’aria esterna.

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Figura 2.7. Attraverso l'uso di un metro a stecca e di una livella laser viene presa

la quota "0", sul punto più alto dell'orlo del vaso.

Il prelievo di questi campioni viene effettuato al fine di ottenere, attraverso

analisi paleobotaniche, sedimentologiche e chimiche, informazioni sul tipo di

vegetazione presente in quell’epoca, sul tipo di legname usato per il rogo

funebre, nonché sul tipo di terreno di sepoltura. La porzione di terra contenente

i frammenti ossei viene suddivisa almeno in due strati, a volte anche in tre, se

la quantità è cospicua. Lo scopo di questa suddivisione è legato alla

ricostruzione del rituale funerario, al fine di verificare se sono stati seguiti dei

criteri nella deposizione dei frammenti ossei nell’urna funeraria oppure se

questi vi sono stati inseriti casualmente. Inoltre, nel caso fosse presente più di

un individuo, è possibile comprendere se i resti dei defunti sono stati introdotti

contemporaneamente o in momenti successivi. Successivamente, rispettando la

divisione degli strati, i frammenti vengono asportati e inseriti in apposite

vaschette in attesa di essere lavati, per poi essere studiati. Gli oggetti in bronzo

che appartengono al corredo funerario, una volta individuati e portati alla luce,

vengono consolidati per mezzo di un contagocce in vetro o una siringa medica

senza ago, con “l’Incralac”, una soluzione chimica a base di Paraloid e

benzotriazolo diluito in acetone (fig.2.9).

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Figura 2.8. Inizio del microscavo.

Dopo che la soluzione chimica si è asciugata e solidificata, si esegue

l’asportazione dell’oggetto in metallo e la sua deposizione in una vaschetta di

plastica o di cartone ammortizzata da un letto di cotone idrofilo e garza medica,

per proteggere il reperto metallico. Un’altra strategia utilizzata, per certi casi a

scopo protettivo e in altri per ricalcare e decifrare una forma anomala di non

facile interpretazione, è rappresentata dall’uso del gesso. Due esempi di

particolare rilevanza sono la T.182 e la T.189: per la prima è stato applicato il

gesso nella parte inferiore del biconico, a scopo protettivo. Questa operazione è

stata eseguita attraverso l’applicazione di una pellicola di plastica trasparente

intorno al vaso, sulla quale è stato poi steso con una spatola il gesso impastato

in acqua. Nel secondo caso, all’interno del dolio era presente un foro a sezione

quadrangolare, che iniziava all’altezza dell’orlo per finire sul fondo del

contenitore, per un’altezza di circa 30 cm (fig.2.10). Del foro è stato così

eseguito un calco in gesso, con l’obiettivo di definire il suo andamento ed

evitare di perderlo durante il microscavo. Durante lo svolgimento di ogni

operazione, dall’apertura del cinerario alla fine del suo microscavo, è stata

effettuata una completa documentazione fotografica con macchina digitale e

con l’aiuto di un faretto, per far risaltare le forme e i vari motivi decorativi

presenti sul cinerario. Di grande importanza è la compilazione di un diario di

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scavo, in cui sono stati registrati giorno per giorno i vari interventi conservativi

e le sostanze chimiche utilizzate e inoltre, tutte le operazioni effettuate prima e

durante il microscavo, le note riguardanti il corredo funerario, lo stato di

conservazione del cinerario, le sue caratteristiche morfologiche e decorative.

Insomma ogni caratteristica, ogni piccolo dettaglio sia del contenitore che del

suo contenuto sono stati annotati giornalmente.

Figura 2.9. Consolidamento di un oggetto in bronzo.

Infine, tutta la documentazione, costituita da schede archeologiche e

antropologiche realizzate durante il microscavo. Le schede sono state inserite

in un database realizzato su Microsoft Access che permette non solo di

archiviare tutti i numerosi dati raccolti, ma anche di favorire la ricerca e

l’elaborazione dei risultati Sulla scheda archeologica di ciascuna urna vengono

riportati i dati relativi al tipo di tomba (a pozzetto o dolio), al tipo di cinerario

(biconico o dolio con biconico), al suo stato di conservazione (frammentario

ma completo, integra ecc), alle caratteristiche degli oggetti metallici, ceramici

o fittili che appartengono al corredo e la descrizione dei vari strati. Sulle schede

antropologiche vengono invece annotati tutti i dati antropologici, ricavati dallo

studio delle ossa, come il sesso, l’età di morte, eventuali patologie, il

cromatismo delle ossa, che permette di determinare la temperatura di

23

combustione, il grado di frammentazione delle ossa combuste, e il peso dei vari

distretti ossei suddivisi in strati, per individuare l’ordine di deposizione delle

ossa nel contenitore funerario.

Concludendo, l’ultima fase effettuata prima del restauro, è rappresentata

dall’imballaggio dei vasi con le relative ciotole (asportate in frammenti), gli

oggetti del corredo sia interno che esterno, e ogni tipo di documentazione

(mappatura, scheda di scavo e scheda archeologica) in scatoloni muniti di

porzioni di “tessuto non tessuto” a scopo protettivo.

Figura 2.10. Calco in gesso del foro presente nel cinerario (T.189).

24

2.3 Lo studio dei resti ossei cremati

Dopo l’asportazione delle varie porzioni di ossa combuste dai propri

contenitori funerari, è stato necessario procedere al lavaggio dei resti per

poterli separare dalla matrice terrosa che li inglobava. Il lavaggio è avvenuto

mediante spruzzatura di acqua su setacci a maglie fini, fino a rimuovere

completamente la terra. Dopo l’asciugatura, avvenuta all’aria aperta, il

materiale osseo è stato sottoposto all’esame antropologico, con l’obiettivo di

rilevare il numero di individui all’interno del cinerario, il sesso, l’età di morte,

eventuali patologie, la temperatura di combustione, il grado cromatico di

frammentazione dei resti e informazioni relative al rituale funerario. La prima

fase del lavoro, effettuata per strati separati, è consistita nel riconoscimento di

ciascun frammento osseo e nella suddivisione in distretti anatomici: cranio,

denti, tronco, arti superiori, arti inferiori, mani e piedi e frammenti che la per

loro piccolissima dimensione non sono determinabili. Ciascun distretto

scheletrico è stato inoltre pesato, al fine di calcolare la rappresentatività di

ciascuna categoria rispetto al peso totale, consentendo così di evidenziare

un’eventuale raccolta selettiva dei resti e di valutare in quale proporzione il

materiale è andato disperso. Inoltre, il peso delle ossa non identificabili ci ha

permesso di quantificare il livello di frammentazione dei resti (fig.2.11). Il

numero minimo di individui è stato valutato in base all’eventuale presenza di

elementi scheletrici soprannumerari o discordanti per dimensioni ed età. La

diagnosi del sesso nei resti incinerati è fortemente limitata dalla frammentarietà

dei materiali e dalla distorsione e contrazione dell’osso dovute alla

combustione, perciò non in tutti i casi è stato possibile determinarlo.

Comunque, aldilà di queste difficoltà, il sesso è stato valutato in base alle

principali caratteristiche morfologiche discriminanti utilizzate anche per gli

inumati (Ferembach et al. 1977-79) ed in diversi casi è stato possibile

osservare alcuni di questi caratteri, come la protuberanza del piano occipitale,

le dimensioni del condilo mandibolare e del processo mastoideo, lo sviluppo

della linea aspra del femore, le dimensioni della tuberosità ischiatica, nonché la

posizione dell’inizio del processo zigomatico sul meato acustico; sono state

inoltre valutate le dimensioni dei frammenti ossei, in particolare lo spessore

della corticale del cranio e delle diafisi degli arti. La stima dell’età di morte per

gli adulti è stata basata principalmente sull’osservazione del grado di sinostosi

25

delle suture craniche e sull’eventuale presenza di alterazioni degenerative del

tessuto osseo legate all’età, come artrosi e rarefazioni del tessuto spugnoso

(Meindl, Lovejoy 1985; Canci, Minozzi 2005), nonché sulla morfologia

dell’estremità sternale delle coste e sulle variazioni della sinfisi pubica (Burns,

1999). L’età dei subadulti è stata valutata sul riconoscimento di denti decidui,

sulle dimensioni delle diafisi e sullo stadio di saldatura tra epifisi e diafisi

(Canci., Minozzi., 2005). E’ stata inoltre osservata l’eventuale presenza di

alcune caratteristiche alterazioni del tessuto osseo, come osteofitosi ed

enteropatie. Sono state rilevate, in modo sistematico (rilevando sia la presenza

che l’assenza), l’iperostosi porotica sulla teca cranica (cribra cranii) in base a

gravità e diffusione (Hengen, 1971) e lo sviluppo delle inserzioni muscolari in

tre gradi di espressione (deboli, medie e forti). Inoltre, è stato possibile

osservare eventuali tracce di alterazioni patologiche delle ossa e dei denti,

come la periostite, l’artrosi, gli esiti di eventi traumatici, ed alcune patologie

dentoalveolari. La temperatura di combustione è stata stimata in base alla

valutazione del cromatismo dei frammenti ossei, utilizzando diverse scale

cromatiche (Shipman et al. 1984; Mays 1998, Schmidt et al 2008) e in base alle

alterazioni della struttura ossea e dentale causate dalla combustione (Holck

1986). Tali metodi sono basati sull’osservazione dei cambiamenti di colore

delle ossa, generalmente secondo un gradiente che varia dal giallo chiaro al

nero (intorno ai 350°C), al blu, al grigio, con varie sfumature, fino al

raggiungimento di un colore bianco e di un aspetto calcinato, dopo i 600°C. La

combinazione dei colori e del grado di contrazione e di deformazione subiti dai

reperti indica generalmente la temperatura, il tempo di esposizione ed il

contatto diretto o indiretto con la fonte di calore (fig. 2.12). Il grado di

frammentazione del materiale scheletrico è stato valutato secondo tre criteri:

elevato, quando più del 50% del materiale ha dimensioni inferiori a 2x2 cm;

medio, quando più del 50% del materiale ha dimensioni superiori a 2x2 cm;

basso, quando più del 50% del materiale ha dimensioni superiori a 5x2 cm.

26

Figura 2.11.- Suddivisione del materiale combusto nei vari distretti anatomici.

Figura 2.12. Osservazione comparata delle diverse tonalità di colore.

27

Capitolo 3

Materiali

3.1 Dati antropologici: esame dei resti scheletrici

combusti

In questa sezione saranno descritti, per ciascun cinerario, i risultati dell’esame

antropologico e paleopatologico eseguito sui resti ossei combusti. Per motivi

tecnici e logistici non dipendenti dalla volontà di chi scrive non è stato

possibile eseguire lo studio antropologico sui reperti di 4 cinerari.

Tomba 78

Il defunto deposto in questo cinerario è un neonato di circa 2-5 mesi, di sesso

non determinabile. E’ stato possibile ottenere questa informazione attraverso le

piccole dimensioni del dente dell’epistrofeo, della seconda vertebra cervicale

(da 2 mesi a 1 anno), e dalla presenza di alcune gemme di canini e molari

decidui (da 2 a 5 mesi), nonché dallo spessore particolarmente sottile del

cranio. Dal tipo di cromatismo della superficie ossea, che va da un grigio

scuro-nero a un marroncino chiaro quasi bianco, si deduce una temperatura di

combustione intorno ai 400-500° C.

Riassumendo, si tratta di un soggetto di circa 2.5 mesi, la cui età è testimoniata

da alcune gemme dentarie.

Tomba 98

La presenza di una marcata tuberosità ischiatica del bacino, la linea nucale

(occipitale) particolarmente evidente, le inserzioni muscolari mediamente

marcate, la corticale diafisiaria spessa, nonché il notevole spessore del cranio,

permettono di attribuire questo individuo al sesso maschile. Le suture craniali

aperte (le suture craniali cominciano a saldarsi vero i 20 anni e continuano, in

modo discontinuo, fino alla completa obliterazione in età molto avanzata), le

epifisi saldate degli arti superiori e inferiori, nonché le affezioni dento-alveolari

28

e l’estremità sternale di una costa, caratterizzata da una superficie

particolarmente rugosa, hanno suggerito un’età di morte tra i 30 e i 40 anni. Il

soggetto presentava delle inserzioni muscolari mediamente marcate. Da un

punto di vista patologico è stata rilevata una lieve artrosi sul dente

dell’epistrofeo e un lieve “lipping” (rialzamento del bordo del disco epifisario

dovuto a manifestazioni artrosiche) sul corpo di una vertebra toracica. La

presenza dell’artrosi sul dente dell’epistrofeo, alterazione degenerativa delle

cartilagini e delle altre strutture articolari che si manifesta oltre i 30 anni di età,

è sicuramente un dato importante che ci aiuta a rilevare l’età di morte. Di un

certo rilievo la perdita di un dente avvenuta in vita, come si evince dalla

chiusura dell’alveolo mandibolare. Le superfici ossee presentano un grado

cromatico che va da un prevalente grigio chiaro, ad un nero scuro con zone

bianche, con un grado medio di frammentazione. Secondo la scala di Holck

questa colorazione si produce intorno ai 500-600°C, mentre secondo la scala

cromatica di Mays la temperatura di combustione si aggira intorno ai 360-

600°C. L’analisi del materiale osseo suddiviso in 3 strati ha evidenziato che

ritualmente la deposizione delle ossa all’interno cinerario non ha seguito un

ordine ben preciso, ma bensì casuale.

Riassumendo, si tratta di un soggetto di sesso maschile, non particolarmente

robusto, tra i 30 e i 40 di età, con lieve artrosi.

Tomba 177

Dalle piccole dimensioni dei frammenti ossei, dalle inserzioni muscolari

deboli, dal sottile spessore craniale, nonché dalla linea aspra non molto

pronunciata si evince che l’individuo deposto è di sesso femminile. Le epifisi

saldate, le suture in parziale chiusura e la presenza di artrosi su alcune vertebre

cervicali suggeriscono un’età di morte tra i 35 e i 45 anni. Oltre alle tracce di

artrosi sono state rilevate lievi cribra cranii e lieve periostite localizzata sulle

diafisi tibiali e femorali. Di grande interesse il recupero di numerosi linfonodi

calcificati di piccole dimensioni, che suggeriscono che il soggetto è stato

affetto di tubercolosi. Per ciò che concerne la temperatura di combustione,

29

attraverso un cromatismo bianco calcinato con macchie grigio scure possiamo

arguire un grado di combustione tra i 600° e i 700° C.

Ricapitolando, si tratta di un individuo femminile, tra i 35 e i 45 anni, affetto da

artrosi e probabilmente da tubercolosi.

Tomba 178

A causa del parziale stato di conservazione del materiale combusto è stato

difficile ottenere dati su eventuali alterazioni patologiche e precise

informazioni sull’età di morte e sul sesso dell’individuo. Tuttavia, alcuni

elementi, quali una forte protuberanza occipitale e un corpo spugnoso ben

compatto, assenza di artrosi e presenza dei denti definitivi, hanno suggerito un

individuo di sesso forse maschile di età di morte tra i 20 e i 29 anni. Il

materiale combusto è caratterizzato da una colorazione variabile che va dal

grigio-nero al bianco calcinato, che associato ad un elevata frammentazione

indica una temperatura di combustione tra i 600 e i 700°C.

Tomba 179

Le piccole dimensioni delle varie ossa e del condilo mandibolare, lo spessore

particolarmente sottile del cranio, lo spessore corticale medio delle diafisi e le

inserzioni muscolari poco marcate, ci hanno suggerito che potrebbe trattarsi di

un individuo di sesso femminile. Le epifisi saldate degli arti superiori e

inferiori, le suture craniali aperte e la presenza dei denti definitivi indicano che

l’età di morte si aggira intorno ai 30-40 anni. Il soggetto presentava delle

inserzioni muscolari mediamente marcate. Da un punto di vista patologico i

cribra cranii sono presenti su pochi frammenti cranici (la presenza di “cribra

cranii”, una porosità localizzata sulla volta cranica, in particolar modo sui

parietali, espressione della cosiddetta iperostosi porotica, condizione

imputabile a quadri anemici). E’ emersa inoltre una traccia di osteofitosi su una

patella destra, che però sembrerebbe non pertinente all’individuo, viste le sue

grandi dimensioni rispetto al resto dei frammenti ossei. L’osteofitosi rientra

30

nelle malattie articolari, trattandosi di una degenerazione delle membrane

sinoviali e della cartilagine articolare, la quale progredisce a tal punto da

determinare un contatto tra le superfici ossee dell’articolazione che produce

l’eburneazione. Le superfici ossee sono caratterizzate da un cromatismo che va

da un prevalente grigio chiaro e scuro, a zone bianche; questa colorazione e

l’elevata frammentazione indicano una temperatura di combustione intorno ai

600-800°C. L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una buona

rappresentatività dei vari distretti per i due 2 strati in cui è stato suddiviso, ha

permesso di chiarire che ritualmente la deposizione delle ossa all’interno

cinerario non ha seguito un ordine ben preciso, ma bensì casuale.

Riassumendo, si tratta di un individuo di sesso femminile, di medie dimensioni,

tra i 30 e i 40 di età. La presenza di una rotula non pertinente e l’epifisi

prossimale dell’ulna sinistra di grosse dimensioni suggeriscono forse la

presenza occasionale di un secondo individuo. Gli altri resti ossei sono

compatibili con un unico soggetto di dimensioni molto piccole.

Tomba 180

Nella tomba 180 è stata rilevata la presenza di due individui, un adulto e un

subadulto. Dalla presenza di un processo zigomatico di piccole dimensioni, da

una corticale diafisiaria e da uno spessore craniale particolarmente sottili, è

stato possibile attribuire il primo individuo (A) al sesso femminile. Del

secondo individuo (B) non è stato possibile determinare il sesso, a causa della

scarsa quantità di materiale osseo. Nell’individuo A la presenza di suture

craniali aperte, di un capitello radiale saldato e di anelli apifisari vertebrali

saldati, ha permesso di stabilire che si tratta sicuramente di un adulto, ma per

l’assenza di frammenti significativi non è stato possibile risalire alla precisa età

di morte. Per quanto riguarda il subadulto, attraverso l’esistenza di alcune

radici appartenenti a denti decidui e in base alle dimensioni delle varie ossa, si

è rilevata un’età di morte compresa tra gli 8 e i 10 anni. Per quanto riguarda le

presenza di patologie, all’individuo A appartengono frammenti cranici

caratterizzati da tracce di cribra cranii (grado 2), nonché frammenti relativi

agli arti inferiori con evidenze di lieve periostite. La periostite è un tipo di

31

alterazione patologica che rientra nel gruppo delle infezioni aspecifiche. Il

periostio è una membrana aderente alla superficie dell’osso e che, a causa di

un’infiammazione, può ossificarsi assumendo un aspetto porotico e spugnoso.

Le superfici ossee dell’adulto sono caratterizzate da un cromatismo che va da

un bianco-grigiastro a un grigio più scuro; questa colorazione, associata alla

media frammentazione, ha suggerito una temperatura di combustione di 500-

600°C. A causa della scarsa conservazione dei resti scheletrici non è possibile

ottenere dei dati sul rituale funerario, ossia sulla distribuzione del materiale

osseo all’interno dell’urna. Comunque, aldilà della parzialità dei resti

scheletrici è stato osservato che i due soggetti sono stati deposti insieme, senza

un ordine prestabilito.

Riassumendo, la presenza di un bambino è testimoniata dalla radice di un

molare deciduo e da diafisi di piccole dimensioni, in particolare le diafisi dei

due radii che per dimensioni non possono collegarsi al capitello di un radio di

dimensioni maggiori. Alcuni frammenti di diafisi erano caratterizzati da un

tessuto spugnoso a trabecole fitte, tipico dei bambini (alcuni frammenti

sembrano appartenere a rotule e ad ossa lunghe). Infine, vari frammenti di

diafisi con tracce di cartilagini di accrescimento, il processo zigomatico molto

piccolo e la presenza di 2 frammenti di rocca petrosa dello stesso lato, ma di

dimensioni diverse, confermano questa ipotesi.

Tomba 181

La presenza di un’arcata sopraorbitaria leggermente marcata, le dimensioni

medio grandi delle varie ossa, una linea aspra femorale particolarmente

robusta, nonché una corticale spessa e uno spessore craniale medio, hanno

permesso di attribuire l’individuo al sesso maschile. Inoltre, l’apertura delle

suture craniali, le epifisi saldate delle falangi, l’assenza di artrosi e la presenza

di una spugnosa ben compatta, hanno suggerito un età di morte tra i 25 e 35

anni. Il soggetto inoltre presentava delle inserzioni muscolari mediamente

marcate. E’ stata rilevata la presenza su pochi frammenti cranici di lieve cribra

cranii, nonché una lieve periostite sulle diafisi tibiali e femorali. Le superfici

ossee presentano un cromatismo che va da un grigio ad un marrone chiaro con

32

zone bianche; la combinazione di questi colori insieme ad una media

frammentazione indicano che la temperatura di combustione si aggirava

intorno ai 500-600°C. L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una

buona rappresentatività dei vari distretti per i due 2 strati in cui è stato

suddiviso, ha permesso di chiarire che ritualmente la deposizione delle ossa

all’interno cinerario non ha seguito un ordine ben preciso, ma bensì casuale.

Riassumendo, si tratta di un individuo maschile, tra i 25 e i 35 anni di età, di

medie dimensioni, affetto da cribra cranii e lieve periostite.

Tomba 182

Attraverso il notevole spessore della diafisi femorale (caratteristica prettamente

maschile), le dimensioni medie del pilastro, lo spessore medio del cranio e le

inserzioni muscolari mediamente marcate (tutti caratteri che possono essere sia

maschili che femminili), è stato supposto che l’individuo potrebbe essere di

sesso maschile. Le suture craniche ancora aperte, le epifisi saldate sia delle

mani che dei piedi, la presenza dei denti definitivi, una spugnosa

particolarmente compatta (che ci indica un’età non tanto avanzata, al di sotto

dei 40 anni) e la presenza di una lieve artrosi, suggeriscono che l’età di morte

di questo individuo era compresa tra i 30 e i 40 anni. Il soggetto presentava

delle inserzioni muscolari mediamente marcate. Oltre alla presenza di artrosi

(lieve lipping artrosico su condilo del femore), sono stati rilevati su alcuni

frammenti cranici lievi cribra cranii (grado 1). Le superfici ossee sono

caratterizzate da un cromatismo che varia dal bianco al grigio scuro; di

particolare interesse la colorazione più scura degli arti inferiori rispetto a quelli

superiori, che lascia supporre che il fuoco al di sotto del cadavere fosse

localizzato verso la parte superiore. Da questi elementi è stato possibile dedurre

che la temperatura di combustione si aggirava intorno ai 400-600°C. Dalla

parzialità del materiale osseo non è possibile rilevare alcuna informazione sulla

deposizione delle ossa nell’urna da un punto di vista rituale.

Riassumendo, si tratta di un uomo tra i 30 e i 40 anni, non particolarmente

robusto, affetto da cribra cranii e artrosi.

33

Tomba 183

La presenza di caratteri prettamente maschili, come un’arcata sopraciliare ben

pronunciata, radici dei denti particolarmente lunghe, una forte protuberanza

occipitale e una marcata inserzione muscolare del calcagno, detta anche

tendine di Achille, hanno testimoniato che si tratta sicuramente di un individuo

di sesso maschile, seppure di medie dimensioni. Inoltre, le epifisi

completamente saldate degli arti superiori e inferiori e alcune tracce di artrosi

sulle articolazioni delle mani e dei piedi, hanno suggerito un’età di morte tra i

30 e i 40 anni. Oltre alla presenza di artrosi sulle falangi delle mani e dei piedi,

nonché sul dente dell’epistrofeo, sul margine del corpo di una vertebra toracica

e su una patella, sono state rilevate tracce di periostite sulle diafisi tibiali e

femorali. Oltre a ciò, è stato osservato un microtrauma sulla prima falange del

piede, forse provocato da una caduta o per motivi legati all’attività lavorativa.

Le superfici ossee sono caratterizzate da un cromatismo che va dal bianco ad

un marrone chiaro, con macchie di colore grigio chiaro e scuro; questa

colorazione, associata ad una media frammentazione, indica una temperatura di

combustione tra i 600 e i 900°C.

L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una buona rappresentatività dei

vari distretti per i due 2 strati in cui è stato suddiviso, ha permesso di chiarire

che ritualmente la deposizione delle ossa all’interno cinerario non ha seguito

un ordine ben preciso, bensì casuale.

Riassumendo, si tratta di un uomo tra i 30 e i 40 anni di età, mediamente

robusto, caratterizzato da un microtrauma sull’alluce del piede (intram vitam,)

e affetto da periostite e artrosi.

Tomba 184

Sono presenti caratteri misti, appartenenti sia ad un individuo di sesso maschile

che femminile, quali linea aspra accentuata ma piccola, processo mastoideo di

medie dimensioni, arco zigomatico tagliente (femminile), condilo mandibolare

spesso (maschile) e rotula di grosse dimensioni (maschile). Dalla presenza di

alcune suture craniche in chiusura possiamo arguire che l’età di morte

34

dell’individuo (o degli individui) oscilla tra i 30 e i 39 anni. Per ciò che

concerne l’attestazione di eventuali patologie, è stata rilevata solo una lieve

presenza di cribra cranii. La superficie ossea è caratterizzata da un cromatismo

che va dal grigio marroncino a tracce di bianco; da questa colorazione unita al

grado di frammentazione anatomica si evince una temperatura di combustione

tra i 600° e i 700° C.

Riassumendo, la maggior parte dei frammenti ossei sembrano appartenere ad

un soggetto di piccole dimensioni e con caratteristiche femminili, mentre

diversi frammenti sono di grandi dimensioni con caratteri maschili. La

presenza due individui non è però confermata dalla presenza di elementi

ripetuti, benché sia probabile e suggerito anche dal peso complessivo dei

frammenti di 1919g.

Tomba 185

Dalle dimensioni mediamente robuste delle varie ossa (carattere sia femminile

che maschile), dalla presenza di radici dentarie particolarmente lunghe

(carattere maschile) e da una testa femorale di 39mm (carattere intermedio), è

stato supposto che si tratti di un individuo di sesso maschile. L’età di morte è

stata rilevata dall’osservazione di alcuni frammenti dell’estremità sternale delle

coste, caratterizzate da una superficie con margini poco regolari e rialzati

rispetto al centro, che indicano un’età tra i 24 e i 30 anni. La presenza di alcune

vertebre toraciche con l’anello epifisiario completamente fuso e privo di tracce

artrosiche, dell’estremità sternale della clavicola che appare non fusa (la

clavicola rispetto alle altre ossa si salda tra i 20 e i 28 anni) e di 2 terzi molari

suggerisce un età di morte tra i 24 e i 30 anni. Inoltre, il soggetto presentava

delle inserzioni muscolari mediamente marcate. Per quanto riguarda le

patologie, è stata osservata la presenza di cribra cranii (grado 1°) su pochi

frammenti cranici, di tracce di periostite sulle diafisi femorali, di tartaro (grado

2°) su alcune radici dentarie, di una carie su un incisivo mandibolare (1C-B) e

di una sorta di appendice alla radice di un premorale mandibolare. Le superfici

ossee presentano un cromatismo caratterizzato in prevalenza da un bianco

calcinato con macchie grigie bluastre; questo grado di colorazione, associato ad

35

una media frammentazione, suggerisce una temperatura di combustione intorno

ai 600-800°C. L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una buona

rappresentatività dei vari distretti per i due 2 strati in cui è stato suddiviso, ha

permesso di chiarire che ritualmente la deposizione delle ossa all’interno

cinerario non ha seguito un ordine ben preciso, bensì casuale.

Riassumendo, si tratta di un soggetto di sesso maschile, tra i 24 e i 30 anni di

età, mediamente robusto, affetto da lievi cribra cranii, periostite e affezione

dento-alveolare.

Tomba 186

Dalle grandi dimensioni delle ossa, nonché dalla corticale diafisiaria

particolarmente spessa, da un condilo mandibolare piuttosto grande e dal

notevole spessore craniale, è stato supposto che si tratta sicuramente di un

individuo di sesso maschile. Inoltre, diverse epifisi saldate degli arti superiori e

inferiori (il cui processo di saldatura si ha tra i 15 e i 25 anni), una spugnosa

della testa omerale ben compatta (individuo giovane), la presenza di un terzo

molare (indica che un individuo ha superato i 20 anni di età), le suture craniali

aperte e alcuni solchi che interessano il piatto vertebrale (tracce che compaiono

oltre i 25 anni di età), hanno suggerito un’età di morte tra i 25 e i 35 anni.

Il soggetto presentava inoltre delle inserzioni muscolari mediamente marcate e

2 ossicini suturali sovrannumerari di piccole dimensioni (piccoli porzioni di

osso che si sviluppano tra le suture craniali). Dal punto di vista paleopatologico

è stata rilevata la presenza di cribra cranii su vari frammenti cranici (grado 2°)

e di una lieve periostite sulle diafisi femorali e tibiali. Le superfici ossee sono

caratterizzate da un colore bianco-grigio chiaro, con zone grigie scure. Questo

grado di colorazione, associato ad una media frammentazione, indica una

temperatura di combustione tra i 500-700°C. Gli arti inferiori sembrano essere

più scuri rispetto a quelli superiori, particolare peraltro già riscontrato nella

T.182, che indica che il fuoco era concentrato maggiormente nella parte

inferiore del corpo. L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una buona

rappresentatività dei vari distretti per i due 3 strati in cui è stato suddiviso, ha

36

permesso di chiarire che ritualmente la deposizione delle ossa all’interno

cinerario non ha seguito un ordine ben preciso, bensì casuale.

Riassumendo, si tratta di un individuo di sesso maschile, tra i 25 e i 35 anni di

età, di medie dimensioni, affetto da cribra cranii e da una lieve periostite.

Tomba 187

La protuberanza occipitale poco pronunciata, l’arcata orbitaria tagliente, il

condilo mandibolare di piccole dimensioni nonché il mento stretto con

andamento a punta e infine una linea aspra particolarmente debole ci

suggeriscono un individuo di sesso femminile. Per quanto concerne l’età di

morte, osservando il corpo spugnoso particolarmente compatto, il processo

coracoide scapolare non sviluppato, l’assenza di artrosi, la presenza di denti

definitivi, nonché la rotula completamente saldata, si evince un’età tra i 20 e i

25 anni. Non è stato rilevato nessun tipo di patologia. Per ciò che riguarda la

temperatura di combustione anche per questa tomba (cromatismo biancastro

con macchie grigie scure) possiamo supporre un grado tra i 600° e i 700°C.

Riassumendo, il soggetto deposto è di sesso femminile, di giovane età ed è

privo di eventuali patologie.

Tomba 188

A causa della scarsa quantità e dell’alta frammentarietà del materiale osseo non

è stato facile determinare in modo preciso sia il sesso che l’età di morte di

questo individuo. Dalle piccole dimensioni delle varie ossa, dallo spessore

corticale e dallo spessore sottile del cranio è stato ipotizzato che si tratti di un

individuo di sesso femminile. Dal capitello radiale saldato, dalle suture craniali

aperte e dalla presenza dei denti definitivi è stato supposto che sicuramente si

tratta di un individuo adulto, caratterizzato inoltre da inserzioni muscolari

mediamente marcate. Da un punto di vista patologico, è stato possibile rilevare

soltanto lievi tracce di cribra cranii su pochi frammenti cranici. Le superfici

ossee sono caratterizzate ad un cromatismo che va dal bianco al grigio chiaro

37

con varie macchie più scure. Questo grado di colorazione suggerisce una

temperatura di combustione tra i 600 e gli 800°C. Dalla parziale presenza di

materiale osseo non è stato possibile ricavare informazioni riguardo la

deposizione delle ossa all’interno dell’urna da un punto di vista rituale.

Riassumendo, si tratta di una donna adulta, di medie dimensioni, affetta da

lievi cribra cranii.

Tomba 189

Le dimensioni particolarmente piccole delle ossa, la presenza di una patella

microscopica e gli spessori piuttosto sottili sia del cranio che della corticale

diafisiaria suggeriscono un individuo di sesso femminile. La presenza inoltre

della cartilagine di accrescimento inoltre su un frammento della cresta iliaca

del bacino, di alcune epifisi delle mani e dei piedi non ancora saldate (distretti

il cui fenomeno di saldatura avviene dai 15 anni in poi), di vari denti definitivi

(la cui eruzione avviene al di sopra dei 13 anni di età), di epifisi prossimali

femorali e tibiali non ancora saldate (la cui saldatura si verifica oltre i 15 anni),

e ancora di suture craniche aperte e coxale sinistro non ancora fuso, testimonia

un’età di morte tra i 13 e i 15 anni. Si tratta dunque di un individuo adolescente

di sesso femminile di dimensioni piccolissime. Dal punto di vista

paleopatologico, solo su un frammento sono stati rilevati cribra cranii. Le

superfici ossee presentano da un cromatismo caratterizzato da un prevalente

bianco grigio, tipo di colore che indica una temperatura di combustione intorno

i 600-900°C. E’ stato possibile osservare che la distribuzione delle ossa

all’interno del contenitore, da un punto di vista rituale non segue un ordine ben

preciso bensì casuale.

Riassumendo, si tratta di un individuo adolescente di sesso femminile di

dimensioni molto piccole.

38

Tomba 190

Dalla presenza di frammenti di dimensioni differenti, quali un frammento

orbitale caratterizzato da margini piatti, spessore corticale diafisario, radici

dentarie assai lunghe e frammenti di grosse dimensioni, è possibile arguire che

probabilmente sono deposti almeno due individui adulti: uno di sesso

femminile e uno di sesso maschile. La presenza di alcune gemme e di denti

decidui ci suggerisce la deposizione anche di un terzo individuo infantile di 6-9

anni di età. Osservando la completa saldatura dell’epifisi, l’assenza di artrosi e

la spugnosa ben compatta il soggetto maschile ha un’età tra i 25 e 35 anni,

mentre l’individuo femminile per le caratteristiche della superficie della sinfisi

pubica ha un età tra i 20 e i 25 anni. Per quanto riguarda eventuali alterazioni

patologiche sono state rilevate sui frammenti ascrivibili al soggetto adulto:

presenza di cribra orbitalia (grado2), cribra cranii (grado 1), tracce di

periostite localizzata sulla diafisi femorale e sul terzo trocantere (maschio).

Degna di nota la presenza di resti ossei faunistici. Le superfici ossee presentano

un cromatismo caratterizzato in prevalenza da un bianco calcinato con macchie

grigie bluastre; questo grado di colorazione, associato ad una media

frammentazione, suggerisce una temperatura di combustione intorno ai 600-

800°C.

Riassumendo, dalle caratteristiche di frammenti sembrano esserci almeno due

individui adulti: il primo con ossa di grosse dimensioni (maschile) tra i 25 e 35

anni di età ed, il secondo di medie e piccole dimensioni (femminile) di 20 e 25

anni. Probabilmente è presente anche un terzo soggetto infantile (gemme e

denti decidui).

Di particolare interessante inoltre la cospicua quantità di materiale scheletrico

faunistico presente insieme ai resti umani combusti.

39

Tomba 191

A causa della scarsa quantità di materiale osseo e per l’assenza di frammenti

significativi, non è stato possibile determinare il sesso dell’individuo contenuto

in questo cinerario. Tuttavia, la presenza di una gemma di un 1° molare

definitivo, della radice di un 2° molare definitivo, di alcune radici di molari

decidui, nonché le dimensioni particolarmente piccole della troclea dell’omero

e le piccole dimensioni delle teste omerale e femorale, evincono un individuo

subadulto con età compresa tra i 6 e i 7 anni di età. Degne di nota la presenza

di lievi cribra cranii su alcuni frammenti cranici, probabilmente legati ad una

maggior vascolarizzazione, poiché si tratta di un soggetto infantile. Le superfici

ossee sono caratterizzate da un colore bianco con molte zone grigie scure.

Questa colorazione indica una temperatura di combustione tra i 500 e i 700°C.

Dalla scarsa presenza di materiale osseo non è stato possibile ricavare

informazioni riguardo la deposizione delle ossa all’interno dell’urna da un

punto di vista rituale. Di grande rilievo la presenza di un elemento estraneo,

una radice di dente di animale, forse legato al soggetto e sacrificato insieme ad

esso, o di residui dei pasti funerari o ancora di offerte rituali.

Riassumendo, si tratta di un bambino tra i 6 e 7 anni di età, anch’esso come la

maggior parte degli adulti, affetto da cribra cranii.

Tomba 192

Per l’assenza di frammenti significativi non è stato possibile determinare il

sesso di questo individuo. Tuttavia, la presenza della troclea omerale non

ancora saldata (la troclea subisce il processo di saldatura tra i 14-18 anni di

età), di alcuni denti definitivi (la cui eruzione avviene al di sopra dei 10 anni) e

del dente dell’epistrofeo saldato (che si salda al di sopra dei 12 anni), hanno

suggerito un’età di morte tra gli 11 e i 14 anni. E’ stato osservato la presenza di

un ossicino suturale soprannumerario. Dal punto di vista paleopatologico, non

è stata rilevata alcuna lesione. Le superfici ossee sono caratterizzate da un

cromatismo bianco calcinato e grigio particolarmente scuro, quasi bluastro.

Questi colori indicano una temperatura di combustione tra i 600 e i 900°C.

40

L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una buona rappresentatività dei

vari distretti per i due 3 strati in cui è stato suddiviso, ha permesso di chiarire

che ritualmente la deposizione delle ossa all’interno cinerario non ha seguito

un ordine ben preciso, bensì casuale. Si è rilevata la presenza di alcuni elementi

estranei, ossia frammenti di diafisi di animale, forse un animale legato al

soggetto e sacrificato insieme ad esso o residui dei pasti funerari o ancora

offerte rituali.

Riassumendo, si tratta di un adolescente (la presenza della fuseruola nel

corredo funerario, suggerisce un soggetto di sesso femminile), privo di

alterazioni patologiche.

Tomba 193

In questo cinerario è stato deposto un individuo di sesso femminile con feto. La

determinazione del sesso è stata ricavata principalmente dalle piccole

dimensioni dei vari distretti anatomici. Un frammento di sinfisi pubica

(caratterizzata da solchi meno evidenti, da un margine dorsale che delimita la

superficie e da estremità superiori ed inferiori non ben delimitate, indicano

un’età tra i 22 e i 26 anni), l’estremità sternale di una costa (con i margini

definiti e ondulati, indicanti 22-28 anni), le varie epifisi degli arti superiori e

inferiori saldate, ad eccezione del grande trocantere del femore che risulta non

saldato (particolare che indica un età tra i 17 e i 20 anni) hanno suggerito

un’età di morte tra i 20 e i 25 anni. Per quanto riguarda il feto, a causa della

scarsità di materiale osseo, non è stato possibile rilevarne l’età. Inoltre

l’individuo (A) presentava delle inserzioni muscolari particolarmente deboli e

alcuni ossicini suturali soprannumerari (fig. 3.1). Le superfici ossee presentano

un colore marrone chiaro con zone bianche. Questo grado di colorazione,

associato all’elevata frammentazione, indica una temperatura di combustione

tra i 500 e i 700°C. L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una buona

rappresentatività dei vari distretti per i due o tre strati in cui è stato suddiviso,

ha permesso di chiarire che ritualmente la deposizione delle ossa all’interno

cinerario non ha seguito un ordine ben preciso, bensì casuale.

41

Riassumendo, frammenti provenienti dai vari distretti risultano appartenenti ad

un individuo adulto, che potrebbe essere stato affetto da nanismo ipofisario,

come si evince dalle piccolissime dimensioni dei resti ossei. Inoltre, l’esistenza

di un feto è testimoniata dalla presenza di due piccole rocche petrose e da una

piccola falangina.

Figura 3.1. Coppie di rocche petrose appartenenti all'individuo A (adulto), e all'individuo B (bambino).

Tomba 194

Dalla linea nucale particolarmente lieve, da un condilo di piccole dimensioni e

dai denti anch’essi di piccole dimensioni possiamo evincere che all’interno del

vaso è stato deposto un soggetto di sesso femminile. L’apertura delle suture

craniali, il grado di saldatura delle epifisi, la presenza di artrosi, nonché di

osteofiti sul calcagno e una superficie auricolare usurata indicano un’età tra i

42

35 e i 45 anni. Per ciò che riguarda la presenza di alterazioni patologiche sono

state rilevate: lieve linea artrosica sul condilo mandibolare, ernie di Schmoirl

su due vertebre toraciche e su una lombare. Sono emerse inoltre tracce di

erosione forse di tipo tubercolare (deduzione rafforzata dalla presenza di due

linfonodi calcificati) su un piatto vertebrale toracica.

Il grado di cromatismo è connotato da una colorazione grigio scuro e da zone

marrone chiaro. Questa colorazione associata ad una bassa frammentazione

suggerisce una temperatura di combustione bassa tra i 300° e i 500°C.

Riassumendo, l’individuo deposto è di sesso femminile tra i 35 e i 45 anni di

età, affetto non solo da artrosi ma anche da tubercolosi.

Tomba 195

Sepoltura con deposizione femminile, come si evince dalla presenza del bordo

orbitario tagliente (carattere tipicamente femminile), arcata sopraciliare non

pronunciata, forma circolare del’orbita e rotula di piccole dimensioni. Dal

grado di saldatura delle epifisi, dall’assenza di artrosi e dall’incompleta

saldatura delle suture craniali è stato possibile arguire un’età di morte tra i 20 e

i 30 anni. Non sono state rilevate tracce di alterazioni patologiche. Le superfici

ossee sono caratterizzate da un cromatismo bruno-grigio con zone bluastre che,

associato ad una frammentazione media, suggerisce una temperatura di

combustione di 645-940°C.

Riassumendo, si tratta di un soggetto femminile di giovane età tra i 20 e 30

anni, non affetto da particolari patologie.

Tomba 196

Sono attestati due individui: il primo è un adulto forse di sesso maschile

(frammenti di medie dimensioni e inserzioni muscolari medie, alcuni

frammenti di grosse dimensioni) tra i 25 e i 35 anni di età (epifisi saldate). Il

secondo è un subadulto il cui sesso non è determinale, di età di morte compresa

43

tra 11 e 15 anni (epifisi non saldate). Non sono state rilevate tracce di

alterazioni patologiche. Per quanto riguarda la temperatura di combustione dal

cromatismo bianco calcinato con macchie scure bluastre, e dalla media

frammentazione ossea è possibile arguire che essa oscilla tra 600 e i 700°C.

Riassumendo, la tomba è connotata dalla deposizione di due soggetti, un adulto

tra i 25 e i 35 anni e un giovane tra gli 11 e 15 anni di età.

Tomba 197

Dalle inserzioni muscolari medie e dall’arco zigomatico posteriore si evince

che è un soggetto di sesso maschile. La presenza di artrosi su un condilo

mandibolare e su una vertebra cervicale, nonché la chiusura delle suture

craniche suggeriscono un età di morte tra i 40 e i 49 anni. Per quanto concerne

le alterazioni patologiche, oltre alle tracce artrosiche (presenti sul condilo

mandibolare e su una falangina), sono state rilevate un’ernia su una vertebra

lombare e tracce di gotta su un metatarsale. Da un cromatismo di colore

marrone con zone grigie associato ad una media frammentazione ossea si

evince una temperatura di combustione tra i 600 e i 700°C.

Ricapitolando, è stato deposto un individuo di sesso maschile di età adulta,

affetto da gotta.

Tomba 198

Le piccole dimensioni dei frammenti ossei, le epifisi non saldate, la presenza di

cartilagini di accrescimento su alcune epifisi, nonché le suture craniche aperte,

suggeriscono che si tratti di un individuo di sesso forse femminile ,di età di

morte tra i 12 e i 15 anni. Degna di nota la presenza di un ossicino sesamoide

che, è un carattere ereditario. All’interno del materiale combusto sono stati

rilevati diversi resti di animali di piccole dimensioni. Il cromatismo che

caratterizza la superficie dei frammenti ossei è di colore bianco calcinato con

diverse macchie nere bluastre, la tipica colorazione provocata da una

temperatura di combustione di 500-700°C.

44

Per riassumere brevemente possiamo dire che si tratta di un individuo di

giovane età, probabilmente di sesso femminile, privo di varie alterazioni

patologiche e connotato da un ossicino sesamoide, elemento ereditario.

Tomba 199

La presenza di radici dentarie particolarmente piccole (carattere puramente

femminile), dell’inizio del processo zigomatico posto anteriormente rispetto al

meato acustico (altro carattere prettamente femminile, nei maschi è posteriore),

lo spessore medio del cranio, le dimensioni piccole del dente dell’epistrofeo e

la corticale sottile hanno suggerito un individuo di sesso femminile. Le suture

craniali aperte, le epifisi degli arti superiori e inferiori saldate e la presenza di

osteofitosi su una patella e sulla tuberosità del calcagno, detto anche tendine di

Achille, hanno testimoniato un’età di morte compresa tra i 25 e i 35 anni. Il

soggetto presentava delle inserzioni muscolari mediamente marcate. Oltre alla

presenza di un ossicino sovrannumerario (piccole porzioni di osso che si

sviluppano tra le suture craniali), è da segnalare un frammento di vertebra di

dimensioni troppo piccole rispetto a tutto il resto. Su alcuni frammenti sono

stati rilevati dei lievi cribra cranii, mentre una radice di molare risulta distrutta

da carie. Le superfici ossee sono caratterizzate da un cromatismo bianco e

grigio, con zone più scure. Questo grado cromatico, associato ad una bassa

frammentazione, ha suggerito una temperatura di combustione tra 600 e 700°C.

Dalla parziale presenza di materiale osseo non è stato possibile ricavare

informazioni riguardo la deposizione delle ossa all’interno dell’urna da un

punto di vista rituale.

Riassumendo, si tratta di un soggetto di sesso femminile di età tra i 25 e i 35

anni, di medie dimensioni, affetto da lievi cribra cranii e da affezione dento-

alveolare.

45

Tomba 200

Dalla troclea omerale di piccole dimensioni, dal capitello radiale anch’esso di

piccole dimensioni, dalla forma circolare dell’orbita e dalla testa omerale di

dimensioni minori, possiamo arguire che si tratti di un individuo di sesso

femminile. La presenza di artrosi su due vertebre cervicali e dei denti definitivi

(con radici ricurve), ci permettono di risalire all’età di morte intorno ai 30-39

anni. A parte le tracce artrosiche, non state rilevate altre alterazioni

patologiche. Anche per questa sepoltura si deduce una temperatura di

combustione tra i 600 e i 700°C.

Riassumendo, si tratta della deposizione di individuo femminile di età di morte

tra i 30 e i 39 anni, non affetto da particolari patologie (eccetto l’artrosi).

Tomba 202

Dalla presenza di frammenti diafisari femorali particolarmente robusti, dalla

linea nucale ben evidente e dalle dimensioni medio-grandi del ramo

mandibolare è stato possibile arguire che si tratta di un soggetto di sesso

maschile. Le tracce di artrosi (su un frammento di atlante e su una falange,

nonché su una vertebra cervicale) e le inserzioni alquanto rugose delle suture

aperte suggeriscono un età di morte tra i 30 e i 39 anni. Oltre alla presenza di

artrosi sono state rilevate tracce di periostite su alcuni frammenti femorali. Il

materiale combusto è caratterizzato da una colorazione variabile che va dal

grigio-nero al bianco calcinato che, associato ad un elevata frammentazione,

indica una temperatura di combustione tra i 600 e i 700°C.

Ricapitolando, nella tomba è deposto un soggetto di sesso maschile di età

adulta, affetto da una lieve periostite e da artrosi.

Tomba 205

Attraverso la presenza di un frammento di orbita caratterizzata da una forma

circolare con andamento tagliente (carattere prettamente femminile), di un

46

processo mastoideo, di un condilo mandibolare di piccole dimensioni e del

dente dell’epistrofeo di dimensioni particolarmente piccole, di uno spessore del

cranio piuttosto sottile, è stato possibile attribuire il sesso femminile a questo

individuo. Inoltre, le suture craniali ancora aperte, l’epifisi distale dell’ulna

saldata (l’estremità distale dell’ulna nelle femmine si salda tra i 16 e i 21 anni),

la cresta iliaca ancora non saldata (si salda tra i 21 e i 24 anni), e le epifisi delle

falangi sia delle mani che dei piedi saldati (processo di saldatura tra i 16-20

anni) hanno suggerito un età di morte tra i 17 e i 20 anni. Nel complesso le ossa

sono di piccole dimensioni, con inserzioni muscolari poco marcate; questi

particolari confermano che i resti appartenessero ad un adolescente o

comunque ad un giovane, anche se alcuni frammenti della tibia e di femore

sono caratterizzati da un forte spessore della corticale. Sono state diagnosticate

varie patologie su diversi frammenti: tracce di cribra orbitalia nell’orbita

destra (grado 2°), cribra cranii su alcuni frammenti cranici e una lieve

periostite sulle diafisi tibiale e femorale. Le superfici ossee sono caratterizzate

da un cromatismo bianco grigio con varie zone di color marrone chiaro. Questo

grado cromatico associato ad una media frammentazione indica una

temperatura di combustione tra 500 e 800°C L’analisi del materiale osseo,

caratterizzato da una buona rappresentatività dei vari distretti per i due o tre

strati in cui è stato suddiviso, ha permesso di chiarire che ritualmente la

deposizione delle ossa all’interno cinerario non ha seguito un ordine ben

preciso, bensì casuale. E’ stata infine rilevata la presenza di un frammento di

costa e di un dente di animale, forse legato al soggetto e sacrificato insieme ad

esso. Questo è il terzo caso, oltre alla T.191 e alla T.192, in cui sono state

rilevate tracce di ossa animali in cinerari di bambini o adolescenti.

Riassumendo, si tratta di una giovane donna, tra i 17 e i 20 anni di età, di

piccole dimensioni, affetta da cribra cranii e orbitalia, nonché da una lieve

periostite.

Tomba 208

Un frammento di condilo mandibolare particolarmente piccolo, alcune radici

dentarie di dimensioni piccole e l’inizio del processo zigomatico posto

47

anteriormente rispetto al meato acustico (tutti particolari prettamente

femminili), hanno suggerito che questo individuo fosse di sesso femminile.

L’età di morte, che si aggira tra i 25 e i 35 anni di età, è stata determinata

attraverso l’osservazione di un frammento dell’estremità sternale di una costa,

caratterizzata dai margini piuttosto regolari e rialzati rispetto al centro della

superficie (25-35 anni). Inoltre, una vertebra con l’anello epifisario

completamente fuso (20-29 anni), le epifisi sia degli arti superiori che inferiori

completamente fuse (soggetto adulto) e l’assenza di artrosi, confermano che si

tratta di un individuo di età non avanzata. Il soggetto presentava inoltre, delle

inserzioni muscolari decisamente poco marcate, una corticale mediamente

spessa, e un ossicino suturale sovrannumerario. Di grande interesse la presenza

di varie alterazioni patologiche. Sono state osservate lievi tracce di periostite

sulla diafisi tibiale, forti tracce sempre di periostite su 2 frammenti di coste, 1

carie sulla radice di un dente anteriore. Per quanto concerne le inserzioni

muscolari, è stata rilevata la presenza di un’entesopatia (per entesopatia si

intende un’erosione e/o ossificazione dell’inserzione, causata da movimenti

intensi e ripetuti, forse legati all’attività lavorativa). Le superfici ossee

presentano un cromatismo grigio chiaro, marrone chiaro, con zone bianche; gli

arti inferiori presentano macchie molto più scure di colore grigio-nero. Questo

tipo di colorazione indica un temperatura di combustione tra i 500 e i 700°C.

L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una buona rappresentatività dei

vari distretti per i due 2 strati in cui è stato suddiviso, ha permesso di chiarire

che ritualmente la deposizione delle ossa all’interno del cinerario non ha

seguito un ordine ben preciso, bensì casuale.

Riassumendo, si tratta di una donna tra i 25 e i 35 anni di età, di medie

dimensioni, affetta da periostite, entesopatia e affezione dento-alveolare.

Tomba 210

La linea aspra particolarmente pronunciata, una nucale accentuata e un condilo

mandibolare medio grande, suggeriscono un individuo di sesso forse maschile,

la cui età di morte è tra i 40 e i 50 anni (presenza di artrosi e suture in parziale

saldatura). Per quanto concerne le alterazioni patologiche, sono state rilevate

48

tracce di lieve periostite su un femore e artrosi su due vertebre lombari e

cervicali. Dalla media frammentazione ossea associata ad un cromatismo di

colore grigio scuro con zone marroni si evince una temperatura di combustione

tra i 300 e i 500°C.

Riassumendo, si tratta di un individuo di sesso maschile di età avanzata,

connotato da frammenti di medie e grandi dimensioni e forti rilievi muscolari,

in parte dovuti all’età.

Tomba 211

A causa della scarsa quantità ed elevata frammentazione del materiale osseo

(presenti solo 5 gr di frammenti ossei non identificabili) non è stato possibile

determinare né il sesso né l’età di morte dell’individuo, e neppure rilevare

alcuna alterazione patologica. L’unica informazione che è stato possibile

ricavare è la temperatura di combustione che risulta compresa tra i 500 e i 700

C°, come si deduce dal colore grigio chiaro-scuro, con zone bianche, dei

frammenti ossei.

Tomba 217

E’ una sepoltura con deposizione di un individuo di sesso forse maschile, ciò è

suggerito dallo spessore robusto delle diafisi e dai denti mediamente lunghi.

Dalle epifisi non saldate, dalle suture craniche aperte, dal processo acromiale

non saldato, da un molare deciduo e infine dalla presenza dei denti con le radici

non chiuse, è possibile inquadrare il soggetto in un età di morte tra i 10 e i 14

anni. Per quanto riguarda eventuali alterazioni patologiche, è stata rilevata la

presenza di osteomielite (tracce in alcuni punti degli arti inferiori). Anche per

questa sepoltura la temperatura di combustione è tra i 600-700°C.

Ricapitolando, si tratta di un soggetto di sesso maschile di età di morte tra i 10

e i 14 anni, affetto da osteomielite.

49

Tomba 237

Anche per la tomba 237 a causa della scarsità ed elevata frammentarietà del

materiale osseo non è stato possibile ricavare informazioni sul sesso e rilevare

alterazioni patologiche, ad eccezione di un trauma su una piccola falange.

Tuttavia, la presenza di una gemma dentaria, di alcune radici di denti decidui e

la dimensione delle ossa hanno suggerito un’età di morte tra i 2 e i 3 anni

(essendo un bambino, anche con una maggior quantità di materiale anatomico,

non sarebbe stato possibile determinare il sesso). Da notare la presenza di una

trauma su una piccola falange. Il cromatismo bianco con zone grigie bluastre

ha indicato una temperatura di combustione tra i 600 e gli 800°C (da osservare

che essendo un bambino, le ossa bruciano più velocemente anche ad un

temperatura di combustione più bassa). Dalla scarsa presenza di materiale

osseo non è stato possibile ricavare informazioni riguardo la deposizione delle

ossa all’interno dell’urna da un punto di vista rituale.

Concludendo, il contenuto era parziale a causa del collasso del vaso funerario,

che ne ha provocato la fuoriuscita dal contenitore. Si sono conservati pochi

frammenti tutti di piccole dimensioni e compatibili con lo scheletro di un

bambino.

Tomba 238

Attraverso l’osservazione del processo mastoideo che risulta particolarmente

piccolo (carattere femminile), dell’inizio del processo zigomatico in posizione

anteriore rispetto al meato acustico, di una linea aspra (femorale) poco

pronunciata e di una corticale diafisiaria piuttosto sottile (tutti caratteri

prettamente femminili) è stato possibile determinare il sesso, che è risultato

femminile. La presenza delle epifisi degli arti sia superiori che inferiori saldate,

delle suture craniali aperte e dei denti definitivi ha suggerito un’età di morte

intorno ai 40 anni. Il soggetto presentava inoltre delle inserzioni muscolari

particolarmente lievi. Di grande interesse è stato il rinvenimento di un

linfonodo calcifico di forma più o meno sferica, di 9 mm di diametro, ben

compatto. Questa formazione si presenta come una concrezione calcarea ossea,

50

la cui calcificazione può rappresentare una risposta ad un’infiammazione di

tipo tubercolare. Le superfici ossee sono caratterizzate da un colore marrone

chiaro, con zone bianche. Questo grado cromatico, associato ad un’elevata

frammentazione, indica una temperatura di combustione tra i 500 e i 600°C.

L’analisi del materiale osseo, caratterizzato da una buona rappresentatività dei

vari distretti per i due 3 strati in cui è stato suddiviso, ha permesso di chiarire

che ritualmente la deposizione delle ossa all’interno cinerario non ha seguito

un ordine ben preciso, bensì casuale.

Concludendo, si tratta di un soggetto di sesso femminile che, pur essendo un

adulto, è di dimensioni molto piccole. La presenza del linfonodo calcifico (fig.

3.2) testimonia che probabilmente l’individuo è stato affetto da tubercolosi.

Tomba 239

Dalla linea nucale dell’occipitale che risulta ben evidente, senza però rilievi

muscolari marcati (grado che può essere sia maschile ma anche femminile),

dalle teste femorali particolarmente grandi, dal dente dell’epistrofeo piuttosto

spesso, dalla troclea omerale anch’essa spessa (caratteri maschili), si è

supposto che si tratti di un individuo di sesso maschile. Tuttavia, la presenza di

due particolari quali un condilo mandibolare di dimensioni piccole e una linea

aspra non molto marcata (caratteri puramente femminili), hanno messo in

dubbio i risultati relativi alla determinazione del sesso. Le epifisi

completamente saldate, una vertebra toracica con l’anello totalmente fuso

(adulto), e la presenza di una lieve artrosi sulle ossa delle mani e dei piedi (non

giovanissimo) hanno suggerito un’età di morte tra i 30 e i 40 anni. Per quanto

riguarda i caratteri discontinui, è stata rilevata la presenza di 5 ossa suturali

sovrannumerarie, mentre le inserzioni muscolari mostrano un medio grado di

sviluppo.Oltre all’esistenza di artrosi su un corpo vertebrale cervicale, è stato

rilevato un’entesofita sulla tuberosità del calcagno, detto anche tendine di

Achille. Inoltre, è stata rilevata una cospicua quantità di linfonodi calcifici che,

rispetto alla tomba 238, da un punto di vista quantitativo erano numerosi, di

piccole dimensioni e caratterizzati da un corpo non compatto, bensì con varie

trabecole, assumendo un aspetto quasi spugnoso. La presenza dei numerosi

51

linfonodi calcifici testimonia che probabilmente l’individuo è stato affetto da

tubercolosi. Per quanto riguarda i caratteri discontinui, è stata rilevata la

presenza di 5 ossa suturali sovrannumerarie. Le superfici ossee presentano un

colore bianco, grigio chiaro, con varie zone più scure, quasi nere. Questo grado

cromatico, associato ad una media frammentazione, indica una temperatura di

combustione intorno ai 500-700°C. L’analisi del materiale osseo, caratterizzato

da una buona rappresentatività dei vari distretti per i due o tre strati in cui è

stato suddiviso, ha permesso di chiarire che ritualmente la deposizione delle

ossa all’interno del cinerario non ha seguito un ordine ben preciso, bensì

casuale.

Concludendo, si tratta di un soggetto adulto che, pur essendo di sesso maschile,

risulta di medie dimensioni e affetto da cribra cranii e artrosi; la presenza dei

linfonodi calcifici testimonia che fu colpito da tubercolosi.

Figura. 3.2. Linfonodo calcifico di forma più o meno sferica, di 9 mm di diametro (T.238).

52

Capitolo 4

Risultati

4.1 Profilo demografico

L’esame antropologico ha evidenziato un numero minimo di 38 individui

contenuti in 34 urne. Quasi tutti i cinerari sono deposizioni singole, tranne in

cinque casi (T.180, T.184, T.190, T.193, T.196) in cui un individuo adulto era

deposto insieme ad un bambino (la tomba 190 è l’unica che ha restituito tre

individui, di cui due adulti, uno di sesso femminile, l’altro di sesso maschile e un

bambino). Nella tabella 1 è riportata la suddivisione del campione per sesso e per

classi di età; la diagnosi di sesso è stata effettuata sia su base archeologica che

antropologica. Sono stati individuati 16 maschi e 18 femmine, mentre per 4

soggetti non abbiamo dati certi per il sesso, in quanto si tratta di soggetti infantili

che non hanno ancora sviluppato caratteristiche scheletriche dimorfiche. Il

rapporto tra i due sessi è leggermente è bilanciato e simile a quello delle

popolazioni attuali (Hernandez, 2006). E’ possibile osservare inoltre che la fascia

di età in cui si ha la mortalità più elevata è quella adulta (30-39 anni), seguita

dalla fascia giovanile (20-29 anni). La mortalità infantile, risulta piuttosto elevata,

in quanto il 16,2% degli individui è morto prima dei 13 anni: il 6,7% risulta

deceduto prima dei 6 anni, il 6,7% tra 7 e 12 anni. Tra gli adolescenti (tra i 13 e i

19 anni) il 13,3% è rappresentato dalle femmine e il 6,7% dai maschi:

complessivamente il 27% del campione è deceduto prima di raggiungere l’età

adulta. La figura 7.1 riporta la distribuzione dell’età di morte tra i vari individui a

sessi separati. La mortalità femminile è più elevata nella fascia tra i 13-19 e tra i

20-29 anni, mentre nei maschi la mortalità più alta è nella fascia tra i 30-39 anni.

La maggior parte degli uomini raggiungeva età più avanzate rispetto alle donne,

che probabilmente morivano a causa di complicanze legate alla gravidanza e al

parto. L’assenza di soggetti di età superiore ai 40 anni può essere dovuta alla

difficoltà di applicare i metodi per la diagnosi d’età sulle ossa combuste.

Interessante notare che la maggior parte dei soggetti che non hanno ancora

raggiunto l’età adulta sono di sesso femminile (solo per quattro individui non è

stato possibile determinare il sesso) con quella desunta dai corredi. E’ stato

53

possibile effettuare il confronto per 19 soggetti e la diagnosi antropologica è

risultata corretta in 18 casi.

Considerando il fatto che si tratta di resti cremati, il 94,7% di diagnosi corrette

non solo conferma l’affidabilità delle metodologie applicate, ma indica un forte

dimorfismo sessuale all’interno della popolazione, soprattutto nelle dimensioni e

nella robustezza delle ossa, principali indicatori di sesso utilizzati per la diagnosi.

In 3 casi (bambini) non è stato possibile rilevare il sesso antropologico mentre è

stato determinato in base ai corredi. Su 12 soggetti i dati archeologici non ci

hanno suggerito il sesso, tuttavia è stato possibile rilevarlo in base all’esame

antropologico. Infine, su 4 casi di bambini non è stato possibile evincere il sesso

né attraverso i dati archeologici né attraverso quelli antropologici.

Tabella 1. Suddivisione del campione per classe di età e per sesso

età maschi femmine indet. totali %(n=35)

0-1 0 1 1 2 5,7

2-6 0 1 0 1 2,9

7-12 0 1 2 3 8,6

13-19 1 3 1 5 14,3

20-29 2 5

7 20,0

30-39 9 4

13 37,1

40-49 3 1

4 11,4

50+

0 0,0 adulti n.d. 1 2

3

totali 16 18 4 38 % (n=38) 42,1 47,4 10,5

% (n=34) 47,1 52,9

giovani< 19 anni - 11:38= 28,9%

bambini < 13 anni - 6:38= 15,8%

54

Figura 4.1. Confronto dei due sessi, suddivisi in classi di età

0

10

20

30

40

50

60

70

0-1 2-6 7-12 13-19 20-29 30-39 40-49 50+

Distribuzione dei due sessi in intervalli d'età

%M

%F

55

4.2 Analisi quantitativa

Nella tabella 2 sono riportati i pesi medi di ciascun distretto anatomico,

relativamente agli individui sia adulti sia subadulti contenuti nelle urne a

deposizione singola (i cinerari a deposizione bisoma non sono stati considerati),

assieme ai valori minimi, massimi e alla deviazione standard (DS).

Tabella 2. Peso medio di ciascun distretto anatomico, diviso per sesso.

peso medio dei soggetti adulti di sesso maschile è di 1254,8g, quello degli

individui adulti di sesso femminile è di 1061,1g, mentre per i bambini il peso

medio risulta di 142g e infine per gli adolescenti di 721g. Nei soggetti adulti è

stata osservata una elevata variabilità da un cinerario all’altro, probabilmente a

causa del fatto che non tutti i cinerari erano intatti e completi.

Secondo studi, effettuati su cremazioni moderne, il peso totale dei resti ossei di

un individuo adulto è in media 2288g per gli uomini e 1550g per le donne

(Mays, 1998). Perciò il contenuto medio dei cinerari esaminati è inferiore alla

media delle cremazioni moderne, ciò in parte è dovuto al fatto che quest’ultime

vengono effettuate in forni crematori dove è possibile raccogliere tutti i resti

della combustione, inoltre, neo resti di interesse archeologico, parte dei resti

vanno dispersi a causa di fattori post deposizionali e diagenetici.

Nel grafico (fig. 4.2) sono rappresentate le frequenze di peso in percentuale

rispetto al peso totale dei diversi distretti anatomici negli adulti e negli

FEMMINE MASCHI INF 0-6 ADOL 13-19

n. di individui 9 13 3 5

CRANIO 180,8 218,1 49,3 147,8

ARTI SUPERIORI 169,7 190,7 36 118,6

ARTI INFERIORI 246,6 316,6 3,7 158

MANI PIEDI 66,1 74,8 3 53

TRONCO 116 183,9 12,3 94,6

INDETERMINATI 282 270,6 37,7 149

TOTALE 1061,1 1254,8 142 721

Peso minimo 554 526 50 411

Peso massimo 1499 1973 282 915

DS 332,5 421,6 123,2 191,8

56

adolescenti. Il grafico mostra una grande uniformità nei vari distretti

scheletrici. Ciò significa che ogni distretto è rappresentato con la stessa

percentuale, indipendentemente dal sesso o dall’età, e che, quindi, non sono

state fatte selezioni intenzionali o rituali nella raccolta dei resti dopo la

cremazione.

Figura 4.2. Distribuzione percentuale dei diversi distretti scheletrici in maschi e femmine adulti e negli adolescenti (tra 13-19 anni).

L’assenza di una selezione preferenziale, nella raccolta dei resti di una parte

del corpo rispetto all’altra si evidenzia ancora nei confronti delle frequenze di

peso tra gli individui adulti di Via Marche e quelle calcolate su materiale

anatomico moderno, riprese dalle tabelle pubblicate da Silvia et al (2009), che

riportano il peso percentuale di ciascun osso rispetto al peso totale dello

scheletro (fig. 4.3). In questo confronto è stato osservato che la

rappresentazione relativa dei diversi distretti segue quella di uno scheletro

normale, ad eccezione della categoria degli arti superiori e del tronco. Per

quest’ultimo, ciò può essere dovuto alla maggiore fragilità di questa parte del

corpo rispetto alle altre; è noto comunque che anche tra gli inumati il cinto

0

5

10

15

20

25

30

35

cranio arti sup arti inf mani piedi tronco

Distribuzione percentuale del peso dei diversi distretti scheletrici

%F

%M

%SUB

57

scapolare e pelvico, le vertebre e le coste, sono generalmente le ossa che si

conservano peggio.

Figura 4.3. Percentuali del peso di ciascun distretto scheletrico rispetto al peso

totale nel campione adulto di via Marche, Confrontato con quello elaborato dal campione CEI (Portuguese identified Skeletal Collection, Silva et al. 2009).

Nelle figure che seguono (fig. 4.4, 4.5, 4.6) è rappresentata la distribuzione in

percentuale dei pesi dei diversi distretti, distinti in tre classi (maschi e femmine

adulti e adolescenti), e suddivisi in due settori dell’urna. Benché il microscavo

stratigrafico del contenuto abbia previsto la suddivisione della parte contenente

ossa in almeno tre strati, questi sono stati raggruppati in due nuclei di simile

spessore: il primo rappresenta la porzione superiore del vaso, mentre il secondo

quello inferiore, posta alla base del cinerario. Si può osservare, che i diversi

distretti scheletrici dei soggetti adulti sono ugualmente rappresentati in

entrambi i settori: questo suggerisce che non vi sia stata una selezione

preferenziale nella sequenza di deposizione dei resti scheletrici all’interno del

cinerario, sia per gli uomini che per le donne. Negli adolescenti vi è una

leggera differenza tra i due strati: in quello superiore gli arti sono

maggiormente rappresentati rispetto alla porzione inferiore. Visto il ridotto

campione degli adolescenti sul quale sono state calcolate le frequenze, è

possibile che ciò sia da attribuire a fluttuazioni casuali piuttosto che a

comportamenti rituali nella deposizione dei resti.

0

5

10

15

20

25

30

35

cranio arti sup arti inf mani piedi tronco

Distribuzione percentuale del peso dei diversi

distretti scheletrici

%F

%M

%SUB

CEI

58

Figura 4.4. Distribuzione percentuale del peso dei vari distretti suddivisi in due

settori (parte alta e bassa dell'urna), nei maschi adulti.

Figura 4.5. Distribuzione percentuale del peso dei vari distretti scheletrici suddivisi in due parti (zona alta e bassa dell'urna), nei soggetti adulti femminili.

0

5

10

15

20

25

30

35

cranio arti sup arti inf mani piedi tronco

Distribuzione percentuale del peso dei diversi distretti scheletrici negli UOMINI ADULTI

alto

basso

0

5

10

15

20

25

30

35

cranio arti sup arti inf mani piedi tronco

Distribuzione percentuale del peso dei diversi distretti scheletrici nelle DONNE

ADULTE alto

basso

59

Figura 4.6. Distribuzione percentuale del peso dei diversi distretti anatomici, suddivisi in due settori (parte alta e bassa dell'urna), negli adolescenti.

Figura 4.7. Peso totale dei resti cremati divisi per i tre gruppi (maschi/femmine adulti e subadulti).

0

5

10

15

20

25

30

35

cranio arti sup arti inf mani piedi tronco

Distribuzione percentuale del peso dei diversi distretti scheletrici negli

ADOLESCENTI alto

basso

F 33%

M 56%

SUB 11%

Distribuzione percentuale del peso dei resti cremati (tot: 29,1 kg)

60

4.3. Temperatura di combustione e grado di

frammentazione

La tipologia di deformazione e frammentazione dei resti ossei combusti indica

che i corpi dei defunti erano sottoposti alla cremazione subito dopo la morte o

almeno quando ancora conservavano tessuti molli e masse muscolari. I resti

presentano infatti uno o più dei tipici effetti “S”, “U”, “LD” (Reverte Coma,

1996). L’effetto “S” (“sandwich”) si ha quando la diploe, protetta dai tavolati

esterno ed interno, subisce un’azione ridotta del calore e presenta, di

conseguenza, una colorazione diversa. L’effetto “U” (fig. 4.8) si manifesta con

fratture trasversali di forma ellittica, localizzate sulle ossa lunghe, note anche

con il nome di “fratture concoidi”. Il cosiddetto effetto “LD” (fig. 4.9) consiste

in un insieme di piccole fratture poligonali, una sorta di fitto mosaico, che

interessa in particolar modo le radici dentarie ed il tavolato cranico. La

presenza di questa varietà di fratture e di deformazioni, nonché la riduzione in

volume, suggeriscono che l’osso al momento della combustione era ancora

ricoperto dai tessuti molli (Reverte Coma, 1996). Il livello di frammentazione

dei resti scheletrici è, in genere, piuttosto alto; infatti il 45% dei resti presenta

un forte livello di frantumazione ed il 50% un livello medio, mentre solo il 5%

è caratterizzato da un basso grado di frantumazione. Per quanto riguarda il

rapporto tra il colore dei frammenti e la temperatura di combustione, il

campione mostra una colorazione piuttosto omogenea, con tonalità dal marrone

e marrone chiaro (400-500°C), al bianco gesso con sfumature grigio-bluastro

chiaro e grigio chiaro (600-800°C). Quindi, la temperatura media di

combustione per ciascun cinerario è quasi sempre compresa tra 500-700°C.

Alcuni distretti scheletrici sono stati sottoposti maggiormente all’azione del

fuoco, consentendo in tal modo di formulare ipotesi sulla disposizione del

cadavere. Ad esempio in alcuni casi il settore degli arti inferiori e quello

mani/piedi risulta di un colore bianco calce con macchie grigie bluastre; da

questa tonalità si può ragionevolmente ipotizzare che la sorgente di calore

fosse disposta a di sotto del corpo che giaceva supino sulla pira con le estremità

inferiori lontane da questa e quindi meno interessate dall’azione del fuoco. I

cromatismi osservati sui reperti ossei indicano che, nella maggior parte dei

casi, durante la cremazione del cadavere è stata raggiunta una temperatura di

61

combustione di circa 600-700°C, con variazioni non particolarmente

significative nei diversi distretti scheletrici.

Figura 4.8. L'effetto "U", fratture trasversali localizzate sulle ossa lunghe, note anche con il nome di “fratture concoidi”.

Figura 4.9. L'effetto "LD", piccole fratture di forma poligonali.

62

4.4 Alterazioni scheletriche di tipo funzionale e

patologico

E’ stato possibile osservare alcune impronte lasciate dalle inserzioni muscolari

e valutarne il grado di espressione. Nella tabella 3 sono riportati i gradi di

sviluppo delle inserzioni muscolari negli adulti di entrambi i sessi; i risultati

indicano che gli uomini avevano una muscolatura più sviluppata rispetto alle

donne, probabilmente in relazione ad una attività fisica o lavorativa più dura e

faticosa.

F %F M %M

deboli 6 46,2 4 28,6

medie 7 53,8 9 64,3

forti 0 0,0 1 7,1

tot 13 14

Tabella 3. Distribuzione del grado di sviluppo delle inserzioni muscolari negli adulti di entrambi i sessi

Malgrado l’elevata frammentarietà è stato possibile rilevare alcune alterazioni

scheletriche riconducibili ad episodi di stress nutrizionale o a malattie. Nella

tabella 4 sono riportate le principali patologie ossee osservate. Solo in 4

individui adulti (2 femmine e 2 maschi) sono state osservate patologie

dentoalveolari, quali carie e perdite dentarie in vita. Questa scarsa presenza è

legata al fatto che l’azione del fuoco sui denti è distruttiva; infatti, a causa della

differenza di densità tra smalto e dentina, le corone dei denti esplodono anche a

temperature non particolarmente elevate. Così le patologie dentoalveolari

osservabili rimangono principalmente quelle che colpiscono le radici o il

colletto del dente e, in alcuni casi, gli alveoli. L’iperostosi porotica si presenta

come porosità diffusa sulla teca cranica e sul tetto dell’orbita; solo nel primo

caso è stato possibile rilevarla in modo sistematico, valutando, cioè, sia la

presenza che l’assenza (allo scopo di effettuare delle frequenze), poiché l’osso

della volta cranica si conserva meglio delle orbite. E’ stato rilevato che

l’iperostosi porotica, in forma di cribra crani,i colpisce il 75% degli individui

63

osservati, quasi sempre in forma lieve, con frequenze leggermente più alte

negli uomini (83,3%) rispetto alle donne (75%). I cribra orbitalia sono stati

rilevati solo in un individuo di sesso femminile di età tra i 17 e i 20 anni.

Questa alterazione può essere considerata un indicatore di stress aspecifico

legato ad anemie di diverso genere spesso in relazione con un discreto carico

patogeno ambientale (Hengen 1971, Walker et al. 2009). Nove soggetti (6

maschi e tre femmine) mostrano tracce di periostite (infiammazione del

periostio) localizzata sulle diafisi delle ossa lunghe degli arti inferiori,

probabilmente correlata a microtraumi. E’ attestato solo un caso di osteomielite

in un ragazzo tra gli 11 e i 14 anni d’età. Segni di artrosi sono stati osservati in

vari individui soprattutto di sesso maschile, prevalentemente a livello

vertebrale e probabilmente riconducibili a stress meccanico legato ad attività

fisica, mentre indicazioni dirette di stress funzionale e traumatico, come

microfratture, sono state riscontrate solo in un uomo adulto. In quattro soggetti

sono state rilevate alcune varianti anatomiche di origine genetica, quali ossicini

cranici suturali accessori. Tra i resti di quattro individui adulti (un maschio e

tre femmine) sono state rinvenute concrezioni calcaree identificate come

linfonodi calcifici. La calcificazione dei linfonodi può rappresentare una

risposta ad un’infiammazione di tipo tubercolare. Infine, è emerso un caso di

gotta, su un individuo di sesso maschile di età avanzata tra i 40 e i 49 anni (T.197).

4.5 Confronti con altre necropoli a cremazione

La possibilità di effettuare confronti con altre serie scheletriche della stessa

epoca è fortemente limitata dalla scarsità di studi antropologici sui resti dei

cremati, soprattutto per quanto concerne le necropoli villanoviane dell’Etruria

propria. In questa sede considereremo alcune necropoli provenienti da varie

zone e, ascrivibili a diversi orizzonti cronologici, per le quali possediamo dati

sufficientemente dettagliati: la necropoli di Ameglia (IV-III secolo a.C.)

(Minozzi, 2005), l’area cimiteriale del Pozzillo (XIV-XII secolo a.C.)

(Minozzi, 2005) e, il sepolcreto di Morano sul Po (XI-X secolo a.C.) (Bedini,

2006). Nella figura 4.8 sono riportate le percentuali delle frequenze relative

alle tre fasce di età (bambini, adolescenti e adulti), afferenti ai diversi

sepolcreti. Nella necropoli di Via Marche rispetto agli altri siti sono ben

64

rappresentati i subadulti, in particolare gli adolescenti (27%), a seguire la

necropoli di Pozzillo 22,6%, Ameglia 4% e infine Morano sul Po che risulta

del tutto composta da individui adulti (83%).

Figura 4.8. Distribuzioni per classi di età in via Marche, a confronto con le necropoli di Pozzillo, Morano e Ameglia.

Nella maggior parte dei casi, i neonati e i bambini tra i 2 e i 3 anni sono

sottostimati rispetto alle aspettative. La scarsità di resti ossei dei bambini può

essere legata o alla poca resistenza del materiale osseo all’azione del fuoco del

rogo o al fatto che, in certe popolazioni di diverse epoche, i bambini venivano

seppelliti in aree distinte rispetto agli adulti (Wahl, 2008).

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

Marche Ameglia Pozzillo Morano

Bambini

Adolescenti

Adulti

65

Pesi medi in grammi F M TOTALE

V.Marche 1061,1 1254,8 1175,54

Ameglia 749,2 1175 1011

Pozzillo 244 372 266

Morano 822 1399 870

Campi di Urne 438 562 393

Hallstat LaTene 401 572 347

Età Imperiale 479 638 317

Cremazioni moderne 1550 2288

Tabella 4. Peso medio in grammi dei soli individui adulti suddivisi per sesso (di diverse necropoli).

Nella tabella 4 sono rappresentati i pesi medi, relativi ai soli individui adulti di

entrambi i sessi, a confronto con le necropoli di Ameglia, Pozzillo, Morano sul

Po, le culture dei Campi D’Urne e di Hallstatt, nonché esempi di cremazione di

età imperiale e di età moderna. I siti che maggiormente si avvicinano ai valori

delle cremazioni moderne sono quelli di Via Marche (F. 1061,1, M. 1254) e di

Morano sul Po (F. 822, M. 1399). Per tutte le altre necropoli, e in particolar

modo per quella di Pozzillo, a causa della scarsità dei resti ossei, si è ipotizzato

che la raccolta del materiale scheletrico non fosse completa ma parziale

(Minozzi, 2005). Nella distribuzione dei pesi dei vari distretti anatomici a

confronto con le diverse necropoli (fig.4.9) è stato osservato che il sito di Via

Marche è quello che si avvicina di più al modello di CEI (indici calcolati su

materiale scheletrico moderno), seguito dai siti di Ameglia e di Morano sul Po.

Ciò suggerisce e conferma che in entrambe le necropoli di Via Marche e di

Ameglia veniva effettuata ritualmente una raccolta completa dei resti

scheletrici.

66

Figura 4.9. Distribuzione dei pesi di diversi distretti anatomici a confronto nelle necropoli di via Marche, Ameglia, Morano sul Po e CEI.

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

30,0

35,0

40,0

CRANIO ARTI SUP ARTI INF MANI PIEDI

TRONCO

CEI

V.Marche

Ameglia

Morano

67

Capitolo 5

Inquadramento Storico

5.1. La cultura villanoviana

Il termine “Villanoviano” deriva dalla scoperta casuale, avvenuta nel 1853 da

parte di Giovanni Gozzadini nella tenuta di Villanova presso Bologna, di una

serie di tombe ad incinerazione (Bartoloni, 2002). Si trattava della prima

necropoli ascrivibile ai primi dell’età del Ferro dell’Italia settentrionale,

connotata dalla deposizione di resti ossei in vasi di ceramica lavorata a mano e

cotta a temperatura non troppo elevata, definiti biconici a causa della loro

forma a due tronchi di cono sovrapposti, e per lo più coperti da ciotole,

anch’esse d’impasto nero, che fungono da coperchio. All’interno dei vasi erano

deposti alcuni oggetti ornamentali legati al corredo funerario. Il termine

villanoviano fu esteso alle altre analoghe manifestazioni funerarie riscontrate a

Bologna, Tarquinia, Bisenzio e in altri siti dell’Etruria tirrenica ed è

un’espressione tipica della civiltà materiale dell’area che sarà storicamente

etrusca; tale termine è inoltre variamente utilizzato con significato etnico,

cronologico e legato al rito funerario.

La civiltà villanoviana compare all’inizio del I millennio a.C., e rappresenta un

evento culturale di grande importanza per la stessa Etruria “protostorica” e per

le altre culture dell’Italia preromana (cultura laziale, paleoveneta, picena ecc.).

Il passaggio dal protovillanoviano al villanoviano (X-IX secolo a.C.,) avvenne

nelle zone minerarie della Toscana, in rapporto con lo sfruttamento delle

Colline Metallifere, nei centri di Populonia e Vetulonia dove il fenomeno di

occupazione appare particolarmente precoce rispetto al resto dell’Etruria

meridionale, con addensamenti di abitati e necropoli già nel X secolo a.C.

(Bartoloni, 2002)

Gli aspetti peculiari della cultura villanoviana in ambito funerario sono il rito

dell’incinerazione e l’uso di vasi biconici come ossuari, generalmente ornati da

motivi geometrici incisi e ricoperti da ciotole monoansate, talvolta da elmi di

ceramica (Bartoloni 2002). Tali caratteri distinguono il villanoviano dalle altre

68

realtà culturali della fine dell’età del Bronzo e dell’inizio dell’età del Ferro

dell’Italia antica.

Nell’Italia settentrionale, dove prevale il rito dell’incinerazione e sono evidenti

contatti con le culture del Ferro dell’Europa centrale e della Slovenia, si

distinguono a Ovest la civiltà di Golasecca, manifestatasi a meridione del Lago

Maggiore, e a Est la civiltà Paleoveneta o Atestina, da Ateste, nome latino di

Este. Per quanto concerne il rito dell’inumazione sembra invece svilupparsi

nell’ambito della cultura medio-adriatica, localizzata nelle odierne Marche e

Abruzzo. Altri orizzonti culturali degni di nota sono la cultura Japigia,

espressione della Puglia protostorica, e la cultura delle tombe a fossa, che

interessa tutta l’Italia sud-occidentale dalla Campania alla Calabria. Queste

culture regionali corrisponderanno, in modo più o meno preciso, ad aree

linguistiche differenziate (Bartoloni, 2002).

Per ciò che riguarda l’estensione della cultura Villanoviana, è da notare che

non si limita esclusivamente al territorio dell’Etruria propria, ma si distinguono

un villanoviano emiliano nel Nord, che comprende la regione a Sud della

Pianura Padana, e un villanoviano romagnolo con testimonianze soprattutto nel

riminese. Si sviluppa inoltre un villanoviano salernitano, documentato lungo la

costa tirrenica, che dal fiume Picentino prosegue fino al promontorio di

Agropoli, con le necropoli di Pontecagnano, Arenosola e Capodifiume. Nella

zona di Capua e nel Casertano la situazione risulta più complessa, tanto che

non si può parlare di una cultura Villanoviana in senso proprio, poiché le

affinità culturali tra quest’area e l’Etruria consistono essenzialmente nell’uso

del rito dell’incinerazione che caratterizza le deposizioni più antiche (IX secolo

a.C.), mentre gli elementi tipici della cultura villanoviana sono assenti. Infatti

l’ossuario non è un biconico, ma un’olla ovoide ricoperta da una grossa ciotola

priva di anse.

Da un punto di vista cronologico si distinguono due periodi storici (Bartoloni

2002): il primo, definito Villanoviano Tipico (IX secolo, a.C.) connotato

dall’uso incineratorio con l’ossuario costituito dal vaso biconico o da un

modellino di capanna, è un momento di grande assestamento del territorio e di

probabile intenso sfruttamento agricolo. I centri, rispetto al periodo precedente,

dislocati a “macchia di leopardo” in posizioni strategiche e si distribuiscono in

dense aggregazioni caratterizzate da una maggiore concentrazione di

69

insediamenti. Di particolare interesse la serie di villaggi ubicati per lo più su

altopiani difficilmente accessibili, con fine puramente difensivo, e l’emergere

di insediamenti su ampi pianori dove la popolazione si raggruppa in villaggi

ravvicinati. Questi ampi pianori appaiono scelti, oltre che per l’estensione e

l’accessibilità, anche per la possibilità di risorse esistenti nelle loro vicinanze e

per la loro localizzazione in prossimità di approdi costieri (Vulci, Tarquinia,

Cerveteri, Vetulonia), fluviali (Chiusi, Orvieto e Veio) o lacustri (Bisenzio),

(Guidi e Piperno, 2003).

Verso la fine del villanoviano tipico, periodo in cui al rito crematorio si viene

affiancando in alcuni centri quello inumatorio, si sviluppa l’interesse per le

attività marinare, testimoniate dai frequenti contatti con le altre popolazioni del

mar Tirreno,. Nel secondo periodo (Fine IX, inizio VIII secolo a.C.,), chiamato

Villanoviano Evoluto, prende il sopravvento l’uso del rito dell’inumazione;

insieme all’introduzione della tomba a fossa, cominciano le prime importazioni

di prodotti di lusso, e si ha un sviluppo delle attività marinare, testimoniate dai

più frequenti contatti con altre popolazioni del mar Tirreno e da una

progressiva crescente apertura al mondo greco. Tra la fine dell’VIII secolo e i

primi del VII secolo a.C., emerge la cultura cosiddetta Orientalizzante, dalla

matrice prettamente greca, scaturita dall’assiduo contatto con il mondo

orientale. Questo appare come un periodo caratterizzato da grandi

cambiamenti, quali l’influsso dell’arte del Vicino Oriente, l’intenso movimento

commerciale e coloniale dal bacino orientale a quello occidentale, la

circolazione di oggetti di lusso da varie regioni Vicino-Orientali e greche e

sviluppo dell’oreficeria; nell’architettura funeraria si afferma la tomba a

camera; inoltre verso il VII secolo a.C., nasce la grande arte (Camporeale,

2000).

5.1.1 L’origine del rito incineratorio

La cremazione è un rito di antichissima tradizione, introdotto e diffuso in tutta

Europa dalla cultura dei “campi d’Urne”, la quale si è sviluppata nell’Europa

centrale nella tarda età del Bronzo. Questa manifestazione culturale seguì la

“cultura dei tumuli” (media età del Bronzo) e precedette la “cultura di

Hallstatt” (età del Ferro). La caratteristica principale dalla quale la cultura

70

prese il nome, è l’usanza del rito incineratorio, che sostituì il precedente rito

inumatorio. Il rito dell'incinerazione si diffuse abbastanza rapidamente a partire

dai massicci prealpini orientali o dai Balcani, ma non sempre sostituì

immediatamente il precedente rito dell'inumazione: in alcune zone della

Germania si ebbero contemporaneamente sepolture dei due tipi e i corredi

funebri mostrano una mescolanza di materiali della "cultura dei tumuli" e della

"cultura dei campi d’Urne". La diffusione inoltre, interessò anche alcune zone

dell’Europa centrale, dall’Ungheria occidentale alla Francia orientale e dalle

Alpi alle coste del Mare del Nord (Bartoloni, 2003). In Italia le più

significative testimonianze di questa cultura provengono dai complessi

protovillanoviani, diffusi in tutta la penisola e in Sicilia alla fine dell’età del

Bronzo (XII-X secolo a.C.). Presso queste comunità era affermato l’uso della

cremazione, come dimostrano i rinvenimenti effettuati in numerose necropoli:

ad esempio a Bismantova (Reggio Emilia), a Tolfa e Allumiere (Roma), a

Timmari (Matera), a Milazzo (Messina). Con la fine del X e l’inizio del IX

secolo a.C. si assiste al passaggio dalla fase “protovillanoviana” alla fase

“villanoviana”, un orizzonte cronologico in cui il rito esclusivo della maggior

parte delle necropoli villanoviane rimane quello incineratorio. Tuttavia, sono

documentati casi di deposizione ad inumazione in fossa, nel sito di

Pontecagnano e nel cuore dell’Etruria, come a Cerveteri, dove quindi i due riti

coesistono.

I Siti villanoviani distribuiti nell’Etruria che hanno restituito preziosi ed

esaustivi dati sono: Pisa (necropoli di via Marche), Livorno (necropoli di

Parrana di S.Martino), Sesto Fiorentino, Volterra, Populonia, Vetulonia,

Chiusi, Bisenzio, Ceveteri, Tarquinia (le necropoli di Poggio Salciatello e

Poggio dell’Impiccato, Le Rose), Vulci, e Veio (i sepolcreti di Valle la Fata,

Quattro Fontanili, Grotta Gramiccia), (Bartoloni, 2003). Nella maggior parte

dei casi le tombe erano situate all’interno dell’area cimiteriale sulla cima di

colline limitrofe alle aree abitative e apparivano sviluppate in senso radiale.

Non mancano esempi di necropoli collocate in pianura o a fondo valle, come

quella di Valle La Fata, nella zona di Veio, che risultava estesa lungo un corso

d’acqua, o come il sepolcreto “Le Rose” nell’area tarquinese, che si sviluppava

sulle pendici sud-orientali dell’alto pianoro dei Monterozzi. Le strutture

tombali erano in genere a pozzetto, di forma cilindrica più o meno regolare. In

71

Etruria settentrionale e in Emilia Romagna il pozzetto poteva essere anche

rivestito di ciottoli o da pietre, queste ultime disposte in modo da costituire una

cista litica (Bietti Sestieri., 2010).

Figura 5.1 Esempio di tomba con custodia in tufo.

Nell’Etruria meridionale a scopo di protezione dell’ossuario era presente una

custodia in tufo o in nenfro (fig. 5.1) (Bartoloni, 2003). L’ossuario tipico era

rappresentato da un vaso biconico d’impasto, di forma più allungata rispetto a

quello “protovillanoviano”, caratterizzato da una o due anse orizzontali

impostate sul punto di massima espansione (fig.5.2). Nel caso di vasi biansati

una delle due anse generalmente veniva spezzata ritualmente. I vasi

monoansati sembravano eseguiti espressamente per la cerimonia funebre,

mentre gli altri venivano adattati allo scopo funerario, eliminando una delle due

anse. Erano inoltre connotati da una ricca decorazione incisa, ottenuta con uno

strumento a pettine a più punte, che si sviluppava sul corpo e sul collo del vaso,

articolandosi in più fasce più o meno distanziate. In genere a Bologna e

nell’Etruria settentrionale le decorazione è limitata ad una fascia sotto alla base

e alla sommità del collo e ad una più alta sulla spalla (Bartoloni, 2003). Si

distinguono così due sistemi decorativi: uno caratterizzato da motivi continui

per lo più a meandro o ad angoli apicati, disposti liberamente sulla superficie

del vaso senza cornici di sorta, ed uno caratterizzato da grandi riquadri dalle

incorniciature complesse, includenti motivi a meandri angolari. Il coperchio dei

vasi-funerari era quasi sempre costituito da una ciotola anch’essa caratterizzata

da un’ansa. La tipica ciotola-coperchio villanoviana si presentava come una

72

vasca troncoconica e labbro rientrante, con anse ad anello o a

pseudotortiglione, poste fra due piccole apofisi.

Figura 5.2. Esempio di tipico ossuaro-biconico villanoviano.

Altri tipi di coperchio erano costituiti da scodelle troncoconiche con labbro

piatto, mentre è di grande rilevanza l’uso di elmi di terracotta pileati e crestati

(già attestati a Veio e a Tarquinia), probabilmente riproduzioni in terracotta di

esemplari di metallo (fig.5.3). Il significato attribuito a questi ultimi coperchi

era quella di conferire caratteri antropomorfi al vaso cinerario, che assumerà

alla fine dell’VIII e all’inizio del VII secolo a.C. caratteri sempre più evidenti,

fino ad arrivare ai coperchi a globo e ai cosiddetti canopi di Vulci e Chiusi.

73

Figura 5.3. Esempi di coperchi a ciotola, a forma di elmo apicato e crestato.

Degni di un certo interesse sono i modellini di capanne, il cui uso, già attestato

nel momento finale dell’età del Bronzo (Monti della Tolfa), appariva

strettamente connesso dal punto di vista cronologico al periodo d’uso

dell’incinerazione. Erano caratterizzate da piante di varie forme, con pareti e

tetto decorati con le stesse tecniche e motivi ornamentali riscontrati nei vasi;

inoltre un ornato plastico sul tetto era costituito dall’incrocio dei pali sul trave

di colmo, con un caratteristico motivo falcato o cornuto, imitante decorazioni

reali di probabile significato apotropaico (fig.5.4). Questo tipo di urne era

attestato soprattutto nell’Etruria costiera (Vetulonia, Vulci, Tarquinia,

Populonia) e meridionale interna (Bisenzio e nel territorio veiente) (Bartoloni,

1987). Tuttora sfuggono i motivi del perché venissero utilizzate urne funerarie

di varia forma; forse attraverso la riproduzione miniaturizzata della casa del

morto si voleva compensare la distruzione del corpo, ottenuta attraverso la

cremazione, con un processo analogo a quello dell’antropomorfizzazione

dell’ossuario biconico (Bartoloni, 1987).

74

Figura 5.4. Esempio di urna capanna.

Il corredo funerario era connotato da oggetti che offrono informazioni sul

sesso, sul rango dell’individuo, sulle tipologie decorative degli oggetti

ornamentali (come le armille, fibule, orecchini, anelli, fermatrecce), sulla

morfologia di oggetti personali (rasoi, fuseruole) o legati alla sfera bellica

(pugnali, spade). In particolare, il corredo maschile era caratterizzato dalla

presenza di rasoi del tipo quadrangolare bitagliente e del tipo semilunato a

dorso interrotto (fig. 5.5), e da fibule ad arco serpeggiante. Eccezionale inoltre

la documentazione di una sorta di “bastone di comando” o “scettro”; questo

oggetto, che sicuramente qualificava il prestigio o la funzione del defunto, è

caratterizzato da una verga di bronzo rettangolare delimitata alle estremità

appuntite da elementi circolari o piramidali, d’osso o d’ambra (Bartoloni,

2003). Le tombe femminili si distinguevano generalmente per la presenza di

spirali da capelli di filo di bronzo, di fibule del tipo ad arco semplice, ad arco

leggermente ingrossato, ad arco elicoidale, o ritorto a fune, con staffa

simmetrica o a disco spiraliforme, e di fuseruole, piccoli oggetti fittili

troncoconici legati all’attività della filatura/tessitura. Nei casi in cui gli esami

antropologici non sono effettuati l’unica distinzione sicura tra i due sessi è data

dalla presenza di armi e rasoi per gli uomini e di strumenti legati alla filatura e

alla tessitura per le donne (Bartoloni, 2003).

75

Figura 5.5. Rasoio semilunato.

Successivamente verso le fasi finali del villanoviano si avvertono grandi

cambiamenti, soprattutto nelle zone dell’Etruria costiera e tiberina. Accanto

all’incinerazione appare l’inumazione, per lo più in fosse terragne ed,

eccezionalmente a Populonia, in tombe a camera; i corredi si arricchiscono di

elementi accessori, di segni indicanti le varie comunità etrusche e altre

comunità di diversa cultura (Bartoloni, 2003). Questo arricchimento potrebbe

essere attribuito a un desiderio di esibizione di ricchezze e ad una più

complessa cerimonia funebre; frequenti erano le brocchette e ciotole d’impasto,

sempre realizzate a mano, e talvolta appariva il coltello in ferro sia in

deposizioni femminili che maschili. E’ certo che ovunque, nell’Italia antica, il

rito dell’inumazione era accompagnato da un maggior numero di oggetti, anche

più articolati, rispetto a quanto si riscontra nelle tombe ad incinerazione (armi,

vasellame metallico, morsi di cavallo, tripodi, coppie d cavallini miniaturistici,

tavolini bronzei in miniatura), (Bartoloni, 2003). Queste fosse si presentavano

generalmente coperte da gruppi di pietre o tufi o, come a Veio, da grandi

blocchi di tufo, accuratamente scolpiti e a volte crestati o displuviati. Le tombe

a camera di Populonia (fig. 5.6) erano connotate da una camera a pianta

ellissoidale, rettangolare o circolare, con copertura a pseudocupola, il cui

76

modello probabilmente deriva da origini sarde. Rispetto ad altre comunità

villanoviane Populonia presentava un carattere decisamente eterogeneo; la

scelta dell’uno o dell’altro rito, di una o di altre strutture tombali, non sembra

legata ad un determinato status, bensì a scelte puramente personali di origine

familiare. Oltre ad un cospicuo arricchimento del corredo funerario, si assiste

in questo periodo ad un aumento delle urne a capanna rinvenute in Etruria,

ossuario sicuramente di un certo prestigio e generalmente associato a corredi

emergenti. Questi cambiamenti nell’ideologia funeraria indicano un processo

di trasformazione in atto, nonchè un forte incremento demografico dei singoli

villaggi (Fugazzola Delpino, 1984).

Con l’Orientalizzante (fine VIII-VII secolo a.C.) si afferma il rito inumatorio e

si sviluppa la tomba a camera, riflesso dell’immagine aristocratica, che spesso

ha la forma di un tumulo monumentale, a pianta rettangolare o ellissoidale,

talvolta con pareti rivestite di lastre calcaree, piano lastricato e copertura a

pseudocupola. Questa nuova tipologia tombale veniva utilizzata per più

defunti, contenendo in genere le deposizioni di una coppia maritale e dei figli

giovani, cioè un nucleo familiare piuttosto ristretto. Nelle fasi finali del VII

secolo a.C., questa nuova architettura tombale ebbe la sua massima

espressione, raggiungendo dimensioni maggiori rispetto alle tombe a camere

precedenti. Il tumulo rappresenta il segno più evidente di possesso della terra e

costituisce quindi la manifestazione più concreta del potere dell’aristocrazia.

L’emergere della monumentalità dei tumuli è sicuramente un’invenzione

etrusca, ma ispirata a conoscenze orientali (Camporeale, 2000).

77

Figura 5.6. Populonia: tomba a camera a pianta circolare.

78

Capitolo 6

Pisa nella prima età del Ferro

Il territorio di Pisa si estende nella parte terminale della valle dell’Arno,

orientata verso il mare, delimitata nel settore meridionale dal promontorio di

Livorno, ad oriente dalla catena del Monte Pisano e a Nord dal Lago di

Massaciuccoli, resti di una laguna costiera in origine assai più estesa. In

quest’area si sviluppava il confine nord occidentale dell’Etruria e il centro di

Pisa, la cui storia antica ha comportato una ricostruzione assai difficoltosa. Fin

dall’antichità le origini di Pisa erano alquanto dubbie, e le fonti letterarie la

immaginavano città di fondazione greca, etrusca o ligure. Tuttavia

l’insediamento pisano ha restituito nelle varie campagne di scavo (effettuate a

più riprese in diversi anni) preziosi materiali che sembrano indicare un

etruscità del centro, ascrivibile al IX secolo a.C., se non addirittura alle ultime

fasi del Bronzo finale, confermando l’appartenenza del sito all’orizzonte

etrusco fin dalle sue origini (Bruni, 1998). Durante i primi anni Ottanta fu

indagata l’area Scheibler ubicata tra il fianco occidentale delle mura medievali

e l’attuale tracciato della via Aurelia, la quale restituì i resti di un abitato

arcaico (VII-VI secolo a.C.), e interessanti frammenti ceramici caratterizzati

dalla tipica decorazione incisa afferente al repertorio villanoviano, nonché

relativi ad un abitato. Più a nord dell’area Scheibler, tra le vie delle Cascine,

Pietrasantina e Bragazzi, emerse un esteso sepolcreto, i cui reperti riferibili a

tutta l’età del Ferro, attestano l’esistenza di forme insediative fin dal IX secolo

(Bruni, 1998). Le sepolture che furono rilevate si distribuivano in un’area

particolarmente vasta, articolata topograficamente in diversi nuclei sepolcrali,

vicini fra loro. Interessante notare che le strutture tombali più antiche si

concentravano nella zona del sottopasso di via Pietrasantina e nell’estremo

margine nord-orientale della stessa area Scheibler (fig. 6.1) (Bruni, 1998). Da

ciò possiamo arguire la presenza di un insediamento etrusco nella fascia nord

occidentale della città moderna. Dal distretto settentrionale di Pisa (nei pressi

di Porta a Lucca), in via Buonarroti e in via di Gello provengono materiali che

attestano la presenza di insediamenti addirittura ascrivibili alle fasi recente e

finale dell’età del Bronzo. In particolare furono recuperati elementi tipicamente

79

protovillanoviani, quali a decorazione a solcature, a solcature associate a

coppelle, a costolature, associate inoltre, alle strutture abitative emerse in via

di Gello (Bruni, 1997). Degno di nota è il recupero di reperti in Piazza Vittorio,

che ci offre la testimonianza di una frequentazione, ascrivibile tra la fine del età

Bronzo e i primi dell’età del Ferro, anche nella parte a sud dell’Arno, zona che

diverrà nel VII secolo il cuore del centro pisano. Tra il 2005 e il 2006 inoltre,

fu individuato fuori Porta a Lucca, in via Marche, un piccolo nucleo funerario

riferibile ai primi dell’età del Ferro e afferente probabilmente ad un’area

sepolcrale di maggiore estensione, di cui non conosciamo attualmente i limiti. I

materiali che ne furono rilevati, insieme alle altre attestazioni archeologiche

rafforzano la genuina etruscità di Pisa (Paribeni, 2010). Dalle varie tracce

analizzate in questa sede si evince un quadro insediativo pisano alquanto

disarticolato, una forma abitativa sparsa e rarefatta, dove i vari abitati con le

relative necropoli componevano un paesaggio “a isole”, confrontabile con la

laguna veneta. Uno scenario probabilmente legato ad una situazione

morfologica particolare, caratterizzata da un contesto idrogeologico difficile,

dove l’Arno assieme all’Auser, proveniente dal monte Pisano a nord della

piana, componeva il più importante fiume di Pisa. L’Auser, dopo aver creato

una grande ansa nell’area di Porta a Lucca, proseguiva col suo ramo

meridionale e dopo aver oltrepassato la città si gettava con un scontro violento

nell’Arno. Erano due arterie che hanno determinato l’origine e lo sviluppo del

centro pisano, il quale sorse in una zona a monte del punto di confluenza dei

due fiumi, dipingendo un paesaggio caratterizzato da aree depresse e

impaludate d’acqua e canali che univano la trama del distretto pisano (Bruni,

2003).

80

Figura 6.1. Pisa: Il settore dove sono state rilevate le varie strutture abitative e funerarie di età Protostorica.

Al centro di Pisa si legano altri centri “minori”, alcuni ubicati lungo i cordoni

costieri e altri di vocazione prettamente agricola, che si distribuivano nella

parte orientale del distretto. I siti del primo gruppo (insediamenti della Fortezza

Vecchia di Livorno: Stagno, Isola di Coltano, San Piero a Grado e Isola di

Migliarino), sembrano costituire una sorta di sistema di approdi funzionale alla

proiezione marittima del territorio , già attivo dalla fine dell’età del Bronzo

(Bruni, 1999). I siti del secondo gruppo, collocati tra la pianura e i rilievi

collinari, svolgevano o il ruolo di sfruttamento agricolo-pastorale (sito di Fossa

5 della Bonifica di Bientina) o in quello di approvvigionamento del legname e

di materie lapideo del Monte Pisano (sito di Romita di Asciano), (Bruni, 1999).

Di un certo interesse è il sito di Fossa 5 della Bonifica di Bientina, accennato

sopra, il quale, oltre ad restituire materiali confrontabili con quelli di via di

Gello (centro di Pisa) e della zona delle Ripaie a Volterra, ha offerto dati

sull’organizzazione spaziale di un piccolo insediamento (fig. 6.2).

Quest’ultimo era caratterizzato dai resti di otto capanne di forma ellissoidale,

81

ubicate intorno ad un grande spazio centrale, e connotate da focolari protetti da

piccoli circoli di pietre collocate all’interno (Ciampoltrini, 2010).

Figura 6.2. Buche di palo delle capanne di Fossa cinque (immagini di scavo).

La presenza di prodotti “esotici” nel centro pisano, nonché nei grandi centri

etruschi, giunti probabilmente per via marittima da qualcuno degli approdi che

abbiamo citato poco fa, testimonia lo sviluppo dei contatti marittimi e

l’intensificarsi degli interessi minerari verso la seconda metà del IX secolo a.C.

Ad esempio, l’attestazione di un bottone nuragico di fattura sarda recuperato in

via delle Cascine, è un indicatore che segnala i contatti e gli scambi instaurati

in questo periodo da parte di genti interessati alle risorse metallifere (Cateni,

1984). Se consideriamo che il territorio pisano è completamente privo di

proprie sorgenti minerarie, la presenza di questi reperti lascia qualche

perplessità. Tuttavia, è probabile che la città di Pisa fosse stata il “trampolino”

per accedere alle fonti del territorio apuo-versiliese, dove il settore delle Alpi

Apuane era particolarmente ricco di minerali metalliferi, già sfruttati alla fine

dell’età del Bronzo (attestati dai ripostigli di Pariana, Colle alle

82

Banche/Valdicastello vicino Pietrasanta e nel territorio tra Campiglia e il

Monte Amiata), (Cocchi Genick, 1985, Giardino, 2008). Il territorio versiliese

fu un settore importante per l’approvvigionamento di materie prime, che ben

presto provocherà un certo interesse anche dal centro pisano. Si tratta di

un’area la cui accessibilità era facilitata da sud per mezzo della navigazione

lungo la costa o attraverso arterie fluviali interne lungo il ramo settentrionale

dell’Auser che sfociava a Poggio al Marmo. Questo collegamento fu inoltre

semplificato dalle propaggini meridionali del Lago di Massaciuccoli, un antico

vastissimo lago costiero, il quale contribuì e favorì l’espansione e la conquista

da parte del sito di Pisa verso questo settore. Uno degli indicatori chiave che ci

attesta questo fenomeno è l’emporio di San Rocchino/Campo Casali, ubicato

sulla riva settentrionale dello stesso Lago. Collocato in un punto strategico,

vicino alla via di comunicazione con il mare aperto e in grado di offrire un

approdo ben riparato, fu attivo verso la fine del VIII secolo a.C., (Maggiani,

2004). L’area che va dalla Versilia alla foce del Magra fungeva da cerniera tra

il territorio pisano e quello insediato dai liguri orientali, una popolazione che

già prima del centro pisano conosceva e sfruttava le risorse minerarie versiliesi

(eneolitico, fine Bronzo inizio Ferro). La necropoli di Chiavari è uno dei pochi

siti liguri che attesta i collegamenti di queste genti con gli etruschi dell’VIII-

VII secolo a.C., contatti che si incrementarono durante il VII secolo. Degni di

nota, la presenza nell’area cimiteriale di alcuni rasoi lunati in bronzo tipo

Sarteano, nonché di due pendagli con due protomi ornitomorfe (fig.6.3), diffusi

principalmente nel mondo etrusco (Bologna, Verucchio, Bisenzio, Veio,

Vulci), ascrivibili all’VIII secolo (De Marinis, 2004).

83

Figura 6.3. Rasoio semilunato (tipo sarteano) e i due pendagli recuperati nella

necropoli di Chiavari.

Altro indicatore di un certo interesse è, la diffusione e forse fabbricazione a

Chiavari di una fibula a navicella (purtroppo in cattivo stato di conservazione),

che riprende gli esemplari di Volterra del VII secolo. Per quanto concerne

materiale fittile di provenienza etrusca nel territorio ligure, furono rilevate

diverse tipologie vascolari: anforetta munita di piccole prese a perforazione

orizzontale alla base del collo e decorazione, e lunghi triangoli con rosetta

stampigliata, confrontabile con gli esemplari di Volterra e Populonia, olla

connotata da una decorazione geometrica dipinta che trova corrispondenza nel

repertorio dell’area etrusca-laziale (Poggio Buco, Veio, La Rustica, Tivoli,

Osteria dell’Osa); olle con decorazione a cordoni piegati ad arco a bugne o a

cordoni verticali, provenienti dall’area etrusca meridionale (Saturnia, Bisenzio,

Vulci). Da sottolineare che la ceramica in bucchero attestata a Chiavari, e

diffusa anche nei centri della costa dalla foce del fiume Magra al Golfo della

Spezia, nonché verso l’interno della Lunigiana, era di probabile provenienza

pisana (De Marinis, 2004). Il sito di Chiavari, oltre al materiali di diversa

provenienza, restituì dei cinerari (urne prive di ansa, con alto labbro

84

imbutiforme, corpo sferoidale e alto piede), (fig. 6.4) che ricordano gli

esemplari riferibili al sepolcreto del Baccatoio ubicato allo sbocco sul mare

della Valdicastello, afferente al VIII secolo a.C. Ciò riflette la distribuzione di

insediamenti liguri nell’area della foce del Seravezza-Versilia (De Marinis.,

2004).

Figura 6.4. Urna che ricorda gli esemplari della necropoli di Baccatoio.

Dai dati emersi in questa sede si evince lo sviluppo nell’VIII secolo di un

fiorente circuito di contatti tra il mondo etrusco con il territorio ligure orientale.

In particolare si assiste all’attivarsi di una direttrice marittima che muove da

sud verso il nord e coinvolge per la prima volta in modo significativo le coste

della Toscana settentrionale e della Liguria (ciò è attestato anche dall’apertura

dello scalo di Campo Casali/S.Rocchino di cui abbiamo trattato poco fa),

almeno fino a Chiavari. Quest’ultimo assunse il ruolo di port of trade, un

centro di traffici frequentato da genti provenienti da vari territori e in

particolare dagli Etruschi di Pisa (De Marinis, 2004).

Allo stato attuale delle conoscenze è possibile arguire che il centro di Pisa

durante l’VIII secolo a.C. era inserito inizialmente in quella costellazione di

piccoli ma potenti nuclei insediativi sparsi su un vastissimo territorio, con la

funzione di controllo sulle vie che conducevano verso la costa da un lato e

85

verso l’Arno e la pianura dall’altro. In questo orizzonte cronologico emerge

una certa omogeneità negli elementi peculiari provenienti dalle varie realtà

culturali, quali area volterrana, costa livornese, distretto della Valdera e valle

dell’Arno. Emersero infatti forti analogie nelle tipologie tombali, in particolare

nei biconici recuperati da Pisa, e dagli abitati della Valdera e della valle del

Serchio e dalle necropoli di Volterra e del suo territorio (Quercianella),

connotati da un motivo decorativo a meandro. Anche altri tipi di decori diffusi

in Etruria settentrionale (inclusa anche Vetulonia), come in Emilia,

contribuiscono alla ricostruzione di un quadro alquanto omogeneo (Paribeni,

2010). Tuttavia, a differenza degli altri siti, Pisa acquisì le caratteristiche di un

centro di rilevanza elevata tale da avviare un proprio sviluppo urbano e una

forte espansione territoriale, dove la vocazione marittima ebbe un ruolo

determinante. Infatti intorno al VII secolo si assiste al maturare di un controllo

per la via del basso corso dell’Arno fino allo sbocco alle porte di Livorno. Si

trattava di un importante direttrice che univa il Tirreno all’Etruria settentrionale

interna (Bruni, 1998).

86

Conclusioni

Questo studio si è proposto come primo obiettivo quello di riportare i dati

antropologici finali del campione scheletrico combusto dei cinerari provenienti

dalla necropoli villanoviana-orientalizzante (IX-VIII secolo a.C.) di via Marche

di Pisa; si tratta di un nucleo funerario indagato dalla Soprintendenza tra il

2005 e il 2006. Il secondo obiettivo è stato di quello inserire il sepolcreto

pisano, ovviamente con i dati attuali di scavo (poiché lo studio del materiale

archeologico non è ancora concluso), nello scenario delle necropoli

villanoviane ascrivibili ai centri dell’Etruria propria. In questa ricerca è stato

necessario avvalersi di tecniche di indagine afferenti a diverse discipline,

spazianti dalla medicina all’archeologia, all’antropologia scheletrica, seguendo

un approccio multidisciplinare. Inizialmente, attraverso l’utilizzo della

Tomografia Computerizzata (TC), eseguita prima dell’apertura di ciascun

cinerario, è stato possibile ottenere informazioni sullo stato di conservazione e

sulla distribuzione del suo contenuto, individuando la posizione, le dimensioni

e la tipologia di oggetti relativi al corredo funerario e guidando così la mano

dell’archeologo durante lo scavo. In seguito, tutti i vasi sono stati sottoposti al

microscavo stratigrafico in laboratorio e alla preparazione per un successivo

restauro. Ogni urna è stata accuratamente ripulita e, dove necessario, è stata

eseguita la registrazione grafica dei frammenti ceramici (mappatura) e il

consolidamento (velatura) sia del coperchio che del contenitore. Dopo la

rimozione della ciotola è stato eseguito il microscavo seguendo una stratigrafia

che comprendeva il rilevamento della quota di ogni strato e di ogni oggetto

presente. Questa operazione ha permesso di ricavare importanti informazioni

riguardanti il rito funerario e di verificare se la disposizione del materiale osseo

seguiva o meno una deposizione preferenziale. Successivamente, completata la

rimozione dei contenuto, e dopo un’accurata pulizia, il materiale combusto di

ciascuna urna è stato suddiviso per distretti anatomici (cranio, tronco, arti

superiori, arti inferiori, manie piedi e frammenti non determinabili); inoltre è

stato pesato, al fine di calcolare la rappresentatività di ciascuno distretto

rispetto al peso totale. Ciò ha consentito di evidenziare un’eventuale raccolta

selettiva dei resti e di valutarne la dispersione. L’esame stratigrafico della

87

diposizione dei resti, associato all’analisi della distribuzione dei pesi, ha

permesso di constatare una raccolta piuttosto accurata dei residui della

cremazione. Le frequenze di peso degli individui adulti di via Marche,

confrontate con quelle calcolate su materiale anatomico moderno, suggeriscono

che la rappresentazione relativa ai diversi distretti segue quella di uno scheletro

normale, in quanto tutti i distretti scheletrici sono equamente rappresentati.

Non sono stati evidenziati, inoltre, particolari criteri di selezione (in base al

sesso e all’età di morte), né un particolare ordine di prelievo dei vari elementi

anatomici. I risultati ottenuti per Via Marche sono stati messi a confronto con i

dati provenienti dalla necropoli di Pozzillo (Bari, XIV-XII secolo a.C.),

Morano sul Po (Alessandria, X-IX secolo a.C.), Ameglia (La Spezia, IV-III

secolo a.C.) e da necropoli afferenti ad alcune culture Europee, come i Campi

d’Urne (fine Età del Bronzo) e Hallstatt (inizio Età del Ferro), e con serie di

cremati del periodo imperiale romano (I-III secolo a.C). E’ stato così osservato

che nei siti di Via Marche e di Morano sul Po, seguiti da Ameglia, il peso

medio degli individui adulti si avvicina di più ai valori medi delle cremazioni

moderne; questo dato conferma che veniva effettuata una raccolta completa del

materiale scheletrico combusto. I resti scheletrici analizzati appartengono

complessivamente a 38 individui. E’ stato osservato che su un campione di 34

cinerari la maggior parte conteneva una sola deposizione, eccetto quattro che

risultavano bisome (ognuno conteneva un individuo adulto e un bambino,

deposti contemporaneamente) e solo in un caso risultava forse trisoma (due

adulti e un infante), Sono stati identificati 13 individui adulti di sesso maschile

e 12 individui di sesso femminile, mentre 11 soggetti erano subadulti; di questi

6 erano di sesso femminile, uno di sesso maschile e 4 di sesso non

determinabile. I subadulti, rappresentati soprattutto da bambini al di sotto dei

13 anni, costituiscono il 27% del campione e presentano una frequenza più

elevata rispetto alle necropoli di confronto. Quasi tutti gli individui adulti, in

particolare gli uomini, morivano tra i 30 e i 39 anni, mentre le donne perivano

più giovani tra i 20 e i 29 anni, probabilmente a causa dei rischi legati alla

gravidanza e al parto. La presenza piuttosto omogenea di soggetti di entrambi i

sessi, e appartenenti a tutte le fasce di età, dimostra che il rituale funerario non

prevedeva differenziazioni legate al sesso e all’età. Un risultato di un certo

interesse ascrivibile alla determinazione del sesso, è stato il confronto tra la

88

diagnosi antropologica e quella desunta dai corredi; infatti, su 19 individui per i

quali è stato possibile il confronto (18 casi sono stati confermati dai dati

archeologici), la diagnosi antropologica è risultata corretta in tutti i casi

(94,7%). Una percentuale così elevata di attribuzioni corrette, anche in

considerazione che si tratta di resti cremati, non solo conferma l’affidabilità

delle metodologie applicate, ma suggerisce un forte dimorfismo sessuale nella

popolazione, soprattutto nelle dimensioni e nella robustezza, principali

indicatori di sesso utilizzati per la diagnosi. Una discreta robustezza degli

uomini emerge anche dall’esame delle inserzioni muscolari, che risultano

essere più forti rispetto alle donne. Per quanto concerne la presenza di

eventuali patologie, sono state rilevate diverse alterazioni scheletriche

riconducibili a malattie o a episodi di stress. Sia soggetti di sesso femminile

che maschile, adulti e subadulti, presentavano segni di iperostosi porotica, un

marcatore di quadri anemici, sotto forma di cribra cranii e cribra orbitalia.

L’iperostosi porotica localizzata sulla volta cranica era largamente diffusa in

forma lieve ed interessava il 75% della popolazione di via Marche, suggerendo

condizioni di salute non ottimali. In diversi individui sono state osservate

tracce di periostite sulle ossa lunghe degli arti inferiori,un’infiammazione

aspecifica del periostio, prevalentemente riconducibile a piccoli eventi

traumatici. Gli uomini erano affetti maggiormente rispetto alle donne da

degenerazioni osteoartrosi localizzate prevalentemente sulla colonna

vertebrale, probabilmente in seguito ad un grado di impegno fisico e lavorativo

abbastanza elevato e/o all’età. Un rinvenimento importante concerne numerose

concrezioni calcaree sferoidali di piccole dimensioni, che sono state

identificate come linfonodi calcifici, presenti in quattro individui adulti (tre

soggetti di sesso femminile e uno maschile). La calcificazione dei linfonodi

può rappresentare una risposta ad un’infiammazione di tipo tubercolare, il che

potrebbe suggerire la presenza di tubercolosi in questa popolazione. Infine, è

attestato un solo caso di gotta su un soggetto di sesso maschile di età avanzata.

Le alterazioni macroscopiche dei frammenti ossei hanno dimostrato che i corpi

dei defunti erano sottoposti alla cremazione subito dopo la morte o, almeno,

quando ancora conservavano tessuti molli e masse muscolari. Il colore dei

reperti attesta che i roghi funebri, ben ossigenati ed alimentati fino al termine

della cremazione, nella maggior parte dei casi raggiungevano, e talvolta

89

superavano, i 600 e 700°C di temperatura. Nelle necropoli di Via Marche,

Morano sul Po e Pozzillo la temperatura media di combustione raggiungeva i

700°C; invece ad Ameglia è stata riscontrata una temperatura media di

combustione leggermente più bassa, intorno ai 400-500°C. I dati che sono

emersi da questo modesto campione antropologico dipingono un quadro

demografico particolarmente eterogeneo, rappresentato da soggetti di entrambi

i sessi ascrivibili alle diverse classi di età. E’ stata rilevata inoltre l’assenza di

una distinzione sociale fra i vari soggetti di entrambi e sessi (il rito

incineratorio è impiegato per tutte la classi senza prevalenza), una certa cura

nella raccolta del materiale combusto, e uno stato di salute alquanto precario.

Allo stato attuale della ricerca le strutture funerarie villanoviane portate in luce

nel nucleo funerario di via Marche richiamano i tipici complessi tombali del

repertorio villanoviano (tombe a pozzetto semplice foderato di pietre con

ossuaro-biconico), riscontrati nella maggior parte delle necropoli coeve

dell’Etruria settentrionale costiera e interna, quali il sepolcreti di Parra San

Martino, di Quercianella e di Villa Barone nel territorio livornese (vedi schede

1,2 e 3 dell’Appendice), nonché nella necropoli delle Ripaie a Volterra (vedi

scheda 4), nei nuclei sepolcrali di Podere Casone, Podere S.Cerbone, di Piano

delle Granate e Poggio Granate a Populonia ( vedi scheda 5/6). Quest’ultimo

sito è connotato da altri sepolcreti caratterizzati da strutture tombali

monumentali ad inumazione, che la distinguono in parte dalle altre realtà

culturali coeve. Anche Vetulonia oltre a introdurre complessi organizzati in

“circoli di pietre interrotte” e tombe sotto tumulo, ha restituito strutture

funerarie analoghe a quelle del sito pisano (vedi scheda 7). Sempre lungo la

costa, sono degni di nota i siti di Sticciano Scalo nel grossetano e di Crostoletto

di Lamone nella valle del Fiume Fiora: il primo è connotato da tombe a

pozzetto, sia semplici che strutturate, ascrivibili alle ultime fasi finali del

Bronzo finale (vedi scheda 8); il secondo si distingue nettamente per aver

restituito tombe monumentali riferibili al Bronzo finale (vedi scheda 9), ma

comunque meritevole di essere segnalato poiché è da ritenersi il promotore dei

prototipi delle tombe monumentali che connoteranno la cultura etrusca. Infine,

nella parte interna dell’Etruria settentrionale, le aree sepolcrali fiorentine

(necropoli di Val di Rose e di Madonna del Piano a Sesto Fiorentino e le tombe

“del Gambrinus” a Firenze) e quelle di Chiusi (vedi schede 10, 11, 12), hanno

90

offerto pozzetti con cinerari tipici della cultura villanoviana e deposizioni in

dolio, costume riscontrato anche a Pisa. E’ stato osservato che la maggior parte

dei vasi di via Marche era coperto da ciotole coperchio, eccetto in un caso in

cui l’urna era chiusa da un elmo crestato fittile. Quest’ultimo, se messo a

confronto con le altre realtà culturali, sostituisce verso l’inizio del’VIII secolo

l’elmo a calotta apicato (presente in particolare a Vetulonia, Chiusi- Vulci e nei

siti dell’Etruria meridionale, quali Tarquinia, Cerveteri, Veio etc..), una

tipologia completamente assente in via Marche. Di particolare interesse è il

fatto che nel sepolcreto di Pisa, oltre agli ossuari biconici, sono stati recuperati

molti dolii che fungevano o loro stessi da contenitore per le ceneri o da

custodia di copertura per i vasi. La presenza di questa tipologia di cinerario

avvicina il sepolcreto di Pisa alle necropoli di Volterra, Firenze, Bisenzio,

Chiusi e Tarquinia, dove sono state recuperate deposizione in dolio, tutte

ascrivibili all’VIII secolo a.C. E’ stato osservato che a Pisa sono

completamente assenti le urne a capanna e le strutture tombali più complesse,

quali cassette litiche e a custodia con nenfro, invece ben presenti nei siti

dell’Etruria meridionale e nel bolognese. L’Etruria era caratterizzata da

importanti centri, quali Vulci (Scheda 13), Tarquinia, Cerveteri, Sasso di

Furbara (scheda 14), tutti insediamenti inseriti in un circuito di contatti che

collegava la Toscana meridionale, il territorio di Bologna e il nord del Lazio.

Ciascun sito ha restituito nuclei funerari caratterizzati da sepolture a pozzetto

semplice (Cerveteri, Sasso di Furbara )- come quelle rilevate a Pisa, e più

complesse come pozzetto a risega, a cassetta o a custodia litica.

Complessivamente in questo distretto territoriale emergono tipologie tombali

ad incinerazione più strutturate rispetto a quelle provenienti dalle necropoli

dell’Etruria settentrionale costiera e interna .Riassumendo, a di là di alcune

differenze che affiorano tra i due settori del territorio etrusco, la necropoli di

via Marche (connotata da elementi funerari peculiari della cultura villanoviana

e orientalizzante, come dolii in impasto e pithoi ingobbiato), si inserisce in un

quadro funerario abbastanza omogeneo, che lega i centri più importanti

dell’Etruria propria del primo Ferro.

Allo stato attuale delle conoscenze è possibile, grazie alle diverse indagini

archeologiche effettuate nel territorio pisano, confermare l’etruscità di Pisa,

centro insediativo sorto sul punto di incontro tra i fiumi Auser e Arno. Il nucleo

91

pisano è connotato da resti di strutture abitative e aree cimiteriali afferenti alla

fine dell’età del Bronzo (via di Gello, piazza Vittorio), e ai primi dell’età del

Ferro (area Scheibler, via Marche, Piazza Duomo, Piazza Dante), che

testimoniano la frequentazione di questo territorio già in epoca protostorica.

Associati al sito di Pisa sono alcuni complessi insediativi minori distribuiti sia

lungo i cordoni costieri (sembrano costituire una sorta di sistema di approdi

funzionale alla proiezione marittima del territorio), che nella parte orientale del

territorio pisana, tra la pianura e i rilievi collinari (di vocazione prettamente

agricolo-pastorale e/o per l’approvvigionamento del legname dai Monti pisani).

Quest’ultimo settore si estende nella Piana dell’Auser, ed era infatti un cruciale

snodo di itinerari fra i distretti tirrenici nord-occidentali e Pianura Padana,

particolarmente ricca di opportunità per l’agricoltura e l’allevamento. Si tratta

di un’area in cui sorgevano moltissimi importanti abitati come, per esempio,

quello di Fossa 5 nella bonifica di Bientina, ubicato nel punto in cui si

confluiscono i due rami principali del corso dell’Auser che andava a

raggiungere l’Arno all’altezza di Bientina. Il sito di Fossa 5 era un

insediamento attivo già sullo scorcio finale dell’Età del Bronzo (periodo di

massima fioritura). Grazie alla sua posizione il sito di Fossa 5 rivestì inoltre un

ruolo nodale anche come vettore di traffici, promovendo ad esempio i contatti

tra l’area pisana con quella fiorentina. Ben presto verso i primi dell’età del

Ferro (intorno all’VIII secolo) subì un rapido indebolimento, indotto da fattori

ambientali e dal dominio di alcune comunità emergenti, come quella di

Volterra Il distretto fiorentino-fiesolano-sestese (area compresa tra Firenze-

Prato-Pistoia) si estendeva a nord dell’Arno e questa posizione gli consentiva

un forte controllo della via d’acqua e del territorio da essa attraversato, in

particolare per i commerci e le comunicazioni. Le attestazioni dei ripostigli di

bronzi delle Apuane e del livornese indiziano una consistente attività di scambi

e di uomini, che trovava nell’area portuale delle lagune livornesi (accennata

sopra) un possibile terminale, così come una rete portuale vera e propria è

quella suggerita nell’area delle lagune dell’Etruria centrale dagli insediamenti

di Fonteblanda di Talamone e di Punta degli Stretti, e dal ripostiglio del

Campese all’isola del Giglio. La presenza di questi piccoli centri (i quali si

intensificano nell’VIII secolo) suggerisce che già in questo orizzonte

cronologico il territorio pisano era connotato da un sistema funzionale per

92

favorire i contatti con gli altri territori e per accedere alla risorse locali. Il

centro di Pisa, collegato all’area versiliese per mezzo del Lago di

Massaciuccoli (lago costiero), fungeva da cerniera per l’accesso alle sorgenti

metallifere, ubicate nel territorio apuo-versiliese (area particolarmente ricca).

Quest’ultimo è un settore territoriale conosciuto e sfruttato già in epoca

eneolitica, particolarmente ricco di minerali argentiferi e cupriferi. In generale,

dal punto di vista dello sfruttamento delle risorse metallifere si possono

riconoscere in Etruria principalmente due grossi poli geografici distinti, che

traggono origine dalle caratteristiche giacimentologiche della regione. A sud,

verso il Tevere, si configura l’area dell’Etruria meridionale, nella quale le

mineralizzazioni a metalli sono localizzate sui Monti della Tolfa e nella

Maremma tosco-laziale. A nord, con epicentro presso il promontorio di

Piombino, si stende l’Etruria settentrionale, con gli importanti distretti minerari

delle Colline Metallifere e dell’Isola d’Elba. Vi sono inoltre una serie di

evidenze minori, ma non per questo prive di interesse, sparse all’interno

dell’attuale Toscana, come i Monti Rognosi (Anghiari, Ar), il Senese

(Vallerano, Rapolano, Asciano, Sinalunga), la Val di Cecina (Montecatini, Pi),

le Alpi Apuane (in Versilia). Tutte queste attestazioni archeometallifere

riflettono la posizione che rivestì l’Etruria mineraria, in particolare nell’età del

Bronzo Finale (ma poi anche nella prima età del Ferro), nei traffici di metallo a

lunga distanza. Pisa, grazie alla sua posizione strategica, rientra in quel circuito

di contatti che fiorì nel territorio etrusco e che va dall’area della valle del fiume

Fiora al settore versiliese, favorito dalle vie di comunicazioni naturali, quali le

arterie fluviali (Arno e Auser) e le vie marittime. L’elemento chiave che accese

l’interesse da parte di queste popolazioni per questo settore territoriale, e che

provocò dunque il sorgere di molti insediamenti su tutta l’area (in particolare,

nei punti strategici di comunicazione), fu appunto quello

dell’approvvigionamento delle risorse metallifere, di cui il territorio né era

particolarmente ricco.

Concludendo, da tutti questi indicatori, si evince che la città di Pisa già prima

di diventare uno dei più importanti centri etruschi dell’Etruria settentrionale

(VII secolo a.C.), giocò un ruolo importante per i contatti commerciali tra gli

etruschi e le altre popolazioni, quali sardi e liguri, nonché per

l’approvvigionamento delle risorse locali.

93

Il territorio etrusco per le sue ricchezze soprattutto minerarie, per la sua

posizione geografica accessibile sia per via terrestre che per via marittima,

nonché facilmente collegabile alla zone dell’Italia settentrionale (Indici

plausibili di una nuova trasformazione dell’ambiente, che genera i paesaggi

destinati poi a rimanere sostanzialmente stabili per tutto l’arco dell’antichità

classica, fino alle soglie dell’Alto Medioevo), rivestì una posizione

fondamentale nello sviluppo culturale/sociale/ideologico di queste genti.

94

Appendice

Necropoli villanoviane nell’Etruria costiera e

interna

Scheda 1. Livorno-Stagno: la necropoli di Parrana San

Martino

Nel luglio del 2010, attraverso una ricognizione effettuata sul territorio

livornese avvenne la scoperta della necropoli di Parrana San Martino. L’area

cimiteriale si estende su un pianoro, all’interno del Parco dei Monti Livornesi,

nei pressi dell’abitato di Parrana San Martino. Durante la prima esplorazione

emersero ben novantasette sepolture di cui soltanto dieci sono state sinora

esplorate (Sammartino, 1989). All’interno dei pozzetti semplici erano deposti

degli ossuari-biconici monoansati (fig.1), caratterizzati da particolari

decorazioni villanoviane (solcature parallele rettilinee riunite in fasci,

delimitate da una fila di punti impressi, che formano motivi angolari o

curvilinei; solcature semicircolari; impressioni a falsa cordicella; motivi a

“sole” costituiti da depressioni circolari circondate da piccoli punti impressi),

disposti in modo circolare e contenenti molti frammenti di ossa combuste.

Furono rilevati, inoltre molti oggetti in bronzo appartenenti al corredo

funerario, quali fibule, verghette ritorte e probabili armille (bracciali).

Interessante notare che nella maggior parte dei casi la parte superiore del

contenitore era stata asportata dai mezzi meccanici che avevano operato nella

zona alcune decine di anni fa. Ad una prima analisi sui reperti recuperati la

necropoli risulterebbe inquadrabile cronologicamente tra la fine dell’Età del

Bronzo e l’inizio dell’età del Ferro.

Questa scoperta riveste un’importanza scientifica eccezionale in quanto ha

messo in luce la testimonianza di una necropoli protostorica nel territorio

livornese e nell’area costiera della Toscana settentrionale (Sammartino, 1989).

95

Figura 1. Cinerario proveniente dalla necropoli di Parrana San Martino.

Scheda 2. Livorno: l’ipotetico sepolcreto di

Quercianella

Il sito di Quercianella fu oggetto di diverse dispute, a causa dell’incerta

provenienza del materiale, recuperato intorno il 1851 nel Podere della famiglia

Gower. Le prime informazioni risalgono al 1883-1884 e sono reperibili nelle

pubblicazioni di Chierici e Mantovani, i quali espressero da subito un certo

scetticismo al riguardo. La volontà di verificare l’attendibilità di questo dubbio

ritrovamento li spinse ad effettuare un sopralluogo sul sito, dove rilevarono

solo pochi frammenti ceramici incisi con la tipica decorazione villanoviana.

Nel 1933 anche Toscanelli, nella sua opera su Pisa considera falsa la

provenienza delle urne donate da Abele Gower. E ancora, nel 1942 L. Banti

considerava, del tutto incerto tale complesso. Verso il 1982-1983 A. Romualdi

contribuisce ad avvalorare tale ipotesi negativa. F. Fugazzola Delpino inoltre,

pur mantenendo una posizione dubbia e perplessa, non nega l’eventualità di

una qualche attestazione di epoca villanoviana a Quercianella (Zanini, 1997).

Tuttavia, attraverso le nuove metodiche di analisi effettuate sul materiale, è

stato possibile ottenere preziose informazioni sull’area di provenienza che pare

96

proprio quella livornese. I reperti recuperati all’epoca presentano forma e

decorazioni proprie dell’Etruria settentrionale dell’età del Ferro; l’assenza della

decorazione metopale e il gusto per la decorazione continua a meandri angolari

li avvicina all’area fiorentina. Il motivo a meandro campito da punti impressi

richiama il sito di Volterra (IX secolo a.C.); inoltre, i motivi a falsa cordicella

sono tipicamente impiegati a Pisa e a Livorno-Stagno. Per quanto concerne la

tipologia dei cinerari, sono attestati vasi biconici, vasi globulari, monoansati a

spalla distinta, muniti di ciotole-coperchio (fig.2). I vari cinerari erano, inoltre

accompagnati da oggetti appartenenti al corredo funerario, come molte

fuseruole, armi (punte di lancia a profilo sinuoso ascrivibili alla prima età del

Ferro), fibule ad arco foliato decorato a bulino, staffa a disco spiraliforme e

sbarretta trasversale. In particolare, i manufatti metallici trovano riscontro nelle

necropoli populiniesi e di Vetulonia sia per la morfologia, che per l’ideologia

della presenza di armi sin dalle fasi più antiche (Zanini, 1997).

Riepilogando, dalle caratteristiche morfologiche e decorative dei materiali

rilevati, è possibile auspicarne un inquadramento cronologico che va dal IX al

VIII secolo a.C., (Zanini, 1997).

Figura 2. Vaso funerario proveniente dal sito di Quercianella (LI).

97

Scheda.3 Livorno: la necropoli di Villa Barone (PB)

L’area cimiteriale è localizzata lungo la parte sommitale e le pendici orientali

del rilievo a sud di Villa Barone De Stefano, attualmente adibito a bosco ceduo

rado. Il sito fu indagato nei primi anni Sessanta da A. Galiberti e F. Bagnoli,

componenti dell’Associazione Archeologica Piombinese (Fedeli, 1997).

La necropoli ha restituito una buona quantità di tombe a pozzetto semplice

contenenti vari cinerari, purtroppo in cattivo stato di conservazione.

Quest’ultimi si suddividono in due tipologie vascolari: il primo caratterizzato

da un vasellame a pareti spesse, ben levigate, mentre il secondo raccoglie vasi

con pareti sottili ben lucidate. Sono attestate sia urne di forma globulare che

vere e proprie brocche biconiche, interessate da una decorazione incisa e/o

impressa, munite di anse impostate nella parte mediana del collo e sulla spalla.

La maggior parte degli ossuari sono ascrivibili al Bronzo Finale e alla prima

età del Ferro (fig. 3). La distruzione di cui sono stati oggetto alcuni vasi ha

comportato la dispersione dei corredi funerari, nonché, delle ciotole-coperchio

(scarsa presenza). Solo pochi oggetti sono giunti fino a noi, come alcuni

anellini bronzei, un frammento di testa di spillone a rotella, frammenti di fibula

ad arco ingrossato con nodulo e trecce di decorazione incisa (Fedeli, 1997).

Figura 3. Urna proveniente dal sepolcreto di Villa Barone (LI).

98

Scheda 4. Volterra: il sepolcreto delle Ripaie

Nella zona sud del colle di Volterra, dove sorgeva il centro abitato ,ascrivibile

all’età del Bronzo medio-finale, si sviluppa la vasta area cimiteriale delle

Ripaie, scoperta nel 1969 a causa dei lavori di demolizione per la realizzazione

del nuovo impianto sportivo della città. A circa un metro di profondità dal

piano di campagna sono emersi diversi pozzetti villanoviani. Questi ultimi

furono scavati e parzialmente studiati da Enrico Fiumi, direttore del Museo

etrusco Guarnacci ed ispettore della Soprintendenza di Volterra, il quale non

riuscì a pubblicare una completa analisi dei vari materiali, a causa della sua

improvvisa scomparsa. La mancanza di un giornale di scavo e il fortunoso

recupero dei reperti legato alle esigenze di cantiere hanno inoltre impedito

qualsiasi definizione della stratigrafia orizzontale della necropoli e la

realizzazione di una documentazione completa (Camporeale, 2008). Ciò

nonostante, attraverso recenti indagini è stato possibile rilevare un numero

cospicuo di complessi tombali: sono state portate in luce 36 tombe ad

incinerazione, afferenti a tre fasi (prima fase IX sec, seconda fase metà VIII

sec, terza fase fine VIII sec). Alcune sepolture sono sistemate entro pozzetti

semplici, contenenti ossuari biconici monoansati (fig. 4), muniti di ciotole di

copertura (Fase 1). Altre sono organizzate entro doli di impasto, impiegati per

raccogliere direttamente il materiale combusto o come fodera per l’urna,

coperti nella maggior parte dei casi da una lastra litica (cfr. tombe 8/21 della

necropoli Guerruccia). I cinerari sopra citati per i loro caratteri morfologici

fortemente locali, con forme ovoidi o globulari tozze e compresse, rientrano

pienamente nel repertorio etrusco-settentrionale, trovando chiari confronti con

le necropoli coeve di Nomadelfia, di Vetulonia-Poggio alla Guardia e in area

meridionale si può riscontrare qualche affinità con gli ossuari dell’Osteria di

Vulci, di tradizione protovillanoviana (Rosselli, 2008). Per quanto riguarda i

corredi funerari, un primo gruppo di tombe più antiche ne è completamente

privo, mentre un secondo gruppo è caratterizzato da alcune suppellettili di

ornamento personale. Di una certa importanza la presenza in tre sepolture di

armi e rasoi, elementi che rilevano lo stato sociale del defunto (Camporeale,

2008). L’area delle Ripaie utilizzata come luogo funerario fino alla fase recente

del Villanoviano, conserva le tipiche tombe del periodo precedente,

caratterizzate ancora da deposizioni singole entro pozzetti semplici. In questo

99

periodo si assiste ad un spostamento degli abitanti residenti nell’antico

insediamento, verso il settore nord-occidentale del pianoro volterrano,

favorendo lo sviluppo di nuovi spazi abitativi e sepolcrali. Infine, tra la fase

recente del villanoviano e l’Orientalizzante, già accennate precedentemente, si

diffondono le sepolture a cremazione entro ziro, concentrate nel settore

centrale e occidentale dell’area (Rosselli, 2008).

Figura 4. Biconico proveniente dalla necropoli delle Ripaie a Volterra.

Scheda.5. Populonia: la necropoli di Podere Casone e

Podere S.Cerbone

Entrambe le aree sepolcrali sono ubicate nella parte centrale del Golfo di

Baratti, appartengono evidentemente ad un’unica necropoli di grandi

dimensioni, che sfrutta la natura argillosa del terreno, particolarmente adatto

alla realizzazione di pozzetti e fosse funerarie. Nel 1908 Antonio Minto scoprì

circa una quindicina di sepolture a cremazione afferenti all’età del Ferro

(Minto, 1943). Si distinguono tombe a buca semplice di forma irregolare e

tombe a pozzetto (fine del IX secolo a.C. e inizio VIII secolo a.C.),

accompagnate da diverse sepolture ad inumazione, semplici fosse terragne. Gli

ossuari sono di tipo biconico accompagnati nella maggior parte dei casi da

corredo, composto da molte fibule di vario tipo: una ad arco serpeggiante a

100

doppio occhiello, una a disco con l’arco lievemente ingrossato, tre foliate a

disco, una a sanguisuga; inoltre alcuni spirali di bronzo, fermatrecce di bronzo,

una collana di perle di pasta vitrea e diversi altri oggetti di un certo interesse

culturale.

Il dualismo del rito funebre è attestato anche in questa necropoli come nelle

altre dell’area di Populonia, ad eccezione di Poggio della Porcareccia.

Interessante notare la cospicua quantità di sepolture ad inumazione affiancate

ai pozzetti ad incinerazione (Fedeli, 1983).

Scheda 6. Populonia: la necropoli di Piano delle

Granate e Poggio Granate

Le necropoli di Piano delle Granate e Poggio Granate si estendono nella parte

orientale del Golfo di Baratti a breve distanza dall’attuale linea di costa, e

purtroppo risultano seriamente danneggiate dall’azione delle onde. Le

sepolture ad incinerazione del colle omonimo, concentrate lungo il declivio

digradante verso il Piano e sul versante occidentale, hanno subito un discreto

danneggiamento causato dall’azione erosiva delle acque meteoriche.

Tra il 1915 e il 1929 Antonio Minto indagò entrambe le necropoli (Minto,

1922), le quali restituirono una ventina di tombe ad incinerazione databili

generalmente al Villanoviano IA-IB (IX-VIII secolo a.C.). Le sepolture sono

ricavate in uno spesso strato di sabbie e argille e si raggruppano in piccoli

nuclei distribuiti sul territorio. Sono presenti complessi sepolcrali a pozzetto

cilindrico con rivestimento delle pareti, provviste sia della lastra di posa che di

quella di copertura dell'ossuario e tombe costituite da una semplice buca di

forma irregolare. Sono caratterizzate da ossuari di tipo biconico decorati

secondo gli schemi consueti e da oggetti appartenenti ai corredi, ma difficili da

inventariare. Questa difficoltà di registrazione dei vari oggetti fu causata dalla

sovrapposizione delle tombe a fossa sulle tombe a pozzetto, le quali

provocarono una seria confusione tra i materiali al momento del ritrovamento

(Acconcia, 2005).

Di particolare interesse le caratteristiche di alcuni ossuari meglio conservati; è

stato rinvenuto un cinerario del tipo ovoide, con breve orlo estroflesso e fondo

piatto, munito di un’ansa a maniglia semicircolare. Un altro cinerario di tipo

101

biconico presentava una decorazione caratterizzata da una duplice solcatura

orizzontale sul collo e da una serie di motivi angolari eseguiti a doppia

solcatura sul ventre. A questi cinerari è da aggiungere un frammento di urna a

capanna, rinvenuto sporadicamente da Antonio Minto sul versante rivolto verso

il mare. Per ciò che concerne le tombe a inumazione furono rilevate sepolture a

fossa con le pareti sia rivestite che non rivestite da muretti a secco o da lastroni

di calcare ricoperte da una lastra o riempite di terra e pietre.

Concludendo, la distribuzione delle necropoli villanoviane nel territorio di

Populonia può fornire importanti informazioni sull’ubicazione degli

insediamenti durante l’età del Ferro. Nel corso del IX secolo a.C. i sepolcreti

individuati risultano distribuiti nella parte orientale e centrale del golfo di

Baratti. Quasi tutte le necropoli di questo periodo continuano ad essere in uso

durante tutto l’VIII secolo a.C. (Fedeli, 1983).

Scheda 7. Vetulonia: le necropoli di “Il Poggio alla

Guardia” “Poggio Belvedere”, “Poggio alle Birbe”

Le necropoli di Poggio alla Guardia, Poggio Belvedere e Poggio alle Birbe

appartengono tutte alla prima età del Ferro e occupano il versante orientale

della città di Vetulonia.

Il nucleo funerario più ricco e significativo proviene da Poggio alla Guardia,

area cimiteriale più vicina all’abitato di Vetulonia. Le tombe indagate da Falchi

risultano tutte a pozzetto; salvo rare eccezioni i pozzetti erano privi di

rivestimento e fittamente concentrati (Cygielman, 1986). Inoltre, quasi sempre

le sepolture erano ad unica deposizione, anche se non mancano esempi di

deposizioni bisome, con due cinerari sovrapposti divisi da una lastra di pietra.

Gli ossuari più comuni sono vasi biconici decorati a graffito, coperti da una

ciotola-coperchio, caratterizzate da due anse, di cui una spezzata ritualmente.

In un momento avanzato del IX secolo a.C., emerse tutta una serie di

trasformazioni legate all’aumento demografico: espansione delle necropoli e un

profondo mutamento negli usi funerari, costituito dall’introduzione dei “circoli

di pietre interrotte” (Poggio alla Guardia), delle tombe sotto tumulo (Colle

102

Baroncio) e delle deposizioni bisome. Probabilmente, questi sono da

interpretare come segni ben tangibili di una precoce volontà di riunione in clan

familiari, simbolo della formazione di sfere di potere all’interno della comunità

(Cygielman, 1986).

Rilevante l’introduzione, nella seconda metà del IX secolo a.C., dei primi

elementi di prestigio come oggetti d’oro, dei primi prodotti d’importazione e

del cinerario a capanna (tipo di urna circoscritta esclusivamente alla necropoli

orientale: Poggio alla Guardia, Poggio alle Birbe e Poggio Belvedere).

Quest’ultima, in questa fase si presenta di notevole dimensione, caratterizzata

da una pianta circolare con o senza zoccolo, pareti che si restringono verso

l’alto e gronda aggettante con decorazione a lamelle metalliche (Bartoloni,

1987). Parallelamente allo sviluppo dell’urna a capanna (fig. 7), il cinerario

biconico di tipo più comune subisce dei cambiamenti; presenta orlo svasato,

collo più allungato a profilo convesso, spalla sfuggente, ventre rastremato,

piede ad anello o piatto, e viene introdotta la tecnica decorativa a lamelle

metalliche (Cygielman, 1986).

Nella fase finale del IX secolo a.C. compaiono nei corredi maschili elementi

che appartengono al corredo femminile, probabilmente si tratta di sepolture

miste o forse di offerte femminili.

Tuttavia, in questo periodo sono assenti nei corredi maschili gli elementi propri

dell’armamento (spade, lance e puntali); l’elmo pileato rimane l’unico

elemento caratterizzante di un particolare “status sociale”.

Tra la fine del IX e l’inizio dell’VIII secolo a.C. non emergono sostanziali

cambiamenti nella tipologia delle sepolture, ma si evidenzia apparizione delle

armi nei contesti maschili (punte di lancia a lama foliata, puntali conici, spade

di foggia italica). Anche i corredi femminili si arricchiscono di vari oggetti

ornamentali (spilloni, fibule ad arco a sezione quadrangolare, fibula a

sanguisuga con dorso decorato e armille a fune e a bastoncello). In questo

periodo persiste l’uso dell’urna a capanna, sempre a pianta circolare; gli ossuari

biconici sono spesso privi di decorazione e presentano un profilo più fluido.

Infine, si arricchisce il repertorio delle forme ceramiche, diventa molto

frequente nei corredi l’askos a collo obliquo e compaiono forme particolari,

come una tazzina gemina d’impasto, decorata a lamelle metalliche, tipo noto

anche a Tarquinia (Cygielman, 1986).

103

Figura 4. Urna a capanna proveniente dal sepolcreto di Poggio alla guardia.

Scheda 8. Sticciano Scalo

Il sepolcreto di Sticciano Scalo si sviluppava nei pressi della foce

dell’Ombrone in località Rigocchio, sotto la provincia di Grosseto. Si

estendeva su un’area particolarmente limitata di circa 150 mq, ma è probabile

che in origine fosse più vasta. Nel 1950, durante un sopralluogo eseguito da

parte della Soprintendenza Archeologica, venne casualmente individuata l’area

cimiteriale, che divenne da subito oggetto di intense campagne di scavo. Il sito,

particolarmente sconvolto dai lavori agricoli e dai precedenti scavi clandestini,

restituì 18 sepolture a pozzetto semplice e strutturate, localizzate in parte a

nord e più densamente a sud (suddivise a sua volta in due nuclei distinti,

orientale e occidentale) del settore sepolcrale e ascrivibili alle ultime fasi del

Bronzo finale (Zanini, 1995). Gli ossuari deposti entro i complessi funerari

erano in parte danneggiati a causa delle azioni antropiche. Tuttavia, furono

recuperati diversi vasi funerari di tipo biconico muniti di ciotola coperchio (fig.

8), i cui caratteri morfologici richiamano i cinerari dei sepolcreti del Sasso di

Furbara. I corredi che accompagnavano le urne erano particolarmente scarsi o

addirittura assenti; gli unici elementi che connotavano i complessi erano:

qualche fibula, un rasoio a paletta quadrangolare, e pochi vasi accessori fittili

(Zanini, 1993).

104

Infine, la povertà dei contesti funerari analizzati in questa sede non consente né

una precisa collocazione cronologica nè fornisce un quadro arealmente definito

della culturale materiale. Dal magro “tessuto connettivo” la necropoli di

Sticciano Scalo risulta di fatto un’emergenza quasi isolata (Zanini, 1993).

Figura 8. Cinerario ascrivibile alla necropoli di Sticciano Scalo.

Scheda 9. Crostoletto di Lamone e Pian Sultano due siti

a confronto

Il sito di Crostoletto di Lamone si sviluppa nella valle del Fiume Fiora. Sul

vasto pianoro argilloso detto di Crostoletto, posto tra l’estremità occidentale

della Selva del Lamone, sorgeva la preziosa area cimiteriale. L’area sepolcrale

di Pian Sultano è invece ubicata su un pianoro presso il Fosso Eri, di fronte alla

località di Fontanile Pietrone, a circa 50 km da Roma. Entrambi i siti sono di

una eccezionale importanza per la tipologia dei complessi tombali che

restituirono durante la varie campagne di scavo eseguite a più riprese tra gli

anni ’50-‘70. Nel sepolcreto di Crostoletto furono rilevate otto strutture

monumentali (dei tumuli di forma circolare) collegate fra loro, tutte ascrivibili

al Bronzo finale, all’interno dei quali erano deposte sia tombe ad inumazione

che a cremazione (urne biconiche), (Rittatore Vonwiller, 1968). I complessi

erano connotati da vari oggetti riferibili al corredo, quali fibule di vari tipo,

vasi fittili accessori, perline in pasta vitrea e una lama in ossidiana (fig. 9.1).

105

Nella necropoli di Pian Sultano furono portati in luce 5 complessi funerari a

struttura megalitica o pseudo-megalitica, “i Dolmen”, composti da grossi

lastroni irregolari di travertino sorretti e contenuti da un tumulo di pietre e terra

e caratterizzati inoltre da deposizioni esclusivamente ad inumazione (fig. 9.2).

E’ probabile che le varie strutture ospitassero sepolture multiple di individui

legati da vincoli di parentela (Rittatore Vonwiller, 1968).

Concludendo, sono stati presi in considerazione e messi a confronto questi due

siti per la loro eccezionalità e unicità delle strutture sepolcrali. Siamo di fronte

ad una manifestazione sepolcrale di aspetto assai composito per elementi

(tomba dolmenica, tumulo, incinerazione) che in altri momenti sono isolati e

caratterizzano individualmente i diversi orizzonti culturali. Qui sono tutti e tre

riuniti nello stesso nucleo, probabile espressione di un elevato grado di

evoluzione raggiunto da queste culture locali già nell’età tarda e finale del

Bronzo. Di un certo interesse, il fatto che la monumentalità sepolcrale attestata

in queste due necropoli proto villanoviane svanirà nella fase successiva della

cultura villanoviana (Rittatore Vonwiller, 1971). In questo orizzonte

cronologico non sono documentate strutture di questa complessità. Queste

strutture rifioriranno con grande maestranza (più grandi e regolari) nel periodo

etrusco, nelle forme a camera o corridoio sotto tumulo in tutto il territorio da

Veio a Firenze. Detto questo sorge la domanda: i sepolcreti di Crostoletto di

Lamone e Pian Sultano ubicati nel cuore dell’Etruria posso ritenersi i prototipi

delle tombe monumentali (già menzionati sopra) che si svilupperanno più tardi

nel territorio etrusco?

106

Figura 9.1. Materiale proveniente dall'era archeologica di Crostoletto di Lamone.

Figura 9.2. Strutture sepolcrali del sepolcreto di Pian Sultano.

107

Scheda 10. Sesto Fiorentino: le necropoli di Val di Rose

e di Madonna del Piano

Tra il 1992 e il 1993, in occasione dei lavori di costruzione del nuovo Polo

Scientifico dell’Università di Firenze a Sesto Fiorentino, venne condotta

un’esplorazione archeologica nella località di Val di Rose, sotto la direzione

della Soprintendenza e dell’Università di Siena (M. Salvini, 2007).

L’area indagata è di circa 250 metri quadrati e si trova a 38 metri sul livello del

mare. Le tombe villanoviane emerse hanno la peculiarità di essere tagliate nei

livelli compresi tra l’età del Bronzo antico e quelli degli inizi del Bronzo

medio, immediatamente sotto la superficie agricola. Le sepolture individuate

formano un piccolo nucleo coerente, composto da 5 fosse a pozzetto contenenti

doli con biconici e relative ciotole di copertura, accompagnati da alcuni oggetti

di ornamento personale (fig. 10.1). Degna di nota è la quinta fossa funeraria per

i suoi scarsi frammenti ceramici di impasto grossolano, probabilmente riferibili

ad un grande contenitore.

In via Lazzerini, a breve distanza dal nucleo funerario di Val di Rose, emerse

una sepoltura a cremazione, in cui il defunto era un adulto di sesso maschile,

accompagnato da un pugnale di ferro e da una fibula a sanguisuga in bronzo,

posti all’altezza del cranio. La deposizione si data tra la fine dell’VIII e l’inizio

VII secolo a.C. (Salvini, 2007).

Nel 1993 gli scavi della Soprintendenza e dell’Università di Siena

proseguirono nella vicina area di Madonna del Piano, dove furono rinvenute 5

tombe del tipo a pozzetto e i resti di due sepolture in fossa di inumati (orientati

SE-NO, con la testa rivolta verso sud-est), oltre a due deposizioni di animali

(un cane e un bovide). In preistoria sono frequenti sepolture intenzionali di

animali, in particolare per la zona fiorentina. Gli incinerati sono deposti

direttamente nei doli coperti da lastre di arenaria o a volte i doli stessi fungono

da vasi funerari (fig. 10.2). Da rilevare che tre sepolture sono bisome e

contengono i frammenti ossei di individui adulti associati a quelle di soggetti di

età giovanile (Salvini, 2007).

Tutti i complessi sepolcrali erano ricoperti da lastre litiche, un costume tipico

della cultura villanoviana. Rientra tra i rituali della cultura villanoviana anche

l’usanza della rottura intenzionale di una o di entrambe le anse del vaso

108

(interessati sia i biconici che i doli), chiaro intento defunzionalizzante

dell’oggetto, indipendente dalla diversità di sesso e di età di morte del defunto.

Entrambe le necropoli, analoghe nella strutture, nel rituale funebre e nei

corredi, sono inquadrabili nell’arco dell’VIII secolo a.C., un periodo in cui il

rito dell’inumazione si affianca a quello dell’incinerazione.

La deposizione delle tombe per piccole aree sepolcrali, infine, potrebbe essere

legata ai diversi gruppi umani che si stabilirono per nuclei ristretti nella pianura

fiorentina durante l’VIII secolo a.C., area particolarmente apprezzata per la sua

posizione di crinale, a controllo di due direttrici di comunicazione, quali la

Valle dell’Arno e la Val di Sieve, che ne favorì la crescita e il successivo

sviluppo come principale centro etrusco dell’area a nord dell’Arno (Salvini,

2010).

Figura 10.1. Urna riferibile al nucleo funerario di Sesto Fiorentino (Val di rose).

109

Figura 10.2. Tomba proveniente da Madonna del Piano in corso di scavo in laboratorio.

Scheda 11. Firenze: le tombe “del Gambrinus”

Verso la seconda metà dell’ottocento furono scoperte nell’antico centro di

Firenze, alcuni nuclei di tombe a pozzetto ascrivibili alla prima metà dell’VIII

secolo a.C. La prima notizia del ritrovamento fu data da L.A.Milani nelle

Notizie degli Scavi nel 1892 e successivamente nei Monumenti Antichi dei

Lincei nel 1895. In tutto erano 6 sepolture a pozzetto semplice, nei quali erano

deposti i doli, caratterizzati da un’ansa spezzata ritualmente e ricoperti da lastre

di arenaria. Quest’ultimi contenevano gli ossuari-biconici (fig. 11), monansati,

muniti di ciotola-coperchio (tipo Villanova)e accompagnati inoltre, da diversi

oggetti appartenenti al corredo (deposti al di fuori dello ziro, eccetto per la

tomba 5), quali fibule (ad arco ribassato ritorto a cordicella, staffa a disco, ad

arco rivestito), fuseruole fittili, e una collana composta da elementi in quarzite.

Solo in un caso (tomba 5), il dolio fungeva direttamente da vaso sepolcrale. Le

analisi antropologiche effettuate sul materiale combusto hanno permesso di

ottenere dati sul sesso e l’età dei morte dei vari defunti; sono presenti due

femmine due maschi adulti e tre infanti, forse ascrivibili ad unico nucleo

familiare-parentale. Interessante notare che, la pratica rituale di deporre il

cinerario entro un dolio o ziro rientra pienamente nei costumi vigenti dei siti

dell’età del Ferro dell’Etruria settentrionale interna (Volterra e Chiusi) (Salvini,

2010). Le poche sepolture dell’età del Ferro recuperate nel centro di Firenze

non sono probabilmente, le uniche presenti nell’area fiorentina, e lo si evince

110

dai ritrovamenti sporadici effettuati nello stesso periodo in città, poiché per la

sua collocazione quest’area godeva di una posizione idonea ad ospitare abitati

e/o necropoli. L’area infatti era ubicata vicino ad uno dei punti di

attraversamento dell’Arno, dove il fiume si restringeva fortemente permettendo

un facile passaggio. Dallo studio del sepolcreto “del Gambrinus”, infine,

emerge l’importanza che l’area fiorentina dovette rivestire già in questo

periodo storico, favorita dalla sua posizione nei pressi di importanti vie naturali

che facilitavano gli stretti rapporti con gli altri centri villanoviani (Salvini,

2010).

Figura 11. Urna recuperata nel nucleo funerario del “Gambrinus” a Firenze.

111

Scheda 12. Chiusi: i sepolcreti di Poggio Renzo,

Fornace Marcianella.

Entrambe le necropoli, ascrivibili all’età del Ferro, furono portate in luce verso

la fine dell’Ottocento, ubicate rispettivamente a nord (Poggio Renzo), e a ovest

(Fornace Marcianella) di Chiusi. E’ probabile che Poggio Renzo fosse legato

all’abitato di Monte Venere e/o di Monte S.Paolo e Fornace con quello di

Petrina-Petriolo .Le tombe che furono rilevate nel sepolcreto di Poggio Renzo

erano di tipo a pozzetto rivestito di ciottoli o di sottili lastre di tufo, disposte

ordinatamente lungo tre file orizzontali, a distanze regolari l’una dall’altra. Da

osservare l’assenza di limiti topografici o raggruppamenti che potevano

corrispondere e diversi nuclei familiari. Purtroppo durante i recuperi andarono

dispersi tutti i corredi funebri, composti dal cinerario, vasi d’impasto

accessorio, fuseruole, e alcuni oggetti in bronzo (rasoi, fibule, catenelle,

spilloni) (Bettini, 2000). Tra le poche informazioni concernenti il materiale

funerario, è noto che erano presenti due tipi di coperture dell’urna, la ciotola-

coperchio monoansata, un coperchio con presa configurata con due figure che

si abbracciano nel momento del commiato funebre e l’elmo pileato (cfr.

Tarquinia e Veio), l’unico elemento che consente di evidenziare una

distinzione di ruoli nell’ambito della società (Bettini, 2000).Per quanto

riguarda i ritrovamenti villanoviani nell’area di Fornace-Marcianella, i dati

sono alquanto scarsi; è noto che i materiali confluirono nella collezione Bonci

Casuccini al Museo di Siena. Degna di un breve accenno, è la necropoli di

Montebello ubicata a nord di Chiusi, la quale restituì alcuni importanti corredi

che segnano il passaggio tra l’età del Ferro e l’inizio dell’orientalizzante

mostrando una facies culturale particolarmente povera, ancora fortemente

legata al periodo villanoviano. Con il periodo orientalizzante si assiste nell’area

chiusina alla sostituzione dei pozzetti villanoviani con le tombe cosiddette a

ziro e di doli d’impasto contenenti gli ossuari e gli elementi di corredo. I pochi

cinerari villanoviani chiusini, nonché alcuni manufatti metallici, presentano

una forte variabilità tipologica, che trova analogie con esempi provenienti da

Tarquinia, Veio, Vulci. Vetulonia, Populonia e con in centri della pianura

Padana. Ciò è da imputare alla posizione geografica e soprattutto al ruolo di

intermediario assunto dal territorio chiusino nel quadro dei rapporti a largo

112

raggio tra i centri dell’Etruria meridionale, Bologna e l’Italia settentrionale,

attraverso l’uso di una delle vie principali, quello della Val del Chiana. Chiusi,

pur avendo un ruolo importante in questo complesso scenario di contatti,

rimane parzialmente esclusa da certi aspetti ideologici propri dei centri

villanoviani dell’Etruria meridionale/settentrionale costiera, quali l’adozione

dell’urna a capanna e la deposizione di armi offensive nei corredi funerari.

Infine, verso l’VIII secolo si assiste all’ingresso del rito inumatorio nel

territorio etrusco; ciò nonostante, Chiusi conserva il rito incineratorio, come

buona parte dell’Etruria settentrionale (Bettini, 2000).

Scheda 13. Vulci: le necropoli di Ponterotto, Cavalupo e

Poggio Mengarelli

L’Insediamento di Vulci, distante dal centro di Tarquinia di circa 20 km, fu

oggetto di varie indagini tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento,

dalle quali furono portati in luce diversi sepolcreti ascrivibili alla prima età del

Ferro (IX-VIII secolo a.C.), quali Ponterotto, Cavalupo e Poggio Mengarelli

(studiati soprattutto dall’archeologo francese Stephane Gsell) (Falconi

Amorelli, 1983-1987).

La necropoli di Ponterotto, ubicata a pochi metri dal famoso tumulo arcaico

della “Cuccumella”, restituì 14 tombe a pozzo, collegate fra loro da “piccoli

corridoi” (fenditure), che creavano una “rete” di 10 pozzetti (Iaia, 1999). Tale

organizzazione di tipo “pianificatorio” rifletteva la volontà di sottolineare

l’appartenenza ad uno stesso gruppo degli individui sepolti. Le strutture

tombali erano la maggior parte di tipo a pozzetto a risega e, in minoranza

pozzetti con custodia cilindro-ovoide, legate a una differenziazione sociale

(tipologia sepolcrale ben documentata a Tarquinia). Tra gli ossuari deposti nei

vari complessi prevale nettamente il biconico della classica foggia

“villanoviana”, quasi sempre monoansato, munito di ciotola-coperchio

caratterizzata da orlo rientrante. Da notare inoltre che non tutti i vasi erano

accompagnati dagli elementi del corredo. All’interno delle varie sepolture si

assiste ad un crescendo di complessità, che va dalle tombe completamente

prive di oggetti funerari a quelle particolarmente ricche (Iaia, 1999). Anche il

113

sepolcreto di Cavalupo era organizzato secondo uno schema di

“pianificazione” ben preciso (afferente come per la necropoli precedente allo

scorcio pieno/evoluto della fase I). I vari pozzetti di dimensioni molto piccole

erano distribuiti in 4 gruppi separati, e si aprivano sul fondo di fosse di pianta

molto irregolare (Iaia, 1999). Oltre alle tombe di tipo a pozzetto a risega e con

custodia erano attestati, inoltre, complessi funerari a fossa sia a deposizione

singola che multipla. I vasi funerari erano prevalentemente contenitori biconici,

tuttavia, emersero 4 esemplari di urne a capanna (Bartoloni, 1987). A

differenza dell’area cimiteriale di Ponterotto, Cavalupo restituitì dei coperchi

simbolici, quali elmi fittili a calotta, e a calotta ed apice d’impasto (di cui un

esemplare ha l’apice a forma di capanna), indicatore del ruolo bellico di alcuni

individui di sesso maschile. Per quanto concerne i corredi si dividono in tre

gruppi: corredi semplici femminili composti da fuseruole e fibule ad arco (in

alcuni casi accompagnati da vasellame accessorio), sepolture prive di corredo

(la maggioranza), e scarsi complessi maschili caratterizzati da rasoio e fibule

(Bartoloni, 1987). Dalla terza area cimiteriale furono portate in luce le stesse

tipologie tombali riscontrate nelle altre due necropoli; furono inoltre recuperate

una sepoltura a deposizione bisoma (all’interno erano deposte un’urna a

capanna afferente ad un individuo maschile e un vaso biconico ascrivibile ad

un individuo femminile), e due a pozzo sovrapposte, quasi a formare due

“piani”. Il sepolcreto di Poggio Mengarelli ha inoltre restituito oltre alle

classiche urne biconiche, anche preziosi cinerari a capanna, contenenti rasoi,

fibule e anelli (Falconi Amorelli, 1983, Iaia, 1999).

Concludendo, la documentazione dei complessi funerari del territorio vulcente

della prima età del Ferro è alquanto frammentario; tuttavia, allo stato attuale

delle conoscenze è stato possibile ricostruire alcuni aspetti delle pratiche

funerarie. Per tutta la prima età del Ferro sono note a Vulci diverse strutture

funerarie, quali pozzetto a risega, con custodia (cilindro-ovoide) e a fossa a

deposizione singola o multipla. Sono inoltre attestati ossuari-biconici muniti di

ciotola-coperchio e/o coperchio simbolico (elmo a calotta con o senza apice), e

scarse ma importanti urne a capanna. Ogni necropoli segue una organizzazione

pianificata, riflesso di una società complessa e articolata. Dalla presenza di

alcuni bronzetti sardi (nella necropoli di Cavalupo), riferibili ad una fase

114

avanzata del villanoviano antico, si evince come già in questo periodo Vulci

fosse inserita in un grande giro commerciale (Camporeale, 1975).

Figura 13. Vaso funerario con coperchio simbolico rilevato nell'area cimiteriale di Cavalupo (Vulci).

Scheda 14. Sasso di Furbara (Cerveteri)

Sasso di Furbara, collocato su una zona dominate, aperta al mare e vicino

Cerveteri era un’area particolarmente ricca di sepolcreti ascrivibili al proto

villanoviano, e di cui alcuni si protraggono al Villanoviano. Fu indagata tra gli

anni ’50 e ‘60 del Novecento. Le necropoli di Montorgano, Puntone di

Norcino, Puntone dell’Oliveto, Monte della Ginestra sono solo alcune di un

gruppo particolarmente vasto di aree cimiteriali che pullulavano nel territorio.

Il sepolcreto di Montorgano, oggi oramai distrutto, si estendeva a nord-ovest

del villaggio del Sasso su due piccoli dossi contigui che costituisco la località

di Montorgano. Al momento della scoperta avvenuta fortuitamente vennero

recuperate sulla sommità dei due dossi circa 8 sepolture ad incinerazione, le

quali si suddividevano in tre gruppi tipologici: il primo con custodia sferoidale

in tufo, il secondo a “cassetta”, e il terzo in pozzetto semplice (Brusadin,

1987). Le urne deposte nei vari complessi tombali erano di tipo biconico o

115

ovoide, nella maggior parte dei casi munite di ciotola coperchio (fig. 14.1),

eccetto in una tomba dove il coperchio era a forma a pileo. Da ricordare inoltre

l’eccezionale recupero di un coperchio a forma di capanna. I cinerari erano

accompagnati dai vari elementi del corredo, quali vasetto fittili accessori,

qualche fibula arco semplice, perline vitree ed un rasoio. Nel complesso i

corredi erano alquanto poveri. La necropoli di Puntone di Norcino era ubicata

su un piccolo altorilievo tondeggiante sul Puntone. Si estendeva su una

superficie di 150 mq, nella quale furono portate in luce 15 tombe a pozzetto

rivestite da ciottoli e in custodia sferoidale in tufo, orientate su un allineamento

NE-SO. I vari complessi funerari (di cui alcuni in pessimo stato di

conservazione) erano connotati da ossuari-biconici con ciotola-coperchio.

Furono rilevati inoltre diversi oggetti appartenenti al corredo, quali vasi

accessori fittili (askos, una lucerna, bicchieri, un vasetto a barchetta), qualche

fibula ad arco semplice e due fuseruole. Gli elementi fittili rispetto a quelli in

metallo erano particolarmente frequenti. Degna di nota la presenza di alcuni

segnacoli posti per evidenziare la presenza delle strutture sepolcrali (Brusadin,

1964). Le piccole aree cimiteriali di Puntone dell’Oliveto e di Monte della

Ginestra erano collocate, la prima a ovest e la seconda a sud del Puntone di

Norcino (fig. 14.2), purtroppo distrutte a causa dei lavori agricoli. Rispetto alle

altre necropoli restituirono diversi materiali ascrivibili sia al proto villanoviano

che al villanoviano, quali molti frammenti ceramici caratterizzati da

decorazioni tipiche. Le strutture tombali richiamavano le stesse che furono

recuperate negli altri sepolcreti proto villanoviani del Sasso; come custodie

tufacee, pozzetti foderati di ciottoli e tombe a cassetta (Brusadin, 1987). Nel

complesso fu osservato che nei sepolcreti proto villanoviani del Sasso erano

presenti le stesse strutture tombali. La composizione dei corredi era

particolarmente scarso, o assente, pochi i casi di sepolture accompagnate da un

ricco corredo (materiale fittile). Sono tuttavia di forte interesse le attestazioni

provenienti dalla necropoli di Montorgano; un coperchio a tetto di capanna e

una figurazione plastica umana rappresentata sul collo di un’urna.

L’eccezionale coperchio a tetto di capanna di Montorgano, che diverrà nella

cultura villanoviana elemento peculiare della cultura laziale, contribuisce con

certezza a individuare l’origine di questo tipo nel territorio del Sasso, visto che

in questo periodo (Bronzo finale) questa tipologia di ossuario è completamente

116

assente in ambito laziale. Riguardo alla figurazione decorativa antropomorfa,

fu osservato da Brusadin che era del tutto analogo ad un motivo inciso su un

coperchio proveniente da Montetosto; inoltre, entrambi richiamano le rese

plastiche che erano realizzate sulla copertura della maggior parte delle urne a

capanna villanoviane (Brusadin, 1987). Altri elementi di notevole interesse

erano: un piattello tripode in miniatura associato ad un coperchio con apice

sempre provenienti da Montorgano, che verrà preso in prestito nelle necropoli

del Sorbo e di Selciatello nell’orizzonte cronologico successivo. Sempre da

quest’ultimo sepolcreto era documentato un coperchio di forma ad elmo

specializzato. Dalla necropoli ai Puntoni emerse un’urna biconica, non

decorata, con ansa orizzontale, munita di ciotola-coperchio troncoconica a

bordo rientrante, ansa sporgente sul bordo; infine, tutte le forme vascolari degli

ossuari ascrivibili alle aree cimiteriali del Sasso, diverranno tipiche nella facies

villanoviana (Brusadin, 1987).

Concludendo, al territorio del Sasso, per tutti quei caratteri specifici del

protovillanoviano che sono stati sopra descritti, è da attribuire un ruolo

importante di centro innovatore, per la spinta e brusca accelerazione alla

formazione del villanoviano locale, nonché per la diffusione di alcuni elementi

culturali che contribuirono al processo di formazione delle facies circonvicine

(Brusadin, 1987). Un’ultima osservazione concerne i rapporti tra il Sasso e la

vicina Cerveteri, i primi insediamenti protostorici erano attestati

esclusivamente nell’area del Sasso e completamenti assenti a Cerveteri.

Successivamente la situazione si capovolge, Cerveteri: diventerà centro

propulsore, probabilmente un fenomeno legato allo spostamento della

popolazione che abitava l’altra area, spinta per la ricerca di nuovi terreni

agricoli da coltivare e per rapporti economici e sociali più complessi (Brusadin,

1987).

117

Figura 14.1. Cinerario con corredo fittile recuperato nel nucleo sepolcrale di Montorgano.

Figura.14.2. Custodia funeraria dal sepolcreto del Puntone di Norcino.

118

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