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Università degli Studi Roma Tre Dipartimento di Studi Aziendali Corso di Laurea Magistrale in Economia Aziendale Curriculum: Audit e Valutazioni Aziendali Tesi di Laurea in Revisione Aziendale Interna Evoluzione della funzione di Internal Audit & Compliance: il caso del gruppo FCA Relatore: Candidata: Prof. Carlo Regoliosi Giada Giorgiantoni Correlatore: Prof. Giustino Di Cecco Anno Accademico 2014/2015

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Università degli Studi Roma Tre

Dipartimento di Studi Aziendali

Corso di Laurea Magistrale in Economia Aziendale

Curriculum: Audit e Valutazioni Aziendali

Tesi di Laurea in

Revisione Aziendale Interna

Evoluzione della funzione di Internal Audit & Compliance:

il caso del gruppo FCA

Relatore: Candidata:

Prof. Carlo Regoliosi Giada Giorgiantoni

Correlatore:

Prof. Giustino Di Cecco

Anno Accademico 2014/2015

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Indice Premessa .................................................................................................................................... 1

Capitolo 1 Generalità sull’Internal Audit in FCA ................................................................ 8

1.1 Definizioni ed aspetti normativi ....................................................................................... 9

1.1.1 La Sarbanes Oxley Act statunitense ........................................................................ 14

1.1.2 Aspetti della normativa italiana: il D. lgs. 231/01 e la Legge n. 262/05 ................. 18

1.1.3 Il Codice di Autodisciplina della Borsa Italiana ..................................................... 21

1.2 La funzione di Internal Audit nel sistema di Corporate Governance ............................. 24

1.2.1 L’evoluzione dall’Ispettorato Fiat alla funzione di revisione interna in FCA ........ 28

1.2.2 L’Internal Audit in FCA .......................................................................................... 33

Capitolo 2 Il sistema di controllo interno in FCA ............................................................... 39

2.1 Il sistema di controllo interno: aspetti definitori ............................................................ 40

2.2 Gli obiettivi del sistema di controllo interno .................................................................. 43

2.3 Struttura di sistema di controllo interno ......................................................................... 46

2.4 I rapporti tra l’internal auditor e i principali attori del sistema di controllo interno ...... 51

2.5 Il modello proposto nel COSO I .................................................................................... 53

2.6 Gli elementi del sistema di controllo interno nel framework COSO ............................. 56

2.7 I limiti del framework COSO I ...................................................................................... 61

2.8 Adozione dei framework COSO da parte di Fiat Group ................................................ 63

2.9 Enterprise Risk Management ......................................................................................... 66

2.10 Adozione dell’ERM in FCA ........................................................................................ 72

2.11 Il framework COSO III per il report finanziario .......................................................... 77

2.12 Adozione del framework COSO III in FCA ................................................................ 85

2.12.1 Dettagli dell’implementazione del framework COSO III presso FCA ................. 88

2.12.2 Il processo di controllo interno dei report finanziari di Fiat: la situazione prima

della fusione ..................................................................................................................... 95

Capitolo 3 . Governance, Risk Management and Compliance in FCA ........................... 100

3.1 GRC: Governance, Risk Management and Compliance .............................................. 101

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3.2 L’implementazione della fusione dei processi di controllo interno di Fiat e Chrysler in

FCA .................................................................................................................................... 105

3.2.1 La pianificazione del processo di convergenza dei sistemi di controllo interni di

Fiat e Chrysler ................................................................................................................ 106

3.2.2 I modelli alla base della nuova struttura organizzativa ......................................... 110

3.2.3 Struttura progettuale del processo di convergenza ................................................ 113

3.3 Il progetto di convergenza verso una infrastruttura IT unificata a supporto del controllo

interno di FCA .................................................................................................................... 117

3.3.1 Il prodotto IT: caratteristiche generali ................................................................... 118

3.3.2 Il prodotto IT: gestione e tracciatura dei dati ........................................................ 121

3.3.3 Il prodotto IT: supporto all’operatività nei controlli ............................................. 123

3.3.4 Il prodotto IT: supporto nei monitoraggi ............................................................... 125

3.4 Il progetto “GeRiCo”: convergenza fra Fiat e Chrysler in merito a SOX/ICFR/IA/ERM

............................................................................................................................................ 127

3.4.1 Il nuovo GRC dal punto di vista dei processi di business ..................................... 130

3.4.2 L’impatto sulle attività dell’Internal Audit ........................................................... 133

3.4.3 Struttura e organizzazione del nuovo Internal Audit, impatti funzionali

sull’infrastruttura informatica ........................................................................................ 136

Conclusioni ............................................................................................................................ 144

Bibliografia ........................................................................................................................... 148

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Premessa

L’ intento di questa tesi è quello di fornire una descrizione del sistema di controllo

interno, e più specificatamente della funzione di “Internal Audit & Compliance” di Fiat

Chrysler Automobilies (FCA), delineando la storia di questa funzione all’interno del Gruppo

automobilistico, e in particolare illustrando il processo di convergenza delle attività di

controllo interno di Fiat e di Chrysler in seguito alla fusione tra i due marchi automobilistici

che ha originato la FCA.

Affrontiamo inoltre il tema Governance, Risk Management e Compliance (GRC) nei suoi

aspetti generali e nella declinazione specifica che gli è stata conferita in FCA; in particolare la

caratteristica di accentrare la definizione del modello GRC attorno al concetto di gestione del

rischio.

Per svolgere questa analisi ci si è avvalsi non soltanto della letteratura esistente in materia

di processi di controllo interno e in particolare di internal audit, ma anche, e soprattutto, del

materiale documentale al quale abbiamo avuto accesso durante uno stage effettuato presso il

dipartimento di “Internal Audit & Compliance” di FCA a Torino.

La documentazione fornita è costituita da presentazioni e documenti interni sia del

management che quelli destinati alla formazione degli auditor, oltre ai piani di progetto delle

attività da svolgere, specifici compiti attribuiti alle singoli funzioni e strumenti operativi,

prevalentemente sotto forma di fogli elettronici (Excel e PowerPoint).

Questo materiale è stato vagliato, organizzato e filtrato prima di essere impiegato nella

redazione di questa tesi.

L’obiettivo centrale del lavoro svolto è stato principalmente quello di descrivere il

processo di convergenza e il progetto predisposto da FCA per realizzarlo, ma anche l’utilizzo

di questo materiale e la recentissima storia di gestione manageriale, per illustrare i mutamenti

delle responsabilità e le attese che una funzione di Internal Audit di una grande azienda

multinazionale è chiamata a soddisfare.

In effetti il controllo della reportistica finanziaria, pur rimanendo un tema centrale, anche

a fronte degli obblighi normativi sia italiani che statunitensi, non esaurisce l’ambito di

applicabilità delle attività poste in essere dall’Internal Audit.

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Infatti l’IA deve pianificare le azioni di engagement e monitoraggio su tutte le aree di

business aziendali, in quanto ciascun processo aziendale è esposto a rischi, e il risk

assessment è una delle tematiche cruciali della corporate governance moderna, di cui il

controllo interno e l’Internal Audit sono chiamati ad occuparsi.

La tesi è divisa in tre capitoli, dei quali il primo inquadra l’ambito della materia e

richiama le nozioni necessarie per focalizzare correttamente quanto esposto nei due capitoli

seguenti.

In particolare, oltre a una parte introduttiva, dove sono ricordate alcune definizioni relative

alle funzioni di internal audit nelle aziende, ai loro obiettivi e alle loro strutture organizzative,

si richiamano i riferimenti normativi che devono essere posti a fondamento di qualsiasi azione

legata all’audit in tema di reportistica finanziaria.

Poiché lo scopo dell’elaborato non è una trattazione puramente teorica, bensì

l’applicazione allo studio del caso FCA, i richiami svolti nel primo capitolo sono concisi e

orientati al tipo di realtà che intendiamo approfondire.

Per questo motivo, essendo FCA una multinazionale nata dalla fusione di un gruppo

italiano, Fiat, e un gruppo statunitense, Chrysler, sono stati esaminati degli aspetti riguardanti

le normative italiane e statunitensi (in particolare la legge 262/05 e la Sarbanes-Oxley Act,

SOX) relative ai reati aziendali di frode finanziaria.

Per ciascuna delle normative ricostruiamo brevemente la loro storia, in modo da capirne la

ratio e la ragion d’essere, e spiegando sinteticamente i meccanismi legislativi stabiliti da

queste leggi per limitare i comportamenti fraudolenti, in particolare ad opera di membri

interni delle organizzazioni aziendali.

Oltre agli interventi del Legislatore, si evidenziano anche altre normative e linee guida,

emanate da istituzioni come per esempio la Borsa Italiana e il suo Codice di Autodisciplina,

che tracciano e orientano la strutturazione delle funzioni di controllo le quali, oltre a

promuovere l’efficacia e l’efficienza dei processi aziendali, hanno anche lo scopo di

monitorare la conformità di questi ultimi alle normative interne ed esterne all’azienda, e di

tracciare standard e linee guida da seguire nelle attività di business.

Successivamente è trattato, in quanto centrale nel modello FCA di controllo interno, il

rapporto fra quest’ultimo e la corporate governance del sistema aziendale: emerge la centralità

del concetto di risk assessment con tutti i passaggi che ne conseguono, ed orientati alla

mitigazione, accettazione, trasferimento e a qualsiasi altra forma di gestione del rischio.

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Il primo capitolo si conclude con un esame preliminare della situazione Fiat, e in

particolare con una breve ricostruzione storica di come le tematiche del controllo interno sono

state interpretate dall’azienda torinese: correlando i dati storici con gli interventi normativi,

mostriamo come l’azienda abbia sempre fatto proprie le istanze delle normative volte a

garantire la conformità agli standard e alle regole, e a sanzionare i comportamenti fraudolenti.

Questa disamina è anche l’occasione per prendere contatto con la realtà organizzativa

delle funzioni di audit e controllo in Fiat prima della fusione con Chrysler: dati da tenere ben

presenti quando, nell’ultimo capitolo di questo lavoro, illustriamo il processo di convergenza

fra le funzioni omologhe nelle due aziende che hanno dato luogo a FCA.

Sull’Internal Audit di FCA e sulla sua organizzazione di massima verte la conclusione del

primo capitolo: una prima analisi di questa entità aziendale introduce gli elementi che

caratterizzano il secondo capitolo, dedicato alla descrizione del sistema di controllo interno di

FCA.

In questo secondo capitolo richiamiamo le definizioni fondamentali da tenere presenti in

tema di controllo interno, con particolare riferimento alle grandi società multinazionali,

ponendo in relazione il controllo interno con il sistema di risk management e, in modo ancor

più omnicomprensivo, con la corporate governance aziendale.

In particolare, ci soffermiamo sulla organizzazione di un tipico sistema di controllo

interno, avendo sempre in mente l’esempio al quale si vogliono applicare queste definizioni e

questi concetti.

Si evidenziano così le caratteristiche che un moderno sistema di controllo interno deve

possedere per poter essere ritenuto tale, caratteristiche che nel corso del tempo sono mutate e

che al giorno d’oggi rispecchiano la maggiore complessità e interconnessione della realtà

aziendale sia a livello delle sue componenti interne che quelle esterne.

Descriviamo inoltre la tipica struttura di un sistema di controllo interno, svolgendo delle

considerazioni generali e collegando la discussione in particolar modo al rapporto col sistema

di risk management.

Una volta chiariti struttura, obiettivo e ambito del sistema di controllo interno abbiamo

posto questi elementi in relazione con l’Internal Audit, mostrando quali siano nelle grandi

organizzazioni le molteplici relazioni fra l’ Internal Auditor e i principali attori del sistema di

controllo interno.

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Abbiamo posto l’accento quindi sul ruolo centrale del Consiglio di Amministrazione e

delle cariche esecutive, sia a livello di decisione e indirizzamento strategico, che a livello di

supervisione, sulla base di una reportistica efficace e tempestiva, delle attività di controllo e

monitoraggio.

Tema centrale del secondo capitolo sono gli standard per i sistemi di controllo interno: in

particolare poniamo attenzione ai modelli COSO (dal nome del Committee of Sponsoring

Organizations of the Treadway Commission) e ERM (Enterprise Risk Management).

Emanazione della stessa istituzione statunitense (PCAOB), questi modelli si sono

affermati come dei veri e propri standard, e particolarmente rilevanti ai fini della nostra

discussione in quanto adottati in modo totale e completo da Fiat prima e FCA poi.

Nel fornire la descrizione dei modelli COSO ed ERM, e anche del cosiddetto COSO III,

implementato in FCA ai fini del controllo della reportistica finanziaria, si è posta molta

attenzione nell’evidenziare gli aspetti utili alla successiva discussione svolta nel terzo

capitolo, a proposito dei rapporti fra governance, risk management e controllo interno nel

gruppo FCA.

I capisaldi del modello COSO sono stati analizzati inizialmente da un punto di vista

generale per poi essere compresi a livello di realizzazione sia in Fiat che in FCA: alla

implementazione del modello nella realtà di nostro interesse sono dedicate diversi paragrafi,

scritti utilizzando il materiale fornito dalla azienda.

Introduciamo poi il modello ERM, non prima d’aver evidenziato alcuni limiti del modello

COSO I e mostrato come un punto di vista più ampio e orientato alla gestione del rischio

consenta di superarli.

Anche per questo modello, dopo una discussione generale, e dopo averlo posto in

relazione con gli altri esposti in precedenza, analizziamo la realizzazione del modello ERM da

parte di Fiat e in seguito di FCA, discutendo come è stato applicato e strutturato per

soddisfare le esigenze di analisi dei rischi di un Gruppo con una struttura interna organizzata

per regione o per settore.

Questa discussione è inoltre l’occasione per soffermarsi sul sistema di risk assessment e

risk management di FCA.

Anche per il più restrittivo modello COSO III forniamo dapprima una discussione

generale, ponendolo in relazione ai precedenti ma scendendo a un maggior dettaglio vista la

sua applicabilità alle tematiche della reportistica finanziaria, centrali nella discussione del

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terzo e ultimo capitolo, per poi procedere ad illustrare come FCA ha adottato questo modello

e come lo utilizza al suo interno.

Il secondo capitolo, il più lungo della tesi, si conclude predisponendo le basi per quello

successivo, vale a dire illustrando la situazione relativa al processo di controllo interno dei

report finanziari in Fiat prima della fusione con Chrysler.

Il terzo e ultimo capitolo tratta, rispetto al mondo FCA, di tre tematiche strettamente

connesse: la governance aziendale, il risk management e la compliance (conformità alle

regole), sintetizzate nella sigla GRC.

Nel processo di convergenza dei sistemi di controllo interno di Fiat e Chrysler verso un

sistema unificato FCA, si è deciso di tendere verso un modello GRC.

Il capitolo è una ricostruzione razionale degli eventi che hanno portato a questa

convergenza, e in particolare dei presupposti, dei piani e delle azioni che sono stati messi in

atto per poterla realizzare.

L’approccio di FCA al sistema di controllo interno è di alto profilo in quanto propone una

soluzione che coinvolge il Consiglio di Amministrazione, il top management, e varie funzioni

ad essi collegate, ciascuna delle quali con una mission specifica ma guidate dalla stessa

strategia di monitoraggio e controllo.

Poiché, nel progetto di convergenza, un ruolo fondamentale è stato assegnato alle

tecnologie di supporto, che si riferisce soprattutto all’ingegnerizzazione offerta dalle

infrastrutture informatiche, la prima parte del capitolo è dedicata all’esame del ruolo degli

strumenti IT e della definizione dei loro requisiti per la realizzazione di una infrastruttura

pervasiva in tutta l’attività di controllo e monitoraggio.

In particolare enucleiamo i criteri che hanno orientato la scelta di una soluzione tecnica

piuttosto che un altra, e quindi anche la scelta di avere privilegiato uno specifico fornitore e

uno specifico prodotto rispetto ad altri, pure concorrenziali.

Si ricostruisce in questo capitolo anche lo sviluppo del modello progettuale che ha

condotto a pianificare le azioni necessarie per realizzare in modo efficiente ma completo la

convergenza fra i sistemi di controllo interno di Fiat e Chrysler.

Scelta una soluzione informatica nuova, ampiamente configurabile ed estendibile per le

finalità precipue della nuova organizzazione orientata al GRC, si è proceduto alla

pianificazione e alla realizzazione di attività di definizione, valutazione, modifica e/o unione

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di processi, alla creazione di altri e quindi, in buona sostanza, a una modifica strutturale del

modello di controllo delle aziende ante fusione.

In effetti in questo campo Fiat e Chrysler avevano privilegiato in passato soluzioni

abbastanza lontane fra loro, non incompatibili ma governate da presupposti diversi: di qui la

scelta di farle convergere verso un modello nuovo, anziché trasformare l’una nell’altra, o

iceversa.

Per descrivere in modo efficace e dettagliato questi cambiamenti, facciamo riferimento

alla documentazione fornita da FCA, e in particolare la utilizziamo per enucleare i modelli di

base della nuova struttura organizzativa, in modo da fondare la discussione di dettaglio su

basi documentali certe anche se tutte da interpretare ed incrociare fra loro.

La documentazione fornita, fa riferimento a momenti diversi di uno stesso processo, e

quindi è stato scelto di utilizzare i documenti più datati per la ricostruzione del processo nel

suo divenire, mentre quelli più recenti nel descrivere lo stato attuale.

Ne emerge un quadro complesso, nel quale un progetto di convergenza molto lungo e

oneroso in termini di risorse risulta l’unica chiave di successo dell’operazione.

Di nuovo, nel tratteggiare questo quadro, si è approfondito l’aspetto riguardante la

struttura logica e anche funzionale dell’infrastruttura informatica scelta a supporto della

soluzione “to be” di GRC per il controllo interno e l’Internal Audit.

L’investimento tecnologico ha permesso di imporre uno standard di lavorazione comune

in FCA, nelle diverse fasi e nei diversi processi legati alle attività di controllo e monitoraggio.

Scendendo poi nel dettaglio dei requisiti dei moduli informatici che compongono questa

infrastruttura, mostriamo come l’innovazione tecnologica è un driver fondamentale anche

nelle scelte strategiche e di processo.

In tutta la discussione del terzo capitolo, massima enfasi è data alle tematiche relative alla

SOX e in particolare all’ICFR (Internal Control over Financial Reporting), in particolare nel

descrivere l’impatto del nuovo modello di controllo su determinati processi di business che

concorrono in modo essenziale alla produzione dei dati per poi confluire nella reportistica

finanziaria, sia interna che esterna.

Nell’ultima parte della tesi descriviamo l’effetto dell’applicazione di questo nuovo

modello e dei nuovi strumenti informatici sull’Internal Audit & Compliance di FCA da un

punto di vista di struttura, organizzazione e raccolta dati.

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Il principale impatto nell’applicazione del nuovo modello è stato quello di avere individuato

un elevato utilizzo degli strumenti informatici a supporto del personale dedicato alla attività di

audit.

A conclusione della tesi descriviamo quanto il nuovo modello GRC può considerarsi

efficacie, e quali prospettive ci sono per poterlo ulteriormente migliorare in relazione con i

processi aziendali in continua evoluzione.

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Capitolo 1 Generalità sull’Internal Audit in FCA

In questo primo capitolo introduciamo alcuni aspetti generali e fondamentali della

funzione di internal audit in FCA, inquadrando prima il contesto e richiamando le necessarie

nozioni in materia che prescindono dal caso specifico. Forniamo dunque una breve disamina

dei principali aspetti teorici dell’internal auditing, per poi soffermarci sugli aspetti normativi

e, in particolare, per quel che concerne le normative non necessariamente italiane ma di

impatto ai fini della nostra analisi.

L’analisi si sofferma in particolare su due leggi, una statunitense e una italiana, che si

pongono (sebbene con diversi distinguo) il medesimo obiettivo di tutela del risparmio ed

efficienza dei mercati. Trattiamo brevemente le ratio e i principi di queste normative

attraverso un confronto tra le due.

Ci soffermiamo anche sul Codice di Autodisciplina della Borsa Italiana S.p.A., un

ulteriore insieme di regole e prescrizioni che, su base facoltativa, offrono anche delle linee

guida per la gestione del sistema di controllo interno di una azienda.

Dopo questa rassegna sulle normative di riferimento, si discute il rapporto fra Internal

Audit e Corporate Governance in generale, trattando anche i modelli standard suggeriti dalle

normative italiane, come la 231/01 e delle funzioni di controllo interno, preparando il terreno

per la discussione specifica su FCA.

Si traccia una breve sintesi della storia della funzione di Internal Audit in FCA, partendo

dall’Ispettorato di Fiat e seguendo gli sviluppi di questo e le modifiche e aggiunte in seno a

Fiat S.p.a. di strutture di controllo sempre più sofisticate fino a giungere all’attuale sistema di

governance di FCA.

Infine si discute la declinazione specifica dell’Internal Audit in FCA, mettendolo a

confronto col sistema di controllo interno, inquadrandolo nell’ambito della governance del

Gruppo e offrendo una panoramica sulle attività e modalità di svolgimento di queste, e sulle

responsabilità in seno all’Internal Audit.

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1.1 Definizioni ed aspetti normativi

Il livello di complessità interna e di interazioni esterne cui le moderne aziende sono

soggette, indipendentemente dalla loro dimensione ma in virtù della loro partecipazione ai

mercati concorrenziali, implica una necessità di gestione dei processi aziendali che va al di là

della capacità dei singoli manager o executive.

Nell’esercitare le loro prerogative di governance e nell’assolvere al delicato compito del

processo decisionale, che solitamente richiede tempi di reattività molto brevi, il vertice e il

management delle imprese devono essere supportati da funzioni aziendali specializzate nel

monitoraggio e nell’eventuale gestione dei rischi nei quali l’azienda inevitabilmente incorre

nel suo ciclo produttivo.

Un tempo, quando le transazioni finanziarie erano limitate sia come volumi che come

rapidità di scambio, la verifica dei sistemi contabili e i sistemi di prevenzione e controllo delle

frodi costituivano un valido ausilio al management aziendale nella mitigazione dei rischi

derivanti dalle attività operative e finanziarie dell’impresa.

Ma oggi una “gestione passiva” di questo tipo non è più sufficiente dal momento che le

aziende competitor si dotano spesso di strumenti sofisticati a questo scopo.

Al contempo l’evoluzione normativa, sia nazionale che internazionale, richiede

competenze e skill specifiche per poter svolgere efficacemente questa funzione di supporto.

Per questi motivi, l’esistenza di una funzione di internal audit è imprescindibile nelle

organizzazioni più complesse, soggette a rischi eterogenei.

Con la locuzione Internal Auditing si intende, come ben noto1, una attività indipendente

ed imparziale di assurance e consulenza finalizzata al miglioramento dell’efficacia e

dell’efficienza dell’organizzazione aziendale, che si esplica in un approccio professionale

sistematico il cui valore aggiunto consiste nel valutare e migliorare i processi di gestione dei

rischi, di controllo e di governance.

L’internal auditor è dunque una figura che esercita le proprie funzioni in piena autonomia,

nel rispetto delle regole aziendali e delle normative vigenti: tipicamente questa autonomia si

ottiene incasellando la funzione di internal audit nell’organigramma aziendale in una

posizione di staff, e quindi al di fuori del controllo delle singole funzioni aziendali soggette

agli audit.

1 Cfr. Dittmayer (2011), p. 4.

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L’internal auditor deve inoltre, a garanzia della sua autonomia, non essere coinvolto,

nemmeno in modo indiretto, nelle decisioni operative aziendali, per non generare “conflitto di

interessi” fra i suoi diversi ruoli in seno all’organizzazione.

Queste prescrizioni si applicano anche nel caso in cui l’internal auditor sia un consulente

esterno piuttosto che un membro dell’organizzazione aziendale.

La caratteristica di imparzialità, o meglio di obiettività, dell’internal auditor fa riferimento

alla professionalità e all’etica personale dell’individuo che assolve questa funzione: in

particolare la capacità di formulare i propri giudizi senza tenere conto delle possibili opinioni

altrui; caratteristica fondamentale per questo ruolo, che fra l’altro si coniuga con l’autonomia

della quale si è parlato precedentemente.

Quanto appena specificato consente di esercitare la funzione di assurance, compresa

anch’essa nella definizione di internal auditing che abbiamo richiamato.

Con il termine assurance, si intende una specifica tipologia di servizio offerta dall’internal

auditor all’organizzazione nei termini della rilevazione e osservazione di fatti aziendali da un

punto di vista obiettivo, tale da consentire un giudizio indipendente ed affidabile in merito

agli stessi e alle loro conseguenze.

Nella accezione più ampia conferitale dallo standard IIA 1130, l’assurance deve

istanziarsi in servizi che comprendano tutte le attività necessarie a fornire nuove informazioni,

rendere più tempestive quelle già disponibili e/o garantire l’affidabilità di queste ultime,

nell’ottica di migliorare la qualità delle decisioni aziendali2.

Dal punto di vista operativo, vuol dire che l’internal auditor si pone in una condizione di

terzietà fra i soggetti auditati, l’ oggetto dell’analisi e della rilevazione, e il soggetto che

utilizzerà il risultato dell’ assurance, tipicamente (ma non esclusivamente) un organismo

aziendale interno, spesso apicale, che necessiti di una consulenza in merito alla funzione di

vigilanza interna.

L’auditor si pone quindi nella condizione di consulente rispetto al cliente finale, sebbene i

servizi di consulenza vadano tenuti distinti dai servizi di assurance3.

2 Cfr. Standard IIA 1130, Condizionamento dell’Indipendenza o dell’Obiettività.

3 Cfr. Dittmayer (2011), p. 6.

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Infatti il servizio di consulenza vede una relazione consulente-cliente, dove il ruolo del

consulente è svolto dall’auditor e il cliente è la funzione aziendale che richiede tale servizio

per avvalersi poi dell’output prodotto.

La differenza è tuttavia nel merito, vale a dire nel caso di un servizio di consulenza il

piano di auditing e in generale le attività dell’auditor sono concordate col cliente stesso,

necessarie ad esigenze specifiche, mentre nell’assurance l’auditor sceglie e decide in piena

autonomia il suo spazio di manovra e gli ambiti di copertura dell’attività che è chiamato a

svolgere.

I vincoli di indipendenza e obiettività dunque, per quanto sempre da tenere presenti, sono

meno stringenti nel caso dell’attività di consulenza: per esempio si potrebbe scegliere come

auditor il personale che ha svolto attività nell’ambito della funzione che si vuole controllare,

sulla base di considerazioni di esperienza e competenza più che di imparzialità4.

Naturalmente assurance e consulenza non sono due attività separate ma possono essere

svolte in contemporanea nell’ambito di una azione di internal auditing e proficuamente dallo

stesso team di auditing.

Gli aspetti che abbiamo fin qui richiamato fanno riferimento al “chi” e al “come”, vale a

dire sono relativi alle caratteristiche e alle modalità operative delle figure professionali

dedicate all’attività di internal auditing.

Ma è anche fondamentale, ai fini della discussione svolta in questo lavoro, tenere presente

e richiamare alcuni aspetti essenziali del “cosa”, vale a dire dell’oggetto precipuo dell’attività

di internal auditing.

Se la definizione che abbiamo riportato, mediata dalla letteratura, offre una sintesi

adeguata degli scopi dell’attività di internal auditing, è possibile e necessario corredarla di

dettagli e precisazioni ulteriori.

In particolare, la finalità ultima dell’attività di internal auditing è promuovere l’efficacia e

l’efficienza di una organizzazione: come ben noto5, l’efficacia consiste nel raggiungimento

dei propri obiettivi di business e l’efficienza nel perseguire l’efficacia in modo ottimizzato se

non ottimale.

4 Cfr. Standard IIA 1130.C1, Condizionamento dell’Indipendenza o dell’Obiettività.

5 Cfr. Dittmayer (2011), p. 8.

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L’efficacia aziendale è quindi il fondamento della qualità interna del lavoro e

dell’organizzazione, e può essere monitorata, e quindi migliorata con interventi mirati,

incrementando i controlli.

L’efficienza è invece la capacità di ridurre le risorse da utilizzare per poter conseguire

l’efficacia, e in particolare si esplica nell’ottimizzazione dei controlli: in quanto tale è una

tipica attività di consulenza.

Per supportare l’organizzazione a rendere più efficaci i suoi processi, e nello specifico i

processi produttivi, l’internal auditor deve disporre della conoscenza di dominio necessaria

all’ottimizzazione dei controlli, alla scelta dei monitoraggi e anche alla valutazione dei sistemi

di risk management disponibili in azienda, per segnalare eventuali anomalie, mettendo in

campo dunque un approccio professionale sistematico6.

Il raggiungimento delle finalità dell’internal auditing non solo è legato alle skill degli

auditor ma anche alle loro capacità relazionali e comunicative, necessarie per poter

rappresentare scenari di criticità e ambiti di miglioramento, fornendo quindi quel valore

aggiunto citato nella definizione di internal auditing.

La creazione di questo valore avviene grazie ad una attività di analisi dei rischi, utile alle

funzioni di governance dell’organizzazione per poter prendere decisioni che migliorino

l’efficacia e l’efficienza dei processi, come si è detto, vale a dire il raggiungimento degli

obiettivi col minor sforzo possibile: questo potrebbe implicare una modifica dei processi

organizzativi, e l’internal auditing deve avere l’autorevolezza di poter suggerire questa

modifica alle funzioni executive e manageriali dell’organizzazione.

Dunque l’auditing non deve intendersi come una mera attività di rilevamento, di “sola

lettura” dei dati e degli eventi che costituiscono l’insieme dei processi aziendali da sottoporre

a miglioramento, ma deve anche avere un valore proattivo volto a suggerire strategie di

miglioramento, e svolta in maniera corretta ed imparziale tale da consentire ai livelli

decisionali dell’azienda di poter scegliere la strada migliore per il perseguimento degli

obiettivi aziendali.

L’auditor deve quindi essere in grado di intercettare le esigenze specifiche del

management, in modo da poter concentrare la sua attenzione sugli aspetti più significativi

dell’organizzazione, da un lato nell’ottica di assolvere alla funzione di ottimizzazione dei

6 Cfr. Standard IIA 2100, Natura dell’Attività.

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controlli, dall’altro di individuare le aree critiche, con particolare riferimento alle attività di

risk management, da evidenziare al top management.

L’attività dell’auditor deve essere, come si è detto, proattiva nel senso di mantenere un

rapporto e una relazione con la governance e il management aziendali non solo di

trasmissione di informazioni ma di comunicazione nella sua accezione più ampia, vale a dire

condivisione di obiettivi e strategie oltre che di dati e informazioni.

In questo, sostanzialmente, si esplica il valore aggiunto degli internal auditor

nell’esercizio delle loro funzioni come è comunemente inteso al giorno d’oggi.

Per chiudere questa raccolta di nozioni fondamentali e generali, analizziamo un ultimo

aspetto che emerge dalla definizione di internal auditing, vale a dire la correlazione fra i tre

diversi aspetti che l’attività di internal auditing deve tendere a migliorare: la corporate

governance, la gestione dei rischi e la gestione dei controlli.

L’internal auditing è una componente del sistema di corporate governance dell’azienda,

che ha visibilità tanto degli aspetti dell’organizzazione aziendale e di processo quanto degli

aspetti specificatamente societari, costituendo quindi l’unico punto di aggregazione globale, a

livello di controllo, di questi sfaccettature della realtà aziendale.

La gestione dei rischi e la gestione dei controlli, ovviamente legate, trovano nell’attività

dell’ internal auditor l’unico e fondamentale supporto al proprio miglioramento congiunto, e

l’unico punto di confluenza fra i dati e i processi a loro disposizione, sottoposti al

miglioramento continuo al fine di poter implementare l’efficacia e l’efficienza.

A questo fondamentalmente mirano le attività di assurance e consulenza che la funzione

di internal audit è chiamata a svolgere nella propria realtà aziendale.

Tutte le considerazioni introduttive fin qui svolte, rendono conto del fatto che l’internal

auditing non può svolgersi senza l’ausilio di un adeguato impianto normativo e metodologico:

da un lato l’assenza di questi requisiti renderebbe non valutabile l’attività, dall’altro

lascerebbe un margine di arbitrarietà all’azione dell’ internal auditor che ne vanificherebbe

l’operato.

Dal punto di vista metodologico esistono delle istituzioni nazionali e internazionali cui

fare riferimento per le linee guida, per le metodologie e anche per la formazione: l’Institute of

Internal Auditors (IIA) e l’Associazione Italiana Internal Auditors (AIIA) 7.

7 Cfr. Dittmayer (2011), §2.

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Per quanto concerne la normativa di riferimento dipende dalle legislazioni dei singoli

Paesi: la casistica cui siamo interessati in questa sede riguarda gli Stati Uniti e l’Italia, i due

Paesi di riferimento delle due aziende la cui fusione ha dato vita al gruppo FCA (il cui CEO

ed executive management è basato a Londra).

Nei paragrafi seguenti approfondiamo i due principali interventi normativi del legislatore

italiano e di quello statunitense in merito alla regolamentazione di impresa e all’internal

auditing.

1.1.1 La Sarbanes Oxley Act statunitense

Agli inizi degli anni 2000 la finanza e l’imprenditoria statunitensi furono al centro di

clamorosi scandali, originati da truffe operate da elementi dei vertici di grandi aziende senza

apparente controllo interno, o con la connivenza del controllo interno, a scapito degli

investitori, dei clienti e anche dei dipendenti stessi.

Un esempio su tutti è il celebre caso della società Enron, condotta alla bancarotta dalle

conseguenze dello scandalo, travolgendo con se una delle principali società di revisione e di

certificazione di bilancio e consulenza, la Arthur Andersen.

La reputazione del colosso storico dell’auditing e della consulenza subì un colpo

irreversibile dalla vicenda: lo scandalo non fu soltanto causato dalla frode commessa in seno

alla industria energetica, dal CFO della Enron, ma anche dalla connivenza proprio della

società di consulenza che avrebbe dovuto, tramite l’auditing, vigilare sulla regolarità e

conformità dei comportamenti aziendali della Enron: in questo senso, lo scandalo Enron

costituì il maggiore caso di fallimento documentato di internal auditing8.

Questo e altri clamorosi e rovinosi casi di scandali finanziari legati alla corporate

governance di grandi industrie, in svariati settori, evidenziarono la necessità di “controllare i

controllori”, spingendo il legislatore statunitense ad emanare un complesso di normative,

volte a sanzionare comportamenti sia degli executive delle aziende che degli internal auditor,

fraudolenti e legati al conflitto di interessi.

Nel 2002 venne emanata dal Congresso americano una legge federale, nota come

Sarbanes-Oxley Act, la cui dicitura completa è “Public Company Accounting Reform and

8 Cfr. Bratton (2002).

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Investor Protection Act” nella discussione al Senato, e “Corporate and Auditing

Accountability and Responsibility Act” nella discussione alla Camera dei rappresentanti.

Più comunemente nota come SOX, questa legge si articola in diversi punti al fine di

migliorare la corporate governance e garantire la trasparenza delle scritture contabili,

toccando e cercando di sanare le vulnerabilità del processo di internal auditing che possono

emergere in assenza di un riferimento normativo e degenerare nei comportamenti fraudolenti

più sopra richiamati.

La legge, al fine di implementare un controllo effettivo sulle attività di auditing all’interno

delle grandi aziende, ha istituito il PCAOB (Public Company Accounting Oversight Board).

Tale istituzione, preposta al controllo indipendente delle società di auditing, emette le policy

per il controllo di qualità9 e stabilisce le linee di conformità che le procedure di auditing

devono soddisfare.

Un ruolo chiave è assegnato anche alla Security and Exchange Commission (SEC),

l’organismo istituito dal governo federale nel 1934, durante la crisi economica nota come

“Grande Depressione”, con lo scopo di tutelare gli investitori e vigilare sulla correttezza ed

efficienza dei mercati.

Inoltre, la SOX conferisce alla SEC un’ attività di pubblicazione dei propri studi e report

in merito alle questioni della sicurezza delle operazioni sui mercati, delle violazioni delle

norme di sicurezza e sul ruolo delle banche di investimento nell’ambito di queste operazioni.

La legge delinea anche degli standard e delle linee guida in materia di indipendenza degli

auditor per circoscrivere in modo chiaro il perimetro al di fuori del quale vi è conflitto di

interessi: per esempio indica alcune misure relative alla reportistica di auditing, o anche alla

restrizione imposta alle società di auditing di non offrire agli stessi clienti anche servizi che

esulino dall’auditing stesso10.

La SOX inoltre istituisce delle disposizioni legislative per sanzionare i comportamenti

fraudolenti e di connivenza fra auditor e società soggette ad auditing: in particolare, la legge

enumera delle fattispecie delittuose relative alla manipolazione, distruzione o modifica di dati

9 Cfr. Kuschnik (2008).

10 Cfr. Kuschnik (2008).

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finanziari o altre informazioni utilizzate per le decisioni economico-finanziarie, offrendo

anche misure di salvaguardia per i “whistle-blower” 11.

Dal punto di vista della definizione e standardizzazione del comportamento degli auditor

ma anche dei dirigenti che si avvalgono della loro funzione, la SOX introduce una serie di

concetti, in sede legislativa, con l’esplicito scopo di normare e regolare gli standard di

comportamento e di svolgimento dell’attività di auditing: per esempio viene definito in modo

preciso come deve avvenire l’interazione fra auditor esterni e i comitati di auditor interni,

proprio per prevenire eventi di connivenza come quelli manifestatisi nel caso Enron12.

Un accento particolare è posto sulla responsabilità individuale degli executive delle

aziende in merito alla veridicità e congruità dei dati riportati nei report finanziari delle aziende

da loro gestite: in particolare il CEO (Chief Executive Officer) e il CFO (Chief Financial

Officer), ma in generale i “principal officers”, devono certificare e approvare la completezza e

veridicità dei report finanziari della compagnia su base almeno trimestrale13.

Particolare enfasi è posta in tutta la legge sul trattamento e sulla trasparenza dei dati

finanziari dell’azienda, proprio perché la motivazione per questa iniziativa legislativa è stata

legata a scandali finanziari che hanno sottratto ingenti somme di denaro al mercato e

all’economia.

Nel suo complesso la SOX rappresenta un intervento legislativo di ampia portata, il cui

contenuto è in qualche modo vincolante e costrittivo rispetto all’operato dei vertici

imprenditoriali delle grandi aziende, ma comunque assolutamente a tutela del mercato e della

libera iniziativa, che negli Stati Uniti costituisce il fondamento della cultura economica e

politica, basato sulla strategia del lasseiz faire, cioè della massima libertà di azione agli attori

della realtà economica.

Non a caso, alcuni critici della SOX le imputano proprio di interferire con le attività

imprenditoriali, limitando in qualche modo l’azione imprenditoriale e imponendo vincoli che

potrebbero rendere svantaggiate le aziende statunitensi rispetto ai competitor stranieri.

11 Il ruolo della segnalazione di illeciti nella cultura anglosassone è assai più spiccato che nella cultura europea

continentale, specie nel nostro paese: la segnalazione di illecito da parte di dipendenti o altri attori di un processo

di business non viene vista come una delazione e il segnalatore viene tutelato. Recentemente anche in Italia si è

presa in considerazione l’idea di utilizzare le segnalazioni di illeciti per dare avvio a ispezioni e indagini interne,

specie nella pubblica amministrazione, sempre nella tutela e nella salvaguardia dell’anonimato dei segnalatori.

12 Cfr. Kuschnik (2008).

13 Cfr. Kuschnik (2008).

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Lo scopo principale della SOX era, oltre a introdurre misure per mitigare il rischio del

verificarsi di nuovi scandali, almeno con quelle modalità e di quelle proporzioni, di infondere

nuovamente fiducia agli investitori e ai mercati.

Tuttavia, a quasi quindici anni dalla sua emanazione, la Sarbanes-Oxley Act non ha

acquisito uno status ben definito dal punto di vista della sua valutazione di impatto: i

commentatori esibiscono pareri difformi, dovuti anche alla difficoltà di discernere fra le

numerose altre variabili che incidono sui mercati e sulle aziende14.

Il beneficio in termini di controllo interno è stato innegabile, ovviamente al costo di

investimenti sui quali è stato tuttavia possibile fare economie di scala: in particolare, i costi di

compliance alla normativa sono importanti in fase di messa a punto, o implementazione da

zero, degli strumenti necessari alla compliance, per poi scemare gradualmente a regime15.

Il motivo principale di questi costi sta nel doversi rivolgere, da parte dell’azienda, a un

fornitore esterno per il servizio di auditing, in modo da garantire trasparenza e imparzialità,

ma anche mettere in piedi un meccanismo efficiente di controllo secondo quanto prescritto

dalla legge.

Il costo da sostenere per essere compliant alla SOX può essere visto come una “tassa

sull’inefficienza” di una organizzazione, in quanto il costo viene abbattuto se l’azienda si dota

di meccanismi centralizzati e possibilmente automatizzati a supporto del sistema di

reportistica finanziaria interno.

A fronte di questi costi, il beneficio è stato notevole, soprattutto in termini di affidabilità

percepita della reportistica interna, ma anche di quella di cui l’azienda fornisce disclosure

all’esterno: in altri termini, l’implementazione dei controlli e dei monitoraggi secondo le

prescrizioni della SOX sembra aver migliorato la capacità di stima finanziaria, rendendola più

realistica e meno manipolabile, con una conseguenza positiva sulla catena decisionale.

Il management aziendale deve infatti assolvere a dei compiti ben delineati dal testo della

SOX: a titolo di esempio, effettuare un risk assessment (scalabile sulla base dell’effettiva

dimensione aziendale), mettere in campo misure di controllo per prevenire o comunque

rilevare le eventuali frodi, etc.

In ogni caso il successo della legge può rilevarsi dal fatto che in numerosi altri paesi

industrializzati sono state prese simili misure: d’altra parte, in un’ economia globalizzata,

14 Cfr. Shakespeare (2008).

15 Cfr. AAVV (2011).

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anche la legislazione economico-finanziaria tende a diffondersi nei paesi che hanno relazioni

commerciali e sistemi economici basati sui medesimi principi.

1.1.2 Aspetti della normativa italiana: il D. lgs. 231/01 e la Legge n. 262/05

Anche in Italia, negli anni 2000 sono state introdotte normative di questo tipo, e anche in

questo caso dopo che sono scoppiati gravi scandali finanziari, ricordiamo ad esempio i casi

Cirio e Parmalat.

Già nel 2001 il legislatore era intervenuto con un Decreto Legislativo, il 231 del 2001

“Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle

associazioni anche prive di personalità giuridica”, che introduceva un concetto di

responsabilità all’interno della disciplina normativa di alcuni reati, consentendo quindi di

colpire sia l’azienda coinvolta nella condotta delittuosa sia i suoi soci in vario modo, dalle

pene pecuniarie all’interdizione e commissariamento.

Va precisato che l’azienda può non ritenersi responsabile se dimostra di avere adottato ed

efficacemente attuato protocolli, procedure di condotta e un modello organizzativo al fine di

prevenire la commissione dei reati oggetto del decreto.

Il decreto legge menziona espressamente l’adozione di modelli di organizzazione e

controllo di gestione che possono consentire la prevenzione di queste condotte o

semplicemente dimostrare che l’azienda, in quanto Ente, non è responsabile delle condotte

malevole di suoi soci che abbiano commesso il reato violando in modo fraudolento il modello

organizzativo o semplicemente ignorandolo.

Il concetto di responsabilità così come inteso dal decreto viene chiamato “amministrativo”

sebbene consenta di rivalersi sul patrimonio degli enti che incorrono nel reato, e quindi

direttamente sull’interesse economico dei soci cui sono derivati benefici dalla commissione

del reato.

Le fattispecie elencate nel decreto comprendono la malversazione, la truffa e la frode

informatica ai danni dello Stato o delle Pubbliche Amministrazioni (PA) coinvolte in

operazioni svolte da aziende per tutelare e garantire la propria operatività, come ad esempio le

dichiarazioni di bilancio, gli sgravi fiscali, i benefici delle prestazioni emergenziali per

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particolari situazioni critiche (cassa integrazione, etc.): la lista completa16 copre una gran

quantità di reati che si possono commettere utilizzando le risorse di una impresa.

L’interesse di questa normativa sta nel fatto che viene indicata l’adozione di standard di

controllo come deterrente per le condotte delittuose ma soprattutto come prova della “buona

fede” dell’azienda in quanto tale, dimostrando in questo modo di aver messo in campo

contromisure preventive per arginare la possibilità di illeciti di vario tipo.

Questo impianto normativo, per quanto abbia colmato un vuoto legislativo e aggiornato la

disciplina giuridica della responsabilità civile e penale per i reati amministrativi, non è bastato

ad evitare i ben noti scandali finanziari, i cosiddetti “crac”, che hanno colpito il mondo della

finanza e dell’imprenditoria italiana a ridosso della recente crisi economica.

In particolare mancava una disciplina più chiara e circoscritta a tutela del risparmio

investito nell’impresa, tipicamente nella grande impresa, una caratteristica che abbiamo visto

essere alla base della SOX.

Non a caso il seguente importante intervento normativo, la Legge 262/2005, è stata

chiamata “Legge sul Risparmio” in quanto il suo obiettivo principale è stato proprio di porre

attenzione al punto appena richiamato della normativa statunitense.

La principale novità di questa legge del 2005 è stata l’introduzione della figura del

dirigente “preposto” alla redazione dei documenti contabili, e quindi con funzione di

accountant per la veridicità e obiettività di questi documenti: tuttavia questa normativa ha

anche interessato l’organizzazione della Banca d’Italia nella sua funzione di controllo e

disciplina sulle organizzazioni bancarie operanti in Italia.

La legge ha introdotto una nuova disciplina per il reato di falso in bilancio, con una pena

da sei mesi a tre anni di reclusione, l’istituzione di una Commissione per la tutela del

risparmio, che riporta direttamente al Presidente del Consiglio dei Ministri, e la nomina del

governatore di Banca d’Italia effettuata con un decreto del Presidente della Repubblica su

proposta del Presidente del Consiglio: la carica di governatore dura per sei anni e consente un

solo rinnovo del mandato.

In sostanza, l’ampiezza dell’intervento normativo va dal rafforzamento dei controlli

interni delle società, al rafforzamento dei controlli pubblicistici a tutela del risparmio, al

16 Cfr. http://www.complianceaziendale.com/2006/06/elenco-aggiornato-dei-reati-previsti.html.

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miglioramento della trasparenza dei mercati, alla promozione di una maggiore collaborazione

fra le autorità che disciplinano il comportamento dei mercati stessi.

Come è stato autorevolmente rilevato17, sebbene la legge costituisca un importante passo

in avanti sulla strada della trasparenza, dell’applicazione dei codici di autodisciplina e

dell’azione flessibile delle autorità di vigilanza; per quanto concerne i conflitti di interessi

negli intermediari finanziari ma soprattutto per quanto riguarda la corporate governance,

l’intervento normativo “sembra muoversi con qualche incertezza fra interventi volti a favorire

la dialettica interna alla società, ovvero a valorizzare il ruolo dell’autodisciplina, e strumenti

più dirigistici, basati su una regolamentazione imperativa assai minuziosa”18.

Dal punto di vista della corporate governance, le novità introdotte dalle legge e che

riguardano le società quotate in borsa si possono riassumere in un elenco di requisiti che

queste società sono chiamate a rispettare.

Abbiamo già menzionato la necessità di indicare un dirigente preposto, cui devono

chiaramente essere conferiti poteri e strumenti per la propria attività: fra questi strumenti è

possibile citare le procedure amministrative e contabili da progettare e implementare a livello

di organizzazione aziendale, e la cui predisposizione è proprio uno dei compiti del preposto.

Inoltre vi è l’onere di definire o individuare un modello di riferimento per la valutazione

dell’adeguatezza delle procedure amministrative poste in essere, valutazione che deve poter

essere condotta sulla base di una documentazione di riferimento.

Il preposto, affinché svolga gli oneri precedentemente indicati, può far riferimento ad una

struttura che lo supporti in primo luogo nell’assicurare l’adeguatezza dei processi relativi ai

flussi di informazioni amministrative e finanziarie dell’azienda, oltre che nella

predisposizione della reportistica richiesta dalla legge e necessaria alla operatività aziendale.

A livello di relazioni fra le funzioni aziendali e il sistema di controllo, dal quale il

preposto acquisisce le informazioni per la sua attività, l’internal audit supporta e coadiuva il

dirigente preposto nella propria attività: si noti che la funzione di auditing, riferendo al

Comitato per il controllo interno, scambia informazioni con il preposto ma ne valida

l’operato, e dunque, se le due funzioni aziendali sono separate, agisce in modo parallelo ma

indipendente.

17 Cfr. Draghi (2006).

18 Cfr. Draghi (2006), p. 1.

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E’ tuttavia possibile che, stante l’organizzazione e la dimensione di una impresa, il

responsabile dell’internal auditing potrebbe coincidere col preposto per motivi di efficienza e

di opportunità.

Volendo istituire un paragone fra la legge 262/2005 e la Sarbanes Oxley Act, nella prima

il preposto è chiamato ad assumere quelle responsabilità che nella SOX sono a carico del

CEO e del CFO: per esempio la certificazione della veridicità dei report annuali e trimestrali,

nonché dell’informativa di bilancio e di altri documenti contabili.

Altro parallelismo può essere individuato nella necessità di emettere e certificare degli

internal control report sull’attività e l’efficacia della funzione interna di controllo.

Ci sono ovviamente anche molte differenze: per esempio la norma statunitense richiede la

verifica e l’attestazione da parte di un revisore esterno dei processi e delle procedure definite

dal management, laddove la normativa italiana non impone il ricorso a una società esterna ma

punta piuttosto sulla figura, su cui possono gravare pendenze civili e penali in caso di

condotta fraudolenta, del dirigente preposto.

Non esistono inoltre, secondo la normativa italiana, requisiti minimali per il sistema dei

processi e delle procedure oggetto di attestazione da parte del management, laddove la SOX

prevede l’istituzione del PCAOB e un ruolo importante della SEC, come si è avuto modo di

ricordare.

1.1.3 Il Codice di Autodisciplina della Borsa Italiana

All’iniziativa legislativa in molti paesi si è affiancata una iniziativa degli enti preposti al

controllo e alla governance del mercato interno nei singoli paesi, in Italia si tratta della Borsa

Italiana, laddove iniziative di autoregolamentazione sono state messe in campo anche negli

Stati Uniti da parte del NYSE e del NASDAQ per esempio, sempre in seguito agli scandali

dei primi anni del XXI secolo, sebbene la prima regolamentazione statunitense di questo tipo,

lo Statement on Corporate Governance risalga al 1997.

La prima iniziativa di questo tipo risale al 1992, in Gran Bretagna, dove vennero emanate

delle linee guida per le società quotate, volte a offrire indicazioni di carattere operativo in

merito alla composizione del Consiglio di Amministrazione, del suo funzionamento, dei

meccanismi di controllo, etc.

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Il Codice di Autodisciplina emanato da Borsa Italiana19 per la prima volta nel 1999, ha

subito una serie di modifiche e revisioni a partire dal 2002, sebbene la revisione del 2006 sia

stata più importante, come pure quella seguente del 2011 e infine del 2014.

Il Codice si basa su una adesione volontaria, quindi si pone come una linea guida, non

come una disciplina imposta dall’esterno: le aziende possono decidere se uniformarsi ad esso

e, nel farlo, il Codice stesso offre loro le linee guida per poterlo recepire in modo appropriato

rispetto al proprio contesto aziendale (i cosiddetti “criteri applicativi” che accompagnano gli

articoli del codice).

Per sua natura il Codice di Autodisciplina consente deroghe parziali ai propri articoli, cioè

di discostarsi dalle specifiche raccomandazioni contenute nei principi e nei criteri applicativi

da esso sanciti, a condizione che si specifichi il motivo della deroga, la modalità con cui la

raccomandazione è stata disattesa, come è stata presa questa decisione e se è provvisoria o

meno.

In generale, l’impostazione del Codice di Autodisciplina è improntata alla flessibilità,

consentendo dunque la disapplicazione parziale o totale di alcune sue raccomandazioni

sempre in una logica di comply or explain.

Uno specifico comitato della Borsa, il Comitato per la Corporate Governance, ha il

compito di monitorare lo stato di applicazione del codice da parte delle società che decidono

di aderirvi e di emanare le eventuali revisioni del codice stesso.

Dei dieci articoli del Codice, il settimo riguarda il sistema di controllo interno e di

gestione dei rischi, a tal punto una sua breve analisi è utile alla discussione che andiamo a

sviluppare in questo lavoro.

Il Codice di Autodisciplina non si pone l’obiettivo di entrare nelle questioni organizzative

relative all’architettura dei controlli interni dell’azienda, piuttosto enuncia una serie di

raccomandazioni relative al governo del sistema di questi controlli e sul ruolo degli attori che

contribuiscono a realizzarlo e gestirlo.

I due principi generali sui quali poggiano le raccomandazioni del codice a proposito di

questa materia si possono enunciare come segue: da un lato viene riconosciuta la centralità

della gestione del rischio, intesa come identificazione, valutazione e monitoraggio dei rischi,

rispetto alla funzione di controllo interno.

19 Cfr. l’ultima versione disponibile on line al sito Internet http://www.borsaitaliana.it/comitato-corporate-

governance/codice/2015clean.pdf.

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Dall’altro, viene affermata l’idea per cui un sistema di controlli per risultare efficace

debba essere integrato a sua volta nell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della

società, tale che le sue componenti siano indipendenti ma coordinate tra loro.

Enunciate queste considerazioni di carattere generale e metodologico, il Codice di

Autodisciplina si sofferma sui ruoli dei diversi attori aziendali rispetto alla funzione di

controllo interno e gestione del rischio.

Un ruolo centrale è affidato al Consiglio di Amministrazione, che indirizza il sistema dei

controlli sulla base delle strategie e del profilo di rischio scelto per poter competere sul

proprio mercato di riferimento: anche l’adeguatezza di questo sistema di controlli viene

demandata al Consiglio di Amministrazione, che svolge periodicamente la sua valutazione,

fatto salvo il verificarsi di eventi straordinari che richiedano un assessment d’urgenza.

A supporto dell’attività istruttoria legata all’esame delle relazioni finanziarie periodiche, il

Consiglio di Amministrazione ha un “Comitato di controlli e rischi”, una funzione distinta dal

“Comitato di controlli interno (internal audit) e revisione contabile” del quale l’azienda si

deve necessariamente dotare.

In particolari condizioni e se adeguatamente motivate, il Consiglio di Amministrazione

può decidere di assolvere alle attività istruttorie senza istituire il Comitato di controlli e rischi.

Il CDA individua anche l’amministratore responsabile del sistema di controllo interno e

gestione dei rischi, ovviamente possono essere più di uno, magari ciascuno con una delega

riguardante una diversa funzione aziendale, per aree di rischio quindi.

Per quanto riguarda le funzioni aziendali coinvolte nel sistema dei controlli, l’Internal

Audit assume il ruolo centrale secondo le raccomandazioni del codice di

autoregolamentazione: l’internal audit si connota nel codice per la sua indipendenza e terzietà,

ottenuta per la concessione di poteri autonomi nella predisposizione del piano di audit e

nell’attivazione dei singoli interventi, ma anche in relazione alle modalità di nomina, revoca e

remunerazione del suo responsabile.

Il responsabile dell’Internal Audit riporta periodicamente al Consiglio di

Amministrazione, sebbene le decisioni che lo riguardano debbano avere il parere favorevole

del comitato dei controlli e rischi una volta informato il Collegio Sindacale.

La reportistica prodotta dall’Internal Audit deve quindi essere resa nota al Presidente del

Consiglio di Amministrazione, del Collegio Sindacale, del Comitato di Controllo e Rischi e

all’amministratore incaricato del sistema di controllo interno e gestione dei rischi.

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Per quanto riguarda la gestione del rischio, il codice non prevede in generale nulla che non

sia imposto dalla legge, in particolare la figura del dirigente preposto, della quale abbiamo già

parlato in precedenza.

Al di là di questo, il tema del risk management viene influenzato dal contesto e dal settore

di appartenenza dell’azienda, sebbene alcune questioni siano pressoché presenti in ogni

impresa (rischio finanziario, rischio di sicurezza, etc.).

Proprio per questo motivo, diverse normative settoriali si occupano di prescrivere

l’istituzione di strutture aziendali preposte alla gestione di rischi.

In particolare, si ritiene che in questa materia l’azienda debba avere la flessibilità di

stabilire l’assetto organizzativo più idoneo all’efficace gestione del rischio, per esempio

demandando l’attività di risk management non a una funzione specifica ma a funzioni che

svolgono anche altri compiti, contando sul fatto che l’internal audit svolge comunque una

funzione di revisione anche in questo senso.

Per chiudere questa sintesi dell’art. 7 del Codice di Autodisciplina della Borsa Italiana,

notiamo che in esso si fa menzione della segnalazione di illeciti da parte dei dipendenti, il

whistle-blowing, argomento di attualità nel panorama normativo contemporaneo in materia di

lotta alla corruzione e trattato precedentemente a proposito della SOX.

1.2 La funzione di Internal Audit nel sistema di Corporate Governance

Abbiamo già fatto riferimento al Decreto legislativo 231/01 del 2001, che ha introdotto

una serie di novità in tema di corporate governance in seno alla normativa di impresa: in

particolare abbiamo posto l’accento sulla figura del dirigente preposto.

Analizziamo ora gli aspetti che hanno impattato sulla corporate governance e

precisamente il modello che le aziende sono tenute a definire, durante il ciclo di vita

produttivo, per poter efficacemente assolvere ai compiti dettati dal decreto.

La legge suggerisce l’adozione del “modello 231”20: questo modello, per poter assolvere

alla sua funzione di prevenzione dei reati amministrativi, deve basarsi su una valutazione

circostanziata dei rischi nei quali l’azienda può incorrere durante la propria attività operativa e

finanziaria.

20 Cfr. D. lgs. 231/01, art. 6 comma 2.

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25

Il tema della gestione dei rischi è strettamente correlato alle funzioni di controllo e

internal auditing come abbiamo più volte sottolineato.

In generale, l’input necessario al modello 231 deve prevedere una mappatura dei processi

aziendali a rischio, con l’enumerazione dei rischi potenziali per ciascun processo, una analisi

del sistema di controllo e una conseguente valutazione dei rischi residui: ai rischi devono

corrispondere degli strumenti, predisposti e integrati in un sistema di controllo, in grado di

prevenire i rischi individuati.

Ai fini della corporate governance, la soglia minima di accettabilità di un rischio è legata

al seguente criterio: un sistema di prevenzione dei rischi è da ritenersi accettabile se può

essere “aggirato” soltanto in maniera fraudolenta.

Questo requisito è sufficiente per poter far scattare la clausola di non responsabilità

aziendale proprio a fronte di condotte delittuose secondo le fattispecie elencate nel D. lgs.

231/01: la tassonomia di queste condotte è estremamente articolata e fa riferimento a un

ampio spettro, si va da reati in danno alla PA, agli abusi di mercato, ai reati societari, ai reati

transnazionali (associazione per delinquere), ai reati ambientali, etc.

Il cuore del modello 231 sono i protocolli di condotta, che si concretizzano nelle

procedure aziendali indirizzate alla regolamentazione delle attività, con l’esplicita finalità di

prevenire condotte delittuose rilevanti ai fini della responsabilità ex D. lgs. 231/01.

Questi protocolli di condotta si ispirano ai principi della trasparenza e dell’efficienza,

documentando le attività delle singole procedure aziendali in modo da oggettivare i controlli

necessari a testarne la correttezza, e tracciando la catena di responsabilità delle attività, in

particolar modo se queste comportano il trattamento di dati particolarmente sensibili.

A questo scopo si dovranno tenere presenti le normative correlate, come per esempio la

normativa sulla privacy D. lgs. 196/03, o anche i codici di autodisciplina, come il codice etico

nel quale ciascuna azienda formalizza le condotte richieste ai propri dipendenti e dirigenti,

specificando diritti, doveri e responsabilità.

Oltre ai principi di trasparenza ed efficienza, un altro aspetto rilevante è quello della

separazione funzionale, ovvero la responsabilità di una attività non viene affidata alla stessa

persona che controlla quella operazione.

Da ultimo, è fondamentale circoscrivere le responsabilità delle persone in grado di

autorizzare passaggi procedurali particolarmente delicati, in modo che queste responsabilità

siano documentate, definite e chiaramente note all’interno dell’organizzazione.

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26

Nel redigere il D. lgs. 231/01, il legislatore ha indicato anche la figura cui spetta il

compito di valutare l’adeguatezza e l’efficacia del modello, la sua messa in opera da parte

dell’azienda e la manutenzione del suo aggiornamento: questa figura è l’Organismo di

Vigilanza.

Pur lasciando autonomia alle singole imprese di declinare in vari modi la composizione di

questo organismo in base alle opportunità contingenti, di struttura aziendale e di business,

l’Organismo di vigilanza deve poter contare su membri autonomi, indipendenti e professionali

nelle loro scelte e nel loro operato, in particolare membri di funzioni non operative all’interno

dell’azienda, e con le adeguate skill giuridiche al fine di garantire l’efficacia dell’azione di

vigilanza, e capaci di dare continuità all’azione dell’Organismo di vigilanza, che diviene

quindi una struttura interna.

Le mansioni dell’Organismo di Vigilanza sono:

la verifica dell’adeguatezza e dell’efficacia del modello organizzativo,

la rilevazione di eventuali scostamenti da questo modello,

l’analisi e l’istruttoria relativa a questi scostamenti il cui output è una segnalazione

alla direzione per gli opportuni provvedimenti disciplinari,

l’aggiornamento del modello stesso,

la predisposizione di una relazione informativa, con cadenza almeno semestrale,

relativa alle attività di verifica e controllo compiute nell’ultimo intervallo di tempo

dalla precedente relazione.

Per svolgere queste mansioni, l’Organismo di vigilanza gode di piena autonomia e le sue

attività ispettive non possono essere sindacate da altre funzioni aziendali, funzioni alle quali,

l’Organismo è in grado di accedere, avendo la facoltà di richiedere informazioni e dati per lo

svolgimento delle proprie attività.

Questo non vuol dire che l’Organismo di vigilanza non possa avvalersi di altre strutture

aziendali, o anche di consulenti esterni: a questo scopo l’Organismo dispone di un suo budget,

eventualmente integrabile, non essendo previsti dalla norma limiti di spesa che condizionino

l’operato dell’Organismo.

A seguito dell’attività ispettiva in merito alla corretta implementazione e all’aderenza al

modello 231, possono essere attivate azioni sanzionatorie o disciplinari, a prescindere

dall’eventuale apertura di una fase giudiziale penale nel caso in cui la condotta non conforme

integri una fattispecie di reato.

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27

Nel definire l’impianto sanzionatorio l’azienda terrà inoltre conto dello Statuto dei

lavoratori, in particolare del suo art. 7.

Al fine di evitare sanzioni è necessario che il modello sia divulgato in azienda e che sia

svolta una adeguata formazione dei dipendenti e dei dirigenti: la divulgazione del modello, e

in particolare del codice etico, è fondamentale anche presso i fornitori esterni che, a vario

titolo, partecipano ai processi aziendali e operano per conto dell’azienda.

Questa descrizione del D. lgs. 231/01 mostra quanto sia oneroso per una azienda mettere

in piedi un modello organizzativo siffatto e garantirne il suo corretto funzionamento.

A fronte di questi oneri esistono tuttavia dei benefici per l’azienda, come ad esempio la

possibilità di sollevare dalla responsabilità di condotte fraudolente la società stessa: a questo

scopo il modello organizzativo deve essere stato progettato e implementato, secondo le linee

guida ricordate.

La norma individua inoltre il contenuto minimo del modello organizzativo, al fine di

indirizzare le modalità di gestione delle risorse economiche volte a prevenire la commissione

di reati, individuare un organismo di vigilanza e predisporre obblighi di informazione verso

quest’ultimo, ed infine introdurre un sistema disciplinare interno per mettere in atto le

sanzioni a seguito della violazione parziale o totale delle indicazioni del modello.

Se formulato in questo modo il modello, la cui adozione ricordiamo essere puramente

facoltativa per una azienda, può consentire di contenere e prevenire il rischio derivante da

condotte fraudolente.

A fronte di quanto esposto in questo paragrafo non sfugge l’analogia e talvolta la

sovrapposizione fra la funzione di internal auditing e l’Organismo di vigilanza prescritto dal

D. lgs. 231/01: in effetti non è escluso che queste due entità si fondino in una sola, se il

dimensionamento aziendale e le opportunità lo richiedono, ma è bene in generale tenere

distinte queste due funzioni.

Infatti l’Organismo di vigilanza non è propriamente una funzione aziendale: può avvalersi

dell’Internal Audit nell’assolvere alla propria funzione di vigilanza, appunto, sulla corretta

applicazione del modello, ma non può delegare ad una funzione aziendale la responsabilità

della gestione del modello organizzativo e la valutazione sulla sua corretta attuazione21.

21 Cfr. Dittmayer (2011), pp. 112sgg.

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L’attività dell’internal auditing ha una sua funzione specifica ed autonoma, può essere di

supporto alle finalità dell’Organismo di vigilanza, e quindi un canale di comunicazione e

condivisione di informazioni privilegiato fra queste due entità dell’organigramma aziendale è

sicuramente necessario.

In sostanza, gli interventi normativi oggetto della nostra discussione sembrano suggerire

una divisione dei compiti che vede l’Organismo di vigilanza, ma anche il dirigente preposto,

come accountant per le attività di ispezione e istruttoria, laddove gli internal auditor possono

svolgere, con l’autonomia che contraddistingue la loro funzione, le loro attività di audit e poi

riportare, secondo canali di comunicazione predefiniti e standardizzati, sia alla vigilanza che

al preposto le informazioni necessarie a decidere se mettere in atto misure di natura

sanzionatoria, modifiche al modello organizzativo o semplicemente emettere in modo più

informato e circostanziato la loro reportistica.

Nell’ottica della corporate governance deve quindi regnare una condivisione di

informazioni e una chiara distinzione di ruoli che svolgono una mansione di supporto alla

governance aziendale.

1.2.1 L’evoluzione dall’Ispettorato Fiat alla funzione di revisione interna in

FCA

La FCA (Fiat Chrysler Automobiles) è nata dalla fusione fra la principale azienda

automobilistica italiana, la Fiat, e l’americana Chrysler, sancita nel 2009, rappresenta una

realtà multinazionale le cui radici, e di cui parte della produzione, si trovano in Italia, e che

incarna tuttora uno degli emblemi della grande industria italiana e internazionale.

La complessità attuale del Gruppo, che ingloba diversi marchi storici dell’industria

automobilistica (Alfa Romeo, Jeep, Lancia, Magneti Marelli, etc.), lo rende oggi una realtà

assai complicata da gestire, ramificata e radicata in diversi contesti economici e industriali.

Non stupisce quindi che l’Internal Audit in seno al gruppo sia ramificato nelle varie

Region, ciascuna con la sua specificità.

Il concetto e la funzione di internal auditing furono introdotte in Fiat dagli anni ’70: in

quel periodo, specie per volontà dell’allora presidente Gianni Agnelli, la Fiat stava

promuovendo la sua politica espansiva sui mercati esteri, gettando in questo modo i prodromi

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di un decentramento aziendale il cui culmine sarebbe avvenuto con l’internazionalizzazione

dei decenni seguenti.

All’epoca, la Fiat si era dotata, a livello di holding, di una funzione di internal auditing

chiamata “Ispettorato”, che aveva una funzione prevalentemente di controllo economico e di

verifica dei flussi di cassa, operando presso tutte le filiali delle società, prevalentemente di

Fiat Auto.

In quegli anni la Fiat si stava sottoponendo a un graduale processo di evoluzione e

modernizzazione proprio nell’ottica di poter aggredire in modo efficiente i mercati

internazionali: in particolare, negli anni ’70 e ’80 (superata la fase critica dovuta alla crisi

petrolifera del 1973), la Fiat fondò stabilimenti in Brasile, si dotò di un centro di Ricerca &

Sviluppo e utilizzò il marchio Ferrari come strumento di marketing per competere ed

affermarsi sui mercati internazionali.

Questa politica di espansione e modernizzazione continuò negli anni ’80 ampliando il

proprio mercato in Polonia, Turchia, URSS e Sudafrica: in quel periodo la funzione di internal

auditing assolta dall’“Ispettorato” si ampliò per comprendere il monitoraggio di altre attività

oltre a quelle contabili, come per esempio la gestione dello stoccaggio e dei magazzini, degli

stabilimenti, della rete commerciale, etc.

Per poter efficientemente assolvere a questi compiti l’Ispettorato di Fiat adottò

inizialmente strumenti e standard metodologici dalla società di certificazione di bilancio

Arthur Andersen (oggi Accenture), cercando quindi di acquisire sia le esperienze che il know-

how in un settore che si percepiva sempre più strategico.

Nel 1996 l’Ispettorato della Fiat divenne una società del Gruppo, col nome di Fiat Revi

S.c.r.l. (Fiat Revisione Interna): in questo modo, godendo di una autonomia societaria, la

funzione dell’Ispettorato poteva venire assolta in modo più efficiente, per esempio aprendo

sedi della società Fiat Revi nelle varie location, e quindi che necessitavano della funzione di

monitoraggio e auditing, come in Brasile, Polonia, Cina, Inghilterra, Spagna e Francia.

A seguito dell’introduzione del D. lgs. 231/01, Fiat elaborò una metodologia per

codificare il suo modello organizzativo 231, improntata a una forte centralizzazione delle

direttive impartite da Fiat S.p.A. alle varie società del Gruppo: all’inizio degli anni 2000,

facevano parte del Gruppo industrie del settore automobilistico (Fiat Auto, Maserati, Ferrari,

CNH, Iveco, Fiat Powertrain technologies), di altri settori della componentistica

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automobilistica (Magneti Marelli, Teksid, Comau), società di supporto e di servizi (Centro

ricerche Fiat, Itedi, Business Solutions).

Nel febbraio del 2003, il Consiglio di Amministrazione di Fiat approvò il modello di

organizzazione e gestione ex D. lgs. 231/01, ma dovette procedere entro un anno a una

revisione dello stesso, a seguito di alcune evoluzioni normative del diritto societario e anche

alcune sentenze che potevano porre il problema relativo alla responsabilità civile o penale

della società controllata nei confronti della controllante, fino alla capogruppo22.

La soluzione a questo problema, posto dalla complessità strutturale del Gruppo Fiat, fu

quella di modificare il modello 231 in modo da consentire a ciascuna società del gruppo di

valutare, in modo pienamente autonomo, la presenza di processi sensibili e l’opportunità di

adottare il metodo che, ricordiamo, la legge prescrive come facoltativo.

Nel febbraio 2005 la Fiat ha quindi approvato una nuova versione del modello

organizzativo ex D. lgs. 231/01, unitamente a delle linee guida per l’adozione e l’utilizzo di

questo modello, rendendo quindi standard e uniforme la sua attuazione in tutte le società del

Gruppo.

In sostanza, il metodo proponeva alle società di effettuare in piena autonomia una “gap

analysis” dei propri processi aziendali con il fine di rilevarne le criticità, e fra questi i più

sensibili rispetto alle tematiche di tutela della società da parte di comportamenti fraudolenti e

delittuosi dei suoi dipendenti.

Alle singole società spettava inoltre l’onere di predisporre le procedure che avrebbero

dovuto prevenire la commissione di questi reati: questa decentralizzazione della normativa

interna ha consentito di tarare le misure preventive sulle singole realtà societarie, assai

difformi fra loro sia per struttura che per business.

La società caposettore che per prima adottò il modello fu Fiat Auto e alcune sue società,

infatti le singole società del gruppo presentavano spesso una struttura interna complessa.

Rispetto a questa organizzazione e a questo modello, Fiat prima della fusione con

Chrysler identificava le funzioni fra l’Organismo di Vigilanza sancito dal D. lgs. 231/01 e la

funzione di Internal Audit: quest’ultima aveva le caratteristiche di autonomia, indipendenza e

controllo necessarie all’esercizio delle proprie funzioni, unitamente alla possibilità di avere

una visione d’insieme e completa di tutti i processi aziendali.

22 Cfr. Di Gennaro (2005).

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In effetti, in Fiat dalla metà degli anni 2000 la funzione di Internal Audit, Organismo di

Vigilanza e di Preposto al sistema di controllo interno erano confluiti in un’unica funzione

nell’ambito della capogruppo Fiat S.p.a.

Questa entità era tuttavia distinta sia da Fiat Revi che dal Comitato di controllo e rischi,

nell’organigramma di Fiat S.p.a.: nella catena gerarchica, Fiat Revi riferiva all’Internal Audit

il quale riportava all’Amministratore Delegato (in maniera continuativa), oltre che al

Consiglio di Amministrazione (due volte l’anno), al Collegio Sindacale, al Comitato di

controllo e rischi: questi ultimi avevano la facoltà di convocare in qualsiasi momento

l’Internal Audit, nelle vesti di Organismo di Vigilanza.

Gli Organismi di Vigilanza delle società del Gruppo rispondevano agli omologhi della

caposettore che, a sua volta, riportava all’Organismo di Vigilanza di Fiat S.p.a..

Di questa organizzazione, nonché del modello, fu data ampia pubblicità internamente

all’azienda, sia sul sito della Intranet che nelle bacheche aziendali (in Fiat S.p.a.), mentre le

linee guida sono state inviate dall’Organismo di Vigilanza di Fiat S.p.a. alle omologhe

strutture delle aziende del Gruppo.

La seguente figura illustra schematicamente le relazioni fra queste diverse funzioni sia in

seno alla capogruppo che rispetto alle altre società del gruppo23.

23 Cfr. Passante (2010).

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A fronte di una funzione di Internal Audit sempre più di maggior rilievo all’interno del

Gruppo, coincidente sia con la funzione di Preposto che di Organismo di Vigilanza, ha

consentito nel primo decennio degli anni 2000 il consolidamento della posizione di Fiat Revi

nel ruolo di controllo interno.

Fiat Revi ha gestito anche i rapporti con i revisori esterni riconducibili a una condivisione

dei risultati degli audit che si concretizzavano nella formulazione di valutazioni indipendenti

circa l’efficacia dei sistemi di controllo e dei processi aziendali operativi posti in essere a

tutela del patrimonio aziendale.

Pertanto l’Internal Audit e il Preposto al sistema di controllo interno (coincidenti) si

avvalevano delle funzioni di Fiat Revi per lo svolgimento delle attività di valutazione dei

rischi e di controllo.

L’organizzazione aziendale di Fiat Revi prevedeva delle strutture così dedicate: una

all’Audit e un’altra all’area tecnica (IT) divise per zone geografiche (Italia, Nord Europa, Sud

Europa, Resto del Mondo), infine vi era un’altra struttura dedicata alla compliance che si

occupava delle attività di audit riferite a: financial, privacy e antifrode, forensic e strategic

audit.

Le attività erano operativamente così suddivise:

Financial audit: valutazione dell’affidabilità, accuratezza, e integrità del reporting

finanziario e gestionale;

Operational audit: per valutare l’efficacia e l’efficienza dei processi aziendali;

Compliance audit: allo scopo di valutare la conformità a politiche e procedure interne,

nonché a leggi e regolamenti (D. lgs. 231).

Fiat Revi per supportare le esigenze strategiche del Gruppo e del vertice aziendale,

sviluppò attività di consulenza nei seguenti ambiti:

Business Ethics Compliance: per monitorare la corretta applicazione del Codice di

Condotta;

Antifrode: includendo anche attività di prevenzione e whistleblowing;

ICT: con particolare riferimento alla documentazione e collaudo dei processi

informatici;

Purchasing: a supporto dei settori per garantire l’efficacia dei processi di acquisto;

Due diligence: in caso di operazioni straordinarie;

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ICFR Compliance: per valutare l’adeguatezza e l’efficacia del Sistema di Controllo

Interno sul Financial Reporting gestito dal Management aziendale;

Post Investment audit & reviews: per valutare il processo di integrazione delle nuove

acquisizioni e la redditività delle iniziative di investimento.

La struttura dell’Internal Audit è stata separata in seguito alla suddivisione tra CNH

International e Fiat S.p.A.

Tale struttura è stata mantenuta anche dopo la fusione con Chrysler che ha dato luogo ad

FCA: questo processo, originato nel 2009, prevedeva un ingresso progressivo di Fiat nelle

quote di capitale sociale di Chrysler: inizialmente del 20%, poi del 35% e infine del 51%,

sulla base del raggiungimento di determinati obiettivi finanziari ed ambientali, fino alla

effettiva fusione del 2014.

In particolare, nell’ambito del nuovo gruppo FCA, all’Internal Audit è affidata anche la

responsabilità del monitoraggio degli action plan (azioni correttive concordate con la società

oggetto di audit) e della gestione-individuazione delle problematiche riportate nelle whistle-

blowing24 (segnalazioni anonime pervenute in FCA).

1.2.2 L’Internal Audit in FCA

La funzione dell’Internal Audit in FCA assolve a diversi compiti, alcuni dei quali

provenienti dalle organizzazioni precedenti.

In particolare, l’Internal Audit è posto a presidio degli asset del Gruppo e delle sue

società, per garantirne l’efficacia e l’efficienza in seno ai processi operativi: nel

perseguimento di questo scopo, l’Internal Audit ha storicamente tenuto un atteggiamento

propositivo e proattivo nei confronti del management delle società soggette ad audit25.

Oltre a questo l’Internal Audit FCA svolge anche il ruolo di competence builder per

l’intero Gruppo FCA.

La mission dell’Internal Audit di FCA pone l’accento sulla obiettività ed indipendenza

delle attività di assurance e consulenza a supporto delle operations del Gruppo, con lo scopo

di utilizzare un approccio sistematico e disciplinato per valutare e migliorare l’efficienza del

risk management, del controllo e della governance dei processi.

24 Cfr. FCA (2015a).

25 Cfr. FCA (2015a).

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L’ambito nel quale la funzione di Internal Audit può spaziare nel compiere la propria

attività è esteso a tutti i processi produttivi aziendali, in quanto uno degli obiettivi di questa

funzione è quella di controllare se le azioni di risk management, controllo e governance dei

processi sono adeguate ed effettive.

L’Internal Audit non esaurisce i controlli effettuati per il monitoraggio e l’ottimizzazione

dei processi ma svolgono anche una funzione di supporto ai comitati che si occupano di

compiti specifici legati comunque al tema della corporate governance, secondo lo schema

seguente:

Nella nuova organizzazione seguita alla fusione, processo che si sta consolidando e che ha

subito revisioni e graduali miglioramenti a partire dal 2011; la funzione di Internal Audit è

stata adeguata al sistema di controllo interno (ICS: Internal Control System).

Quest’ultimo è stato istituito nel 2013, basandosi sul modello offerto dal framework

COSO (Committee of Sponsoring Organizations of the Treadway Commission Report – ERM

model), approfondito nei suoi aspetti generali e nella sua applicazione in FCA nel prossimo

capitolo.

FCA ha la sede fiscale nel Regno Unito, a Londra, mentre la sede legale è ad Amsterdam,

nei Paesi Bassi, soggetta quindi al diritto olandese, in particolare al Codice Civile nazionale,

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come risulta dallo statuto societario26: per questo motivo la società deve sottostare agli

indirizzi del Codice della Corporate Governance Olandese, articolato in un insieme di

procedure, regolamenti e strutture organizzative il cui obiettivo è di individuare e gestire i

principali rischi cui una grande società è soggetta.

Il sistema di controllo interno si sviluppa su tre livelli, secondo ben consolidati standard:

Primo livello: aree operative, si rilevano e identificano i rischi e si indicano le

specifiche azioni volte alla mitigazione degli stessi.

Secondo livello: aree per il controllo del rischio, definiscono le metodologie e gli

strumenti per monitorare e gestire i rischi.

Terzo livello: internal audit, offre una valutazione autonoma ed indipendente del

sistema di controllo interno nella sua globalità.

Nel Comitato di Controllo e Rischi sono presenti i rappresentanti dei settori e delle aree

geografiche dove FCA è presente, così come i responsabili dell’area finanza, ICT, HR, legale,

delle principali aree di business e dell’Internal Audit.

In particolare, i primi due livelli utilizzano tecniche a campione e seguono, nel farlo, le

best practice internazionalmente riconosciute a questo scopo27; nel terzo livello l’Internal

Audit conduce assessment sul progetto e la messa in esercizio dei controlli chiave in carico

alle aree di controllo del rischio e a quelle operative.

Questo assessment può suggerire la definizione di ulteriori controlli così come dei

remediation plan o degli improvement plan.

Inoltre, i risultati di questo monitoraggio sono soggetti a revisioni periodiche da parte del

dirigente responsabile del reporting finanziario della società, e da questi comunicate al senior

management e al comitato di audit, che a sua volta risponde al board of directors28 composto

dal presidente John Elkann, dal CEO Sergio Marchionne e da un comitato di dirigenti: si noti

che in questo comitato ci sono due rappresentanti del comitato di audit, attualmente Glenn

Earle e Ronald L. Thompson, così come va detto che FCA si avvale anche di report prodotti

da auditor esterni, in particolare della attuale società di certificazione di bilancio

Ernest&Young29.

26 Cfr. FCA (2014a).

27 Cfr. FCA (2014c).

28 Cfr. FCA (2014c).

29 Cfr. FCA (2014d).

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Infine, è da notare come l’Internal Audit FCA conduca anche una revisione qualitativa dei

controlli eseguiti dalle società di consulenza esterne.

Scendendo più nello specifico delle attività dell’Internal Audit possiamo elencare le

seguenti:

Financial Audit: determina l’affidabilità, l’accuratezza e l’integrità delle informazioni

finanziarie e operative.

Operational Audit: definisce quali operazioni sono adeguatamente controllate e quali

processi operativi sono effettivi ed ottimizzati.

Compliance Audit: indica il grado di compliance delle azioni sia dei dipendenti che

delle società del Gruppo rispetto alle policy interne ma anche alle normative e leggi

delle realtà nelle quali operano.

Questi tre filoni di attività costituiscono la estrinsecazione della mission dell’Internal

Audit e sono molto simili a quelle che si trovano presso altri grandi corporate groups.

Per assecondare le esigenze strategiche di FCA e le richieste specifiche del top

management l’Internal Audit ha sviluppato delle attività di supporto e advisory come per

esempio:

Business ethics compliance: verifica la corretta applicazione del codice etico aziendale

da parte di tutti i dipendenti e fornitori;

Fraud audit: prevenzione delle frodi, rilevamento di eventuali comportamenti

fraudolenti e gestione del processo di whistle-blowing;

Post investment audit: revisiona e fornisce assessment dei processi di integrazione di

nuove società acquisite dal Gruppo e verifica la profittabilità effettiva degli

investimenti compiuti in queste acquisizioni rispetto alle stime iniziali;

ICT audit: monitoraggi e assessment sul sistema informativo aziendale, per garantire

che i processi IT siano correttamente documentati e controllati, e che rispondano

effettivamente ai bisogni del Gruppo;

ICFR compliance: monitoraggio e assessment dell’adeguatezza e dell’effettività del

sistema di Controllo interno sui report finanziari (ICFR) gestito dal management di

FCA;

Purchasing scouting: supporta le funzioni di FCA nei loro processi di acquisto o

cessione al fine di ottimizzarli;

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Due diligence: supporta le funzioni di FCA coinvolte nelle attività straordinarie del

Gruppo, come fusioni e acquisizioni, cessioni e spin-off.

Nello svolgere queste numerose attività, l’Internal Audit di FCA si avvale di diverse

metodologie di audit: per esempio informa per mail, almeno una settimana prima della

attività, sulle date di inizio e durata dell’audit; svolge un incontro preliminare per illustrare

l’ambito dell’audit e l’approccio seguito; pianifica l’attività di auditing per ottimizzare l’effort

degli auditor e focalizzarli sulle attività più fondamentali.

In queste fasi il coinvolgimento degli owner dei processi sottoposti ad audit è

fondamentale e continuo, soprattutto nella fase di fieldwork che consiste nell’espletamento

effettivo presso la società dell’attività di auditing.

Conclusa l’azione di audit, viene tenuta una riunione di exit dove le principali evidenze

emerse vengono sintetizzate ed esposte, e dove si sollecita l’action plan per il miglioramento

delle carenze riscontrate; una riunione di chiusura consente di riportare l’esito dell’audit e

l’action plan al management.

L’esito di un audit viene concretizzato in un audit report che si articola come segue:

1. Draft preliminare: condiviso in sede di exit meeting e il “cliente” dell’attività di

auditing ha due settimane di tempo per formulare un action plan corrispondente;

2. Draft finale: condiviso nella riunione di chiusura;

3. Audit Report: pubblicato entro due settimane dalla riunione di chiusura;

4. Follow-up: il monitoraggio e l’implementazione dell’action plan, in modalità on-

going, è in carico alle singole società del Gruppo mediante l’utilizzo di uno specifico

software. Per ogni audit che presentava delle criticità ad alto rischio viene eseguito un

follow-up; è prevista la verifica circa l’effettiva realizzazione degli action plan

concordati precedentemente.

In definitiva, la funzione di Internal Audit in FCA svolge una serie di attività da un lato di

verifica dell’effettività dei sistemi di controllo interni, nell’ottica del miglioramento continuo,

dall’altro di identificazione di criticità e rischi, in modo da contribuire al miglioramento dei

sistemi di risk management.

Inoltre, l’Internal Audit si occupa di implementare attività di supervisione specifiche

individuando eventuali carenze nel sistema di controllo interno e possibili ambiti di

miglioramento, e verifica che le regole e le procedure siano applicate correttamente.

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In particolare, il CAE (Chief Audit Executive), il dirigente a capo dell’Internal Audit,

svolge una funzione indipendente al fine di costituire un terzo livello di controllo all’interno

dell’organizzazione, autonomo quindi dal controllo di primo e consecutivamente di secondo

livello.

Il CAE ha le seguenti specifiche responsabilità:

verifica l’adeguatezza dei sistemi di controllo e di risk management, sia su base

continuativa che in relazione a particolari necessità, e in conformità con gli standard

professionali internazionali;

assicura che il risk assessment venga effettuato almeno una volta l’anno;

garantisce che le risorse siano adeguate, sufficienti ed efficacemente implementate per

la realizzazione del piano di audit approvato dal Comitato per il Controllo e Rischi o

dal board.

Per lo svolgimento di tali attività il CAE ha accesso diretto a tutte le informazioni

necessarie, ed inoltre, ha l’onere di redigere su base periodica dei report sull’attività

dell’Internal Audit, con particolare riferimento al risk management e al risk mitigation: questo

report contiene anche una valutazione sul sistema di controllo interno.

Su base trimestrale riporta al Comitato per il controllo eventuali criticità che potrebbero

causare notevoli danni economici e reputazionali alla società se non monitorati e gestiti per

tempo.

In caso di necessità specifiche, il CAE è chiamato a riferire tempestivamente al Consiglio

di Amministrazione su eventi di particolare rilevanza, oltre che produrre report specifici per il

Presidente del CDA e il Comitato di Controllo e Rischi.

Infine, è onere del CAE la verifica dell’affidabilità del sistema informativo, compresi i

sistemi di autenticazione e profilatura, come parte del piano di audit.

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39

Capitolo 2 Il sistema di controllo interno in FCA

In questo capitolo affrontiamo la struttura e l’evoluzione del sistema di controllo interno

di FCA: iniziamo con una disamina generale di cosa sia un sistema di controllo interno in una

grande azienda, raccogliendo alcune definizioni, fissando la terminologia e fornendo le

spiegazioni di base che si trovano in letteratura, selezionando in particolare quanto di maggior

interesse per il prosieguo del capitolo e del lavoro, vale a dire quanto abbia specifica e

maggiore rilevanza per il caso FCA.

Passiamo poi a una descrizione di quali siano gli obiettivi macroscopici, e generali, di un

sistema di controllo interno, avendo in mente da un lato il caso specifico che ci interessa, e

quindi soffermandoci sugli aspetti più rilevanti per esso, e dall’altro i framework e standard di

riferimento che si sono diffusi negli ultimi anni e in particolare quelli che hanno influenzato le

attività di Fiat prima e FCA poi, in quanto da queste adottati.

Nel descrivere la struttura di un sistema di controllo interno a livello generale, si pone

particolare attenzione sugli attori coinvolti nelle attività del sistema e sulla tematica generale

dell’analisi dei rischi, che è contigua e parzialmente incorporata nei sistemi di controllo

interno: particolare enfasi è posta nella generalizzazione del concetto di rischio, dal semplice

rischio finanziario, che un tempo era l’unica preoccupazione di questi sistemi, al rischio

inteso nel senso più ampio del termine, in quanto impattante sugli obiettivi di business di una

azienda.

In un paragrafo a sé esponiamo alcune considerazioni fra i rapporti fra l’Internal Audit e il

sistema di controllo interno, facendo riferimento alle diverse normative e codici di

regolamentazione illustrati nel primo capitolo per chiarire con esempi come questi rapporti

possano correttamente inquadrarsi.

Dopo questi necessari preliminari passiamo a descrivere il framework COSO I,

illustrandone i concetti, le idee e la struttura, e descrivendone l’evoluzione motivata dalle

limitazioni del modello iniziale, che è stato proposto agli inizi degli anni ’90, e quindi

logicamente sottoposto a revisione.

Descriviamo anche come Fiat Group ha adottato questo modello e come lo ha

implementato negli anni ‘2000, delineando i meccanismi utilizzati per realizzarlo e le

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particolarità organizzative poste in atto per il suo adattamento alla realtà specifica di Fiat

Group di quegli anni.

Illustriamo poi l’evoluzione del COSO I, generalmente nota come modello ERM,

mostrando quali siano i punti di novità rispetto al precedente e quindi i benefici di un

passaggio a questo framework più moderno e completo: in particolare ci soffermiamo sul

concetto di rischio quale viene concepito in questo nuovo modello.

Analogamente a quanto fatto per il COSO I, anche in questo caso trattiamo dell’adozione

da parte di Fiat e in seguito da parte di FCA di questo modello negli anni ‘2000, discutendo

l’impostazione del processo di gestione dei rischi in FCA, orientato ai principi dell’ERM e

fortemente calato nella realtà del gruppo, che ha una ampia dislocazione geografica e

segmentazione di mercato, e quindi un ventaglio di “risk driver” assai corposo. Descriviamo

anche, macroscopicamente, le procedure operative di gestione del rischio.

Passiamo poi a discutere una ulteriore versione del modello COSO, il COSO III orientato

specificatamente ai possibili rischi della reportistica finanziaria, descrivendone i principi e lo

schema generale: anche in questo caso approfondiamo l’adozione di questo modello da parte

di Fiat e le questioni poste dopo la fusione con Chrysler in merito all’evoluzione e

all’adattamento di questo modello a tutto il gruppo FCA: in questa ultima parte del capitolo

descriviamo la situazione ante fusione, in modo da poter poi svolgere in modo completo e su

basi certe la descrizione della situazione post, e in particolare esponendo il progetto di

Governance, Risk and Compliance messo in piedi per far convergere i sistemi di controllo

interno verso un sistema unificato e integrato.

2.1 Il sistema di controllo interno: aspetti definitori

Nell’ambito della corporate governance di una azienda, è ormai una consolidata e diffusa

prassi quella di considerare il risk management come inestricabilmente collegato alla

governance: il sistema di gestione dei rischi è ormai considerato al centro del sistema di

governo aziendale, e, a sua volta, la gestione dei rischi contiene il sistema di controllo interno

dell’organizzazione, secondo il seguente schema30.

30 Cfr. Dittmeier (2011), p.142.

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Questa enfatizzazione “a tutto campo” dell’analisi e del controllo dei rischi è stata

possibile per l’estensione del dominio del risk management dall’iniziale ambito finanziario a

tutti gli aspetti dell’organizzazione aziendale: allo stesso tempo, il sistema di controllo interno

dell’azienda non è più, semplicemente, un sistema volto a supportare la revisione contabile e

finanziaria, ma un sistema di controllo integrato che guarda a tutte le componenti e i processi

aziendali che concorrono alla produttività e all’organizzazione delle attività.

Dunque il sistema di risk management di una azienda deve necessariamente rispecchiare

questa ampiezza di prospettive, configurandosi come un insieme di processi, strumenti e

risorse che sono utilizzati per offrire la ragionevole garanzia del raggiungimento degli

obiettivi aziendali, intervenendo in tutti i settori che possono promuovere, o pregiudicare, il

raggiungimento di questi obiettivi.

Il sistema di controllo interno viene definito31 come l’insieme delle direttive, delle

procedure e delle tecniche adottate dall’azienda, e connotato come un processo attuato dal

Consiglio di Amministrazione, dai dirigenti e da altri soggetti della struttura aziendale,

finalizzato a fornire una ragionevole certezza sul conseguimento degli obiettivi rientranti nelle

seguenti categorie: efficacia ed efficienza delle attività operative; attendibilità delle

informazioni contabili ed extra contabili, sia per i terzi, sia a fini interni; conformità alle leggi

e ai regolamenti in vigore, alle norme e alle politiche interne.

31 Cfr. Coopers, Librand (1997).

Corporate Governance

Risk Management

Sistema di Controllo Interno

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In quanto tale, il sistema di controllo interno ha il compito di mettere in campo una serie

di attività che riguardano l’azienda nella sua totalità e che sono finalizzate a minimizzare i

rischi del mancato raggiungimento degli obiettivi aziendali: gli attori che pongono in essere

questo sistema sono il Consiglio di Amministrazione, il management aziendale ed eventuali

altri soggetti in staff a questi se la complessità aziendale lo richiede.

Naturalmente, data la diversità sia di ambito che di complessità delle diverse realtà

aziendali, è difficile dare una definizione generale e precisare come debba essere strutturato il

sistema di controllo interno di una azienda.

Tuttavia, a grandi linee, possiamo indicare alcune tematiche assolutamente comuni a tutte

le realtà aziendali, e in particolare applicabili, con molte precisazioni e ramificazioni, al caso

di nostro interesse32.

Per prima cosa, notiamo come sin dalla definizione particolare enfasi sia posta sul ruolo

del Consiglio di Amministrazione dell’azienda: non è iperbolico affermare che la principale

funzione di questo organo consiste proprio nel mantenimento di un efficace sistema di

controllo interno volto a salvaguardare gli interessi degli azionisti e gli asset aziendali33.

Infatti la direzione aziendale, il top management nelle aziende di complessità appena

superiore alla media, deve attendersi “output minimali” dal proprio sistema di controllo

interno, ovvero deve assicurarsi che quest’ultimo sia in grado di coprire un ampio spettro di

attività, svolte direttamente dalla direzione aziendale o da questa delegata ad altre funzioni, in

modo da poter esercitare un controllo esteso dell’operatività dei processi aziendali.

Il Consiglio di Amministrazione ha dunque l’onere di condurre anche una revisione

dell’efficacia del sistema di controllo interno e di riportare su questo agli azionisti nel report

annuale: questa attività dovrebbe riguardare sia gli aspetti finanziari che quelli operativi e di

risk management.

Pertanto possiamo dire in generale che il sistema di controllo interno realizza un processo

che coinvolge l’intera realtà aziendale nell’ottica della minimizzazione dei rischi di mancato

raggiungimento degli obiettivi, e che va considerato strumentale, in quanto posto in essere dal

Consiglio di Amministrazione, alla realizzazione degli obiettivi aziendali.

Inoltre, il sistema di controllo interno deve avere una capacità comunicativa e informativa

improntata da tempestività e precisione, in modo da segnalare per tempo anomalie, e

32 Cfr. Troina (2005) p. 40.

33 Cfr. Zanigli (2004).

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dettagliare eventuali cause e motivazioni per comportamenti anomali, ovvero enucleare rischi,

anche esogeni, che potrebbero causare anomalie operative.

In questo modo, il sistema di controllo interno, che è lo strumento dal quale

necessariamente passare per prendere una decisione, è di supporto alla catena decisionale e

non di ostacolo.

Si segnala infine, l’importanza di una “organizzazione modulare”, nella quale le diverse

aree sono sottoposte a controllo secondo modalità specifiche e lo sono in maniera

indipendente le une dalle altre, in modo che carenze o vulnerabilità relative ai controlli di una

non incidano sui controlli esercitati sulle altre: questo non vuol dire, ovviamente, duplicare il

sistema di controllo per ciascuna funzione aziendale, ma articolarlo in strutture che, in

parallelo e in autonomia, possano esercitare il controllo sulle singole realtà aziendali, sempre

tuttavia integrate in un sistema, appunto, unitario e in grado di sintetizzare un output unico

delle proprie evidenze e delle proprie attività.

2.2 Gli obiettivi del sistema di controllo interno

Se il sistema di controllo interno, come abbiamo specificato, si pone al centro del sistema

di controllo dei rischi, i suoi obiettivi sono più circoscritti, e sebbene riconducibili

essenzialmente alla redditività e al conseguimento della mission aziendale, si possono

enumerare in modo più circostanziato come segue.

Per prima cosa un sistema di controllo interno deve contribuire alla salvaguardia del

patrimonio sociale dell’azienda: infatti la funzione di monitoraggio del rischio che viene

assegnata al sistema di controllo è innanzitutto orientata a prevenire i rischi che possono

incidere sul valore del patrimonio aziendale, che è alla base del sostentamento delle attività

produttive e a garanzia della continuità di queste anche nei momenti in cui i flussi di cassa

non possono, per vari motivi, garantirla.

Oltre a questo, il sistema di controllo interno deve monitorare la qualità dei dati che

confluiscono dalle varie componenti aziendali al management e che concorrono alle decisioni

di quest’ultimo: è ovvio che, per garantire la possibilità di decidere le strategie aziendali

migliori, i dati devono essere precisi e veritieri, e il sistema di controllo ha anche il compito di

garantire questa qualità, con particolare riferimento ai dati economico-finanziari (e nello

specifico alle informazioni che concorrono al bilancio di esercizio).

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Il sistema di controllo interno ha anche come obiettivo la tutela dell’efficacia e la

promozione dell’efficienza delle operazioni aziendali, non solo delle funzioni amministrative

ma anche di quelle relative al business aziendale nelle sue varie componenti, e dell’efficienza

operativa dell’azienda.

Infine, fra gli obiettivi macroscopici del sistema di controllo interno, figura a pieno titolo

il controllo del rispetto delle normative e delle policy interne (a partire dal codice etico), oltre

che il rispetto delle leggi e dei regolamenti cui sono sottoposti l’azienda e i suoi dipendenti,

con particolare riferimento alle normative che intendono limitare comportamenti fraudolenti e

che, come abbiamo visto nel capitolo precedente, prendono le mosse da casi concreti e

clamorosi di comportamenti delittuosi che le normative intendono limitare e prevenire.

Questi obiettivi di massima, che vengono declinati in molti modi diversi, anche a seconda

del business tipico dell’azienda e della sua collocazione nel mercato, sono tutti orientati al

raggiungimento degli obiettivi di business dell’impresa, in quanto definiti dal Consiglio di

Amministrazione tramite una diffusione della consapevolezza delle regole e delle

conseguenze di comportamenti non corretti.

Per poter centrare questi obiettivi, il sistema di controllo interno all’azienda deve

ovviamente poter essere in grado di svolgere in modo autonomo e sostenibile le proprie

attività: in particolare, deve poter contare su una separazione dei ruoli fra controllo ed

operatività, in quanto questo presupposto è alla base dell’autonomia nella propria azione34.

D’altra parte la struttura dell’organigramma aziendale e i piani di comunicazione interni

(o strumenti analoghi quali le matrici delle responsabilità, etc.) devono consentire di

individuare per qualsiasi attività un “accountant”, cioè un soggetto cui è riconducibile la

responsabilità per l’attività in questione: se manca questa chiara indicazione risulta

impossibile perseguire una azione efficiente di controllo, e quindi il sistema di controllo

interno si vede limitato nella possibilità di contribuire agli obiettivi aziendali.

Due altri aspetti sono connessi a questo: in primo luogo, oltre alla possibilità di poter

sempre risalire ai responsabili per le singole attività aziendali è anche fondamentale che le

scelte che hanno portato alla definizione e implementazione di quelle attività, all’interno del

ciclo produttivo aziendale, siano condivise in modo oggettivo, vale a dire che le decisioni

siano state prese in maniera razionale e motivabile, in modo da poterne capire la ratio e

quindi comprenderne l’ambito e le finalità.

34 Cfr. Troina (2005), pp. 33sgg.

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Inoltre, deve essere presente un sistema di tracciamento delle informazioni e degli eventi

aziendali legati agli aspetti critici dei processi di business, o agli aspetti che comunque

possono essere oggetto di analisi da parte del sistema di controllo interno: quest’ultimo,

infatti, ha la necessità di ricostruire a posteriori eventi e flussi di informazioni per poter

determinare se si sia originata una violazione a regole aziendali o normative, o semplicemente

per poter monitorare in modo efficiente e puntuale i processi aziendali che deve tenere sotto

controllo.

Il sistema di controllo interno di una azienda svolge la sua funzione di controllo tramite

una attività ispettiva di vigilanza e una attività di guida e governo del sistema: nel primo caso

ricadono, per esempio, le attività di verifica a cura degli Internal Auditor, nel secondo caso

per esempio la verifica del corretto impiego delle risorse finalizzata al raggiungimento degli

obiettivi aziendali35.

Di fondamentale importanza per capire la centralità del sistema di controllo interno di una

azienda è la constatazione che l’attività di controllo interno da questo posta in essere è un

processo rappresentato da una serie di azioni che coinvolgono tutta la realtà aziendale, e che

esso è svolto ed è in carico a persone; non si tratta cioè semplicemente di documenti e

regolamenti da rispettare, ma di attività svolte da persone inquadrate nei diversi livelli

dell’organigramma aziendale, come abbiamo in precedenza riportato.

Questo in quanto il sistema di controllo interno deve consentire non solo di appurare

eventuali problemi e il verificarsi effettivo di rischi, ma anche di fronteggiare in modo

tempestivo ogni mutamento dell’ambiente economico nel quale l’azienda opera, e quindi

poter anticipare gli adattamenti necessari per far fronte al cambiamento, in modo da garantire

l’efficienza, tutelare le attività patrimoniali e mantenere l’attendibilità dei dati di bilancio e la

conformità delle attività aziendali a regole e normative.

Naturalmente tutto ciò avviene per tramite del lavoro di persone e funzioni aziendali che

partecipano al processo di controllo interno, sotto la responsabilità del comitato per il

controllo interno.

La valutazione delle attività di chi partecipa al processo di controllo interno è chiaramente

da effettuarsi su base continuativa e non sporadica, e rappresenta una fase del processo stesso

di controllo, fermo restando che l’efficacia del sistema di controllo interno è sempre da

misurarsi rispetto al livello di raggiungimento degli obiettivi fissati come target dall’azienda.

35 Cfr. Bava (2003), p.10.

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Infatti, il management aziendale ha proprio il compito di fissare questi obiettivi, su diversi

orizzonti temporali, e promuovere le attività aziendali per conseguirli: questo vuol dire

stabilire target da centrare in linea e coerenti con la mission aziendale.

A prima vista, il target che il management può e deve fissare è sostanzialmente l’obiettivo

dell’economicità, cioè il conseguimento e consolidamento di una efficace ed efficiente

gestione aziendale che si ponga a baluardo della durabilità dell’azienda: in questo senso, il

sistema di controllo interno deve monitorare sul fatto che i tempi di esecuzione siano

minimizzati e che la qualità delle attività e dei servizi svolti dall’azienda sia massimizzata.

Ma questo non è l’unico obiettivo aziendale: per esempio possiamo anche citare

l’affidabilità delle informazioni, sia interne che esterne, che sono prodotte dall’azienda a vario

titolo e rese disponibili; questo in quanto il processo decisionale necessità di affidabilità del

dato e di tempestività della sua produzione.

Da un lato queste caratteristiche consentono una rapida ed efficiente catena decisionale,

dall’altro consentono all’azienda di fornire in modo preciso e tempestivo le informazioni che

esternamente possono esserle richieste (si pensi alle attività di revisione del bilancio): il che

vuol dire da un lato fornire informazioni che riflettano eventi e fatti realmente accaduti, in

modo completo e accurato, dall’altro che queste informazioni permettano ad eventuali

osservatori istituzionali esterni di farsi un quadro preciso della realtà aziendale e del suo

status rispetto alla tutela del patrimonio, e quindi anche degli azionisti.

2.3 Struttura di sistema di controllo interno

Un sistema di controllo interno deve constare di diverse funzioni al proprio interno per

poter efficacemente svolgere la propria mission.

Una prima funzione fondamentale che il sistema di controllo deve poter esercitare, in vista

della corporate governance, è quella di predisporre e utilizzare un “ambiente di controllo”,

cioè una struttura organizzativa ed operativa che sia in grado di supportare tutte le altre

funzioni di controllo del sistema.

L’ambiente di controllo è ottenuto combinando policy, procedure e attività volte a

sostenere i processi di business aziendali, e a supportare il top management e i dirigenti delle

unità organizzative in merito all’importanza del sistema di controllo interno: quest’ultimo

deve essere visto come una sentinella non intrusiva il cui operato porta valore anche e

soprattutto alle funzioni che vengono poste sotto il suo controllo.

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Per poter predisporre e rendere operativo l’ambiente di controllo, è necessario operare

sulle diverse aree e dimensioni aziendali, a partire dal Consiglio di Amministrazione e dal

management che devono essere coinvolti, consapevoli e anche motivati a supportare

l’iniziativa: in particolare l’impegno specifico del settore dirigenziale deve essere orientato

alla competenza, alla condivisione dei valori aziendali e dell’integrità aziendale (per esempio

nella condivisione del codice etico) per lo sviluppo della cultura aziendale necessaria a

supportare questi valori.

Il Consiglio di Amministrazione, in particolare, deve contemplare anche la presenza di

amministratori non esecutivi in modo da poter esaminare le attività del management senza un

“conflitto di interessi” rispetto al proprio ruolo dirigenziale: in questo modo il Consiglio di

Amministrazione partecipa, parzialmente, alla funzione di controllo, consentendo di

consolidare l’ambiente di controllo stesso.

Il sostegno del management è inoltre necessario per poter indirizzare correttamente lo stile

di controllo aziendale che l’ambiente di controllo deve contribuire a far esercitare: per

esempio attraverso una corretta e più possibile trasparente comunicazione sugli standard di

comportamento, che devono essere divulgati e condivisi a tutti i livelli, in modo che la catena

della consapevolezza filtri dal management fino ai singoli dipendenti.

Tutto questo presuppone, in particolare, una struttura organizzativa in grado di veicolare

la pianificazione e la strategia aziendale in modo da poter, nella maniera più oggettiva

possibile, misurare e controllare il raggiungimento degli obiettivi che fanno parte della

mission aziendale.

La struttura organizzativa deve in particolar modo essere calibrata in maniera da rendere

chiare e univocamente determinabili le responsabilità relative alle attività operative, che

devono essere assegnate ovviamente in base a criteri di competenza ma anche fondandosi

sulle capacità di assumersi rischi a diversi livelli: la relazione di reporting fra gli operativi e i

livelli gerarchici superiori è uno degli elementi critici di questa catena decisionale.

Il coinvolgimento delle Risorse Umane nell’ambiente di controllo è un’altra caratteristica

essenziale per la buona riuscita della funzione del sistema di controllo interno: oltre alla

funzione di allocazione e gestione delle risorse in merito alle tematiche del controllo dei rischi

aziendali, le Risorse Umane possono promuovere la formazione interna e la diffusione di

consapevolezza relative alle tematiche del rischio e della sua gestione, che devono

capillarmente diffondersi nelle differenti funzioni aziendali.

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La valutazione del rischio è in effetti un altro elemento fondante della funzione del

sistema di controllo interno, in quanto i rischi si connotano come eventi potenziali il cui

verificarsi impatta sulla probabilità di raggiungere gli obiettivi di business (per esempio in

quanto impattano sulla possibilità di operare normalmente), o sulla probabilità di veder

soddisfatte determinate aspettative (per esempio nel caso in cui fattori macroeconomici

vadano a ledere il valore di investimenti finanziari).

In effetti, i rischi cui una azienda è esposta nel corso della sua attività non possono essere

azzerati, per loro natura le imprese si muovono in un contesto in cui la competizione, i fattori

macroeconomici, i fattori sociali, etc. rendono incerto il percorso delineato dalla strategia

aziendale e sfidante la sua realizzazione: il sistema di controllo interno non può ovviamente

garantire la realizzazione degli obiettivi aziendali a fronte di questa situazione di costante

incertezza, ma porre le basi e i presupposti affinché l’azienda sia potenzialmente in grado di

fare fronte alle situazioni impreviste e, malgrado il verificarsi di queste, giungere al proprio

target di business.

Ovviamente la valutazione del rischio è legata alle capacità strategiche della direzione

aziendale, che in particolare deve essere in grado di identificare correttamente i rischi prima

che si verifichino, possibilmente classificandoli per tipologia e stima di impatto, e disegnando

dei controlli specifici per ciascun rischio, comuni spesso alle categorie di rischio, per poter

efficientemente decidere come comportarsi nel caso in cui il rischio si verifichi in modo da

mitigarlo.

Tradizionalmente il risk management è stato inteso come gestione dei rischi economico-

finanziari cui l’azienda può incorrere: l’identificazione di questi rischi è onere della direzione

generale dell’azienda che deve disegnare e mettere in campo i controlli volti a minimizzare le

possibilità di rischio, ma anche del revisore dei conti che deve stabilire le quantità e qualità di

evidenza necessaria per poter dire con ragionevole certezza che la situazione di rischio

potenziale sta attuandosi in un rischio reale.

Tuttavia è un dato di fatto ormai accettato universalmente che le tipologie di rischio per le

aziende sono più estese del semplice, per quanto fondamentale, ambito economico-

finanziario.

A fronte di quanto specificato in questo e nel precedente paragrafo, possiamo almeno

affiancare agli obiettivi di economicità di una azienda anche quelli di affidabilità delle

informazioni e di conformità alle regole interne ed esterne: ciascuno di questi ambiti

determina una serie di obiettivi che l’azienda si propone di centrare, e per ciascuno di questi

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ambiti dunque emergono diverse tipologie di rischio che possono interferire col

raggiungimento dei singoli obiettivi.

In particolare, il sistema di controllo interno può contribuire ad abbattere o mitigare

soltanto alcune tipologie di rischio, altre devono necessariamente essere trasferite in quanto

facenti capo a rischi residuali cui la gestione aziendale non può sottrarsi36: per esempio il

rischio economico finanziario non può essere mitigato se non potenzialmente dal sistema di

controllo interno, che deve garantire la possibilità di gestirne il verificarsi del rischio senza

poter garantire sull’esito dell’azione di contrasto, laddove il rischio legato all’attendibilità

delle informazioni o alla conformità nel rispetto delle policy e delle normative sono

nell’ambito di operatività del sistema di controllo interno, una cui corretta implementazione e

un cui efficiente funzionamento consentono di abbatterli e mitigarli.

Un classico e semplice modello di gestione del singolo rischio si basa sull’analisi

impatto/probabilità: si analizza cioè il rischio secondo queste due dimensioni, ottenendo

quattro categorie di rischio determinate dal fatto che l’impatto e/o la probabilità siano

rispettivamente bassi e/o alti.

Impatto alto/

Probabilità bassa

Impatto alto/

Probabilità alta

Impatto basso/

Probabilità bassa

Impatto basso/

Probabilità alta

Ovviamente un rischio ad alto impatto e alta probabilità di verificarsi va tenuto sotto

controllo e bisogna aver preventivamente preparato una strategia per gestirlo, laddove un

rischio con probabilità alta ma basso impatto potrebbe essere comunque accettato, nel senso

che si preferisce subirne la possibile verifica piuttosto che sostenere il costo della sua

mitigazione.

Infatti, nella gestione dei rischi, se da un lato si devono predisporre delle misure di

controllo e protezione, dall’altro queste comportano ovviamente un costo e un onere: non è

possibile metterle in campo sempre e comunque perché vorrebbe dire che il sistema di

gestione dei rischi non è ottimale, così come non sarebbe ottimale se si trascurasse la gestione

36 Cfr. Bava (2004).

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del rischio in ogni caso: la soluzione è chiaramente un compromesso fra il costo dei sistemi di

controllo e l’impatto del rischio, in modo da individuare un livello ragionevole di controlli

oltre il quale il costo dell’impatto non eccede il costo della messa in campo delle risorse per

mitigarlo.

Da tutto questo segue che il sistema di controllo interno opera in stretta sinergia con il

personale addetto alla gestione dei rischi, e anzi che una salutare osmosi fra i due gruppi

consente una maggiore facilità di intenti e di condivisione delle informazioni.

Il monitoraggio dei rischi deve invece essere una attenzione costante e il flusso di

informazioni e report ad esso relativo deve essere sempre tenuto nella massima efficienza in

modo da poter comunicare tempestivamente le informazioni necessarie alla presa rapida di

decisioni in caso di verifica dei rischi stimati.

In effetti un monitoraggio va inteso come una verifica continua o periodica con cadenze

ben definite dell’efficacia dei controlli e dell’effettiva operatività di essi in modo da poter

assicurare che i controlli operino secondo gli obiettivi preventivati e che siano adeguati a

eventuali evoluzioni della realtà operativa sulla quale vanno calati: operatività ed adeguatezza

dunque devono essere assicurate affinché il sistema di controllo possa svolgere in modo

effettivo la propria mansione.

Lo scambio di informazioni che fa in qualche modo da sfondo a questa operatività relativa

al monitoraggio prevede una eterogeneità di fonti alle quali attingere per poter comporre un

quadro coerente sulla base del quale andare a monitorare in modo efficace il sistema

aziendale: per esempio si possono utilizzare i rapporti dell’Internal Audit, i rapporti di altri

enti di sorveglianza, il feedback del personale interno, il feedback di attori esterni coinvolti a

vario titolo nel processo produttivo (in primis i clienti ovviamente), etc.

La continuità del processo di monitoraggio consente al top management di utilizzare in

modo consapevole e informato i propri strumenti di raccolta delle informazioni a beneficio

del decision making.

Queste osservazioni pongono in rilievo la stretta connessione che esiste fra la funzione di

internal audit e la funzione di controllo interno, che in talune organizzazioni, la cui

complessità è bassa, possono essere collassate su una funzione di qualità dei processi

produttivi in staff al Consiglio di Amministrazione.

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51

2.4 I rapporti tra l’internal auditor e i principali attori del sistema di

controllo interno

Stante la descrizione che si è fin qui svolta del sistema di controllo interno nella sua

generalità e, tenuto conto del fatto che le singole declinazioni dei sistemi di controllo interno

possono variare moltissimo in base alla complessità e al dominio di business dell’azienda, è

evidente come questa funzione aziendale si collochi al centro della rete di comunicazioni fra il

Consiglio di Amministrazione e gli organismi preposti al raggiungimento degli obiettivi di

business.

In particolare, nei modelli di governance aziendale moderni, la responsabilità del sistema

di controllo interno viene imputata al Consiglio di Amministrazione che, non solo ne detta le

linee di indirizzo, ma ne valuta anche l’efficacia.

Questo legame37, come abbiamo avuto modo di ricordare nel primo capitolo, viene

esplicitamente sancito sia dal Codice di Autodisciplina della Borsa Italiana, nonché dalle best

practices internazionali in materia di internal auditing, come ad esempio gli standard dell’IIA.

In particolare38, è l’organo di governo aziendale che deve approvare il mandato

dell’internal auditing, nonché la valutazione dei rischi da questo espressa e il piano di audit

necessario per metterla in pratica; inoltre, è allo stesso Consiglio di Amministrazione che

l’internal auditing eroga la reportistica sulla propria attività e in generale sui rilevamenti a

proposito delle attività di altri, spesso in maniera riservata, per esempio “scavalcando” il

management.

Infine, spetta sempre al Consiglio di Amministrazione nominare il preposto all’internal

auditing e definirne la retribuzione.

Tuttavia, rispetto al sistema di controllo interno che stiamo descrivendo in questo capitolo,

queste raccomandazioni possono risultare restrittive: sicuramente, ove costituito, è il Comitato

Controllo e Rischi che svolge in modo più appropriato la funzione di tramite fra il Consiglio

di Amministrazione e l’internal auditing.

In particolare, il Comitato Controllo e Rischi si fa carico di filtrare la reportistica erogata

dall’internal auditing nei confronti del Consiglio di Amministrazione, venendo quindi a

37 Cfr. Dittmeier (2011), pp. 105sgg.

38 Ibidem.

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svolgere, a livello funzionale, il ruolo che il preposto dell’internal auditing svolge nel più

semplice modello proposto dall’IIA cui abbiamo testé accennato.

Come è stato autorevolmente rilevato39, l’introduzione di questo “filtro” al canale

informativo fra l’internal auditing e il Consiglio di Amministrazione, filtro costituito dal

Comitato Controllo e Rischi, consente una maggiore trasparenza informativa e chiarezza sulle

problematiche riscontrate.

Naturalmente questo apparente paradosso fra le raccomandazioni dell’autorevole istituto

internazionale e il codice della Borsa Italiana nell’interpretazione che stiamo proponendo si

risolve pensando che, di norma, il preposto al controllo interno è anche il responsabile

dell’internal auditing.

Questa figura non ha quindi difficoltà a riconoscere nel Comitato Controllo e Rischi

l’organismo che naturalmente è in grado di valutare le evidenze dell’internal auditing

garantendone l’adeguata rappresentazione al Consiglio di Amministrazione.

D’altra parte, il Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana richiede esplicitamente che il

Comitato Controllo e Rischi sia composto da amministratori che non rivestono alcun ruolo

esecutivo, in maggioranza indipendenti: in questo modo si garantisce il principio

dell’indipendenza e autonomia delle attività del comitato stesso.

La funzione di “filtro”, nel senso ingegneristico di canale di comunicazione, fra internal

auditing e Consiglio di Amministrazione svolta dal Comitato Controllo e Rischi è, per così

dire, bidirezionale, nel senso che non solo, come abbiamo detto, il Comitato Controllo e

Rischi veicola informazioni verso il Consiglio di Amministrazione, ma quest’ultimo, a sua

volta, utilizza il comitato per prescrivere all’internal auditing le necessità e gli obiettivi da

raggiungere.

Questa relazione sinergica fra internal auditing e Comitato Controllo e Rischi non deve

ovviamente portare a conflitti di competenze o interferenze reciproche nelle proprie attività; il

responsabile dell’internal auditing e il Comitato Controllo e Rischi devono comunicare in

modo frequente in merito alle informazioni che si scambiano e che devono scambiarsi con il

Consiglio di Amministrazione, e anche in merito alle finalità e alle esigenze dell’attività di

auditing.

39 Ibidem.

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53

Chiarezza e trasparenza nelle comunicazioni, e in generale nei rapporti fra queste due

funzioni sono quindi l’unico strumento reale per consentire un corretto flusso di informazioni

e, in ultima analisi, la soddisfazione dei mandati e delle esigenze del Consiglio di

Amministrazione.

Naturalmente in tutto questo il Comitato Controllo e Rischi, come abbiamo ricordato, è

formato da amministratori privi di mandato esecutivo, dunque è un organo interno al

Consiglio di Amministrazione e vive pertanto la realtà strategica aziendale dalla posizione

privilegiata del luogo dove le decisioni che impattano sulle sorti dell’azienda sono prese.

In effetti, nelle organizzazioni a bassa complessità, Consiglio di Amministrazione e

responsabili del Comitato Controllo e Rischi (che può non essere nemmeno costituito in

questi casi) e internal auditing si collassano su poche persone, che invariabilmente sono i

preposti al controllo contabile.

Infatti giova ricordare che, in accordo con quanto sancito dal codice di

autoregolamentazione di Borsa Italiana, il Comitato Controllo e Rischi ha l’onere della

valutazione di una corretta applicazione dei principi contabili e in generale spartisce, con i

revisori, l’onere della vigilanza sull’efficacia del processo di revisione contabile.

2.5 Il modello proposto nel COSO I

Negli Stati Uniti l’esigenza di linee guida per la corporate governance e in particolare per

quanto attiene alla gestione dei rischi è stata una esigenza avvertita in tempi non sospetti: a

metà degli anni ’80, infatti, venne costituito il “Committee of Sponsoring Organizations of the

Treadway Commission”, un comitato costituito da cinque organizzazioni del settore privato

(una delle quali è l’IIA che abbiamo citato nel capitolo precedente), il cui scopo originario

doveva essere di fornire supporto, standard e linee guida per la lotta alle frodi finanziarie

aziendali, in particolare alla falsificazione dei rapporti economici delle aziende, un male che

aveva afflitto l’economia imprenditoriale statunitense nei decenni precedenti, con picchi negli

anni ’70.

Nel corso degli anni, il Comitato ha esteso il proprio ambito di intervento e definito degli

standard de facto non soltanto nel campo della prevenzione alle frodi finanziarie, ma nel risk

management e nella corporate governance nei suoi aspetti più generali.

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54

Nel 1987 il comitato mutò nome in “Committee of Sponsoring Organizations”, a cui si

diede l’acronimo COSO40: il suo primo report, ora noto come COSO I, fu pubblicato nel

1992, e riedito nel 1994 con lievi modifiche, divenendo nell’arco degli anni seguenti il

framework di riferimento in materia di sistemi di controllo interni, specie per quanto riguarda

l’assessment e il miglioramento di questi sistemi.

L’ultima versione del framework è stata pubblicata nel 2013, e sebbene nei principi

ispiratori e nelle fondamenta sia sostanzialmente fedele alla teoria elaborata venti anni prima,

offre una versione moderna e flessibile del framework, adatta al tipo di problematiche emerse

negli anni ’2000 a proposito dei sistemi di controllo interno.

Il framework viene oggi denominato “Internal Control Integrated Framework”, ma è più

semplicemente noto come “Report COSO I”, e fu progettato con l’intento di migliorare i

sistemi di controllo interno a partire da una standardizzazione interna di questo concetto.

Ciò che venne riconosciuto in questo report e nel modello che esso propose41, è che la

fonte principale di errori e incongruenze nei sistemi di controllo interno degli anni ’80 era

stata la mancanza di una definizione e di un linguaggio comune, relativo al controllo interno,

fra le differenti funzioni e organismi aziendali.

Il management, il Consiglio di Amministrazione, i dipendenti e gli stessi auditor avevano

obiettivi e quindi misure di controllo distinte a seconda del loro ambito operativo o delle

responsabilità cui erano singolarmente chiamati.

La proposta realmente innovativa, e lo sforzo ingegneristico che la supporta, del COSO I

consistono sostanzialmente nel proporre alle aziende un modello integrato di sistema di

controllo interno, condivisibile fra tutti gli attori coinvolti, centrale e quindi condiviso.

La solidità di questa proposta l’ha resa di fatto lo standard nel settore, dapprima negli Stati

Uniti e poi nel resto del mondo, offrendo un sistema di valutazione dell’efficacia dei sistemi

di controllo interno che consentiva non solo una coerenza interna nella valutazione di questi

sistemi, ma anche il confronto con altre realtà che adottavano lo stesso modello.

Va anche aggiunto che il successo del modello COSO I è stato anche legato alla

promanazione della SOX, che nella sua sezione 404 richiede al management delle aziende

pubbliche di selezionare un framework di controllo interno in modo da utilizzarlo per

40 Per maggiori informazioni cfr. il loro sito: http://www.coso.org/aboutus.htm.

41 Cfr. Dittmeier (2011), pp. 165sgg.

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l’assessment e la reportistica periodica: la maggior parte delle aziende statunitensi optarono

per il COSO I42.

Il COSO I definisce il controllo interno come un processo, vale a dire come uno strumento

per realizzare un certo fine e non come un valore in se stesso, che viene posto in essere dal

Consiglio di Amministrazione, dal management e da tutto il personale al fine di offrire una

ragionevole garanzia sul raggiungimento di alcuni obiettivi aziendali.

E’ importante porre l’accento sull’aggettivo “ragionevole”, che ovviamente non implica la

certezza del raggiungimento degli obiettivi ma bensì l’aver messo in campo tutte le iniziative

per consentire e promuovere questo raggiungimento, a meno di fattori esogeni e straordinari.

Anche il plurale “obiettivi” va sottolineato: il sistema di controllo interno non viene visto

come orientato a un singolo, o a un generico obiettivo, ma come in grado di supportare il

raggiungimento di diversi obiettivi, ovviamente integrati e non necessariamente mutuamente

esclusivi.

In particolare, questi obiettivi, al cui raggiungimento il controllo interno intende

contribuire, consistono nell’efficacia e nell’efficienza delle procedure operative,

nell’attendibilità dei dati del bilancio aziendale, nella conformità alle regole interne ed esterne

cui l’azienda è sottoposta e nella salvaguardia degli asset aziendali, in primis il patrimonio

aziendale.

Come si vede, abbiamo utilizzato questa definizione nella nostra discussione del sistema

di controllo interno erigendo in qualche modo a sistema il framework proposto, almeno nelle

sue basi, in quanto questi principi sono ormai considerati indiscutibili.

E, in effetti, è stato proprio l’affermarsi del modello COSO I che ha reso consapevole la

comunità imprenditoriale del fatto che il sistema di controllo interno è un ausilio

fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di business di una azienda.

In questo senso, il COSO pone esplicitamente l’accento sulle persone che contribuiscono

con la loro attività all’operatività e alla gestione aziendale: il sistema di controllo interno non

può essere semplicemente ridotto a una serie di regolamenti, standard documentali e

questionari, ma va visto come il prodotto dell’attività delle persone, ai diversi livelli di

organizzazione e ciascuno secondo le sue competenze.

42 Cfr. McNally (2013).

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2.6 Gli elementi del sistema di controllo interno nel framework COSO

Alle tre dimensioni dell’operations, del reporting e della compliance che costituiscono gli

obiettivi principali dell’azione di controllo del sistema dei controlli interni proposto da

COSO, si sovrappongono le cinque componenti che un tale sistema, secondo il framework,

deve possedere come entità distinte ma integrate, ciascuna delle quali interviene a titolo

diverso nel supportare le tre tipologie di obiettivi ricordate.

Precisamente abbiamo:

1. L’ambiente di controllo, che riguarda l’integrità e i valori etici, la corporate

governance, i ruoli e la responsabilità, le competenze del personale, la filosofia

generale del management e lo stile organizzativo dell’azienda.

2. La valutazione dei rischi, che riguarda la definizione, la comunicazione e il controllo

degli obiettivi di business, nonché l’identificazione, la valutazione, la gestione e il

monitoraggio dei rischi.

3. Le attività di controllo, che riguardano il controllo di gestione, i controlli operativi e

del sistema normativo aziendale, la segregazione dei compiti e dei livelli autorizzativi,

il controllo per mezzo della dotazione IT dell’azienda.

4. L’informazione e la comunicazione, che riguarda la raccolta e la distribuzione delle

informazioni, i sistemi informatici e l’attendibilità dell’informativa finanziare, la

comunicazione delle responsabilità relative al sistema di controllo interno.

5. Le attività di monitoraggio, che riguardano il monitoraggio di linea e indipendente

sull’informativa finanziaria e le attività dell’internal audit.

Solitamente si rappresenta l’incrocio fra queste cinque componenti del sistema e fra gli

obiettivi del sistema stesso in una rappresentazione tridimensionale, il “cubo COSO”.

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57

Abbiamo già trattato di questa struttura, sebbene non sia stata esplicitata come facente

parte di questo framework, quando abbiamo descritto come deve essere organizzato un

sistema di controllo interno, nel §2.3: qui ci limitiamo dunque a riassumere alcuni principi,

sanciti esplicitamente dal modello, pertinenti alle cinque componenti elencate che rendono un

sistema compliant con il framework COSO I.

L’ambiente di controllo deve mostrare commitment ai valori etici e di integrità

dell’azienda, deve essere orientato ai principi di responsabilità, istituendo strutture e autorità

che abbiano l’onere di questa responsabilità, mostrare commitment alla competenza e

rafforzare l’accountability: in particolare il Consiglio di Amministrazione deve essere

indipendente dal management ed esercitare l’attività di monitoraggio sullo sviluppo e la

performance del sistema di controllo interno; nel rispetto degli obiettivi il management

istituisce le strutture e il sistema di deleghe e poteri, mentre l’organizzazione persegue la

valorizzazione delle competenze interne e vigila sulle responsabilità degli attori del controllo

interno rispetto al perseguimento degli obiettivi.

La valutazione dei rischi deve specificare in modo chiaro gli obiettivi della sua analisi in

modo da identificare i rischi connessi, per poi analizzarli come punto di partenza nel

determinare la miglior gestione del rischio; particolare attenzione viene posta sul rischio di

frode, come pure nell’identificare e valutare i cambiamenti che potrebbero impattare in modo

significativo sul sistema di controllo interno e richiedere pertanto una nuova valutazione.

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Le attività di controllo devono essere selezionate e sviluppate in modo da contribuire alla

mitigazione dei rischi di mancato raggiungimento degli obiettivi a un livello il più possibile

accettabile; inoltre l’organizzazione deve selezionare e sviluppare le attività di controllo anche

sulla tecnologia a supporto del raggiungimento degli obiettivi, deve descrivere queste attività

all’interno delle policy che stabiliscono i risultati attesi, e nelle procedure che sviluppano tali

policy.

L’informazione e la comunicazione devono riguardare le informazioni rilevanti e di

qualità a supporto della corretta operatività delle altre componenti del sistema di controllo

interno: da un lato l’organizzazione deve disporre di un processo di comunicazione interna,

che include gli obiettivi e le responsabilità dei controlli interni, fondamentale per supportare il

funzionamento delle altre componenti del sistema di controllo interno, dall’altro lato

l’organizzazione deve essere pronta a comunicare in modo corretto verso l’esterno i fatti

rilevanti che hanno impatto sulle altre componenti del sistema di controllo interno.

Il monitoraggio deve essere condotto in modalità continuativa, ovvero per valutazioni

specifiche volte a verificare la presenza e il funzionamento delle componenti del sistema di

controllo interno; inoltre, l’organizzazione valuta e comunica i deficit del sistema di controllo

interno in modo tempestivo alle figure che sono accountant per la messa in campo di azioni

correttive, incluso, se necessario, il top management e il Consiglio di Amministrazione.

Nella versione più recente del modello, quella del 2013, la categoria del reporting viene

esplicitamente intesa nella sua accezione più generale, che travalica i confini del report di

bilancio e della situazione economico-finanziaria dell’azienda.

Inoltre, in questa versione, si menziona esplicitamente il coinvolgimento del Consiglio di

Amministrazione, la definizione degli obiettivi, l’identificazione e la valutazione dei

cambiamenti, l’integrazione con il risk management e in generale con la governance

aziendale.

Al Consiglio di Amministrazione spetta una “oversight responsibility”, al CEO e al top

management è in carico la diretta responsabilità nello sviluppo e nell’implementazione del

sistema di controllo interno.

A questo proposito vale la pena di ricordare come le “tre linee di controllo” esplicitamente

proposte dal COSO I sono organizzate:

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59

Il management e il personale rappresentano la “prima linea” di controllo nelle attività

day-to-day, in quanto devono implementare in maniera continuativa la gestione dei

rischi cui l’azienda è esposta nella propria operatività.

La “seconda linea” è data dalle funzioni a supporto del business, che svolgono il

compito guida sui requisiti di controllo interno e valutano il rispetto degli standard

definiti: a titolo di esempio possiamo citare il risk management, le risorse umane,

l’area finanza, l’area legale, etc.

La terza linea è quella dell’audit, sia interno che esterno, in quanto raccomanda, in

piena autonomia e indipendenza dalle funzioni operative, al management le azioni

correttive e i miglioramenti.

La definizione degli obiettivi è una condizione preliminare alla realizzazione del sistema

di controllo interno, e rappresenta una parte fondamentale del processo di pianificazione

strategica: il management ha l’onere di definire gli obiettivi in modo da consentire

l’identificazione e la valutazione dei principali rischi che possono influenzarne il

raggiungimento.

In particolare vanno definite, strategicamente, la risk tolerance, cioè il livello di tolleranza

nel mancato raggiungimento degli obiettivi, che è il presupposto per la determinazione delle

risposte al rischio e delle relative attività di controllo, e il risk appetite, cioè l’ammontare

complessivo di rischio che la società intende assumere per realizzare la propria mission.

Oltre a questo è necessario identificare e valutare i cambiamenti, che possono essere

classificati in vario modo: per esempio i cambiamenti nel contesto nel quale l’azienda opera, e

che possono originare da mutamenti nella regolamentazione o nel contesto competitivo del

mercato di riferimento dell’azienda, i cambiamenti legati a cause esogene come eventi

naturali che impattano sulle materie prime, i fornitori, etc., i cambiamenti del modello di

business, legati all’apertura di nuove linee di mercato, all’insourcing/outsourcing di processi, i

cambiamenti legati all’internazionalizzazione dell’azienda e all’apertura a nuovi mercati

esteri, i cambiamenti tecnologici che impattano sugli asset e sulle modalità operative

aziendali, i cambiamenti nell’assetto manageriale e organizzativo dell’azienda.

Il sistema di controllo interno deve periodicamente essere rivisto per comprendere se è

ancora adeguato a fronteggiare in modo tempestivo a questi cambiamenti, o se necessita

modifiche per poter più efficientemente fare fronte a tutto questo.

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60

Il modello COSO I stabilisce inoltre le “linee di confine” fra il sistema di controllo interno

e i suoi gestori e le altre funzioni aziendali che intervengono nelle tematiche di controllo e

auditing: per esempio pone esplicitamente l’accento sul fatto che le attività di controllo

supportano in modo particolarmente significativo il risk assessment, mentre svolgono un

ruolo meno importante laddove la strategia aziendale preveda di evitare o accettare un rischio

specifico, a differenza del caso in cui si scelga di ridurre il rischio o anche di condividerlo.

Analogamente, si pone l’accento sul fatto che non tutte le decisioni del management

devono necessariamente passare per il controllo interno: a titolo di esempio possiamo citare le

decisioni strategiche che hanno un impatto sugli obiettivi di business, e quindi sul target che il

sistema di controllo interno ha il compito di verificare sia raggiunto dalle funzioni aziendali

operative; infatti queste decisioni producono un output che il sistema di controllo interno

utilizza senza nessuna possibilità o necessità di indagare su di esso ma assumendolo come un

mero dato della sua attività, soggetto a modifiche.

Anche la definizione della tolleranza al rischio e del risk appetite fa parte del processo di

pianificazione strategica che non vede in alcun modo coinvolta la funzione di controllo se non

nel prendere atto dell’output di questo processo decisionale, e lo stesso discorso vale per la

strategia di gestione dei rischi.

Da quanto appena esposto si comprende come il sistema di controllo interno secondo il

framework proposto da COSO I veda l’intervento di diversi attori, con diversi ruoli, secondo

uno schema che possiamo riassumere per punti come segue, tenendo conto anche delle

prescrizioni del Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana:

Il Consiglio di Amministrazione ha, come si è detto, un ruolo centrale in quanto

indirizza le attività del sistema di controllo interno e fruisce della sua reportistica.

Un amministratore incaricato dal Consiglio di Amministrazione indirizza e valuta

l’adeguatezza e l’efficacia del sistema di controllo interno e del risk management.

Il comitato di controllo e rischi supporta il Consiglio di Amministrazione con

istruttorie e valutazioni sul sistema di controllo interno.

Altre funzioni aziendali, con diversi compiti specifici che impattano sul controllo dei

rischi, pure partecipano operativamente assolvendo a specifici compiti in tema di

controllo dei rischi, ovviamente in un modo che dipende dalla complessità, dalle

dimensioni e dal profilo di rischio dell’azienda.

Il collegio sindacale vigila, in modo indipendente dalle emanazioni del Consiglio di

Amministrazione, sull’efficacia del sistema di controllo interno.

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L’internal audit verifica, in modo autonomo dalle funzioni operative, il

funzionamento e l’adeguatezza del sistema di controllo interno.

Le ultime due funzioni sono di vigilanza, laddove le prime sono di gestione: la complessità e

ricchezza di questo modello possono essere rappresentate nella figura seguente:

2.7 I limiti del framework COSO I

Il modello presentato nel report COSO I, che abbiamo descritto fin qui e la cui adozione

da parte di FCA fino al 2013 è stata discussa nel paragrafo precedente, ha subito, come

accennato, diverse modifiche nel corso della sua storia ma anche delle evoluzioni per riflettere

nuove esigenze legate non soltanto alle innovazioni legislative ma anche a quelle tecnologiche

e manageriali.

Questo non significa che il report COSO I sia da considerarsi superato, in quanto

costituisce un framework che si focalizza sul sistema di controllo interno, laddove le sue

generalizzazioni ed estensioni, come l’ERM e COSO III, che discuteremo nel prosieguo di

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questo capitolo, abbracciano una più ampia prospettiva o si focalizzano su aspetti più

specifici43.

Tuttavia, prima di procedere nell’analisi dei modelli più recenti e della loro adozione da

parte di FCA, non pare inopportuno segnalare alcune delle limitazioni del framework COSO I

che hanno condotto all’elaborazione di altri modelli.

Per prima cosa va rilevato come l’accento sia posto, nel report COSO I, sulla reportistica

economico-finanziaria, precisamente sul controllo dell’affidabilità di quest’ultima come target

principale del framework, e in particolare sull’affidabilità delle informazioni riportate verso

l’esterno: questo limite è quindi duplice, da un lato per quel che concerne il contenuto,

dall’altro per quel che concerne i destinatari della reportistica la cui affidabilità viene

sottoposta a controlli.

Non esiste poi una categorizzazione degli obiettivi di business al di là del dato economico

finanziario legato ai margini e alla redditività, che costituisce indubbiamente una misura

oggettiva ma che rappresenta un dato di sintesi che potrebbe far trascurare altre dimensioni

della strategia aziendale che pure necessitano un controllo, in particolare per quel che riguarda

la gestione aziendale.

Una caratteristica del COSO I, sulla quale ci siamo soffermati, è la predisposizione di un

“ambiente di controllo” come fondamento strumentale dell’azione del sistema di controllo

interno: questa vera e propria piattaforma del sistema secondo il framework COSO I rende

quest’ultimo organizzato in maniera “piramidale”, dove alla base troviamo proprio l’ambiente

di controllo e, via via a salire, la valutazione del rischio, le attività di controllo e, al vertice

della piramide, il monitoraggio44.

Questa caratteristica può essere vista come un limite se si considera che, in organizzazioni

grandi e complesse, questo ambiente di controllo può non avere la pervasività e l’importanza

necessaria per il compito cui è chiamato, in quanto l’ambiente interno dell’azienda può

prevedere strutture ulteriori che potrebbero essere coinvolte nell’attività di controllo interno.

Anche in tema di valutazione dei rischi il modello utilizza una nozione ormai messa in

discussione, specie negli ambienti di project management, di rischio, vale a dire il concetto di

evento con risvolti negativi per l’attività operativa che potrebbe verificarsi o meno: si tralascia

quindi di considerare le opportunità, cioè i rischi che possono avere conseguenze positive per

43 Cfr. Dittmeier (2011), p. 167.

44 Ibidem.

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l’organizzazione, e quindi come controllare se siano state messe in opera le misure atte a

sfruttare queste opportunità nel caso in cui si presentino.

Per quel che riguarda le informazioni, va poi notato che COSO I non fa menzione dei dati

previsionali, che invece negli ultimi anni si sono affermati come fondamentali per la strategia

aziendale, anche a fronte di nuovi strumenti automatici di previsione che sono ormai sempre

più precisi.

Infine, è stato anche messo in rilievo45 che la complessità del modello, dovuta alle molte

combinazioni fra le sue componenti che possono essere prodotte per ciascun tipo di

organizzazione, e che quindi implicano uno studio e delle scelte precise in fase di analisi

preliminare prima dell’adozione del modello, rendono di difficile implementazione il COSO I

se non in aree limitate e circoscritte della realtà aziendale.

2.8 Adozione dei framework COSO da parte di Fiat Group

La società Fiat nel maggio del 1999 si è dotata di un sistema di controllo interno, basato

sul modello COSO I che abbiamo discusso.

Il Consiglio di Amministrazione si è fatto promotore del consolidamento del comitato di

controllo interno prevalentemente tramite la diffusione di documentazione sulle policy di

controllo interne e sulle relative procedure.

Nel 2012, a seguito delle modifiche al Corporate Governance Code (introdotte nel

dicembre del 2011), il Consiglio di Amministrazione ha cambiato il nome del comitato da

“Internal Control Committee” a “Internal Control and Risk Committee”, ed ampliato e

ridefinito il suo ruolo e le sue responsabilità.

Questo comitato per il controllo interno e rischi è formato completamente da

amministratori indipendenti e il suo ruolo è di supportare la valutazione e il processo di

decision-making del Consiglio di Amministrazione, offrendo consigli e formulando proposte

a proposito del sistema di controllo interno e di risk management, oltre che in merito alla

reportistica finanziaria che periodicamente deve essere erogata.

Sul Comitato gravano in particolare le seguenti responsabilità:

45 Cfr. Shaw (2006).

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64

Supportare il Consiglio di Amministrazione nella definizione e nell’aggiornamento

delle linee guida per il sistema di controllo interno;

Valutare la corretta applicazione dei principi di responsabilità adottati e la congruità

con i principi applicati per la formulazione della reportistica finanziaria: ovviamente in

questo il Comitato trova la collaborazione dei manager responsabili dei report

finanziari del gruppo, degli auditor indipendenti e del collegio sindacale;

Formulare raccomandazioni su aspetti specifici relativi all’identificazione, alla

misurazione, alla gestione e al monitoraggio dei principali corporate risk, oltre alla

definizione della natura dei rischi che impattano sugli obiettivi strategici dell’azienda,

e alla definizione delle soglie di tolleranza nei confronti di questi rischi;

Revisionare i report periodici che offrono una valutazione del sistema di controllo

interno e di risk management, oltre che ulteriori report di particolare rilevanza ai fini

dell’internal audit;

Monitorare l’indipendenza, l’adeguatezza, l’efficacia e l’efficienza dell’Internal Audit,

con particolare riguardo al D. Lgsl. 231/2001 relativo alla responsabilità

amministrativa;

Revisionare, in sinergia con il Collegio Sindacale, le risultanze prodotte dagli auditor

indipendenti nei loro report o nelle loro raccomandazioni;

Riportare al Consiglio di Amministrazione, almeno con cadenza semestrale (in

occasione dell’approvazione del rapporto finanziario annuale e semestrale), le attività

svolte, e lo stato di adeguatezza del sistema di controllo interno e di risk management;

Revisionare, con il supporto dell’internal audit, le risultanze di whistleblowing

ricevute con lo scopo di monitorare l’adeguatezza del sistema di controllo interno e di

risk management;

Revisionare il piano delle attività preparato dal capo dell’Internal Audit.

Il comitato ha facoltà di chiedere all’internal audit di concentrarsi su specifiche aree

operative, e al tempo stesso di informare il chairman del collegio sindacale che queste

richieste sono state fatte.

Inoltre, il comitato ha la possibilità, ove necessario, di accedere alle informazioni della

società e delle sue singole funzioni in modo da poter procedere con le proprie attività, così

come di utilizzare consulenti esterni, in accordo con quanto stabilito a questo proposito dal

Consiglio di Amministrazione: ovviamente l’azienda mette a disposizione del comitato le

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adeguate risorse finanziarie per poter svolgere il proprio ruolo, sempre nei confini tracciati dal

Consiglio di Amministrazione.

Il capo dell’Internal Audit rende disponibile al comitato, su richiesta, personale

specializzato e anche consulenti indipendenti selezionati dal comitato per poterlo supportare

nelle proprie attività.

Al comitato è anche assegnata la responsabilità delle transazioni con le parti coinvolte,

eccetto quanto queste si riferiscano a compensazioni.

Le riunioni del comitato sono richieste dal chairman del comitato stesso ogni qualvolta

egli lo ritenga appropriato, e in ogni caso almeno ogni sei mesi: il chairman del Collegio

Sindacale, o anche altri membri di quest’ultimo (di prassi l’intero Collegio Sindacale),

possono partecipare alle riunioni in relazione a tematiche specifiche all’ordine del giorno,

come pure altri esperti se richiesto, compresi dirigenti che non sono membri del comitato,

oppure altri dipendenti della compagnia.

Nel 2012, parallelamente all’istituzione del comitato di controllo interno e risk

management, il Consiglio di Amministrazione ha anche approvato proprie linee guida per il

controllo interno e il risk management, che costituiscono una revisione delle procedure già in

essere dal 1999 e modificate nel 2003, inclusa l’adozione delle modifiche introdotte dal

Corporate Governance Code nel 2011.

Il modello di riferimento è rimasto il framework COSO e i principi fondanti quelli del

Corporate Governance Code: il sistema è integrato nel framework di corporate governance e

organizzazione dell’azienda.

Il sistema che è stato sviluppato, sulla base delle best practice internazionali, consta di tre

livelli di controllo, in completa coerenza con quanto abbiamo esposto in generale nel §2.6:

Livello 1: le aree operative, che identificano e valutano i rischi, stabilendo anche

azioni specifiche per la gestione di questi rischi;

Livello 2: i dipartimenti responsabili del controllo dei rischi, che definiscono le

metodologie e gli strumenti per gestire e monitorare i rischi;

Livello 3: l’internal audit, che conduce valutazioni indipendenti sul sistema nella sua

interezza, e il cui capo riveste anche il ruolo di compliance officer secondo quanto

richiesto dall’art. 150 del D.Lgs. 58/1998.

Le linee guida del sistema di controllo interno e risk management offrono una descrizione

dettagliata degli oneri e delle responsabilità dei principali individui ed enti coinvolti, e

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stabiliscono le procedure per il loro coordinamento, in modo da assicurare l’efficacia e

l’efficienza del sistema, e in modo da ridurre potenziali duplicazioni delle attività.

In linea con le guidelines di Fiat S.p.a. e per rafforzare ulteriormente il sistema di

controllo interno in modo coerente con la struttura di governance esistente in Chrysler, nel

2013 ogni unità territoriale o settoriale ha dovuto dotarsi del suo comitato di controllo interno

(ICC: Internal Control Committee), responsabile dell’esame e dell’approvazione delle policy

e delle procedure di controllo interno, così come di monitorare e verificare ogni aspetto del

sistema di controllo interno.

Per quanto riguarda il delicato e fondamentale tema del controllo interno sulla reportistica

finanziaria, il comitato è responsabile della supervisione di queste attività e dell’assicurazione

della corretta esecuzione dei processi di erogazione di questa reportistica, approvando

decisioni chiave e prontamente informando il CEO (Chief Executive Officer) del gruppo; per

quanto riguarda le altre tipologie di reportistica, il comitato è responsabile di revisionare gli

output dell’internal audit di Fiat, monitorando e assicurando la pianificazione e

l’implementazione delle eventuali misure correttive, così come delle linee guida, delle

procedure e dei regolamenti del sistema di controllo interno.

Per identificare e gestire i principali rischi, il Gruppo Fiat ha adottato, a partire dal 2005,

una estensione del modello COSO, l’Enterprise Risk Management, che è soggetto a revisioni

continue sulla base delle esperienze acquisite e miglioramenti ove necessario sulla base di

benchmark e best practice anche in rapporto alle analoghe attività svolte presso altri gruppi

industriali.

Prima di descrivere la declinazione specifica che in FCA ha assunto questo framework,

dobbiamo ovviamente descriverlo in generale, e confrontarlo con il COSO I per comprendere

quali siano i punti di contatto e quali le differenze.

2.9 Enterprise Risk Management

Agli inizi degli anni ’2000, il Committee of Sponsoring Organizations ha avviato una

riflessione relativa all’applicabilità e all’attualità del modello COSO I del 1992 sulla base di

considerazioni analoghe a quelle svolte nel paragrafo precedente, e avendo riconosciuto che il

tema dei rischi aziendali e della corporate governance si era nel frattempo ampliato e

complicato: il primo frutto di questi ripensamenti teorici è stato un nuovo modello, il COSO II

più comunemente noto come ERM (Enterprise Risk Management).

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L’idea di base dell’ERM è di fornire non soltanto un framework per la gestione dei rischi

aziendali, ma uno standard, anche terminologico, e un insieme coerente di linee guida che le

aziende possono adottare e cui possono fare riferimento nel disegnare il loro sistema di

gestione (non semplice analisi) dei rischi.

Il modello proposto dall’ERM estende di molto il framework del report COSO I in quanto

non offre soltanto una base per il sistema di controlli interno, ma in generale per la corporate

governance aziendale, con un forte accento sulla misurazione delle performance.

Dal punto di vista dell’analisi e della gestione del rischio, l’ERM offre un modello più

preciso e rigoroso del precedente, consentendo in sede di analisi e pianificazione di

considerare come variabili la propensione al rischio e il grado di accettabilità del rischio da

parte del management con la conseguente messa in opera di meccanismi di gestione dei rischi

cui l’azienda può essere esposta nel perseguimento dei suoi obiettivi di business.

In particolare il concetto di rischio viene inteso come rischio/opportunità, e si considerano

quattro possibili strategie per selezionare la risposta al rischio ritenuta più opportuna: evitare

il rischio, ridurre il rischio, condividere il rischio o accettarlo.

Più in generale, giova ricordare che la definizione di Enterprise Risk Management viene

fornita dal framework stesso46: la gestione del rischio aziendale viene intesa come un

processo

posto in essere dal Consiglio di Amministrazione, dai manager e da altri dipendenti

dell’azienda;

utilizzato per la formulazione delle strategie in tutta l’organizzazione aziendale;

progettato per individuare eventi potenziali che possono influire sull’attività aziendale,

per gestire il rischio entro i limiti di “risk tolerance” fissati e per fornire una

ragionevole sicurezza sul raggiungimento degli obiettivi aziendali.

In questo senso ampio del termine, l’ERM è un processo continuo che coinvolge l’intera

organizzazione aziendale, integrato nel sistema di management e che centralizza l’analisi e la

gestione del rischio, in modo da evitare duplicazioni o applicazioni parziali dei principi di

project management.

Inoltre è chiaro dalla definizione l’accento posto sulle persone che implementano il

processo: non si tratta di una procedura statica e scritta in documenti o policy, ma di un

46 Cfr. Dittmeier (2011), p. 145.

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insieme di attività svolte dal personale dell’azienda, nelle loro diverse mansioni e sulla base

delle loro competenze e responsabilità.

Quest’ultimo, quello dell’accountability, è uno dei temi chiave di tutto il framework

ERM, quello che usualmente si chiama “principio di responsabilità”: ovviamente ci sono

diversi modi di declinare questo concetto nella realtà aziendale, ma la filosofia del framework

sostanzialmente implica che non basta aver definito un organigramma e un piano di

comunicazione per garantire l’accountability necessaria a una corretta gestione del rischio.

Ciò non stupisce in quanto uno dei concetti chiave dell’ERM è il “risk appetite”, la

propensione al rischio, quanto cioè consapevolmente l’organizzazione (o meglio gli

accountant per questa attività) accetta del rischio insito in una certa scelta, decisione o attività:

a seconda della misura di questo parametro, una stessa decisione strategica potrebbe essere

interpretata come ragionevole o come azzardata, in quanto non va più misurata in assoluto ma

commisurata piuttosto al contesto di consapevolezza dei rischi che è stato analizzato e fissato

in seno al sistema di gestione dei rischi.

L’obiettivo dichiarato del framework ERM è di fornire la ragionevole certezza nel

raggiungimento degli obiettivi prefissati, laddove questi obiettivi sono suddivisi in quattro

categorie ben definite:

obiettivi strategici, che riguardano l’orientamento più fondamentale nelle attività a

medio e lungo termine dell’azienda, e che sono di natura generale e fissati dal top

management;

obiettivi operativi, che concernono l’utilizzo efficiente delle risorse aziendali per

conseguire l’efficacia nelle attività loro assegnate;

obiettivi di reporting, che riguardano l’affidabilità delle informazioni erogate sia

all’interno che all’esterno in report di sintesi sulle varie attività aziendali e sullo stato

economico-finanziario dell’impresa;

obiettivi di conformità, relativi sia alle normative interne e di autoregolamentazione

dell’azienda che alle norme esterne, di vario tipo, che implicano la necessità di una

compliancy.

Questi obiettivi sono distinti ma possono essere parzialmente sovrapposti, specie nelle

organizzazioni meno complesse.

Per conseguire questi obiettivi, il modello ERM prevede otto componenti interconnesse

integrate con i processi operativi aziendali: di nuovo, dunque, il modello che graficamente

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può rappresentare il framework è un cubo nel quale le dimensioni degli obiettivi e le

dimensioni dei processi si combinano nei vari modi possibili:

Come si vede, le componenti dei processi sono simili a quelle del modello COSO I, nel

senso che comprendono quelle di quest’ultimo come casi particolari: si noterà infatti che

vengono qui aggiunte la definizione degli obiettivi, l’identificazione di eventi e la risposta al

rischio, che qualificano e precisano le novità del modello ERM rispetto al report COSO I.

Si noti anche che all’ambiente di controllo interno si sostituisce in generale l’ambiente

interno aziendale: possiamo descrivere l’interazione fra queste componenti identificando

raggruppandole in tre categorie.

Per prima cosa notiamo che la definizione degli obiettivi è in qualche modo una attività

preliminare a tutte le altre e che viene retroattivamente alimentata dalle evidenze della

gestione del rischio.

Gli obiettivi si possono considerare essenzialmente di due tipi, per quanto riguarda le

finalità del modello ERM: obiettivi di business, in primis la massimizzazione dei ricavi e

della qualità dei servizi o prodotti offerti, il contenimento dei costi, etc. e obiettivi di

governance, come per esempio l’affidabilità delle informazioni finanziarie e operative, la

salvaguardia del patrimonio aziendale, il rispetto delle normative, etc.

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Questa differenziazione degli obiettivi consente di precisarli, circoscriverli e quindi

renderli più chiari e facilmente comunicabili, nonché semplificare il processo di verifica del

loro effettivo raggiungimento: una comunicazione trasparente e formale di questi obiettivi è

fra l’altro molto utile per saggiarne la coerenza e congruità ed eventualmente procedere a un

rework dell’attività strategica legata alla loro definizione.

La gestione del rischio è la categoria che raggruppa l’identificazione degli eventi, il risk

assessment e la risposta al rischio, elementi collegati fra loro e che, collettivamente, sono in

sinergia con il sistema di controllo del processo di risk management, nel quale possiamo

collocare l’ambiente di controllo, le attività di controllo, l’informazione e la comunicazione e

il monitoraggio.

A proposito dell’identificazione degli eventi, un elemento di novità dell’ERM rispetto al

framework del COSO I, si allude ovviamente agli eventi, sia interni che esterni, che possono

influire sul raggiungimento degli obiettivi aziendali e che possono essere classificati in

opportunità, se l’impatto è positivo, o rischi, se l’impatto è negativo: ovviamente, i secondi

devono essere analizzati e va messo in campo un piano per la loro gestione.

L’accento posto dal framework ERM è di utilizzare delle procedure standardizzate, che

possono essere anche strumenti aziendali, per trattare la gestione del rischio, in modo da poter

tracciare le attività e ricostruire le scelte effettuate.

Il risk assessment e la risposta al rischio sono poste dal modello in questa prospettiva, e

vengono sempre contestualizzata alla realtà strategica aziendale, commisurandole in

particolare alla tolleranza e alla propensione al rischio, che possono mutare a seconda delle

diverse fasi nel ciclo di vita di una azienda: per esempio una azienda in fase di

consolidamento potrebbe avere una propensione al rischio molto minore di quanto non ha

nella fase di espansione, etc.

In particolare la valutazione del rischio viene sempre scomposta secondo le due

dimensioni del rischio inerente, cioè quello che si verifica se non si mette in atto nessun

intervento, e del rischio residuale, cioè quello che si verifica dopo aver messo in campo

l’intervento di gestione del rischio.

La gestione del rischio viene intesa, secondo il framework ERM, come la selezione di una

fra quattro possibili azioni di risposta al verificarsi di un evento di rischio:

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Accettare il rischio: il rischio inerente viene considerato entro i limiti di tolleranza del

risk appetite definito dall’azienda, e quindi che in qualche senso si era messo in conto

di subirlo;

Ridurre il rischio: il sistema di controllo interno viene utilizzato per cercare di portare

i rischi entro la soglia di tolleranza del risk appetite;

Evitare il rischio: in questo caso di pone in essere una azione preventiva per annullare

il rischio subendo un costo, per esempio stipulando una assicurazione contro un

rischio fisico o comprando uno strumento finanziario per trasferire un rischio

finanziario, operazioni che comportano ovviamente un investimento;

Condividere il rischio: più drastica della precedente, questa soluzione comporta

l’intervento di terzi nella partecipazione alla mitigazione del rischio, per esempio

alienano in outsourcing alcune risorse o attività.

Il sistema di controllo interno riceve il suo “input” dal processo di gestione dei rischi, in

modalità ciclica e sulla base delle eventuali modifiche agli obiettivi aziendali, e consta

sostanzialmente degli stessi elementi del sistema di controllo del processo di risk management

che vengono applicati per evitare o ridurre i rischi la cui analisi è stata svolta nel processo di

gestione dei rischi.

La componente sistemica del controllo interno viene intesa, secondo il framework ERM,

come un ambiente interno, che comprende l’ambiente di controllo, ma che è un ambiente

organizzativo di più ampio respiro il cui scopo è diffondere e far implementare la cultura

aziendale di gestione del rischio a tutti i livelli.

I capisaldi dell’ambiente interno sono lo sviluppo e il consolidamento della capacità, della

responsabilità e dell’impegno delle risorse coinvolte in queste attività: queste caratteristiche si

ottengono con la formazione e la comunicazione, per essere certi che le risorse siano in grado

di svolgere i compiti cui sono chiamate, con una corretta allocazione dei compiti per chiarire

in modo inequivoco le responsabilità delle risorse, e con strumenti di motivazione e incentivo

per garantire un costante impegno agli obiettivi.

Gli altri aspetti del sistema di controllo interno sono analoghi, benché più precisamente

formulati, a quelli del modello COSO I, e riguardano le attività di controllo, il flusso di

informazioni e il monitoraggio, sui quali abbiamo avuto già modo di diffonderci.

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Tutte queste attività e sinergie non sono svolte in qualche ordine particolare ma si

configurano come linee di attività interattive e multitasking, nelle quali ciascuna può influire

sull’altra.

2.10 Adozione dell’ERM in FCA

L’adozione da parte di FCA (nella sua componente Fiat) del modello ERM risale al 2004,

cioè all’anno della pubblicazione del modello da parte del Committee of Sponsoring

Organizations47.

L’obiettivo dell’allora gruppo Fiat Group era di “fornire una maggiore trasparenza e

disclosure dei rischi di business e di adeguarsi alle direttive regolamentari sull’adozione di

appropriati modelli di governance” 48.

Il modello ERM, ovviamente adattato con un opportuno e non banale tailoring alle

esigenze del gruppo, è stato poi aggiornato nel 2010, per fare tesoro delle learned lesson

acquisite con i primi anni del suo utilizzo, e per includere ulteriori best practices emerse dal

raffronto con altri gruppi industriali, di pari e paragonabile complessità e mercati, che pure si

erano ovviamente dotati di strumenti simili.

Una particolare attenzione è stata posta ai “risk driver”, in particolare alle categorie di

rischio identificate che furono sottoposte a una riformulazione per rispondere in modo

migliore alle nuove sfide e per sottolineare parametri esogeni sempre più importanti in

relazione all’attività del gruppo: per esempio parametri macroeconomici, ambientali, etc.

Questa metodologia di analisi dei rischi, che utilizza i risk drivers, può essere

sinteticamente riassunta come segue: i singoli rischi vengono caratterizzati dalla probabilità

del loro accadimento, da un fattore di impatto e dai costi che derivano dal loro impatto, se

questo accade.

Per implementare questo metodo si raccoglie una lista completa dei possibili rischi

caratterizzati dai parametri appena esposti, si suddividono questi rischi in categorie (clusters)

relative a una stessa “linea di prodotto” e si svolgono simulazioni per verificare il costo del

rischio complessivo e, eliminandoli dalla simulazione, i costi dei singoli rischi, in modo da

offrire un ranking per la criticità dei singoli rischi basata su una stima quantitativa.

47 Cfr. FCA (2014e).

48 Cfr. FCA (2014e), p. 75.

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Nel caso di FCA, durante l’assessment del 2010 furono individuati circa 50 risk drivers,

che offrivano una categorizzazione di circa 85 eventi di rischio potenziale.

Sulla base di un progetto pilota condotto nel 2013, il modello ERM adottato da FCA fu

rivisto in modo da rendere l’analisi dei rischi potenziali:

dinamica, tramite una valutazione periodica dei rischi principali seguita da un follow-

up e monitoraggio delle azioni di mitigazione messe in campo o semplicemente

definite per la riduzione del rischio;

predittiva, tramite un risk assessment svolto in prospettiva utilizzando le informazioni

correntemente disponibili;

multi-area, tramite un risk assessment e un coinvolgimento diretto delle unità di

business.

Per poter implementare questo nuovo schema, il coordinatore dell’ERM delle diverse

funzioni Finanza furono dislocati nelle diverse aree regionali e nei diversi settori produttivi,

con l’esplicita responsabilità di preparare, coordinare e gestire incontri trasversali alle diverse

aree di business, ovviamente coinvolgendo i dirigenti di questi segmenti operativi, con

l’obiettivo di identificare, valutare e condividere potenziali rischi e la formulazione dei piani

di gestione di questi rischi.

Questo processo viene quindi orientato in modo da far emergere “dal basso” la

conoscenza condivisa sulla gestione del rischio, piuttosto che imporla dall’alto, proprio

perché a seconda dei diversi settori produttivi le esigenze di gestione e i parametri ad esse

legate (per esempio la propensione al rischio) sono variabili.

A supporto di questa attività è stata prevista una infrastruttura informatica che espone una

business intelligence per la reportistica e l’analisi degli indicatori implementati, disponibile

per ciascuna compagnia del gruppo e per ciascuna area regionale di presenza di aziende del

gruppo.

I CEO e CFO delle aziende del gruppo, e i COO delle aree regionali hanno l’onere, in

linea con lo spirito e la lettera del framework ERM, di approvare questi report.

Il CFO del gruppo è responsabile per il coordinamento e il consolidamento di questi report

nel Group Risk Report, che è annualmente sottoposto al comitato di Audit il cui compito è di

supportare il Consiglio di Amministrazione nella verifica della efficacia e conformità del

sistema di controllo interno.

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In particolare, un assessment svolto dopo il 2010 ha rivelato diversi rischi riconducibili al

fattore esogeno del cambiamento climatico, sia dal punto di vista legislativo, per la

compliance a leggi e regolamenti nei diversi paesi che sono estremamente eterogenei dal

punto di vista della sostenibilità ambientale e delle tematiche ecologiche; sia dal punto di vista

della “reputation” aziendale, in quanto una scarsa attenzione alla sostenibilità ambientale ed

ecologica può offrire una pubblicità negativa alle aziende che non dimostrino (nei paesi

particolarmente sensibili a queste tematiche) l’attenzione che da esse il Gruppo si aspetta; sia

dal punto di vista dell’incremento nei consumi, dato che in quanto molti consumatori nei

paesi occidentali sono attenti alle tematiche ecologiche e alla sostenibilità dei prodotti che

acquistano.

L’atteggiamento di FCA rispetto a queste categorie di rischio è sempre stato quello di

gestirle con gli strumenti più appropriati, in particolare orientando la propria ricerca e i propri

investimenti verso prodotti con un sempre minor impatto ambientale, per esempio

promuovendo linee di autoveicoli a basse emissioni, ma anche incrementando la sensibilità

dei propri commerciali a veicolare il messaggio di sostenibilità ambientale dei prodotti FCS.

Alcuni rischi sono invece monitorati da enti che dispongono di competenze tecniche

specifiche. Un esempio potrebbe essere quello legato al potenziale impatto delle attività

industriali di FCA sul clima e sull’ambiente, rischio che viene monitorato e gestito da una

funzione di EHS (Environment, Health and Safety) presente in ciascuna azienda del gruppo.

I singoli manager degli impianti sono responsabili per gli aspetti operativi, e la loro

attività viene coordinata dall’EHS del Gruppo, e le differenti funzioni di risk management

presenti nelle aziende del gruppo hanno anche l’onere di provvedere a una azione di

condivisione dei rischi, se opportuna, per esempio tramite la stipula di assicurazioni.

Il ruolo dei risk manager nelle diverse realtà aziendali e territoriali di FCA è fondamentale

in quanto questi giocano un ruolo centrale nel gestire gli eventi che potrebbero

potenzialmente impattare sulla continuità operativa o sull’integrità degli asset fisici degli

impianti del gruppo.

La gestione dei rischi in FCA si basa fondamentalmente su quattro principi:

1. Prevenire gli eventi potenzialmente dannosi per il Gruppo o mitigarne gli effetti;

2. Adottare gli standard più aggiornati e completi per la gestione del rischio;

3. Minimizzare il costo dei rischi ottimizzando la prevenzione di perdite, gli

investimenti, le assicurazioni e i programmi di trasferimento del rischio;

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4. Centralizzare e consolidare le relazioni con i mercati assicurativi globali.

Le diverse realtà di risk management all’interno di FCA gestiscono tutti gli aspetti del

rischio, dall’identificazione all’analisi e al trattamento, inclusa la loss prevention: attività

specifiche per rischi di tipo particolare possono anche prevedere il monitoraggio e la stipula di

contratti assicurativi, e giocano un ruolo centrale nel gestire gli eventi che potrebbero avere un

impatto sulla continuità operativa o l’integrità fisica degli asset aziendali del gruppo, che

consta di oltre 1000 siti in tutto il mondo, con l’esposizione dunque a rischi fisici di vario

genere.

Il processo di risk management è condotto in modo trasparente e utilizzando competenze

di alto profilo, col supporto di aziende specializzate nella gestione dei rischi industriali che

svolgono audit on site per garantire una approfondita, autonoma e continuativa valutazione

dei rischi all’interno del gruppo.

Nel suo rapporto di sostenibilità 201449, FCA illustra alcune cifre significative in merito

alla struttura e al volume del proprio risk management: 223 siti messi sotto monitoraggio (il

92% del valore assicurato), il 98% dei siti monitorati almeno ogni tre anni e il 50%

annualmente, un investimento di 39,4 milioni di euro in loss prevention e mitigazione dei

rischi durante il 2014, dei quali 24 milioni di euro investiti nel portare alcuni siti in linea con

gli standard di loss prevention dettati da FCA.

Si stima che questo investimento di 24 milioni di euro abbia consentito un saving di 2,36

miliardi di euro nella riduzione delle attese di perdita, con un indice GEI di 1, in linea con i

migliori standard internazionali: ricordiamo che il GEI (Global Efficienty Index for loss

mitigation) è definito come la riduzione dei danni attesi diviso il costo della protezione, ed è

una misura standard internazionale di risk management.

Un diagramma di flusso del processo macroscopico di gestione dei rischi è il seguente:

49 Cfr. FCA (2014e).

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Eventi rischiosi

E’ l’evento possibile

nel contesto in esame?

Analizzare l’impatto dall’occorrenza

dell’evento e dalla sua frequenza

Calcolare l’impatto I e la vulnerabilità V

dell’evento

Il valore I×V supera la

soglia di accettazione?

Determinazione della esposizione “target” e

identificazione delle azioni di mitigazione da

implementare

Analisi del monitoraggio e misurazione della

risposta al rischio

No

No

Analisi completata Monitoraggio

adeguato? Rischio

residuo accettabile?

Analisi completata

Analisi completata

No

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2.11 Il framework COSO III per il report finanziario

Una ulteriore evoluzione dello standard COSO, o piuttosto una sua semplificazione

funzionale all’applicazione nella realtà delle piccole e medie imprese, è la guida emanata dal

Committee of Sponsoring Organizations nel 2006, intitolata Internal Control over Financial

Reporting, Guidance for Smaller Public Companies.

Con queste raccomandazioni, il Committee ha inteso fornire un ausilio alle aziende che

per dimensione e complessità trovano troppo oneroso applicare il framework COSO I o

l’ERM, indicando in qualche modo gli elementi essenziali di questi standard dai quali non è

possibile prescindere e quindi consentendo una applicazione dei principi del framework anche

a realtà in cui gli investimenti nel sistema di controllo e di gestione dei rischi non possono

essere ingenti per motivi di dimensione.

Questa guida è generalmente conosciuta con l’abbreviazione di COSO III, e offre al

management delle piccole e medie imprese una soluzione a basso costo per il sistema di

controllo interno, focalizzato ovviamente soprattutto al reporting finanziario.

Le linee guida non definiscono in modo preciso il loro target, nel senso che dare una

definizione di quanto piccola deve essere una PMI è ovviamente privo di senso in assoluto:

dipende dal segmento di mercato nel quale si opera, dall’area geografica, etc.

Piuttosto sono enumerate alcune caratteristiche di una azienda affinché questa possa

beneficiare delle linee guida del COSO III:

Avere poche linee di business e pochi prodotti in ciascuna linea;

Avere un mercato localizzato, sia geograficamente che per dominio;

Essere guidate da un management con significativi interessi o diritti sulla proprietà

aziendale;

Avere pochi livelli di management fra la proprietà e i quadri, e con molto orizzonte

decisionale;

Avere pochi dipendenti, sui quali gravano compiti anche di ambito e natura diversi;

Avere poca disponibilità per mantenere funzioni di supporto come l’area legale, le

risorse umane, l’accounting e l’internal auditing.

Ovviamente nessuna di queste caratteristiche, per sé presa, definisce il target del

framework, piuttosto è l’insieme di alcune di esse che solitamente può essere associato a una

dimensione piccola per l’azienda in questione, e in ogni caso queste sono le caratteristiche che

il modello tiene presenti nel sintetizzare e semplificare il framework del COSO I.

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Il punto di attenzione è chiaramente l’onere finanziario nel mettere in piedi una struttura

di controllo interno efficace, snella e soprattutto i cui benefici ripaghino i costi della sua

gestione: questo è particolarmente rilevante laddove i manager guardano al controllo come a

un ulteriore costo amministrativo da aggiungere all’esistente, piuttosto che a una necessità

dettata dal business e dal mercato.

Gli obiettivi nel cui raggiungimento il modello COSO III vuole supportare i manager

possono essere enumerati come segue:

Mettere in campo le risorse per una separazione dei compiti;

Mantenere il controllo delle attività;

Ingaggiare esperti sulle tematiche del reporting finanziario per supportare il Consiglio

di Amministrazione e la funzione di audit;

Ingaggiare esperti con esperienza e capacità nel campo dell’accounting e del reporting

finanziario;

Mantenere il focus del management sull’uso delle informazioni finanziarie prodotte

dai report per le valutazioni strategiche;

Mantenere il controllo sul sistema informativo aziendale anche in assenza di risorse

tecniche importanti.

Naturalmente non sfugge agli estensori del COSO III che in molte realtà aziendali che si

possono classificare come PMI il giro d’affari è dominato e gestito dal proprietario, spesso

fondatore dell’azienda, o da altri dirigenti che esercitano in modo discrezionale la direzione

dell’azienda.

La “cultura del controllo interno” può in questo senso migliorare la consapevolezza del

leader dell’azienda rispetto alle diverse sfaccettature del business e dell’operatività che è nel

suo controllo, spesso consentendogli una razionalizzazione delle scelte e una

ingegnerizzazione dei processi decisionali.

Oltre a questo, il framework COSO III riconosce esplicitamente altri elementi critici legati

alle dimensioni dell’azienda, per esempio la difficoltà nel realizzare una segregazione dei

compiti, con pochi dipendenti che spesso svolgono più funzioni, nel promuovere un sistema

informativo aziendale effettivo e sicuro, infrastrutture di questo tipo sicuramente comportano

un costo iniziale non irrilevante, etc.

A proposito dei costi dell’IT, sicuramente l’outsourcing e l’acquisto di pacchetti di servizi

da fornitori specializzati, per esempio avvalendosi del cloud computing che negli ultimi anni

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ha in qualche modo rivoluzionato la tematica dell’outsourcing, è uno dei suggerimenti

proposti dal modello.

Il monitoraggio delle attività è un’altra parte rilevante fra le linee guida espresse dal

COSO III: nelle strutture di piccole dimensioni, il management continuamente svolge attività

di monitoraggio, che deve confluire in modo strutturato nel processo di controllo interno.

L’analisi dei rischi è un’altra attività che di solito viene svolta in modo destrutturato ma

che invece, anche nelle piccole aziende, deve trovare una sua collocazione e un suo

investimento il cui ritorno è misurabile con una maggiore probabilità di centrare gli obiettivi

aziendali.

In generale, il controllo interno va visto sempre come un processo integrato, anche nelle

realtà più piccole, ed anzi questa integrazione è più facilmente raggiungibile proprio in virtù

della dimensione limitata e quindi della limitata presenza di processi distinti nei quali il

sistema dei controlli interno deve essere integrato.

Uno schema di come le componenti del framework COSO III possono interagire fra loro

da una prospettiva dell’analisi di processo è il seguente50:

50 Cfr. COSO (2006).

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Come si vede in questo schema, le cinque componenti del framework COSO I

intervengono con pari importanza e dignità per concorrere nell’obiettivo di rendere affidabile

la reportistica finanziaria.

Tuttavia, sebbene ciascuna componente del modello debba essere presente e operativa,

questo non significa che ciascuna componente debba funzionare allo stesso modo o allo stesso

livello in ogni azienda: in particolare, se l’organizzazione aziendale lo impone, alcune

componenti possono essere implementate in modo meno effettivo e completo di altre, purché

l’integrazione fra esse sia in grado di compensare queste eventuali mancanze.

In generale, per ottenere un efficace controllo interno dei report finanziari il framework

COSO III prescrive venti principi di base, categorizzati in base alle cinque componenti del

framework, a loro volta “esplosi” in dei punti “focali” che ne colgono l’essenza e forniscono

una guida all’implementazione di questi principi (ma che non esauriscono la modalità di detta

implementazione che, ovviamente, dipende in modo forte dal contesto nel quale viene

realizzata), secondo lo schema che sinteticamente riassumiamo qui di seguito51:

Ambiente di controllo:

1. Integrità dei valori etici: deve essere sviluppato un insieme coerente di valori

etici condivisi dal management per la condotta nel reporting finanziario. Come

focal point COSO III suggerisce di:

Creare un “clima etico” in azienda, da parte del management e top

management, che deve mostrare i valori etici con la propria condotta

oltre che con le prescrizioni (tone at the top);

Stabilire degli standard precisi di comportamento;

Valutare l’aderenza a questi standard di comportamento;

Contrastare le violazioni al codice etico in modo tempestivo.

2. Consiglio di Amministrazione: deve, in modo autonomo dal management,

comprendere e sovrintendere ai report finanziari e al controllo interno su di

essi. Come focal point COSO III suggerisce di:

Stabilire ruoli e responsabilità di supervisione;

Applicare le competenze appropriate, dopo averle ovviamente

individuate;

51 Utilizziamo la versione più recente dei principi associati a ciascuna componente del modello, in quanto questa

versione è quella utilizzata in Fiat quando il modello vi è stato adottato.

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Operare indipendentemente, fra Consiglio di Amministrazione e

management;

Fornire una supervisione al sistema di controllo interno.

3. Il management: deve mettere in piedi, sotto la supervisione del Consiglio di

Amministrazione, delle strutture, delle linee di reportistica e dei ruoli e delle

responsabilità appropriate per lo sviluppo e la realizzazione del controllo

interno. Come focal point COSO III suggerisce di:

Considerare, in questa azione, tutte le strutture ed entità che fanno parte

dell’organizzazione;

Stabilire in modo chiaro delle linee di reportistica, in modo che sia

facile comunicare lo stato dei controlli;

Definire, assegnare e se necessario limitare le responsabilità e le

cautorizzazioni.

4. Struttura organizzativa: deve promuovere l’efficacia del controllo interno della

reportistica finanziaria, in particolare esibendo la volontà di attrarre, sviluppare

e mantenere competenze e professionalità in linea con gli obiettivi. Come focal

point COSO III suggerisce di:

Stabilire delle policy e delle best practice relative al controllo interno

della reportistica finanziaria;

Valutare ed eventualmente colmare lacune nelle competenze;

Attrarre, sviluppare e mantenere persone competenti;

Pianificare e preparare per il ricambio delle persone in modo da non

perdere valore e professionalità con il turnover.

5. Struttura organizzativa: mantiene i dipendenti responsabili per i controlli

interni nella direzione degli obiettivi di efficacia del controllo interno della

reportistica finanziaria. Come focal point COSO III suggerisce di:

Rafforzare l’accountability attraverso strutture, autorizzazioni e

responsabilità;

Stabilire livelli di performance, misure di performance, incentivi e

premi;

Valutare le misure di performance, gli incentivi e i premi in modo da

mantenerli sempre appropriati rispetto all’obiettivo di commitment del

personale;

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82

Considerare se non sussista una eccessiva, o scarsa, pressione sul

personale;

Valutare le performance dei singoli individui e premiarli o disciplinare

la loro azione.

Valutazione dei rischi:

6. La struttura organizzativa: specifica gli obiettivi con sufficiente chiarezza in

modo da abilitare l’identificazione e la valutazione dei rischi relativi agli

obiettivi. Come focal point COSO III suggerisce di:

Riflettere le scelte del management;

Considerare la propensione al rischio;

Includere gli obiettivi delle performance finanziare e di operatività;

Formare una base per aumentare il commitment delle risorse;

Conformarsi agli appropriati standard contabili;

Tenere conto del “materiatility principle”, secondo il quale uno

standard può essere ignorato nel caso in cui apporti un impatto così

ridotto sul report finanziario da non condurre a misstatement;

Riflettere le attività dell’azienda nella reportistica esterna;

Conformarsi a standard e framework riconosciuti esternamente nella

reportistica esterna non finanziaria;

Considerare il livello adeguato di precisione nella reportistica esterna

non finanziaria;

Riflettere le attività dell’azienda nella reportistica esterna non

finanziaria;

Riflettere le scelte del management nella reportistica interna;

Riflettere le attività dell’azienda nella reportistica interna;

Considerare il livello di precisione richiesto nella reportistica interna;

Riflettere leggi e regolamenti esterni nella compliance;

Considerare la propensione al rischio nella compliance.

7. La struttura organizzativa identifica i rischi che si frappongono al

raggiungimento degli obiettivi aziendali e analizza i rischi come base per

determinare come questi rischi vadano gestiti. Come focal point COSO III

suggerisce di:

Includere le aziende, le sussidiarie, le divisioni, le unità operative e i

livelli funzionali;

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Analizzare fattori interni ed esterni;

Coinvolgere gli appropriati livelli di management;

Stimare la significatività dei rischi identificati;

Determinare come rispondere a un rischio specifico.

8. La struttura organizzativa considera le frodi potenziali nel valutare i rischi che

si interpongono al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Come focal point

COSO III suggerisce di:

Considerare i vari tipi di frode;

Valutare incentivi e pressioni per scongiurare le frodi;

Valutare le opportunità;

Valutare le attitudini e le ottimizzazioni.

9. La struttura organizzativa identifica e valuta le modifiche che potrebbero

significativamente impattare sul sistema di controllo interno. Come focal point

COSO III suggerisce di:

Valutare le modifiche occorse nell’ambiente esterno;

Valutare le modifiche nel modello di business;

Valutare le modifiche alla leadership aziendale.

Attività di controllo:

10. La struttura organizzativa seleziona e sviluppa attività di controllo che

contribuiscano alla mitigazione dei rischi nel raggiungimento degli obiettivi a

livelli accettabili. Come focal point COSO III raccomanda di:

Integrare le attività di controllo con la valutazione dei rischi;

Considerare fattori specifici dell’azienda;

Determinare i processi di business rilevanti;

Valutare un mix di tipologie di attività di controllo;

Considerare a che livello le attività sono applicate;

Perseguire la segregazione dei compiti.

11. La struttura organizzativa seleziona e sviluppa attività di controllo generali

sulle tecnologie a supporto del raggiungimento degli obiettivi. Come focal

point COSO III indica di:

Determinare la dipendenza fra l’uso della tecnologia nei processi di

business e i controlli generali sulla tecnologia;

Stabilire attività di controllo per le infrastrutture tecnologiche più

rilevanti;

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Stabilire attività di controllo dei processi più rilevanti di gestione della

sicurezza;

Stabilire l’acquisizione, lo sviluppo e la manutenzione di tecnologie

rilevanti per le attività di controllo dei processi.

12. La struttura organizzativa rilascia attività di controllo delle policy che

stabiliscono delle aspettative e definiscono delle procedure che possano

contribuire a mettere in atto le policy. Come focal point COSO III suggerisce

di:

Stabilire policy e procedure per supportare la realizzazione delle

direttive manageriali;

Stabilire responsabilità e ruoli per l’esecuzione delle policy e delle

procedure;

Operare in maniera tempestiva;

Intraprendere azioni correttive;

Operare utilizzando personale competente;

Rivalutare policy e procedure quando ciò sia necessario.

Informazione e comunicazione:

13. La struttura organizzativa ottiene, o genera, e utilizza informazioni di qualità

rilevanti per supportare l’attività del controllo interno. Come focal point COSO

III propone di:

Identificare i requisiti delle informazioni;

Intercettare sorgenti di dati, sia interne che esterne;

Processare i dati rilevanti per produrre informazioni;

Mantenere la qualità attraverso tutto il processo;

Considerare costi e benefici.

14. La struttura organizzativa comunica internamente informazioni, inclusi

obiettivi e responsabilità per i controlli interni, necessarie per supportare

l’operatività dei controlli interni. Come focal point COSO III indica di:

Comunicare informazioni sui controlli interni;

Comunicare con il Consiglio di Amministrazione;

Fornire linee di comunicazione separate;

Selezionare metodi di comunicazione appropriati.

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15. La struttura organizzativa comunica esternamente riguardo agli argomenti che

impattano sul funzionamento del controllo interno. Come focal point COSO III

propone di:

Comunicare con le controparti esterne;

Abilitare una comunicazione dall’esterno verso l’interno;

Comunicare con i consigli di amministrazione;

Fornire linee di comunicazione separate;

Selezionare metodi di comunicazione appropriati.

Monitoraggio:

16. La struttura organizzativa seleziona, sviluppa e mette in atto valutazioni

continuative o specifiche per accertare se le componenti del sistema di

controllo interno siano tutte presenti e correttamente funzionanti. Come focal

point COSO III suggerisce di:

Considerare un mix di valutazioni continuative o specifiche;

Considerare il tasso con cui avvengono i cambiamenti in azienda;

Stabilire dei parametri comuni;

Utilizzare personale informato e competente;

Integrarsi con i processi di business;

Aggiustare l’ambito e la frequenza del monitoraggio;

Valutare con obiettività.

17. La struttura organizzativa valuta e comunica i difetti del controllo interno in

maniera tempestiva alle controparti che hanno la responsabilità di

intraprendere azioni correttive, incluso il senior management e lo stesso

Consiglio di Amministrazione, se necessario. Come focal point COSO III

raccomanda di:

Valutare i risultati;

Comunicare i difetti;

Monitorare le azioni correttive.

2.12 Adozione del framework COSO III in FCA

L’adozione del modello di Enterprise Risk Management offre una serie di vantaggi, come

abbiamo visto, rispetto al modello del report COSO I: FCA ha effettuato questa scelta

strategica nell’adozione del modello, con i benefici e la complessità organizzativa cui

abbiamo accennato in precedenza.

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Dal punto di vista del rischio legato all’erogazione dei report finanziari, che per un gruppo

così grande, complesso e ramificato in tutto il pianeta prelude un possibile rischio

reputazionale le cui conseguenze sul business sarebbero gravissime, FCA ha seguito le linee

guida del framework COSO III per la affidabilità, precisione, completezza e tempestività della

reportistica finanziaria.

La valutazione periodica del sistema di controllo interno dei report finanziari è stata

progettata per garantire l’efficienza delle componenti del modello COSO (che, ricordiamo,

sono l’ambiente di controllo, la valutazione dei rischi, le attività di controllo, l’informazione e

comunicazione, il monitoraggio) nel raggiungere questi obiettivi.

Naturalmente, venendo da una lunga storia che poneva Fiat al centro del sistema

economico italiano e Chrysler come uno degli attori principali dell’industria automobilistica

della maggiore potenza economica mondiale, le procedure amministrative e contabili del

Gruppo sono consolidate e molto affidabili, e in particolare il sistema di controllo dei report

finanziario si basa su solidi principi.

Questo sistema è organizzato su due livelli: il primo livello è dato dalle policy, procedure

e linee guida che consentono alla capogruppo da un lato di assicurare un flusso informativo

efficiente da e verso le sussidiarie, dall’altro di esercitare le attività di coordinamento

necessarie.

In particolare sono definite regole ben precise di applicazione degli standard contabili

(codificate nel Group Accounting Manual) e sono pure definite delle procedure per la

preparazione dei bilanci di esercizio e dei report finanziari annessi: è ovviamente onere della

capogruppo comunicare ed accertarsi della ricezione di queste regole e procedure nei

confronti delle società del gruppo.

Il secondo livello consiste delle policy operative e delle procedure elaborate dalle società

del gruppo sulla base delle linee guida emesse dalla capogruppo.

L’approccio sposato da Fiat per la valutazione, il monitoraggio e l’aggiornamento

continuo dei sistemi di controllo interno e di risk management per quanto riguarda i report

finanziari segue un approccio “top-down” centrato sull’analisi dei rischi, coerente con il

framework COSO.

Questo approccio consente di focalizzarsi su aree di più alto rischio di errore, compresi

errori fraudolenti, nella compilazione della reportistica finanziaria: le componenti

fondamentali di questo approccio possono essere descritte come segue:

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identificazione e valutazione della fonte di informazioni, e probabilità di errori

materiali nella compilazione dei report finanziari;

valutazione dell’adeguatezza dei controlli cruciali per identificare potenziali errori in

parti della reportistica finanziaria, sia controlli ex ante che ex post;

verifica della operatività effettiva dei controlli basati sulla valutazione dei rischi di

errore nei report finanziari, con test centrati sulle aree di rischio più alto.

L’identificazione e la valutazione di aree che potrebbero essere impattate da eventuali

errori nella reportistica finanziaria è condotta attraverso un processo di analisi dei rischi che

usa un approccio che parte dall’alto verso il basso: precisamente, si pianificano le entità

organizzative, i processi e i riferimenti contabili, in aggiunta a specifiche attività che

potrebbero generare errori significativi.

In base a questo approccio, i rischi e i controlli relativi sono associati ai processi

amministrativi e di business sui quali le informazioni finanziarie si basano: per rischi

significativi, identificati nel processo di valutazione dei rischi, i controlli chiave sono messi in

campo per contrastare questi rischi e mitigare i danni derivanti da potenziali errori nella

reportistica finanziaria.

Ci sono a questo proposito due possibili tipi di controlli, entrambi implementati: da un

lato ci sono i controlli che operano a livello di società del Gruppo, come la delega di

responsabilità, la separazione degli incarichi e l’assegnazione di diritti specifici di accesso ai

sistemi informatici (per esempio per mezzo di un sistema di identity management).

D’altra parte esistono anche controlli che operano a livello di processo, come per esempio

il controllo sui processi operativi, il controllo sui processi in dismissione, i controlli

trasversali a diverse aree, etc.

Questi controlli possono essere preventivi, cioè volti a prevenire errori o frodi, o di

rilevazione, cioè volti a scoprire errori o frodi già avvenute, e possono anche essere svolti sia

in modalità manuale che automatica, come controlli basati su applicazioni informatiche che

riguardano le caratteristiche della configurazione dell’infrastruttura dei sistemi IT a supporto

delle attività di business.

Una valutazione del progetto e dell’operatività dei controlli chiave è svolta tramite test

eseguiti dalla funzione di internal audit, sia a livello di gruppo che a livello di società

sussidiarie, utilizzando tecniche a campione e best practices di riconosciuta rilevanza:

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l’internal audit svolge anche una attività di controllo di qualità sui test condotti presso le

società sussidiarie.

Se necessario, il risultato di una valutazione può dare luogo a controlli ulteriori e più

dettagliati, ad azioni correttive o a piani di miglioramento.

I risultati delle attività di monitoraggio sono periodicamente soggetti alla revisione del

manager responsabile per il reporting finanziario del gruppo e da questi comunicate al senior

management, al comitato per l’internal control e il rischio, che come sappiamo riferisce

direttamente al Consiglio di Amministrazione, e al Collegio Sindacale della capogruppo.

2.12.1 Dettagli dell’implementazione del framework COSO III presso FCA

Come esemplificazione di quanto appena esposto, ci pare significativo segnalare alcuni

dettagli dei quali abbiamo avuto contezza grazie alla possibilità di svolgere parte di questo

lavoro in stage presso la sede di Fiat Chrysler Automobiles di Torino.

In particolare, l’accesso a strumenti aziendali utilizzati nelle varie fasi delle attività di

monitoraggio e intervento sulla reportistica finanziaria ha permesso di evidenziare quali siano

considerati nell’ambito delle attività del gruppo i fattori maggiormente critici relativi alla

possibilità di errori o imprecisioni nei report finanziari.

Il modello COSO III si scompone, come ben sappiamo, nelle cinque componenti che

costituiscono il sistema di controllo.

Fiat ha basato il suo sistema di controllo su dei “focus point”, che recepiscono in maniera

1-1 i principi del COSO III e costituiscono l’“as is” prima del progetto di fusione dei sistemi

di controllo interno fra Fiat e Chrysler.

A rischio di essere ridondanti, ma per comodità di consultazione, riportiamo di seguito52

l’elenco dei principi, facendo afferire a ciascuno di essi gli obiettivi individuati da Fiat come

essenziali per poter affermare di aver soddisfatto convenientemente il principio stesso.

Ambiente di controllo:

1. Integrità dei valori etici: deve essere sviluppato un insieme coerente di valori

etici condivisi dal management per la condotta nel reporting finanziario.

Secondo la visione Fiat gli obiettivi ispirati da questo principio sono:

52 Quanto segue è una sintesi narrativa di strumenti aziendali, in particolare template della checklist dei processi

relativi al framework COSO III forniti da FCA e datati dicembre 2014.

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Il codice etico della Fiat (così come altre policy riguardanti le best

practice, i conflitti di interesse o gli standard etici attesi) deve essere

adeguatamente comunicata all’interno dell’organizzazione, per esempio

tramite la Intranet aziendale, tramite formazione, etc;

C’è un “tone at the top” ben definito, che include una guida etica su

cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, e che viene comunicato, messo in

pratica e gestito a tutti i livelli dell’organizzazione;

Ogni scambio fra impiegati, fornitori, clienti, investitori, creditori,

assicuratori, competitor, auditor, etc. è eticamente ispirato;

Le deviazioni dallo standard stabilito sono approfondite e documentate;

In risposta a deviazioni dalle policy e dalle procedure approvate, o dal

codice etico, sono intraprese appropriate azioni correttive;

I compensi individuali, come bonus e stock-options, sono in linea con i

valori etici dell’azienda.

2. Consiglio di Amministrazione: deve, in modo autonomo dal management,

comprendere e sovrintendere ai report finanziari e al controllo interno su di

essi. Secondo la visione Fiat gli obiettivi ispirati da questo principio sono:

Il management risponde in modo tempestivo e appropriato ai

rilevamenti e alle raccomandazioni degli auditor indipendenti a

proposito del controllo interno e delle policy e procedure dell’azienda.

3. Il management: deve mettere in piedi, sotto la supervisione del Consiglio di

Amministrazione, delle strutture, delle linee di reportistica e dei ruoli e delle

responsabilità appropriate per lo sviluppo e la realizzazione del controllo

interno. Secondo la visione Fiat gli obiettivi ispirati da questo principio sono:

Gli obiettivi finanziari e le attese del management sono realistiche;

Il management riconosce l’importanza del data processing e delle

funzioni di accountability, e ha commitment in merito all’affidabilità

dei report finanziari;

Ci sono forti motivazioni etiche e azioni nei confronti del reporting

finanziario, incluse appropriate risoluzioni di conflitti sull’applicazione

dei principi contabili, per esempio la selezione di politiche di

accounting conservative vs liberali, se i principi contabili siano male

applicati, se importanti informazioni finanziarie non siano divulgate,

manipolate o falsificate, etc;

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90

Il top management mantiene contatto con le funzioni subordinate o

divisionali, e ne enfatizza in modo coerente i comportamenti

appropriati;

Il management presta grande attenzione al controllo interno, per

esempio nel considerare se i sistemi informativi siano configurati al

livello appropriato di controllo, e se controlli interni siano considerati

quanto si metto in opera processi manuali, etc;

C’è una forte enfasi sui controlli interni in modo che siano progettati e

implementati in modo efficiente.

4. Struttura organizzativa: deve promuovere l’efficacia del controllo interno della

reportistica finanziaria, in particolare esibendo la volontà di attrarre, sviluppare

e mantenere competenze e professionalità in linea con gli obiettivi. Secondo la

visione Fiat gli obiettivi ispirati da questo principio sono:

Mettere in campo strumenti per definire le attività che competono a

specifici lavori, come la formalizzazione delle job description, e

verificare che questi strumenti siano usati efficientemente;

I requisiti di esperienza e competenza sono formalmente definiti per le

posizioni chiave nel management, e sono state identificate le skill

necessarie per eseguire le attività che sono state identificate;

I livelli di staffing sono mantenuti in linea con i livelli di efficacia

operativa richiesti dalle varie attività;

L’azienda monitora il turnover nel management o nel personale con

funzione di supervisione e valuta le ragioni di un turnover

particolarmente significativo;

Sono state definite ed attuate policy e procedure per l’assunzione, il

training, la promozione e la remunerazione dei dipendenti;

Le policy e procedure emanate dall’azienda sono chiare e sono

pubblicate, aggiornate e riviste su base periodica; inoltre sono state

comunicate in modo efficace al personale, anche nelle sedi periferiche.

5. Struttura organizzativa: mantiene i dipendenti responsabili per i controlli

interni nella direzione degli obiettivi di efficacia del controllo interno della

reportistica finanziaria. Secondo la visione Fiat gli obiettivi ispirati da questo

principio sono:

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91

La struttura manageriale locale è appropriata (cioè non dominata da

pochi individui) e c’è una supervisione effettiva a livello di settore o

gruppo;

Le linee autorizzative e di responsabilità (comprese le linee di

reporting) nell’azienda sono appropriate, definite in modo chiaro e

chiaramente comunicate;

Le modifiche alla struttura organizzativa sono apportate in modo

tempestivo per rispondere alle mutate condizioni;

C’è una appropriata assegnazione di responsabilità e delega di autorità

in merito agli obiettivi dell’organizzazione, all’interazione con le

funzioni operative e ai requisiti dei regolamenti.

Valutazione dei rischi:

6. La struttura organizzativa: specifica gli obiettivi con sufficiente chiarezza in

modo da abilitare l’identificazione e la valutazione dei rischi relativi agli

obiettivi. Secondo la visione Fiat gli obiettivi ispirati da questo principio sono:

Gli obiettivi di business a livello di entità sono comunicati e monitorati,

per esempio il management documenta e comunica in modo chiaro gli

obiettivi e gli standard per il processo;

I piani di business e di budget sono coerenti con gli obiettivi di cui

sopra, con i piani strategici e con l’attuale contesto nel quale l’azienda

opera sui mercati.

7. La struttura organizzativa identifica i rischi che si frappongono al

raggiungimento degli obiettivi aziendali e analizza i rischi come base per

determinare come questi rischi vadano gestiti. Secondo la visione Fiat gli

obiettivi ispirati da questo principio sono:

Sono posti in essere meccanismi per identificare le sorgenti interne o

esterne di rischio e per comunicare tali rischi in modo rapido al

management;

aL’analisi dei rischi di processo è approfondita e rilevante, e include

una stima della significatività dei rischi, valutando la verosimiglianza

della loro occorrenza e determinando le azioni necessarie da prendere

in caso di occorrenza.

8. La struttura organizzativa considera le frodi potenziali nel valutare i rischi che

si frappongono al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Secondo la visione

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Fiat gli obiettivi ispirati da questo principio sono i medesimi del precedente

(7).

9. La struttura organizzativa identifica e valuta le modifiche che potrebbero

significativamente impattare sul sistema di controllo interno. Secondo la

visione Fiat gli obiettivi ispirati da questo principio sono:

Sono posti in essere dei meccanismi per anticipare e reagire, su base

periodica, a modifiche legislative e nei regolamenti, o semplicemente

all’introduzione di nuove regole, policy, etc.

Attività di controllo:

10. La struttura organizzativa seleziona e sviluppa attività di controllo che

contribuiscano alla mitigazione dei rischi nel raggiungimento degli obiettivi a

livelli accettabili. Secondo la visione Fiat gli obiettivi ispirati da questo

principio sono:

Le attività di controllo poste in essere sono applicate in modo proprio e

proattivo;

Le dichiarazioni finanziarie sono riviste da individui indipendenti da

chi le ha formulate: queste revisioni sono documentate;

Il management ha controllo sul processo di archiviazione degli eventi

materiali seguenti all’occorrenza del rischio, in modo che siano

accumulati, memorizzati, processati, sintetizzati e riportati

appropriatamente.

11. La struttura organizzativa seleziona e sviluppa attività di controllo generali

sulle tecnologie a supporto del raggiungimento degli obiettivi. Secondo la

visione Fiat gli obiettivi ispirati da questo principio sono:

Il management sostiene lo sviluppo dei sistemi informativi necessari e

in particolare gli investimenti nelle risorse destinate a questi sistemi, sia

risorse umane che economiche: i ruoli e le responsabilità

dell’organizzazione dell’IT sono definiti, documentati e ben compresi.

12. La struttura organizzativa rilascia attività di controllo delle policy che

stabiliscono delle aspettative e definiscono delle procedure che possano

contribuire a mettere in atto le policy. Secondo la visione Fiat gli obiettivi

ispirati da questo principio sono:

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Sono formalmente documentate e nelle disponibilità

dell’organizzazione appropriate policy e procedure relative a ciascuna

attività dipartimentale, per esempio finanza, store operations, etc;

Sono poste in essere policy e procedure per assicurare che adeguato

monitoraggio e la supervisione siano svolte anche nelle sedi

periferiche;

Sono poste in essere delle procedure per monitorare quanto i controlli

sono sovradimensionati, per determinare se il sovradimensionamento è

giustificato;

Informazione e comunicazione:

13. La struttura organizzativa ottiene, o genera, e utilizza informazioni di qualità

rilevanti per supportare l’attività del controllo interno. Secondo la visione Fiat

gli obiettivi ispirati da questo principio sono:

Il management riceve, in maniera periodica, informazioni sia interne

che esterne sufficienti riguardo la performance rispetto agli obiettivi

stabiliti e condivisi;

Il management ha predisposto e comunicato piani strategici per l’IT che

allineino le strategie IT agli obiettivi di business: la pianificazione

include dei meccanismi per sollecitare gli input dagli stakeholder, sia

interni che esterni, che hanno informazioni rilevanti per la stesura dei

piani IT;

14. La struttura organizzativa comunica internamente informazioni, inclusi

obiettivi e responsabilità per i controlli interni, necessarie per supportare

l’operatività dei controlli interni. Secondo la visione Fiat gli obiettivi ispirati

da questo principio sono:

E’ posto in essere un canale di comunicazione per poter riportare

sospette irregolarità, e il management incoraggia i dipendenti a

utilizzare questo canale ove necessario, per esempio tramite un sistema

di whistle blowing;

Il personale della finanza comunica attraverso il processo di chiusura

contabile, per esempio tramite incontri pianificati di chiusura lungo

tutto l’arco del processo di chiusura, che coinvolgono gli individui la

cui attività impatta sul processo di chiusura;

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In presenza di applicazioni o transazioni significative che sono eseguire

o processata dal service provider, il management ha documentato i

controlli rilevanti per il provider per mitigare il rischio di errori;

Una ampia checklist relativa al processo di chiusura è condivisa con

tutti gli individui che hanno un ruolo nel processo di chiusura;

L’informazione è riportata a monte del flusso di processo se necessario,

e viene perseguita una appropriata azione di follow-up;

15. La struttura organizzativa comunica esternamente riguardo agli argomenti che

impattano sul funzionamento del controllo interno. Secondo la visione Fiat gli

obiettivi ispirati da questo principio sono un sottoinsieme di quelli del

principio 14, precisamente il primo e il terzo su elencati.

Monitoraggio:

16. La struttura organizzativa seleziona, sviluppa e mette in atto valutazioni

continuative o specifiche per accertare se le componenti del sistema di

controllo interno siano tutte presenti e correttamente funzionanti. Secondo la

visione Fiat gli obiettivi ispirati da questo principio sono:

L’Azienda risponde in modo proattivo alle rilevazioni e

raccomandazioni degli auditor interni ed esterni e, ove applicabile,

implementa dei piani operativi per rafforzare i controlli interni sulla

base di queste evidenze;

Sono posti in essere dei meccanismi di valutazione o auto-valutazione

per promuovere e valutare la consapevolezza e la responsabilità in

materia di controllo interno.

17. La struttura organizzativa valuta e comunica i difetti del controllo interno in

maniera tempestiva alle controparti che hanno la responsabilità di

intraprendere azioni correttive, incluso il senior management e lo stesso

Consiglio di Amministrazione, se necessario. Secondo la visione Fiat gli

obiettivi ispirati da questo principio sono:

Il management corregge, su base periodica, le mancanze individuate

dal controllo interno;

Le mancanze, se notate, sono seguite da un appropriati follow-up.

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2.12.2 Il processo di controllo interno dei report finanziari di Fiat: la

situazione prima della fusione

Particolare attenzione, in merito ai dettagli del sistema di controllo della reportistica

finanziaria, è posta alle normative, che abbiamo richiamato nel primo capitolo, che sia in

Italia che negli Stati Uniti cercano di supportare le aziende nel contrastare comportamenti

fraudolenti, specie per quel che riguarda le dichiarazioni di bilancio, di salute finanziaria di

una azienda o società, etc.

La Sarbanes Oxley Act (SOX) è ovviamente “in cima ai pensieri” degli internal auditor

che svolgono questa attività nelle grandi aziende, e FCA non fa eccezione.

Un punto di particolare rilievo e attenzione, nel caso FCA, è il passaggio legato alla

fusione di Fiat e Chrysler, laddove le due società distinte avevano ciascuna sistemi di

controllo interno e policy riguardanti la reportistica finanziaria tarate sui rispettivi target

amministrativi e di business, mentre con la fusione si è dovuta trovare una sintesi che

preservasse l’efficienza dei due sistemi precedenti promuovendo al contempo una nuova,

unitaria e coerente organizzazione del sistema di controllo interno in materia di report

finanziari adatta alla nuova realtà multinazionale sorta dopo la fusione.

In particolare, nel 2014 il processo ICFR (Internal Control over Financial Report) di FIAT

è stato sottoposto a revisione e confrontato con quello di Chrysler, a cura di una società

esterna (Ernst&Young), che ha formulato come raccomandazione53 di definire la

documentazione dei processi end-to-end in maniera chiara e compliant con quanto il PCAOB

(Public Company Account Overside Board) ha richiesto in materia di chiarezza e dettaglio per

questo tipo di documentazione.

Precisamente quel che si deve fornire è documentazione completa sia in ampiezza, cioè

nel coprire le diverse aree di interesse, sia in profondità, cioè che entri nel merito dei dettagli

in maniera chiara.

Un formalismo standard che viene proposto come strumento di comunicazione, in

aggiunta ovviamente alle spiegazioni testuali, è il diagramma di flusso (flow-chart) che fin

dagli anni ’20 del XX secolo costituisce uno strumento di rappresentazione dei flussi dei

processi in diversi ambiti.

53 Process Mapping. Methodology recap and news, Internal Audit & Compliance FCA, April 2014.

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In generale, la documentazione deve contribuire ad identificare54:

1. i rischi di material misstatements, cioè di enunciati finanziari ambigui o erronei su

informazioni che possono influenzare i valori economici associati all’azienda (prezzi

delle azioni, etc.);

2. i controlli per evidenziare tali rischi;

3. i report, le interfacce, le configurazioni e i calcoli cruciali che impattano il processo e i

controlli.

In vista dell’ottemperanza all’ICFR/SOX, si sono individuati alcuni punti critici sui quali

intervenire, a livello di organizzazione dei processi e delle attività a supporto di questi: in

primo luogo un miglioramento della qualità dei documenti che descrivono i processi end-to-

end, per supportare la comprensione dei flussi transazionali più significativi da parte

dell’auditor esterno (ciò è espressamente raccomandato dal PCAOB).

Mentre nelle aree di rischio meno critiche si raccomanda comunque di dare fiducia al

management nell’azione di controllo, per i processi più critici l’internal audit deve farsi da

tramite con la società esterna di consulenza (E&Y) incaricata del process mapping.

Si devono quindi identificare le “major class of transactions” (MCOT) sulla base delle

responsabilità degli attori e dei processi che li coinvolgono, e catalogare i rischi finanziari per

poter fare uso di questa tassonomia nella terza linea di controllo (che ricordiamo è quella

dell’internal audit laddove le prime due sono quelle operative e di controllo del business: cfr.

§2.6).

Come si è detto questi interventi di miglioramento della documentazione non si possono

soltanto basare su una comunicazione “narrativa”, ma devono prevedere l’uso del formalismo

non ambiguo dei diagrammi di flusso, oltre che del formalismo quantitativo delle matrici

rischio/controllo (RCM).

Per quanto riguarda le componenti del sistema di controllo (report, interfacce,

configurazione, calcolo), queste devono essere integrate alle componenti IT e gestite non in

automatico, per garantire l’accountability.

A fronte di questi suggerimenti di miglioramento, è bene ricordare che Fiat aveva già un

solido background in tema di ICFR: per esempio c’era stata la sperimentazione di due progetti

pilota nel 2013, “integrated approach for operational” e “ICFR and ICT risk evaluation”.

54 Ibidem.

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Per il processo ICFR della Fiat era inoltre già iniziato un allineamento con la SOX a

partire dalla fine del 2013, in una visione di integrazione a seguito della fusione con Chrysler.

La metodologia di quest’ultima è stata a sua volta migliorata in alcuni aspetti, per esempio

con la consapevolezza di dover integrare lo sguardo sui processi di business con l’uso di

strumenti informatici standard e di cataloghi di rischi già compilati in modo tale da far tesoro

delle esperienze già accumulate invece che partire da una “tabula rasa”.

Infatti l’approccio Chrysler al tema ICFR era, come ovvio, completamente dominato dalla

necessità di compliance con la SOX55: in particolare, già utilizzava i formalismi citati per la

comunicazione in aggiunta a quella testuale nella propria documentazione, e tuttavia poneva

poca attenzione all’integrazione fra le informazioni sui rischi operativi e i rischi informatici,

mentre aveva gradualmente esteso l’approccio anche ad altre aree di business (cioè al

controllo della reportistica non necessariamente finanziaria), focalizzandosi sempre sulle aree

operative.

La mappatura dei processi svolta dalla funzione di internal audit di Fiat si basava su una

metodologia che pure era indirizzata dalle raccomandazioni e prescrizioni della SOX, e che

fornisce56:

1. template standard per i singoli documenti da controllare: diagrammi di flusso, testi,

matrici rischio/controllo, test, etc;

2. istruzioni operative per l’uso dei template;

3. linee guida per la documentazione dei controlli manuali che dipendono dall’uso di

strumenti informatici e delle componenti del sistema (report, interfacce, calcoli,

configurazioni);

4. “walk-through test” (WTT), cioè procedure che gli auditor devono svolgere per

accertare l’affidabilità delle procedure di controllo, orientati alla validazione della

progettazione dei controlli (sia nuovi sia scaturiti da modifiche a controlli esistenti);

5. una “collaboration room”, cioè un’area condivisa nell’infrastruttura informatica per i

documenti, mantenuta dal PMO e che include gli esempi di documentazione ricevuti

da Chrysler, i cataloghi del rischio finanziario e altre best practice.

In effetti, per ciascuna Major Class Of Transaction (MCOT) si seguiva un processo

standard, i cui dettagli descriveremo fra breve, ma che, macroscopicamente, vede l’intervento

del management della azienda owner della classe di transazioni oggetto di descrizione, prima

55 Ibidem.

56 Ibidem.

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di tutto in una riunione iniziale in cui, sotto la supervisione del management, il provider dei

servizi analizza la documentazione disponibile sulla class of transaction in esame e delinea

come procedere nella fase di mapping del processo, ma anche nello svolgere questo mapping,

per mezzo di una analisi che comporta interviste, walk-through test (WTT), etc. e al termine

della quale la descrizione documentale del processo (corredata da diagrammi di flusso) viene

prodotta, e infine nel condividere la documentazione prodotta con il management e con il

gruppo ICFR dell’azienda che, assieme al consulente esterno (in questo caso E&Y), validano

la documentazione.

Queste macro fasi sono dettagliate ulteriormente in una serie di passi intermedi che

coinvolgono anche altri attori e che possiamo riassumere come segue57:

1. Nella prima fase si raccoglie la documentazione disponibile: questa è una attività che

ovviamente pesa poco in termini temporali;

2. Si produce quindi la documentazione di processo, con un lavoro sul campo

(fieldwork), che impegna un tempo dipendente dalla complessità della struttura e delle

transazioni che si intendono mappare;

3. Si condivide la documentazione con il management, attività ovviamente rapida;

4. A questo punto l’internal audit svolge un primo controllo di qualità, al termine del

quale l’ICFR e l’IT aziendale validano la documentazione, nelle sue componenti

narrative, di diagrammi di flusso, di RCM e di WTT;

5. L’internal audit esegue i walk through test sui controlli chiave nella documentazione

validata e svolge un’altra quality review;

6. Una volta validata dall’internal audit, la documentazione riceve anche l’approvazione

del ICFR, dell’IT e della società esterna.

L’organizzazione che sovrintende a questo processo prevede uno steering committee che,

unitamente a un operating committee, si occupa di fornire metodologie, approcci e risorse alle

strutture che operano sul campo nell’implementare i passi che abbiamo appena descritto, e

che constano di gruppi di tre elementi dell’internal audit, con funzioni di lead auditor,

assistant e IT auditor per ciascun processo legato a una MCOT.

L’analisi di questo processo da parte di E&Y ha rilevato alcuni punti di attenzione, che

poi sono stati implementati o messi a piano dopo la fusione e quando nuovi progetti di

integrazione e miglioramento del sistema di controllo interno sono stati pianificati.

57 Ibidem.

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In particolare, a proposito del delicato tema dei controlli chiave, è stato rilevato che un

elemento fondamentale per la comprensione di questi controlli e una loro efficace messa in

opera è per prima cosa il tipo di controllo che viene definito (per esempio se manuale,

automatico, manuale dipendente da risultati dell’IT), e verificare che questo tipo di

definizione per quel particolare controllo lo rende effettivamente in grado di mitigare il

rischio associato, intercettando e correggendo i misstatements.

C’è poi la questione della verifica dell’appropriatezza dei controlli, nel senso della loro

capacità di effettivamente individuare la presenza di un misstatement, e del susseguente

follow-up, in particolare di come sono trattati gli errori e come vengono messe in campo le

strategie risolutive.

Infine si è evidenziata la necessità di verificare che i controlli siano svolti da dipendenti

che posseggono i necessari requisiti di accountability e competenza per attuarli in maniera

effettiva, e che la segregazione dei compiti sia realizzata efficacemente anche in fase di

progetto dei controlli.

Queste raccomandazioni, integrate da altre analisi, process mapping e per tramite

dell’utilizzo di nuovi strumenti hanno condotto, tramite una serie di progetti strategici, Fiat e

Chrysler a produrre una sintesi dei loro sistemi di controllo interni che dà origine al sistema di

controllo interno di FCA.

Nel prossimo capitolo ci focalizziamo su questo progetto di ampio respiro e sulle

modifiche che la struttura fin qui descritta ha dovuto e dovrà sostenere per portarlo a

compimento.

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Capitolo 3 . Governance, Risk Management and

Compliance in FCA

In questo capitolo consideriamo l’evoluzione e il consolidamento del sistema integrato di

Governance, Risk Management e Compliance presso FCA, a seguito della fusione fra Fiat e

Chrysler, ponendo in particolare l’accento sugli aspetti dell’infrastruttura di supporto e sulle

conseguenze relative all’organizzazione e al modello di business dell’Internal Audit &

Compliance di FCA, rispetto alle funzioni omologhe in Fiat e Chrysler.

Per prima cosa affrontiamo il tema del GRC nei suoi aspetti generali e nella declinazione

specifica che gli è stata conferita in FCA.

L’altro aspetto considerato centrale nella definizione del modello GRC di FCA concerne

l’ infrastruttura tecnologica e l’ingegnerizzazione del processo implementato, in particolare

per quanto riguarda la selezione e la configurazione del prodotto informatico di supporto, sul

quale ci soffermiamo nella parte centrale del capitolo.

Questi due aspetti sono focali per il progetto di convergenza dei sistemi di controllo

interno di Fiat e di Chrysler nel sistema di controllo interno di FCA basato sul concetto di

GRC già discusso.

Le linee guida sono state la conformità allo standard ERM del COSO, la compliance alla

normativa italiana e statunitense in materia di frodi fiscali e una attenzione continua e

centralizzata nei confronti del risk assessment quale attività irrinunciabile per l’Internal Audit

a copertura di tutti i processi aziendali che generano rischi.

Discutiamo inoltre in dettaglio quelli che erano i modelli “as is” di Fiat e Chrysler per le

rispettive funzioni di controllo interno e il modello “to be” proposto e poi realizzato fra il

2012 e il 2014.

In particolare si tiene anche conto dell’analisi decisionale relativa alla scelta e alla

definizione dei requisiti del sistema informatico di supporto, basato su una soluzione

proprietaria per la quale è stata chiesta la customizzazione al fornitore sulla base delle quattro

aree organizzative su cui convergere: processi, rischi, controlli e modello organizzativo.

Si dà ampio spazio a una disamina delle caratteristiche funzionali di questo prodotto e alla

genesi delle scelte dei requisiti che hanno condotto alla definizione e alla richiesta di queste

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caratteristiche, mantenendo, come richiesto dai nostri referenti in FCA, il riserbo sui dettagli

del fornitore del prodotto stesso.

Particolare enfasi è data, nella discussione, agli strumenti di supporto al controllo e al

monitoraggio, per i quali è stata condotta una analisi preliminare molto dettagliata.

Chiudiamo il capitolo affrontando gli aspetti di processo della nuova organizzazione, con

particolare riferimento alla funzione di Internal Audit, in riferimento alla quale ne

descriviamo gli impatti organizzativi, e descrivendo gli strumenti informatici di supporto

richiesti per ciascuna fase del processo di Internal Audit.

Una breve panoramica dello stato attuale del sistema di controllo interno e delle

prospettive future chiude il capitolo.

3.1 GRC: Governance, Risk Management and Compliance

Uno dei criteri cardine della governance di una azienda, e questo è tanto più vero nel caso

di aziende di grandi dimensioni, gruppi industriali e multinazionali, è che il Consiglio di

Amministrazione sia consapevole della natura dei rischi che possono frapporsi al

raggiungimento degli obiettivi aziendali e abbia predisposto la messa in campo delle azioni

necessarie atte a mitigarli.

Compito del Consiglio di Amministrazione è di indirizzare la governance dell’azienda,

secondo una visione strategica: esistono molti modi di qualificare il termine “governance”,

uno dei quali, interessante ai fini della discussione che segue, è di intendere questa parola

come sinonimo di “ripartizione e allocazione del potere decisionale fra Consiglio di

Amministrazione, Management e shareholders”58, sebbene principalmente si intenda con

“governance” le azioni intraprese dal management nel dirigere una società.

In quanto tale la governance non può prescindere dall’analisi e gestione dei rischi, né dalla

conoscenza e ottemperanza delle regole interne ed esterne: l’integrazione di queste tre

dimensioni nella conduzione del business aziendale corrisponde al GRC.

Un elemento cruciale del GRC è la cultura aziendale, compreso il “tone of the top” che

abbiamo menzionato nel §2.12.1 a proposito dell’implementazione del COSO III presso FCA.

Ma la cultura aziendale è definita e implementata anche dalla convinta condivisione dei

valori aziendali, come il codice etico, che rendono l’azienda non semplicemente un insieme di

58 Cfr. Steinberg (2011), p. 2.

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persone con interessi diversi, ma una comunità che viaggia nella stessa direzione al fine di

raggiungere gli obiettivi di business.

Infatti oltre alla definizione e alla comprensione delle soglie di rischio dell’azienda, con la

conseguente necessità di gestirle, una sempre maggiore assunzione di responsabilità e

trasparenza è richiesta ai dirigenti e al Consiglio di Amministrazione sia dai clienti che dagli

attori istituzionali che stabiliscono regolamenti e policy.

I costi per il mantenimento di una buona reputazione e della compliance con tutte le

regole cui l’azienda è soggetta sono ovviamente importanti, e questi costi crescono quando le

risorse messe a disposizione per la “struttura” aziendale, al di là delle unità produttive,

tendono a diminuire.

Il costo stimato negli Stati Uniti speso dalle aziende in GRC è di circa trenta miliardi di

dollari (dati del 201059), investimenti più che costi, legati alle nuove priorità di budget,

focalizzate sia sull’operational risk management che sull’enterprise risk management; le

aziende sono sempre più consapevoli che focalizzare tempo, denaro e risorse sul GRC è ormai

una necessità.

Va precisato che il GRC non è una disciplina specifica o una pratica ben definita, piuttosto

costituisce il tentativo di sviluppare un approccio integrato e unificato a diverse attività ed

eventi gestionali all’interno dell’azienda, come ad esempio60:

risk management

policy management

compliance management

business continuity management

asset management

audit management

threat management

incident/event management

vendor management.

Naturalmente istanziare un processo integrato di questo tipo, specie in realtà molto

complesse, è impresa sfidante e richiede tempi lunghi, il cui successo non è assicurato.

Tuttavia è fondamentale per una strategia lungimirante che aspiri a rendere l’azienda un

59 Cfr. Hagerty, Kraus (2009).

60 Cfr. Beck, Teller-Kanzler (2009).

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organismo che opera in realtà complesse, muovendosi in modo armonioso e non

semplicemente un insieme di moduli ciascuno con le sue funzioni specifiche.

Va tuttavia rilevato come gli oneri e i costi, specialmente quelli iniziali, del GRC siano

tali che solo poche grandi aziende hanno creato questa struttura, fra queste aziende figura

FCA61.

Una volta consolidata la cultura aziendale necessaria, e quindi fatta la scelta

dell’investimento nel GRC, l’aspetto fondamentale sul quale focalizzarsi è il rischio

operazionale, cioè il rischio di perdite, dirette o indirette, risultanti da processi interni,

personale e tecnologie non efficaci o inadeguati, ovvero da eventi esterni: come sappiamo,

accanto al rischio di credito e al rischio di mercato, il rischio operazionale costituisce il

fondamento dell’enterprise risk management.

Anche se la declinazione di un GRC è specifica della realtà aziendale in quanto deve

tenere conto di molte variabili e di numerosi aspetti dell’impresa nella quale viene applicato, è

possibile stabilire alcuni capisaldi nella progettazione e realizzazione di un modello GRC

efficace, fra i quali:

Identificazione, classificazione e accountability per i rischi;

Applicare i concetti dell’ERM (non necessariamente del framework ERM del COSO

ma comunque ispirati alle metodologie e alle prescrizioni di questo);

Consolidare e mantenere l’insieme delle policy, interne ed esterne, che l’azienda deve

rispettare e farle proprie, a livello di bagaglio culturale e di comportamenti quotidiani;

Approccio integrato alla governance, al rischio e alla compliance;

Operational risk management.

Un modello efficace di GRC coinvolge necessariamente l’organizzazione aziendale, il

personale, la tecnologia e i processi, connettendo questi quattro asset fra loro secondo lo

schema che sintetizziamo nella figura seguente, ispirata al business model per la sicurezza

delle informazioni dell’ISACA62.

61 Ispirata a Beck, Teller-Kanzler (2009).

62 Cfr. ISACA (2009).

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L’interazione fra le realtà aziendali evidenziate nella figura come i nodi del grafo tramite

le frecce, che rappresentano i fattori di connessione, viene promossa, sistematizzata e resa

operante in modo continuativo dal GRC.

La realizzazione effettiva di un GRC che consenta tutto questo passa chiaramente per un

processo di definizione, messa a punto e monitoraggio continuo: in particolare i controlli,

utilizzati nell’identificazione dei rischi, sono una parte importante di questo processo, anche

se non costituiscono eventi indipendenti e statici: piuttosto i controlli sono spesso fra loro

correlati, sia nell’impatto che nelle relazioni di dipendenza reciproca.

Il modello COSO, nelle sue varie fasi evolutive, rappresenta un framework standard per

poter realizzare l’implementazione dei controlli in modo integrato rispetto allo schema che

stiamo discutendo, e non a caso nella realtà FCA sulla quale ci concentriamo nel prosieguo di

questo capitolo dopo queste premesse introduttive, è proprio attraverso il mantenimento di

questo framework, nelle sue diverse versioni pre-esistenti che è stato realizzato il GRC.

Un altro aspetto fondamentale nel GRC, sul quale FCA ha posto l’accento, è il ruolo

dell’ingegnerizzazione e delle tecnologie da utilizzare.

L’ingegnerizzazione e l’utilizzo di tecnologie nelle attività di GRC da parte di una realtà

aziendale consentono di contenere i costi dovuti all’effort manuale, principalmente costi di

risorse umane ma anche di tempo e schedulazione, rafforzando l’affidabilità dei risultati

“EMERGENCE” SUPPORTO

ORGANIZZAZIONE

PERSONALE

PROCESSI

TECNOLOGIE

CULTURA

FATTORI UMANI

INFRASTRUTTURE

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grazie alla loro maggiore riproducibilità (e quindi facilità nel riscontrare anomalie ed errori) e

in parte riducendo il rischio dovuto all’errore umano, anche non doloso.

L’ingegnerizzazione non si deve limitare ai singoli strumenti, ma al processo stesso il cui

flusso, se correttamente digitalizzato, può essere parzialmente gestito dagli strumenti

tecnologici.

Possiamo citare, per esempio, piattaforme web (nel senso che comunicano tramite la

Intranet aziendale) che offrono dei front-end di analisi per i back-end di memorizzazione dei

dati, come per esempio le Business Intelligence (BI) costruite sopra i datawarehouse, o anche

notifiche e alert automatizzati, invio di e-mail in automatico a fronte del verificarsi di

determinati eventi, notifiche push etc. Tutto questo è in grado di migliorare la qualità dei

risultati e rendere il processo più snello e meno prono a errori.

Vedremo nella specifica realtà di FCA come il ruolo dei sistemi IT centralizzati sia stato

focale rispetto alla realizzazione del progetto di GRC.

3.2 L’implementazione della fusione dei processi di controllo interno di

Fiat e Chrysler in FCA

La fusione di due grandi aziende, ciascuna ramificata in più settori e con presenze in

luoghi geografici anche molto distanti, è chiaramente una impresa di portata notevole: le

fusioni sono sempre dettate da obiettivi strategici finalizzati al business, per esempio

l’aggressione di nuovi segmenti di mercato o l’ampliamento su nuove aree di business.

Spesso, a fronte di questi obiettivi primari, le fusioni comportano una serie di

conseguenze magari prevedibili, ma che non costituivano il motivo primario della fusione: per

esempio Fiat e Chrysler si sono fuse per mettere a fattor comune le linee di produzione e i

diversi target di clientela delle rispettive aziende, non per unificare i sistemi di controllo

interno, sebbene questa sia stata una necessità derivata dalla scelta della fusione.

Obiettivo di questo terzo capitolo è descrivere il progetto di fusione fra i sistemi e le

metodologie di controllo interno, nonché gli strumenti IT a supporto, utilizzando il materiale

interno messo a disposizione da FCA durante lo stage.

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3.2.1 La pianificazione del processo di convergenza dei sistemi di controllo

interni di Fiat e Chrysler

La pianificazione e la progettazione dell’unificazione delle strutture di controllo interno e

di auditing di Fiat e Chrysler, nel nuovo assetto aziendale di FCA, sono state avviate nel

2012, sebbene, a livello di top management fosse chiaro ancor prima che con la fusione

un’integrazione dei due sistemi di controllo sarebbe stata inevitabile.

Macroscopicamente, come affermato nella documentazione di alto livello riguardante il

progetto di integrazione63, i prerequisiti imprescindibili nel disegno della soluzione sono stati:

Aderenza completa al modello ERM;

Focus sulla compliance alle normative italiana (Legge 262/05) e statunitense (SOX

404) per quanto riguarda l’ICFR;

Internal audit risk assessment finalizzato alla definizione dei piani annuali di audit.

Questi tre pilastri sono stati considerati fin dall’inizio il fondamento attorno al quale

costruire la soluzione “to be” dell’Integrated Risk Assessment: quest’ultimo doveva

chiaramente rispecchiare l’organizzazione del Gruppo, sia a livello “fisico”

(regionale/settoriale, etc.) che logico (aree di business, etc.), secondo il seguente schema

gerarchico64

63 Fiat Chrysler Convergence Project ICFR/SOX/ERM. Integrated risk assessment:main functionalities of the

process. April 2012.

64 Cfr. Ibidem.

Region/Sector/etc

(1° level of GEC) Legal Entity

Business Area (2° level of GEC)

Legal Entity Business Area

Legal Entity Sub-Business

Area

Group

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A fronte di questo modello di organizzazione dei dati, si lasciava completa libertà

all’utilizzo degli stessi fattori di rischio sia da parte dell’ERM, che dell’ICFR e del risk

assessment dell’internal audit, secondo una modalità di supporto sia top-down (per esempio

attuata a livello regionale) che bottom-up (per esempio attuata a livello di entità legale/sotto

area di business).

Pertanto la preoccupazione principale era garantire la possibilità di gestire la complessità

dei singoli livelli gerarchici in maniera sostanzialmente indipendente, ottenendo quindi un

risk assessment ai diversi livelli della struttura organizzativa, e di dare continuità a questa

azione con valutazioni periodiche del rischio basate sulle risultanze dei test e degli audit.

Questa pervasività dell’attività di analisi dei rischi comportava la necessità di valutazioni

multiple dello stesso fattore di rischio, svolte da persone e dipartimenti diversi, con la

necessità anche di fornire diversi “risk scoring” per ciascuna unità di risk assessment (internal

audit e ICFR) tramite la combinazione delle valutazioni dei singoli fattori di rischio, con la

conseguente gestione della sintesi di questi risultati.

Un’analisi di questo tipo si presta a metodologie flessibili e proattive, come la “what-if”

analysis, al fine di modellare i diversi scenari scaturiti dalla diversa attribuzione di peso ai

singoli rischi, ma pone anche problemi di sicurezza e correttezza dell’informazione, legati alla

segregazione degli accessi e delle autorizzazioni sulla base delle diverse unità organizzative di

appartenenza (regione, paese, processo di business, etc.).

Naturalmente l’enfasi principale era posta sul tema della reportistica finanziaria, per la

quale si era stabilita di continuare a osservare le prescrizioni del modello COSO, in modo da

poter attuare una valutazione dei rischi contabili ai fini della compliance alle normative

vigenti.

Infine i requisiti espliciti della funzionalità di risk assessment erano considerati la

realizzazione di un workflow “user-friendly” per la comunicazione fra i diversi attori (per

esempio tramite lo scambio di e-mail invece che di canali più formali) e la valutazione dei

rischi tanto quantitativi quanto qualitativi.

Stanti questi requisiti, era prevista l’erogazione di una reportistica che fosse in grado di

fornire diversi punti di vista a partire da una stessa analisi (quello dell’internal audit, quello

dell’ICFR, quello dei risk owner, etc.), fornendo report specifici per i diversi livelli e

responsabilità organizzative.

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Dal punto di vista metodologico, oltre all’ovvia necessità di fornire dati confrontabili dal

punto di vista temporale per poter operare raffronti e individuare trend, questa reportistica

doveva essere facilmente fruibile sugli usuali strumenti di ingegnerizzazione d’ufficio e

tramite dashboard web-based, corredati da grafici ed elementi visuali in grado di attrarre

rapidamente l’attenzione su dati critici e su indicatori di monitoraggio particolarmente

significativi.

Nelle strutture esistenti un consistente overlap di attività e impegno manageriale poteva

essere ridotto nel nuovo sistema integrato: in particolare sia ERM, sia ICFR che Internal

Audit dovevano migliorare il proprio modello di valutazione, quantitativo e qualitativo, dei

fattori di rischio in modo da facilitarne la sintesi nel nuovo sistema integrato.

Ciò che in sostanza si chiedeva al nuovo sistema era quindi di filtrare le diverse istanze

delle valutazioni dei rischi di queste tre entità e sintetizzarle in due categorie, fattori

qualitativi e fattori quantitativi, secondo lo schema illustrato nella figura seguente65:

65 Cfr. Ibidem.

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Si noti come i fattori di rischio siano stati mappati in modo integrato sulle due categorie di

fattori di rischio contemplate dal sistema integrato.

A questa integrazione organizzativa continua a corrispondere una struttura che consente ai

fattori di rischio sia quantitativi sia qualitativi di essere analizzati e raccolti nelle unità

organizzative più appropriate (gruppo, regione/settore/etc., legal entity, business area, etc.).

Come parte del processo di valutazione dei rischi, viene svolta anche una “analisi di

ambito” per quanto concerne ICFR/SOX: tale analisi utilizza i fattori di rischio individuati per

poter valutare in modo corretto il contenuto dei report economico-finanziari.

85 ERM business/strategic

risk factors

Accounts

Previous test results

Judgments and

estimates

Previous year ICFR deficiencies

Headcount

Materiality

Organizational changes

ICT application risks

24 factors included in the 1° legal entity

ICFR questionnaire

factors included in the 2° legal entity

ICFR

other factors

IA valuations - audit opinion and last

Fraud risk - Fraudolent Financial Statement

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Analogamente, l’Internal Audit nello svolgere le proprie attività dispone di strumenti in

grado di organizzare le evidenze, ottenute dalle entità legali e dalle aree di business, secondo

un modello che tenga conto della valutazione dei rischi.

3.2.2 I modelli alla base della nuova struttura organizzativa

Per realizzare il progetto di integrazione di un modello unificato di GRC fra Fiat e

Chrysler è stato necessario costituire questo modello su una struttura organizzativa, di

processo e di rischio (con particolare riferimento all’elenco dei rischi) orientate

all’unificazione dei modelli di dati66 esistenti.

Particolare enfasi è stata posta sugli strumenti di ingegnerizzazione ed informatici e sulle

tecnologie innovative in tema di infrastruttura IT a supporto: in particolare, stimata la non

adeguatezza del precedente strumento informatico a disposizione di Chrysler, una software

selection è stata condotta, nel 2012, in merito alla scelta del software di GRC più adeguato per

la nuova organizzazione che si andava delineando.

Allo scopo, una “Request for Quotation” (RFQ) fu richiesta a quattro fornitori individuati

fra i leader nel settore dei prodotti e framework informatici dedicati al GRC67: tre di questi

risposero alla richiesta con un’offerta, due della quale risultarono maggiormente in linea con i

requisiti funzionali richiesti nella RFQ.

La scelta fu quindi condotta fra due soluzioni tecnologicamente avanzate ed entrambe in

grado di soddisfare i requisiti richiesti: la scelta definitiva fu dettata in parte da criteri

economici, in parte da criteri tecnologici.

Il fornitore che risultò assegnatario della commessa di sviluppo del framework GRC

propose una soluzione facile da usare e più economica, sebbene l’altra fosse più

funzionalmente aderente ai requisiti proposti: tuttavia la soluzione poi scelta propose una sua

seconda release che avrebbe fornito una versione maggiormente integrata e completa, in linea

con i requisiti funzionali espressi da FCA.

Questo processo di analisi è stato cruciale in merito alla progettazione e realizzazione del

nuovo modello di GRC, il cui obiettivo era di sviluppare un framework comune e una

soluzione integrata di ICFR/SOX, Audit ed ERM, proprio per offrire uno strumento di

66 Fiat Chrysler Convergence Project ICFR/SOX/ERM. GRC Steering Committee, December 2012.

67 Su richiesta del management FCA non diamo disclosure delle aziende coinvolte nella RFQ, né menzioniamo

esplicitamente l’azienda scelta: questa informazione non è peraltro rilevante ai fini della nostra analisi.

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gestione delle correlazioni fra rischi strategici, di business e contabili rispetto ai report

finanziari interni ed esterni.

Quale che fosse il modello proposto, e la soluzione informatica di supporto, questi

avrebbero dovuto fondare la loro azione su quattro pilastri68:

La progettazione e l’adozione di un modello di processi comune: questa fase è stata la

prima a essere completata, con un allineamento dei processi di Fiat e Chrysler in

pratica completato già nel 2012, una convergenza con i processi IT, basati sul modello

Cobit, e una analisi dei processi non strettamente collegati all’ICFR, come per

esempio il marketing, il manufacturing, etc. A seguire sarebbe stato necessario:

o Collegare i processi ai vari livelli della struttura organizzativa;

o Collegare i processi principali alla reportistica finanziaria;

o Calibrare la struttura dei processi sulla base delle evidenze contabili esistenti;

o Pianificare dei progetti pilota di mapping dei processi da parte dell’Internal

Audit di Fiat.

Un modello di rischio che offrisse una classificazione integrata dei rischi, per poterli

gestire rispetto alle varie aree di impatto dei rischi stessi (strategica, operativa, di

conformità e di report finanziario) nei vari livelli dell’organizzazione.

Per realizzare questo modello, è stato necessario:

o Tenere conto delle metodologie di rischio usate in Chrysler;

o Razionalizzare e allineare il portafoglio dei rischi (in merito a ICFR/SOX) fra

Fiat e Chrysler;

o Condurre una analisi di ICFR risk assessment da parte di Fiat;

o Definire i rischi operativi riferiti ai processi identificati nel modello, come

necessario per le attività dell’Audit, attività per la quale Fiat si è avvalsa di una

società di consulenza.

A fronte di tutto questo, il modello dei rischi è stato poi implementato sulla base

della classificazione ERM, in sinergia anche con i rischi operazionali e di

reporting finanziario. Inoltre i rischi operazionali sono stati validati per ciascun

processo di una certa importanza.

68 Fiat Chrysler Convergence Project ICFR/SOX/ERM. GRC Steering Committee, December 2012.

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Un modello di controllo comune associato alle specifiche entità di controllo: questo è

stato sostanzialmente ottenuto attraverso la definizione di una mappatura e

aggiornamento dei controlli rispetto ai rischi identificati.

Un modello organizzativo per gestire sia dal punto di vista legale che manageriale le

diverse attività facenti capo a ERM, ICFR/SOX e Internal Audit: sotto questo punto di

vista, l’esigenza principale che si è manifestata da subito è stata quella di aggiornare la

struttura organizzativa di Chrysler per poterla allineare con quella di Fiat, già declinata

a livello di regione/settore produttivo.

La coesistenza e integrazione di questi quattro modelli consiste essenzialmente nel

modello dati alla base dei requisiti per il software di GRC e per il processo stesso di GRC.

Le principali correlazioni fra questi modelli e il loro intervento a livello di strutture

organizzative coinvolte nel GRC sono illustrate nella figura seguente69:

Questo stream di progetto concernente il modello dati è stato portato avanti in parallelo ad

altri stream relativi a:

69 Fiat Chrysler Convergence Project ICFR/SOX/ERM. GRC Steering Committee, December 2012.

Account

Process

Gruppo

Region/Sector/etc

(1° level of GEC)

Legal Entity

GEC

Business

function Legal Entity

business

function

Legal Entity

Division

Legal Entity

sub-business

function

ICFR

Fiat Internal Audit

ERM

Risk

Control

necessario

opzionale

Attività:

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Valutazione integrata dei rischi: dopo la convergenza della metodologia di risk

assessment in merito a ICFR/SOX, seguita al confronto delle diverse metodologie, in

particolare al progetto pilota di Chrysler sull’ERM, nel 2013 è stata implementata

questa valutazione integrata con una progettazione di dettaglio del processo di

valutazione dei rischi (regole di calcolo, risk scoring automation, etc.) in modo da

preparare dei requisiti di configurazione per lo strumento software scelto (fine tuning

del framework).

Segregazione dei ruoli: il primo passo è stato l’allineamento fra le politiche di Fiat e

Chrysler in merito a questa tematica, con team integrati delle due aziende che hanno

valutato gli scostamenti in modo da identificare eventuali gap o inefficienze. Questa

analisi ha reso possibile una analisi comparativa dei conflitti in merito alla

segregazione dei ruoli e anche evidenziato una dettagliata gap analysis finalizzata alla

stesura di un documento unificato (matrice SOD relativa all’ICFR/SOX).

Scelta dell’infrastruttura software: abbiamo già evidenziato come le attività del 2012

si siano concentrate su una analisi decisionale orientata alla scelta del fornitore e del

prodotto da utilizzare per il modello unico di GRC. Va anche sottolineato come,

indipendentemente dal framework scelto, esistessero comunque scenari applicativi

diversi per l’installazione e l’uso di questi programmi:

o Architettura software basata sull’hosting interno, vale a dire il framework

viene installato all’interno dell’infrastruttura ICT di FCA.

o Architettura software basata sul cloud, SaaS (Software as a Service), in cui sia

il software che l’hardware necessario sono erogati dal fornitore.

Il primo scenario è stato ritenuto più conveniente, soprattutto in relazione alle sinergie

fra licenze e spese di implementazione e configurazione.

In particolare queste attività prevedevano l’identificazione di un risk assessment

framework comune sia a Fiat che a Chrysler, in merito al rischio ICFR/SOX per i report

finanziari, in modo da ottimizzare le sinergie con l’Internal Audit e la valutazione dei processi

secondo l’ERM.

3.2.3 Struttura progettuale del processo di convergenza

Data la complessità del processo di convergenza delle strutture di controllo interne di Fiat

e Chrysler dopo la fusione di queste due aziende, questo processo è stato gestito come un vero

e proprio progetto, con una sua pianificazione e delle risorse messe a sua disposizione.

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L’organismo cui è stata affidata la supervisione dell’intero progetto è stato lo Steering

Committee, composto da 12 persone, scelte fra Fiat e Chrysler, in rappresentanza di funzioni

distinte: di questi, cinque coppie (composte da una persona proveniente da Fiat e una da

Chrysler) provenienti rispettivamente dalle funzioni di: ICFR/SOX/ERM, Internal Audit, ICT,

Tesoreria, Area Legale, con l’aggiunta di un membro di Fiat Services e di un membro

dell’HR di Fiat/Chrysler.

Oltre a questo Steering Committee, e direttamente subordinato a questo, è stato designato

un “program leader” con la funzione di guida del progetto stesso, proveniente dall’Internal

Audit di Chrysler.

A queste strutture di supervisione è subordinata una struttura operativa, l’Operating

Committee, così composto70:

Tre persone provenienti dal mondo ICFR/ERM (uno di Fiat, due di Chrysler);

Quattro persone provenienti dal mondo ICT (tre da Fiat, uno da Chrysler);

Due persone della Tesoreria (uno da Fiat, uno da Chrysler);

Due persone dell’area legale (uno da Fiat, uno da Chrysler);

Cinque persone provenienti dall’ Internal Audit di Fiat (due) e di Chrysler (tre);

Una persona dalla contabilità Fiat;

Una persona da Fiat Services.

Questo comitato operativo assolve sostanzialmente le funzioni di team leadership nei

confronti dei team operativi messi a disposizione.

I team operativi sono composti per aree funzionali: uno per ICFR, uno per ERM, uno per

l’Internal Audit, formati da persone provenienti da Fiat, e supportati da un team ICT; un team

per SOX, uno per ERM, uno per l’Internal Audit e un team per la tesoreria, formati da

persone provenienti da Chrysler, e supportati da un team ICT.

Oltre a questi sono stati costituiti un team di persone HR e un team di persone di area

legale, bilanciati nella provenienza fra Fiat e Chrysler, e i team regionali e settoriali, ai quali

parteciparono anche risorse provenienti da società del gruppo, come Magneti Marelli, Ferrari,

Teksid, etc.

70 Fiat Chrysler Convergence Project ICFR/SOX/ERM. GRC Steering Committee, December 2012.

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Questo “organigramma di progetto” riflette la complessità e la molteplicità strutturale del

gruppo, e corrisponde sostanzialmente a una divisione fra parte manageriale e parte operativa:

quest’ultima ha avuto il compito vero e proprio di predisporre la progettazione funzionale e

tecnica del processo di convergenza, cioè di disegnare il nuovo sistema di controllo interno a

partire dai due esistenti, tenendo conto delle esigenze della nuova entità FCA, mantenendo

quanto poteva contribuire a portare valore nella nuova struttura.

Questa progettazione tecnica e funzionale ha utilizzato un modello di dati come linea

guida, modello che è stato definito parallelamente alla progettazione: una volta terminata

questa progettazione, e completamente definito il modello, questi sono stati implementati

nelle realtà operative regionali e settoriali.

Le attività di progettazione tecnica e funzionale possono essere ricondotte alle seguenti

fasi progettuali71 che, come si vede, corrispondono in parte alle fasi tipiche del ciclo di vita di

un progetto:

Definizione dei requisiti funzionali

Definizione dei requisiti tecnici

Riesame delle funzionalità del sistema

Sviluppo della conoscenza degli strumenti sugli oggetti principali e le regole di

integrazione del sistema

Progettazione dei report principali

Riesame e validazione dei processi di business

Identificazione degli utenti chiave per degli “user acceptance test” anticipati (ossia una

fase di verifica dello sviluppo software in cui l'utente finale valida la corrispondenza

con i requisiti inizialmente espressi)

Identificazione e gestione di eventuali gap e problematiche sollevate dai test.

A queste attività di progettazione funzionale corrispondono, in parallelo, le attività di

definizione del modello dati, che pure possiamo enumerare come segue:

Identificazione degli oggetti fondamentali del modello

Predisposizione delle regole di calcolo del sistema

Predisposizione dell’interazione e l’integrazione degli oggetti

Definizione della struttura organizzativa

71 Fiat Chrysler Convergence Project ICFR/SOX/ERM. GRC Steering Committee, December 2012.

.

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Definizione del catalogo dei rischi

Definizione del modello di processo

Definizione delle strutture di controllo

Definizione della logica di processo

Definizione della reportistica integrata

Definizione delle regole di migrazione dei dati

Definizione dei test.

Queste attività di data modeling sono svolte dai team composti da personale proveniente

dall’ Internal Audit, dall’ICFR/ER e dall’ICT.

I team di lavoro localizzati nelle aree regionali e settoriali del gruppo cooperano nello

svolgimento delle attività operative che possiamo sintetizzare come:

Acquisire nuovi framework di rischio

Implementare i modelli di processo

Implementare le connessioni fra rischi, controlli e processi come ridefiniti nel modello

stesso

Acquisire nuovi strumenti di conoscenza e trasmetterli nelle varie realtà locali

Assicurare una appropriata connessione e comunicazione fra i team locali e il comitato

operativo

Supportare gli “user acceptance test” a livello locale.

A valle di queste attività, il comitato operativo di cui sopra descritto svolge il ruolo di

supervisione e validazione attraverso le seguenti attività:

Definizione di nuovi framework di rischio

Definizione delle principali connessioni fra gli elementi del modello dati

Validazione della modellazione dei dati

Validazione della progettazione funzionale e tecnica

Guida delle aree regionali e settoriali nella implementazione del nuovo framework.

Come si vede da questa descrizione, il processo di convergenza e il suo governo sono

centrati attorno all’uso dello strumento informatico, non a caso componenti del mondo IT

sono coinvolti in modo trasversale nelle varie attività che abbiamo elencato.

Nel prossimo paragrafo descriviamo più dettagliatamente la struttura della componente IT

del processo di convergenza basata sul prodotto scelto.

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3.3 Il progetto di convergenza verso una infrastruttura IT unificata a

supporto del controllo interno di FCA

Nel 2012 il gruppo Fiat/Chrysler ha individuato il fornitore e la piattaforma informatica da

questo proposta per la realizzazione dell’infrastruttura a supporto del GRC.

La struttura di base di questa piattaforma è uno dei punti di forza che, assieme alla

maggiore economicità rispetto ad altre proposte, ha portato alla sua scelta ed è inoltre

altamente modulare: questo vuol dire che l’architettura informatica del prodotto è concepita in

modo da poterlo estendere ed integrare facilmente.

Questa caratteristica è fondamentale dato il livello di complessità del processo di

convergenza e della soluzione GRC “to be” che ne costituisce il target.

Il prodotto è in grado di supportare gli standard più affermati in materia di controllo

interno, come il framework COSO-ERM, l’AS/NZ 4360 (relativo al risk management), le ISO

31000 e ISO 27000 (che si riferiscono rispettivamente al risk management e al mondo IT).

Nello specifico l’approccio del prodotto integra le seguenti aree di controllo:

Report finanziario (controllo interno)

Conformità (legislazione e policy)

Risk management operativo

Risk management strategico

Board & Entity management

Risk management IT

Process management e modeling.

Il sistema costruisce la Business Intelligence (BI) orientata al GRC come culmine di una

piramide che ha alla sua base il process management, per poi salire con la compliance e il risk

management, secondo lo schema illustrato nella figura seguente:

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Partendo dalla gestione dei processi si implementa un monitoraggio continuo della

conformità alle policy e alle regole del sistema, e sulla base di questi presupposti si può

svolgere l’analisi dei rischi, la valutazione dei rischi e alimentare un database di lesson

learned relative ai danni causati da rischi non gestiti.

La caratteristica della soluzione è di potersi espandere, successivamente alla usa

implementazione iniziale, al fine di includere ulteriori funzionalità, rendendo però disponibile

fin dalla sua installazione inziale una gestione centralizzata sia dei dati che

dell’amministrazione del sistema.

3.3.1 Il prodotto IT: caratteristiche generali

A livello di risk management, oltre a supportare i vari standard sopracitati, l’infrastruttura

IT prescelta supporta la gestione del risk management a diversi livelli e in diversi modi.

Per prima cosa fornisce un supporto alla definizione del catalogo dei rischi, che può essere

standardizzato o anche decentralizzato, aiutando nella definizione delle categorie di rischio e

alla collocazione dei singoli rischi all’interno di aree di business dell’azienda.

A proposito dell’identificazione dei rischi, il sistema aiuta a classificarli non solo in

relazione agli obiettivi di business sui quali impattano, ma anche in relazione a processi, asset

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IT, ecc.. che può subire modifiche nel suo naturale ciclo di vita aziendale a seguito del

verificarsi di un particolare rischio.

L’analisi dei rischi viene condotta tramite lo strumento informatico, sulla base delle

potenziali perdite di dati, sulla base di contromisure già poste in essere e implementate, e sulla

base di scenari e indicatori di performance.

Ovviamente c’è la possibilità di classificare la probabilità e la severity di un rischio,

valutandola sulla base di una o più variabili distinte (dimensioni di rischio).

Gli amministratori del sistema possono configurare l’infrastruttura in modo da

amministrarne la misurazione e il monitoraggio continuo: report standard e dashboard che

illustrano i trend delle misure possono essere facilmente prodotti, così come i report per il

management.

Al censimento dei rischi si affianca quello della struttura organizzativa che ne

sovraintende la gestione: il sistema informatico consente di modellare al suo interno la

struttura organizzativa aziendale coinvolta nella reportistica sui rischi, in modo da erogare

report che siano adattati a questa struttura.

Il prodotto consente di configurare anche in corso d’opera la struttura organizzativa,

secondo uno schema gerarchico e funzionale capace di rappresentare l’organizzazione e i suoi

diversi livelli di intervento e accountability in merito all’analisi dei rischi: in particolare è

possibile specificare la gestione del rischio, all’interno del sistema, a livelli diversi.

Si può assegnare l’ownership del rischio sia a personale locale che corporate, ma anche

sulla base del contesto di business, specificando più dimensioni lungo le quali è possibile

intendere la natura del rischio o comunque un suo impatto: policy interne o esterne,

applicazioni informatiche o infrastrutture informatiche, processi o misure di controllo, etc.

Per esempio un rischio può essere categorizzato in una struttura gerarchica di classi di

rischio, o rispetto ai processi di business sui quali impatta: nella figura seguente si vedono

due finestre dell’applicativo che offrono questi due tipi di rappresentazione.

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I responsabili della gestione del singolo rischio possono accedere ai loro contenuti, a

seconda della loro profilazione nel sistema.

L’applicativo richiede la collaborazione di molti dipendenti per il censimento e il data

entry relativo al catalogo dei rischi: questi ultimi devono essere censiti e categorizzati, anche

in relazione all’impatto che possono generare sui processi, una attività che si basa sul risk

assessment normalmente svolto nei vari livelli aziendali, ma che richiede anche l’uso

dell’applicativo a livelli e contesti differenti sia in ambito di direzione che si sedi regionali.

Questa attività di data entry va governata, e l‘applicativo supporta questa governance

tramite un sistema di autorizzazioni, da concedere o meno ai dipendenti deputati al data entry

e tramite flussi di approvazione che garantiscano una facilità di accesso al database per

alimentarlo, mantenendo al contempo quelle misure e vincoli di sicurezza che servono, per

esempio, a prevenire l’inserimento di dati non autorizzati da manager responsabili del

processo o del rischio, etc.

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121

3.3.2 Il prodotto IT: gestione e tracciatura dei dati

Il sistema offre la possibilità di tracciare attività di ogni tipo, incluse quelle

amministrative, di gestione di credenziali e autorizzazioni etc., in modo da consentire una

ricostruzione puntuale del processo di definizione e gestione del rischio.

La raccolta di informazioni sui rischi che possono impattare i diversi processi di business,

avviene anche attraverso dei questionari online, compilati dalle persone coinvolte nei processi

(i responsabili in primis) per poter fornire un quadro preciso delle tipologie di rischio che

possono manifestarsi in una determinata area di business.

Vi è anche la possibilità di raccogliere informazioni da report emessi dagli owner dei rischi

locali.

Grazie a questo modo di raccogliere le informazioni, si può rappresentare all’interno

dell’applicativo un quadro preciso delle diverse tipologie di rischio.

Un’altra caratteristica del prodotto informatico, per quanto riguarda la raccolta dei dati, è

la possibilità di importare dati sui rischi già raccolti ed elaborati con altri strumenti, nonché la

centralizzazione di documenti preesistenti: l’applicativo ha al suo interno un sistema di

gestione documentale.

Oltre al supporto nella fase di raccolta dati, che confluiscono all’interno del suo database,

l’applicazione offre anche supporto all’analisi dei rischi sulla base delle informazioni raccolte.

In particolare, l’integrazione e la centralizzazione dei repository dei rischi in un unico

framework di controllo consente di far emergere ed approfondire le correlazioni fra i singoli

obiettivi di business e le classi di rischio specifiche.

Inoltre la storicizzazione nel database degli “incident” e delle perdite derivanti dalla

ricorrenza di un evento rischioso, permette l’individuazione dei punti deboli nei processi e nei

meccanismi di controllo, e consente al risk management di analizzare in modo quantitativo gli

eventi che in passato hanno portato a perdite, identificando così le cause e le possibili

conseguenze finanziarie dei rischi nei vari settori di business.

Le caratteristiche di integrazione e centralizzazione dei dati che il prodotto informatico

offre, hanno come conseguenza a livello di software la presenza di una unica tecnologia

integrata di business intelligence per la reportistica, consentendo non solo di rappresentare le

performance dei processi e gli indicatori di rischio in tempo reale, ma anche di includere dati

caricati da fonti esterne.

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In questo modo il dashboard ERM offre la possibilità di individuare preventivamente i

punti deboli, monitorandoli sulla base delle evidenze raccolte.

In particolare la “ETL” (Extract, Transform and Load), un metodo standard di scambio

informazioni nei prodotti basati su datawarehouse e business intelligence, consente di caricare

dati dalle applicazioni tipicamente diffuse a livello gestionale nelle organizzazioni industriali

per il controllo amministrativo ed operativo, come per esempio i sistemi SAP e Oracle.

La reportistica per il risk management offre la possibilità di svolgere vere e proprie analisi

interattive degli scenari, a supporto dell’analisi dei trend delle perdite occorse in passato e

quindi in vista della valutazione dei rischi, nonché la formulazione e simulazione degli scenari

di rischio futuri.

Un portfolio di report standard consente di fare questo, offrendo uno strumento per il

monitoraggio di singole classi di rischio rispetto ai dati storici raccolti nel corso del tempo,

inoltre vi è la possibilità di definire report ad hoc per soddisfare richieste specifiche.

La risk management solution del prodotto informatico assicura che i report e le

informazioni di maggior rilievo siano fornite in tempo utile a tutte le unità di business

secondo le loro necessità.

Per quanto riguarda l’analisi dei rischi, l’applicativo consente di definire questionari da

somministrare via Web per la raccolta di informazioni importanti, ad esempio rispetto a rischi

reputazionali, finanziari o legali.

Sulla base di queste informazioni il sistema supporta la presa di decisioni riguardanti il

controllo dei rischi, la misurazione degli indicatori, la pianificazione e categorizzazione dei

rischi: l’analisi e la valutazione del rischio viene effettuata dagli addetti ad utilizzare il

sistema, ma semplificata dalla disponibilità di informazioni che il sistema stesso consente di

raccogliere e visualizzare a seconda delle necessità.

In particolare, i risk manager responsabili della valutazione dei rischi potranno redigere

dei draft delle loro analisi da sottoporre alla valutazione di altri manager in modo da poter

ottenere feedback utili al consolidamento della loro analisi, il tutto in modalità web-based

ossia utilizzando un qualsiasi browser per la navigazione nella intranet aziendale.

I risultati degli assessment vengono poi centralizzati nel database del prodotto e

storicizzati in modo da poter essere utilizzati per comparazioni e lesson learned, l’obiettivo

del sistema è quindi di accentrare le informazioni consentendo di memorizzarle in modo

sicuro sia rispetto alla loro conservazione (backup, etc.) che alla loro riservatezza, in quanto le

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operazioni di modifica dei dati nel database sono soggette ad autorizzazione di accesso al

database medesimo e completamente tracciate.

3.3.3 Il prodotto IT: supporto all’operatività nei controlli

Dal punto di vista delle azioni da intraprendere per mitigare un rischio il prodotto

informatico suggerisce un “action plan”: ossia un insieme di attività da svolgere al fine di

gestire, vale a dire accettare, evitare, trasferire o ridurne l’impatto (sulla base di quanto

abbiamo avuto modo di trattare nei capitoli precedenti a proposito della metodologia ERM).

In ciascun caso la piattaforma informatica consente di attivare un processo di “issue and

remediation management” come segue:

1. Creazione di una “issue” da parte di un operatore all’interno del sistema

2. Validazione della issue da parte di un responsabile

3. Predisposizione di un “action plan” per gestire la issue: questo avviene con il

contributo congiunto del creatore e del validatore

4. Implementazione dell’action plan: onere dell’operatore

5. Approvazione dell’action plan da parte del validatore

6. Controllo della esecuzione del action plan da parte del validatore (le attività

dell’operatore sono tracciate nel sistema e in questo modo il validatore può seguirle)

7. Chiusura della issue da parte del validatore.

Questo processo può essere collocato in qualsiasi livello del framework e costituisce

quindi un meccanismo generale applicabile in vari ambiti, e che è in grado di utilizzare dati da

vari contesti.

Usando questo meccanismo, gli owner dei rischi, che hanno l’onere di intervenire per

gestire il rischio, possono avere accesso ai punti deboli del loro processo di gestione in

maniera tempestiva, senza la necessità di ricercare nell’intero framework: ovviamente, se i

dati associati a una issue sono difficili da reperire la piattaforma informatica si avvale di un

action plan.

La possibilità per un “validatore”, tipicamente un risk owner, di delegare ad altri la

gestione di una issue rende flessibile la gestione, consentendo di concentrarsi sui rischi di

maggior rilievo e propagando la gestione verso il basso se ritenuto appropriato ed opportuno.

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Dal punto di vista più ampio del processo di controllo interno, il prodotto informatico

offre parimenti un supporto esplicito “end-to-end”, cioè dal principio alla fine del processo,

accompagnando nel loro lavoro gli attori che vi partecipano e concorrono.

In questo caso le fasi principali del ciclo di vita di un controllo interno sono schematizzate

dal prodotto informatico in un processo che assume la forma illustrata nella figura seguente:

Questo processo si compone delle seguenti fasi:

1. Analisi dell’ambito basata sui rischi: questo primo passo è necessario per analizzare il

lavoro, svolto in modo tale da eliminare eventuali attività di documentazione e test

superflue dal momento che esulano dall’ambito del rischio.

2. Una volta chiarito l’ambito, si procede alla raccolta e produzione della

documentazione rilevante, in modo da evidenziare i processi di business e i rischi

legati allo specifico controllo interno: in particolare, i rischi sono documentati assieme

alle misure e ai controlli operativi volti a mitigarli.

3. Le fasi di test che seguono questa attività di raccolta e produzione di varia

documentazione vengono supportate dal sistema, e riguardano da un lato la verifica e

validazione della struttura del controllo, e dall’altro la sua efficacia operativa: questi

controlli sono svolti nel livello di dettaglio desiderato e con la regolarità voluta ed

inoltre i test di efficacia dei controlli chiave possono essere automatizzati, ovvero

svolti manualmente.

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4. Terminati i test, una fase di remediation, che si avvale dell’issue management

disponibile nel sistema (per esempio attraverso il meccanismo di action planning),

consente una eventuale revisione e modifica della documentazione e dei test per

eliminare le issue.

Una caratteristica particolarmente interessante e utile di questo processo informatico è la

possibilità di raccogliere le evidenze in maniera automatica: questo significa che tutte le

informazioni di maggior rilievo e i possibili controlli sono elencati in un report che viene

aggiunto in automatico ai test di controllo dell’applicativo.

Chi svolge il test ha quindi l’onere di confermare i risultati del test e può direttamente

passare all’action plan in caso di fallimento dei controlli: una volta chiuso l’action plan il

sistema svolgerà di nuovo in automatico un test per verificare l’efficacia delle modifiche

apportate.

3.3.4 Il prodotto IT: supporto nei monitoraggi

L’infrastruttura informatica offre numerosi report già predisposti al fine di essere utilizzati

per l’analisi e la misurazione degli indicatori di rischio: ad esempio alterazioni quantitative o

qualitative dei rischi o delle osservazioni dei rischi, action plan in corso e problemi delle unità

organizzative, test di controllo falliti, etc.

Questi report non solo consentono una rappresentazione grafica, oltre che analitica, di

queste misure e di questi fatti, ma consentono anche di potere in una certa misura consultare i

dati, come tipico degli strumenti di reportistica e di business intelligence: l’avere a

disposizione i dati nel database centralizzato e integrato con i vari moduli software

dell’applicativo consente di fare questo con estrema facilità.

Oltre alla reportistica è possibile eseguire dei test periodici sui controlli, per monitorare in

modalità continua gli insiemi di misure definite al fine di prevenire o ridurre l’evento

rischioso.

Al tempo stesso, i responsabili sono continuamente informati dalla loro “pagina

personale” di accesso al sistema sulle attività a loro carico.

Da queste pagine personalizzate, i responsabili tengono sotto controllo le attività di loro

competenza, e questo garantisce che la stima dei rischi a livello di gruppo è ben presidiata.

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A tal proposito è bene sottolineare che l’”identity e access management” degli utenti nei

confronti del sistema segue un flusso autorizzativo ben determinato, volto ad assicurare che

alterazioni significative del sistema non possano passare inosservate dal framework.

Oltre a questo, le attività di “scrittura” all’interno del sistema, come le modifiche alla

documentazione nel repository del framework, sono tracciate ed associate a chi ha svolto la

modifica, assicurando un sistema di “logging” disponibile per susseguenti indagini

conoscitive.

Nello svolgimento delle loro attività le pagine personali degli utenti del sistema li

supportano nell’esecuzione dei compiti loro assegnati all’interno del framework di controllo,

e nel rispetto delle linee guida e delle policy aziendali.

In questo senso, l’applicativo offre anche un vero e proprio portale dedicato agli operatori,

all’interno del quale possono reperire informazioni e svolgere le loro attività: queste sono

infatti elencate in modo ordinato e chiaro, consentendo anche una ricerca rapida di altre

informazioni. Inoltre, il sistema è integrato con la posta elettronica aziendale.

Infine, l’infrastruttura informatica mette a disposizione uno strumento a supporto

dell’Internal Audit, che recepisce il modello ERM.

Questa componente consente di pianificare gli audit per diverse entità di business, e

quindi di formulare un programma di audit gestito da un lead auditor: quest’ultimo pianifica

gli audit, alloca le proprie risorse su questi audit (gli auditor) assegnando a ciascuna di esse

uno o più audit.

Gli auditor possono rendicontare le ore spese su ciascuna attività di audit direttamente

dall’applicazione in modo che il lead auditor possa rivedere e approvare il loro lavoro svolto

sul campo: questa centralizzazione dei dati di audit consente di notare inefficienze e di

lanciare azioni di remediation durante gli audit stessi.

Come abbiamo più volte sottolineato, l’attività principale dell’Internal Audit è il risk

assessment dei processi di business annuale: questo assessment è basato su un piano di audit

annuale creato e gestito dal comitato di audit.

L’esecuzione di ciascun audit consiste in diversi passaggi che includono ricerche svolte

sul framework informatico, lavoro sul campo e reporting finale delle proprie risultanze ed

evidenze: queste ultime sono condivise con il business, e di conseguenza vengono proposte

delle raccomandazioni al business per il necessario follow-up.

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127

Nella seguente figura, tratta come le altre da una presentazione del prodotto espressamente

redatta per FCA, ma della quale ci è stato chiesto di non dare disclosure (in particolare per

quel che riguarda il fornitore, e conseguentemente, anche il prodotto) è illustrato nella sua

operatività e gestione il ciclo di vita dell’Audit, e come viene modellizzato dal prodotto

informatico in questione:

3.4 Il progetto “GeRiCo”: convergenza fra Fiat e Chrysler in merito a

SOX/ICFR/IA/ERM

Il prodotto informatico, descritto nei paragrafi precedenti, è stata progettato e utilizzato

nel 2014 nell’ambito di un progetto chiamato GeRiCo (Governance Enterprise Risk

Integrated Compliance Overview).

E’ interessante descrivere la struttura del progetto di convergenza, gestito secondo

standard qualitativi di project management, in quanto fornisce una idea della complessità e

della difficoltà nella convergenza dei sistemi di controllo interno e di gestione dei rischi di

due grandi realtà industriali che hanno avuto la necessità di unificare il loro approccio alla

gestione del controllo interno.

Data la complessità della realizzazione dell’infrastruttura, pur basandosi su un prodotto

già esistente ma che doveva essere modellato in base alle esigenze di FCA, il progetto ha

richiesto diversi mesi e si è articolato in tre fasi:

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128

1. Business design: in questa fase è stata progettata la struttura dei processi di business

all’interno del sistema, è stato pianificato l’intero progetto, il suo ciclo di vita.

2. System design: in questa fase è stata progettata l’architettura funzionale e

infrastrutturale dell’installazione del prodotto, e se ne è pianificata la gestione della

configurazione sulla base delle specifiche e dell’analisi svolta nella fase di business

design.

3. System implementation: in questa fase sono stati creati i report e dashboard di

reportistica, si sono prodotti i dati per i test, svolti successivamente in accordo con il

piano dei test rientrante nel project plan, e si sono finalizzati i test del sistema.

4. System delivery: nella fase finale, dopo aver controllato e predisposto l’ambiente di

produzione, in accordo con il piano di gestione della configurazione, si è provveduto a

trasferire i dati pregressi sull’ambiente di produzione del nuovo sistema, procedendo

in due fasi: un primo trasferimento ha coinvolto i dati relativi all’ICFR, alla tesoreria e

all’area legale; un secondo trasferimento coinvolgerà i dati relativi all’Internal Audit e

all’ERM.

La gestione di questo progetto ha coinvolto diversi stakeholder, raggruppati in funzioni di

un organigramma di progetto composto da membri di Fiat, di Chrysler, del fornitore, oltre che

da consulenti delle società di revisione coinvolte nella quality assurance e audit esterni.

Gli sponsor del progetto hanno esercitato la funzione di direzione e finanziamento delle

varie attività del progetto, nell’ambito del budget per questo stanziato.

Subordinato all’azione degli sponsor, uno steering committee ha avuto l’onere della

supervisione del progetto, al fine di assicurare che i requisiti di business fossero soddisfatti in

modo efficiente sia in termini di costi che di tempi di realizzazione.

Oltre a questo, lo steering committe ha supportato le decisioni chiave, come per esempio

valutazioni go/no go, raccomandazioni, etc., e ha guidato il processo di adozione di un

modello organizzativo, di responsabilità e di flusso informativo nei confronti dei responsabili

di area.

Lo steering committee ha anche supportato il progetto con proprie risorse e monitorato il

progetto per verificarne l’aderenza, o l’eventuale scostamento, dallo scenario di business che

ne costituiva il target.

Nella sua attività lo steering committee ha avuto il supporto di un gruppo di auditor

esterni con l’esplicito compito di monitorare ed assicurare che la convergenza del processo e

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129

il progetto del sistema fossero in linea con i requisiti richiesti dal Public Company Accounting

Oversight Board statunitense (cfr. capitolo 1).

Un comitato operativo ha avuto invece il compito di: approvare i processi di business e la

struttura organizzativa del progetto; fornire feedback e risposte tempestive sulle decisioni e

sui problemi incontrati nel corso del progetto; indirizzare e comunicare le modifiche apportate

in corso d’opera al progetto, propagandole attraverso l’organizzazione, e assicurare che le

milestone di progetto fissate e condivise fossero effettivamente raggiunte nei tempi stabiliti.

Al comitato operativo e allo steering committee riporta il project manager del progetto,

figura centrale nella sua gestione, con il compito fondamentale di coordinare il progetto stesso

in accordo con gli ambiti, i tempi e il budget stipulati per esso.

Fra i compiti gestionali del project manager vi è anche la gestione della relazione con il

fornitore, la gestione della comunicazione fra i vari stakeholder e la gestione del budget di

progetto.

In queste attività, il project manager viene supportato dal team allocato dal fornitore, che

allo stesso modo prevede un project manager e dei business consultant.

In particolare, è onere del fornitore sviluppare il piano di progetto in sinergia con il project

manager con delle milestone fissate e delle soglie di qualità ben precise, soddisfare le

scadenze imposte dalle milestone e consegnare deliverable nelle date prestabilite.

Anche il supporto all’analisi e alla progettazione vede un ruolo di primo piano del

fornitore, che deve inoltre formare gli utenti finali e gli amministratori del sistema.

Il project manager si avvale anche della funzione di quality assurance di progetto assolta

da una società di revisione esterna, il cui compito specifico è di fornire pareri

sull’implementazione del piano di progetto, sul piano dei test, sul piano di trasferimento dati,

sul piano di formazione, etc.

Al gruppo di quality assurance spetta anche il delicato compito di tracciare i requisiti

lungo tutta la fase di implementazione, e in particolare di gestire la matrice di tracciabilità dei

requisiti, lo strumento standard adatto a controllare che il progetto, nella sua evoluzione, non

si discosti dagli obiettivi per i quali è stato formulato.

Infine, il gruppo di quality assurance supporta lo sviluppo dei casi di test (per il collaudo

del sistema), del piano di trasferimento dati, e offre anche supporto al project manager a

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130

livello decisionale e di tracciatura dei rischi, oltre che nella comunicazione con gli altri

stakeholder.

Il project manager dispone di team di progetto che può utilizzare per le varie attività

operative richieste.

Questi team di progetto sono guidati da dei team leader, ciascuno specializzato in un

ambito distinto: Internal Audit, ICFR/SOX/ERM, IT, Tesoreria e Area Legale.

I compiti specifici dei team leader sono di fornire una consulenza tecnica o di processo

lungo tutto il corso dell’implementazione, ma anche di approvare la progettazione di soluzioni

e processi.

Non meno importante è il ruolo svolto da queste figure nel preparare il piano di test,

sovrintendere alla validazione dei test da parte dell’utente, e sviluppare i requisiti di

trasferimento dei dati.

Durante il corso del progetto è inverosimile che non si verifichino delle problematiche, di

varia natura, che richiedono decisioni e cambiamenti: i team leader gestiscono la risoluzione

di questi problemi e prendono decisioni per i flussi di lavoro individuali, identificando e

assicurando al tempo stesso che elementi di dati comuni siano identificati ed implementati

(Common Data Model Element).

Infine il fornitore offre una consulenza di processo o tecnica lungo tutto il corso

dell’implementazione, offrono supporto ai team leader per assicurare che tutti gli input

richiesti siano forniti secondo il piano di schedulazione previsto, e che le milestone convenute

siano raggiunte.

Inoltre, articolano e validano le attività volte a far sì che la soluzione soddisfi i necessari

requisiti di business, legali, statutari e fiscali, sviluppano i test e li eseguono in accordo con il

piano di test, e curano la validazione da parte degli utenti di questi test.

3.4.1 Il nuovo GRC dal punto di vista dei processi di business

Il progetto di implementare una Governance, Risk management and Compliance per FCA

si è basato sul presupposto di poter progettare una struttura comune sulla quale poter fondare

gli elementi esistenti, nelle singole aziende prima della fusione, in differenti strutture

aziendali.

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131

In particolare72, all’inizio del progetto, sono stati formulati alcuni presupposti, legati a

scelte considerate più utili e opportune in vista del processo di integrazione:

l’adozione del modello di dati di processo di Chrysler, articolato in quattro livelli:

Mega Process, Major Process, Process e Sub-Process.

L’adozione della terminologia Chrysler per il mega process e per molte altre entità al

livello più basso della gerarchia.

Queste scelte hanno portato alla necessità da parte di Fiat di organizzare una “mappa” fra

la terminologia e i concetti dei propri processi di business e quelli di Chrysler, in vista

dell’unificazione.

Il modello di processo “to be”, basato su quello Chrysler ma espanso nella nuova realtà

FCA in modo compatibile con la messa a punto del GRC, si articolava in una serie di processi

primari rilevanti (mega process):

Order to cash (ciclo attivo)

Inventory (produzione di stabilimento e gestione dello stock)

Hire to retire (ciclo personale)

Acquire to retire (investimenti)

Purchase to pay (ciclo passivo)

Long term contracts (gestione di commesse di lungo termine)

Financing activities (finanziamenti concessi)

Financial closing and reporting (processo di chiusura contabile e di reporting)

Treasury (gestione della Tesoreria)

Process IT (processi IT)

Altri processi rilevanti per l’ERM e l’Internal Audit sono:

Production Creation & Updating

Marketing & Network Development

Manufacturing

Third Part Management.

72 Fiat Chrysler Convergence Project ICFR/SOX/ERM. Process Model Overview, December 2012.

.

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132

A titolo di esempio illustriamo questa struttura gerarchica nel caso del processo Order to

Cash73:

La difficoltà è nel correlare questa struttura di processi con una struttura più “piatta di

Fiat.

In effetti, per esempio nel caso dei processi relativi all’Internal Audit (per il rischio

operazionale e di frode) la mappatura dei processi viene eseguita sui mega processi del

modello Chrysler: per esempio i processi dell’audit Fiat

Processo di vendita (auto nuove ed usate)

Processo di vendita (pezzi di ricambio)

Garanzie

Audit degli impianti

Trasporti e logistica

vengono mappati sui mega processi di Order to Cash e di inventario nel modo seguente:

73 Fiat Chrysler Convergence Project ICFR/SOX/ERM. Process Model Overview, December 2012.

Mega Major Process Sub-process

Agreement

Solvency analysis and credit authorization

Customer Master File

Pricing and Conditions

Program Setup

Incentive Contract Negotiation and Authorization

Incentive Claims

Incentives Valuation

Reporting

Order Entry/Edit Order Processing

Shipping Delivery

Invoicing

Credit Notes & Adjustments

Archiving and Mailroom

Account Receivables

Cash receipts

Collection

Credit Transfer

Credit Monitoring

Dispute Management

Valuation

Reporting

Warranty Management and Valuation

Claims & Recall Campaign

Case Assignment and Management Settlement

Liability Valuation

Order to Cash

Customer Agreement &

Pricing

Incentives & discounts

Account Receivables

Credit Management

Product Warranty

Product Liability

Billing

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133

Processo di vendita (auto nuove ed usate): order to cash e inventario

Processo di vendita (pezzi di ricambio) : order to cash e inventario

Garanzie: inventario

Audit degli impianti: inventario

Trasporti e logistica: order to cash e inventario.

Come si vede, la mappatura di processi che in Fiat appartengono a classificazioni

differenti non necessariamente avviene sugli stessi mega processi nel nuovo modello.

Questa complessità va anche confrontata con il fatto che la documentazione dei processi,

dei rischi e dei controlli di Fiat era svolta non secondo un format standardizzato, infatti alcuni

documenti erano dei narrative, altri usavano i flow-chart, altri ancora diagrammi IT, etc., né

secondo lo stesso livello di dettaglio e completezza delle informazioni.

3.4.2 L’impatto sulle attività dell’Internal Audit

Una volta effettuato questa mappatura dei processi di business, di pertinenza delle

funzioni di controllo interno, su quelli del nuovo GRC, l’Internal Audit della nuova struttura

non può che beneficiare dalla condivisione di un processo comune e di un modello di rischio

integrati nella soluzione GRC.

A tal proposito il modello comune dei rischi è stato sviluppato sulla base del catalogo dei

rischi esistente tanto in Fiat quanto in Chrysler, incluso l’ERM e l’ICFR.

Inoltre l’Internal Audit può con maggiore facilità analizzare il processo di valutazione e

gestione dei rischi, fondato quasi integralmente sull’ERM, in linea con la corporate

governance italiana e coerente con i requisiti di reportistica emanati dal controllo interno e dal

comitato di rischio.

L’Internal Audit valuta la gestione dell’identificazione dei rischi e il loro monitoraggio

attraverso audit mirati alla verifica della gestione del rischio, inoltre nel piano di audit sono

incluse alcune analisi sull’efficienza dei processi ERM. Tali attività dell’Internal Audit vanno

anche a beneficio del Risk Management e del Controllo Interno.

Questo nuovo status ed organizzazione aziendale ha richiesto all’audit Fiat una serie di

revisioni74 orientate all’integrazione con la soluzione GRC di FCA.

74 Fiat Chrysler ERM/ICFR/SOX/IA. GRC Project. Impact on IA, February 2013.

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134

In primo luogo si è messo a punto un modello di rischio che comprendesse sia la realtà

Fiat che quella di Chrysler, e che fosse sufficientemente generale da poter essere adattato al

nuovo schema di GRC che si andava costituendo: per esempio, razionalizzando e potenziando

i cataloghi dei rischi disponibili (come quelli prodotti per ERM, ICFR, risk model Chrysler,

quello di Fiat, etc.) e utilizzando regole e best practice per avere la sicurezza di coprire tutti i

rischi rilevanti.

Rispetto alla struttura precedente all’interno di Fiat, le modifiche più rilevanti hanno

impattato i rischi operazionali e le relative connessioni con gli eventi di ERM.

Oltre a questo si è cercato di integrare i rischi all’interno di un modello comune e

collegarli agli elementi del modello di processo e alle varie unità organizzative per un

mapping preliminare sul modello dei dati GRC.

In secondo luogo, il modello di Audit di Fiat è stato rivisto nell’ottica di progettare una

nuova metodologia di pianificazione ed esecuzione degli audit centrata sui rischi: questo ha

comportato la revisione della metodologia correntemente utilizzata per la definizione del

piano annuale di audit, orientandola a un approccio basato sulla valutazione dei rischi

integrati (in vista principalmente dell’ERM).

Inoltre, si è dovuto implementare un nuovo approccio all’audit su determinate aree, basato

su considerazioni di risk management, valutazioni e feedback.

Infine, si è dovuta includere una fase di documentazione di processo (attraverso i

“narrative” e i “flow-chart”) da far confluire nel GRC, in modo da utilizzarla durante i

controlli dell’Internal Audit, e la gestione della validazione/presa in carico, per allinearsi al

modello Chrysler.

Esattamente come nel caso del trasferimento della struttura IT sulla nuova infrastruttura

informatica basata sul prodotto del quale abbiamo parlato nei paragrafi precedenti, anche nel

caso dell’Internal Audit si è definito un vero e proprio progetto di migrazione metodologico,

ma che ancora deve essere attuato75.

Uno steering committee di Internal Audit, supportato da una società di consulenza, ha

diretto, supervisionato e validato le attività e i risultati del progetto, assicurando anche il

change management e approvando i rischi e controlli identificati attraverso il process mapping

sul GRC.

75 Ibidem.

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135

Un gruppo di project management ha avuto il compito di definire le linee guida e le

priorità del progetto, di coordinare gli aspetti metodologici e organizzativi, di proporre

soluzioni e supervisionare i progressi dell’intero progetto.

Oltre a questo, il project management ha avuto l’onere di assicurare che i progetti di

convergenza verso il GRC di Fiat e Chrysler fossero allineati fra loro.

In questa sua attività, il gruppo di project management è stato coadiuvato da un team di

esperti, che hanno contribuito alle necessità degli stream di progetto, contribuendo con le loro

conoscenze specifiche, ad esempio assicurando la qualità delle informazioni fornite in linea

con le best practice.

Il project management riferiva allo steering committee, avendo il controllo dei team

operativi sia dal punto di vista tecnico (aggiornamento e progettazione della documentazione),

che metodologico, con responsabilità di esecuzione dei piani delle attività e di

raggiungimento degli obiettivi fissati dal project management.

Le fasi per i due stream di progetto (portati avanti in parallelo) sono76:

Modello dei rischi:

o Definizione dei rischi operativi per order to cash e inventario, e validazione

con il team di GRC

o Pilota per Order to Cash e inventario

o Definizione dei rischi operativi per altri processi e validazione con il team di

GRC

o Condivisione dei rischi operativi con l’Audit di Chrysler.

Processo di Internal Audit:

o Progetto del nuovo processo di Internal Audit basato sui rischi e sul controllo

o Pilota del nuovo processo di Internal Audit e rework a seguito di feedback dal

pilota

o Definizione del risk assessment integrato e del piano annuale di Audit.

Come si vede l’accento è stato posto sui processi di order to cash e inventario, discussi nel

paragrafo precedente, e visti come “pilota” prima della applicazione del nuovo modello a tutti

gli altri processi.

76 Ibidem.

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136

I deliverable di questo progetto consistono in:

Una matrice, redatta dall’Internal Audit per ciascun processo nell’ambito del progetto,

dei nuovi rischi e dei rischi operativi rivisti, sotto forma di foglio Excel, integrata nel

modello gerarchico dei rischi.

L’elaborazione della documentazione utilizzando standard Fiat-Chrysler (flowchart,

matrici di rischio, etc.) per ciascun processo nell’ambito del progetto.

Repository di rischio aggiornati sulla base delle lesson learned collezionate durante le

fasi pilota.

Come parte del processo di convergenza verso l’implementazione di un modello comune

dei rischi, l’Internal Audit di Fiat, col supporto di una società di consulenza, ha sviluppato un

piano per la razionalizzazione e integrazione del rischio operativo utilizzato precedentemente

dall’Internal Audit, in modo da essere consistente con il modello comune dei rischi proposto.

3.4.3 Struttura e organizzazione del nuovo Internal Audit, impatti

funzionali sull’infrastruttura informatica

Per capire la portata del processo di convergenza e il suo impatto sull’organizzazione

delle funzioni di audit in Fiat e Chrysler prima della fusione, è necessario confrontare i ruoli e

le mission delle figure principali coinvolte nell’audit di Fiat e di Chrysler77.

Per prima cosa è opportuno sottolineare che alcune figure nei due organigrammi

dell’Audit di Fiat e Chrysler o non erano contemplate oppure avevano accezioni differenti:

Chief Audit Executive: si tratta della figura che supporta la dirigenza nello sviluppare,

gestire e monitorare il sistema di controllo interno, assicurandone la validità tramite

una revisione della sua efficienza ed efficacia.

Inoltre questa figura:

o Identifica e valuta le maggiori esposizioni al rischio del Gruppo e contribuisce

al miglioramento dei sistemi di identificazione, riduzione e gestione del rischio

(operativo, finanziario, legale, contrattuale, IT o di altra natura).

o Procede a ispezioni specifiche volte a identificare la necessità di miglioramenti

da implementare nei processi di controllo interno.

77 Queste informazioni sono prese da un documento (foglio Excel) riservato di Fiat-Chrysler.

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137

o Prepara un piano annuale di lavoro e di emanazione periodica di riguardo le

attività svolte, le azioni intraprese per migliorare il sistema di controllo interno

e le problematiche incontrate o sollevate dall’Internal Audit.

o Verifica la conformità con le regole e le procedure relative ai processi di

controllo interno

o Verifica l’operatività del personale che opera nei processi di controllo interno,

rispetto alla conformità degli obiettivi prefissati.

o Verifica l’effettiva applicazione delle sanzioni previste dal regolamento interno

in caso di non osservanza.

o Svolge delle review sulla salvaguardia degli asset aziendali.

Senior manager:

o Partecipa come membro chiave alla gestione del team di Internal Audit.

o Aiuta il management a mantenere efficiente il sistema di controllo interno.

o Svolge una attività di marketing per assicurare che le persone al di fuori

dell’Internal Audit abbiano una percezione e comprensione chiara dei piani e

delle attività dell’audit.

o Esercita una leadership funzionale ai processi di audit e assicura che gli audit a

lui assegnati siano conclusi in conformità alle policy e procedure di Internal

Audit, applicando gli standard internazionali di Internal Audit.

o Assicura che gli audit previsti dal piano di audit siano svolti in modo conforme

alla corporate governance del Gruppo, assegna obiettivi ai team, coordina e

verifica la loro attività.

o Gestisce le risorse allocate, ottimizza i tempi e i profili professionali in vista

del rispetto del piano di audit, ed assicura la formazione delle risorse richiesta,

grazie anche all’aggiornamento continuo del materiale didattico.

o Completa le review delle performance e fornisce il necessario feedback

tempestivamente.

Head of Foreign Location: questa figura era chiave nell’organizzazione delocalizzata

del gruppo Fiat e fra le sue mansioni vi sono:

o Assicura l’esecuzione dei piani di audit nell’area geografica assegnatagli;

o Agisce da tramite col foreign business management, interagendo con il

management a tutti i livelli di comunicazione, assicurando la qualità delle

informazioni trasmesse, mantenendo sempre una indipendenza ed obiettività di

giudizio;

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138

o Coordina le attività di consulenza, supervisiona e guida gli audit team fornendo

istruzioni, valuta le attività e ne assicura il completamento; in particolare,

segue le attività audit durante il loro intero ciclo di vita;

o Rivede e presenta i risultati degli audit e le raccomandazioni per i

miglioramenti al management, ed assicura una efficace reportistica e

performance dei risk assessment;

o Acquisisce la conoscenza di nuovi rischi per i vari processi di business,

aggiorna e sviluppa i programmi di audit, fornisce un training on the job

efficace e un monitoraggio continuo.

Engagement manager: assolve sostanzialmente le funzioni operative corrispondenti

alle funzioni di accountability dell’Head of foreign location.

Lead auditor:

o Svolge le attività di audit relative al survey preliminare, organizza incontri,

intraprende risk assessment, e prepara la reportistica di audit in conformità alle

procedure interne;

o Guida i team di audit nel selezionare ambiti ed aree da monitorare e apporta le

necessarie modifiche per focalizzare le risorse sulle aree principali;

o Assicura che il lavoro degli auditor sia adeguatamente documentato;

o Possiede una piena conoscenza delle procedure di Internal Audit;

o Formula suggerimenti per l’implementazione di azioni correttive;

o Prepara gli audit report ed in caso di necessità provvede a revisionarli in modo

tempestivo.

Auditor:

o Svolge le attività di assessment, di analisi e controllo;

o Svolge le revisioni procedurali dei report finanziari, di conformità ed operativi;

o Evidenzia e fornisce interpretazioni delle carenze nei sistemi di controllo

interno per aree che non sono conformi agli standard e alle procedure, e redige

infine i working paper.

Questi ultimi tre ruoli avevano invece mansioni diverse in Chrysler: in particolare

mancava la figura dell’head of foreign location, mentre le mansioni del senior manager

venivano svolte dall’engagement manager, che aveva l’onere della responsabilità dei vari

processi di audit.

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Alcune delle responsabilità dell’engagement manager di Fiat erano riversate in Chrysler

sul Lead auditor, mentre gli auditor si occupavano maggiormente di accountability rispetto al

modello Fiat.

Questa descrizione dettagliata dei ruoli e delle diversità di approcci tiene conto del

notevole impatto che il processo di convergenza ha avuto sull’Internal Audit, anche e

soprattutto in termini di specificità dei ruoli, gestione del personale, organizzazione dei team

di lavoro, dei flussi di informazioni e dello svolgimento delle attività di questi ultimi.

Al termine del processo di convergenza, la struttura “to be” dell’Internal Audit non è

cambiata soltanto nell’organizzazione e strutturazione dei ruoli, ma anche nelle nuove attività

chiamata a svolgere, incentrate intorno al concetto di rischio.

In particolare possiamo soffermarci su tre aspetti dell’attività del nuovo Internal Audit del

Gruppo78:

Pianificazione degli audit:

o Questo processo viene sviluppato sulla base della definizione condivisa

dell’“universo dell’audit”, cioè dei contesti ai quali l’azione dell’audit è

applicabile;

o Sulla base di questo è possibile definire la valutazione annuale integrata dei

rischi;

o Segue poi la definizione e l’approvazione del piano annuale di Audit, che

costituisce l’output di questa fase;

o Sulla base del piano di audit si possono allocare le risorse dell’audit per la sua

attività, dimensionate sulla base del piano, e stabilire la tempificazione di

queste attività in un piano di allocazione e schedulazione;

o A questo punto può essere svolta l’attività di reportistica e monitoraggio basata

sull’audit plan.

Esecuzione degli audit:

o Per ciascun audit si procede per prima cosa con l’engagement, provvedendo ad

informare chi sarà sottoposto ad audit dell’attività che si sta per intraprendere;

o Usando gli strumenti e le linee guida stabiliti o utilizzati nella fase di

pianificazione degli audit, si definisce un programma di audit work, che

78 Fiat Chrysler Convergence Project IA Approach and Model, November 2012.

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utilizza la documentazione del processo da sottoporre ad audit e produce un

programma delle attività per quel particolare audit;

o Dopo questa prima fase, si procede al lavoro sul campo (fieldwork), seguito da

una fase di valutazione delle evidenze raccolte: queste attività producono dei

risultati e delle issue opportunamente documentati;

o A chiusura dell’attività si accumula nel patrimonio di conoscenze e lesson

learned aziendale il risultato di questa attività.

Reportistica e monitoraggio degli audit:

o A seguito di un audit viene formalizzato un audit report, dipendente dalla

tipologia di audit svolta;

o Viene anche richiesta una valutazione in merito alla conduzione dell’audit a

chi è stato sottoposto al controllo;

o Il monitoraggio e il follow-up vengono formalizzati in un “action plan”, del

quale si segue lo stato di avanzamento;

o Queste informazioni confluiscono nella reportistica, periodicamente inoltrata ai

livelli executive.

Il sistema informatico di supporto a queste attività deve essere necessariamente modellato

in modo da offrire un sostegno effettivo e strumenti per ottimizzare queste fasi: rispetto

all’analisi svolta precedentemente, è interessante a questo proposito notare alcuni requisiti,

richiesti a questo sistema, per quanto riguarda le funzionalità messe a disposizione

dell’Internal Audit.

Questi requisiti relativi all’audit planning, execution e monitoring sono classificati in

obbligatori, importanti e opzionali; di seguito ne riportiamo i più significativi79:

Requisiti di audit planning:

o Obbligatorio: la possibilità di definire e aggiornare da parte di un owner

specifico la pianificazione di un audit a partire dai dati fondamentali e di base

(come le unità organizzative, processi, etc.).

o Obbligatorio: la possibilità di creare automaticamente il piano annuale di audit

a partire dai risultati delle valutazioni dei rischi e da altri criteri come per

esempio le richieste del top management.

79 Queste informazioni sono prese da un documento di raccolta dei requisiti (foglio Excel) riservato di Fiat-

Chrysler.

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141

o Obbligatorio: la possibilità di tracciare e riportare le modifiche al piano di

audit con un dashboard automatico che mostri le

integrazioni/modifiche/cancellazioni con evidenza delle relative

giustificazioni.

o Obbligatorio: la disponibilità di una funzione di pianificazione e schedulazione

al fine di riservare, assegnare e aggiornare risorse a specifiche attività e

viceversa, garantendo l’allineamento con lo staffing dei team nell’audit

engagement.

o Obbligatorio: la possibilità di allocare le risorse su diversi e concorrenti lavori

e di gestire il relativo carico (per esempio controllando la soglia del 100%,

etc.).

o Importante: la possibilità di creare e gestire un “master file” per le singole

unità di audit, con campi configurabili e inseriti da fonti diverse, per esempio

già presenti nel sistema o tramite un input automatico o manuale, etc.

o Importante: la possibilità di creare automaticamente un audit engagement a

partire dal piano annuale di audit sulla base di regole fissate, come per esempio

il cambiamento di status da pianificato a confermato; l’audit engagement

dovrebbe essere definito in termini di tipologia di audit (per esempio basato su

checklist, rischi, follow-up, etc., o una combinazione di tipologie).

o Opzionale: la possibilità di creare, mantenere e cancellare i master data dello

staff di audit con le relative skill e le informazioni acquisite automaticamente

dagli audit precedenti inclusa la valutazione delle performance.

Requisiti di audit execution:

o Obbligatorio: la possibilità di impostare le diverse fasi e milestone di audit,

come la riunione iniziale (kick-off meeting), la valutazione dei rischi di

engagement, la bozza del report di audit, etc. sulla base di regole e criteri,

evidenziate nell’audit summary opportunamente configurato.

o Obbligatorio: la possibilità di gestire le attività di audit in modo indipendente

dai processi, dai rischi e dai controlli, per esempio sulla base di checklist, e, se

necessario, creare connessioni con gli elementi del data model in ciascuna fase

dell’audit.

o Obbligatorio: la possibilità di creare un audit a partire dagli elementi

evidenziati in un audit precedente, per esempio i test, le risultanze, i working

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paper, etc. esplicitando una funzionalità collegata alla tipologia di follow-up

dell’audit.

o Obbligatorio: la possibilità di assegnare un ruolo (per esempio: auditor, senior,

etc.) a ciascun membro dello staff di audit e, se necessario, cambiare il ruolo in

un singolo engagement su una base ad hoc.

o Obbligatorio: la possibilità di gestire audit basati sui rischi, considerando i

rischi e i controlli GRC già disponibili, valutati ed associati all’ unità

sottoposta ad audit; i rischi e i controlli dovrebbero essere validati per gli scopi

dell’audit e, se necessario, dovrebbero essere integrati dopo il mapping nella

fase preliminare di audit: rischi e controlli proposti, associati all’unità

sottoposta ad audit, dovrebbero essere conseguentemente rivisti e approvati per

l’inclusione nel catalogo comune GRC per il testing.

o Obbligatorio: la possibilità di generare automaticamente maschere e template

in base al tipo di audit, ad esempio Audit, consulenza, conformità, FCPA,

legge 213, etc.

o Obbligatorio: la possibilità di creare note di revisione, ovvero di tenere traccia

delle change sia per i test che per i problemi emersi sul campo: le revisioni

dovrebbero essere evidenziate come change, tracciando i dati fondamentali

della revisione svolta.

o Obbligatorio: la possibilità di gestire la chiusura di un audit (per esempio

tramite il protocollo e l’archiviazione dei documenti) e di conservare i dati

relativi, in modo che, a posteriori sia possibile ricostruire correttamente le

risultanze dell’audit.

o Importante: la possibilità di assegnare, o riassegnare, ciascun test a un test

owner, per gestire il carico di lavoro degli auditor.

o Importante: la possibilità di “ereditare” lo stato degli action plan aggiornati e

collegati all’action plan originario.

o Importante: la possibilità di generare in automatico degli alert, basati su date

target pianificabili, a beneficio dei membri del team di audit, per esempio

tramite notifiche via e-mail o nel rispettivo dashboard del GRC.

o Importante: la possibilità di bloccare oggetti specifici del modello dati (per

esempio processi, rischi, controlli, etc.) mentre un audit è in fase di esecuzione,

e quindi impedire che vengano su di essi svolte operazioni che potrebbero

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modificarne lo stato: gli utenti che non sono stati selezionati come membri del

team di auditing dovrebbero essere informati che quegli oggetti sono sotto

audit e non possono essere modificati in quel momento se non previa specifica

approvazione.

o Opzionale: la possibilità di creare una lettera di notifica dell’engagement in

automatico, in accordo con i dettagli del piano di audit (come il titolo

dell’attività, la tipologia, i responsabili, etc.).

Requisiti di audit monitoring:

o Importante: la possibilità di gestire valutazioni anche dopo la fine dell’audit

engagement, per esempio attraverso questionari: la maschera di feedback

dell’utente deve essere compilata da chi è stato auditato per lo staff di audit in

vista della valutazione delle performance.

Come si vede, i requisiti dettati dalle necessità dell’audit, a supporto dei processi descritti

in precedenza, costituiscono un elenco dettagliato e importante che l’infrastruttura informatica

dovrà recepire.

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Conclusioni

In questa ultima parte descriviamo, sulla base di report molto recenti80, i primi risultati e

gli indirizzi che il processo di convergenza verso il GRC in FCA ha generato a livello di

Internal Audit & Compliance, con particolare riferimento alla reportistica finanziaria e quindi,

secondo la legge statunitense, alla compliance ICFR/SOX.

L’approccio generale, nel biennio 2014-2015, è stato quello di assegnare come perimetro

(nella realtà statunitense) alla funzione di Internal Audit & Compliance di FCA il controllo di

tutti i processi chiave di business.

Le evidenze raccolte hanno fornito un primo quadro delle carenze e dei punti deboli sulle

quali concentrare una azione manageriale di miglioramento.

Contabilità fiscale;

Tracciabilità dei controlli di revisione e approvazione;

Evidenze sul monitoraggio degli strumenti finanziari derivati;

Formalizzazione dei controlli collegati al trasferimento dell’analisi dei rischi e al

rischio di un accordo prematuro con terze parti;

Tracciabilità del monitoraggio delle interfacce e della risoluzione di anomalie;

Controlli su alcune componenti dell’infrastruttura IT, in particolar modo sul processo

di change management e sugli accessi logistici alle applicazioni.

Le attività e le procedure di controllo sono quindi da rafforzare in alcuni ambiti, ai fini

della compliance 2015 alla SOX e in conformità ai requisiti del PCAOB, specialmente per

quanto concerne:

I controlli basati su calcoli svolti con strumenti di “end user computing”, cioè che

abilitano operatori non informatici a definire procedure di calcolo tramite spreadsheet:

questo è tipico di alcune aree di processo, come nel caso degli incentivi, ratei, etc.

Copertura del “cycle count”, una procedura di audit di inventario che consente di

campionare un piccolo sottoinsieme dell’inventario in una location specifica.

Asset relativi a tasse soggette a proroga, in particolare il rafforzamento delle evidenze

a supporto delle attività svolte a livello centrale.

80 2015 ICFR/SOX Compliance. IA&C FCA, June 2015.

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In ogni caso, l’approccio strategico di Internal Audit & Compliance ai test per i processi

di business si è consolidato rispetto al modello di transizione descritto nei paragrafi

precedenti, secondo i seguenti passi:

Documentazione del processo: tramite un process mapping (attraverso narrative e

flow-chart) delle aree nuove o per le valutazioni delle modifiche di processo più

rilevanti; questa fase include il rilascio delle RCM (Risk and Control Matrix) e i Test

of Design dei controlli chiave.

Business Process Interim: test of design (TOD) e test dell’efficacia (TOE) dei controlli

chiave di competenza dell’Internal Audit, dove i TOE possono svolgersi su parte di un

campione rappresentativo.

Business Process Post Interim: TOD e TOE per tutti i nuovi controlli di maggior

rilievo, completamento del TOE per la porzione rimanente del campione, e

conseguente remediation, cioè il nuovo svolgimento dei test TOD/TOE di controlli

che in precedenza erano falliti dopo aver concluso l’action plan.

Business Process di fine anno: TOD e TOE sui controlli annuali, completamento del

TOE per la porzione rimanente del campione e su qualsiasi nuovo controllo non

ancora testato; “roll forward”, cioè l’esecuzione di procedure addizionali definite

dall’Internal Audit dopo i risultati dell’ispezione del management sui controlli: può

includere dei TOD/TOE completi; remediation, dunque il ripetere i test sui controlli

che avevano fallito dopo la chiusura dell’action plan.

Oltre ai processi di business, l’Internal Audit si occupa anche di altre aree, come:

Quality assurance review: ispezione di qualità indipendente sui TOD/TOE effettuati

dal management per validare le conclusioni dei test e consolidarne l’affidabilità.

Controlli generali sull’IT: in questo caso i TOD/TOE si focalizzano su specifici e

significativi processi IT e su sistemi applicativi selezionati per la loro rilevanza

globale e le loro sinergie.

Entità fuori dall’ambito: alcune procedure ICFR specifiche per il mega processo

possono essere richieste per entità al di fuori dell’ambito SOX, ma coperte da audit

operativi: queste procedure possono basarsi su checklist di controllo interno, se

applicabile.

Il piano di test promosso dall’Internal Audit nel 2015 contemplava la messa in opera di

test di controllo dettagliati a livello di legal entity/MCOT (major class of transactions) per

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ciascuna regione o settore, e si proponeva di coprire, con i suoi controlli, un campione di circa

i due terzi dell’intero processo di business ICFR.

L’independent test sui controlli dei processi di business è stato pianificato gradualmente in

modo da estendere la valutazione dell’efficacia dei controlli all’intero anno.

Per quanto riguarda il process mapping plan invece, nel 2015 è stata data continuità alle

azioni dell’anno precedente, sebbene nuove priorità, a livello di FCA globale, siano state

definita congiuntamente dal management e dalla società di consulenza E&Y; in questo modo,

i processi rimanenti rispetto al perimetro SOX del 2014 hanno subito un nuovo assessment,

considerando le nuove e rilevanti aree in fase di implementazione o revisione significativa

durante il 2015.

I criteri con i quali l’Internal Audit ha potuto raggiungere queste evidenze e mettere in

luce aree di miglioramento sono legati principalmente all’aver posto al centro dell’attività di

audit i fattori di rischio.

In particolare, la valutazione del management del rischio di misstatement (riferendoci alla

reportistica finanziaria) dovrebbe includere considerazioni sulla vulnerabilità dell’entità

rispetto ad attività fraudolente: per esempio report finanziari volutamente falsati, corruzione,

etc.

Le considerazioni del management sulla possibilità che un controllo possa mancare di

operare in modo efficace includono:

il tipo di controlli (ad esempio se manuale o automatico) e la frequenza con la quale

questo viene effettuato;

il livello di complessità del controllo;

il rischio di sottovalutazione della gestione;

il giudizio richiesto per effettuare il controllo;

la competenza del personale che svolge il controllo o monitora la sua performance;

se ci siano stati cambiamenti nel personale chiave che svolge o monitora la sua

performance;

la natura e sostanza dei misstatement che il controllo intende prevenire o rilevare;

l’evidenza dell’operatività del controllo negli anni precedenti.

In definitiva, nel nuovo quadro unitario di Internal Audit & Compliance, la

centralizzazione e ottimizzazione delle risorse, nonché l’accorpamento nell’unica funzione

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IA&C di tutti i test e controlli rispetto agli ambiti di processo, rende integrato e più efficiente

l’intera sistema di controllo interno.

In tal modo, la convergenza di due entità apparentemente diverse e poco conciliabili, quali

i sistemi di controllo interno di Fiat e Chrysler, sembrano aver trovato un solido punto di

contatto, fornendo quindi una garanzia di maggiore efficienza nei controlli e nella compliance

alle normative interne ed esterne che un grande gruppo industriale, come FCA, deve

soddisfare.

Da questo punto di vista, la transizione verso il GRC non può che essere valutata in modo

positivo, anche in una prospettiva futura.

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