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COMMISSIONE PRECEDURE CONCORSUALI Gruppo di lavoro formato da: Bergonzini Rag. Alessandro (responsabile) Agnini Dott. Alberto Bellelli Dott. Fabio De Lillo Rag. Marfisa Ferrari Rag. Filippo Foschi Rag. Maria Grazia Gianoli Dott. Andrea Grana Castagnetti Rag. Massimo Manicardi Dott. Rag. Daniela Vellani Dott. Rag. Claudio Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F. 1

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COMMISSIONE PRECEDURE CONCORSUALIGruppo di lavoro formato da:

Bergonzini Rag. Alessandro (responsabile)Agnini Dott. AlbertoBellelli Dott. Fabio

De Lillo Rag. MarfisaFerrari Rag. Filippo

Foschi Rag. Maria GraziaGianoli Dott. Andrea

Grana Castagnetti Rag. MassimoManicardi Dott. Rag. Daniela

Vellani Dott. Rag. Claudio

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F. 1

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GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI (Art. 182-bis della Legge Fallimentare – R.D. 16 marzo 1942 n° 267)

1. Premessa – la riforma della legge fallimentare e le opportunità di risanamento della crisi aziendale - in particolare gli accordi di ristrutturazione dei debiti – affinità e differenze rispetto al concordato preventivo e ai piani attestati

Col D.Lgs. n° 5 del 2006, entrato in vigore il 16 luglio 20061 il legislatore ha provveduto alla riforma del diritto fallimentare, anche se già con il D.L. 14 marzo 2005 n° 352 (convertito in L. 14 maggio 2005 n° 80) erano state apportate significative modifiche, in particolare, alla disciplina dell’azione revocatoria, a quella del concordato preventivo ed anche introducendo, con l’art. 182-bis L.F., gli accordi di ristrutturazione dei debiti.Ulteriori modifiche sono poi state disposte con il D.Lgs. 12 settembre 2007 n° 169 (cosiddetto “decreto correttivo”), con effetto dal 1° gennaio 2008 e con l’art. 32, 5° comma del DL 185/2008 (convertito con modificazioni in L. 28 gennaio 2009 n° 2) in vigore dal 29 novembre 2008.Si è dunque trattato di una riforma articolata su più provvedimenti che è stata certamente influenzata non solo dalle passate esperienze nazionali, ma anche dagli ordinamenti stranieri3 ai quali si farà cenno nell’ultimo paragrafo di questa illustrazione.

Dopo anni di dibattiti e vari tentativi di riforma organica della materia, il legislatore ha dunque provveduto ad una revisione della legge fallimentare, rendendola più idonea a soddisfare le esigenze di un’economia in rapidissima evoluzione. Nel caso degli accordi di ristrutturazione dei debiti, la prospettiva è stata quella di offrire un ruolo sempre maggiore all’autonomia privata nella gestione della crisi dell’impresa, evitando, nel caso di insuccesso del piano di risanamento proposto ai creditori, che gli accordi presi in via stragiudiziale fossero penalizzati dal rischio della revocatoria.

Il nuovo istituto disciplinato dall’art. 182-bis L.F. avrebbe quindi lo scopo, almeno nelle attese del riformatore, di stimolare l’imprenditore a far emergere la crisi aziendale quando ancora vi è la possibilità di porvi rimedio, ossia prima che degeneri nell’irreversibile stato di insolvenza. Soprattutto in passato, l’imprenditore ha spesso manifestato una spiccata ritrosia nei riguardi dei procedimenti giudiziali concorsuali, sia per i maggiori costi, ma anche per le conseguenze, quali, ad esempio, il rischio, in caso di mancato gradimento di una proposta di concordato, della declaratoria di fallimento. Occorre infatti evidenziare che anche il riformato concordato preventivo, caratterizzato da fasi giudiziali che impongono all’imprenditore percorsi procedurali obbligati, seppur allo scopo di offrire maggiori tutele ai diritti dei creditori, è un procedimento costoso che spesso dilata la crisi d’impresa anche a scapito dei creditori stessi, i quali, molto frequentemente, ottengono parziale soddisfazione dopo mesi se non, addirittura, anni dall’inizio del procedimento.

1 Le norme in vigore fino al 16 luglio 2006 (salvo per alcune disposizioni immediatamente efficaci, quali ad esempio quelle relative alle limitazioni personali del fallito) continuano ad applicarsi ai fallimenti ed ai concordati fallimentari in corso a detta data, nonché a quelli i cui ricorsi erano stati depositati prima di tale momento. 2 relativo a “Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano d’azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale”. Le modifiche alla legge fallimentare sono disposte dai commi 1, 2 e 2-bis dell’art. 2 del D.L. 35 del 2005 convertito con modificazioni nella L. 80/2005.3 Cfr. Guglielmucci, Il diritto concorsuale tedesco tra risanamento e liquidazione, in Giur.comm., 2003, pag. 152; Ferri, L’esperienza del Chapter 11. Procedure di riorganizzazione delle imprese in prospettiva di novità legislative, in Giur. Comm., 2002, pag. 65; Frascaroli Santi, Crisi dell’impresa e soluzioni stragiudiziali, in (a cura di) Galgano, Tratt.dir.comm. e di dir. pubbl.dell’economia, Padova, 2005.

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Il garantismo di una rigida struttura processuale, com’era quello della legge fallimentare del 1942, non risultava quindi più adeguato all’esigenza di arrivare ad una rapida soluzione della crisi. L’adozione di soluzioni privatistiche risponde quindi allo scopo di salvaguardare il patrimonio aziendale4 ed anche tutti gli interessi che ruotano attorno all’impresa che, comunque, rappresenta un’essenziale risorsa per l’economia intesa in senso generale. Tuttavia, l’accordo stragiudiziale che l’imprenditore in passato ha spesso tentato, non offriva, e non offre, alcuna garanzia agli interessi generali coinvolti. Occorreva quindi assicurare tale garanzia attraverso l’intervento, seppur proceduralmente semplificato, dell’autorità giudiziaria, senza porre però limiti alla libertà pianificatrice dell’imprenditore in crisi ed alla connessa negoziazione coi suoi creditori.

Le proposte che l’imprenditore normalmente rivolge ai propri creditori sono, ad esempio: la rinunzia parziale al credito (sempre che si tratti di crediti disponibili5); il pagamento mediante cessione di crediti o beni; la semplice dilazione dei pagamenti; la revisione delle linee di credito in essere col sistema bancario, ecc.

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis L.F. si caratterizzano quindi per essere sostanzialmente accordi privatistici stragiudiziali6 raggiunti al di fuori delle aule del tribunale, a cui accedono, con le formalità previste per il concordato preventivo, esclusivamente quando il debitore ne richiede l’omologazione, previa verifica dei presupposti di legittimità e di merito, nonché per la decisione in ordine alle eventuali opposizioni. L’intervento dell’autorità giudiziaria è quindi condizione necessaria per valorizzare l’autonomia privata delle parti, offrendo loro la garanzia della irrevocabilità7 degli atti posti in essere nell’esecuzione dell’accordo, nonché la sospensione delle azioni esecutive individuali per 60 giorni8 dalla data di pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese (3° comma dell’art. 182-bis).In sostanza il Tribunale è chiamato a verificare che l’accordo sia stato stipulato con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti9, nonché che sia verosimilmente attuabile ed idoneo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei, come attestato nella relazione del professionista incaricato di verificarne preventivamente fattibilità e coerenza. Pertanto, se da una parte si salvaguardano i principi dell’autonomia privata, nel senso che l’accordo è vincolante solo per i contraenti, lasciando inalterata la situazione giuridica dei creditori e dei terzi che ne rimangono estranei10; dall’altra risulterebbero soddisfatte le finalità di tutela degli interessi generali attraverso: la pubblicazione dell’accordo sul registro 4 F. Bonelli, Nuove esperienze nella soluzione stragiudiziale della crisi delle imprese, in Riv.dir.civ., 1997, I, pag. 493; Panzani, La gestione stragiudiziale dell’insolvenza, in Fall., 1997, pag. 553; Rossi, Crisi delle imprese: la soluzione stragiudiziale, in Riv.dir.soc., 1996, pag. 321.5 Occorre, per esempio, evidenziare che se nell’ordinamento non fosse stato introdotto l’art. 182-ter L.F., relativo alla “transazione fiscale”, l’amministrazione finanziaria non avrebbe la possibilità negoziare i crediti erariali che, di per sé, sono indisponibili.6 Cfr. Ambrosini, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella nuova legge fallimentare: prime riflessioni, in Il fall., 2005, pag. 949.7 Il 2° comma dell’art. 67, lett. e) L.F., stabilisce infatti che non sono revocabili gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione “dell’accordo omologato ai sensi dell’art. 182-bis”.8 Si tratta di un termine che appare piuttosto ridotto e che potrebbe non essere sufficiente per conseguire l’omologazione. Inoltre lascia scoperto il periodo anteriore alla pubblicazione dell’accordo, ossia la fase delle trattative che risulta quindi esposto alle azioni esecutive individuali (a differenza di quanto accade nel concordato preventivo che offre un “ombrello” protettivo ben più ampio).9 Spesso i veri giudici della crisi sono le banche creditrici, non tanto perché normalmente sono i principali creditori, quanto perché dispongono degli strumenti per valutare appieno la complessiva situazione finanziaria del debitore, nonché le sue reali prospettive di risanamento (Cfr. Frascaroli Santi, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, CEDAM, 2009, pag. 59).

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delle imprese; l’intervento del tribunale nella verifica dei presupposti ed un sistema di gravami, a tutela dei terzi, particolarmente rigido.Naturalmente rimangono diverse incertezze dovute alla non sempre agevole interpretabilità delle norme, a cui dottrina, giurisprudenza ed anche il legislatore stesso dovranno dare idonea soluzione. Allo stato attuale, per esempio, non è chiara la sorte degli atti compiuti fra la pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese e l’eventuale rifiuto dell’omologazione, in accoglimento di eventuali opposizioni. E’ inoltre incerta la prededucibilità delle somme erogate per il funzionamento dell’azienda e l’esecuzione dell’accordo, nel caso di insuccesso del piano di ristrutturazione e successivo fallimento dell’impresa11. Ed infine, posto che non è stata modificata la disciplina penale, occorre chiarire quali implicazioni possano nascere, sotto questo profilo, dall’insuccesso del programma di risanamento e l’eventuale successiva dichiarazione di fallimento. Si tratta di dubbi che parte della dottrina ritiene possano essere risolti a livello interpretativo, se si accettasse di ricomprendere gli accordi di ristrutturazione fra i procedimenti concorsuali. Di avviso contrario pare la giurisprudenza che finora si è pronunciata sull’argomento, la quale ha ritenuto che gli accordi di ristrutturazione non abbiano la natura di procedura concorsuale

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Sostanzialmente il legislatore della riforma ha messo a disposizione tre tipologie di accordi:1. il riformato concordato preventivo (art. 160 .L.F.);2. l’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis L.F.);3. il piano attestato che risulti idoneo a consentire il risanamento dell’impresa (3° comma,

lett. d, art. 67 L.F.)12.

L’impresa che versa in uno stato di crisi13 ha dunque diverse opportunità per tentare il risanamento aziendale o, per lo meno, scongiurare l’eventuale dichiarazione di fallimento. Nei casi meno gravi si tende ad adottare strategie che rimangono interne all’azienda e non richiedono il coinvolgimento dei creditori (ricapitalizzazioni da parte dei soci; riconversione industriale; ecc.), quando invece non è possibile mantenere all’interno la gestione della criticità, pur sussistendo i presupposti per risanare l’impresa (od almeno, nella peggiore delle ipotesi, per evitare il fallimento), occorre necessariamente valutare in quale modo rivolgersi ai creditori per ottenere il loro appoggio (e spesso un loro sacrificio economico), al fine di proporre una soluzione il più possibile soddisfacente per tutti gli interessati.Occorre quindi evidenziare che la situazione di crisi é caratterizzata da un complesso di cause e da molteplici manifestazioni, pertanto è necessario tener presente che gli strumenti che perseguono l’obiettivo del risanamento aziendale, assumono diverso rilievo dal punto di vista civilistico-penale, a seconda che si versi in uno stato di crisi temporanea, piuttosto che di stato di insolvenza. Per di più risulta spesso arduo, salvo nei casi più 10 Nella realtà anche i creditori che rimangono estranei all’accordo potrebbero indirettamente subirne gli effetti. Infatti, se l’accordo consegue l’obiettivo di risanare l’azienda, i creditori estranei ne risulterebbero avvantaggiati perché non subirebbero alcun sacrificio. Al contrario, se all’accordo segue un fallimento, i creditori estranei potrebbero risultarne penalizzati dalla riduzione del patrimonio fallimentare per effetto della irrevocabilità degli atti compiuti dall’imprenditore in esecuzione dell’accordo.11 Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 5.12 Cfr. Fauceglia, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge n. 80/2005, in Il fall., 2005, pag. 1446 e segg.13 nozione che non ha una definizione dal punto di vista giuridico, ma che è presupposto per il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, nel cui concetto va ricompreso lo stato di insolvenza (Cfr. Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 32). Si ritiene quindi che il rapporto fra crisi e stato d’insolvenza sia quello esistente fra genere e specie.

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eclatanti, distinguere la temporanea difficoltà dalla irreversibile impossibilità di onorare le obbligazioni che l’imprenditore ha contratto14.Differenziare qualitativamente la temporanea difficoltà dallo stato di insolvenza è di determinante importanza pratica, allo scopo di pianificare e conseguire un soddisfacente esito delle trattative stragiudiziali, soprattutto per scongiurare le possibili conseguenze penali (per un’analisi delle quali si rinvia al § 12). In questa sede è sufficiente anticipare che, le conseguenze penali, salvo i casi di frode, non riguardano l’imprenditore in crisi temporanea che propone un accordo stragiudiziale al quale non segue l’auspicato esito risanatorio. L’imprenditore mantiene infatti la possibilità di proporre un concordato preventivo, con conseguente inapplicabilità degli artt. 216 e 217 L.F. L’impresa in stato di temporanea crisi, quindi, pur non avendo particolari limitazioni nella libertà di negoziazione coi propri creditori, deve prestare attenzione a non aggravare il proprio dissesto. E’ infatti pur sempre possibile che il piano di ristrutturazione del debito non vada a buon fine e che, successivamente, l’impresa venga dichiarata fallita. In tale caso, se venisse accertato che gli atti compiuti in esecuzione di quanto negoziato in sede stragiudiziale, hanno causato un aggravamento del dissesto o, peggio, favorito alcuni creditori a discapito di altri, l’imprenditore potrà incorrere (ma lo si esclude, come sarà motivato in seguito, anche se è auspicabile un intervento legislativo che sciolga definitivamente i dubbi su questi aspetti molto delicati) nelle sanzioni di cui all’art. 217, n° 4, L.F. (aggravamento del dissesto) e 3° comma dell’art. 216 L.F (bancarotta preferenziale).Occorre infatti evidenziare che l’eventuale differenziazione nel trattamento dei diversi creditori, posta in essere in un periodo di crisi transitoria, ma di sostanziale solvibilità, non potrà avere tali conseguenze, mentre, nel caso lo stato di insolvenza possa dirsi conclamato, il tentativo di sistemazione stragiudiziale che sfocia poi nel fallimento, sarà certamente sottoposto al vaglio sia del curatore che della magistratura, per verificare che non siano stati commessi illeciti di rilevanza penale.Risulta quindi particolarmente rischiosa la situazione del debitore che, in stato di insolvenza, conclude un accordo stragiudiziale o un accordo di ristrutturazione dei debiti, ex art. 182-bis, il cui ricorso per l’omologazione venga poi respinto dal Tribunale competente.Peraltro, nel passato, parte della dottrina riteneva che, in caso di dissesto, gli accordi stragiudiziali non fossero legittimi. Si sosteneva infatti l’inderogabilità dell’intervento dell’autorità giudiziaria, non solo per un preteso dovere del debitore di chiedere il proprio fallimento, ma anche perché era necessario tutelare, in primo luogo, la fede pubblica ed il credito sociale15.A questa tesi si replicava, in modo convincente, evidenziando che, nell’ordinamento, non era prevista alcuna esplicita prescrizione limitativa dell’autonomia delle parti e che la contrattazione privata stragiudiziale era rivolta ad eliminare lo stato di insolvenza e quindi il presupposto stesso del fallimento16.

Merita un rapido cenno il ruolo delle banche nella gestione del risanamento aziendale o nel suo fallimento. Non a caso si parla da tempo di un cambiamento nella tradizionale funzione della banca che ha via via assunto un ruolo spesso determinante nella gestione

14 Contributi sull’analisi dei sintomi della crisi sono stati offerti da: Guatri, All’origine delle crisi aziendali: cause reali e cause apparenti, in finanza, marketing e produzione, 1985, pagg. 11 e segg..; Locatelli, Premesse allo studio delle “cause” o “fattori” dell’insolvenza, in Dir.fall., 1979, pag. 306; Gabrovec Mei, La diagnosi della crisi d’impresa, in Riv.dott.comm., 1984, pag. 418 e segg.15 Bolaffio, Sul c.d. concordato stragiudiziale, in Giur.it., 1932, I, c. 370; Dimundo, Pactum de non petendo e insolvenza, in Il Fall., 2007, pagg. 905 e segg. 16 Cfr. Provinciali, Trattato di dir.fallim., IV, Milano, 1974, pag. 2769 e Satta, Diritto fallimentare, Padova, 2° ed., 1990, pag. 359, nota 1.

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della crisi. Talvolta favorendone la soluzione, in altri casi decretando il definitivo tramonto delle prospettive aziendali: dalla restrizione improvvisa del credito fino ad iniziative che possono risultare fraudolente o quanto meno illegittime (concessione abusiva del credito, restrizione ingiustificata delle linee di credito, ecc.)17. Si tratta quindi di un ruolo assai delicato dal quale potrebbero scaturire importanti responsabilità, soprattutto nel caso si alimenti artificiosamente la continuazione dell’attività aziendale (danneggiando i concorrenti), quando invece l’azienda dovrebbe essere estromessa dal mercato.E’ comunque difficilmente realizzabile un accordo di ristrutturazione che non preveda l’adesione significativa degli istituti di credito, non solo mediante il ripristino della liquidità (o, addirittura, mediante la concessione di “nuova finanza”), allo scopo di rimuovere lo stato d’insolvenza, ma anche quali possibili cogestori della crisi. Si pensi ad esempio al ruolo degli advisors, spesso ricoperto da professionisti, ma anche da banche d’affari o da società finanziarie specializzate nel redigere progetti di ristrutturazione e risanamento aziendali18 o, persino, nell’affiancare l’imprenditore sottoscrivendo una quota di partecipazione al capitale sociale dell’impresa.

Prima di analizzare in modo più approfondito le caratteristiche principali degli accordi di ristrutturazione, sembra opportuno evidenziare le differenze fondamentali rispetto alle altre modalità di soluzione della crisi aziendale. L’imprenditore in difficoltà ha dunque i seguenti mezzi, a propria disposizione, per tentare il risanamento aziendale o, per lo meno, per scongiurare il fallimento:

1) stragiudiziali:

a) piani attestati: mediante questo istituto, l’imprenditore in crisi predispone unilateralmente un piano di risanamento aziendale, la cui ragionevolezza deve essere attestata da un revisore contabile (avente i requisiti previsti per la nomina a curatore, ex art. 28, lett. a e b della L.F.). Il piano ha il vantaggio di escludere, in caso di successivo fallimento, dalla revocatoria fallimentare gli atti posti in essere in esecuzione del piano attestato (art. 67, 3° comma, lett. d, L.F.), ma ha lo svantaggio di non proteggere i beni del debitore dalle azioni esecutive individuali;

b) accordi stragiudiziali: attraverso i quali l’imprenditore negozia con tutti od alcuni dei propri creditori le soluzioni più diversificate: da semplici dilazioni nei pagamenti a veri e propri concordati stragiudiziali. In caso di successivo fallimento, l’imprenditore rischia di vedersi contestato il reato di bancarotta semplice o fraudolenta, mentre i creditori possono subire la revocatoria dei pagamenti ricevuti;

17 Roppo, Crisi d’impresa e responsabilità civile della banca, in Fall., 1996, pag. 874; Irti, Dal salvataggio statale all’intervento bancario, in Riv.soc. 1996, pag. 1081 e segg.18 Bonelli F., Nuove esperienze nella soluzione stragiudiziale della crisi delle imprese, in Riv.dir.civ., 1997, I, pag. 1193 e Ruolo e responsabilità degli advisors nella gestione stragiudiziale dell’insolvenza, in Fall., 1997, pag. 569.

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2) giudiziali:

a) accordi di ristrutturazione dei debiti (ex art. 182-bis L.F.): come si è già avuto modo di anticipare, si tratta di contratti stipulati dal debitore con una maggioranza qualificata di creditori mediante i quali le parti si accordano per ristrutturare i debiti allo scopo di risanare l’azienda o evitare il fallimento. Il Tribunale interviene per verificarne i presupposti ed eventualmente omologare l’accordo, ma non ne controllerà la successiva esecuzione;

b) concordato preventivo: attraverso il quale l’impresa rivolge ai propri creditori una proposta che può essere variamente articolata allo scopo di risanare l’azienda oppure di liquidarla evitando il fallimento. Anche in questo caso il Tribunale interviene per verificarne i presupposti ed eventualmente omologare il concordato, la cui esecuzione è sottoposta alla vigilanza del commissario giudiziale.

In questa sede si illustreranno in particolare gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F. che sono caratterizzati, dal punto di vista pratico, da due fasi:1. una prima fase privatistica-stragiudiziale nel corso della quale l’impresa negozia con

la maggioranza dei propri creditori le modalità di ristrutturazione del debito; 2. e da una successiva fase giudiziale che prevede l’intervento del Tribunale il quale, nel

giudizio di omologazione dell’accordo, ne verifica i presupposti.

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Il primo problema da affrontare riguarda la natura degli accordi di ristrutturazione dei debiti. Benché la norma che li disciplina sia stata inserita all’interno del titolo III° L.F., che regolamenta anche il concordato preventivo, la giurisprudenza19 e parte della dottrina20

ritengono che gli accordi non abbiano la natura di procedura concorsuale, né siano connessi od assimilabili al concordato preventivo. Le argomentazioni a sostegno di questa tesi sono in sintesi le seguenti:

in primo luogo occorre evidenziare che l’autonomia dell’istituto, rispetto al concordato, si evince dal tenore letterale delle norme in quanto: il titolo III° della L.F. è rubricato “Del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione”; l’art. 67, 3° comma, lettera e), richiama sia il concordato preventivo che l’accordo omologato ai sensi dell’art. 182-bis;

gli accordi non producono gli effetti di cui agli artt. 167 (vigilanza del commissario ed autorizzazioni del giudice delegato), e 169 (inefficacia delle formalità successive al deposito della domanda di concordato; sospensione nel decorso degli interessi dei crediti non assistiti da privilegio; compensazione tra debiti e crediti; ecc.);

il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari da parte dei creditori è limitato ad un periodo di 60 giorni dalla pubblicazione dell’accordo nel registro delle

19 Tribunale di Milano 24/01/2007, in Fall. 2007, pag. 702; Tribunale di Udine 22/06/07; Trib. di Roma 04/10/2006, in Fall., 2007, pag. 187, con nota di Proto, Accordo di ristrutturazione dei debiti tutela dei soggetti coinvolti nella crisi d’impresa; Tribunale di Brescia 22/02/06, in Fall., 2006, pag. 669 e segg.; Tribunale di Bari 21/11/05 (decr.), in Foro it., 2006, I, 263 con nota di Fabiani, Accordi di ristrutturazione dei debiti: l’incerta via italiana alla “reorganization”; in Giur.Comm., 2007, II, pag. 207, con nota di Jeantet, L’accordo di ristrutturazione dei debiti la privatizzazione dell’insolvenza.20 Fabiani, Accordi di ristrutturazione dei debiti: l’incerta via italiana alla “reorganization”, in Foro it., 2006, I, pag. 264; Stanghellini, Le crisi d’impresa fra diritto ed economia, Bologna, 2007, pag. 3072; Nardecchia, Crisi d’impresa, autonomia privata e controllo giurisdizionale, IPSOA, 2007, pag. 29 (in particolare note 55, 56 e 57)

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imprese (mentre nell’art. 168 L.F. il divieto decorre dalla data di presentazione del ricorso fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo);

gli accordi, a differenza del concordato preventivo, sono caratterizzati dall’assenza di effetti remissori per i creditori dissenzienti21;

la possibilità che gli accordi con i creditori siano raggiunti anche nella fase endoprocessuale, come presupposto per l’inizio del giudizio di omologa, rendono l’istituto assimilabile al pactum de non petendo e per la pluralità delle parti, ad un negozio di diritto privato classificabile come contratto bilaterale plurisoggettivo a causa unitaria22.

Altra parte della dottrina23, il cui orientamento sembra più condivisibile per le ragioni che saranno di seguito illustrate, ritiene che gli accordi di ristrutturazione debbano invece essere inquadrati, a pieno titolo, fra le procedure concorsuali.E’ vero che gli accordi si caratterizzano per la loro natura privatistica, tuttavia sono inglobati in un procedimento che ha la natura pubblicistica e formale delle altre procedure concorsuali: le modalità di presentazione del ricorso per l’omologazione sono quelle previste per il concordato preventivo; l’autorità competente è il Tribunale fallimentare ed infine gli accordi si attuano nel rispetto del principio del concorso dei creditori che costituisce una caratteristica comune alle procedure concorsuali. Una chiara manifestazione del concorso dei creditori è data dal divieto di iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive individuali da parte di tutti i creditori anteriori all’accordo; dall’obbligatorietà di disporre la pubblicazione dell’accordo e renderlo quindi conoscibile a chiunque; dalla possibilità offerta a tutti i creditori di aderirvi, ovvero di opporvisi ed infine dalla necessità, perché l’accordo possa essere omologato, di raggiungere un’adesione significativa (almeno il 60%) del ceto creditorio. Non sembra invece determinante, al fine di escludere gli accordi dal novero delle procedure concorsuali, l’eventuale mancato rispetto della par condicio. Occorre infatti osservare che l’accordo di ristrutturazione riguarda comunque tutti i creditori (sebbene con modalità che possono anche essere sensibilmente differenziate), sia quelli aderenti che accettano i sacrifici negoziati con l’imprenditore, sia quelli dissenzienti per i quali deve essere previsto il regolare pagamento. In altri termini la par condicio viene salvaguardata, sebbene possa essere derogata su esplicito consenso del creditore interessato a partecipare al piano di ristrutturazione che gli viene sottoposto24. Se venisse confermata la tesi che conferisce agli accordi di ristrutturazione la natura di procedura concorsuale si potrebbe superare una delle incertezze già evidenziate, ossia la controversa prededucibilità, nel successivo fallimento, della cosiddetta “nuova finanza”.21 Tribunale di Milano, cit.22 Tribunale di Milano, cit. Frascaroli Santi ne op.ult.cit., pag. 99, ha tuttavia evidenziato che “l’accordo di ristrutturazione può assumere forme negoziali che costituiscono, peraltro, veri e propri negozi autonomi con una loro specifica causa che, in ipotesi, può non coincidere con l’intento di rimuovere la crisi del debitore, ma che costituisce, invece, solo un motivo del contratto. In questi casi, l’accordo di ristrutturazione si presenta come un fascio di contratti tra loro indipendenti”. Cfr. anche: Ambrosini, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato di dir. comm., diretto da Cottino, Cedam, 2008, pag. 160 e segg. e Boggio, Gli accordi di salvataggio delle imprese, Milano, 2007, pag. 114 e segg. 23 Castiello D’Antonio, Riflessi disciplinari degli accordi di ristrutturazione e dei piani attestati, in Dir.Fall., 2008, pag. 604; Pezzano, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.f.: una occasione da non perdere, in Dir.Fall. 2006, II, pag. 674, nota a Trib. Milano 15 dicembre 2005 (decr.); Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 84 e segg.24 Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 91: “Il mancato rispetto della par condicio, che non è altro che uno dei modi di attuazione del principio del concorso, non costituisce, quindi, un argomento calzante per sostenere che gli accordi contraddicono il principio di concorsualità. E’ appena il caso di ricordare, infatti, che anche nel concordato preventivo è possibile pattuire trattamenti differenziati pur nel rispetto della legge e per questo non si reputa che il concordato preventivo violi il principio del concorso.”

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Sembra comunque abbastanza condivisa l’opinione secondo la quale gli accordi di ristrutturazione debbano essere considerati un istituto autonomo rispetto al concordato preventivo25. Infatti il rinvio alla disciplina del concordato preventivo è del tutto parziale e si limita agli artt.: 161 L.F. che fissa le modalità di presentazione del ricorso, col quale non si chiede un

provvedimento del Tribunale di apertura della procedura (come accade per il concordato preventivo), bensì l’omologazione di un accordo già raggiunto stragiudizialmente;

183 L.F. per la regolamentazione del reclamo contro il decreto di omologazione; 168, 2° comma, L.F. il quale dispone che le decadenze non si verificano e prevede

inoltre la sospensione dell’interruzione delle prescrizioni.

Gli accordi di ristrutturazione del debito si differenziano inoltre dal concordato preventivo anche per le seguenti peculiarità: manca la figura del commissario giudiziale che deve esprimere il proprio motivato parere in contraddittorio col debitore; manca altresì l’udienza di comparizione in camera di consiglio che precede, nel concordato, l’ammissione alla procedura; l’art. 67, 3° comma, lett. e) dispone separatamente l’irrevocabilità degli atti compiuti in esecuzione del concordato rispetto a quelli compiuti in esecuzione degli accordi di ristrutturazione omologati; la relazione del professionista non deve attestare la veridicità dei dati aziendali26 e la fattibilità del piano, ma solamente “l’attuabilità dell’accordo con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei”.Nonostante l’altamente probabile autonomia degli istituti menzionati, vi sono senza dubbio affinità che consentono di colmare, per via analogica, le lacune nella disciplina relativa agli accordi di ristrutturazione, mutuando, se ed in quanto compatibile, quella del concordato preventivo. Quanto alle affinità ci si riferisce non solo alle modalità di presentazione del ricorso per omologazione ed al reclamo contro questo provvedimento del Tribunale, ma soprattutto all’omologazione stessa che chiude la fase giudiziale del procedimento. Senza l’omologazione non si produce l’effetto più importante degli accordi di ristrutturazione dei debiti ossia, in caso di successivo fallimento, l’irrevocabilità degli atti e dei pagamenti compiuti in esecuzione dell’accordo. Essa produce quindi un effetto che travalica i poteri dei contraenti, nel senso che la limitazione all’azione revocatoria fallimentare poteva essere disposta solo in forza di un provvedimento legislativo e non, certamente, da un patto fra privati e, questo, in quanto coinvolge indirettamente anche i diritti dei terzi (ad esempio: i creditori estranei), i quali, in caso di fallimento, si troveranno privati di quella parte del patrimonio del debitore che avrebbe potuto essere recuperato tramite l’azione revocatoria27.

25 Sembrano propendere per una specie di concordato semplificato: Ferro, art.182-bis, La nuova ristrutturazione dei debiti, in Il nuovo diritto delle società, 2005, n. 24, pag. 56; Verna, Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis l.f., in Dir.fall., 2005, I, pag. 871 e segg.; Trib. Milano 21/12/2005, in Fall., 2006, pag. 670 con nota di Nardecchia, gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Favorevoli a considerare gli accordi un istituto autonomo rispetto al concordato: Presti, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, pagg. 12 e segg; Frascaroli Santi, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis l.f.) e gli effetti per i coobbligati e fideiussori del debitore, in Dir.Fall., 2005, I pag. 857; Zanichelli, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Torino, 2006, pag. 352; Lo Cascio, La nuova legge fall.: dal progetto di legge delega alla mini riforma per decreto legge, in Fall., 205, pagg. 361 e segg.26 la dottrina che propende per la natura concorsuale degli accordi, ritiene invece che il professionista debba attestare la veridicità dati, così come richiesto nel concordato preventivo.27 Guglielmucci, Diritto fallimentare, Giappichelli , 2007, pag. 354: “l’accordo di ristrutturazione dispiega effetti diretti soltanto per i creditori aderenti all’accordo, mentre sui creditori estranei produce soltanto effetti riflessi in dipendenza della prevista irrevocabilità di atti, pagamenti e garanzie concesse in esecuzione dell’accordo

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Un’ulteriore determinante affinità degli accordi rispetto al concordato preventivo è costituita dal divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali (cfr. art. 168, 1° comma e 182-bis, 3° comma). Nonostante quindi le indubbie differenze fra i due istituti, sembra possibile concludere per la possibile applicazione analogica delle norme tratte dalla disciplina del concordato preventivo, in quanto entrambi hanno l’obiettivo di consentire all’imprenditore di rimuovere la crisi aziendale, nel rispetto della concorsualità dei creditori anche se non necessariamente del principio della par condicio.

* * * * *

A conclusione di questa breve disamina comparitiva è sembrato opportuno dedicare uno spazio anche ai piano attestati. Come già sommariamente anticipato, molto diversa, rispetto agli accordi di ristrutturazione, è invece la disciplina che regola i piani attestati delineata dall’art. 67, 3° comma, lett. d) L.F., la quale si limita a disporre l’irrevocabilità, in caso di fallimento, de “gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che abbia i requisiti previsti dall’art. 28 lett. a) e b), ai sensi dell’art. 2501-bis, 4° comma, del codice civile”.Si tratta di fatto di uno strumento totalmente stragiudiziale, sul quale non viene effettuato alcun controllo da parte del Tribunale, né è prevista una valutazione di convenienza da parte dei creditori. Tra questi, coloro che ne rimangono estranei, potrebbero benissimo non esserne minimamente informati se non dopo la dichiarazione di fallimento, ossia quando il piano non ha raggiunto il proprio obiettivo di risanamento.Benché quindi non siano previste adeguate tutele a favore dei creditori, i piani attestati, alla pari degli accordi ex art. 182-bis e dei concordati preventivi, beneficiano ugualmente della irrevocabilità degli atti compiuti in esecuzione del progetto di risanamento aziendale.Non sembra infatti che l’attestazione rilasciata dal professionista28 possa offrire particolari garanzie. L’attestazione di idoneità è infatti una sorta di previsione basata su scenari che potrebbero benissimo non avverarsi per molteplici cause. In ogni caso, la norma non detta i criteri da seguire per accertare l’idoneità del piano. Non sembra infatti che il rinvio al 4° comma dell’art. 2501-bis del codice civile (relativo alla nomina degli esperti chiamati ad attestare la ragionevolezza del progetto di fusione) possa a sua volta rinviare all’art. 2501-sexies che disciplina anche i requisiti di nomina degli esperti e delinea le loro possibili responsabilità29 che dovrebbero essere quelle di cui agli artt. 2343 e 2465, nonché, per i fatti penalmente rilevanti, quelle di cui all’art. 2624 del codice civile.

omologato”.28 Stasi, I piani di risanamento o di ristrutturazione nella legge fallimentare, in Fall., 2006, p. 866, ritiene che per le Spa e le Sapa occorra incaricare una società di revisione, mentre per le altre società sia sufficiente che il professionista sia un revisore contabile.29 Cfr. Frascaroli Santi, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, CEDAM, 2009, pag. 96: si tratta di “norme che riguardano espressamente i progetti di fusione e che non possono essere applicate al di fuori dell’ipotesi prevista”.

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2. Il presupposto soggettivo ed oggettivo degli accordi di ristrutturazione

Il 1° comma dell’art. 182-bis prevede che “L’imprenditore in stato di crisi può domandare […] l’omologazione di un accordo…”.

Anzitutto, per quanto concerne, il presupposto soggettivo, occorre evidenziare che il D.Lgs. 12 settembre 2007 n° 169 ha provveduto, con la formulazione sopra riportata, a precisarne meglio la definizione. Infatti, anteriormente alla modifica introdotta dal decreto citato (ossia anteriormente al 1° gennaio 2008), il testo di legge si riferiva genericamente al “debitore”, mentre ora, più propriamente, si riferisce all’imprenditore.

In realtà, anche prima della modifica, la dottrina prevalente era dell’opinione che per “debitore” dovesse intendersi non il debitore civile in quanto la norma è inserita nella legge fallimentare che non contempla il fallimento “civile”, bensì l’imprenditore30 soggetto alle procedure concorsuali disciplinate dalla legge fallimentare, ossia quello che supera almeno uno dei limiti indicati nel 2° comma dell’art. 1 L.F. E’ dunque imprenditore fallibile quello che:

a) ha avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo superiore ad euro 300.000, ovvero;

b) ha realizzato, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo superiore ad euro 200.000, ovvero;

c) ha un ammontare di debiti, anche non scaduti, superiore ad euro 500.000.

Si è inoltre affermata l’opinione che siano legittimati a proporre gli accordi di ristrutturazione, anche gli imprenditori soggetti all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese di cui al D.Lgs. 270/99 (c.d. Prodi-bis) e L. 39/04 (c.d. Decreto Marzano)31.In conclusione resterebbero esclusi dalla possibilità di proporre accordi di ristrutturazione dei debiti: il “piccolo” imprenditore (quello che non supera i limiti suddetti), l’imprenditore agricolo, gli enti non commerciali e gli enti pubblici.Tali esclusioni si giustificano avendo riguardo all’effetto principale degli accordi (art. 67, comma 3, lett. e, L.F.), ossia l’esclusione dall’azione revocatoria fallimentare degli atti, dei pagamenti e delle garanzie posti in essere in esecuzione di un accordo omologato. Risulta infatti evidente che non avrebbe senso prevedere tale effetto a favore di soggetti non assoggettabili alla procedura di fallimento.Infine occorre evidenziare che gli accordi acquistano efficacia dalla pubblicazione nel registro delle imprese, con riferimento quindi al solo imprenditore regolarmente iscritto32.

30 in questo senso Roppo, Profili strutturali e funzionali dei contratti di salvataggio (o di ristrutturazione dei debiti), in Dir.fall., 2008, I, pag. 370, ove si evidenzia che l’esonero dalla revocatoria presuppone che il debitore sia fallibile; Proto, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fall., 2006, pag. 130 e segg.; Ambrosini, op.cit., pag. 164.31 Cfr.: Presti Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, pag. 30; Nardecchia, Crisi d’impresa, autonomia privata e controllo giurisdizionale, Milano 2007, pag. 30 (per la legittimazione di Banche, SIM, SGR e SICAV); Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, vol. 11, Cedam 2007, pag. 30.32 Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 113, fa notare che la norma non richiede che debba trattarsi di imprenditore “commerciale” ritenendo quindi che possa accedere agli accordi di ristrutturazione anche l’imprenditore non iscritto al registro delle imprese, fatta salva la necessità di iscriverlo, eventualmente, d’ufficio ex art. 2190, atteso che altrimenti non si potrebbe dar corso alla prescritta pubblicazione dell’accordo. Cfr. anche: Fauceglia, Prime osservazioni sugli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Dir.fall.,

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Anche il presupposto oggettivo, è stato chiarito solo con la modifica introdotta D.Lgs. 12 settembre 2007 n° 169. La norma si riferisce ora all’imprenditore “ in stato di crisi33” intendendosi per tale sia la situazione di difficoltà economica e finanziaria (sempre avendo riguardo al principale effetto degli accordi, ossia escludere dalla revocatoria fallimentare gli atti di esecuzione dei medesimi) che lo stato di insolvenza34, come risulta confermato anche dalla precisazione introdotta nell’ultimo comma dell’art. 160 L.F. (relativo al piano di ristrutturazione nel concordato preventivo) in base alla quale “per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”.

3. Il contenuto dell’accordo di ristrutturazione e la maggioranza dei creditori

La norma in commento non precisa quale debba essere il contenuto dell’accordo, né impone che si rispetti la parità di trattamento dei creditori (cosiddetta par condicio), né l’espressione “accordi di ristrutturazione dei debiti” è intesa ad inibire la ristrutturazione dell’azienda (che altrimenti, in ottica liquidatoria, dovrebbe cessare l’attività) limitando il contenuto dell’accordo. Non è infatti previsto un termine per la ristrutturazione dei debiti ed inoltre anche l’obbligo di pagare regolarmente i creditori estranei lascerebbe presumere che l’attività aziendale possa benissimo proseguire35.Conseguentemente, sembra abbastanza evidente, nel rispetto della natura privatistica della fattispecie, che l’impresa in crisi ha ampia libertà nel negoziare coi propri creditori la modalità di ristrutturazione dei propri debiti.

L’unico requisito prescritto è che l’accordo deve essere accettato da creditori rappresentanti almeno il 60% dei debiti aziendali. Prima di entrare nel merito delle problematiche sollevate da questa generica indicazione occorre evidenziare che gli accordi di ristrutturazione si possono configurare come un contratto bilaterale fra due parti (poiché non è previsto un calcolo per teste, si è del parere che l’accordo possa essere stipulato anche con un unico creditore purché titolare di almeno il 60% dei debiti dell’impresa in crisi); un contratto plurilaterale con comunione di scopo in caso di pluralità di creditori che aderiscono congiuntamente ad un medesimo contratto, oppure un fascio di contratti tra loro indipendenti (autonomi negozi con una loro specifica causa). Qualunque sia la modalità seguita nella fase stragiudiziale dei negoziati, occorre tener presente che oggetto della richiesta di omologazione è però un accordo unitario che il Tribunale dovrà esaminare per verificarne l’idoneità complessiva a conseguire gli obiettivi auspicati. Ne consegue che gli accordi isolatamente conclusi dovranno necessariamente confluire nel ricorso per l’omologazione, nonché essere iscritti nel registro delle imprese36 con le problematiche operative che saranno illustrate sub § 7 a cui si rinvia. In assenza di ulteriori precisazioni legislative si ritiene che tale quorum debba essere calcolato sul totale dei creditori (anche se non scaduti al momento dell’iscrizione dell’accordo al registro imprese37), includendo quindi anche quelli privilegiati38, come avviene per il concordato preventivo.

2005, I, pag. 844.33 nozione che non ha una definizione dal punto di vista giuridico, ma che è presupposto per il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, nel cui concetto va ricompreso lo stato di insolvenza (Cfr. Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 32). Si ritiene quindi che il rapporto fra crisi e stato d’insolvenza sia quindi quello esistente fra genere e specie.34 Tribunale di Sulmona del 6/6/2005 e Tribunale di Bari, cit.35 Cfr. Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 117.36 Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 127.

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Sussistono invece dubbi circa il computo, o meno, dei crediti contestati39.

Vi è contrasto anche in relazione al momento in cui deve sussistere la maggioranza. L’opinione che sembra prevalere richiede che la maggioranza sia raggiunta già al momento della pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese. Si reputa infatti che non possa formarsi successivamente sia perché dalla pubblicazione decorre il termine per le opposizioni, ma soprattutto perché la norma richiede che l’accordo depositato sia già stato stipulato con la maggioranza necessaria40. Parte della giurisprudenza è invece di diverso avviso, ritenendo che la maggioranza possa essere raggiunta nelle more del giudizio di omologazione, in quanto non è prescritta quale requisito di ammissibilità dell’accordo, ma solo quale presupposto per l’inizio della procedura di omologa. Per questa corrente di pensiero, la maggioranza può quindi essere raggiunta anche nella fase endoprocessuale41.

* * * * *

Fermo restando che l’accordo di ristrutturazione deve garantire il regolare pagamento dei creditori estranei, il suo contenuto può prevedere, ad esempio, quanto segue:

dilazioni di pagamento (con o senza interessi); un diverso trattamento dei creditori (a differenza di quanto previsto per il concordato

preventivo, la norma non richiede, sebbene consigliabile, la suddivisione in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei);

rinunce totali o parziali agli interessi o anche al capitale; transazioni; la conversione dei crediti in titoli di debito (obbligazioni) o in quote di capitale sociale; l’assunzione del debito da parte di terzi; la cessione parziale o totale dei beni ai creditori; l’acquisizione di nuove garanzie.

Il piano di risanamento proposto ai creditori aderenti potrebbe quindi avere un contenuto remissorio e/o dilatorio e prevedere, anche un pactum de non petendo. Quest’ultimo è un accordo fra debitore e creditori che si prefigge di ottenere la dilazione dei termini di scadenza di un credito anche non già scaduto, tendente a rimuovere lo stato d’insolvenza del debitore42. A seguito di questo patto i creditori rinunziano ad intraprendere azioni esecutive individuali o, nella peggiore delle ipotesi, a chiedere la dichiarazione di fallimento, lasciando tuttavia inalterato il rapporto originario. In sostanza attraverso il patto viene paralizzato, per il tempo convenuto, il potere del creditore di agire, sia in cognizione che in esecuzione, per ottenere la soddisfazione del proprio credito, senza però che

37 Pezzano, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.f.: una occasione da non perdere, in Dir. fall., 2006, II, pag. 689 e segg., per il quale, trattandosi di concordato preventivo semplificato, si ritiene compatibile la disciplina dettata dall’art. 169 e 55 della L.F., in base alla quale si deve tener conto sia dei crediti non scaduti, ma anche di quelli condizionali.38 Tribunale di Brescia, cit. e Tribunale di Milano, cit..39 Ferro, in AA.VV., La legge fallimentare, in Commentario teorico-pratico, a cura di Ferro, sub art. 182-bis, sostiene che prudenzialmente i crediti contestati debbano essere considerati nell’ammontare complessivo, ma non potranno essere computati nel calcolo della maggioranza.40 Proto, op.cit., pag. 132, nella quale si afferma che qualora l’accordo sia raggiunto successivamente al deposito, il debitore deve riproporre la procedura di omologazione; Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 130. In senso conforme: Tribunale di Brescia, cit., in Fall. 2006, pag. 669, per il quale la maggioranza deve essere raggiunta già al momento della pubblicazione sul registro delle imprese41 Tribunale di Milano, cit., www.dottrinaediritto.ipsoa.it. 42 Cass., 19/11/92, n. 12383, in Fall., 1993, pag. 510; Cass. 28/10/1992, n. 11722, in Fall., 1993, pag. 352.

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questo comporti l’estinzione dell’obbligazione che, infatti, non subisce alcuna modifica43, differenziandosi quindi dalla remissione che è uno dei modi di estinzione delle obbligazioni44.

Nella fase delle trattative è comunque consigliabile prevedere l’eventuale conversione dell’accordo di ristrutturazione in accordo stragiudiziale qualora non ottenga l’omologazione del Tribunale. In questo modo l’impresa debitrice potrà mantenere un certo margine di manovra (seppur più limitato) al fine di individuare una diversa strategia per risolvere i propri problemi finanziari. Mancando l’omologazione il debitore perderà però i vantaggi già illustrati, infatti, in caso di fallimento, l’organo amministrativo può rischiare la condanna per bancarotta. Allo stesso modo, anche i creditori non potranno giovarsi dell’irrevocabilità degli atti, dei pagamenti compiuti e delle garanzie rilasciate dal debitore in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione non omologato, a meno che detto accordo non possa (ma è fonte di perplessità) convertirsi nel piano attestato di cui alla lettera d), 3° comma, dell’art. 67 L.F.

In ogni caso la proposta di ristrutturazione dei debiti deve prevedere espressamente l’integrale soddisfazione dei creditori che non aderiscono all’accordo, assicurando il loro regolare pagamento45. A questo proposito la relazione che attesta l’attuabilità dell’accordo dovrà indicare nel modo più analitico possibile, in quali termini, o con quali garanzie, si potranno pienamente soddisfare i creditori che all’accordo rimangono estranei.

4. La forma dell’accordo

Sebbene non sia espressamente previsto, è opinione ampiamente condivisa46 che l’accordo debba avere forma scritta, in primo luogo, perché altrimenti non può essere depositato e successivamente iscritto nel registro delle imprese, ma anche per evidenti esigenze di garanzia degli interessi dei soggetti coinvolti: dell’impresa debitrice che chiede l’omologazione di un accordo raggiunto in via stragiudiziale; del professionista che esprime un giudizio sull’attuabilità dell’accordo e sulla idoneità ad assicurare il pagamento dei creditori non aderenti; degli eventuali creditori dissenzienti; del Tribunale che ne controlla i presupposti e (eventualmente) omologa l’accordo. Ad ogni modo, vale la pena evidenziare che l’articolo 1967 del codice civile prescrive che la transazione, che è insita nell’accordo, debba essere provata per iscritto. E’ invece controversa la necessità di autenticare le sottoscrizioni alle singole adesioni come espressamente richiesto dal Tribunale Bari, con pronuncia del 21 novembre 200547. A tal proposito la norma nulla dispone, tuttavia parte della dottrina la ritiene necessaria a garanzia della provenienza del consenso48. Per altri, invece, la richiesta di autenticare le

43 Sargenti, Pactum de non petendo e remissione del debito, in Foro pad., 1959, c. 299 e segg.; Ruscello, Pactum de non petendo e vicenda modificativa del rapporto obbligatorio, in Riv.dir. civ., 1976, II, pag. 198 e segg.; Scognamiglio, Considerazioni sul pactum de non petendo alla luce di un rimediato concetto del patto nell’ordinamento attuale, in Riv. notariato, 1986, I, pag. 587 e segg.44 Perlingeri, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Comm.cod.civ., a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1975, pag. 12 e segg.; Redenti, Diritto processuale civile, I, a cura di Vellani, Milano, 1995, pag. 80.45 Tribunale di Roma 16/10/ 2006 e Tribunale di Milano, cit.46 Cfr. anche Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 135; Fabiani, Accordi di ristrutturazione dei debiti: l’incerta via italiana alla “reorganization”, in Foro it., 2006, pag. 265, Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, pag. 573; Tribunale di Brescia, cit..47 Anche per il Tribunale di Udine 27/6/2007, in Fall., 2008, pag. 701, le sottoscrizioni debbono essere autenticate da un notaio.48 Nardecchia, op.cit., pag. 36.

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firme di adesione rappresenta un complicazione (peraltro non richiesta, per esempio, nel concordato preventivo) che confligge con l’intento semplificatorio della procedura49.In ogni caso sembra chiaro che l’autenticazione delle sottoscrizioni non potrà essere effettuata dal professionista chiamato ad attestare l’attuabilità dell’accordo, in quanto non agirebbe in veste di pubblico ufficiale e conseguentemente non può essere legittimato a tale adempimento.

L’accordo può essere costituito da un unico contratto sottoscritto dalla maggioranza qualificata dei creditori, oppure da una pluralità di contratti singolarmente sottoscritti dai creditori aderenti. In entrambi i casi è però opportuno che i creditori contattati vengano messi in condizione, con chiare premesse inserite nel corpo dell’accordo, di valutare il piano di ristrutturazione complessivo.

Con l’accordo si realizza quindi una fase prettamente privatistica e stragiudiziale, nella quale il debitore rinegozia con i creditori la propria situazione debitoria, risultando così piuttosto marcate le differenze rispetto alla proposta posta a base del concordato preventivo ed al piano di risanamento e riequilibrio di cui all’articolo 67, comma 3, lettera d) L.F., che costituiscono attività interne al debitore, risolvendosi in una domanda o in fatti operativi che coinvolgono i creditori solo successivamente, mentre l’accordo necessita una loro immediata collaborazione.

Occorre infine evidenziare che una parte della dottrina è dell’opinione che agli accordi di ristrutturazione sia applicabile la formalità prevista dall’articolo 152 L.F., rubricato “proposta di concordato”. In sostanza, nel caso di accordi presentati da società di capitali e cooperative, la proposta deve essere deliberata dagli amministratori il cui verbale sarà redatto a cura di un notaio e depositato presso il registro delle imprese.

5. La documentazione da allegare al ricorso per l’omologazione

La norma prescrive che per richiedere l’omologazione dell’accordo sia allegata, oltre alla relazione di un professionista (per una disamina si rinvia al successivo § 6), anche la documentazione indicata dall’articolo 161 L.F. (relativo alla disciplina del concordato preventivo).

Il ricorso ed i documenti allegati devono essere depositati presso la Cancelleria Fallimentare del Tribunale competente in base alla sede legale (indipendentemente dalla sede principale) dell’impresa debitrice. A differenza di quanto previsto nel citato art. 161 L.F., l’art. 182-bis non prevede, al fine di determinare il Tribunale competente, l’irrilevanza del trasferimento di sede nell’anno antecedente alla presentazione del ricorso. Sebbene risulti controverso, si é quindi dell’opinione che sia competente il Tribunale ove ha sede legale l’impresa anche se trasferita da meno di un anno rispetto la data di presentazione del ricorso50.

49 Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, pag. 573; Proto, op.cit., pag. 132. Si segnala inoltre un altro punto di vista in base al quale l’autenticazione attribuirebbe alla scrittura privata la natura di titolo esecutivo a norma dell’art. 474 c.p.c. Cfr rassegna riportata in Ferro, La legge fallimentare, Commentario, a cura di M.Ferro, Cedam, 2007, sub art. 182-bis, pag. 1425. 50 Trib. Milano, 23/1/ 2007; sull’argomento: Nardecchia, op.cit., pag. 35; Proto, op.cit.; Fauceglia, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fall., 2005, pag. 1445. Favorevoli alla competenza del tribunale ove è ubicata la sede principale dell’impresa a norma dell’art. 161 L.F. con conseguente irrilevanza della sede legale e dell’eventuale trasferimento della medesima nell’anno anteriore al deposito della domanda: Ferro, op.ult.cit., pag. 1423; Zanichelli, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Torino, 2006, pag. 352; Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 136.

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La documentazione da allegare51, oltre alla relazione del professionista, è dunque la seguente:

a) un’aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa (sebbene la norma nulla disponga in merito, si ritiene opportuno che la data di riferimento non sia anteriore di oltre 120 giorni rispetto la data di deposito del ricorso);

b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;

c) un elenco degli eventuali titolari di diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore (diversi dai creditori, già indicati alla lettera precedente);

d) il valore dei beni ed i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.

6. La relazione e la responsabilità del professionista

Come anticipato al paragrafo precedente, il deposito della documentazione deve essere accompagnato da una relazione di un professionista avente i requisiti previsti dall’art. 67, 3° comma, lett. d) L.F. nonché quelli di cui all’art. 28 lett. a) e b), L.F. In sostanza il professionista deve essere iscritto nel registro dei revisori contabili ed avere i requisiti previsti per la nomina a curatore. Deve quindi trattarsi di avvocati, ragionieri o dottori commercialisti, ovvero, nel caso di studi professionali associati, o società fra professionisti, è necessario che i soci abbiano le abilitazioni poc’anzi indicate e che sia designato il professionista responsabile della relazione.

Per quanto attiene la designazione del professionista, sembra quindi opportuno evidenziare che la nomina spetta esclusivamente al debitore (come del resto accade per l’attestazione dei piani di risanamento) e non al giudice competente per l’omologazione52.

La relazione del professionista ha lo scopo di attestare l’attuabilità dell’accordo, nonché, a garanzia dei creditori rimasti estranei all’accordo, l’idoneità dello stesso ad assicurare il regolare pagamento dei medesimi. Occorre infatti attestare: “ l’attuabilità dell’accordo con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei”. Nella norma non sono però fissati i criteri che il professionista deve applicare nella valutazione. Deve quindi trattarsi di un parere consistente in un motivato giudizio professionale, dal quale possa evincersi che il piano di risanamento ha un’alta probabilità di successo53.La relazione sarà inevitabilmente basata sull’analisi dei dati aziendali (mediante l’utilizzo dei principi di revisione contabile, essendo l’iscrizione al registro dei revisori, una qualità professionale richiesta per redigere la relazione prescritta dalla norma) e, quindi, sulla situazione patrimoniale, economico e finanziaria che deve essere attentamente documentata e motivata, sebbene, a differenza di quanto previsto per il concordato

51 Non è richiesta l’allegazione anche delle scritture contabili in quanto la gestione dell’impresa rimane affidata all’imprenditore.52 Così anche in Tribunale di Milano, 16/7/2008; Tribunale di Brescia, 2/8/ 2007.53 Ferro, op.ult.cit., pag. 1426 e segg.; Bello, in Il nuovo diritto della crisi di impresa e del fallimento (a cura di) F.Di Marzio, Milano, 2006, pag. 494; Galletti, I piani di risanamento e di ristrutturazione, in Riv.trim.dir.e proc.civ., 2006, pagg. 1212 e segg.; Orlandi e Bagaglio, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis l.f.): effetti di natura civilistica, fiscale e contabile, in Fisco, 2006, pag. 10.

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preventivo, non è esplicitamente richiesta un’attestazione di veridicità dei dati medesimi54. L’attuabilità dell’accordo, si concretizza in un esame prognostico dello scenario futuro che deve analizzare la conseguibilità degli obiettivi prefissati mediante le risorse messe a disposizione dal debitore55. Nel caso certamente più frequente, ossia quello dell’accordo che propone la remissione di parte dei debiti o la loro dilazione, il professionista dovrà verificare se esiste un’alta probabilità che l’imprenditore sia in grado di effettuare il pagamento rinegoziato coi creditori aderenti, nonché il regolare pagamento alle scadenze previste per i creditori estranei.

Il professionista dovrà quindi svolgere l’incarico con particolare diligenza e sarà ritenuto responsabile, secondo il regime della responsabilità:

contrattuale: per i danni causati alla debitrice che ha conferito l’incarico (art. 1218 c.c.); extracontrattuale: per quelli causati ai creditori o ai terzi (art. 2043 c.c.). E’ però

opportuno evidenziare che detta responsabilità, data la complessità dell’incarico, possa configurarsi solo nei casi di colpa grave (connessa ad una palese violazione della necessaria diligenza professionale) o di dolo (che, in caso di fallimento, potrebbe comportare un’imputazione per bancarotta, in concorso col debitore). Non sembra infine superfluo assumere che ogni interessato sia legittimato all’esercizio dell’azione risarcitoria e che, in caso di fallimento, tale azione potrà essere esercitata dal curatore per il danno subito dalla massa56.

Non è invece configurabile una responsabilità penale ex art. 64 cpc in quanto il professionista non è un consulente tecnico nominato dal magistrato.

7. Iscrizione, opposizioni e omologazione del Tribunale

L’imprenditore o il legale rappresentante della debitrice deve chiedere la pubblicazione dell’accordo sul registro delle imprese. A questo proposito occorre evidenziare che il termine “pubblicazione” è da intendersi in senso atecnico, in quanto la regolamentazione del registro delle imprese non prevede pubblicazioni, ma solo “iscrizioni” e “depositi”. Nel caso specifico si è dedotto che sia l’iscrizione ad assolvere l’onere della pubblicazione richiesta dalla legge e da cui decorre il termine per la proposizione delle eventuali opposizioni.Non è invece chiaro quale debba essere l’oggetto della pubblicazione. Secondo alcuni è sufficiente richiedere l’iscrizione della notizia dell’intervenuto accordo, e l’informazione che il medesimo e la documentazione allegata sono depositati presso il Tribunale competente. Non sarebbe quindi necessario iscrivere l’intero documento contrattuale costituito dalla proposta e dall’accettazione con la relazione del professionista e gli allegati previsti57. Vi è invece chi sostiene la necessità di chiedere l’iscrizione al registro delle imprese di una copia dell’originale precedentemente depositato in Tribunale58.

54 Contra, Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 145, ove si ritiene che il professionista debba attestare la veridicità dei dati aziendali stante il rinvio alle formalità di cui all’art. 161 L.F. 55 Valensise, Art. 182-bis, in AA.VV, La riforma della legge fallimentare (a cura di) A. Nigro. M. Sandulli, Torino, 2006, II, pag. 1095; De Crescienzo-Panzani, Il nuovo diritto fallimentare, Milano, 2005, pagg. 71 e segg.56 Ambrosini, Accordi di ristrutturazione, in Trattato dir.comm., diretto da Cottino, vol. 11, Cedam, 2008; Presti, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, pagg. 35; Verna, I nuovi accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis l.f., in Dir.fall., I, 2007, per il quale i singoli creditori sono legittimati all’azione ex art. 2043 c.c. solo in caso di dolo o colpa grave del professionista.57 Proto, op.cit.; Fauceglia, gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge 80/2005, in Il fall., 2005, pag. 1449; Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, pag. 581.

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Secondo questo indirizzo è dunque indispensabile che l’accordo con la relativa documentazione siano prima presentati in Tribunale e quindi iscritti nel registro imprese allo scopo di consentire ai creditori ed ai terzi di prenderne visione per presentare tempestivamente eventuali opposizioni.

Altra parte della dottrina e della giurisprudenza è di opinione contraria. Secondo quest’ultima impostazione il ricorso per l’omologazione deve essere depositato nella cancelleria del Tribunale con la prova dell’avvenuta pubblicazione sul registro delle imprese, in caso contrario il Tribunale dovrebbe dichiarare l’inammissibilità della domanda59. Sembra questa la tesi più convincente anche perché proceduralmente, se si facesse precedere il deposito nella cancelleria alla pubblicazione sul registro imprese, il Tribunale adito non sarebbe in grado di procedere nel giudizio di omologazione, nel caso in cui, per assurdo, il debitore, dopo aver depositato l’accordo in cancelleria, rimanesse inerte (il regolamento del registro delle imprese infatti non prevede un termine per questo adempimento) e non si preoccupasse di pubblicare l’accordo60. Occorre inoltre sottolineare che l’improcedibilità sembra potersi desumere anche dal testo letterale della norma, la quale richiede che il tribunale proceda all’omologazione “decise le opposizioni” e poiché il termine per presentarle decorre dalla pubblicazione dell’accordo sul registro delle imprese, risulta evidente che tale pubblicazione debba logicamente precedere il deposito nella cancelleria61.

Dal punto di vista operativo, l’iscrizione dell’accordo nel registro imprese deve essere richiesta telematicamente, mediante il modello S2 per le società, o il modello I2 per gli imprenditori individuali. La documentazione da allegare al modello consiste nell’accordo e nella relazione del professionista. Tali documenti devono essere riprodotti in versione informatica con firma digitale rispettivamente del notaio che ha autenticato la sottoscrizione dichiarandone la conformità all’originale62, nonché del professionista sul file della relazione che redatto. Sotto il profilo fiscale, l’accordo di ristrutturazione redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata è soggetto ad imposta di registro a tassa fissa.

58 Nardecchia, op.cit., pag. 103 e segg. ove si evidenzia che l’accordo e la relazione del professionista devono essere considerati unitariamente, così: “nei primi orientamenti dei Conservatori del Registro [il deposito] deve avere per oggetto copia dell’accordo di ristrutturazione e della relazione dell’esperto dichiarati conformi agli originali depositati nella cancelleria del tribunale ai sensi dell’art. 19 D.P.R. 445/2000 ”; cfr. “Prontuario per la presentazione degli atti societari con invio telematico” delle Camere di Commercio della Lombardia, n. 51, novembre 2005. La prassi instaurata dal Tribunale di Milano sembra prevedere invece l’ordine inverso, richiedendo prima la pubblicazione sul registro imprese e quindi il deposito del ricorso presso la cancelleria. Della stessa opinione anche il Tribunale di Bari, cit., ove si presuppone l’iscrizione dell’accordo presso il registro imprese, non essendo sufficiente il rapporto di trasmissione telematica poiché dal medesimo non è possibile evincere la data di avvenuta pubblicazione.59 Ferro, op.ult.cit., pag. 1434; Michelotti, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis, in NDS, 2005, pag. 17 e segg.. Cfr. prassi del Tribunale di Milano e Tribunale di Bari, cit..60 Sull’argomento della mancata pubblicazione nel registro delle imprese, accertata in via incidentale nel procedimento per la dichiarazione di fallimento e sull’inefficacia dell’accordo, si è espressa la Corte di appello di Trieste, 4/09/07, in Dir. fall., 2008, con nota di Manente, nella quale si mette in evidenza che l’omessa pubblicazione provoca il “fermo del meccanismo essenziale nel percorso procedimentale dell’omologazione”.61 In questo senso cfr.: Camera di Commercio di Livorno – Tribunale di Livorno, La pubblicità degli accordi di ristrutturazione dei debiti – art. 182-bis, luglio 2006.62 Nel caso l’accordo sia costituito da un fascio di singoli contratti, occorrerà allegare tanti file tutti sottoscritti digitalmente dai rispettivi notai che ne hanno autenticato le firme.

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* * * * *

Entro trenta giorni dall’iscrizione (termine che si reputa perentorio63 ed a cui dovrebbe potersi applicare il periodo di sospensione feriale di cui all’art. 1 della L. 742/69), i creditori ed ogni altro interessato64 (per esempio, un amministratore dissenziente della società debitrice; i garanti; i soci illimitatamente responsabili i quali non potrebbero beneficiare degli effetti esdebitatori dell’accordo, a differenza di quanto accade nel concordato preventivo ex art. 184, 2° comma, L.F.; i lavoratori dipendenti che ritengano sia messo in pericolo il loro posto di lavoro, ecc.) possono proporre opposizione purché abbiano un interesse che legittimi la loro azione.Naturalmente, i creditori legittimati all’opposizione sono solo quelli non aderenti all’accordo che, in caso di successivo fallimento, verrebbero pregiudicati dalla contrazione del patrimonio del debitore per effetto dell’irrevocabilità degli atti compiuti in esecuzione dell’accordo.

La norma non specifica i possibili motivi per l’opposizione che, quindi, potrà riguardare sia gli aspetti formali che il merito dell’accordo65. In particolare potrà avere ad oggetto la sua effettiva attuabilità, nonché, per quanto riguarda i creditori dissenzienti, l’idoneità a garantire il loro regolare pagamento. E’ infatti già stato più volte evidenziato che l’omologazione dell’accordo impedisce, in caso di successivo fallimento, la revocatoria dei pagamenti effettuati in attuazione dell’accordo con conseguente possibile pregiudizio delle ragioni dei creditori non aderenti. L’opposizione deve essere proposta mediante ricorso, il quale non sospende l’efficacia dell’accordo (nell’immediato: l’inibizione delle azioni esecutive individuali per 60 giorni dalla pubblicazione).

Il giudizio di omologazione si apre comunque col deposito dell’accordo, indipendentemente dalla presentazione di opposizioni, le quali influiranno sull’instaurazione del contraddittorio che dovrebbe svolgersi con le modalità di cui all’art. 180 L.F.66: gli opponenti dovranno costituirsi almeno dieci giorni prima dell’udienza per lo scambio di memorie ed eventuali eccezioni processuali o di merito, nonché per l’indicazione dei mezzi istruttori. Si è inoltre del parere che occorra l’assistenza legale di un difensore in applicazione del principio di cui all’art. 82, 3° comma, c.p.c..In mancanza di opposizioni, il Tribunale provvederà senza instaurare il contraddittorio, effettuando un controllo di: legittimità: il ricorso deve essere completo degli allegati e devono esistere le

condizioni necessarie per accedere alla procedura (l’impresa deve avere i requisiti prescritti dalla legge67: esercizio dell’attività commerciale, superamento delle soglie di fallibilità, stato di crisi);

merito: l’accordo deve essere concretamente attuabile68 anche in relazione all’esistenza delle risorse da destinare ai creditori che ne rimangono estranei. Al fine di effettuare tale controllo il Tribunale potrà anche avvalersi di una consulenza tecnica d’ufficio (Trib. di Rimini 20 marzo 2009) laddove non ritenga sufficiente l’attestazione del professionista-revisore contabile. Si esclude infatti che, in assenza di opposizioni, il Tribunale si debba limitare ad una funzione notarile di certificazione dell’intervenuto

63 Nardecchia, op.cit., pag. 69.64 L’estensione dei legittimati ad ogni interessato è un ulteriore elemento a favore della tesi della natura concorsuale degli accordi di ristrutturazione dei debiti; cfr. Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 148.65 Ferro, op.ult.cit., pag. 1434.66 Cfr. Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 152.67 Tribunale di Brescia 22/02/2006 e Tribunale Bari 21/11/ 2005.68 Tribunale di Milano 24/01/2007 e 16/2/ 2007.

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accordo, nel rispetto meramente formale dei requisiti richiesti dalla legge, senza valutarne inquisitoriamente l’effettiva attuabilità. Tale valutazione non potrà però spingersi fino a sindacare la “convenienza” dell’accordo che, in assenza di opposizioni, è rimessa all’esclusivo apprezzamento dei creditori. Si tratta comunque di una verifica che il Tribunale deve necessariamente condurre a tutela degli interessi generali dovuti alla concorsualità dell’istituto che si ritiene siano imposti anche dalla mancanza di una figura, come quella del commissario giudiziale nel concordato preventivo, che esamini il contenuto dell’accordo69.

Dopo aver deciso in merito alle eventuali opposizioni, il Tribunale si pronuncia con decreto motivato in camera di consiglio. Concede l’omologazione se reputa che l’accordo sia attuabile (con retrodatazione dell’efficacia all’iscrizione nel registro delle imprese), altrimenti, nel caso non sussistano le condizioni previste dalla legge, negherà l’omologazione. In quest’ultimo caso l’accordo si scioglie, salvo diverso patto fra debitore e creditori (come indicato in precedenza, l’accordo, ove previsto nell’ambito dei negoziati, potrebbe mantenere efficacia stragiudiziale). In ogni caso, il diniego dell’omologazione non consente di procedere con l’automatica dichiarazione di fallimento (come invece previsto dagli artt. 162 e 173 L.F. in tema di concordato preventivo), attesa, da una parte, l’autonomia del procedimento, ma anche la mancanza di uno dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, ossia lo “stato di insolvenza”. Occorre infatti ribadire che il presupposto dell’accordo è uno “stato di crisi” che non necessariamente determina anche lo stato di insolvenza. Ne consegue che il Tribunale, dovrà disporre una separata istruttoria pre-fallimentare nella quale accertare la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento.

Il decreto di omologazione o di diniego deve essere pubblicato nel registro delle imprese presso la Camera di Commercio competente. La norma nulla dispone circa l’obbligato a tale iscrizione, ma si è dell’opinione70 che a questo adempimento debba provvedere d’ufficio la cancelleria del Tribunale. Dal punto di vista fiscale, il decreto di omologazione, a parere informale dell’Agenzia delle Entrate, è da assoggettare all’imposta proporzionale di registro in misura pari al 3%. L’opinione non sembra affatto condivisibile in quanto l’art. 8, lettera g) della tariffa, parte I, allegata al D.P.R. 131/86, prescrive che i decreti di omologazione debbano essere assoggettati esclusivamente a tassa fissa. Non è previsto un termine per l’iscrizione del decreto nel registro delle imprese, tuttavia entro 15 giorni dalla pubblicazione è reclamabile da parte di chiunque sia interessato (si ritiene siano legittimati anche i creditori non aderenti che in sede di omologazione non si fossero opposti) davanti alla Corte d’Appello. La norma nulla dispone in merito al rito da seguire dinanzi alla Corte limitandosi a richiamare l’art. 183 L.F. in forza del quale è prevista la pronuncia in camera di consiglio. Secondo quindi l’opinione prevalente si dovrebbero applicare le norme del rito camerale di cui all’art. 739 c.p.c. e segg. anche se, l’ultimo comma dell’art. 182-bis L.F., dispone termini e decorrenze per il reclamo del tutto autonomi rispetto a quelli previsti dall’art. 739 c.p.c..

Il reclamo non sospende l’esecuzione dell’accordo omologato e la sentenza della Corte d’Appello potrà essere a sua volta impugnata mediante ricorso in Cassazione.

69 Guglielmucci, op.cit., pag. 160; Tribunale di Bari, cit..70 Cfr.: Camera di Commercio di Livorno e di Modena.

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8. Gli effetti per il debitore, i creditori aderenti, quelli estranei ed i terzi

Occorre ora prendere in considerazione gli effetti, in parte già anticipati, dell’accordo omologato in capo ai diversi soggetti coinvolti.

Essi sono così riepilogabili:

1) per il debitore:a) già anteriormente all’omologazione, l’accordo acquista efficacia dal giorno della

pubblicazione sul registro delle imprese ed impedisce, per 60 giorni, a qualunque creditore (anche quelli estranei) di iniziare o proseguire azioni esecutive che abbiano titolo e causa anteriore a tale data. Lo scopo di tale moratoria è quello di impedire che taluni creditori si avvantaggino a sfavore di altri. A tal fine si applica il 2° comma dell’art. 168, secondo il quale le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti rimangono sospese e le decadenze non si verificano. Successivamente, l’accordo omologato determina la protezione del patrimonio del debitore nei confronti dei creditori aderenti. Non spiega invece efficacia nei riguardi degli estranei che potranno tutelare le loro ragioni nel modo che riterranno più conveniente (fermo restando che in caso di fallimento subiranno la diminuzione del patrimonio su cui soddisfarsi, per effetto dell’irrevocabilità degli atti compiuti in esecuzione dell’accordo);

b) l’accordo omologato ha natura novativa del rapporto obbligatorio fra debitore e creditori aderenti, conseguentemente, in caso di successivo fallimento, le pretese creditorie saranno quelle pattuite nell’accordo medesimo e non quelle originarie;

c) le sopravvenienze attive che si dovessero generare per effetto dell’accordo sulla remissione di parte del debito, sono imponibili ai fini della determinazione delle imposte sui redditi, a differenza di quanto previsto per il concordato preventivo (art. 88, comma 4°, DPR 917/1986);

2) per i creditori aderenti:a) sono esclusi dall’azione revocatoria fallimentare gli atti, i pagamenti e le garanzie

posti in essere in esecuzione dell’accordo a condizione che sia omologato (art. 67, 3° comma, lett. e);

b) nel caso di fallimento successivo all’omologazione dell’accordo, rimarranno invece applicabili tutte le altre norme ed in particolare: l’art. 64 L.F. circa l’inefficacia degli atti gratuiti; il 65 L.F. circa l’inefficacia dei pagamenti di crediti non scaduti; il 67 L.F. fatto salvo quanto precisato alla lettera precedente.

3) per i creditori non aderenti: il dibattito dottrinale è stato ed è particolarmente vivace perché la norma si limita a prescrivere che l’accordo deve “assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei”. Il termine “regolare” dà infatti adito ad una serie di dubbi interpretativi perché può significare “integrale” (che verosimilmente sarebbe stato un aggettivo più appropriato e meno foriero di dubbi), o “nel rispetto della scadenza”, ma vi è anche chi ha sostenuto che possa essere “conforme a criteri di proporzione”. Ci si domanda infatti se i creditori non aderenti possano ritenersi completamente estranei all’accordo perché saranno integralmente soddisfatti ovvero, se subiscano anche loro l’eventuale stralcio di una parte del proprio credito o, patiscano le eventuali rinunce già approvate dalla maggioranza dei creditori. Un primo indirizzo giurisprudenziale, a cui ha fatto seguito parte della dottrina, ha ritenuto omologabile l’accordo che prevede il pagamento ai creditori estranei della stessa percentuale

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offerta agli aderenti71. Si è sostenuto che l’analogia esistente fra gli accordi di ristrutturazione ed il concordato preventivo non potesse escludere una proposta remissoria e/o dilatoria automaticamente estendibile ai creditori non aderenti.L’opinione prevalente in dottrina e giurisprudenza è invece andata in senso opposto pronunciandosi per la necessità dell’integrale pagamento ai creditori estranei alle scadenze convenute72, sebbene non sia ritenuto necessario che il pagamento venga effettuato con mezzi normali73.Anche la differenza rispetto all’istituto del concordato preventivo porta ad analoga conclusione. La procedura di concordato richiede il rispetto della par condicio vincolando tutti i creditori (art. 184 L.F.) i quali debbono essere espressamente avvisati ed hanno la facoltà di partecipare alla deliberazione-votazione che costituisce l’atto necessario per procedere all’omologazione. L’accordo di ristrutturazione non ha i medesimi vincoli. Non è richiesto che tutti i creditori siano informati74 (è prevista solo l’iscrizione presso il registro delle imprese che è indubbiamente un mezzo di conoscibilità meno tutelante rispetto ad una comunicazione diretta tramite raccomandata); il rispetto della par condicio può essere ampiamente derogato e non sono previste modalità di votazione, perché l’accordo è concluso in via esclusivamente stragiudiziale e, come tale, è soggetto alle regole previste in materia di contratti. Occorre inoltre considerare che non necessariamente potrebbe essere stato proposto un pagamento con un’unica percentuale a cui fare riferimento anche per i creditori estranei. Il debitore potrebbe infatti aver proposto ai propri creditori modalità di pagamento assai diversificate, fino a negoziarle anche individualmente. Ad ogni modo, anche laddove fosse stata pattuita un’unica modalità di soddisfazione parziale del credito, non si vede come questa possa essere applicabile ai creditori estranei all’accordo, se non violando il 2° comma dell’art. 1372 c.c., il quale dispone che “il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge”; e la legge, sull’argomento, non dispone alcuna deroga.

4) per i terzi: si tratta ad esempio dei soci illimitatamente responsabili, i fideiussori ed i coobbligati. Nella fase delle trattative che precedono la stipula degli accordi è opportuno prendere in considerazione anche la posizione di questi soggetti al fine di pattuire espressamente l’estensione, o meno, degli effetti dell’accordo anche a loro. La regola generale disciplinata dall’art. 1301 c.c. prevede infatti che gli atti di remissione (salvo il creditore abbia riservato il suo diritto) a favore di uno dei debitori in solido, liberano anche gli altri debitori. Ci si è chiesti, tuttavia, se anche agli accordi di ristrutturazione si debba applicare l’art. 184 L.F. che deroga a tale principio generale, lasciando impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso. Vi è chi, stando al tenore letterale dell’art. 184 L.F. rubricato “effetti del concordato per i creditori”, è del parere che debba applicarsi esclusivamente al concordato preventivo e non alla disciplina degli accordi di ristrutturazione. Tuttavia è già stato osservato che la dottrina prevalente ritiene che gli accordi di ristrutturazione

71 Tribunale di Milano 15/11/2005 (decr.) in Dir. Fall., 2006, I, pag. 675 con nota favorevole di Pezzano.72 Proto, op.cit., pag. 132 e segg.; Nardecchia, op.cit., pag. 52 e segg.; Ferro, op.ult.cit ., pag. 1428; Guglielmucci, op.cit., pag. 339; Tribunale di Brescia, ult.cit.; Tribunale di Bari, cit.; Tribunale di Milano 23/1/2007 (che ha modificato il precedente orientamento ritenendo che i creditori estranei debbano essere interamente soddisfatti).73 Ambrosini, op.ult.cit., pag. 174 e segg., secondo il quale non vi è ragione per escludere il pagamento tramite cessione di credito o di cespiti; cfr. D’Ambrosio, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella nuova legge fallimentare, in Le nuove procedure concorsuali, a cura di Bonfatti e Falcone, Milano, 2006, pag. 530 e segg.; contra Marano, La ristrutturazione dei debiti e la continuazione dell’impresa, in Fall., 2006, pagg. 102 e segg.74 sebbene un’informativa generalizzata a tutti i creditori sia ritenuta doverosa, soprattutto nel caso il debitore si trovi in stato di insolvenza; cfr. Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 141.

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rientrino a pieno titolo fra le procedure concorsuali per le ragioni già in precedenza illustrate. Conseguentemente, in via analogica, si dovrebbe poter applicare l’art. 184 L.F. il quale dispone che i creditori “conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso” derogando quindi alla regola generale dell’art. 1301 c.c, secondo la quale “La remissione a favore di uno dei debitori in solido libera anche gli atri debitori, salvo che il creditore abbia riservato il suo diritto verso gli altri”. Conseguentemente il decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione avrà l’efficacia di estinguere il credito per la quota eccedente la somma che, in base al negoziato fra le parti, rimane dovuta, lasciando tuttavia inalterata la posizione giuridica dei coobbligati e dei fideiussori il cui rapporto obbligatorio nei confronti dei creditori rimarrà immutato, a meno che non sia stato diversamente ed espressamente convenuto75.

9. L’esecuzione dell’accordo e le conseguenze dell’inadempimento

A differenza di quanto previsto dall’art. 186 L.F. per il concordato preventivo, la legge nulla dispone né in relazione alle modalità di esecuzione, né circa l’inadempimento dell’accordo omologato che, in base all’opinione prevalente, non determina l’automatica apertura del fallimento, dovendosi procedere con una specifica istruttoria allo scopo di accertare la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge. Si è tuttavia del parere che, anche in caso di inadempimento, gli effetti dell’accordo omologato non potranno essere rimossi con le tradizionali azioni contrattuali di risoluzione (artt. 1453 e segg. c.c.)76 o di annullamento poiché il provvedimento giudiziale di omologazione sottrae l’accordo alla libera disponibilità contrattuale delle parti. Non potranno infatti essere travolti o rimossi gli effetti dell’accordo omologato mediante l’esperimento di ordinarie azioni contrattuali, essendo detti effetti contemplati dal provvedimento giudiziale.Pur in assenza di disposizioni di legge, si ritiene quindi possa applicarsi in via analogica l’art. 186 L.F., relativo alla risoluzione disciplinata nel concordato preventivo a tutela dei creditori pregiudicati dall’accordo, ma si tratta comunque di un’ipotesi che non presenta alcun vantaggio, poiché anche in caso di successivo fallimento i pagamenti già effettuati non potrebbero essere revocati77. Non avranno invece interesse ad agire i creditori rimasti estranei all’accordo, se non nel caso in cui non vengano regolarmente soddisfatte le loro ragioni. Infatti, in caso di mancato pagamento, potranno rivolgersi al tribunale per chiedere il fallimento del debitore.

Assai differente dovrebbe invece essere il trattamento dell’accordo che non ha ottenuto l’omologazione, in quanto rimarrebbe interamente disciplinato dalle norme del codice civile. Nella prassi è frequente l’inserimento della condizione risolutiva espressa che priva l’accordo di validità nel caso il debitore sia dichiarato fallito. Il pactum de non petendo che spesso costituisce l’essenza dell’accordo, viene dunque privato di efficacia in quanto, per alcuni, verrebbe meno la causa del concordato stragiudiziale che è quello di evitare il

75 Bonsignori, Del concordato, in commentario Scialoja-Branca, a cura di Bricola, Galgano, Santini, (artt. 118 – 145), Bologna-Roma, 1977; Lo Moro Banzi, Solidarietà, espropriazione e procedure concorsuali, Padova, 1989, pag. 168; Maira, Concordato fallimentare e solidarietà passiva, in Dir.fall., 1969, II, pag. 801-803.76 Parte della dottrina ritiene invece che i creditori aderenti debbano chiedere al Tribunale la risoluzione del medesimo secondo la disciplina generale prevista per la risoluzione del contratto per inadempimento. La risoluzione dell’accordo farà perdere efficacia al contenuto novativo del medesimo, con la conseguenza che i crediti riassumeranno la loro veste originaria.77 Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 175-176.

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fallimento del debitore. Per questa parte della dottrina il concordato stragiudiziale sarebbe dunque viziato da nullità (che è rilevabile d’ufficio e può essere fatta valere da chiunque abbia interesse) per mancanza della causa (almeno quando non ottenga il risultato di evitare il fallimento)78 il che renderebbe superflua la previsione di una condizione risolutiva espressa (o anche solo implicita79). Per quanto attiene gli effetti nel successivo fallimento, l’azione di nullità ha, rispetto all’azione revocatoria fallimentare (che colpisce atti validi ed efficaci), il vantaggio di essere imprescrittibile (art. 1422 c.c.), fatto salvo il limite della prescrizione della conseguente azione di ripetizione. Per altri, il fallimento sopravvenuto, provoca invece lo scioglimento del contratto (a seguito dell’irraggiungibilità dello scopo comune, ossia la rimozione dello stato d’insolvenza80) e non la sua risoluzione, in quanto, quest’ultima, non potrebbe essere invocata nell’ipotesi in cui il fallimento fosse stato dichiarato nonostante il regolare adempimento del contratto stragiudiziale da parte del debitore. In tal caso, si è affermato che il fallimento determinerebbe lo scioglimento del contratto ripristinando la posizione giuridica delle parti anteriore all’accordo. Al di là delle diverse correnti di pensiero, occorre comunque evidenziare che condizione risolutiva, scioglimento e risoluzione hanno in comune il medesimo effetto finale che è quello di travolgere, con effetto retroattivo, l’accordo stragiudiziale.

10.La successione di procedure

Qualora successivamente all’omologazione dell’accordo venga dichiarato il fallimento del debitore, come già più volte evidenziato, gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato, non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare (art. 67, 3° comma, lett. e, L.F.). Se l’accordo ha contenuto novativo, manterrà inalterata la sua efficacia anche dopo la dichiarazione di fallimento, a meno che i contraenti non abbiano espressamente pattuito che tale dichiarazione costituisca condizione risolutiva dell’accordo medesimo.Vi sono tuttavia anche altri aspetti da considerare; in particolare non è chiaro da quando si debba calcolare il periodo sospetto ai fini dell’azionabilità della revocatoria fallimentare. Sebbene la dottrina sia di tutt’altro avviso, si è già evidenziato che per la giurisprudenza prevalente (in senso contrario un’isolata sentenza del Tribunale di Milano 21 dicembre 2005) l’accordo di ristrutturazione dei debiti non ha la natura di procedura concorsuale, conseguentemente non potranno essere applicati i principi giurisprudenziali in tema di consecuzione di procedure concorsuali, cosicché, il periodo sospetto potrà essere calcolato solo dalla dichiarazione di fallimento e non quindi fatto retroagire dalla pubblicazione dell’accordo. Analogamente, i mezzi finanziari eventualmente messi a disposizione al fine di adempiere l’accordo (in particolare nuove linee di credito concesse dal sistema bancario, o comunque le successive forniture di beni o servizi), non potranno godere di prededuzione nella consecutiva procedura fallimentare.Un ulteriore aspetto riguarda l’eventuale restituzione di prestiti ai soci o finanziamenti infragruppo effettuata in esecuzione dell’accordo. Nel successivo fallimento l’esclusione dalla revocatoria non fa venir meno la norma speciale di cui all’art. 2467 c.c. che dispone la postergazione del rimborso dei finanziamenti soci, rispetto alla soddisfazione degli altri creditori. In tale caso i beneficiari di dette restituzioni dovranno rimettere a disposizione della curatela le somme ricevute.

78 Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 124 e segg.79 Cass., 16/3/1979, n° 1562, in Dir. Fall., 1979, II, pag. 357.80 Frascaroli Santi, op.ult.cit., pag. 197.

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11.La transazione fiscale

Nell’ambito delle trattative che precedono la stipula dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, l’impresa in crisi può proporre un pagamento parziale o dilazionato (cosiddetta “transazione fiscale” di cui al 6° comma dell’art. 182-ter L.F. come modificato dal D.L. 185/2008 art. 32, comma 5°, in vigore dal 29/11/08) sia per debiti tributari81 che contributivi. L’istituto della transazione fiscale nell’ambito degli accordi di ristrutturazione è mutuato dalla disciplina prevista per il concordato preventivo ed esteso agli accordi medesimi, con limitate varianti.

Oggetto della proposta di transazione sono i tributi e relativi accessori amministrati dalle Agenzie fiscali. Si tratta quindi delle imposte dirette sul reddito imponibile: IRPEF, IRES, ILOR ed IRAP. Quest’ultima imposta, sebbene tributo non erariale, è amministrata dall’Agenzia delle Entrate. Sono inoltre ricomprese le imposte indirette, ossia le imposte di registro, ipotecarie e catastali; nonché l’INVIM. Fa eccezione l’IVA che deve, invece, essere corrisposta integralmente, con la sola facoltà di poterne proporre il pagamento dilazionato. E’ però possibile proporre la transazione per gli accessori correlati, ossia sanzioni ed interessi. La transazione non è quindi proponibile per i tributi locali, ossia quelli di competenza degli enti territoriali, quali: ICI, Tassa rifiuti, Tassa di occupazione del suolo pubblico, imposta sulle pubblicità e pubbliche affissioni.Infine, la proposta di transazione può riguardare i contributi (e relativi accessori) amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie82.

La norma impone dei limiti all’autonomia negoziale delle parti soprattutto perché, nel caso specifico, una delle parti è preposta alla tutela di interessi pubblici, conseguentemente, la legge nel disciplinarne il potere ne limita anche la discrezionalità (anche perché, salvo espressa deroga legislativa, il credito tributario è, di per sé, indisponibile). Occorre quindi evidenziare che, nel caso di semplice dilazione dei pagamenti, per temporanea situazione di obiettiva difficoltà, il concessionario per la riscossione dei tributi può concedere la diluizione del pagamento fino ad un massimo di 72 rate mensili (art. 19 D.P.R. 602/73). I crediti tributari chirografari possono essere inclusi nella transazione anche se non iscritti a ruolo, ma il loro trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari, ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole.Anche i crediti tributari muniti di diritto di prelazione (IRPEF, IRES, ILOR, IRAP, INVIM, ecc.) possono essere inclusi nella transazione anche se non iscritti a ruolo. La proposta deve prevedere però una soddisfazione (in percentuale, termini di pagamento ed eventuali garanzie offerte) non inferiore a quella offerta ai creditori aventi un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie fiscali.

La proposta di transazione relativamente ai crediti tributari deve essere depositata presso l’Ufficio competente, in base all’ultimo domicilio fiscale del debitore, tenuto alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni presentate o dagli avvisi di irregolarità ricevuti. Per i tributi già iscritti a ruolo dovrà invece essere depositata presso l’agente per la riscossione competente.

81 L’istituto è commentato dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n° 40/E del 18/04/08 e 14/E del 10/04/09.82 Il trattamento dei crediti contributivi dovrà essere definito con decreto del Ministero del lavoro di concerto con il Ministro dell’economia, che, al momento, non sembra sia stato emanato.

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Nei 30 giorni successivi al deposito della domanda, l’assenso (che equivale alla sottoscrizione dell’accordo) od il diniego alla proposta di transazione sarà rilasciato, per i tributi non iscritti a ruolo, dal direttore dell’Ufficio su conforme parere della competente direzione regionale; mentre per i tributi iscritti a ruolo, dall’agente della riscossione su indicazione dell’Ufficio, previo parere conforme della direzione regionale competente.

La decisione sulla proposta di transazione impone una verifica circa la sussistenza dei requisiti formali e procedurali previsti dalla legge ed in particolare le modalità di trattamento dei crediti tributari chirografari e privilegiati. E’ altresì necessaria una valutazione nel merito (tenendo conto dei principi di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa, allo scopo di tutelare nel miglior modo possibile gli interessi pubblici, tra i quali si annoverano non solo quelli erariali, ma anche la difesa dell’occupazione, la continuità dell’attività produttiva, ecc.) della proposta rispetto a quanto verosimilmente recuperabile in caso di fallimento del debitore.

12.Gli aspetti penali

Come accennato in premessa occorre analizzare i possibili risvolti penali dell’accordo di ristrutturazione omologato, al quale consegua il fallimento per inadempimento dell’accordo medesimo.Anzitutto è opportuno evidenziare che l’esplicito riconoscimento legislativo dell’ammissibilità degli accordi stragiudiziali, al fine di risolvere la crisi aziendale, elimina i dubbi espressi in passato circa la presunta illiceità di detti accordi (cfr. § 1).E’ però anche vero che l’istituto introdotto dall’art. 182-bis L.F. ha le proprie peculiarità e conseguentemente emergono nuovi aspetti da considerare alla luce delle disposizioni penali, tra i quali anche la responsabilità civile e penale del professionista che attesta l’attuabilità dell’accordo di ristrutturazione, ma anche la concessione di nuova finanza da parte degli istituti di credito.Se dal punto di vista civile, l’insuccesso dell’accordo, non penalizza gli atti compiuti in esecuzione del medesimo, in quanto protetti dall’azione revocatoria fallimentare (art. 67, 3° comma, lett. e); la riforma non ha modificato nulla dal punto di vista penale. Ciò non toglie che occorrerebbe affrontare la questione tenendo conto del significativo mutamento della disciplina fallimentare, ridimensionando la rilevanza penale alla condotte chiaramente fraudolente, ossia all’esecuzione di accordi di ristrutturazione palesemente inattuabili83 posti in essere allo scopo di differire la dichiarazione di fallimento o favorire alcuni creditori al posto di altri.Sembra anzitutto che l’accordo di ristrutturazione, se omologato, possa di per sé escludere il rischio di incorrere nel reato di bancarotta semplice per aver compiuto operazioni di grave imprudenza ed aver aggravato il dissesto (art. 217, 1° comma, nn° 3 e 4). L’istituto si pone infatti in contrapposizione rispetto alla prassi, seguita in passato, di proporre concordati stragiudiziali, non espressamente disciplinati, quale espediente per differire l’accesso ad una delle procedure tipiche. L’accordo di ristrutturazione introdotto nella legge fallimentare richiede infatti una duplice analisi: una prima, da parte del professionista che sarà chiamato ad attestarne l’attuabilità, nonché la sua idoneità a 83 Dottrina e giurisprudenza si sono confrontate sulle singole fattispecie delittuose senza però raggiungere uniformità di pensiero. Cfr. Velensise, in AA.VV., La riforma della legge fallimentare, a cura di Nigro e Sandulli, sub art. 182-bis, Giappichelli, 2006, pag. 1107; Ambrosini, op.ult.cit., pag. 184 ove si fa riferimento a contributi di Alessandri, Profili penalistici delle innovazioni in tema di soluzioni concordate delle crisi d’impresa, in Crisi dell’impresa e riforma delle procedure concorsuali (atti del convegno di Courmayeur, 23-23 settembre 2005), Milano, 2006, pag. 165.

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garantire il regolare pagamento dei creditori che rimangono estranei; a cui segue un’ulteriore verifica da parte del Tribunale che accerta, nel giudizio di omologazione, la sussistenza dei requisiti di legittimità e di merito previsti dall’art. 182-bis L.F. Appare quindi evidente che in tale ipotesi, fatta salve eventuali condotte fraudolente, risulta difficilmente configurabile una condotta imprudente dell’imprenditore tendente a ritardare dolosamente la richiesta del fallimento in proprio, tale da causare l’aggravamento del dissesto patrimoniale.In una situazione diversa, e la si analizzerà in chiusura del paragrafo, si porrà invece l’imprenditore che ha dato corso ad accordi stragiudiziali al di fuori della disciplina di cui all’art. 182-bis, ovvero, nel caso in cui l’accordo non abbia poi conseguito l’omologazione da parte del Tribunale.

Un problema particolarmente dibattuto riguarda la configurabilità del reato di bancarotta preferenziale (art. 216, 3° comma, LF) nel caso in cui l’accordo di ristrutturazione dei debiti preveda, come spesso accade, trattamenti differenziati fra i creditori e l’imprenditore si trovi in stato di insolvenza. Conseguentemente, com’è già stato sottolineato, il reato non ricorre se il presupposto dell’accordo è soltanto uno stato di crisi temporanea e non di insolvenza conclamata.Avendo riguardo ora ad uno degli aspetti caratterizzanti l’istituto, ossia l’esclusione oggettiva dalla revocatoria degli atti di esecuzione dell’accordo omologato, l’ipotesi delittuosa sembrerebbe potersi configurare soltanto nei casi di palese inattuabilità dell’accordo medesimo qualora eseguito con indubitabile volontà di dolosa preferenza. Il reato è infatti punibile a condizione che ricorra il dolo specifico, ossia che il fallito abbia agito allo scopo di favorire uno o più creditori in danno di altri84, situazione che non pare potersi ravvisare assodato che lo scopo dell’accordo è invece quello di risanare la situazione debitoria complessiva, sebbene in modo spesso differenziato. E’ stato inoltre evidenziato che i patti inseriti negli accordi di ristrutturazione omologati, seppur lesivi della par condicio, consentono di escludere l’incriminazione anche per effetto del consenso (nel presupposto che siano stati compiutamente messi al corrente dell’intero piano di ristrutturazione) dei creditori che ne risultano penalizzati85. Si tratta in altre parole della medesima giustificazione che offriva copertura dal rischio penale ai concordati stragiudiziali, diffusi nella prassi prima della riforma, a condizione che fossero conclusi col consenso di tutti i creditori86.Dal punto di vista di eventuali responsabilità per il creditore si evidenzia che concorre nel reato quando non si limita a ricevere il pagamento, ma istiga o determina il fallito ad effettuarlo. Deve inoltre sussistere anche per il creditore l’elemento soggettivo del dolo specifico, ossia la consapevolezza di aver ricevuto un’indebita preferenza e di avere determinato un pregiudizio agli altri creditori.

84 Sandrelli, Prime considerazioni sui riflessi della legge 80 del 2005 sul comparto penale della legge fallimentare, in Fall., 2005, pag. 1218; Giuliano Balestrino, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 2006.85 Insolera, Riflessi penalistici della nuova disciplina del concordato preventivo e delle composizioni extragiudiziali della crisi dell’impresa, in Giur.comm., I, 2006, pag. 446; Bonfatti-Censoni, La riforma della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, Padova, 2006, pag. 277 e segg.86 Frascaroli Santi, Effetti della composizione stragiudiziale dell’insolvenza, Cedam, 1995, pag. 110; Pedrazzi-Sgubbi, Reati commessi dal fallito – Reati commessi da persona diversa dal fallito, in Commentario Scialoja-Branca, Legge fallimentare, a cura di F.Galgano, Bologna-Roma, 1997, pag. 126 e segg.; Pedrazzi, Consenso dell’avente diritto, in Enc.Dir., IX, Milano, 1961, pag. 150 e segg.; Grosso, Consenso dell’avente diritto, in Enc.giur.Treccani, Roma, 1988.

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Un’ulteriore fattispecie di reato è il ricorso abusivo al credito (art. 218 LF) che, nel caso degli accordi di ristrutturazione pone nuovi problemi interpretativi sui quali la dottrina non ha raggiunto una posizione uniforme.Il reato si configura nella condotta di chi ricorre o continua a ricorrere al credito (inteso in senso ampio, comprendendo anche quello concesso da semplici fornitori) dissimulando il dissesto dell’impresa. Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, perché il reato si consumi è sufficiente il dolo generico, ossia la volontà di ricorrere al credito nella consapevolezza che il proprio stato di dissesto arrecherà danno alle ragioni dei creditori. I soggetti lesi sono quindi i creditori danneggiati ed il curatore (per conto della massa dei creditori), che devono dare prova del nesso di causalità tra concessione immeritata del credito e pregiudizio economico conseguito. Ciò premesso occorre considerare che, mentre il regime delle autorizzazioni previsto nel concordato preventivo, porta ad escludere il carattere abusivo delle attività di sostegno finanziario, negli accordi questi controlli non esistono e né l’omologa, né la relazione del professionista possono costituire una esimente assoluta. Infatti secondo l’impostazione più rigida si è prospettata la configurazione del reato, in caso di successivo fallimento, in quanto le disposizioni penali non sono state modificate escludendo da responsabilità i soggetti che finanziano l’impresa in crisi87. Salvo condotte dolose da accertarsi di volta in volta, si é invece sostenuto che non può essere illecita la conclusione di accordi privati che mirano al salvataggio dell’impresa ed alla rimozione dello stato di insolvenza, il che porterebbe ad escludere anche la responsabilità dei soggetti finanziatori che mettono a disposizione nuove risorse finanziarie per conseguire detto obiettivo88. Tale responsabilità dovrebbe essere a maggior ragione escludibile laddove il piano di ristrutturazione abbia superato il vaglio del professionista ed abbia poi ottenuto l’omologazione del Tribunale che, anche in assenza di opposizioni, non si limita ad un giudizio di mera legalità, essendo tenuto ad una valutazione circa la coerenza e l’attuabilità dell’accordo, nonché, soprattutto, sulla sua rispondenza ad assicurare il regolare pagamento dei creditori che ne rimangono estranei. Occorre però tener presente anche le opinioni di quella parte della dottrina che ritengono che il giudizio di omologazione si debba circoscrivere ai controlli di mera legalità senza dunque entrare nel merito dell’attuabilità, con la conseguenza che i creditori che si pongono come nuovi finanziatori sarebbero tenuti, al fine di evitare di concorrere nel reato, ad effettuare una propria attenta valutazione dell’attuabilità del piano di risanamento89. L’incertezza potrà essere superata solo con un intervento legislativo che si preoccupi di coordinare la normativa penale con la riforma del diritto fallimentare.

Differenti sono invece le considerazioni da farsi a proposito degli accordi stragiudiziali che non abbiano conseguito l’omologazione. Come accennato, una tesi anteriore alla riforma, riteneva illegittimi gli accordi stragiudiziali nel caso non avessero raggiunto lo scopo di eliminare lo stato d’insolvenza. Questa tesi si sosteneva anche sulla risalente impostazione del codice del commercio del 1882, in base alla quale si riteneva che l’imprenditore in stato d’insolvenza avesse il dovere di chiedere il proprio fallimento. Oggi, per effetto delle argomentazioni già illustrate, la dottrina prevalente tende ad affermare che

87 Ferro, op.ult.cit, pag. 1429 e segg.; Bonfatti, La disciplina dell’azione revocatoria, Milano, 2005, pag. 203 e segg.; di diverso parere Panzani, Le sezioni unite e la responsabilità per concessione abusiva di credito (prima parte), in www.fallimento.ipsoa.it88 Allegretti, La concessione abusiva di credito: evoluzioni e prospettive alla luce della riforma della legge fallimentare, in Dir.fall., 2007, I, pagg. 588 e segg.89 Nardecchia, op.cit., pag. 103 e segg. ove si precisa che “l’effettiva situazione finanziaria della società sovvenuta al momento del finanziamento costituisce il primo elemento per individuare la responsabilità della banca” ed anche che “la consapevolezza della banca circa la fattibilità del piano di ristrutturazione dipende anche dall’efficacia degli strumenti di controllo in suo possesso”.

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l’imprenditore non abbia un dovere, ma il diritto di chiedere il proprio fallimento per tutelare il patrimonio dalle azioni esecutive individuali90 che si trasforma in un dovere quando, l’omessa richiesta del fallimento in proprio, potrebbe provocare un aggravamento del dissesto91. Partendo dunque dal presupposto che l’imprenditore non ha alcun obbligo di chiedere il proprio fallimento, si desume come l’omessa richiesta rientra nella sfera del lecito e che muta in illecito solo se, all’omissione, consegue causalmente un aggravamento del dissesto. Il punto, per la prevalente dottrina penalistica, non è dunque l’omessa richiesta del proprio fallimento, ma l’aggravamento del dissesto dal quale scaturisce l’imputabilità per il reato di cui all’art. 217, n° 3 e 4 (bancarotta semplice per aver compiuto operazioni di grave imprudenza ed aver aggravato il dissesto). Perché si configuri la fattispecie di reato anche nel caso di accordi stragiudiziali non omologati, deve quindi essere dimostrato il rapporto di causalità fra la condotta omissiva e l’evento. Occorre però evidenziare che molto spesso le trattative concluse in sede stragiudiziale pongono le condizioni contrarie. Si tratta infatti di negoziati che hanno lo scopo di migliorare la situazione patrimoniale e finanziaria poiché l’imprenditore onesto (a differenza di colui che ha intenti fraudolenti) persegue lo scopo di eliminare lo stato d’insolvenza92 e risanare l’azienda. Se dunque dal punto di vista oggettivo, il reato si configura purché vi sia lo stato d’insolvenza ed un aggravamento del dissesto, sotto il profilo soggettivo si ritiene che saranno rilevanti le condotte per le quali sussista, non la semplice colpa, ma quella grave. La ratio della norma penale è quella di colpire, non qualunque comportamento dell’imprenditore (che rischierebbero di paralizzare qualunque iniziativa), ma solo quello che si pone in palese violazione del dovere di prudenza e diligenza93, oppure quando è palese l’intento di ritardare il fallimento ovvero di perpetrare frodi a danno di uno o più creditori.Su questo punto la giurisprudenza94 era da ultimo propensa a ritenere che l’accordo stragiudiziale non violava a priori l’art. 217, n° 4, L.F., dovendo il giudice effettuare uno specifico accertamento per stabilire se, nella condotta effettivamente posta in essere dall’imprenditore, potesse ravvisarsi una grave violazione dei doveri di prudenza e diligenza. Questo orientamento, tendente ad escludere la responsabilità dell’imprenditore se, la condotta di quest’ultimo, era rivolta a ridurre il dissesto mediante accordi stragiudiziali, ha certamente contribuito ad ispirare la riforma della legge fallimentare. In conclusione, i concordati stragiudiziali e gli accordi di ristrutturazione non omologati non possono in modo assoluto essere considerati illeciti. Si dovrà infatti accertare, caso per caso, se la condotta dolosa o, per lo meno gravemente colposa, dell’imprenditore ha provocato un aggravio del dissesto.

90 Guglielmucci, op.cit., pag. 46; Provinciali, Diritto di fallire, in Riv.dir.proc.civ., 1932, pag. 281; De Semo, Diritto fallimentare, 5° ed., Padova, 1968, pag. 132; Ferrara, Il fallimento, Milano, 1995, pag. 239, nota 1; Bione, Disposizioni generali, Dichiarazione di fallimento (art. 5), in Commentario alla legge fall. Scialoja Branca, diretta da Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, 1974, pagg. 185 e segg.91 Ferrara, Il fallimento, Milano, 1995; Antonioni, Bancarotta semplice, Napoli, 1962, pagg. 174-175.92 E’ già stato evidenziato che non è sempre semplice determinare il momento in cui si verifica lo stato d’insolvenza rispetto ad una situazione di crisi ancora transitoria.93 La Monica, I reati fallimentari, Milano, 1972, pag. 394; Tagliarini, I delitti aggravati dall’evento, 1979, pagg. 188 e segg.94 Cass., 16/3/1979, n° 1562, in Dir.fall., II, pag. 356; Cass. 26/2/ 1990, n° 1432, in Fall., 1990, pag. 495; Trib. Roma 22/10/ 1982, in Dir.fallim., 1983, II, pag. 1155.

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13.Le legislazioni straniere e cenni storici sulla normativa italiana

Anche negli ordinamenti stranieri95 sono disciplinati istituti similari a quello qui analizzato. Si tratta di norme caratterizzate da un comune denominatore: offrire possibili soluzioni alla crisi aziendale. Talune sono rivolte alla liquidazione del patrimonio, mentre altre si propongono di risanare l’impresa, sebbene tutte si propongano, contemporaneamente, di salvaguardare, nel miglior modo possibile, i creditori.In particolare risulta interessante proporre una rapida panoramica degli ordinamenti più vicini al nostro, quali quello: tedesco, spagnolo, portoghese, francese, inglese ed americano.

La riforma tedesca del 1994, denominata Insolvenzordnung, ha introdotto significative innovazioni rispetto alla Konkursordnung del 1877, eliminando l’alternativa fra il fallimento ed il concordato preventivo ai quali ha sostituito un procedimento unitario flessibile. Il nuovo procedimento offre la possibilità di risanare l’azienda attraverso l ’Insolvenzplan96, oppure di sfociare in una vera e propria liquidazione quando il risanamento risulti inattuabile.L’Insolvenzplan è un vero e proprio piano di ristrutturazione aziendale, il cui contenuto, estremamente variabile, é lasciato alla libera disponibilità dell’imprenditore, dei creditori o anche del curatore. Perché acquisisca efficacia necessità però dell’approvazione del giudice, nell’ottica conservativa dell’impresa (anche trasferendo l’azienda ad altro imprenditore), seppur tenuto conto dell’esigenza di salvaguardare i creditori.Occorre infine evidenziare che, anche in Germania, è diffusa la prassi di ricorrere a concordati stragiudiziali tendenti a risolvere la crisi aziendale mediante intervento del sistema bancario. In tali casi, l’istituto finanziario maggiormente esposto si incarica di negoziare con l’imprenditore il piano per risollevare le sorti aziendali ed eliminare l’insolvenza.

Il diritto fallimentare spagnolo è stato riformato con la Ley 22/2003 de 9 de julio, concorsuale97, in vigore dal 1° settembre 2004, la quale ha unificato il procedimento concorsuale (prima suddiviso fra vari istituti in base a determinati presupposti soggettivi ed oggettivi) denominato “el concurso” che si applica non solo agli imprenditori, ma anche alle persone fisiche. Si caratterizza per una fase comune che successivamente potrà avere un esito liquidatorio o, in alternativa, conservativo attraverso la “convenio” che di fatto consiste in un concordato giudiziale. La convenio ha come presupposto una proposta ai creditori che può essere molto articolata e flessibile. Con la riforma si è inoltre creata la Juzgados de lo Mercantil (di ispirazione francese) che è una magistratura avente competenza specifica in materia concorsuale.

La riforma portoghese entrata in vigore con il Código da Insolvencia e da Recuperacao de Empresas di cui al decreto legge n. 53 del 18 marzo 2004, ha modificato la struttura del procedimento revocando il precedente codice98 risalente ad appena un decennio prima.

95 Cfr. l’analisi comparata del sistema concorsuale francese, spagnolo e portoghese: Candelario Macìas Isabel, L’armonizzazione del diritto concorsuale nell’ambito dell’UE, in Dir. fall., 1999, I, pag. 358 e segg.96 Guglielmucci, La predisposizione e il vaglio del piano di risanamento, in Fall., 1999, pag. 712; ID., Il diritto concorsuale tedesco fra risanamento e liquidazione, in Fall., 2003, pag. 993.97 Maria Isabel Alvarez Vega, Funzione conservativa del “concurso de acreedores” nella riforma del diritto fallimentare spagnolo, in Dir.Fall., 2004, pag. 760 e segg.; Maria Jesùs Penas Mojano, El derecho concursal espanol. La ley concursal de 9 de julio de 2003, in Dir.fall., 2004, pag. 781 e segg.98 Còdigos dos Processos Especiais de Recuperacao de Empresa e de Falencia (Codice dei Processi speciali di Fallimento e di Recupero delle Imprese).

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In caso di insolvenza, il debitore (non necessariamente un imprenditore) può procedere alla liquidazione dei propri beni, ovvero proporre un piano di risanamento che deve essere approvato dai propri creditori e omologato dal giudice. Nella nuova disciplina, i poteri dell’autorità giudiziaria hanno subito un drastico ridimensionamento, a fronte del potenziamento di quelli dell’”amministratore” della procedura, tanto che, la gestione dell’insolvenza, di fatto, è quasi interamente sottratta all’autorità giudiziaria99. Il modello francese100 trae ispirazione non solo dalla riforma tedesca, ma anche dal diritto fallimentare spagnolo e portoghese. La rinnovata disciplina fallimentare è stata introdotta in Francia nel 1984 anche se ha subito via via numerose modifiche fino al 2005. In particolare con la L. 48-148 del 1984 fu disciplinato il Reglement amiable des difficulteés des entreprises, mentre con la L. 85-98 del 1985 fu previsto il Redressement judiciaire des entreprises. La successiva riforma del 1994 ha poi valorizzato la prevenzione della crisi aziendale agevolando il réglement amiable, senza trascurare l’esigenza di tutelare maggiormente i creditori privilegiati e chirografari tramite modifiche al redressement judiciaire101 che ha comunque mantenuto lo scopo di consentire il risanamento aziendale. L’ulteriore riforma disposta dalla Loi de sauvegarde des entreprises del 26 luglio 2005 ha poi delineato le procedure attualmente vigenti: Mandataire ad hoc, Conciliation, Sauvegarde, Redressement judiciaire, Liquidation judiciaire.Il Mandataire ad hoc prevede in sostanza la figura di un professionista incaricato di affiancare e coadiuvare l’imprenditore nel tentativo di gestione e superamento della crisi. La Conciliation e la Sauvegarde102 hanno sostituito il règlement amiable. Con la prima, il Tribunale nomina un conciliateur che ha quattro mesi per trovare un accordo fra i creditori e l’imprenditore allo scopo di favorire la soluzione della crisi. L’accordo viene omologato se consente la prosecuzione dell’attività e la ripresa dei pagamenti, altrimenti la procedura si estingue automaticamente.La Sauvegarde è il nuovo asse portante della riforma (che da questo istituto prende la denominazione). Si tratta di un mezzo riservato al debitore in difficoltà che può anche essere un libero professionista e non quindi necessariamente un imprenditore. Il debitore deve presentare un piano di risanamento da sottoporre a due comitati dei creditori, composti, uno dalle banche, l’altro dai principali fornitori. Viene omologato dal Tribunale se ottiene il voto favorevole dei 2/3 dei crediti complessivi, nonché quello del 50% degli aventi diritto di voto.

Il Regno Unito ha riorganizzato il sistema con l’Insolvency Act del 1985 e 1986 e, più recentemente, con l’Enterprise Act del 2002, entrato in vigore il 1° aprile 2004. Questo ordinamento si caratterizza per aver previsto varie procedure: la Administration procedure (parte II dell’Insolvency Act), la Administrative receivership procedure (parte III dell’Insolvency Act) e lo Scheme of Arrangements (Company voluntary Arrangement) ora disciplinato dal Companies Act del 2006 quale alternativa alla negoziazione privata.

99 Per approfondimenti: De Carvallo Fernandes Luis Alberto, Profili generali del nuovo regime dell’insolvenza nel diritto portoghese, in Dir.Fall., 2004, I, pag. 1418.100 Ripert G.Y. – Roblot R., Traité de droit commercial, 14 ed., Tome 2, Paris, L.G.D.J., 1994, pag. 1287, 828; Canin, La réforme du redressement et de la liquidation judiciaires des enterprises, in Rev.juris comm., 1994, pagg. 364-365; Marie Jeanne Campana, L’impresa in crisi: l’esperienza del diritto francese, in Fall., 2003, pag. 982 e segg.101 Rangoni, La prévention des difficulteés des entreprises nella legge francese di riforma n° 475 del 10 giugno 1994, in Dir.fall., 1996, I, pagg. 269 e segg.. Per un’analisi comparata: Guernelli, La riforma delle procedure concorsuali in Francia e in Italia, in Dir. fall., 2008, I, pag. 258.102 Sardet, Réforme des faillites, ou le privilége de la réconciliation, in Rev.proc.coll., n. 1, pag. 25.

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In caso d’insolvenza la persona fisica, in alternativa alla procedura liquidatoria (bankruptcy) può ricorrere all’Individual voluntary Arrangement che consente un accordo coi creditori mantenendo la gestione in capo al debitore dei propri beni103.La Administration procedure è un procedimento flessibile che ha lo scopo di risanare l’impresa ovvero di liquidarla.L’Administrative receivership procedure si caratterizza perché consente ai creditori privilegiati in possesso della floating charge104 (particolare garanzia su beni a consistenza variabile, quale il magazzino) di nominare un Administrative receiver (iscritto all’albo degli Insolvency practitioners) il quale ha il compito di organizzare la ristrutturazione ed il salvataggio aziendale salvaguardando al contempo i creditori che lo hanno nominato (charge holder). I creditori che non beneficiano di detta garanzia hanno invece la possibilità di nominare un commissario liquidatore.

Il sistema inglese, patria della common law, basata su norme non scritte, si caratterizza anche per aver dato vita al cosiddetto London Approach, istituito nel 1989.Trattasi di un sistema di regole e principi generali, ai quali le banche creditrici devono attenersi nel porre in essere il tentativo di salvataggio aziendale. Nell’ambito di questo peculiare istituto, le banche, col coordinamento della Banca d’Inghilterra, si impegnano a mantenere od ampliare le linee di credito all’azienda in crisi che, sulla base di un piano di ristrutturazione condiviso, abbia la possibilità di riequilibrare la situazione economico-finanziaria105. A questo proposito, si osserva che anche nell’ordinamento italiano106, sebbene con modalità del tutto differenti, è stata introdotta una disciplina che ha lo scopo di consentire alle banche di partecipare alla gestione stragiudiziale dell’insolvenza aziendale.

Un cenno merita infine la disciplina statunitense che si caratterizza per il noto Chapter 11 del Bankruptcy Code, il quale prevede la Reorganization, in cui si trovano disciplinati gli accordi tra i debitori in crisi ed i loro creditori. Nella procedura trova applicazione il principio c.d. del cram down, in base al quale è sufficiente che almeno una classe di creditori sia favorevole all’accordo, per imporre l’accordo anche ai creditori dissenzienti, purché il loro trattamento non risulti meno favorevole rispetto a quello che otterrebbero in caso di liquidazione dell’impresa;

* * * * *La normativa italiana, pur prendendo spunto anche dalle procedure suddette nel disciplinare gli accordi di ristrutturazione, non ha previsto l’obbligatorietà dell’accordo o, in alternativa, la regola del cram down, in base alla quale è possibile omologare l’accordo purché i creditori dissenzienti possano essere soddisfatti in misura non inferiore alle alternative concretamente attuabili. Inoltre, in caso di fallimento, non è stato espressamente previsto il beneficio della prededuzione per i crediti sorti nella fase di esecuzione dell’accordo. Le incertezze palesate nei paragrafi precedenti, sebbene 103 Cornelli-Felli, Efficiency of bankruptcy procedures, in Temi di discussione, Servizio Studi della Banca d’Italia, n. 245, 1994, pag. 22.; Walters, Personal insolvency after the Enterprise Act, in “Company law”, 25, 2004, pag. 6.104 Prentice D., Odith F., Seagal N., Administration, part II of the Insolvency Act 1986, in Current developments, in International and comparative insolvency law, a cura di J.S. Ziegel, Claredon press, Oxford, pagg. 73 e segg.; Fletcher I.F., The Law of Insolvency, London, 1996. 105 Kent P., La ristrutturazione finanziaria nell’esperienza inglese: la proposta londinese, in Banca, Impresa, società, 1993, pag. 196; ID., Corporate workouts: a UK perspective, in Crisi d’impresa e risanamento, ruolo delle banche e prospettive di riforma, a cura di Masciandaro e Riolo; Valente, The London Approach (le procedure di “concertazione delle crisi” secondo le banche inglesi), in Dir.fallim., 1998, pagg. 360 e segg.106 T.U. delle Leggi in materia bancaria e creditizia - emanato con D.Lgs. 1° settembre 1993, n° 385, entrato in vigore il 1° gennaio 1994.

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possano essere risolte in via interpretativa, di fatto si pongono come ostacoli ad un piano di risanamento che prevede la continuazione dell’impresa (anziché la mera liquidazione). In particolare, i dubbi sulla prededucibilità dei crediti sorti successivamente all’omologazione dell’accordo, non potranno che causare difficoltà all’impresa nell’acquistare prodotti e servizi dai propri fornitori (se non, eventualmente, previo contestuale pagamento), o nuova finanza da parte del sistema bancario (se non predisponendo eventuali specifiche garanzie).

* * * * *

L’utilizzazione di istituti similari è comunque parte della nostra esperienza giuridica fin dal tardo medioevo, nel corso del quale gli accordi erano già conosciuti con la denominazione di “concordati”. Avevano una causa simile a quella dell’attuale transazione, benché occorra evidenziare che il “concordato” venne sempre concepito “pro favore et comodo creditorum”, quale strumento destinato prevalentemente alla tutela degli interessi dei creditori. Offriva però l’opportunità, al debitore, di evitare il verificarsi degli effetti penali e personali propri della dichiarazione di insolvenza.Successivamente, sotto l’influsso della legislazione napoleonica, si riconobbe il valore del “concordato amichevole stragiudiziale” concluso fra debitore e creditori aderenti, senza l’intervento del magistrato. Aveva l’effetto di introdurre una modificazione del rapporto obbligatorio preesistente che doveva ottenere l’adesione di un numero di creditori sufficiente a far cessare lo “stato di fallimento” del debitore. Nella sostanza, non si aveva la novazione del rapporto, salvo non fosse stato espressamente pattuito, poiché l’accordo aveva esclusivamente la conseguenza tipica del pactum de non petendo. La proposizione della proposta di concordato presupponeva quindi lo stato di insolvenza, con la conseguenza che laddove non fosse cessato per effetto dell’adesione di un numero sufficiente di creditori, uno qualunque di quelli rimasti estranei avrebbe potuto chiedere il fallimento del debitore. Il concordato non richiedeva il rispetto della par condicio creditorum, come invece era prescritto per la liquidazione concorsuale.Infine, in vigenza del codice del commercio del 1882, la dottrina era arrivata ad elaborare una teoria generale del concordato stragiudiziale, qualificandolo come un contratto la cui causa era costituita dalla volontà di evitare il fallimento.

(A cura di Alessandro Bergonzini)

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