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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “ROMA TRE” FACOLTÀ DI ECONOMIA “Federico Caffè” CORSO DI STUDI IN ECONOMIA AZIENDALE Tesi di laurea in Economia e gestione delle imprese “COMPLIANCE, FUNZIONE CHE AGGIUNGE VALORE” RELATORE CORRELATORE Chiar.mo Prof. Chiar.ma Dott.sa Roberto Aguiari Francesca Faggioni LAUREANDO Luca Gallo Anno accademico 2005 – 2006

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “ROMA TRE” FACOLTÀ DI ECONOMIA

“Federico Caffè”

CORSO DI STUDI IN ECONOMIA AZIENDALE

Tesi di laurea in Economia e gestione delle imprese

“COMPLIANCE, FUNZIONE CHE AGGIUNGE VALORE”

RELATORE CORRELATORE Chiar.mo Prof. Chiar.ma Dott.sa Roberto Aguiari Francesca Faggioni

LAUREANDO

Luca Gallo

Anno accademico 2005 – 2006

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COMPLIANCE, FUNZIONE CHE AGGIUNGE VALORE

INTRODUZIONE………………………………….…………………………….5

1. FUNZIONE COMPLIANCE

1.1 Ragioni della compliance……………………………………...……………9

1.2 Il problema della conformità………………………………………………14

1.3 Compliance e “laws, rules and standards”, Gestione del rischio

amministrativo e di immagine……………………………………………..18

1.4 Corporate Social Responsibility (CSR)……………………………………23

1.5 Compliance funzione che aggiunge valore………………………………..40

2. LA FUNZIONE COMPLIANCE IN BANCA

Introduzione…………………………………………………..………….……..49

2.1 Integrazione della funzione compliance nell’organizzazione,

finalità e principi……………………………………………..………….52

2.2 Confronto e parallelismo tra compliance e gestione

dei rischi operativi in banca…………………………………......………63

2.3 Riflessi organizzativi e impatto della compliance

nelle banche di medio-piccola dimensione……………………..……….72

2.4 Requisiti quali-quantitativi definiti da Basilea 2

con particolare riguardo alle banche di prossimità……………...………74

2.5 Nuovi compiti compliance: MiFID……………………………...………87

2.6 Responsabilità “amministrativa” delle società

e modelli organizzativi; D.lgs 231/2001………………………….……..93

2.6.1 Adozione del modello organizzativo………….……………………….99

2.7 AICOM, Linee guida per il management……………………………….101

3

2.8 AICOM, Collocazione organizzativa, costi e benefici

della funzione compliance nelle banche che operano in Italia……...….104

3. COMPLIANCE E MANAGEMENT; GESTIONE DEL RISCHIO

3.1 Un approccio olistico alla funzione compliance……………….……….108

3.2 Il ruolo e le responsabilità del top-management:

diffusione della cultura compliance nell’organizzazione………..……..119

3.3 Enterprise Risk Management (EMR) e business continuità………..…..128

3.3.1 Compliance risk management…………………….…………….136

3.3.2 Operational risk management…………………………………..142

3.4 Metodologia e modelli di gestione………………………….…………..145

3.4.1 L’EMR COSO Framework………………………...…………..148

3.4.2 Il COBiT……………………………………………….………156

4. SARBANES-OXLEY COMPLIANCE E ANALISI DEI

COSTI/BENEFICI

4.1 The Sarbanes-Oxley Act of 2002……………………………………….165

4.1.1 Le disposizioni del SOA in materia di controllo

interno ed informativa societaria (sez. 302, 906 e 404)…………170

4.1.2 Obiettivi specifici del sistema di controllo ai fini

del SOA (sez. 302 e 404)………………………………………..181

4.1.3 La certificazione del revisore contabile (sez. 906)…………..….183

4.1.4 Relazione tra “disclosure controls and procedures”

e “internal control over financial reporting”………………….…190

4.2 I costi della Sarbanes-Oxley Act a confronto

con i benefici e le aspettative………………………………………..….191

4.2.1 Costi elevati per l’adempimento della sezione 404…………….195

4

4.3 I vantaggi di gestire la compliance con processi

automatizzati di amministrazione della funzione…………………..…..205

4.4 Compliance sostenibile, un approccio strategico genera benefici……...209

CONCLUSIONI………………………………………………………...……..220

APPENDICI…………………………………………………………..….……224

BILIOGRAFIA………………………………………………………..………227

WEBSITES…………………………………………………………….………240

5

‹‹Il problema dell’economia di mercato libera è che

richiede così tante guardie per farla funzionare››

Neal Ascherson

INTRODUZIONE

Le leggi da sempre riflettono i bisogni ed i valori attuali della società; di

conseguenza, la regolamentazione è una risposta, poiché raramente può anticipare

o immaginare le problematiche future, e ancora oggi richiede la definizione del

problema e l’identificazione di potenziali risoluzioni.

Il rispetto della legalità e della correttezza negli affari è, anch’esso, elemento

indispensabile dell’attività d’impresa, fondata sulla fiducia. Peraltro, l’evoluzione

dei mercati, finanziari e non, in termini di innovazione dei prodotti, di

trasferimento di rischi e di proiezione internazionale, rende più complessi

l’identificazione e il controllo dei comportamenti che possono costituire

violazione delle norme, degli standard operativi, dei principi deontologici ed etici

dell’attività di intermediazione.

Nel mutato contesto è necessario, da un lato, promuovere una cultura aziendale

improntata a principi di onestà, correttezza e rispetto non solo della lettera, ma

anche dello spirito, delle norme; dall’altro, approntare specifici presidi

organizzativi, volti ad assicurare il rigoroso rispetto delle prescrizioni normative e

di autoregolamentazione, richiedendo l’istituzione di un’apposita funzione di

prevenzione e gestione del rischio di violazioni delle richiamate prescrizioni.

Saper leggere i rischi, cogliere tempestivamente i segnali di cambiamento e di

pericolo, vale per il pubblico come per il privato, per lo Stato come per le aziende.

Oggi il cambiamento plasma ogni singola attività d’impresa. Il mutamento è

vissuto come una “costante” della vita d’impresa; la vera sfida sta perciò

nell’identificazione precoce dei cambiamenti esterni e interni, vissuti soprattutto

come opportunità. Non è più sufficiente monitorare ciò che accade dentro e fuori

l’azienda; è invece necessario individuare i segnali interessanti (o anomali) in un

contesto sociale, politico, amministrativo, culturale, tecnico, economico, ecc. di

movimento spesso vorticoso. Il business del presente e del futuro ha bisogno di

6

nuovi “sensori”, che completino il sostegno alle decisioni offerto dai sistemi MIS

(Management Information System).

Più che cambiare in tempo reale, c’è necessità di leggere in tempo reale ciò che

accade intorno a noi, per reagire prima che il pericolo si manifesti. È necessario

predefinire un modello che porti con sé la sicurezza, la trasparenza (in senso lato,

sia fisica che informatica) come elemento strutturale dell’azienda, e non più

rimanere alla sola imposizione del legislatore.

Da questo punto di vista, la compliance (la flessibilità, la capacità dell’azienda di

adeguarsi alle norme e alle leggi introdotte) agisce sull’innovazione della

sicurezza e della tecnologia nelle organizzazioni, riportando al centro le scelte

strategiche. Di compliance si è cominciato a parlare qualche anno fa con

l’introduzione negli Stati Uniti della Sarbanes-Oxley Act, poi di Basilea I e II in

Europa; ormai numerosissime sono oggi le norme e le leggi (pensiamo al d.lgs.

231/01 o al Codice della Privacy in Italia) che imbrigliano l’attività d’impresa e

costringono gli imprenditori a confrontarsi, forse per la prima volta, con

un’eccezionale complessità. Si tratta infatti di governare proattivamente il

cambiamento delle condizioni del contesto in cui l’azienda opera, non tanto per

evitare di trovarsi impreparati, quanto piuttosto per reagire con agilità alle novità

imposte da leggi, regolamenti e norme.

L’approccio proattivo alla compliance diventa innanzitutto una scelta che non può

prescindere dalla consapevolezza che ogni azione di governo messa in campo

diventi un’azione dalla durata teoricamente illimitata, subordinata all’esistenza

delle condizioni che ne hanno decretato la nascita, al tempo stesso però pronta a

trasformarsi in strumento di innovazione dei processi aziendali.

Governare un cambiamento incessante comporta costi elevati, sia in termini di

energie e risorse umane, che di costi di adeguamento da sostenere; la

contemporaneità degli adeguamenti richiesti fa sì che sia più economico ragionare

in termini di programmi e di processi di Compliance Management, piuttosto che

di progetti ad-hoc per singole regolamentazioni, alla ricerca di quell’iteratività che

permette di ottimizzare i costi. Fonti Gartner, per esempio, segnalano che prima

del 2007 il 75% delle società classificate “Fortune 500” si doteranno di una

governance capillare o di una vera e propria infrastruttura di compliance

(probabilità 0,8). Ci attende (e l’instabilità del contesto politico e sociale non fa

che dimostrarlo giorno dopo giorno) un periodo di progressivo inasprimento del

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quadro normativo, la cui gestione è ancor più complicata per la necessità di

contemperare istanze locali e globali.

Il Compliance Management, agendo sui processi operativi di business, è uno

strumento di governo che va diffondendosi almeno tra le aziende più grandi,

costruito sui tre pilastri che rappresentano, ovunque, gli elementi costitutivi su cui

nascono e agiscono leggi e norme. Permette innanzitutto di capire processi e

politiche, poi di documentarli (come richiesto sempre dalle leggi e dalle norme),

infine di monitorarli e controllarne l’evoluzione. Oggi infatti non è più sufficiente

soddisfare i “requisiti base”; è necessario promuovere (e dimostrare di averlo

fatto) un’autentica cultura aziendale che realizzi (e difenda) l’integrità

dell’informazione, il management dei processi, la sicurezza dei dati, i requisiti di

privacy, la continuità del business. Trasparenza e conoscenza condivisa

rappresentano così i criteri base che informano il governo del cambiamento e tutte

le attività di sviluppo della compliance.

Per garantire la gestione della compliance così come è stata descritta,

multinazionali e aziende globali hanno già creato una funzione aziendale interna

dedicata; si tratta del Corporate Compliance Officer (CCO), chiamato anche Chief

Compliance Officer o Chief Governance Officer (talvolta alle dipendenze dirette

del Chief Risk Officer), al quale è affidato il compito di standardizzare gli

obiettivi di controllo e di verifica interni ed esterni, oltre a quello di seguire tutti i

cambiamenti e le innovazioni necessarie per assimilare le nuove regole e le nuove

politiche. Nelle situazioni più articolate, il CCO ha a disposizione un gruppo di

lavoro che si fa interprete delle tendenze di sviluppo delle regole e delle norme e

comunica con i consulenti e gli auditor per assicurare che il programma di

adeguamento e mantenimento prosegua.

Perché poi la compliance porti effettivi benefici al business (e non si trasformi

piuttosto in una specie di buco nero che drena energie e risorse economiche) è

indispensabile che sia trattata come un programma di sostegno all’operatività.

Supporti organizzativi, metodologia per il controllo dei processi, controllo dei

contenuti diventano i tre sostegni della corporate governance che più di altri

influenzano l’adeguamento alle nuove norme.

Accanto al CCO, talvolta in alternativa, numerose aziende scelgono oggi di avere

un IT Compliance Manager (ITCM), al quale affidare le scelte tecnologiche

necessarie per realizzare gli adeguamenti di legge richiesti e la cosiddetta

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architettura per la compliance la cui costruzione non sempre richiede nuovo

software, più spesso richiede l’integrazione di applicazioni già disponibili,

utilizzando gli standard di riferimento. Le architetture per la compliance, inoltre,

supportano uno stile di management orientato alla prestazione; è il Corporate

Performance Management (CPM) che comprende i processi utilizzati per il

governo della Corporate Performance (dalla formulazione della strategia alla

definizione dei budget), le metodologie che guidano i processi individuati (per

esempio Balanced Scorecard o Valued-based Management), infine le metriche

utilizzate per le misure.

Realizzare strutture IT efficienti e flessibili è tuttora una delle prime dieci priorità

dei CIO, necessità che in questi anni si scontra con la difficoltà di disporre di

budget IT adeguati. L’azienda del Tempo Reale, infatti, si costruisce sulla

consapevolezza, la flessibilità, l’adattabilità e la produttività, cioè sui i

catalizzatori capaci di attivare e accelerare i processi. La consapevolezza

rappresenta la misura di quanto l’azienda davvero conosce delle informazioni e

delle attività necessarie a guidare l’intera struttura verso l’agilità. Il termine

flessibilità identifica la capacità di reagire ai cambiamenti previsti, mentre con il

termine adattabilità si intende la capacità di reazione all’imprevisto; infine la

produttività indica l’efficienza operativa dell’impresa. Flessibilità e agilità, in

particolare, superano la connotazione meramente produttiva e si trasformano in

elementi strutturali del tessuto sociale aziendale, chiamato ad adeguarsi al quadro

normativo senza stravolgere o mistificare la propria missione primaria, quella di

generare profitto. Ogni nuovo investimento finalizzato a ottemperare gli obblighi

di legge ha bisogno di trasformarsi in un investimento produttivo, che migliori la

prestazione; ecco perché il CPM è una componente critica della funzione di

compliance: senza la misura delle prestazioni non si misura l’impatto

dell’investimento sostenuto, non si può monitorare e controllare attivamente

l’azienda.

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Capitolo 1

LA FUNZIONE COMPLIANCE

1.1 LE RAGIONI DELLA COMPLIANCE

Da sempre gli uomini si sono battuti contro altri uomini per mantenere l’ordine,

prevenire e risolvere conflitti, al fine di garantire un’equa distribuzione delle

risorse. In questo secolo la regolamentazione giuridica ha prevalso come

soluzione alle minacce all’ordine e alla giustizia.

Il rispetto della legalità e della correttezza negli affari è, da sempre, elemento

indispensabile dell’attività d’impresa, fondata sulla fiducia. Peraltro, l’evoluzione

dei mercati, finanziari e non, in termini di innovazione dei prodotti, di

trasferimento di rischi e di proiezione internazionale, rende più complessi

l’identificazione e il controllo dei comportamenti che possono costituire

violazione delle norme, degli standard operativi, dei principi deontologici ed etici

dell’attività di intermediazione.

Nel mutato contesto è necessario, da un lato, promuovere una cultura aziendale

improntata a principi di onestà, correttezza e rispetto non solo della lettera, ma

anche dello spirito, delle norme; dall’altro, approntare specifici presidi

organizzativi, volti ad assicurare il rigoroso rispetto delle prescrizioni normative e

di autoregolamentazione, richiedendo l’istituzione di un’apposita funzione di

prevenzione e gestione del rischio di violazioni delle richiamate prescrizioni.

Lasciando la piena discrezionalità nella scelta delle soluzioni organizzative più

idonee ed efficaci per realizzarli.

La funzione di conformità alle norme ha un’importanza determinante in termini di

creazione di valore aziendale, conseguibile attraverso il rafforzamento e la

preservazione del buon nome della società e della fiducia del pubblico nella sua

correttezza operativa e gestionale.

Nel perseguimento di questi obiettivi, l’attenzione delle aziende dovrà soprattutto

rivolgersi agli utenti dei beni e servizi offerti, non solo attraverso la puntuale e

coerente applicazione della disciplina posta a tutela della clientela, ma anche

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assicurando loro un’informazione completa che promuova la consapevole

assunzione delle scelte.

Dotarsi di una funzione “Compliance” è divenuta quindi una necessità, non solo

perché le norme lo prevedono, ma soprattutto perché le sfide che si devono

affrontare lo impongono. Le dimensioni, la molteplicità e la diversità delle attività

svolte non cessano di crescere, le attività operative sono sempre più

decentralizzate. Tutto ciò comporta un notevole aumento dei rischi.

Nello stesso tempo l’ambiente si è evoluto. Gli scandali finanziari degli ultimi

anni negli Stati Uniti e in Europa, lo sviluppo dei mercati finanziari mondiali, i

rischi sistemici che potrebbero provocare perdita di fiducia nel sistema, le

richieste delle autorità di vigilanza, spingono per una sempre più elevata

autoregolamentazione e capacità di autocontrollo.

Le banche così come le altre realtà imprenditoriali, devono fare i conti con queste

normative trasversali, difficili da afferrare nei vari aspetti che le compongono

(giuridici, organizzativi, informatici, logistici, etc.), la cui violazione comporta

sanzioni particolarmente pesanti, anche di carattere penale, spesso irrogate

direttamente da distinte autorità che hanno competenza specifica su quella

materia. Senza contare l’impatto della violazione accertata all’immagine, alla

reputazione e, in ultima analisi, alla stabilità della società o dell’ente, valori

divenuti sempre più importanti e la cui sottovalutazione può comportare anche

danni economici ben superiori alle stesse sanzioni penali o amministrative subite.

Negli ultimi anni, sia a livello internazionale che nazionale, la cronaca finanziaria

ci ha permesso di assistere ad una serie di eventi, non difficilmente definibili

catastrofici, del settore.

Sono molteplici i motivi che hanno portato alla necessaria istituzione della

funzione compliance all’interno delle aziende, a partire dall’aumento delle

regolamentazioni in relazione ai diversi scandali e dagli ingenti danni subiti dai

risparmiatori, avvenuti sin dalla metà degli anni ’70 come lo scandalo Watergate,

fino ad arrivare ad oggi con gli scandali di Enron e Worldcom negli Stati Uniti e

di Parmalat, Cirio e Giacomelli in Italia.

11

Grafico 1.1 – Cronologia

A partire dall’inizio degli anni ’90 negli Stati Uniti a seguito dei disastrosi

scandali, la “compliance profession” nasce e si afferma negli uffici legali delle

grandi banche, delle assicurazioni e delle multinazionali, rafforzando i controlli

attraverso leggi che hanno aumentato il rischio per gli amministratori e il

management di tutte le imprese.

Nel caso della Enron, il titanico fallimento della regina texana è andata ad

intaccare la vita dei cittadini qualsiasi, travolgendo decine di migliaia di piccoli

risparmiatori, portandosi via 80 miliardi di dollari in valore di fondi pensioni,

riducendo in miseria almeno 11 mila dipendenti lasciandoli senza pensione, in

quanto il fondo pensione dei dipendenti della Enron, aveva investito in modo

sproporzionato in azioni e obbligazioni Enron. E tutto questo mentre il presidente

della società, Kenneth Lay, e i suoi amici al vertice, incassavano milioni di dollari

liquidando milioni di azioni e di obbligazioni prima che il pubblico sapesse le

reali condizioni in cui versava la società e prima ancora che il loro valore crollasse

da un massimo di 90 dollari ai 60 centesimi di oggi. Il disastro della società era

ben noto ai suoi dirigenti che preparavano i libri contabili a uso e consumo degli

auditors della Arthur Andersen, colpevoli, al minimo, di avere prese per buone le

carte che l'azienda dava loro. Esemplare caso dei rischi e dei prezzi che la

“deregulation” senza regole può far pagare.

Nel caso italiano migliaia di risparmiatori avevano dato fiducia a Callisto Tanzi e

soci, rimanendo travolti dal tracollo della società con conseguenze tangibili sulla

credibilità del sistema finanziario italiano. È subito venuta alla luce la gravità

12

dell’evento e delle sue possibili conseguenze sulla fiducia dei risparmiatori e di

conseguenza sull’economia del paese. Quando ormai si era compreso appieno la

truffa perpetrata per decenni da Parmalat e dai suoi amministratori, si è cercato di

capire cosa non abbia funzionato, quali siano state le lacune, le “maglie larghe”

nel sistema dei controlli che lo abbiano permesso. La politica, tra lunghi e accesi

dibattiti, ha cercato di rispondere alla sfiducia dei risparmiatori lavorando su una

nuova legge a tutela degli stessi, per ridare credibilità alla finanza italiana e non

permettere che in futuro si ripetano situazioni analoghe.

Questi sono solo un esempio delle crisi societarie che hanno fatto tremare dalle

fondamenta la finanza mondiale mettendo a nudo la facilità con la quale può

essere elusa qualsiasi normativa e ingannata qualsiasi autorità ad essa preposta,

smascherando la favola degli auditors infallibili, spezzando l'illusione della Borsa

come luogo ideale e sicuro per investire le pensioni.

Altre motivazioni alla compliance si possono trovare;

Nella diminuzione della presenza dello Stato, e dunque del controllo

sull’economia, attraverso le grandi operazioni di privatizzazione che negli

ultimi anni sono avvenute in Italia.

Nella necessità di dare un’immagine di azienda che rispetta tutte le leggi e

i regolamenti previsti, in quanto ciò aiuta ad aumentare la sensibilità della

clientela rispetto ai loro prodotti e al fine di avere quella trasparenza

necessaria per mantenere alto il valore di borsa unitamente ai rapporti con i

propri stakeholders e con altri soggetti esterni (agenzie di rating, stampa,

analisti finanziari).

Nell’opportunità di far fronte alla crescita esponenziale, in molti settori,

degli enti regolatori nazionali e internazionali, come autorità indipendenti, ai

quali rispondere; Antitrust, Consob, Banca d’Italia, Authority per la privacy,

Authority per le Telecomunicazioni, Authority per l’Energia, ecc.

Nella constatazione dell’elevata crescita dei costi, relativi al costante

aumento di “laws, rules and standards” a cui bisogna uniformarsi. In questa

prospettiva implementare una funzione di compliance, se dapprima farà

registrare anch’essa un aumento dei costi di personale, di impianto, di

procedure, dovrebbe, in previsione futura, comportare una forte diminuzione

dei costi riferiti al controllo della conformità, ma non nel numero e nella

qualità dei controlli stessi, necessari al fine di condurre ad una sostanziale

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diminuzione del rischio del manifestarsi di eventi negativi. Questo per effetto

della standardizzazione delle procedure informatizzate e dunque dei costi di

controllo umano.

Nel bisogno di creare una funzione al cui interno vi siano racchiuse

diverse professionalità: giuridiche, economico-aziendali, ingegneristiche e

altre professionalità tipiche del tipo di attività svolta dall’azienda. Definendo,

la relazione che la funzione Compliance deve avere con la funzione internal

audit. Si può supporre che, la funzione Compliance emani le direttive e che il

braccio operativo sia l’internal audit, senza però scartare la possibilità che la

stessa funzione di Compliance possa dotarsi di un certo numero di auditors,

anche se di numero molto inferiore rispetto a quelli presenti nell’internal audit.

Nell’esigenza di identificare chi deve nominare coloro che sono preposti a

tale funzione o meglio chi ne è il titolare. Questo rappresenta un punto molto

importante per definire i poteri che l’organizzazione intende affidare alla

nuova funzione. Definire a chi il responsabile della funzione compliance

debba riferire. Su questo ci sono almeno tre ipotesi:

♦ Deve rivolgersi all’Amministratore delegato o direttamente al

Presidente;

♦ Deve rivolgersi agli amministratori indipendenti;

♦ Deve rivolgersi al responsabile della funzione di internal audit

anche se in questo caso si creerebbe confusione in relazione al

rispetto dei livelli gerarchici.

In tale ambiente la funzione compliance ha la missione di vegliare affinché le

azioni intraprese dalle aziende siano coerenti con le regole di etica e deontologia,

con le disposizioni legislative e regolamentari e le proprie procedure interne. Per

poter raggiungere tale scopo è necessario che la funzione sia autonoma,

indipendente, professionale ed operativa e pertanto integrata nelle attività.

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1.2 IL PROBLEMA DELLA CONFORMITÀ

Le leggi riflettono i bisogni ed i valori attuali della società; di conseguenza, la

regolamentazione è una risposta, poiché raramente può anticipare o immaginare le

problematiche future, e ancora oggi richiede la definizione del problema e

l’identificazione di potenziali risoluzioni. In ambito internazionale, la

giurisprudenza non è l’unica forma di controllo sociale o di rivendicazione

normativa. Altre disposizioni comportamentali emergono dalla moralità, dalla

cortesia e dalle consuetudini sociali, che costituiscono parte delle aspettative

sociali.

Nella letteratura sulla regolamentazione, il termine “compliance” assume due

accezioni: quella principale verte sulle popolazioni di riferimento della

regolamentazione, sui limiti entro cui queste vi si conformano e le loro

motivazioni; la seconda è nata da un approfondimento sugli enti regolatori, sul

genere di strategie applicative normative impiegate e da impiegarsi.

Nel secondo caso, il termine compliance ha assunto un significato specialistico,

alquanto in contrasto con il primo, che guarda all’approccio regolatore, piuttosto

che alla risposta delle popolazioni di riferimento. Si tratta di un approccio

regolatore particolare che vuole garantire la compliance, contando soprattutto

sulla persuasione e cooperazione, anziché sulle sanzioni e pene legali.

Invece nel primo caso, la compliance definisce l’aspetto cooperativo e persuasivo

dell’attuazione regolamentare che, in quanto modello normativo, la pone a

confronto con l’approccio deterrente, il quale presuppone che le imprese operino

secondo i proprio interessi. Fin quando le aziende avranno come obiettivo

principale la massimizzazione del profitto, non potranno che essere degli amorali

calcolatori, rispettosi delle regole solo se le pene saranno abbastanza pesanti per

cui converrà evitarle, guardando alla compliance come al risultato di

un’equazione tra i benefici della “non-compliance” e la possibilità di venire

scoperti e puniti, in maniera severa. Nel complesso, si presume che le motivazioni

fornite dal metodo deterrente sono il timore della pena, piuttosto che il calcolo

razionale dell’onere potenziale delle pene e delle sanzioni.

Studiosi di legge ed economia assumono che tale approccio funzionerà solo in

presenza di ristrette circostanze: le aziende rivelano un’assoluta tendenza alla

massimizzazione del profitto; la giurisprudenza stabilisce senza ambiguità i

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comportamenti scorretti; le pene legali forniscono l’incentivo primario alla

compliance aziendale; gli organismi esecutivi scoprono e puniscono i

comportamenti scorretti, utilizzando le risorse disponibili. Perlopiù queste

premesse non sono sempre valide, quindi un semplice modello deterrente non è

molto utile per spiegare cosa spinge le imprese a rispettare la legge, e questo sia

perché gli enti regolatori non sono così potenti ed efficienti come invece

dovrebbero essere per far funzionare l’approccio deterrente, sia perché vista l’alta

remunerazione e l’irrilevante penalizzazione di così tanti tipi di violazioni

aziendali, l’aspetto minatorio delle sanzioni non è abbastanza grave per distogliere

dalla non-compliance. Questo perché le conseguenze economiche della non-

compliance, che non attirano l’attenzione su di se generando un qualche tipo di

crisi, vengono spesso trascurate da un management troppo occupato.

L’imposizione di pene consegue un miglioramento per la sicurezza delle imprese,

in quanto attira l’attenzione del management sul rischio che altrimenti sarebbe

stato trascurato. Solitamente, la razionalità limitata delle imprese e del top

management – cioè la capacità limitata delle persone e delle aziende nel trattare

informazioni nel corso di un processo decisionale – si riferisce al fatto che in

molti non valutano affatto la redditività razionale relativa alla compliance. Solo

nel caso in cui accadesse qualcosa che attiri l’attenzione sul rischio della non-

compliance, l’approccio deterrente diverrebbe reale. Nell’eventualità di un

disastro di natura politica o economica, o qualora le aziende fossero abbastanza

grandi, affermate, altamente individuabili e quindi attente alla loro pubblica

immagine, solo allora sarebbe possibile un approccio di tipo deterrente.

Molte aziende sono incentivate a rispettare la legge, o ad apparire conformi ad

essa, così da conservare agli occhi del governo, del mercato e del pubblico una

certa legittimità.

Nel campo economico si cerca di attestare che gli individui e le aziende non

prendano decisioni sempre ed unicamente sulla base di calcoli finanziari, ma

considerino anche una varietà di altri fattori sociali ed ambientali, compresi i loro

valori e le aspettative altrui che ne influenzeranno le azioni.

Gli studiosi1

1 Il concetto di isomorfismo organizzativo è stato introdotto da Meyer e Rowan nel 1977 nell’ambito della teoria neoistituzionalista. Tale concetto indica i processi attraverso i quali organizzazioni dello stesso tipo (università, ospedali,…) tendono ad assomigliare sempre più tra

hanno descritto tre forme di “isomorfismo istituzionale” che

chiariscono come le imprese utilizzino pratiche e strutture provenienti dal proprio

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contesto sociale, oltre quanto venga strettamente richiesto dai parametri finanziari

e tecnici in cui operano: si ha “isomorfismo mimetico” quando le imprese si

rifanno a strategie di apparente successo in altre simili compagnie; si ha

“isomorfismo coercitivo” quando le aziende sottostanno alle pressioni di soggetti

esterni potenti come lo stato; si ha “isomorfismo normativo” quando le imprese

importano le pratiche di compagnie professionalmente superiori. Questi

meccanismi mostrano come le aziende tendono ad adottare la compliance anche

quando non è propriamente nel loro interesse finanziario.

L’ipotesi che la maggior parte degli individui o delle imprese tende solitamente a

conformarsi alla legge per fiducia nel ruolo normativo e interesse personale a

lungo termine, è la base della teoria per cui sarebbe preferibile l’applicazione di

regole persuasive e cooperative piuttosto che punitive. Sebbene le strategie

persuasive e cooperative non siano sempre adeguate, in caso di successo, risultano

migliori delle sanzioni punitive, in quanto efficacemente ed effettivamente

producenti una compliance a lungo termine.

Una buona percentuale della ricerca empirica sociologica e psicologica converge

sull’assunto che le alternative informali e non coercitive sono potenzialmente più

efficaci delle disposizioni repressive nell’ottenimento della compliance alla

normativa a lungo termine. In tale contesto, la legislazione coercitiva risulta più

efficiente solo come soluzione di scorta o ultima risorsa.

L’attenzione degli studiosi si è quindi concentrata sull’analisi delle alternative alle

cosiddette strategie di comando e di controllo tradizionali, le quali si poggiano su

una semplice teoria deterrente. In particolare si tiene conto di un approccio

olistico alla regolamentazione, concreto e volto al risultato, cioè su ciò che

funziona, piuttosto che su posizioni puramente ideologiche riguardanti la forma

legale più auspicabile, e ad una verifica dell’efficacia delle strategie normative

che si avvarranno della complessità e della varietà delle motivazioni alla base

della compliance.

loro adottando strutture, strategie e processi simili. Meyer e Rowan osservano che in generale le organizzazioni operano in un contesto altamente istituzionalizzato, che stabilisce normative e criteri di razionalità ai quali le organizzazioni devono adeguarsi per potere essere giudicate efficienti. Lo studio dei processi di isomorfismo è stato approfondito da Powell e DiMaggio, i quali identificano tre tipi di isomorfismo, coercitivo, mimetico e normativo

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La tesi più autorevole2

Una tematica centrale all’attuale ricerca sulla regolamentazione, per comprendere

la compliance, consiste nel capire come le disposizioni governative interagiscano

con le altre forme direttive come l’autoregolamentazione, la consulenza interna e

le azioni di altre categorie come i gruppi professionisti (revisori, avvocati,

consulenti del lavoro), le autorità responsabili per l’emanazione di disposizioni,

imprenditori e associazioni industriali. Gli studiosi

sulla migliore combinazione di strategie normative è la

piramide delle strategie applicative, cioè una rappresentazione schematica del

pensiero secondo il quale, invece di usare prima le strategie normative più

drastiche, i regolatori dovrebbero stimolare i destinatari delle disposizioni,

incoraggiandoli a conformarsi volontariamente, adottando delle misure più

drastiche solo qualora dovessero fallire e tornare ad una condotta di responsabilità

solo in seguito al raggiungimento dell’obiettivo. La compliance è perfezionata da

una regolamentazione che risulta eventualmente cooperativa, esauriente e

tollerante. In questa dimostrazione, dare priorità nel tempo a delle soluzioni

normative ristoratrici e volte alla compliance, garantisce che le misure volontarie

e cooperative vengano usate più frequentemente, senza compromettere la

possibilità di adottare dei provvedimenti più duri laddove necessari.

3

Un argomento di interesse crescente sia per gli studiosi della compliance che per i

responsabili delle scelte politiche è l’aumentata applicazione dei sistemi aziendali

formali per la “regulatory compliance”.

utilizzano il concetto di

“pluralismo regolamentare” per spostare l’attenzione sul fatto che lo stato non è

l’unica fonte normativa. Questo interesse alle varie forme di regolamentazione ha

portato i ricercatori ad osservare nuovi settori, quali il sistema di consulenza

interna per la compliance, quello delle disposizioni sulla gestione aziendale,

quello dei terzi, in quanto tutori degli obiettivi politici, e quello degli incentivi alla

direzione della compliance.

I sistemi di compliance sono un’opportunità per l’impresa stessa di

responsabilizzarsi, rispettando gli obiettivi normativi, piuttosto che venire

appesantiti da ulteriori direttive. Un programma competitivo di compliance

2 Mizruchi, M.S., (1999), The Social Construction of Organizational Knowledge: A Study of the Uses of Coercive, Mimetic, and Normative Isomorphism, in “Administrative Science Quarterly”, dicembre 1999 3 H. Petersen, H. Zahle (eds.), 1995, “Legal Policentricity: Consequences of Pluralism in Law, Darthmouth”, Aldershot. C. Taralli, “Vicende del pluralismo giuridico tra teoria del diritto, antropologia e sociologia”

18

dovrebbe mirare alla compliance attraverso il raggiungimento concreto degli

obiettivi normativi, quali un ambiente più sano, un posto di lavoro più sicuro e dei

consumatori e risparmiatori ben informati. L’approccio della maggior parte dei

regolatori e delle imprese, in relazione alle questioni di compliance, non ha ancora

ottenuto le condizioni ideali postulate dalla dottrina.

1.3 COMPLIANCE E LAWS, RULES AND STANDARDS

Per affrontare questa nuova e non facilmente decifrabile funzione, originaria nel

mondo anglosassone, ma già in parte regolamentata in alcuni paesi dell’Europa

continentale, è bene partire dalla definizione fornita dal comitato di Basilea.

Nella sfera economica Basilea4

La definizione di Basilea conferisce alla funzione Compliance un ambito ampio e

diversificato, attribuendole una missione particolarmente onerosa.

definisce il “compliance risk”, come “An

independent function that identifies, assesses, advise on, monitors and reports on

the bank’s compliance risk, that is, the risk of legal or regulatory sanctions,

financial loss, or loss to reputation a bank may suffer as a result of its failure to

comply with all applicable laws, regulations, codes of conduct and standards of

good practice (together “laws, rules and standards”)”. Ovvero è un’attività che

identifica, valuta, consiglia, controlla e riferisce in merito al rischio di: sanzioni

legali o amministrative, perdite finanziarie, deterioramento dell’immagine della

banca per il mancato rispetto di leggi, regolamenti, procedure e codici di condotta,

best practices.

In concreto i compiti attribuibili alla compliance, a partire dalle normative di

impatto generale sono così riassumibili:

Assistere le strutture aziendali nell’applicazione dei regolamenti delle

rispettive attività;

Segnalare le possibili ricadute che nuove regolamentazioni (leggi,

regolamenti e procedure) possono produrre sulle strutture e sulle

rispettive attività;

4 Bank for International Settlements. Basel Committee on Banking Supervision, “Compliance and the compliance function in banks”, April 2005. www.bis.org.

19

Contribuire alla soluzione di situazioni di non corrispondenza alle

norme rilevate nelle specifiche aree operative;

Promuovere, ove ritenuto necessario e opportuno, interventi di audit

interno;

Assicurare le relazioni con le autorità di controllo esterno;

Diffondere una cultura compliance – ossia di conformità dei

comportamenti alle regole esterne ed interne, ivi comprese quelle

deontologiche – e ciò attraverso interventi formativi e di

sensibilizzazione di tutti i collaboratori dell’azienda;

Stabilire standard e procedure che siano atti a ridurre la possibilità di

condotte illegali.

Naturalmente per svolgere tali compiti la funzione dovrà rapportarsi direttamente

al vertice aziendale e, in particolare, al consiglio di amministrazione, nonché

intrattenere stretti rapporti con l’audit, con l’operational risk e con il servizio

legale.

L’ambito dell’attività, oltre alle normative di impatto generale, riguarda in

generale: i rischi operativi, la “corporate governance” aziendale e, in una

accezione più ampia, estesa all’etica e alla deontologia di tutti i collaboratori

aziendali.

Si è in presenza di materie di carattere generale che impattano direttamente su

aspetti reputazionali, oltre che sanzionatori, e la cui disciplina presenta alcuni

tratti particolari e caratteristici di un preciso atteggiamento del legislatore:

Si tratta di materie dove è rilevante l’aspetto di autoregolamentazione;

infatti è lo stesso legislatore che attribuisce alle imprese il compito di

introdurre regole interne e ciò anche in settori tradizionalmente pubblici,

come quelli affini alla regolamentazione penale (ad esempio nel caso del

riciclaggio e della responsabilità, ex d.lgs. 231/2001);

Si evidenzia inoltre un impatto negoziale in quanto l’azienda al suo interno

nel dettare le regole deve coinvolgere i diversi interlocutori aziendali;

Agli aspetti giuridici e negoziali si uniscono, con importanza sempre

crescente, gli aspetti organizzativi.

20

Un approccio di questo tipo può, in ultima analisi, condurre ad un cambiamento

strategico nella gestione del rischio, in quanto il percorso interno all’azienda può

avere come obiettivo finale quello di dotarsi di una funzione di compliance, a

fronte di una pluralità di funzioni coinvolte nella gestione dello stesso (audit, risk

management, organizzazione, aree di business).

Il rischio di non-compliance deve essere affrontato in maniera organica all’interno

dell’organizzazione attraverso una struttura “dedicata”, la funzione compliance

appunto, come per altro avviene già all’estero, Stati Uniti, Francia e Gran

Bretagna soprattutto.

Sono due gli aspetti sui quali bisogna soffermarsi; il primo riguarda il fatto che la

compliance non deve puntare alla mera interpretazione ed applicazione delle

norme ma, nelle materie di competenza, deve adottare efficaci norme interne e

interventi organizzativi, talvolta complessi, dedicandovi personale con specifiche

competenze giuridiche, economiche ed organizzative. Corollario di questa

impostazione è la altrettanto forte necessità di definire con chiarezza che tipo di

attività di controllo attribuire alla funzione compliance per evitare duplicazioni,

sovrapposizioni e contrasti tra le altre funzioni aziendali, soprattutto audit e

operational risks. In quanto, la funzione compliance assume ancora maggiore

efficacia nella misura in cui è indipendente e autonoma dalle altre funzioni.

Resta comunque predominante nelle compliance l’aspetto di funzione che opera

ex-ante e in modo proattivo nell’esaminare, valutare, dare impulso e adottare

soluzioni nelle materie a rischio compliance, passando da strumento che assicura

la mera conformità alla norma, a strumento che crea valore, realizzando per

l’azienda un vantaggio competitivo; il secondo importante aspetto, riguarda

l’organizzazione complessiva della compliance; in tal senso è indispensabile un

forte impulso da parte dell’intero vertice aziendale, che dovrebbe riguardare tutto

l’universo dell’impresa, dai vertici fino alle strutture operative, con un ruolo ben

definito, affidato ad un responsabile, strutturato e con ampi poteri di accesso alle

informazioni. Operazioni cosmetiche e di facciata hanno il fiato corto, aumentano

inutilmente i costi ed espongono l’azienda ad ulteriori e maggiori rischi di

sanzioni economiche e di ricadute negative sulla reputazione aziendale.

Questo approccio rappresenta una soluzione ottimale, consentendo una completa

articolazione di controlli e monitoraggio dei rischi, precisando che, così come

21

indicato nel documento di Basilea, l’adeguatezza e l’efficacia della funzione

compliance è sottoposta alla verifica e controllo dell’audit.

È comunque necessaria un’intensa collaborazione, e ciò anche in considerazione

della interrelazione tra le funzioni poste a tutela dei diversi rischi (solo a titolo di

esempio; l’audit ricomprende nella sua attività il controllo periodico sulla

compliance ed a sua volta in sede di ogni intervento ispettivo deve tra l’altro

verificare anche l’effettivo rispetto delle regole di compliance).

L’argomento della misurazione del contributo5

In generale, infatti, sono facilmente misurabili le attività contabilizzabili, ossia

quelle risultanti dal bilancio. In questo ambito, paradossalmente, la compliance

potrebbe essere misurata solo in negativo, almeno per la parte delle sanzioni e

delle perdite subite, o per la sua incidenza sui costi aziendali, derivanti dalla sua

non corretta applicazione. Ovviamente ciò non è soddisfacente in quanto, secondo

tale impostazione, l’attività sarebbe valutabile solo in presenza di oneri; è quindi

utile cercare di individuare dei possibili indicatori di performance della funzione.

che può fornire una funzione

compliance, al pari di quello delle altre funzioni di controllo o di staff, è un

argomento difficile da affrontare, ma sicuramente stimolante.

Non si tratta di accademia, ma di una indagine necessaria finalizzata a definire

efficaci indicatori sia quantitativi che qualitativi della funzione.

Per quanto riguarda i primi, sono rinvenibili:

Nel numero e importanza degli interventi di analisi e valutazioni

effettuate;

Nella tempestività della reportistica ai vertici aziendali;

Nella frequenza delle richieste di pareri e interventi da parte delle strutture

operative e non operative;

Nel numero di interventi di sensibilizzazione e formazione effettuati,

nonché nel numero delle risorse coinvolte.

È necessario al riguardo, dotarsi di chiari ed efficaci strumenti organizzativi

preventivi ed a consuntivo; in sostanza, di un programma annuale che individui

con precisione attività ed interventi e, di una reportistica periodica ed a

5 Mauro Cicchinè, presidente Dexia Crediop, “funzione compliance: attività e indicatori di performance”, convegno ABI, “modelli, strumenti e benchmark per la funzione compliance”, Roma, 25-26 ottobre 2005

22

consuntivo, che sia in grado di evidenziare gli scostamenti, in più o in meno,

rispetto al programma.

Sicuramente più rilevanti e ancor più difficili da individuare e da misurare sono

quelli qualitativi, tra questi:

Capacità innovativa nelle soluzioni prospettate;

Proattività rispetto ai problemi affrontati;

Autorevolezza acquisita nei confronti dei vari stakeholder interni ed anche

esterni;

Presenza reale all’interno dell’azienda e dei diversi organismi decisionali;

Certezza e efficacia degli interventi.

È da evidenziare che tali indicatori incidono sul rafforzamento dell’elemento

reputazionale dell’azienda.

Ancora, capacità di muoversi rapidamente nell’ambito di contesti normativi

interni ed esterni complessi, trovando soluzioni tempestive, efficaci e sostenibili

nel tempo. Sarebbe al riguardo interessante, ai fini di pervenire a forme di

misurazione con rilevanza anche esterna, inserire tra le materie oggetto di rating

(valutazione), la stessa attività di compliance, (attualmente rating specifici in

materia riguardano la sola corporate governance).

Un ultimo indicatore, straordinariamente importante, riguarda la formazione, sia

per il radicamento a tutti i livelli di una forte consapevolezza sulla “mission”

compliance, sia per lo sviluppo di competenze relazionali e deontologiche. Una

buona formazione trasmette i valori che sono alla base del patto sociale tra

azienda, clienti, dipendenti, volta allo sviluppo delle capacità di comportamento

etico da parte dei collaboratori.

Ciò significa rafforzare una cultura comune e un’identità aziendale sempre più

forte e fidelizzante, riducendo gli oneri per l’assunzione di nuove risorse e

fornendo un ulteriore strumento per attrarre i migliori talenti.

1.4 CORPORATE SOCIAL RESPONSABILITY (CSR)

23

Un punto di collegamento interessante da evidenziare è tra la compliance e la

responsabilità sociale d’impresa (CSR).

La compliance rappresenta le fondamenta sulle quali può essere costruita una

concreta politica di CSR; infatti, non si può parlare di azienda socialmente

responsabile se questa non rispetta le norme esterne e interne, se non assume

regole trasparenti di corporate governance, se non attua comportamenti

deontologici.

A sua volta l’azienda che sceglie di adottare politiche di CSR, deve essere in

grado di monitorarle nel continuo, di interpretarle e di diffonderle; ed a queste

attività può dare impulso la compliance.

È difficile trovare una definizione di CSR universalmente accettata6

Anche l'abbreviazione CSR, dall'inglese "Corporate Social Responsibility", è

spesso utilizzata.

, esistono in

letteratura varie proposte e varie interpretazioni, ma nessuna può, al momento,

ritenersi più autorevole di altre. Inoltre al concetto di "responsabilità sociale", se

ne affiancano spesso altri, apparentemente sinonimi, come "sviluppo sostenibile",

"integrità aziendale", approccio "triple-bottom-line", eccetera.

Dovendo spiegare in breve il valore attribuibile alla responsabilità sociale da parte

delle imprese che si vantano di perseguire questo scopo, bisognerebbe riassumere

le varie definizioni in un concetto di questo tipo, non certo di immediata

comprensione: "Al fine di evidenziare la propria gestione responsabile nei

confronti della popolazione e dell'ambiente in cui operano, le imprese integrano

nei propri interessi commerciali e nelle proprie operazioni gli aspetti sociali ed

ambientali su base volontaria, ed estendono questa preoccupazione anche a tutti

coloro che, identificabili sotto il termine anglosassone di stakeholder, portano

interessi all'impresa stessa, cioè influenzano il suo comportamento o sono

influenzati da esso."

Le imprese compiono pertanto un investimento sul capitale umano ed ambientale,

che coinvolge anche le condizioni di salute e di sicurezza sul lavoro dei lavoratori

ad ogni livello.

6 Roberto Ravaglia, Coordinatore Comparto “Gestione aziendale” dell'UNI (Ente Nazionale Italiano di Certificazione), “Come può essere definita la responsabilità sociale delle imprese”.

24

Il COPOLCO7, nel gruppo di lavoro che ha preparato un rapporto all'ISO8

Quella del "World Business Council on Sustainable Development

sulla

protezione del consumatore nel mercato globale, ha raccolto alcune definizioni,

presentandole con alcuni commenti. 9

Un'altra definizione insiste più sul collegamento delle decisioni legate alla

responsabilità sociale con il "business" derivato dai valori etici del rispetto degli

strumenti legali e della popolazione, delle Comunità e dell'ambiente.

" può essere

approssimativamente tradotta come il tentativo di un "business" di contribuire allo

sviluppo economico sostenibile, tramite il coinvolgimento degli operatori, delle

loro famiglie, della comunità locale e della società nella sua accezione più ampia,

con il fine di migliorare la qualità della vita. In quest'ottica, la responsabilità

sociale si associerebbe alla crescita economica e all'ecologia per contribuire allo

"sviluppo sostenibile".

Più semplicemente, il "Canadian Centre for Philanthropy" vede questo termine

come un insieme di pratiche di gestione aziendale che massimizzano gli impatti

positivi e minimizzano quelli negativi legati alle proprie operazioni.

La "Corporate social responsibility Newswire10

Tutte queste definizioni sembrano comunque ruotare attorno al concetto di "triple-

bottom-line", uno schema ambizioso per misurare e registrare le prestazioni

aziendali sotto il profilo economico, sociale e ambientale.

" la definisce invece

"l'integrazione di tutte le operazioni di mercato e di tutti i valori in cui sono

rispettati gli interessi di tutte le parti coinvolte, includendo i clienti, i dipendenti, i

finanziatori e l'ambiente". Non resta che lasciare ad ognuno la scelta della

definizione che piace di più...

7 COPOLCO, Comitato ISO per le politiche dei consumatori 8 L'Organizzazione Internazionale per le Standardizzazioni (ISO) è un organismo internazionale per la definizione degli standard, composto da rappresentanze di organi nazionali, che produce standard industriali e commerciali a livello mondiale. 9 World Business Council on Sustainable Development, Associazione di 160 aziende internazionali unite dal comune impegno per lo sviluppo sostenibile 10 CSRnews WIRE è una delle principali fonti della responsabilità sociale e sostenibile d’impresa, con comunicati stampa, rapporti e informazioni, i cui membri sono aziende, agenzie e organizzazioni sensibili al tema della CSR.

25

Figura 1.1 – Triple bottom line

Le imprese, negli ultimi decenni, hanno capito che la loro sopravvivenza e il loro

successo nel mercato internazionale non sono legati solo al raggiungimento di una

determinata performance in termini di profitto, ma anche all’assolvimento di

finalità di natura sociale.

Oggi, infatti, ad un prodotto non viene chiesto solo di avere un buon rapporto

qualità/prezzo, ma anche un basso impatto ambientale, un’equa retribuzione e

condizioni di lavoro accettabili per chi l’ha prodotto11

Da questo nasce una nuova importante “cultura d’impresa” che si sta diffondendo

nei giorni nostri: la responsabilità sociale d’impresa (RSI

.

12

Per prima cosa bisogna chiarirne il significato e comprendere verso chi l’impresa

di oggi deve essere responsabile.

).

La Commissione Europea, nel 2001, definisce la RSI attraverso l’approvazione di

un Libro Verde, in questi termini:

11 Pilar Pérez, Divisione Normazione AENOR, “La responsabilità sociale delle imprese arriva alla normazione”. Le organizzazioni esercitano quindi la responsabilità sociale dovendo soddisfare come minimo le esigenze delle parti interessate. Investitori ed azionisti sono una "categoria particolare di consumatori" ogni volta più consapevoli del modo in cui le aziende svolgono la propria attività. Per questa ragione ci sono nel mercato strumenti quali gli indici “Dow Jones Sustainability” e “FTSE4Good” che aiutano gli investitori a collocare i propri risparmi in organizzazioni socialmente responsabili. Le politiche sociali ed ecologiche responsabili sono per gli investitori un indicatore di una buona gestione interna ed esterna delle imprese. 12 Così verrà indica la Responsabilità sociale d’impresa nel corso del lavoro che si occuperà principalmente del tema nelle aziende profit oriented. Per una dettagliata analisi dell’argomento della Responsabilità sociale nelle aziende non profit di natura pubblica si rinvia a G. Farneti e S. Pozzoli (a cura di), Bilancio sociale di mandato. Il ciclo integrato di strategia e controllo sociale, IPSOA, Milano, 2005.

26

“La maggior parte delle definizioni della responsabilità sociale delle imprese

descrivono questo concetto come l’integrazione volontaria delle preoccupazioni

sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro

rapporti con le parti interessate.

Essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli

obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là investendo “di più” nel

capitale umano13

”.

Il termine “responsabilità” racchiude in sé l’impegno dell’impresa a rispondere di

tutti i propri comportamenti e risultati e a stabilire una comunicazione con gli

stakeholder che sia in grado di costruire un rapporto basato sulla fiducia e sullo

scambio di idee per il benessere comune.

Sottolinea inoltre come questo concetto debba andare ben oltre il mero rispetto

della legislazione vigente. L'incoraggiamento allo sviluppo di questo interesse

dovrebbe portare addirittura ad una crescita aziendale, in base agli aspetti positivi

che compensano abbondantemente l'apparente incremento dei costi.

Questi aspetti positivi sono la trasparenza, la miglior immagine sociale che si

ripercuote anche sulle possibilità più elevate di ottenere finanziamenti, il

miglioramento delle condizioni di lavoro e lo sfruttamento ottimale delle risorse

umane, che consentono prestazioni migliori o minor assenteismo, eccetera.

Facendo leva su queste voci è possibile, è intenzione della Commissione, ed è

interesse di ogni cittadino, avvicinare le imprese con convinzione alla

responsabilità sociale.

L’impresa è infatti responsabile verso tutti i suoi stakeholder, ossia verso tutte le

persone che hanno un interesse nei suoi confronti e sui quali si ripercuotono le sue

scelte.

13 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Green Paper. Promoting a European Framework for Corporate Social Responsibility, Bruxelles, Commissione Europea, 2001, p.7.

27

Figura 1.2- Stakeholders view dell’azienda

Nell’ultimo ventennio si sono sviluppate delle nuove teorie come la Stakeholder

Theory14

In questa ottica, recentemente, sono stati introdotti tre nuovi concetti connessi alla

RSI:

.

sviluppo sostenibile: lo sviluppo che soddisfa i bisogni del mondo presente

senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare, a

loro volta, i propri bisogni15

cittadinanza d’impresa: implica l’oltrepassare i propri doveri (“oltre la

legge”) per contribuire a creare benessere nella comunità in cui l’azienda

opera. La cittadinanza d'impresa si fonda sulla convinzione che non esiste

antitesi tra risultati economici di lungo termine e responsabilità sociale

;

16

triple bottom line: si propone di incorporare il concetto di sviluppo

sostenibile nella misurazione delle performance aziendali, significa che le

imprese dovrebbero sviluppare investimenti sostenibili e decisioni

;

14 Per un esame dettagliato si rinvia a T. Donaldson e L. Preston, “The Stakeholder Theory of the Corporation: Evidence and Implications”, Academy of Management Review, 1995. 15 Concetto sintetizzato per la prima volta nel Brundtland Report, World Commission on Environment 1987. 16 M. Molteni (a cura di), Primo rapporto sulla Responsabilità Sociale d’Impresa in Italia, 2002.

28

societarie partendo dalla base (bottom), perseguendo simultaneamente tre

obiettivi (triple-line):

♦ un'equità sociale

♦ una qualità ambientale

♦ una prosperità economica.

Figura 1.3 – Triple bottom line

I fattori che hanno permesso il diffondersi della RSI sono principalmente di due

tipi:

il diffondersi dell’idea dell’impresa come “attore sociale”: l’impresa non

riveste più un ruolo puramente tecnologico od economico, ma anche

culturale e morale;

il diffondersi dell’etica come fattore competitivo: il cambiamento

dell’atteggiamento dei consumatori ha portato l’impresa a porre attenzione

anche ai valori17

.

In questo contesto competitivo, in continua evoluzione, l’impegno delle aziende

verso i propri stakeholder costituisce un importante fattore strategico alla base del

successo nel medio-lungo termine.

17 Cfr. A. Vaccari, Principi in pratica. Bilancio sociale e cittadinanza europea, Liocorno Editore, Roma, 1998.

29

Figura 1.4 – Stakeholder value

Fonte: API Lecco, ALUB, Sviluppo Non Profit, Workshop “Responsabilità sociale. Un scelta per l’impresa, Lecco, 17 febbraio 2005

Primi fra tutti sono appunto i consumatori a rivolgere alle aziende nuove richieste

di responsabilità sociale affiancandole alle domande tradizionali come la qualità

del prodotto, i servizi, ecc. Tutto questo viene testimoniato da un atteggiamento

più critico verso le imprese e dalla tendenza a punire quelle socialmente

irresponsabili attraverso, ad esempio, il boicottaggio degli acquisti dei loro

prodotti, come emerge da un’indagine condotta da Eurisko denominata

“Corporate social responsability Monitor 200418

” (grafico 1.2 e 1.3).

Grafico 1.2 – Responsabilità “tradizionali” delle aziende

18 Il “Corporate social responsibility monitor” è un’ampia indagine internazionale condotta ogni anno sui temi della responsabilità sociale delle imprese. Viene realizzata in 20 Paesi dagli istituti che fanno parte del network GlobeScan di cui Eurisko è il partner italiano.

30

Grafico 1.3 – Responsabilità ambientali e sociali

La CSR si presenta quindi come la concretizzazione della filosofia gestionale del

stakeholder value, contrapposto all’approccio ben più limitato del shareholder

value, l’obiettivo dell’impresa è in questo caso quello di generare profitto, ovvero

valore per gli azionisti.

La novità significativa apportata negli ultimi anni, rispetto ad una concezione

“tradizionale” di CSR, è l’integrazione della dimensione economica della CSR,

che viene spesso riportata sotto il concetto di corporate governance, in altre parole

“il buon governo” dell’azienda, inteso come rispetto di norme base di

comportamento al vertice aziendale in cui gioca il suo ruolo la compliance

(struttura, ruoli e comportamento del CdA, correttezza e massima trasparenza

nella gestione finanziaria, nel reporting finanziario e nella comunicazione

d’impresa, ecc..).

31

Figura 1.5 – Step di sviluppo della RSI

L’impegno assunto dalle imprese che, quindi, “volontariamente” decideranno di

seguire il modello della responsabilità sociale si concretizzerà in un

comportamento ecologicamente ed eticamente corretto: “l’eco e l’etico

compatibilità” diverranno i due principi fondanti dell’orientamento strategico

dell’impresa, e troveranno applicazione nella totalità degli ambiti della gestione

aziendale, divenendo il perno della gestione ed amministrazione delle risorse

umane, della fase di pianificazione e produzione, e della fase del marketing,

venendosi a creare una visione etica d’impresa.

L’ impresa può essere considerata il frutto della cooperazione tra differenti

soggetti, gli stakeholders, che istituiscono rapporti mediante diverse forme

organizzative e contrattuali, esplicite o implicite, per raggiungere uno scopo

comune. La missione aziendale risponde all’esigenza di definire ed identificare lo

scopo della cooperazione tra gli stakeholders. I valori sono tratti culturali che

identificano l’impresa come insieme organizzato di individui volti al

perseguimento della missione. La visione etica dell’impresa riunisce e supera sia

missione che valori. Il rapporto di cooperazione che si instaura fra i diversi

stakeholders si caratterizza per due fattori importanti:

i soggetti che aderiscono hanno interessi in parte concordanti e in parte in

conflitto;

32

ciascun soggetto si attende di beneficiare del risultato dell’attività

cooperativa, in quanto fa investimenti (di capitale, lavoro, conoscenza,

ecc.) per il raggiungimento dello scopo comune.

Dal momento in cui esistono aspettative ed attese legittime in parte contrattuali,

occorre dare ad esse un riconoscimento (parziale o completo) mediante la

definizione dei diritti e delle responsabilità che l’impresa stabilisce nei confronti

dei suoi stakeholders.

È necessario definire dei criteri di bilanciamento fra le pretese legittime degli

stakeholders, in modo tale che ciascuno possa ritenere di essere stato trattato

giustamente, ricevendo un’equa remunerazione rispetto all’investimento

compiuto. La visione etica è l’idea di giustizia propria di una particolare impresa

da cui deriva il criterio di valutazione e bilanciamento delle pretese degli

stakeholders e in base alla quale si decidono i comportamenti responsabili che

l’impresa deve tenere nei loro confronti.

Una tale visione esprime quindi l’idea di “contratto sociale” fra l’impresa e i suoi

stakeholders e costituisce un punto di equilibrio imparzialmente accettabile da

ciascuno, in base al quale ogni stakeholders può liberamente decidere di

contribuire o almeno non ostacolare il perseguimento della missione.

L’enunciazione dell’insieme dei diritti, dei doveri e delle responsabilità

dell’impresa nei confronti di tutti i suoi stakeholders, viene racchiusa nel Codice

Etico. Esso contiene i principi e le norme di comportamento, mediante le quali si

dà attuazione ai principi, che arricchiscono i processi decisionali e orientano i

comportamenti dell’impresa. Il codice etico esprime il “contratto sociale ideale”

dell’impresa e traduce in principi e norme operative i criteri etici adottati nel

bilanciamento di aspettative ed interessi degli stakeholders.

Per questo il Codice Etico è uno strumento di governo delle relazioni tra l’impresa

e i suoi stakeholders e di gestione strategica oltre che un insieme di regole di

condotta per il personale. Inoltre è il parametro di riferimento per esprimere

giudizi sensati e ragionevoli sulla affidabilità e buona reputazione dell’impresa.

Il Codice Etico è un documento ufficialmente approvato dal C.d.A che impegna

l’alta direzione e tutti i collaboratori dell’impresa. È infine uno strumento

volontariamente adottato dall’impresa.

33

Funzioni dello strumento:

Funzione di legittimazione morale: i diritti e le responsabilità dell’impresa

nei confronti degli stakeholders espressi nel Codice Etico, offrono i

termini in base ai quali tutti gli stakeholders possono riconoscere che le

loro aspettative ed attese legittime sono trattate equamente. Il criterio di

bilanciamento delle attese diventa la base per un accordo sulla

cooperazione mutualmente vantaggiosa.

Funzione cognitiva: il Codice Etico, attraverso l’enunciazione di principi

astratti e generali e di regole di comportamento precauzionali, consente di

riconoscere i comportamenti non etici (opportunistici) e di chiarire

l’esercizio appropriato (non abusivo) dell’autorità, della discrezionalità,

della delega e dell’autonomia decisionale di ciascun partecipante

all’organizzazione e di ciascun stakeholders.

Funzione di incentivo: il Codice Etico genera incentivi all’osservazione

dei principi e delle regole in esso contenute, dal momento che dalla loro

osservanza dipende il formarsi della reputazione dell’impresa e lo stabilirsi

di relazioni di fiducia reciprocamente vantaggiose tra l’impresa e gli

stakeholders.

Il contenuto: il Codice Etico contiene le seguenti parti:

Preambolo: fornisce in primo luogo, una definizione di Codice Etico,

incorpora la missione e la visione etica dell’impresa e un elenco completi

degli stakeholders dell’impresa;

Principi etici dell’impresa: definiscono le aspettative dei vari stakeholders

che si ritiene debbano avere una legittimità morale nei confronti

dell’impresa e il loro livello di soddisfazione. I principi stabiliscono quale

livello di soddisfazione equa delle aspettative è un diritto dello

stakeholders, rispetto al quale l’impresa si assume una responsabilità e il

trattamento equo delle aspettative di ciascun stakeholder. Stabiliscono le

responsabilità, cioè i doveri fiduciari, dell’impresa nei confronti dei suoi

stakeholders. I principi richiedono conformità e reciprocità. La richiesta di

conformità è essenziale perché da essa dipende la reputazione

dell’impresa. Tutti i soggetti che contribuiscono alla realizzazione della

34

missione sono chiamati all’osservanza delle norme del Codice Etico che li

riguardano.

Norme e standard di comportamento: esse devono essere formulate solo

dopo aver accuratamente identificato ed analizzato le aree critiche nei

rapporti con gli stakeholders, cioè le questioni e le situazioni in cui

possono manifestarsi casi di opportunismo o di comportamento non etico.

Occorre individuare le fattispecie astratte di opportunismo o di

comportamento non etico “tipiche” dell’attività aziendale. Le norme

possono essere di 2 tipi: divieti e standard preventivi di comportamento.

Procedure di attuazione e controllo: contiene una descrizione analitica dei

meccanismi e degli organi predisposti dall’organizzazione al fine di

attuare, monitorare e diffondere il rispetto e le conformità al Codice Etico.

Organi di attuazione e controllo: Comitato Etico aziendale e Ethics

Officer.

Revisione delle policies e procedure aziendali alla luce dei principi e

degli standard di condotta: l’intero edificio delle norme interne e delle

raccomandazioni deve essere coerente e per questo i principi e gli standard

generali di condotta restano essenziali per:

1) Valutare ex ante volta a volta le decisioni che devono essere prese

mediante l’esercizio di un “saggio” giudizio etico manageriale;

2) Giudicare ex post i comportamenti.

È fondamentale che la comunicazione all’interno e all’esterno permette al Codice

Etico di diventare determinante ed efficace nelle decisioni e nei comportamenti

aziendali, il che vuol dire farlo diventare patrimonio della cultura d’impresa. A

questo scopo si rende necessario informare e formare tutto il personale (dai

dirigenti ai neoassunti) tramite incontri che facciano innanzitutto conoscere

l’esistenza del Codice e i suoi contenuti e quindi insegnino ad applicarlo. Il

Codice Etico va infine comunicato anche agli altri stakeholders rilevanti, che

possono così giudicare, su tale base, i comportanti dell’impresa e richiederne a

loro volta una conformità.

La formazione etica in azienda si rivolge ad ogni membro dell’organizzazione, al

fine di metterlo in condizione di padroneggiare gli strumenti del ragionamento

morale necessari a discutere ed affrontare le questioni etiche connesse alle attività

35

aziendali e indispensabili per l’attuazione degli strumenti Q-RES19

Il modello Q-RES prevede sei strumenti per il management della qualità etico

sociale;

, che se adottati

volontariamente, possono rappresentare per l’azienda un vantaggio competitivo ed

accrescerne e migliorarne la reputazione.

♦ visione etica d’impresa;

♦ codice etico;

♦ formazione etica;

♦ sistemi organizzativi di attuazione e controllo;

♦ rendicontazione etico sociale;

♦ verifica esterna.

Ogni strumento è giustificato dalla sua funzione nel meccanismo della reputazione

ed è finalizzato ad accrescere la fiducia degli stakeholder verso l’impresa. Nelle

linee guida20

Le imprese assumono impegni in termini di responsabilità etico-sociale,

che vengono espressi per mezzo della dichiarazione della visione etica e

dell'elaborazione del Codice Etico d'impresa;

sono definiti i criteri di eccellenza per ogni strumento, alla luce di

standard e le “best practice” esistenti.

Gli impegni vengono ulteriormente specificati in relazione alle aree

critiche nei rapporti con gli stakeholders e sono integrati nello svolgimento

dell'attività aziendale tramite la revisione delle strategie, delle politiche,

delle norme di comportamento e delle procedure;

I collaboratori vengono informati degli impegni assunti dall'azienda e

vengono dotati degli strumenti cognitivi per la loro comprensione,

condivisione e applicazione tramite la comunicazione interna e le sessioni

formative;

19Nell'approccio Q-RES alla responsabilità etico-sociale d'impresa il criterio di bilanciamento è dato dall'idea del “contratto sociale” equo ed efficiente tra l'impresa e tutti gli stakeholder. Il tavolo di lavoro Q-RES è formato da: CELE - Centre for Ethics Law & Economics; A.I.I.A.- Associazione Italiana Internal Auditors; A.I.O.I.C.I. - Associazione Italiana Organismi Indipendenti; Bosch Rexroth; Certiquality; Coop Adriatica; Coop Consumatori Nordest; Enel; Glaxowellcome; Lindt; PWC; KPMG; SCS Azionninova; Sodalitas; Unicredito; Unipol. 20 Progetto Q-RES: La qualità della responsabilità etico-sociale d’impresa, linee guida per il management, ottobre 2001, CELE – Centre for Ethics, Law & Economics.

36

Tramite la formazione e i sistemi organizzativi bottom-up l'impresa cerca

di trasformare in prassi i principi etici dichiarati e di trasferire il suo

commitment verso gli stakeholders nei comportamenti effettivi,

riorientando la sua azione e performance economica in modo da renderla

coerente all'insieme dei valori e delle norme assunte;

Tramite i sistemi organizzativi top-down, come ad esempio l'audit etico

interno, l'impresa realizza il controllo sulla compliance, svolgendo

indagini statistiche su aree a rischio etico, raccogliendo segnalazioni e

stabilendo eventuali sanzioni;

Attivando il processo di rendicontazione l'impresa è in grado di misurare e

valutare la sua performance, cioè il grado di conseguimento dei risultati, e

di comunicarli agli stakeholders;

La comunicazione sociale agli stakeholders permette loro di valutare la

corrispondenza tra impegni dichiarati nel codice e comportamenti

osservati per mezzo delle interazioni e della comunicazione sociale e

conseguentemente di aumentare la loro fiducia nell'azienda nella misura in

cui le azioni sono conseguenti ai principi e alle norme stabilite;

L'accertamento della qualità degli strumenti di RES adottati dall'impresa,

tramite attività di verifica, infine, rende ancora più credibile l'impegno

dell'impresa.

Il Codice Etico è la base dell’intero meccanismo di reputazione su cui si fonda il

modello Q-RES ed è lo strumento che giustifica anche gli altri elementi. Infatti, la

formazione si rende necessaria per comprendere e applicare il ragionamento etico,

la rendicontazione ha lo scopo di misurare la performance etico-sociale e di

comunicare i risultati conseguiti o meno nel perseguimento del commitment; i

sistemi organizzativi di attuazione e controllo hanno la funzione di integrare gli

obiettivi e le strategie di business, e di attuare la verifica e il controllo della

conformità alle regole, ossia verificare sia la conformità delle azioni e dei

comportamenti alle norme di condotta, sia la revisione delle procedure aziendali

operata alla luce del Codice Etico (controllo della compliance).

Il messaggio che porta con sè questa nuova visione è che la CSR, inserita nella

strategia aziendale in modo opportuno, può permettere all’impresa di rafforzarsi

aumentando la creazione del valore.

37

Attraverso la RSI l’impresa deve riuscire a conciliare competitività e sostenibilità.

Uno degli strumenti usati dalle aziende per rendicontare l’impatto delle proprie

decisioni sulle comunità e sugli individui è il Bilancio sociale.

La valutazione della performance di un’impresa non può più limitarsi solo

all’analisi economica, ma deve anche riguardare quella ambientale e in particolar

modo quella sociale.

Il Bilancio Sociale integra il sistema della comunicazione d’azienda e si configura

come uno strumento utile al fine di dare espressione al processo di

responsabilizzazione dell’azienda nei confronti degli stakeholder. Questo è uno

strumento aziendale che, attraverso valori quantitativi e qualitativi, rende conto

dell’impatto complessivo che le azioni dell’azienda determinano nel contesto in

cui opera, ed è in grado di rispondere ai nuovi valori di trasparenza, concretezza e

lealtà che i consumatori sempre di più pretendono dalle imprese del nuovo

millennio.

Lo strumento che consente di far fronte a questa esigenza di comunicazione è il

bilancio sociale che costituisce un documento complementare al bilancio

d'esercizio. Esso attesta la certificazione di un profilo etico che legittima il ruolo

di una impresa, comunicando affidabilità, capacità di investire e creare lavoro,

dimostrando attenzione e sensibilità al contesto socio-economico in cui opera.

In particolare il bilancio sociale deve:

♦ Fornire informazioni sulla proprietà dell'impresa;

♦ Evidenziare le caratteristiche della cultura aziendale comunicando il

sistema di valori di riferimento della propria organizzazione;

♦ Far risaltare l'azienda come organismo utile, operante nel rispetto delle

condizioni ambientali e delle aspettative degli interlocutori interni ed

esterni;

♦ Illustrare il valore aggiunto prodotto e la sua distribuzione tra coloro che

hanno contribuito al processo produttivo;

♦ Far conoscere i mezzi impiegati per valorizzare le persone, l'innovazione

tecnologica, l'attività di formazione, l'igiene e la sicurezza sul lavoro, la

prevenzione dei rischi ambientali.

38

Il Bilancio sociale è un report che le aziende sempre di più affiancano al bilancio

d’esercizio, al fine di integrare il sistema informativo dell’azienda con

informazioni sociali ed ambientali. (fig. 1.5).

Figura 1.6 – Dove si colloca il Bilancio Sociale

Adattamento da: L. Hima (a cura di), Il bilancio sociale, settori e valenze; modelli di rendicontazione sociale,gestione responsabile e sviluppo sostenibile; esperienze europee e casi italiani, Il Sole40ore, Milano, 2002, pag 5

Mentre lo scopo del bilancio d’esercizio è quello di rappresentare la situazione

economica, finanziaria e patrimoniale dell’impresa alla fine dell’esercizio, quello

del Bilancio sociale è di rendicontare a tutti gli stakeholder dell’impresa, i risultati

dei suoi comportamenti e delle sue azioni in tema sociale ed etico. Il Bilancio

sociale, in sostanza, risponde alla domanda “cos’ha fatto l’impresa per tutti i suoi

interlocutori?”. Entrambi i documenti sono consuntivi, ma mentre il primo

contrappone costi e ricavi dal punto di vista economico, il secondo mette in

rapporto (attraverso valutazioni contabili o extracontabili, indicatori e dati) la

quantità e la qualità di relazione tra impresa e stakeholder, evidenziando i

vantaggi e il valore che essa ha prodotto per determinate categorie di interlocutori.

In questo senso in letteratura è frequente leggere che con il Bilancio sociale si è

passati dalla valutazione della “one bottom line”, all’analisi più globale della

“triple bottom line”. Ciò sta a significare che, mentre nel bilancio d’esercizio si

trova rappresentata la sola dimensione economica, in quello sociale si è passati ad

uno studio tridimensionale dell’azienda indagata sotto il profilo economico,

sociale e ambientale (fig. 1.6).

39

Figura 1.7 – Evoluzione della valutazione

Alla base del Bilancio sociale c’è infatti la consapevolezza che la contabilità

ordinaria non basta per descrivere la complessa attività dell’impresa; se nel

bilancio ordinario l’impresa è un sistema che va osservato per la sua unicità, per il

bilancio sociale è una serie coordinata di eventi sociali (tavola 1.1).

Tavola 1.1 – Il bilancio sociale e il bilancio di esercizio

ONE BOTTOM LINE

Dimensione economica

TRIPLE BOTTOM LINE

Dimensione economica, sociale

ambientale

Bilancio d’esercizio Bilancio sociale

40

1.5 COMPLIANCE, FUNZIONE CHE AGGIUNGE VALORE

Creare valore per l’azienda significa che la funzione compliance è riconosciuta

come una funzione che non costituisce unicamente un Centro di Costo, ma che

riesce invece a creare un vero valore aggiunto, sia tramite il delivery che la

funzione è in grado di erogare direttamente, sia attraverso le competenze indotte,

capaci di creare un ambiente protetto nei confronti dei rischi che incombono

sull’intera Azienda. Si viene così a creare uno shift culturale necessario per

affrontare in modo consapevole i rischi operativi, riuscendo ad acquistare il

riconoscimento da parte degli stakeholder ed essere percepito come una funzione

capace di garantire modalità sicure per fare business.

La “cultura della compliance” può contribuire attivamente alla creazione di valore

attraverso il perseguimento di obiettivi, da un lato orientati a minimizzare il

rischio ad essa correlato, mediante l’implementazione di presidi e attività di

controllo dei potenziali eventi dannosi, e dall’altro indirizzati a evitare che tali

attività di controllo si trasformino in un livello di verifica burocratico, inefficiente

e incompatibile con lo svolgimento dei processi produttivi aziendali. Per tali

motivi le aziende devono realizzare lo sviluppo di adeguate tecniche di

rilevamento e valutazione dei rischi, di implementazione di presidi efficaci e

flessibili e di misurazione dei positivi effetti generati da tali presidi.

In generale, la percezione del valore aggiunto fornito dalle funzioni di controllo è

notevole, come si può ben vedere dalla figura21

Grafico 1.4 – valore aggiunto delle funzioni di controllo interno e legal

21Organizzazione delle funzioni di controllo interno presso le banche ed i commercianti di valori mobiliari con particolare riferimento alla funzione di compliance Lavoro basato su un‘indagine condotta nel mese di maggio 2006 presso tutte le banche e i commercianti di valori mobiliari in Ticino

41

I valori vanno da 1 (nullo) a 5 (fondamentale), laddove il valore 3 rispecchia un

valore aggiunto “rilevante”.

In particolare la Compliance è percepita come un’importante funzione per il

successo dell’azienda. La così alta percezione del valore aggiunto di queste

funzioni, non generanti direttamente ricavi da parte delle aziende, è indice

dell’importanza che le Direzioni aziendali attribuiscono al buon funzionamento

del Sistema di Controllo Interno e della funzione Compliance.

In un’epoca in cui lo shareholders value è la principale grandezza di riferimento

per i top manager delle aziende, questa risposta può significare il riconoscimento

di valore ad una componente immateriale come la reputazione.

In altri termini, ragionando in analogia con uno dei più diffusi e riconosciuti

metodi valutativi (il cosiddetto discounted cash flow o DCF), valorizzare i

controlli interni significa valorizzare il fatto di diminuire la probabilità di eventi

generanti costi in futuro, che se attualizzati riducono il valore dell’azienda già dal

presente.

Figura 1.8 – Rischio di reputazione

42

Tale concetto, può essere compreso con l’esempio di due società che sono in

vendita oggi, le quali hanno la stessa identica redditività attuale e futura, e che si

differenziano solo nel fatto che, una dispone di controlli interni e di una

compliance molto più efficace dell’altra. Il prezzo che un investitore sarebbe

disposto a pagare oggi per l’azienda con i controlli interni e una funzione

compliance inefficace, sarà inevitabilmente più basso, perché quest’ultima corre

maggiormente il rischio di subire perdite nel futuro.

Tutta questa valorizzazione dell’importanza di una funzione compliance, può

quindi essere solo di auspicio per un sano ambiente di mercato, ed è perfettamente

in linea con i trend internazionali. Lo studio eseguito a livello internazionale da

PwC22

Il conglomerato europeo crede che “una funzione di compliance efficace permette

all’azienda di raggiungere i propri obiettivi, non solo impedendo che l’azienda

subisca danni, ma anche aumentando la capacità stessa dell’azienda di durare nel

tempo”. Tenendo conto inoltre che, la compliance è una necessità legale e una

funzione di controllo troppo acerba affinché il relativo valore possa essere

riconosciuto dal business. Come sottolineato da una importante organizzazione

europea, “il valore reale della politica sicurezza, è realmente apprezzato solamente

quando qualcosa va male”.

evidenzia che le aziende percepiscono un forte valore aggiunto da parte

della Compliance, anche se nessuno ha ancora sviluppato un metodo sistematico

di misura del valore finalizzati alla quantificazione di questi vantaggi di tipo

indiretto, a cui diverse organizzazioni internazionali stanno lavorando. Chiedendo

se la compliance è vista come un “add value” per la propria organizzazione,

queste hanno risposto per il 78% di credere nel valore aggiunto della compliance,

anche se, il 22% di loro ha evidenziato una difficoltà della sua misurazione. La

difficoltà nella misurazione del valore della funzione compliance deriva dal fatto,

che tale rilevazione del valore segue una logica inversa, cioè del mancato

verificarsi di eventi non-compliant.

22 PricewaterhouseCoopers, Protecting the brand – The evolving role of the compliance function and the challenges for the next decade, May 2005.

43

Tavola 1.2 – How compliance adds value

La funzione compliance contribuisce quindi alla creazione di valore, comportando

dei benefici, in via diretta per gli stakeholders, e indirettamente per tutti i

potenziali shareholders, attraverso strategie orientate;

all’utilizzo di tecniche di quantificazione ex ante e di misurazione ex post,

che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi aziendali delle

diverse unità operative, ai fini di un’efficiente allocazione del capitale;

alla disponibilità di accurate informazioni quantitative, oltre che

qualitative, sui profili di rendimento, ma anche sui rischi rilevanti a cui è

esposta l’azienda

alla definizione e attuazione di strategie di mitigazione, mirate a ridurre le

perdite causate da fattori di rischio individuati.

In sintesi, le tre principali direttive di creazione del valore da parte della funzione

compliance sono:

1) per l’azienda, l’accresciuta consapevolezza dei rischi della gestione

aziendale permette un controllo più attento delle eventuali perdite

monetarie derivanti da multe e sanzioni o di eventuali contrazioni dei

44

ricavi o dei volumi di vendita indotti da una perdita di fiducia della

clientela e incide positivamente sui processi di valutazione delle società di

rating e sul costo del funding;

2) per i clienti, rappresenta un fattore di valorizzazione del rapporto

fiduciario alla base dei processi di intermediazione;

3) per il mercato, una maggiore tutela ne accresce la credibilità.

In un report23

Il rischio rilevato è che le aziende progettino un processo continuo di compliance

intorno ad una struttura interna di controllo ad alto costo e questo non

permetterebbe di raggiungere i risultati che la maggior parte dei dirigenti desidera.

La soluzione a tale rischio va verso la transazione dal “progetto al processo” con

l’intento di aggiungere valore alla SOA compliance migliorandone la sostenibilità.

, Jim DeLoach, manager director della Protiviti, asserisce che ogni

organizzazione dovrebbe rivalutare quell’approccio che considera una

implementazione delle regolamentazioni attraverso una attività ad hoc per

adottare un processo redditizio, sostenibile e a continuo valore aggiunto. Il senior

management non dovrebbe incorrere nell’errore di limitare l’attenzione alla

compliance delegandone la responsabilità al middle management attraverso un

mandato, con l’obiettivo di ridurne i costi, in quanto i vantaggi derivanti dalla

compliance vanno oltre il semplice alleggerimento dello sforzo di conformità.

Secondo lo studio, nove CFO su dieci, affermano che i costi di conformità alla

Sezione 404 della SOA superano i benefici. La mancanza di progettazione,

l’insufficienza di personale ed il conseguente sovraccarico di lavoro, sono state il

frutto di un approccio alla conformità nel primo anno, in gran parte ad hoc,

caotico e disordinato. Ciò provocò ritardi nell’aggiornamento dei sistemi di

contabilità, scarsità di risorse e il disaccordo tra l’amministrazione e i revisori

contabili. Il primo anno di attuazione della compliance sec. 404 non può

considerarsi modello di efficienza. Inoltre coloro preposti alla definizione degli

standard hanno impiegato troppo tempo per la pubblicazione delle linee guida

rivolte agli auditors esterni. Ciò ha comportato una più difficile comprensione del

processo di implementazione della sec. 404. Il management non disponeva di una

guida specifica e per questo ha dovuto far riferimento agli standard rivolti agli

auditors e soggetti alla loro interpretazione nell’utilizzazione di quegli standard.

23 Moving from ‘Project to Process’ to Add Value to SOX Compliance While Improving Sustainability, 2005, By James DeLoach, Protiviti Managing Director

45

Molte aziende hanno aspettato la tavola rotonda della Securities and Excange

Commission (SEC) dell’Aprile del 2005. Inoltre le società di contabilità erano

riluttanti a modificare le loro politiche e metodologie fin tanto che la Pubblic

Company Accounting Oversight Board (PCAOB) non avesse completato e

riportato la sua ispezione sulle società di audit. Alcune di queste aziende ora

stanno cercando di riguadagnare terreno sui vari aspetti che erano stati rinviati a

causa della maggiore attenzione e del maggiore impiego di risorse nella

amministrazione della compliance alla sec. 404, per far emergere la necessità di

una soluzione per ridurre i costi di conformità. Questo ha condotto ad un nuovo

approccio che consiste nel passaggio dal “progetto al processo”.

Figura 1.9 – From “Project to Process”

In questo passaggio è necessario che il management tenga presente tre aspetti: la

conformità alla SOA richiede un processo continuo; la necessità di un processo di

compliance sostenibile e di qualità; la necessità di un impegno concreto affinché

la conformità sia integrata con i processi di pianificazione e gestione esistenti al

fine di creare valore e di aumentare la redditività. Ad oggi la necessità del

passaggio dal progetto al processo è nota, ma fino ad ora nessuno lo ha realmente

attuato. Tale passaggio è definito come la transizione da un progetto ad hoc (per

specifica regolamentazione) ampiamente adottato nel primo anno di

implementazione, verso un processo sostenibile, redditizio e a valore aggiunto.

Sono due gli elementi che le aziende devono realizzare affinché il passaggio dal

progetto verso il processo avvenga:

1) Pensare a più lungo termine;

2) Creare valore migliorando la sostenibilità;

46

Per quanto riguarda il primo punto, pensare a lungo termine necessita della

coesistenza di tre elementi: una struttura interna di controllo sostenibile, una

chiara prova del valore aggiunto, un processo di compliance redditizio. Una volta

che il management è in grado di realizzare questi aspetti, deve inserirli nel piano

di business e nei bilanci. Solamente quando le organizzazioni realizzeranno questi

tre elementi, avranno il controllo del processo di compliance e raggiungeranno

come risultato un valore aggiunto di entità maggiore ai costi di compliance

sostenuti.

Per quanto riguarda la sostenibilità del processo di compliance nel tempo, il

management deve ottenere la ripetibilità e l’efficacia della struttura interna di

controllo e la razionalizzazione dei costi sostenuti dall’organizzazione per la

conformità alla SOA soprattutto per quanto concerne la sec. 302 e 404. Un

approccio sostenibile alla compliance significa che la struttura interna di controllo

è in grado di far fronte alle nuove regolamentazioni senza sostenere eccessivi costi

di avviamento per l’attuazione della nuova regolamentazione. Il management,

quando valuta la sostenibilità deve quindi considerare se la struttura interna di

controllo sarà in grado di operare efficacemente al presentarsi di un cambiamento

significativo e se la struttura organizzativa è in grado di realizzare una conformità

continua nel tempo.

Figura 1.10 – Ottimizzazione dei controlli

47

La sostenibilità si riferisce alla qualità dei controlli interni all’azienda intesi come

un mix di controlli automatizzati e manuali e controlli preventivi e consuntivi (fig.

1.9). Una sostenibilità della struttura di controllo interno e del processo di

compliance permette a coloro che la certificano di focalizzare la propria

attenzione sulle nuove sfide di conformità.

Mentre di solito si parla di valore aggiunto rispetto alle attività di affari,

bisognerebbe considerare anche il valore aggiunto relativo ai processi di reporting

finanziario. Questi processi hanno ricevuto negli anni poca considerazione rispetto

ai processi del core business, non considerando che vi è uno stretto legame fra il

miglioramento della qualità del processo, delle prestazioni di costo e di tempo, e

una maggiore efficacia dell’Internal Control over Financial Reporting. L’uno non

può essere fatto senza l’altro.

La maggior parte delle aziende non ha avuto tempo sufficiente esplorare il

rapporto esistente fra le prestazioni del processo di business, la qualità del

controllo interno e la razionalizzazione dei costi di compliance. Questo è un

collegamento critico per il passaggio dal progetto al processo che guiderà verso i

risultati a valore aggiunto.

Sono dieci gli indicatori delle opportunità di valore aggiunto che suggeriscono

come si può migliorare l’efficienza di funzionamento e l’efficacia dei processi di

business che interessano i report finanziari. Inoltre evidenziano che una struttura

di controllo interno efficiente con processi semplificati e migliorati, determinano

una maggiore razionalizzazione dei costi di compliance, in quanto un processo

semplice è più facile da controllare rispetto ad uno complesso.

I dieci indicatori delle opportunità di valore aggiunto sono:

1) Riduzione dei tempi di registrazione dei dati nel registro generale;

2) Incremento della domanda di informazioni analitiche;

3) Alti tassi di errore nei processi di operazioni finanziarie quali i conti da

pagare, operazioni con contante e libro paga;

4) Attività ad alto costo dovuto al sovradimensionamento delle strutture e alle

procedure manuali complesse e a mansioni non indispensabili;

5) Il numero insolitamente alto di “giornali” manuali utilizzati per registrare

le transazioni o per fare aggiustamenti e riclassificazioni delle

informazioni riportate dal sistema ERP;

48

6) Elevata dipendenza dai fogli elettronici per la raccolta dei dati delle

transazioni, registrare manualmente le entrate o supportare le rilevazioni

finanziarie (financial disclosures);

7) Decentralizzare le business units con funzioni duplicate;

8) Un limitato ROI (return on investment) sugli investimenti IT;

9) Premere sull’ organizzazione finanziaria per la riduzione dei costi al fine

di compensare l’aumento dei costi di conformità e di controllo ai fini della

SOA;

10) Incremento dei costi derivanti da una maggiore complessità per quanto

riguarda l’autorizzazione alle transazioni.

Questi dieci punti sono importanti in quanto mostrano le occasioni che l’azienda

ha di migliorare la performance dei processi attraverso la realizzazione interna

della qualità, la riduzione dei tempi e dei costi dei processi, tutto questo mentre

simultaneamente si riduce il financial reporting risk. Con una mappatura dei

processi e con la documentazione della sec. 404 la redazione del reporting

finanziario sarà più trasparente che mai.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, dopo avere orientato l’organizzazione a

scelte strategiche di più lungo termine, le aziende devono focalizzarsi sulla

creazione di valore migliorando la sostenibilità (“sustainability”). Compiere

questa operazione, significa concentrarsi su quattro elementi:

1) Infrastruttura organizzativa – l’amministrazione dovrebbe passare da una

mentalità di progetto ad una di processo e quindi da attività ad hoc e non

definite a processi definiti e controllati;

2) Responsabilità – le organizzazioni devono diventare meno guidate dal

team di progetto e maggiormente governate dai processi. Devono

concentrarsi meno sulla revisione esterna focalizzandosi proattivamente

sulla relazione con l’audit;

3) Cambiare il processo di identificazione - le organizzazioni devono

spostare l’enfasi dalla documentazione iniziale al documento di gestione

ed alla reazione al cambiamento nella valutazione del rischio complessivo

di impresa.

49

Capitolo 2

LA FUNZIONE COMPLIANCE IN BANCA

INTRODUZIONE

La regolamentazione dei sistemi finanziari ha un’antica tradizione. L’esigenza di

disciplinare i comportamenti degli operatori, soprattutto degli intermediari, è stata

da sempre avvertita quale presupposto della stabilità dei mercati, nella

convinzione che questa riposi, a sua volta, su quella delle singole istituzioni. Il

livello di regolamentazione del settore finanziario, più spiccato che nel resto del

sistema economico, si spiega osservando che esso ha per oggetto lo scambio di

contratti aventi un’alta connotazione fiduciaria. Già questa prima circostanza, lo

scambio di contratti piuttosto che beni e servizi, rende necessaria una articolata

sovrastruttura regolamentare per definire la cornice normativa entro la quale tali

contratti abbiano valenza e, soprattutto, risultino utili in funzione delle esigenze

degli operatori che li pongono in essere. Il secondo elemento, la natura fiduciaria,

accresce la necessità di riferimenti precisi e affidabili; la fiducia degli operatori

non può che basarsi sull’esistenza di regole del gioco chiare, note a priori, stabili,

estese a una vasta schiera di fattispecie prefigurabili e rese efficaci (enforced, in

inglese) da un’autorità in grado di imporre comportamenti corretti ed

eventualmente di rimediare ai comportamenti scorretti posti in essere dagli

operatori.

La successiva finanziarizzazione dell’economia ha accentuato l’esigenza di

un’altissima standardizzazione dei contratti e delle regole di comportamento,

accrescendo notevolmente in questi ultimi anni l’enfasi verso il rispetto della

regolamentazione, a seguito della trasformazione intervenuta nei mercati

finanziari. Essi sono divenuti più grandi, ponendo in gioco valori di dimensioni

sempre maggiori in proporzione all’economia reale; sono diventati più raffinati,

con l’introduzione di strumenti finanziari più articolati (che utilizzano forme

contrattuali sempre più complesse); sono diventati geograficamente più ampi,

coinvolgendo davvero tutto il globo, prima ancora che ciò avvenisse per gli altri

settori economici. È evidente come ciascuno di questi tre vettori di sviluppo

50

prema per una sempre maggiore affidabilità degli intermediari, per la chiarezza e

la certezza delle regole del gioco.

Ma insieme all’esigenza della regolamentazione, funzionale al servizio che il

sistema finanziario deve rendere al sistema economico nel suo complesso, si è da

sempre avvertita anche la necessità di assicurare la dovuta libertà di iniziativa e di

esercizio dell’attività degli operatori e, al tempo stesso, garantire il rispetto di

regole di comportamento a presidio della loro stabilità. Si è discusso a lungo della

convergenza nel lungo termine dei due obiettivi, giungendo finalmente a

condividere che imprese sane, in un mercato competitivo, esprimono

comportamenti corretti, altrimenti nel caso contrario il mercato stesso

procederebbe alla loro espulsione. Così nel lungo periodo, le stesse forze del

mercato avrebbero la capacità di preservare la stabilità degli intermediari e del

sistema nel suo complesso. Nel breve periodo questo equilibrio potrebbe non

raggiungersi e comunque l’onere dell’espulsione dal mercato degli intermediari

grava su tutto il sistema economico, in primis sugli operatori finanziari.

Nel corso degli ultimi anni, l’indirizzo assunto dalle istituzioni nell’affrontare

questo dilemma è stato chiarissimo, in quanto si è scelto di attivare le forze

endogene del mercato capaci di rendere normale l’adozione di comportamenti

corretti e, addirittura, ove possibile, convenienti i comportamenti conformi alla

normativa. Ciò è stato perseguito adottando una disciplina con una sapiente

miscela di incentivi e deterrenti, di premi e sanzioni, cercando il più possibile di

utilizzare i primi e di lasciare i secondi come disincentivo potenziale. Ovviamente

nessun sistema è perfetto e così crisi finanziarie ed episodi di comportamento

scorretto da parte degli intermediari e degli operatori si susseguono con una

cadenza purtroppo frequente. Ma nessun episodio è davvero uguale agli altri,

segno che da ogni crisi si trae qualche insegnamento, ma anche la fantasia degli

operatori, intenti a perseguire vantaggi personali illeciti, è una forza robusta ed

efficace.

L’accresciuta estensione dei mercati finanziari su scala globale, amplificata dalla

diffusione di strumenti che sfruttano la leva e moltiplicano la loro dimensione, ha

allarmato le istituzioni di Vigilanza di tutto il mondo che le proporzioni delle crisi

finanziarie possono essere tali da non risultare governabili, non solo dalle singole

istituzioni nazionali, ma neppure mediante uno sforzo congiunto e coordinato di

tutte quelle mondiali. Inoltre, i costi di tali crisi sarebbero grandissimi per il

51

sistema economico nel suo complesso, forse non sopportabili, tali da generare

crisi economiche trascendenti il solo comparto finanziario. La responsabile

accettazione di questa evidente realtà ha suggerito di concentrare l’attenzione sul

momento della prevenzione delle crisi, rispetto a quello di terapia, realizzando

che, tale momento di prevenzione non possa che risiedere all’interno di ciascun

operatore e in particolare di ciascun intermediario, figure in prima linea per

rendere e mantenere un ambiente sano e rispettoso delle regole.

L’evoluzione, nel senso in cui si dice, è stata favorita anche da un’altra tendenza

emersa negli ultimi anni: quella verso la liberalizzazione dei mercati. Si è diffusa,

anche al di fuori dei sistemi finanziari, l’idea che i sistemi economici debbano

godere della massima libertà per poter esprimere al meglio le proprie energie

creative e innovative. L’intervento dello Stato, nelle sue varie articolazioni, è visto

come ancora indispensabile, ma da diminuire al minimo essenziale,

riconducendolo al ruolo di definizione delle regole del gioco e al controllo del

loro rispetto. Sempre di più si attribuisce alle istituzioni di Vigilanza, il ruolo di

arbitro delle regole stabilite oggettivamente e al di fuori degli interessi degli

operatori, piuttosto che quello di guida delle strategie e delle scelte operative degli

intermediari, funzione ritenuta impropria perché sconfina nell’ambito delle

attribuzioni inalienabili dei responsabili delle imprese finanziarie.

Nella scelta di adottare questo orientamento è presente anche la consapevolezza di

dover ricercare il giusto equilibrio fra la completezza dell’impianto normativo e la

snellezza del sistema giuridico. Due esigenze contrapposte, ma degne di tutela e

considerazione; da un lato, è bene prevedere ogni fattispecie astratta e considerare

qualunque circostanza possa verificarsi; ma d’altro canto, occorre non appesantire

di oneri e incombenze operative gli intermediari, giacché i costi associati alle

attività di riscontro e controllo non possono non traslarsi, in ultima analisi, sugli

utenti dei servizi finanziari e quindi sul sistema economico nel suo complesso. Un

modo per agevolare la soluzione di questo contrasto è quello di considerare

sempre le attività che rientrano nella Funzione di compliance, sia in chiave

regolamentare, sia in chiave gestionale, orientando quindi le attività non solo alla

verifica del rispetto del contesto normativo, ma anche al miglioramento dei

processi nell’ottica del processo di produzione economica.

Dunque, l’enfasi che oggi si pone sulla compliance, insieme alla disciplina di

Vigilanza, è il risultato delle seguenti tendenze interagenti:

52

1) L’evoluzione dei sistemi finanziari nel senso della estensione quantitativa

della complessità e della globalizzazione;

2) L’orientamento della Vigilanza sempre più verso la prevenzione delle

crisi, piuttosto che verso la soluzione delle stesse;

3) La scelta di far perno sulle forze endogene alle imprese finanziarie,

costruendo un sistema di incentivi, piuttosto che di deterrenti, e puntando

sulla responsabilizzazione degli intermediari e dei relativi organi di

governo.

Esse hanno portato il Comitato di Basilea a fare della compliance uno dei tre

pilastri della regolamentazione dei mercati o, per meglio dire, a ispirare a tali linee

uno dei pilastri.

2.1 FINALITA’ E PRINCIPI DELLA FUNZIONE COMPLIANCE IN

BANCA

Oggi non esiste una definizione di compliance che sia condivisa e consolidata;

esiste, invece, una definizione di bank’s compliance function proposta dal

Comitato di Basilea. È una definizione, quella adottata dal Comitato di Basilea, di

amplissimo respiro la cui introduzione certamente postula una riflessione – e forse

una riscrittura – sull’organizzazione aziendale e sulla ripartizione dei poteri al suo

interno. L’approccio proposto si caratterizza per la presenza di meno prescrittività,

maggiore personalizzazione, ma anche maggiore responsabilizzazione, in linea

con gli approcci più recenti che si vanno delineando a livello di regolamentazione.

Le regole spesso non bastano, la correttezza si gioca sui comportamenti, e la

disciplina di questi non può trovare fonte migliore di colui che tali comportamenti

deve porre in essere.

Da un lato, infatti, sempre maggiore è l’attenzione del legislatore al tema

“prevenzione dei rischi”, tema in relazione al quale le banche giocano un ruolo

“anticipatorio” rispetto a percorsi propri di altre realtà industriali.

Dall’altro, tale logica della prevenzione trova riscontro in una tendenza normativa

a rafforzare i poteri di prevenzione e di organizzazione, che vengono attribuiti

53

direttamente ai soggetti regolati; l’ordinamento valuta il risultato, il percorso

aziendale con il quale si è pervenuti al comportamento, ma si spoglia del potere di

individuare i mezzi per raggiungerlo.

Altrettanto sintomatico è l’approccio di Basilea 2 (si pensi alla “rivoluzione

rating”24

In termini generali, quindi, essere “compliant” dovrebbe significare essere

responsabili nel dare concretezza operativa, in modo personalizzato, ad una serie

di principi indicati dai regulators o identificati autonomamente come valori per la

propria realtà.

) in cui si promuovono approcci per la determinazione dei requisiti

minimi patrimoniali più sensibili al rischio effettivo della controparte e proprio

per questo incentrati sulle metodologie e best practices maturate nell’industry

bancaria. Il focus delle disposizioni, si sposta dall’oggetto della regolamentazione

– il rischio operativo o il rischio di credito – al sistema di gestione del rischio

presso i soggetti regolati.

Quindi, fare compliance, non può voler dire solo organizzare un processo

aziendale per ottenere il rispetto acritico di regole imposte dall’esterno, quasi in

una logica di check-list. Essere compliant, dovrebbe voler dire “fare la cosa giusta

rispetto ai principi ispiratori e farla sin dalla prima volta” e questo deve essere il

risultato a cui ogni realtà deve giungere a suo modo, in quanto il cosa fare e il

come farlo, la differenzia dagli altri.

Il documento pubblicato dal Comitato di Basilea sulla compliance25

24 Il rating, è un metodo utilizzato per classificare sia i titoli obbligazionari che le imprese in base alla loro rischiosità.

, costituisce

un importante contributo al dibattito che di recente si è sviluppato nel sistema

bancario nazionale e internazionale sulla individuazione di nuovi modelli

gestionali del rischio di compliance. Va notato, tuttavia, come i cambiamenti

vengano anche ispirati da una rinnovata maggiore sensibilità dei diversi portatori

di interessi (utenti, mercati, operatori e le stesse autorità di Vigilanza) verso

l’adozione, da parte delle banche, di condotte e comportamenti improntati alla

Viene espresso attraverso un voto in lettere (es. AAA- Elevata capacità di ripagare il debito; oppure, D - Società insolvente), in base al quale il mercato stabilisce un premio per il rischio da richiedere all'azienda per accettare quel determinato investimento. Scendendo nel rating aumenta il premio per il rischio richiesto e quindi l'emittente deve pagare uno spread maggiore rispetto al tasso risk-free. I rating sono periodicamente pubblicati dalle agenzie di revisione contabile dei bilanci: Standard & Poor's, Moody's e Fitch. 25 Basel Commitee on Banking Supervision, Compliance and the compliance function in banks, April, 2005.

54

correttezza e alla trasparenza nell’agire (governance). Emerge quindi una

particolare attenzione verso i valori e le strategie aziendali declinate in regole e

procedure operative coerenti.

Il “rischio di non compliance” deriva dunque dalle condotte aziendali che non

risultano aderenti alle leggi, ai regolamenti e agli standard di condotta. In questo

contesto di criticità rientrano anche i comportamenti non conformi alle best

practice di mercato o alle particolari regole di condotta stabilite all’interno della

singola banca. Quest’ultimo aspetto, del disallineamento dei comportamenti

interni dagli standard di riferimento, rappresenta un elemento innovativo

introdotto dai lavori del Comitato di Basilea. Infatti, il documento sulla

compliance, sembra attribuire una grande rilevanza a tutte le regole di condotta

adottate autonomamente dalle banche in via volontaria, (sviluppate internamente)

oppure, definite per aderire a prassi generalmente accettate dai mercati di

riferimento o, ancora, raccomandate dall’adesione degli intermediari a particolari

circuiti o associazioni di operatori specializzati.

Definire, internamente all’azienda, modelli di comportamento in linea con la best

practice e con le indicazioni provenienti dalla banca stessa, risulta essere un

approccio innovativo che una vasta categoria di soggetti apprezza in misura

particolare (si pensi ai clienti, ai mercati finanziari, ai dipendenti, agli azionisti,

agli analisti, alle stesse autorità di Vigilanza, ecc.); non operare in aderenza alle

norme, ai regolamenti o agli standard, può comportare una serie di possibili effetti

negativi per l’intermediario, tra i quali si segnalano: sanzioni penali e

amministrative, perdite finanziarie e, nei casi più gravi, danni alla reputazione

stessa del banca.

Interpretare correttamente l’importanza dell’evoluzione avvenuta nell’attività di

compliance, con il passaggio dalla mera aderenza a norme e regole esterne

(conformità), verso comportamenti concretamente realizzati all’interno delle

banche, risulta dunque un fattore particolarmente rilevante. Questo passaggio può

essere analizzato attraverso un percorso che mira a: comprendere le diverse

configurazioni che il rischio di non compliance può assumere; definire i principi

che devono ispirarne il governo; identificare le logiche che possono meglio

regolare l’efficace e l’efficiente implementazione della Funzione compliance.

55

Alcuni precisi orientamenti regolamentari26

Il coinvolgimento degli organi amministrativi della banca (C.d.A. e Alta

direzione) nella gestione del Compliance risk sembra ormai un requisito

indispensabile. Lo stesso Comitato di Basilea dedica i primi quattro principi alla

definizione del ruolo e della responsabilità del Consiglio di Amministrazione e

dell’Alta direzione, sottolineando che, innanzi tutto il commitment dell’organo

amministrativo delle banche rappresenta il presupposto fondamentale per tradurre

e diffondere i valori, come quelli di onestà, integrità e correttezza, e la cultura

della compliance nei comportamenti e nelle disposizioni a diretto impatto sulla

struttura aziendale e sui processi produttivi.

sottolineano l’importanza di adeguare

i propri modelli organizzativi e operativi alle mutate e più complesse condizioni

dei mercati e alle dimensioni stesse delle banche. Tutti questi interventi devono

essere letti e interpretati congiuntamente per poter definire compiutamente la

compliance. Infatti, essa è un processo che permea l’intera attività e

organizzazione della banca – dal top management alle singole unità produttive -,

partendo dalla definizione di politiche, procedure prassi operative e

comportamenti. Pertanto, la compliance può anche essere definita come un

insieme di presidi organizzativi e operativi che le banche sono chiamate ad

attivare al fine di sviluppare la “cultura della compliance” e successivamente far

rispettare “in concreto” le indicazioni previste in norme, disposizioni e prassi. Ciò

al fine di minimizzare i rischi di sanzioni penali, multe, perdite e più in generale

di limitare gli eventi che possano compromettere la reputazione stessa delle

banche.

La seconda parte dei principi di governo della compliance è dedicatia alle

caratteristiche che deve assumere la funzione; e appaiono di particolare interesse

le indicazioni fornite dal documento sulle principali attività alla stessa assegnate.

In particolare, viene enfatizzato il supporto da fornire al management aziendale

circa le configurazioni e i presidi da avviare per l’organizzazione delle attività di

gestione e controllo del rischio, l’assistenza da prestare al senior management per

26 Oltre al documento di Basilea sulla compliance, si vedano anche i seguenti documenti: Bank for International Settlements (BIS) www.bis.org; Compliance Framework for Internal Control System in Banking Organisations, September 1998; Enhancing Corporate Governance for Banking Organisations, September 1999; Internal Audit in Banks and the Supervisor’s Relationship whit auditors, August 2001; Sound practices for the Management and Supervision of Operational Risk, February 2003; International Convergence of Capital Measurement and Capita Standards – A Revised Framework, june 2004; The Joint Forum, - Outsourcing in Financial Services, February 2005

56

le attività di sviluppo di nuovi prodotti e servizi, il presidio della formazione

interna ed esterna alla funzione e le attività di gestione e controllo del compliance

risk vero e proprio.

I tipi e le fonti delle regolamentazioni (figura 2.1) dalle quali trae origine la

disciplina della compliance27

1) Proteggere gli interessi dei clienti e di altri soggetti esterni alla banca;

sono molti e possono essere classificati in relazione

alle finalità che gli stessi intendono perseguire, ovvero:

2) Disciplinare il comportamento dei dipendenti;

3) Definire l’assetto organizzativo, di governance e di processo della banca.

Figura 2.1 – Regolamentazioni globali

Atos Consulting, “tackling compliance to reap long-term benefit”, Research report 2006

La mancata aderenza a queste disposizioni, e l’assunzione di condotte non

allineate alle best practice e alle disposizioni interne previste dalle banche, può

generare un “rischio di non compliance”, i cui effetti più evidenti sono:

27 Si tratta di leggi, regolamenti internazionali, nazionali e locali, disposizioni degli organi di Vigilanza e delle società che gestiscono mercati finanziari, circolari vincolanti e non degli organi e delle associazioni di categoria, disposizioni interne e codici di condotta (interni o di categoria), standard di comportamento in conformità alle migliori pratiche di mercato.

57

Incorrere in sanzioni legali, ammende, multe e penali (amministrative,

civili, penali, interditive o di blocco permanente o temporaneo dell’attività

o della licenza).

Sanzioni prodotte da organi di vigilanza (Consob, Banca d’Italia, UIC e

nei gruppi ISVAP, COVIP, ecc.), come ad esempio: sospensione o ritiro

della licenza, multa ad amministratori, dirigenti, dipendenti, sindaci,

revisori, ecc.).

Perdita di natura finanziaria; potrebbero essere causate:

♦ Da eventi di non conformità normativa in grado di compromettere

la stabilità economica e finanziaria dell’intermediario stesso

all’interno del sistema;

♦ Dalla riduzione del valore del marchio o della rete utilizzata (di

sportelli, di promotori, di private bunker, ecc.), da migliori

opportunità di business, dalla riduzione della potenzia l’espansione

della banca.

Perdita della reputazione o dell’immagine, in caso di mancata aderenza alle

leggi applicabili, alla regolamentazione, ai codici di condotta, e agli

standard di un best practice operativa.I

nefficace e inefficiente rispetto delle politiche e delle procedure operative

interne al singolo intermediario, (rischio che oltre le funzioni deputate al

controllo interno della banca, anche le autorità di vigilanza devono valutare

e misurare); questo può comportare il ridisegno organizzativo, cambiamenti

nelle responsabilità e nelle attività, richiami e sanzioni disciplinari,

richieste di dimissioni, allontanamenti, ecc.

Riconoscere significativi risarcimenti danni.

Sanzioni, ammende legate a condotte illegali o elusive (ad esempio su temi

fiscali, legali, ecc.), realizzate per favorire clienti, ma in grado di aggirare

precisi requisiti regolamentari obbligatori (segnalazione all’autorità di

58

Vigilanza, redazione di reporting non conforme, ecc.), in danno

dell’immagine e della reputazione.

Un sempre maggior numero di banche persegue l’obiettivo di diffondere la cultura

e i principi ispiratori della compliance, anche attraverso l’autoregolamentazione, e

cioè la formalizzazione di codici di condotta e codici etici28, che permettano la

declinazione dei principi generali, in precisi comportamenti da assumere

nell’attività quotidiana da parte delle banche stesse e dei loro dipendenti29

Nell’ambito dei principi che governano la compliance, il controllo dell’aderenza

tra, quanto dichiarato formalmente nei documenti di autodisciplina, e

l’applicazione effettiva dei comportamenti in essa descritti, diventa una delle

attività concrete che la compliance ha la responsabilità di verificare. In tal senso,

la funzione compliance, assume un ruolo centrale, nella verifica dell’aderenza alle

politiche e alle procedure interne di cui una banca intende dotarsi.

.

Per quanto riguarda l’analisi del ruolo e delle responsabilità attribuite alla

funzione compliance, si indaga sulle attività da essa potenzialmente svolte

all’interno della banca e sulle modalità per garantire la necessaria autorità e

indipendenza d’azione e valutazione.

Le banche sono libere di realizzare la funzione come meglio desiderano, essendo

possibile individuare al loro interno, tanto un unico soggetto “responsabile della

compliance” (Head of compliance, in grado di coordinare una serie di attività ad

essa connesse), quanto una funzione strutturata e organizzata mediante l’utilizzo

di staff e risorse diversamente dislocate (accentrate o decentrate)

nell’organizzazione. Se il ruolo di unità destinata a evitare il verificarsi di

sanzioni, dovute alla “non aderenza alle leggi, regolamenti e standard” appare

ormai assodato, la nuova “mission” da assegnare alla funzione è ora rappresentata

dallo svolgimento di compiti preventivi di presidio e di individuazione di attività

di controllo, che con maggiore efficacia riescano a monitorare i vari rischi

associati alla “non compliance”.

28 Gli operatori, usano definire questo insieme di regole di comportamento sostanzialmente simili, con denominazioni differenti, come ad esempio: “codici di comportamento”, “codici deontologici”, “codici di autodisciplina”, ecc. 29 Con particolare riferimento alle fattispecie di eventi si possono ricordare: l’operatività sui mercati finanziari; il conflitto di interesse; l’insider dealing; il risparmio e i derivati; la soluzione delle controversie extragiudiziali con i clienti; la privacy; l’informativa pre-contrattuale per i mutui da concedere per l’acquisto della prima casa; l’adesione a Patti Chiari; la definizione della governance aziendale per le società quotate, ecc.

59

Infatti, la costruzione di un adeguato framework, che permetta la corretta

percezione, rilevazione, gestione e monitoraggio del rischio di compliance,

presentando evidenti riflessi sulla gestione aziendale, appare cruciale per

l’elaborazione di decisioni strategiche e di obiettivi di business (scelte di prodotto,

di segmento, di sofisticazione delle attività, ecc.), in grado di soddisfare le

esigenze di strutturazione della funzione.

Figura 2.2 – Framework legale

Pertanto, il ruolo e le responsabilità da attribuire alla Funzione compliance

possono coprire esigenze che si estrinsecano su tre differenti livelli

nell’organizzazione aziendale:

1) Nel primo livello, di tipo prevalentemente operativo, la Funzione deve

assicurare nel continuo che le operazioni e le attività poste in essere dalla

banca mantengano un elevato livello di aderenza normativa. Questa

esigenza impone alla Funzione un contatto costante con le strutture

60

operative centrali e periferiche per fornire alle stesse il supporto necessario

alla risoluzione delle problematiche regolamentari che si manifestano

nell’operatività quotidiana: una sorta di help desk per le unità commerciali

e di business che hanno esigenze contingenti nella gestione delle accezioni

normative nel processo produttivo. L’attività di supporto dovrebbe essere

accompagnata dal tradizionale esercizio della verifica ex post

dell’osservanza di leggi, regolamenti e standard, che rappresenta uno degli

strumenti a disposizione per il monitoraggio del grado di aderenza

normativa

2) Il secondo livello, presenta una valenza tattico-strategica. Qui la funzione

compliance è richiamata a valutare in via preventiva tutti i rischi di

compliance derivanti dall’introduzione di nuovi prodotti o dalla modifica

di quelli già offerti, dall’ingresso in nuovi segmenti di mercato e di

business o, addirittura, in aree geografiche non presidiate. In questa

accezione, il ruolo di supporto della funzione compliance al top

management e ai responsabili delle aree di business, è parte integrante

delle scelte che la banca intende adottare per sfruttare le opportunità di

mercato, ovvero per dare attuazione alle politiche necessarie al

raggiungimento degli obiettivi fissati nei piani pluriennali. Nondimeno, il

contributo della funzione, assume un importante supporto alle strategie

allorquando le ipotesi di integrazione o di aggregazione tra banche,

richiedono di analizzare differenti profili di aderenza normativa , in

particolare nell’ipotesi di operazioni cross border, dove entrano in gioco

ordinamenti giuridici e regole di vigilanza di differenti paesi a cui si

sovrappongono disposizioni e organismi sovranazionali30

3) Il terzo livello assegnato alla funzione compliance, consiste nel supporto

alle attività di pianificazione delle strategie. Infatti, l’analisi delle

implicazioni derivanti dalle modifiche del quadro normativo e

regolamentare è esenziale:

.

♦ per cogliere i rischi e le opportunità insiti nelle nuove

disposizioni, siano esse in fase avanzata di definizione, sia che

le stesse siano state recepite dall’ordinamento, ma non abbiano

ancora esplicato la propria efficacia;

30 Si pensi alle disposizioni antitrust presenti in numerosi paesi e alle ulteriori disposizioni che, in sede comunitaria, permettono l’intervento della Commissione Europea.

61

♦ per valutare l’impatto dei mutamenti in atto sulla struttura

organizzativa, sulle strategie aziendali, sui piani di business.

Una corretta “pianificazione regolamentare”, permetterebbe alle banche di

cogliere le opportunità offerte dalle modifiche normative e, di conseguenza,

predisporre le azioni necessarie per acquisire un vantaggio competitivo, anche in

relazione alla più efficace gestione di altri rischi. Si pensi, ad esempio, alla

possibilità di una riduzione dell’assorbimento patrimoniale offerta dal nuovo

Accordo di Basilea sul Capitale31

Definiti il ruolo e le responsabilità della Funzione compliance, è possibile ora

individuare e commentare le attività necessarie all’espletamento dell’incarico e al

raggiungimento degli obiettivi ad essa attribuiti. In prima istanza, la Funzione

valuta la conformità dei codici etici e/o di condotta, delle policy aziendali, nonché

delle procedure interne e delle istruzioni operative alle disposizioni di legge e

regolamentari che disciplinano l’attività dell’impresa bancaria. Si tratta in pratica

di “assessment” sul livello di aderenza della produzione normativa interna a

quella di emanazione esterna (legislazione nazionale e comunitaria, autorità di

Vigilanza, organismi di supervisione sopranazionale, associazioni di categoria,

ecc.), al fine di assicurare l’integrità dei principi e delle regole che sovrintendono

ai comportamenti posti in essere dalla banca.

. Le aziende in grado di adottare, prima dei

propri competitor, modelli avanzati di misurazione del rischio (rating), potranno,

a parità di altre condizioni, liberare risorse da destinare ad altre attività di

business, accrescendo la redditività del capitale investito e la creazione di valore

per gli azionisti, (questo testimonia anche l’importanza della gestione integrale

delle diverse configurazioni di rischio).

Il mapping e l’assessment, propedeutici a qualsivoglia attività di gestione dei

rischi, rappresentano l’elemento di base per la programmazione delle attività della

funzione, e permettono di individuare le criticità e i punti di debolezza della

banca, nel perseguire l’obiettivo di aderenza alla normativa.

L’analisi del compliance risk, deve essere accompagnata dalla diffusione della

cultura dell’integrità, che la Funzione realizza mediante la predisposizione della

31 Basilea II, è il nuovo accordo internazionale sui requisiti patrimoniali delle banche. In base ad esso le banche dei paesi aderenti dovranno accantonare quote di capitale proporzionali al rischio derivante dai vari rapporti di credito assunti, valutato attraverso lo strumento del rating.

62

compliance policy, e con la promozione delle attività di formazione dei

dipendenti, dei collaboratori e del management della banca su tali tematiche.

Ulteriori attività riguardano, l’esame e il monitoraggio delle violazioni alle

disposizioni interne ed esterne, nonché alle policy e ai codici aziendali. A tali

azioni faranno seguito le proposte per l’adozione delle misure correttive, ovvero,

per l’adattamento e il miglioramento delle disposizioni e delle procedure interne.

In tale contesto, deve essere prestata particolare attenzione alle norme e alle

indicazioni riguardanti: il conflitto d’interessi e il market abuse; la trasparenza

dele condizioni nell’offerta dei servizi bancari e d’investimento, nonché

nell’offerta dei servizi di consulenza; l’usura e la lotta al fenomeno del riciclaggio

e del finanziamento al terrorismo; le politiche di assunzione dei rischi e i codici di

comportamento dei dipendenti; le regole di vigilanza prudenziale e di reporting

alle autorità di supervisione e controllo; le operazioni effettuate dagli

amministratori e dai dipendenti per conto proprio; i rapporti intrattenuti con la

clientela.

Per quanto riguarda le attività di supporto e consulenza alle unita operative , ai

responsabili delle aree di business e all’Alta direzione, la Funzione compliance

deve prestare il proprio contributo:

♦ nell’applicazione pratica delle norme e delle procedure alle attività

operative, nonché nella corretta esposizione delle disposizioni che

presentano profili di dubbia interpretazione;

♦ in occasione del lancio di nuovi prodotti o nuovi servizi alla clientela e

nella predisposizione delle valutazioni propedeutiche all’ingresso in nuovi

mercati o in nuove aree geografiche;

♦ nella realizzazione di ipotesi di integrazione tra banche o conglomerati

finanziari, in particolare di quelle transfrontaliere, ovvero in ipotesi di

costituzione di joint venture tra tali soggetti;

♦ nella valutazione dei rischi e delle opportunità conseguenti

all’introduzione di nuove disposizioni di legge e regolamentari, nonché

delle conseguenti implicazioni organizzative, strategiche e di business che

si riflettono sulla banca.

63

La definizione di metodologie, strumenti e tecniche di compliance risk

management32

e la successiva attuazione delle attività necessarie per la

rilevazione, la misurazione e il monitoraggio di tale fattispecie di rischio

completano il quadro delle attività che fanno capo alla Funzione, unitamente al

reporting periodico all’Alta direzione, al Consiglio di amministrazione e ad

eventuali comitati interni.

2.2 CONFRONTO E PARALLELISMO TRA COMPLIANCE E

GESTIONE DEI RISCHI OPERATIVI IN BANCA.

L’attenzione e la sensibilità ai rischi sono molto importanti per la gestione delle

banche, esse, infatti, assumono rischi, li trasformano e li inglobano nei propri

prodotti e servizi. Le banche che gestiscono attivamente i loro rischi ottengono un

vantaggio competitivo poiché assumono i rischi in modo più consapevole,

anticipano i cambiamenti sfavorevoli dell’ambiente, si proteggono da eventi

inattesi e accrescono le loro competenze per valutare i rischi stessi. Le istituzioni

finanziarie hanno, quindi, diversi motivi per sviluppare pratiche per la gestione e

modelli di valutazione del rischio, in più, la Vigilanza cui sono soggette fa di

questo sviluppo una delle loro maggiori priorità, perché detta le norme di stabilità

patrimoniale e contenimento del rischio che ogni banca deve rispettare.

Originariamente, lo schema della regolamentazione tendeva a differenziare regole

di prudenza per ogni grande area di business della banca, questo tipo di vigilanza

strutturale segmentava il mercato e limitava la competizione. L’innovazione ha

reso le norme obsolete perché gli attori hanno trovato dei modi per aggirarle,

spostandosi dal loro ambito originario d’attività all’intera gamma delle aree di

business dell’industria finanziaria. Il corollario di questo processo di

deregolamentazione è stato quello di un’accresciuta competizione tra attori

differentemente esperti, l’implicazione è stata la crescita dei rischi. I fallimenti

che sono seguiti hanno fatto nascere il bisogno di una ri-regolamentazione verso

un tipo di vigilanza prudenziale che lascia liberi gli intermediari di articolare le

proprie scelte strategiche e operative nel rispetto di alcuni vincoli essenziali. Tale

32 Secondo alcuni esperti, si parla di Regulatory risk management, si veda M. Evans, C. Ilako, C. di Florio, in American Banking Association, ABA Banking Journal, March/April, 2003

64

processo sta ancora evolvendosi con nuove linee guida provenienti, in particolare,

dalle organizzazioni internazionali di coordinamento tra le Autorità di Vigilanza.

Sovente, si attribuisce al termine “rischio” una connotazione negativa.

Semplificando, si potrebbe affermare che il rischio derivi solamente dalla

manifestazione di eventi negativi33

Possiamo affermare che, sia i rischi operativi, sia i rischi di compliance, si

originano dal mancato o dall’inefficiente presidio di alcuni ambiti di operatività

aziendale. In effetti, i diversi documenti elaborati dal Comitato di Basilea in

materia di operational risk, evidenziano definizioni ampie, ma al contempo di

diffuso utilizzo presso le banche e in parte sovrapponibili, con riferimento alle

fattispecie di perdita che vengono incluse nelle definizioni.

. Per converso, al termine compliance si

attribuisce una valenza positiva, in quanto si risulta conformi, rispetto a qualcosa

che ci viene imposto, quando si pongono in essere comportamenti e azioni efficaci

e orientati al soddisfacimento di quegli obblighi. Più precisamente, l’espressione

“non compliance risk” o rischio di non conformità, evidenzia la manifestazione di

eventi che conducono a perdite, monetarie o di altro tipo (immagine, reputazione,

ecc.), in conseguenza del mancato rispetto di normative, regole o standard di

autoregolamentazione.

Infatti, il Comitato di Basilea, definisce i rischi operativi, come il rischio di

perdite derivanti dalla inadeguatezza o dalla disfunzione di procedure, risorse

umane e sistemi interni, oppure da eventi esogeni, includendo nel novero di questi

rischi quello legale, ma escludendo esplicitamente rischi strategici e di

reputazione34. Per quanto concerne la definizione di compliance risk, il Comitato

indica la seguente formulazione: “the risk of legal or regulatory sanctions,

financial loss, or loss to reputation a bank may suffer as a result of its failure to

comply with all applicable laws, regulations, codes of conduct and standards of

good practice (together “laws, rules and standards”)”35

33 Questa interpretazione è applicabile ai rischi operativi, che com’è noto, sono rischi puri e non rischi speculativi, la manifestazione di tali rischi può pertanto generare unicamente delle perdite e non opportunità di guadagno. Ciò fa si che i rischi puri siano, a certe condizioni, “rischi assicurabili”. Al contrario, i rischi speculativi, sono tipicamente rischi finanziari (es. rischio di mercato o di cambio), che generano opportunità di guadagno, ma anche di perdite.

.

34 Sempre secondo la formulazione adottata dal Comitato di Basilea, il rischio legale, comprende fra l’altro, l’esposizione ad ammende, sanzioni pecuniarie o penalizzazioni derivanti da provvedimenti assunti dall’organo di vigilanza, ovvero da regolamenti privati (cfr. Comitato di Basilea, Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali, Basilea, giugno, 2004).

65

Le indicazioni fornite dal Comitato di Basilea, delineano pertanto un’area di

sovrapposizione tra le due tipologie di rischio.

Figura 2.3 – Confronto compliance risk con operational risk

Questa situazione sembrerebbe rendere necessario l’inquadramento dell’ambito di

applicazione delle definizioni e, al tempo stesso, richiede una riflessione sulle

modalità di valutazione e di gestione di questa tipologia di rischio. In primo

luogo, la presenza di un’area comune, potrebbe essere il temporaneo risultato

della stratificazione di documenti che presentano un diverso grado di maturità e,

quindi, di condivisione all’interno della comunità bancaria e finanziaria

internazionale36

35 Comitato di Basilea, Compliance and the compliance function in banks, Basilea, aprile 2005

. In secondo luogo, la valutazione dell’operational risk e del

compliance risk risponde, al momento, a due finalità differenti: solo per i rischi

operativi e previsto il calcolo di un requisito patrimoniale a copertura

dell’esposizione di tali rischi. Viceversa, il compliance risk è oggetto di

valutazione nel più complessivo quadro della misurazione di tutti i rischi

(finanziari e non), ai quali la banca si trova esposta in ragione delle attività svolte.

A tal fine, dovrebbe essere identificata una struttura ad hoc, la Funzione o l’Unità

di compliance, cui attribuire la valutazione del compliance risk. Questa struttura,

potrebbe pertanto qualificarsi, almeno in parte e in modo coordinato con l’internal

auditing, come “cartina tornasole o specchio” dell’efficacia dei presidi sui rischi

aziendali posti in essere dalla Funzione di risk management, in considerazione

delle sovrapposizioni che al momento si riscontrano, tra compliance risk e

36 Il primo documento elaborato dal Comitato di Basilea contenente la definizione di compliance risk risale a ottobre 2003, ed è stato successivamente aggiornato ad aprile 2005; la definizione corrente di rischi operativi, risale al 2001, con alcuni aggiustamenti successivi, che sono stati recepiti con il Consultative paper 3 dell’aprile 2003.

66

operational risk. In altri termini, la Funzione di compliance, pur non svolgendo

attività di risk management, si propone come interlocutore privilegiato e supporto

organizzativo di estrema importanza per il risk management.

Dall’esame delle definizioni (e della conseguente interpretazione della figura 2.3)

osserviamo che il rischio legale è una fattispecie comune all’operational risk e al

compliance risk. Altrettanto può dirsi con riferimento a una parte delle perdite

monetarie (material financial loss), in particolare, le perdite che si determinano a

seguito di un mancato assolvimento di obblighi legislativi, (con conseguenti

esborsi per accertamenti di responsabilità a carico della banca), oppure le

“restituzioni” volontarie da parte della banca, subordinate al riconoscimento di

una sua condotta impropria nei confronti di terzi (ad esempio, nel comportamento

tenuto verso la clientela nell’esecuzione di specifiche operazioni).

Vi sono poi, fattispecie di rischio, che al momento possono ricondursi in modo

più univoco al rischio di compliance o ai rischi operativi. Si pensi, ad esempio, al

rischio reputazionale o all’accertamento di sanzioni in conseguenza di abusi di

posizioni di mercato, che appartengono al compliance risk, oppure alle perdite

conseguenti eventi esterni, che senza dubbio si configurano quale tipologia di

perdita operativa. Tuttavia, il quadro delineato (nella figura 2.3) che emerge

dall’esame delle definizioni, è da intendersi come una situazione suscettibile di

possibili future modificazioni, nella misura in cui la pratica operativa e le

discussioni in essere, all’interno della comunità finanziaria, potranno affinare le

definizioni in uso e gli obiettivi della valutazione e gestione di queste fattispecie

di rischi.

Si noti inoltre, come l’accadimento di eventi di perdita riconducibili a rischi

operativi, sembra in larga parte di natura “inconsapevole”, nella misura in cui si

tratta di eventi che si manifestano in maniera indipendente dalle decisioni

aziendali, sia perché accadono in conseguenza di fattori di rischio sui quali la

banca ha minori capacità di controllo (eventi esterni), sia in quanto

intrinsecamente collegati con l’esistenza stessa di un’attività d’impresa (in questo

caso di natura finanziaria). Al contrario, la presenza di un “non compliance risk”,

sembra originare prevalentemente da scelte consapevoli, adottate dal management

dell’impresa, che si concretizzano nel mancato rispetto della normativa interna o

esterna. L’esame del profilo formale della definizione, consente pertanto di

67

evidenziare un certo grado di sovrapposizione fra le fattispecie di rischi prese in

considerazione, come sottolineato dallo stesso Comitato di Basilea37

L’efficace raccordo della funzione compliance con l’operational risk management

può valorizzare il contributo della funzione di compliance sotto il profilo della

misurazione dei rischi “condivisi”

.

38

La funzione di compliance condivide con l’operational risk management:

.

♦ attività di risk assessment, interviste ai process/risk owners, presidio

metodologico e coordinamento delle attività di control risk self

assessment;

♦ raccolta dei dati di perdita;

♦ verifica dell’idoneità dei presidi sui rischi operativi.

L’ operational risk management condivide con la funzione di compliance:

♦ serie storiche e stime sull’esposizione ai rischi;

♦ mappatura dei processi e analisi dei rischi.

A prescindere dal modello organizzativo adottato per la costituzione della fnzione

compliance, la stessa deve in ogni caso essere connotata:

da un adeguato livello di autorità, reputazione e indipendenza, rispetto alle

aree di business;

dalla presenza di collegamenti interfunzionali e di tipo gerarchico, in

grado di assicurare all’Alta direzione la conoscenza in ogni momento del

livello di compliance risk assunto dalla banca o dal gruppo bancario.

Infatti, l’indipendenza dalle funzioni operative costituisce il presupposto

essenziale per la corretta rilevazione del Compliance risk e per la successiva

realizzazione di adeguate azioni correttive. Ciononostante, la funzione deve

mantenere un contatto costante con le aree operative per gestire in via preventiva

tale fattispecie di rischio. In particolare, il coinvolgimento attivo della funzione è

37 “There is a close relationship between compliance risk and certain aspects of operational risk. Other [banks] may prefer to have a separate compliance and operational risk function, but establish mechanism requiring close cooperation between the two functions on compliance matters”. Comitato di Basilea, compliance, cit. 38 intervento Dott. Clemente, Responsabile Vigilanza Enti Creditizi Banca d’Italia, convegno AICOM, 28 giugno 2006

68

necessario nei Comitati strategici e nei Comitati prodotto, ogni qualvolta gli

argomenti ivi trattati determinano l’esposizione della banca al Compliance Risk.

Figura 2.4 – Governance structure

Per quanto riguarda i collegamenti funzionali e di tipo gerarchico, gli stessi

devono garantire un continuo flusso di informazioni dalle unità operative e dalle

aree di business, verso la Funzione compliance, e da questa verso l’Alta direzione

(Direttore generale, Amministratore delegato, Comitato esecutivo), il Consiglio di

amministrazione e il Collegio sindacale, nonché verso eventuali Comitati all’uopo

costituiti, come diretta emanazione degli organi collegiali di governo per la

trattazione di specifiche materie.

Nelle banche di più ampie dimensioni, potrebbe essere costituito un Comitato

compliance, a cui attribuire il compito di seguire per conto del Consiglio, tutte le

questioni attinenti alla compliance; in alternativa tali attribuzioni potrebbero

essere assegnate al Comitato per il controllo interno, per effetto delle sinergie che

si presentano nella trattazione delle problematiche di controllo interno e di

compliance, venendosi a creare in tal modo, un Comitato di audit & compliance.Il

corretto inquadramento nell’assetto organizzativo aziendale, ed eventualmente di

gruppo, e la definizione di adeguati collegamenti funzionali, permettono alla

69

Funzione compliance di contribuire in modo effettivo alla governance della banca,

di cui rappresenterebbe un importante elemento costitutivo.

Figura 2.5 – Il sistema dei controlli

Rilevanti interrelazioni39

Le tecniche di identificazione, gestione e monitoraggio dei rischi di compliance

devono essere allineate e coerenti con quelle utilizzate nei processi di risk

management e di controllo.

sussistono tra la funzione di conformità e diverse altre

funzioni aziendali (revisione interna, gestione del rischio operativo, funzione

legale, organizzazione, organismo di vigilanza individuato ai sensi della legge

231/2001, ecc.). La collaborazione con le richiamate funzioni consente a quella di

conformità di sviluppare le proprie metodologie di gestione del rischio in modo

coerente con le strategie e l’operatività aziendale, assicurando nel contempo

processi conformi alle normative esterne e ausilio consultivo.

Il presidio del rischio di non compliance, già rientra nelle attività di governance

delle banche italiane, si rende quindi necessaria una trasversalità dell’azione di

39 Banca d’Italia, documento di consultazione agosto 2006: normativa di vigilanza in materia di “conformita’ alle norme [compliance]”

70

presidio coordinata da un’apposita funzione. Emerge quindi, la necessità di

riattribuire le responsabilità e i compiti, ed eventualmente razionalizzare gli

organismi di controllo già esistenti e diversi dalla Funzione Compliance,

riferendosi in particolar modo alla funzione di Internal Auditing, a quella di

Operational Risk Management e alla funzione legale, al fine di evitare

duplicazioni, sovrapposizioni e contrasti tra funzioni.

Confrontando la Funzione Compliance con quella di internal auditing, si pongono

in rilievo le diversità e le sinergie che si vengono a creare:

la Funzione compliance:

♦ si pone come obiettivi, l’identificazione dei rischi di compliance e la

conformità dei processi a norme e regole;

♦ utilizza una metodologia che comporta una visione analitica dei rischi;

♦ interviene in modalità bottom up, analisi di tutti i processi esposti ai rischi

di compliance.

L’internal auditing:

♦ Si pone come obiettivo, la valutazione del sistema di controllo interno al

fine di rendere i processi più efficienti ed efficaci;

♦ Utilizza una metodologia che comporta una visione sintetica dei rischi;

♦ Interviene in modalità top down, attraverso l’approfondimento di aree a

rischiosità elevata.

Le interazioni fra le due funzioni riguardano: l’utilizzo di metodologie di

valutazione dei rischi comuni (es. tecniche di control e risk assessment); sinergie

nell’individuazione dei rischi e nel potenziamento dei controlli; diffusione della

cultura del controllo e della conformità alle norme; sinergie nell’individuazione di

nuovi controlli (con costi relativi proporzionali ai rischi emergenti); creazione di

valore e stabilizzazione dei risultati aziendali di lungo periodo.

I benefici attesi, dalle sinergie e dalle relazioni interfunzionali, fra la funzione

compliance, l’internal audit e l’operational risk management, riguardano:

l’adozione di un unico repository dei processi; la condivisione delle metodologie,

delle tecniche e del linguaggio; una consapevolezza dei rischi e una valutazione

condivisa degli stessi con le funzioni coinvolte; un supporto consultivo e

regolamentare alle strategie e al business aziendale.

71

Ruoli e responsabilità, attività, caratteristiche e collegamenti funzionali della

Funzione compliance, devono essere chiaramente definiti nel momento in cui si

procede alla sua costituzione. Questo si realizza mediante la predisposizione di un

apposito regolamento della Funzione, in cui viene indicata la soluzione

organizzativa prescelta e le regole interne di funzionamento di tale unità.

Ulteriori aspetti necessari affinché la Funzione compliance possa operare

efficacemente sono:

♦ una struttura chiara e un sistema di riporto funzionale trasparente, in grado

di preservare l’indipendenza e rispettare il commitment degli organi

amministrativi della banca;

♦ adeguate risorse finanziarie, quest’ultime senza conflitti con le business

unit in relazione al processo di selezione, remunerazione e misurazione

della performance;

♦ un regolamento della funzione, inclusivo di organigramma,

funzionigramma e disciplina delle relazioni con le altre fnzioni di internal

audit, risk management e legal, ecc;

♦ la suddivisione delle responsabilità e delle attività di compliance, incluse

in un programma di attività annuale;

♦ la verifica periodica e indipendente dell’efficacia ed efficienza del

processo di avanzamento del programma di attività e dei possibili

miglioramenti.

La funzione di compliance richiede quindi, che le risorse umane e tecniche siano

adeguate a presidiare il rischio di non compliance, e devono essere strettamente

correlate alla dimensione, alla complessità organizzativa, al grado di

sofisticazione del business e dei prodotti offerti, all’articolazione territoriale e

geografica della banca.

72

2.3 RIFLESSI ORGANIZZATIVI E IMPATTO DELLA COMPLIANCE

NELLE BANCHE DI MEDIO-PICCOLA DIMENSIONE

Il controllo del compliance risk, come definito nel documento di Basilea, rientra

nelle attività di governance delle banche; sua importante connotazione, per una

efficiente Funzione compliance, è la trasversalità dell’attività di presidio svolta.

A tal fine risultano cruciali, tanto la capillarità dell’organizzazione, quanto la

definizione e l’attribuzione di compiti e responsabilità all’interno della struttura40

Dette caratteristiche sono riscontrabili all’interno delle banche di minori

dimensioni, in capo all’Unità di controllo rischi, la quale tradizionalmente opera

nella sfera dei controlli o della misurazione ex-post. In tal senso è evidente il

beneficio in termini di maggiore efficacia dell’attività svolta dalla funzione

compliance, che può derivare da un’organizzazione all’interno della quale le

risultanze delle verifiche del Controllo Interno siano nella immediata disponibilità

del compliance officer. Infatti, pur svolgendosi l’attività della Funzione

compliance nella sfera della verifica a fini di prevenzione, risulta difficile pensare

che un’efficace attività di prevenzione possa essere svolta in assenza delle

preventiva conoscenza dei comportamenti non conformi riscontrati in passato,

oggetto questi ultimi, di misurazione e analisi da parte dell’Unità di controllo

rischi. Pertanto l’assegnazione all’unità di controllo rischi, dei compiti tipici della

Funzione compliance, non può che tradursi in una maggiore efficacia dell’opera

svolta dalla Funzione in esame.

.

Requisito necessario al fine di contenere l’onerosità e di garantire l’adattamento

della funzione allo sviluppo aziendale è infine quello della flessibilità.

Inoltre ad esempio, il servizio controllo rischi delle piccole banche, svolge spesso

anche verifiche inerenti alla normativa antiriciclaggio; attività strettamente

connessa con l’esercizio della Funzione di Compliance, cui compete fare in modo

che la struttura di front dell’istituto, sia consapevole dei rischi di coinvolgimento

in operazioni di riciclaggio. L’attribuzione della compliance, all’Unità di controllo

rischi, garantirebbe pertanto l’assolvimento da parte del compliance officer, del

ruolo di deterrente dell’attività di antiriciclaggio, attraverso l’esercizio dell’attività

di supervisione sull’operato degli uffici di front.

40 In tal senso, l’intervento di A.Colombo di HSBC Bank, al convegno organizzato a Milano da Iside Srl il 12 ottobre 2004, dal titolo La funzione compliance e il modello organizzativo.

73

Alla luce di queste considerazioni, si ritiene anche, che il servizio maggiormente

indicato a svolgere l’attività di compliance nelle piccole banche, sia proprio il

controllo rischi. Tale servizio, tra l’altro, gode di un sufficiente grado di

autonomia (requisito, quest’ultimo, indispensabile per lo svolgimento dell’attività

di compliance) e di una relazione diretta con il Collegio sindacale e il Consiglio di

amministrazione della banca.

Inoltre, a sostegno della tesi secondo la quale, la funzione di compliance nelle

piccole banche dovrebbe essere fatta risiedere nell’ambito del controllo rischi, si

richiama l’attenzione sulla disciplina regolamentare emanata dalla Consob41

Anche tale funzione viene spesso svolta, nell’ambito delle piccole banche che

hanno già esternalizzato la funzione audit, dal comitato rischi.

che

prevede l’istituzione della Funzione di controllo interno.

A questa funzione, analogamente a quanto avviene per il compliance officer, sono

attribuiti dalla Consob incarichi e responsabilità in ordine alla verifica ex ante, del

corretto recepimento delle norme vigenti in materia di prestazione dei servizi di

investimento alla clientela, da parte degli intermediari.

Quanto infine all’ipotesi di assegnare la Funzione compliance all’internal

auditting, tale ipotesi è avversata dal citato documento dell’ottobre 2003, nel

quale, il Comitato di Basilea ha evidenziato l’inopportunità di tale soluzione, in

considerazione di come solo la separatezza delle due funzioni garantisca una

revisione indipendente dalla Funzione compliance da parte dell’internal auditor,

revisione quest’ultima, alla quale il compliance officer è opportuno che sia

periodicamente sottoposto, al paro delle altre unità organizzative della banca.

41 Si veda l’art.57 “Controllo interno”, della delibera Consob n.11522/98 di adozione del regolamento di attuazione del d.lgs. 24 febbraio 1998, n.55, concernente la disciplina degli intermediari e successivamente modificato con delibere n.11745 del 9 dicembre 1998, n.12409 del 1marzo 2000, n.12498 del 20 aprile 2000, n. 13082 del 18 aprile 2001 e n.13710 del 6 agosto 2002.

74

2.4 REQUISITI QUALI-QUANTITATIVI DEFINITI DA BASILEA 2,

CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLE “BANCHE DI

PROSSIMITÀ”

Basilea 2 è il cosiddetto Nuovo Accordo di Basilea, che definisce, a livello

internazionale, i requisiti patrimoniali delle banche in relazione ai rischi derivanti

dai crediti concessi, e introduce nuove e più sofisticate metodologie di valutazione

delle imprese che intendano accedere al credito. Secondo Basilea II le banche dei

paesi aderenti dovranno classificare i propri clienti in base alla loro rischiosità,

attraverso procedure di rating. Dovranno, successivamente, accantonare delle

quote di capitale definite in base al livello di rischio dei rapporti di credito

accordati per tutelarsi dai rischi assunti.

Tale livello di rischio viene definito tramite dei meccanismi detti di rating. Autore

dell'accordo è il Comitato di Basilea, istituito dai governatori delle Banche

centrali dei dieci paesi più industrializzati del mondo, il cosiddetto G10.

Il processo di consultazione intrapreso per la definizione del Nuovo Accordo sul

Capitale della banche, svoltosi nell’arco di cinque anni (1999-2004), ha portato a

un progressivo e significativo adattamento della prima ipotesi di Accordo del

200142

Non appena rilasciata la versione definitiva dello schema di misurazione del

capitale e dei coefficienti patrimoniali delle banche (giugno 2004), gli

intermediari, si sono ritrovati inevitabilmente proiettati nel futuro: il nuovo mondo

di Basilea 2. Immediatamente per il sistema creditizio si è prospettato l’esigenza

di programmare la conformità ai prossimi schemi normativi di vigilanza

(compliance). L’attività progettuale vede coinvolti parecchi attori aziendali, a

partire dal CdA delle banche, che ne dovrà garantire la corretta pianificazione e

realizzazione, fino ai soggetti direttamente responsabili degli aspetti applicativi

trattati dalla normativa. L’unità organizzativa che si occuperà di compliance sarà

anch’essa chiamata a svolgere una funzione altrettanto rilevante nel processo di

. Un particolare riguardo è stato riservato alle specifiche problematiche

poste dall’estensione dell’Accordo alle banche minori, atteso che l’impianto

normativo era stato sin dall’origine basato sull’ipotesi di applicazione alle banche

a carattere internazionale.

42 In realtà, l’Accordo di Basilea del 1988 ha assunto una valenza a carattere universale, essendo stato recepito dal oltre cento paesi in tutto il mondo.

75

avvicinamento a Basilea 2 e non solo. Sarà poi uno degli attori più significativi e

qualificati nell’assicurare anche il mantenimento nel tempo della medesima

compliance che, con tanto impegno e coinvolgimento di risorse, la banca ha

conseguito in precedenza.

Per adottare i modelli gestionali sui rischi di credito, ai fini della definizione dei

requisiti patrimoniali obbligatori, le banche devono confrontarsi con alcune

problematiche di natura specifica.

Innanzitutto, ogni intermediario dovrà definire un Piano personalizzato di

attuazione della normativa in coerenza con le caratteristiche peculiari della propria

struttura organizzativa43. Nello specifico, ciascuno dovrà conformarsi almeno con

la condizione e la disponibilità dei seguenti fattori: risorse umane, competenze

professionali specifiche, sistemi informativi e procedure operative di supporto,

redditività aziendale e risorse patrimoniali libere44

. La figura 2.6, rappresenta il

processo di programmazione dell’entrata in Basilea 2 e le esigenze che la banca

deve considerare nell’attuazione della conformità ai metodi IRB.

Figura 2.6 – Processo di programmazione entrata Basilea II

43 Piano, sul quale le banche si confronteranno costantemente con l’autorità di Vigilanza in tutte le fasi preparatorie che precedono l’eventuale validazione dei modelli interni e l’applicazione dei metodi IRB ai fini prudenziali. 44 In termini di risorse di capitale non “vincolate” (assorbite) dai rischi assunti dalla banca nello svolgimento della propria attività creditizia.

76

La fase di pianificazione precede quella di validazione e il successivo

mantenimento dello stato di conformità precedentemente conseguito45. Il tutto è

supportato da alcune necessità, varie ed eventuali, tra cui si segnalano: revisione

periodica delle fasi del processo da parte dell’internal audit; costituzione della

Funzione compliance46

Per le banche di minori dimensioni, di norma largamente estranee ai processi di

internazionalizzazione e di competizione globale, la revisione dell’Accordo

rischia di concretizzarsi in un inasprimento dei coefficienti patrimoniali e in un

aggravio dei costi connessi ai controlli prudenziali, senza che ciò si traducesse

anche in incentivi al perseguimento di best practice nella sana e prudente gestione.

Più in generale, il superamento di criteri prudenziali indistinti e rigidi, di Basilea

1, a favore del sistema molto più articolato e discrezionale, di Basilea 2, può

comportare il rischio di re-introdurre forme di segmentazione dei mercati e dei

sistemi bancari, e di favorire complessi meccanismi di arbitraggio regolamentare.

che presidierà gli adempimenti normativi di varia natura,

posti a carico della banca, e ne valuterà i rischi d’inadempienza; realizzazione del

sistema di controllo e di monitoraggio dei rischi.

Come l’accordo iniziale (Basilea 1988), anche il Nuovo Accordo prevede

l’obbligo per le banche di dotarsi di un capitale proprio minimo, (capitale di

vigilanza), espresso come percentuale del valore delle esposizioni, variabile in

funzione di alcune caratteristiche delle esposizioni stesse.

Mentre nell’accordo del 1988, il calcolo delle quote da accantonare dipendeva dal

tipo di controparte (sovrani, banche, imprese, ecc.), nel Nuovo Accordo, si è

scelto invece di correlare più strettamente gli accantonamenti ai rischi

effettivamente assunti dalle banche, valutati attraverso l’utilizzo di modelli di

rating esterni ed interni.

Il Nuovo Accordo si fonda su alcuni principi fondamentali, definiti “Pilastri”,

orientati a stabilire le linee guida che banche ed organismi di vigilanza dovranno

seguire ai fini di una maggiore tutela del credito e dei risparmiatori. Prima di

addentrarci nell’ambito dei modelli di valutazione del rischio e delle loro

45 La manutenzione ordinaria è connessa al processo di adeguamento periodico del sistema di gestione dei rischi della banca al normale svolgimento della propria attività creditizia. La manutenzione straordinaria, invece, è necessaria ogni qualvolta di verificano delle situazione particolari che possono causare la perdita di conformità del sistema gestionale ai requisiti di Basilea 2 (esempio: entrata in nuovi segmenti/mercati di operatività; offerta di nuovi prodotti/servizi finanziari; peggioramento della significatività delle stime prodotte dai modelli interni della banca). 46 Comitato di Basilea, Compliance and the compliance function in banks, aprile 2005

77

implicazioni per le imprese, diamo una breve descrizione del contenuto dei tre

pilastri:

Primo pilastro: è volto a definire i requisiti minimi di capitale delle banche e

ad individuare le metodologie che le banche stesse dovranno adottare nella

valutazione dei rischi di credito (il cui criterio di valutazione è stato

modificato nel nuovo accordo), di mercato (già presente nell’accordo

precedente) ed operativi (introdotto con il nuovo accordo).

Secondo pilastro: il criterio detto di “controllo prudenziale” è volto a ridefinire

le procedure che le autorità di vigilanza (per il nostro Paese la Banca d’Italia)

dovranno seguire nello svolgimento dei loro compiti, ai fini di una maggiore

tutela dei risparmiatori.

Terzo pilastro: è volto a definire gli obblighi che le banche dovranno assolvere

nei confronti del mercato con particolare attenzione alle esigenze di

trasparenza e correttezza nei confronti della clientela.

Come già accennato, il nuovo accordo lega strettamente il patrimonio di una

banca ai rischi che la stessa si assume nei confronti della sua clientela. In questo

senso, esso prevede uno spettro di approcci alla valutazione del rischio che và da

metodologie semplici a metodologie più complesse, sia per la misurazione del

rischio di credito, ovvero del rischio legato alla possibilità che la controparte

risulti inadempiente, sia del rischio operativo, ossia del rischio legato al verificarsi

di eventi pregiudizievoli dovuti a fattori interni (ad esempio errori dovuti ai

sistemi informativi o problemi legati ad illeciti commessi da personale della

banca) o esterni alla banca stessa. L’obiettivo di fondo è costringere le banche ad

effettuare accantonamenti patrimoniali crescenti in ragione del livello di rischio

che esse si assumono. La misura risponde ad una necessità di solidità ed efficienza

di un mercato finanziario che si fonda in gran parte sulla stabilità del sistema

bancario.

78

Il Nuovo Accordo di Basilea prevede una maggiore attenzione alla valutazione del

rischio di credito sostenuto dalle banche. In particolare queste ultime, nella

valutazione di tali rischi, sono autorizzate a scegliere tra tre possibili approcci:

• Approccio standard;

• Approccio IRB Foundation;

• Approccio IRB Advanced.

Metodologia Standard

Questo approccio consente una valutazione del rischio di credito molto simile a

quella prevista dall’Accordo attualmente in essere, ma caratterizzata da una

maggiore sensibilità al rischio.

La Banca assegna una ponderazione di rischio a ciascuno dei suoi impieghi e

genera una somma di valori dell’attivo, ponderati. La ponderazione del rischio

associato a ciascuna controparte è calcolata in base alla valutazione della

controparte stessa, effettuata da agenzie di rating accreditate (Moody’s, S&P,

ecc.).

Nella tabella sopra riportata, sono indicate a titolo esemplificativo le percentuali

di ponderazione del rischio di diverse classi di rischio di controparti appartenenti

al segmento delle aziende “corporate”, definite in base al merito creditizio di

ciascuna di esse.

Per chiarire con un esempio, se un’azienda del segmento corporate appartenente

alla categoria di rischio A richiede un prestito non garantito per un ammontare di

500.000 Euro, la banca deve calcolare l’attivo ponderato che si ottiene

moltiplicando:

79

Poiché il calcolo del patrimonio di vigilanza sarà effettuato in base alla seguente

formula (stabilita dal Comitato di Basilea):

Ciò significa che il capitale accantonato dalla banca, misurato attraverso

l’approccio standard, dovrà ammontare ad almeno 20.000 Euro.

Se l’azienda, anziché avere un rating pari ad A, fosse priva di un rating, l’attivo

sottoposto a rischio ammonterebbe a 500.000 Euro e la relativa quota da

accantonare a 40.000 Euro.

Appare evidente come un finanziamento erogato ad un’azienda con un rating

migliore, risulti per una banca meno “costoso” in termini di quota di capitale da

accantonare, rispetto ad un finanziamento erogato nei confronti di un’azienda di

standing più elevato.

Questo primo approccio si basa dunque su rating esterni, ovvero assegnati da

agenzie specializzate.

Poiché in Italia il numero di aziende che possiedono un rating ufficiale, ovvero di

aziende che sono soggette a valutazione da parte delle agenzie di rating, è molto

esiguo e composto principalmente da aziende di grandi dimensioni, la maggior

parte del tessuto imprenditoriale del nostro Paese ricadrà nella categoria con

ponderazione 100%, fornendo scarse possibilità di ottenere vantaggi economici

alle banche che decideranno di adottare l’approccio standard. I crediti verso

privati e piccole e medie imprese appartenenti alla categoria “retail” godono

tuttavia di una definizione standard che in parte riduce l’onere di accantonamento

80

patrimoniale per le banche. Infatti l’attivo sottoposto a rischio per il calcolo del

requisito minimo di capitale dell’8% rappresenta solamente il 75%

dell’ammontare del credito erogato al cliente.

Questo fattore, inoltre, crea instabilità nel sistema economico, e soprattutto è

causa di scarsa cura nei rapporti banca-impresa; per ovviare a questa empasse, il

Comitato di Basilea ha introdotto una nuova metodologia:

Metodologia IRB (internal rating based)

Con l’approccio basato sui rating interni (IRB), verrà concesso alle Banche di

utilizzare sistemi di rating realizzati al loro interno per valutare lo standing

creditizio degli affidati, ma sotto la stretta sorveglianza dell’Autorità di Vigilanza

(Banca Centrale). In sostanza, ciascuna banca valuterà il rischio di credito

associato ad ogni cliente, traducendo il risultato in stima del livello di possibili

future perdite. Queste stime formeranno la base dei requisiti minimi patrimoniali

che le banche dovranno possedere.

Il sistema di calcolo IRB delle attività ponderate per il rischio, si fonda su quattro

input:

1) La probabilità di inadempienza (“probability of default” – PD) misura la

probabilità che la controparte si renda inadempiente nell’arco di un dato

orizzonte temporale (1 anno);

2) La perdita in caso di inadempienza (“loss given default” – LGD) rileva la

parte dell’esposizione che andrà perduta all’eventuale verificarsi

dell’inadempienza; è il parametro che risente della diversa valutazione di

eventuali garanzie prestate dal debitore;

3) L’esposizione in caso di inadempienza (“exposure at default” – EAD) che,

per gli impegni di prestito, stima l’ammontare della linea creditizia

accordata destinato ad essere utilizzato in caso di inadempienza; è il

parametro che risente del diverso livello di revocabilità delle linee di

credito da parte della banca;

4) La durata (“maturity” – M) che esprime la scadenza economica residua

dell’operazione; è fissata in 2,5 anni nei metodi IRB foundation, mentre

nei metodi IRB advanced è calcolata come media ponderata dei tempi

81

mancanti ai diversi pagamenti previsti, ognuno ponderato per il relativo

importo. La vita residua deve sempre essere compresa tra uno e 5 anni.

Stabilito un valore per ciascuno di questi quattro input, la funzione di

ponderazione del rischio IRB per i crediti verso imprese genererà uno specifico

requisito patrimoniale per ogni esposizione. Per i crediti nei confronti delle PMI

(imprese con fatturato inferiore a 50 milioni di Euro) che potranno operare un

aggiustamento in funzione della dimensione aziendale nella relativa formula di

ponderazione del rischio.

La differenza tra il metodo IRB Foundation ed il metodo IRB Advanced è che il

primo prevede che la Banca valuti internamente la probabilità di insolvenza (PD)

di ciascun prenditore, mentre l’Autorità di Vigilanza fornirà tutti gli altri input del

modello di valutazione. Il secondo invece offrirà più autonomia alle banche che si

dimostreranno in grado di costruire sistemi di rating interni efficienti ed efficaci,

consentendo loro di stimare internamente anche i valori di LGD, di EAD e di

maturity (solo per le categorie non “retail”).

Le novità introdotte dal Nuovo Accordo, condurranno certamente ad un forte

aumento della sensibilità al rischio da parte delle banche. Il capitale verrà quindi

allocato alle imprese oggi più di ieri in base al miglior rapporto

rischio/rendimento possibile. Ci si attende quindi una maggiore attenzione nel

valutare le singole posizioni con le imprese. Infatti, il peso dei finanziamenti

varierà all’interno di classi predeterminate, ognuna delle quali richiederà un

impiego di patrimonio diverso.

In base a quanto visto sopra, i metodi più vantaggiosi per gli istituti di credito, in

termini di calcolo dei requisiti patrimoniali ai fini dello svolgimento della propria

attività, risultano essere i metodi IRB. Essi infatti consentono alle banche di

calcolare internamente il merito creditizio delle proprie controparti e di effettuare

ponderazioni sulla base di parametri calcolati autonomamente.

Il Comitato di Basilea impone però agli istituti di credito che desiderino adottare i

metodi IRB di dimostrare, alla data di entrata in vigore dell’Accordo (1° gennaio

2007), di possedere almeno 3 anni di conformità operativa, strumentale e

organizzativa a quanto previsto nell’Accordo stesso.

Questo significa che già oggi le banche che intendono adottare gli approcci più

sofisticati devono cominciare ad utilizzare sistemi di rating interno documentati e

82

statisticamente testati. I bilanci aziendali, a partire da quello del 2003, verranno

quindi analizzati per valutare la probabilità di insolvenza a 12 mesi, e la

rischiosità di ogni impresa verrà sintetizzata in un rating o in uno score (per le

categorie “retail”).

Secondo gli studi più recenti sulla materia, saranno proprio le PMI in particolare

a soffrire dell’evoluzione in atto nel rapporto tra banca e impresa. Ciò a causa di

una loro più difficile valutazione quali-quantitativa ai fini di un affidamento

(dovuta anche ad una maggiore “opacità” dell’informativa di bilancio) e a causa di

una storicamente riscontrata maggiore rischiosità.

Tuttavia, questo fenomeno può in parte essere bilanciato da un particolare

trattamento che è stato concesso alle PMI nella differente ponderazione per il

rischio, al quale si è accennato nell’introduzione all’approccio standard, da cui

deriva il requisito patrimoniale associato ad ogni forma di impiego delle banche.

Nell’aprile 2003 infatti è stato introdotto un particolare “sconto” sul peso di

finanziamenti ad aziende con fatturato annuo inferiore a 50 milioni di Euro per il

calcolo del requisito patrimoniale.

Figura 2.7 – Patrimonio di vigilanza

In altri termini, una banca che affida un’azienda di piccole e medie dimensioni

dovrà accantonare una quota di capitale inferiore rispetto ad un uguale

affidamento ad una grande azienda. Tale misura correttiva è ispirata alla volontà

83

di non penalizzare eccessivamente le banche di piccole dimensioni che erogano

crediti alla categoria “retail”, e deriva dalla consapevolezza che la massa dei

crediti verso soggetti di piccole dimensioni e con attività poco correlate tra loro è

caratterizzata, in un’ottica di portafoglio, da un rischio sistematico (ossia non

diversificabile) più basso rispetto ad un’uguale massa di crediti verso poche

grandi imprese, le cui attività sono statisticamente più correlate con l’andamento

generale dell’economia.

Una selezione delle imprese affidate più rigorosa attraverso l’introduzione di

miglioramenti nelle procedure di valutazione e di controllo dei crediti potrebbe

inoltre portare ad una sostanziale riduzione delle sofferenze, dei contenziosi e

delle perdite su crediti da parte delle banche.

Quindi, sulla base della prima bozza dell’Accordo, l’applicazione alle banche

minori dell’Approccio Standardizzato, per il calcolo del nuovo coefficiente,

rischiava di introdurre una penalizzazione relativa e, di fatto, un fattore di

disparità concorrenziale, visto che il sistema dei pesi delle attività a rischio

risultava pressoché simile a quello dell’Accordo del 1988. D’altronde, l’ipotesi di

beneficiare di pesi di rischio inferiori a fronte di clientela con rating esterno, si

rivelava del tutto irrealistica, considerando la scarsissima presenza di imprese

rated tra la clientela delle banche di piccole e medie dimensioni, soprattutto nella

realtà bancaria dell’Europa continentale. Per contro, l’introduzione nelle banche

“minori” di sistemi IRB, è sembrata sin dall’origine poco praticabile, né realmente

auspicata dalle autorità di Vigilanza, in considerazione dei costi di impianto e di

validazione di tali sistemi, nonché di alcuni oggettivi limiti applicativi (necessità

di know-how specialistico non facilmente reperibile, difficoltà nel rispettare i

requisiti organizzativi previsti per i sistemi IRB, scarsa significatività numerica

delle esposizioni da censire ai fini del buon funzionamento di un sistema di rating

interno).

In linea generale, gli approcci di misurazione del rischio di controparte basati sul

rating, sia esterni, ossia attribuiti dalle agenzie di rating, sia interni, ossia elaborati

internamente alle banche, sembrano corrispondere a un modo di svolgere l’attività

creditizia cosiddetto di tipo transaction lending, fondato sull’acquisizione di

informazioni strutturate sul cliente, in genere pubbliche, e su un’elaborazione

massima di dati che tende a privilegiare il trattamento della transazione, piuttosto

che la prestazione di un servizio personalizzato per il prenditore di credito. Questo

84

modello, basato sulla transazione, appare in una certa misura alternativo a quello

basato sulla relazione, cosiddetto appunto di tipo relationship lending, che tende

invece a sfruttare i vantaggi informativi connessi con la prossimità al cliente e la

conoscenza diretta, in genere protratta nel tempo. Il modello di relazione si fonda

quindi sulla disponibilità di informazioni generalmente non strutturate e

proprietarie, di natura quali-quantitativa, di norma riferite a un segmento di

piccole imprese, di solito non brillanti dal punto di vista informativo.

Risulta in questo contesto premiante, per le banche di prossimità, la capacità di

valutare anche informazioni di tipo qualitativo come la qualità del management, il

settore di appartenenza e il posizionamento nel settore, che risultano trattabili a

costi più elevati e meno“industrializzabili”, proprio perché meno standardizzate e

codificate. Le economie di scala che consentono di beneficiare di costi più

contenuti nel trattamento delle informazioni su volumi elevati di rapporti ed

operazioni non possono quindi pienamente essere sfruttate dalle banche di grandi

dimensioni come vantaggio competitivo nei confronti delle “banche di

prossimità”.

Nonostante sia improprio attribuire in modo netto e schematico, l’approccio di

tipo transaction lending alle grandi banche, e quello di tipo relationship lending

alle piccole banche a vocazione locale, si può comunque sostenere che

l’introduzione nelle banche minori di sistemi di valutazione basati sui rating,

potrebbe rivelarsi come un fattore di indebolimento del modello relazionale, sul

quale sembra essere fondato gran parte del successo delle piccole banche in molti

paesi ed in particolare delle banche di credito cooperativo italiane.

A seguito del proficuo confronto che si è sviluppato su questi temi, il Comitato di

Basilea, ha parzialmente modificato alcuni criteri previsti nell’Approccio

Standard, introducendo nella versione definitiva del giungo 2004, un sistema di

pesi di rischio più articolato (specifica ponderazione per il portafoglio retail,

riduzione di peso dei mutui ipotecari) e valorizzando ulteriormente le tecniche e le

possibilità di mitigazione del rischio.

Per questo motivo diviene ancora più importante per la banca riuscire a stabilire

con il cliente una relazione stabile, che attraverso le operazioni di finanziamento

consenta di veicolare lavoro bancario ed erogazione di servizi che generano

redditività.

85

In questo contesto risulta quindi confermata l’evoluzione in atto soprattutto nelle

PMI, che sono avviate verso una riduzione del numero di rapporti bancari: tale

fenomeno può essere in parte spiegato dalla crescita delle fusioni bancarie, che

negli anni scorsi ha interessato il mercato italiano e dalla volontà delle imprese di

instaurare rapporti più stabili ed intensi con un numero più ridotto di interlocutori,

con conseguenti benefici in termini di riduzione dei costi fissi di gestione dei

rapporti e dei costi impliciti ad una gestione della tesoreria operativa più

complessa.

Un discorso a parte meritano le imprese di piccole e medie dimensioni, che

privilegeranno scelte orientate ad instaurare rapporti stabili con “una banca di

riferimento”, alla quale richiederanno servizi complementari rispetto

all’erogazione del credito, offrendo in ogni caso garanzie collaterali, talvolta

rafforzate dalla decisione dell’imprenditore di affidare alla banca stessa anche la

gestione del proprio patrimonio personale.

Per valutare compiutamente l’impatto della normativa sul rapporto banca/impresa

è necessario considerare anche il mutato contesto di mercato nel quale operano le

aziende di credito, soprattutto nell’ambito dei servizi finanziari offerti alle PMI:

1) Le banche di grandi dimensioni sembrano progressivamente orientate

verso le operazioni di raccolta e di impiego dei capitali nel mercato

mobiliare, che appare più remunerativo e coerente con le strategie di

riorganizzazione in atto. Per tale motivo le grandi banche considerano

l’attività di erogazione del credito tradizionale alle imprese un’attività

“matura”, che garantisce quindi una redditività decrescente ed un rischio

non sempre giustificabile dal rendimento atteso.

2) L’evoluzione delle preferenze di investimento dei risparmiatori verso

strumenti di risparmio gestito pone nuove difficoltà di raccolta di capitali

impiegabili dalla banca per operazioni di finanziamento alle imprese.

3) Le banche cosiddette “di prossimità” potranno probabilmente aumentare il

proprio interesse verso le operazioni di finanziamento alle imprese a causa

di:

♦ una più ridotta competizione con le grandi banche nel settore

dell’erogazione del credito alle imprese; l’acquisizione delle nuove

esposizioni deve in ogni caso tenere conto del fatto che la crescita delle

quote di mercato può condurre ad un sostanziale peggioramento della

86

qualità dei prestiti, se non viene continuamente verificato il rischio dei

rapporti lasciati dalle banche più grandi. Le asimmetrie informative tra

banca e cliente possono accrescere la possibilità che proprio i clienti

con un maggiore grado di rischio si rivolgano alle banche che meno di

altre sono in grado di valutarlo correttamente, con un conseguente

peggioramento complessivo del livello di efficienza del nuovo sistema

ispirato a Basilea 2;

♦ una più efficiente capacità di valutare anche qualitativamente le

imprese affidate, a causa di un accesso più economico alle

informazioni disponibili nel territorio di competenza, di una

comunicazione più efficace delle informazioni qualitative da parte

della rete commerciale e di una gestione più flessibile del rapporto con

il cliente: in questo modello assume infatti maggiore importanza

informativa il ruolo del “gestore della relazione” con il cliente. Le

piccole banche sono generalmente dotate anche di una catena

decisionale più corta, in grado di rispondere spesso più

tempestivamente alle necessità del mercato e della clientela (ad

esempio con processi di istruttoria più veloci).

L’evoluzione descritta potrebbe rendere oggi più di ieri vantaggioso per le PMI

attivare rapporti con banche di prossimità, che appaiono meglio in grado di

valutare la complessità di aziende ed operazioni di dimensione contenuta.. Infatti,

le informazioni quantitative e mandamentali considerate dai sistemi di rating più

diffusi sono spesso meno adeguate a rappresentare correttamente l’andamento

aziendale delle PMI complesse rispetto a quello delle grandi aziende.

Infatti, la complessità di una azienda non è sempre correlata alla sua dimensione e

per tale motivo è possibile prevedere che Basilea 2 creerà una domanda di servizi

finanziari complessi da parte di piccole e medie imprese sofisticate, che più

difficilmente potranno essere erogati in modo economicamente vantaggioso dalle

grandi banche così come sono oggi strutturate.

Risulta in questo contesto premiante la capacità di valutare anche informazioni di

tipo qualitativo come la qualità del management, il settore di appartenenza e il

posizionamento nel settore, che risultano trattabili a costi più elevati e

meno“industrializzabili”, proprio perché meno standardizzate e codificate. Le

87

economie di scala che consentono di beneficiare di costi più contenuti nel

trattamento delle informazioni su volumi elevati di rapporti ed operazioni non

possono quindi pienamente essere sfruttate dalle banche di grandi dimensioni

come vantaggio competitivo nei confronti delle “banche di prossimità”.

2.5 NUOVI COMPITI COMPLIANCE: MiFID

In questi mesi è in corso di approvazione al Parlamento Europeo il “secondo

livello” della Direttiva 2004/39/CE relativa ai mercati degli strumenti finanziari

(MiFID – Markets in Financial Instruments Directive). Questo “secondo livello”,

presentato nel febbraio 2006 dalla Commissione Europea, contiene regole più

precise e misure tecniche per l’implementazione dei principi generali del MiFID,

già approvati il 21 aprile 2004.

L’approvazione della proposta rappresenta la base di partenza del processo di

adeguamento. Le disposizioni legislative e regolamentari di attuazione della

Direttiva dovranno essere recepite nella legislazione dei singoli Stati membri della

UE entro fine gennaio 2007. La Direttiva dovrà essere applicata nel novembre

dello stesso anno. E’ giunto quindi il momento di agire e predisporre tutte le

attività necessarie per recepire la nuova Normativa fin da ora.

Nelle intenzioni della Commissione, le norme contenute nella Direttiva

costituiscono un passo importante verso la costruzione di un mercato azionario

europeo integrato. Le imprese di investimento godranno realmente di un

"passaporto unico" e gli investitori beneficeranno del medesimo livello di

protezione, a qualsiasi sistema di intermediazione mobiliare europeo decideranno

di rivolgersi. Al tempo stesso l’introduzione della Direttiva nei singoli paesi

membri costituisce un elemento che può determinare significative modifiche alle

modalità competitive tra i diversi intermediari. L’adeguamento al nuovo contesto

è quindi un “must” da tenere in considerazione nella predisposizione e

implementazione delle future strategie degli intermediari finanziari italiani.

Gli obiettivi della Direttiva. La Direttiva MiFID è un elemento chiave del

“Financial Services Action Plan” dell’Unione Europea, progettato al fine di

facilitare l’integrazione dei mercati finanziari europei.

88

Gli obiettivi generali della Direttiva MiFID sono:

1) Efficienza, trasparenza ed integrazione delle infrastrutture di negoziazione,

ottenuta con:

♦ Trasparenza delle informazioni sulle negoziazioni pre e post trade;

♦ Nuove regole per tutte le piattaforme di negoziazione attive in Europa:

Mercati Regolamentati (con la rimozione del principio di

concentrazione delle negoziazioni su di essi), MTF e transazioni “over

the counter”.

2) Protezione degli investitori, ottenuta con apposite regole di conduzione del

business:

♦ Classificazione dei clienti

♦ Marketing

♦ Informazioni sui Client Agreements

♦ Idoneità e conoscenza del cliente

♦ Convenienza e servizi “execution-only”

♦ Best Execution

♦ Gestione degli ordini dei clienti

♦ Reporting delle informazioni ai clienti

Le regole di organizzazione e controlli interni che ne scaturiscono sono relative a:

♦ Impostare una Funzione compliance, emanare Compliance arrangements

(incluse le operazioni personali);

♦ Sistemi e controlli interni (organizzazione interna, reporting e definizione

delle responsabilità di alto livello);

♦ Record – keeping;

♦ Gestione dei conflitti di interesse;

♦ Salvaguardia degli strumenti finanziari dei clienti

Il MiFID cambierà il modo in cui le banche e le società d’investimento conducono

il business con la loro clientela, l’adeguamento alla nuova Direttiva non si

configura pertanto come un

89

progetto di pura compliance, teso a far rispettare i nuovi requisiti richiesti in

ordine alla trasparenza ed alle garanzie per gli investitori, bensì come un progetto

di adeguamento ad un nuovo standard di Business.

L’evoluzione del mercato USA dimostra efficacemente come il processo di

adeguamento normativo abbia forti impatti sul business delle banche e delle

società d’investimento. Infatti, intervento normativo, evoluzione tecnologica nel

processo di negoziazione dei titoli e maggior esperienza degli investitori, hanno

creato un contesto per banche e imprese d’investimento caratterizzato da forte

competizione, commissioni più basse e quindi esigenza di agire su altre leve per

migliorare il prodotto.

Anche per il mercato europeo, in cui tecnologia e competenze degli investitori si

sono già evoluti, dopo il recepimento della Direttiva MiFID si presenteranno

ragionevolmente le medesime conseguenze.

L’adeguamento a tale normativa dovrà pertanto essere intrapreso con la finalità di

individuare e cogliere al meglio le opportunità di business

che ne scaturiscono.

Il ruolo assunto dalle funzioni di controllo (Compliance, Risk Management e

Internal Audit) nelle banche e nelle società d’investimento dovrà modificarsi in

conseguenza alle nuove richieste di trasparenza, dovranno inoltre, essere

adeguatamente considerate le sinergie tra l’adeguamento al MiFID e gli altri

progetti in corso relativi a Organizzazione e Internal Auditing, dato che molti dei

requisiti richiesti dalla Direttiva MiFID sono comuni anche ad altre normative. Le

nuove regolamentazioni introdotte dal MiFID saranno estese anche a strumenti

finanziari derivati, strumenti del mercato monetario e commodities. Le società che

operano nei servizi di investimento dovranno effettuare un’ampia revisione dei

processi esistenti come risultato di nuovi obblighi per la protezione degli

investitori. Il MiFID presenta forti implicazioni su tutti gli aspetti di processo

legati alla Best Execution.

I rischi più elevati, legati all’introduzione della direttiva MiFID riguardano: (vedi

figura)

90

Figura 2.8 – rischi connessi alla MiFID

A questo punto deve riferirsi delle previsioni in materia di requisiti organizzativi

e, in particolare, di procedure e controlli interni contenute nella direttiva

2004/39/Ce47 (MiFID). Invero, l’art. 13 della direttiva – rubricato “Requisiti di

organizzazione” – detta principi già contenuti nel TUF48 in materia di

organizzazione e controlli interni, al fine di assicurare una corretta ed efficiente

presentazione dei servizi di investimento, scevra anche da conflitti di interesse49

47 Si tratta della direttiva 2004/39/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 relativa ai mercati degli strumenti finanziari,che modifica le direttive 85/611/Cee e 93/6/Cee del Consiglio e la direttiva 2000/12/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttive 93/22/Cee del Consiglio (pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, L 145 del 30 aprile 2004). Tale direttiva dovrà essere attuata dagli Stati membri entro il termine di 24 mesi dalla sua data di entrata in vigore (coincidente con la pubblicazione in Gazzetta).

.

Di conseguenza, la sua attuazione non dovrebbe avere un particolare impatto sul

nostro ordinamento giuridico, fatta eccezione per alcune novità che a livello

48 TUF – Testo Unico della Finanza. 49 L’art. 13 della MiFID stabilisce che: o le imprese di investimento adottano misure ragionevoli per garantire la continuità e la

regolarità nella prestazione di servizi e nell’esercizio di attività di investimento. A tal fine le imprese di investimento utilizzano sistemi, risorse e procedure appropriati e proporzionati;

o le imprese di investimento dispongono di procedure amministrative e contabili sane, di meccanismi di controllo interno, di procedure efficaci per la valutazione del rischio e di meccanismi efficaci di controllo e tutela in materia di elaborazione elettronica dei dati;

o l’affidamento a terzi di funzioni operative essenziali deve essere accompagnato dall’adozione di “misure ragionevoli per evitare un indebito aggravamento del rischio operativo” e “non può mettere a repentaglio la qualità del controllo interno né impedire alle autorità di Vigilanza di controllare che le imprese di investimento adempiano a tutti gli obblighi”.

91

regolamentare potrebbero essere introdotte dalla Commissione europea (in

attuazione del secondo livello della cosiddetta procedura Lamfalussy50

Più interessanti indicazioni si possono trarre dal parere del CESR (Commettee of

European Securities Regulators) richiesto dalla Commissione europea,

nell’ambito delle richiamate misure di secondo livello, in ordine alle misure

tecniche di attuazione della proposta direttiva MiFID

) in

relazione all’ipotesi di prestazione congiunta di più servizi di investimento e/o

accessori.

51

Con specifico riferimento alla materia del controllo interno, la Commissione ha

richiesto al CESR un parere tecnico in merito ai principi base che le autorità

competenti devono tenere a mente per stabilire quando le imprese di

investimento

.

52

In punto ai principi generali, il CESR ha chiarito che al fine di determinare

l’adeguatezza dei propri sistemi, risorse e procedure, un’impresa d’investimento

deve prendere in considerazione tutte le circostanze rilevanti, tra le quali: la

natura, le dimensioni e la complessità dell’attività svolta dall’impresa

d’investimento e dei servizi di investimento prestati; le risorse e le procedure

adottate al fine di garantire che l’attività e i servizi d’investimento prestati

possono essere svolti senza interruzione, e che tali servizi e attività possano essere

velocemente riavviati nel caso in cui si verifichi una grave e improvvisa

interruzione di attività.

abbiano adottato misure ragionevoli al fine di assicurare che le loro

procedure amministrative e contabili siano considerabili sicure; le loro procedure

di controllo dei rischi siano considerabili efficaci; le disposizioni per il controllo e

la sicurezza dei sistemi di elaborazione delle informazioni siano considerabili

efficaci.

50 Com’è noto, la direttiva MiFID si caratterizza per l’attribuzione alla Commissione europea di una potestà normativa di rango secondario per l’adozione delle misure di esecuzione dei principi contenuti nella direttiva stessa (in attuazione, per l’appunto, del secondo livello della cosiddetta procedura Lamfalussy). La Commissione europea, nell’assolvimento di tale compito, acquisisce preventivamente i pareri del CESR (Committee of European Securities Regulators), organismo sopranazionale che riunisce le autorità di nazionali di vigilanza sui mercati mobiliari e che collabora , per l’appunto, con la Commissione alla costituzione di una nuova legislazione quadro per il mercato finanziario europeo. 51 Si tratta del CESR’s Technical Advice on Possible Implementino Measures of the Directive 2004/39/EC on Markets in FinancialInstruments, disponibile sul sito www.cesr-eu.org (ref. CESR/05-024b). 52 Per tali intendendosi “qualsiasi persona giuridica la cui occupazione o attività abituale consiste nel prestare uno o più servizi di investimento a terzi e/o nell’effettuare una o più attività di investimento a titolo professionale”

92

Secondo il CESR, i principi sui quali si deve basare l’organizzazione dell’impresa

d’investimento in tema di amministrazione, contabilità, sistemi e controlli,

prevedono processi decisori chiari, trasparenti, formali e documentati.

Con specifico riferimento ai controlli interni, il CESR ha chiarito che le imprese

di investimento devono verificare costantemente l’adeguatezza del loro sistema di

audit e compliance, al fine di assicurare l’adeguatezza e la effettività delle misure

di controllo interno all’impresa e rendere conto dell’attività svolta con frequenza

regolare al senior management.

Per quanto riguarda l’adempimento agli obblighi l’articolo 6 della direttiva MiFID

recita: “Gli Stati membri assicurano che le imprese di investimento istituiscano,

applichino e mantengano politiche e procedure adeguate per individuare il rischio

di mancata osservanza degli obblighi di cui alla direttiva 2004/39/CE da parte

dell’impresa, nonché i rischi che ne derivano, e mettano in atto misure e

procedure idonee per minimizzare tale rischio e per consentire alle autorità

competenti di esercitare efficacemente i poteri conferiti loro dalla suddetta

direttiva”.

Gli Stati membri assicurano che, a tali fini, le imprese di investimento tengano

conto della natura, delle dimensioni e della complessità della loro attività, della

natura e della gamma dei servizi investimento, e delle attività di investimento che

prestano ed esercitano nel quadro della loro attività.

Gli Stati membri prescrivono alle imprese di investimento di istituire e mantenere

una funzione di controllo della conformità permanente, efficace e indipendente

che abbia le seguenti responsabilità:

a) controllare e valutare regolarmente l’adeguatezza e l’efficacia delle misure

e delle procedure messe in atto conformemente al paragrafo 1, primo

comma, e delle misure adottate per rimediare a eventuali carenze

nell’adempimento degli obblighi da parte dell’impresa;

b) fornire consulenza e assistenza ai soggetti rilevanti incaricati dei servizi di

investimento e delle attività di investimento ai fini dell’adempimento degli

obblighi che incombono all’impresa in virtù della direttiva 2004/39/CE.

Per consentire alla funzione di controllo della conformità di svolgere i suoi

compiti con correttezza e indipendenza, gli Stati membri prescrivono alle imprese

di investimento di assicurare che siano soddisfatte le seguenti condizioni:

93

a) la funzione di controllo della conformità (funzione compliance), deve

disporre dell’autorità, delle risorse e delle competenze necessarie e avere

adeguato accesso alle informazioni pertinenti;

b) deve essere nominato un responsabile per la funzione di controllo della

conformità, al quale spetta presentare le relazioni in materia di conformità

di cui all’articolo 9, paragrafo 2;

c) i soggetti rilevanti che partecipano alla funzione di controllo della

conformità non devono partecipare alla prestazione dei servizi e

all’esercizio delle attività che essi sono chiamati a controllare;

d) il metodo per la determinazione della remunerazione dei soggetti rilevanti

che partecipano alla funzione di controllo della conformità non deve

comprometterne l’obiettività e non deve essere tale per cui sia probabile

che ne comprometta l’obiettività.

Tuttavia, l’impresa di investimento è esentata da uno o da entrambi i requisiti di

cui alla lettera c) o d), qualora dimostri che, tenuto conto della natura, delle

dimensioni e della complessità della sua attività e della natura e della gamma dei

servizi e delle attività di investimento che essa presta o esercita, l’obbligo di cui

alla lettera in questione non è proporzionato e che la sua funzione di controllo

della conformità continua ad essere efficace.

Particolarmente interessante si rivela, al riguardo, la bozza del testo del nuovo

art.57 del regolamento 11522/199853, che a sua volta recepisce le regole 11 – 14

elaborate in passato dal CESR in alcuni documenti54

, che hanno di fatto anticipato

quanto poi disposto in sede istituzionale dal Parlamento europeo e dal Consiglio

dell’Unione europea ( e quanto verrà disposto dalla Commissione europea in

attuazione del secondo livello della cosiddetta procedure Lamfalussy) in tema di

regole di condotta degli intermediari. Alla luce di quanto precede, in linea di

massima, può affermarsi che la bozza di normativa italiana pare già rispondere

alle dichiarazioni programmatiche del CESR.

53 Il testo dell’ultima bozza di nuovo regolamento 11522/1999 è disponibile sul sito della Consob (www.consob.it) nella sezione “Regolamentazione – lavori preparatori”. 54 Si tratta dei seguenti documenti: European regime of investor protection – the harmonization of conduct of business rules, e A European regime of investor protection – the professional and the counterparty regimes, rispettivamente del mese di aprile e settembre 2000).

94

2.6 RESPONSABILITÀ “AMMINISTRATIVA” DELLE SOCIETÀ E

MODELLI ORGANIZZATIVI; D.LGS 231/2001

La pertinenza della nuova disciplina di cui al d.lgs. n. 231/2001 alla tematica della

compliance è di tutta evidenza.

Basterebbe fare rinvio alle cronache giudiziarie degli ultimi 2 anni per rendersi

conto di quali siano gli impatti di tale normativa sui rischi d’impresa e,

conseguentemente, sull’assetto di governance che le società operanti in Italia,

incluse ovviamente le banche, sono chiamate ad adottare al fine di conformarsi al

dettato normativo e presidiare adeguatamente i rischi da questo derivanti.

Il d.lgs. 8 giungo 2001, n. 231, recante la “disciplina della responsabilità

amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche

prive di personalità giuridica”, costituisce senza dubbio una delle più importanti e

significative novità introdotte nell’ordinamento giuridico italiano negli ultimi

anni.

Tale normativa ha infatti introdotto un nuovo tipo di responsabilità degli enti

collettivi per i reati commessi nel loro interesse o a loro vantaggio.

L’ampliamento della responsabilità mira a coinvolgere nell’applicazione della

pena per taluni illeciti penali non solo il patrimonio degli enti, ma anche gli

interessi economici dei soci i quali, fino all’entrata in vigore della legge de qua

non venivano affatto coinvolti dalle conseguenze della realizzazione dei reati

eventualmente commessi, a vantaggio della società, dagli amministratori e/o

dipendenti. Il principio della personalità della responsabilità penale infatti lasciava

queste figure indenni da qualsiasi conseguenza sanzionatoria, con esclusione

dell’eventuale azione per risarcimento danno, se applicabile.

Sul piano penale poi la nuova normativa produce effetti a dir poco dirompenti in

quanto né l’ente, né i soci possono dirsi estranei al procedimento penale per reati

commessi a vantaggio o nell’interesse dell’ente. Tutto questo determina un

interesse di quei soggetti che partecipano alle vicende patrimoniali dell’ente, al

controllo della regolarità e della legalità dell’operato sociale.

Infine, la responsabilità dell’ente è chiaramente aggiuntiva, e non sostitutiva, di

quella delle persone fisiche, che resta regolata dal diritto penale comune.

Il d.lgs. 231/01 dà attuazione ad una serie di atti internazionali e comunitari, e in

particolare alla Convenzione internazionale OCSE (Organizzazione per la

95

Cooperazione e lo Sviluppo Economico) sulla “lotta alla corruzione dei pubblici

ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali”, firmato a Parigi il

17 dicembre 1997, la quale prevedeva l’obbligo per gli Stati aderenti alla

Convenzione di mettere a punto un apparato sanzionatorio idoneo a perseguire

non solo la persona fisica autrice della corruzione, ma anche le imprese che ne

avevano tratto beneficio.

L’opportunità di affermare una responsabilità in via autonoma e diretta delle

persone giuridiche per i reati commessi nel loro interesse o a loro vantaggio era in

realtà da tempo al centro del dibattito della dottrina, la quale – osservando il

rilievo crescente che, nella realtà socio-economica, avevano via via assunto i

cosiddetti reati dei “colletti bianchi” – aveva evidenziato il costo, in termini di

efficienza punitiva e di reale tutela dei beni giuridici, del mantenimento del noto

principio “societas delinquere non potest”, e cioè del tradizionale convincimento

per il quale le persone giuridiche non possono commettere reati ed essere punite.

Al tempo stesso, l’introduzione di forme di responsabilità degli enti collettivi

discendeva dall’esigenza di armonizzare e razionalizzare, nei diversi ordinamenti

giuridici europei, le risposte sanzionatorie ai fenomeni di criminalità di impresa;

ciò anche al fine di creare un meccanismo dissuasivo rispetto a diffuse pratiche

(quali quelle di corruzione, truffa in finanziamenti, ecc.) potenzialmente

discorsive della concorrenza tra le imprese.

In adesione a tali orientamenti il d.lgs. 231/01 ha quindi introdotto nel nostro

ordinamento giuridico un nuovo tipo di responsabilità, che il legislatore definisce

“amministrativa”, ma che in realtà ha forti analogie con la responsabilità penale.

Infatti tale responsabilità sorge per effetto di un reato (e non di un illecito

amministrativo), il suo accertamento avviene nell’ambito di un procedimento

penale, il provvedimento sanzionatorio è sempre un atto giurisdizionale e, infine,

essa è autonoma rispetto alla persona fisica che ha commesso il reato (infatti

secondo il disposto dell’art. 8, l’ente potrà essere dichiarato responsabile anche se

la persona fisica che ha commesso il reato non è imputabile ovvero non è stata

individuata).

Ciò conferma la portata innovativa della normativa in commento, prefigurando

una sorta di equiparazione tra persona fisica e persona giuridica nell’ambito dei

comportamenti penalmente rilevanti.

96

Il nuovo paradigma sanzionatorio introdotto dal d.lgs.231/01 afferma quindi la

responsabilità degli enti collettivi per i reati commessi, nel loro interesse o a loro

vantaggio:

a) da soggetti che nella struttura organizzativa dell’ente rivestono una

posizione apicale (e cioè, ai sensi dell’art. 5, comma 1 del d.lgs.231/01,

tutti quei soggetti che all’interno dell’azienda, rivestono funzioni di

rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua

unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché

da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello

stesso), ovvero;

b) da soggetti sottoposti alla vigilanza o alla direzione di questi ultimi

(intendendosi per tali, i lavoratori subordinati e parasubordinati, come pure

i fornitori e i services providers).

Quanto invece ai criteri di imputazione della responsabilità, stante la matrice

penalistica che informa la nuova disciplina della responsabilità degli enti, il

d.lgs.231/01 ha precisato che, affinché l’ente possa essere dichiarato responsabile,

occore che il reato discenda dalla colpa dell’ente, e cioè dalla violazione delle

regole di diligenza richieste dall’ordinamento giuridico per la tutela dei beni

giuridici di interesse collettivo. Ai fini della responsabilità dell’ente occorrerà

dunque non soltanto che il reato sia a esso ricollegabile sul piano oggettivo (le

condizioni alle quali ciò si verifica, come si è visto, sono disciplinate dall’art. 5);

di più, il reato dovrà costituire anche espressione della politica aziendale o

quantomeno derivare da una colpa di organizzazione55

Per quanto attiene alla tipologia dei reati, le fattispecie che rilevano attualmente ai

fini dell’applicabilità del decreto in esame sono:

, derivante dalla mancata

adozione dei presidi necessari a evitare che il reato sia commesso. È invece

espressamente esclusa la responsabilità dell’ente nell’ipotesi in cui i soggetti sopra

indicati abbiano agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.

♦ taluni reati contro la Pubblica amministrazione (tra i quali, i reati di

malversazione a danno dello Stato, indebita percezione di erogazioni a

danno dello Stato, truffa a danno dello Stato, truffa aggravata per il

conseguimento di erogazioni pubbliche, corruzione, concussione);

55 Così si esprime, testualmente, la relazione ministeriale al d.lgs 321/01

97

♦ i reati di falsità in monete, in carte di pubblico credito e in valori in bollo

(tra gli altri, i reati di falsificazione di monete, spendita e introduzione

nello Stato, previo concerto, di monete falsificate, falsificazione di valori

di bollo);

♦ taluni reati societari (tra gli altri, i reti false comunicazioni sociali, falso in

prospetto, indebita restituzione dei conferimenti, illegale ripartizione degli

utili e delle riserve, illecite operazioni sulle azioni o quote sociali della

società controllante, operazioni in pregiudizio dei creditori, formazione

fittizia del capitale, indebita influenza sull’assemblea, aggiotaggio,

ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza);

♦ taluni delitti contro la personalità individuale (segnatamente i reati di

riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù, nonché i reati ad esso

connessi);

♦ i delitti di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del

mercato, di cui agli art. 184 e 185 del TUF, quali recentemente introdotti

dalla legge comunitaria 200456

.

Le sanzioni previste per i casi in cui sia acclarata la responsabilità dell’ente sono

particolarmente rigorose, prevedendosi l’applicazione di sanzioni pecuniarie e/o

interditive (tra le quali l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o

la revoca delle autorizzazioni funzionali alla commissione dell’illecito, il divieto

di contrarre con la Pubblica amministrazione, il divieto di pubblicizzare beni o

servizi), nonché la confisca del prezzo o del profitto del reato e la pubblicazione

della sentenza di condanna.

Le sanzioni pecuniarie e interditive previste dal decreto in oggetto, si applicano

anche in relazione alla commissione di reati nelle forme del tentativo – sebbene in

56 Veda la legge 18 aprile 2005, n. 62 (“Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004”). In proposito si evidenzia che l’art. 9 comma 2 di tale legge – che da attuazione alle direttive comunitarie sull’abuso di informazioni privilegiate e sulla manipolazione del mercato – ha tra l’altro introdotto nel TUF (d.lgs. 20 febbraio 1998, n. 58) il nuovo art. 187 quinquies, il quale afferma la responsabilità dell’ente per le sanzioni amministrative irrogate ai propri soggetti “apicali”, o ai soggetti sottoposti alla vigilanza o alla direzione dei primi9, per gli illecitida questi commessi nel suo interesse o a suo vantaggio. Il successivo art. 187 septies attribuisce alla consob la competenza a irrogare dette sanzioni amministrative. Si tratta di disposizioni di una certa rilevanza, in quanto costituiscono il primo caso di (parziale) estensione dell’impianto del d.lgs.231/01 – e segnatamente, degli artt. 6, 7, 8 e 12 – a illeciti di tipo non penale, ma amministrativo.

98

forma ridotta – salvo che l’ente abbia volontariamente impedito il compimento

dell’azione o la realizzazione dell’evento.

A fronte di un regime sanzionatorio cosi rigoroso – il cui impatto potenziale sui

rischi di impresa è di tutta evidenza – il legislatore ha peraltro previsto talune

ipotesi di esenzione dalla responsabilità amministrativa. Più in particolare, l’art. 6

del d.lgs.231/01 prevede che l’ente non risponde dei reati commessi dai soggetti

in posizione apicale se dimostra (vige quindi, in tal caso un’inversione dell’onere

della prova) che:

a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della

commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a

prevenire reati della specie di quello verificatosi57

b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli nonché

di curare il loro aggiornamento, è stato affidato a un organismo dell’ente

dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;

;

c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli

di organizzazione e gestione;

d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di

cui alla lettera b).

Secondo l’art. 7, per i reati commessi dai soggetti sottoposti l’ente risponde invece

solo se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli

obblighi di direzione o vigilanza (ma in tale ipotesi l’onere della prova è a carico

della pubblica accusa).

In ogni caso, tali obblighi si presuppongono osservati se l’ente, prima della

commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di

organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire la realizzazione degli

illeciti penali considerati.

57 Si noti tuttavia come l’adozione del modello di organizzazione e gestione non sia obbligatoria, trattandosi di una decisione rimessa alla mera discrezione dell’ente interessato. Va peraltro rilevato che, nel caso delle società di capitali, la mancata adozione del modello potrebbe esporre l’organo di gestione all’azione di responsabilità, nel caso in cui dalla mancata adozione del modello dovessero derivare sanzioni a carico della società stessa.

99

2.6.1 ADOZIONE DEL MODELLO ORGANIZZATIVO

Il d.lgs.231/01 fornisce indicazione di carattere generale e piuttosto vaghe (scelta

per certi aspetti comprensibile, considerato l’ampio novero di soggetti a cui la

normativa si riferisce), che lasciano pertanto all’interprete il compito di

individuare, in concreto, il contenuto dei modelli organizzativi. Si tratta di un

compito non certo agevole quello di individuare quali caratteristiche debbano

possedere i modelli organizzativi al fine di potere assolvere alla loro funzione

scriminante, nell’ipotesi in cui la società dovesse essere coinvolta in un

procedimento penale ai sensi del d.lgs. 231/01.

E’ opportuno precisare poi che la legge prevede l’adozione del modello di

organizzazione, gestione e controllo in termini di facoltatività, e non di

obbligatorietà. La mancata adozione non è soggetta ad alcuna sanzione, ma

espone l’ente alla responsabilità per gli illeciti realizzati da amministratori e

dipendenti.

Da un punto di vista generale i compliance program fungono da criterio di

esclusione della punibilità, ove intervenga la commissione, da parte di soggetti

che siano titolari di posizioni apicali, ovvero di persone sottoposte alla direzione o

alla vigilanza dell’ente.

Sotto un altro profilo, l’esistenza di un compliance program è criterio di

attenuazione delle conseguenze giuridiche ed economiche conseguenti alla

responsabilità dell’ente. Nel caso di irrogazione di sanzioni pecuniarie, l’adozione

e l’efficacia applicativa, post factum, del modello, determina una riduzione delle

medesime in una misura complessiva tra un terzo e la metà, e nel caso di

risarcimento del danno la riduzione è compresa tra la metà e i due terzi.

L’adozione del modello diventa di fatto obbligatoria se l’azienda vuole

beneficiare dell’esimente. Naturalmente, facilita l’applicazione di tale esimente, in

termini squisitamente probatori, la documentazione scritta dei passi compiuti per

la costruzione del modello.

L’applicazione delle sanzioni agli enti incide direttamente sugli interessi

economici dei soci, in caso quindi di qualche possibile problema in tal senso,

legittimamente i soci potrebbero esperire azione di responsabilità nei confronti

degli amministratori inerti che, non avendo adottato il modello, abbiano impedito

all’ente di fruire del meccanismo di esonero dalla responsabilità. È indispensabile

100

quindi, verificare se questi modelli siano idonei a prevenire reati della specie di

quello che in pratica si è commesso, ex art. 6 del decreto, e se gli stessi siano stati

efficacemente attuati.

Il modello deve quindi prevedere, in relazione alla natura ed alla dimensione

dell’organizzazione aziendale cui deve applicarsi, nonché al tipo di attività svolta,

misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività nel rispetto della legge e a

scoprire ed eliminare tempestivamente ogni situazione di rischio, attraverso un

tipico sistema di gestione dei rischi (risk management).

L’implementazione del modello organizzativo nei suoi termini generali può

sistematicamente ripartirsi in quattro fasi:

1) di avvio o di individuazione dei rischi, sulla base della struttura esistente

attraverso una mappatura delle attività aziendali;

2) di confronto della realtà esistente con i dettami del D.lgs 231/2001;

3) di costruzione del modello, con i relativi interventi organizzativi, ed

elaborazione di un sistema di controllo;

4) ed infine quella di effettiva operatività del modello realizzato.

La fase di avvio, riconducibile alla fase di individuazione dei rischi, è stata

articolata nei seguenti principali adempimenti:

♦ perimetrare i processi sensibili rispetto ai reati previsti dal d.lgs.

231/2001;

♦ rappresentare e delimitare i centri di responsabilità;

♦ descrivere per aree e processi la situazione esistente.

Con la fase successiva, si procede a:

♦ confrontare l’assetto organizzativo aziendale ai requisiti previsti dal

provvedimento normativo;

♦ individuare le aree di miglioramento in materia di controllo interno;

♦ confrontare la realtà in essere con i possibili disallineamenti rispetto al

modello normativo, nel rispetto del modello dettato dall’Associazione di

categoria.

La terza fase ha riguardato propriamente la costruzione del modello aziendale

articolato in un quadro normativo di riferimento e nei contenuti organizzativi.

101

Particolare attenzione si deve prestare in questa fase alla individuazione

dell’organismo di vigilanza e controllo, operando una attenta analisi delle opzioni

formulate dal modello di comportamento ABI58

Tra le diverse opzioni si può individuare il soggetto ritenuto idoneo nel Comitato

di Audit già composto da soggetti indipendenti e da componenti del consiglio di

amministrazione anche rappresentativi della minoranza.

.

Per renderlo conforme alle prescrizioni normative è necessario integrarlo nella

composizione inserendovi il Compliance Officer e il Presidente del collegio

sindacale, per le materie di rispettiva competenza, trasformando la denominazione

in Comitato di Audit e Compliance.

La quarta ed ultima fase, da non sottovalutare perché fondamentale

per l’efficacia del modello, è riconducibile alla vita del modello organizzativo

ossia alla sua diffusione dello stesso, alla formazione e sensibilizzazione del

personale ed in genere dei collaboratori, nonché di manutenzione del modello

rispetto alle successive modifiche organizzative e normative.

La manutenzione del modello è uno dei punti nevralgici del sistema: il modello

adottato infatti, oltre ad essere ovviamente perfettibile, ha bisogno di essere

continuamente tarato sulla realtà aziendale e sul contesto normativo tempo per

tempo esistenti.

Infine, i modelli, in quanto strumenti organizzativi della vita dell’ente, devono

qualificarsi per la loro concreta e specifica efficacia e per la loro dinamicità e

versatilità. Devono inoltre scaturire da una visione realistica ed economica dei

fenomeni aziendali e non esclusivamente giuridico-formali.

2.7 AICOM, LINEE GUIDA PER IL MANAGEMENT

Nella pratica sono state tracciate linee guida nella composizione e redazione dei

modelli organizzativi ad opera di varie associazioni. Alcune di queste

suggeriscono la separazione di compiti tra coloro che svolgono fasi cruciali

nell’ambito di un processo aziendalmente considerato a rischio, l’attribuzione dei

58 ABI, Linee guida dell’Associazione Bancaria Italiana per l’adozione di modelli organizzativi sulla responsabilità amministrativa delle banche (d.lgs. n. 231/2001), febbraio 2004.

102

poteri di firma coerenti con le responsabilità organizzative e gestionali, l’esistenza

di un sistema di monitoraggio idoneo a segnalare in tempo reale situazioni di

criticità.

L’AICOM, (Associazione Italiana Compliance) è un associazione non

riconosciuta, senza finalità di lucro, nasce allo scopo di contribuire a promuovere

la cultura della compliance all’interno del sistema finanziario italiano e dei diversi

settori industriali, allineandosi ai contesti internazionali nei quali operano

importanti associazioni e perseguendo i principi enunciati già dall’ottobre 2003

dal Comitato di Basilea.

Allo scopo di promuovere e supportare il ruolo di Compliance AICOM ha deciso

di emanare le proprie Linee Guida per garantire che lo svolgimento di tale

compito risponda a quei requisiti basilari di autonomia, indipendenza e

autorevolezza senza i quali esso non potrebbe risultare realmente efficace.

Ove presente la Funzione risponde, al momento, più a specifiche esigenze di

governo e controllo preventivo interno che a regole esterne; lo svolgimento di tale

ruolo (già molto diffuso nel contesto italiano) varia da azienda ad azienda e si

adatta a contesti giuridici e culturali differenti, tipici delle organizzazioni

all’interno delle quali prende corpo.

Realtà differenti spesso significano finalità, perimetri d’intervento e strutture

organizzative non omogenei alla stessa attribuiti. Tuttavia, considerato il rilievo

esterno che i rischi presidiati dalla Funzione assumono, si ritiene utile

raccomandarne l’insediamento nel rispetto di alcuni principi basilari, di seguito

elencati.

AICOM, con la formulazione di propri principi standard, intende:

a) favorire lo sviluppo e la diffusione della cultura della compliance e la

conoscenza delle regole di base che caratterizzano questa attività;

b) agevolare lo scambio di informazioni sui temi legati alla conformità ed al

rispetto delle regole, ponendosi quale interlocutore delle principali

istituzioni del mondo finanziario e industriale, della Pubblica

Amministrazione e della Vigilanza;

c) offrire supporto consulenziale a tutti coloro che necessitano di

approfondire gli argomenti legati alle materie di compliance.

103

L’Associazione, inoltre, si pone a supporto del management e dei vertici aziendali

che, integrando la Funzione nel sistema di controllo interno, intendono creare

valore per l’azienda, sia in termini di contenimento dei rischi e conseguentemente

di sanzioni e perdite, che in termini di miglioramento dell’immagine e del

marchio aziendale, con conseguente fidelizzazione della clientela e garanzia di

sviluppo di lungo periodo.

Più in generale l’impegno dell’AICOM è quello di far comprendere l’importanza

che assume la tutela della reputazione aziendale e, in particolare, nel settore

bancario, la gestione del banking face value.

Ciò comporta la necessità di non fermarsi al mero rispetto formale di leggi e

regolamenti, ma d’individuare una strategia d’impresa diretta a consolidare le

relazioni aziendali fiduciarie con gli stakeholders di riferimento.

In tale ambito diviene peraltro evidente la stretta correlazione che esiste tra

compliance e responsabilità sociale d’impresa. La compliance, infatti, è un

prerequisito della responsabilità sociale di impresa, non potendosi considerare

socialmente responsabile l’impresa che non rispetta le regole.

AICOM offre alla Funzione di Compliance un supporto nello svolgimento delle

seguenti attività :

a) prevenzione e monitoraggio preventivo dei rischi di compliance;

b) supporto consulenziale all’Organizzazione, al Risk Management, ai

Comitati di Audit e all’Internal Audit, al fine di consentire l’attivazione di

processi di prevenzione (il ciclo di compliance) dei rischi di compliance;

c) favorire lo sviluppo di adeguati flussi informativi di tipo bottom up e top

down sui rischi di compliance nell’ambito dei sistemi di controllo dei

gruppi aziendali.

A tale scopo, premessa la definizione che Basilea attribuisce alla Funzione di

Compliance si espongono le Linee Guida Associative redatte con riferimento al

mondo bancario, ma che possono costituire una guida anche per altri settori di

impresa (società finanziarie, assicurazioni, società quotate in borsa, ecc.).

Secondo il Comitato di Basilea la Funzione di Compliance è:

“An independent function that identifies, assesses, advises on, monitors and

reports on the bank’s compliance risk, that is, the risk of legal or regulatory

sanctions, financial loss, or loss to reputation a bank may suffer as a result of its

104

failure to comply with all applicable laws, regulations, codes of conduct and

standards of good practice (together “laws, rules and standards”.

Da ciò si evince che, per ciò che concerne i rischi di compliance, la Funzione

deve:

a. attuarne l’identificazione;

b. definire le procedure di monitoraggio e di controllo;

c. offrire supporto consultivo alle strutture aziendali;

d. seguire lo sviluppo delle normative nazionali ed internazionali;

e. formulare il reporting destinato agli organi amministrativi e di controllo

dell’azienda;

f. mantenere i rapporti con gli Organi di Vigilanza e con le Autorità;

g. coordinare e intervenire nell’attività di formazione e di sensibilizzazione

del personale, promuovendo lo sviluppo della cultura etica e deontologica

e di controllo..

Nel rispetto di tali principi AICOM59

segue e sviluppa le tematiche connesse al

mondo della compliance.

2.8 AICOM, COLLOCAZIONE ORGANIZZATIVA, COSTI E BENEFICI

DELLA FUNZIONE COMPLIANCE NELLE BANCHE CHE

OPERANO IN ITALIA

AICOM, Associazione Italiana Compliance, ha pubblicato, sul proprio sito i

principali risultati di una ricerca60, relativa al profilo organizzativo, i costi ed i

benefici derivanti dall’introduzione della funzione compliance nelle società

finanziarie, è stata condotta61

59 Associazione Italiana Compliance – AICOM, Linee guida per la funzione compliance,consultabile sul sito

congiuntamente dall'AICOM, dall'Università di

Perugia e dalla Facoltà di Economia “Federico Caffè” dell'Università di Roma

TRE.

www.assoaicom.org 60 AICOM, Collocazione organizzativa, costi e benefici della funzione compliance nelle banche che operano in Italia, consultabile sul sito www.assoaicom.org 61 Hanno partecipato all’indagine il Prof. R. Aguiari insieme ai laureandi L. Gallo e E. Bovoli per la Facoltà di Economia “Federico Caffè” dell'Università di Roma TRE, l’avv.to C.Cola Presidente AICOM e il Prof. L. Nadotti e la Dott.sa M. Gallo per l’Università degli studi di Perugia.

105

Il questionario era composto da 18 domande, suddivise in tre sezioni:

1) la collocazione organizzativa e la struttura della funzione compliance;

2) i costi e i benefici della funzione compliance;

3) la valutazione della percezione del compliance risk

Il campione oggetto di valutazione era composto da 33 aziende, prevalentemente

primarie banche nazionali e diverse tra le maggiori banche estere operanti in

Italia; solo 4 delle società che hanno risposto al questionario sono intermediari

non bancari.

Per quanto riguarda la collocazione organizzativa e la struttura della funzione

compliance, è emerso che la funzione Compliance è già presente nel 70% delle

aziende che rispondono al questionario62

. Fra le aziende che hanno già un'unità di

compliance (il 70% del campione esaminato) il 65% ha istituito un'unità apposita

mentre il restante 35% ha assegnato le funzioni di compliance ad unità

preesistenti.

Figura 2.9 – Unità di compliance

62 Si deve notare però che il campione di aziende preso in considerazione è stato volutamente costruito al fine di includere le banche e le società finanziarie che sono apparse più sensibili all’argomento della gestione dei rischi di compliance (sensibilità confermata anche dalla partecipazione all’iniziativa).

106

Figura 2.10 – Unità di compliance apposita funzione / funzione preesistente

Per quanto riguarda l’ambito delle funzione compliance i dati sono:

♦ D.lgs 626/94 29%;

♦ Altro 54%;

♦ L. Privacy 75%;

♦ D.Lgs 231/2001 75%;

♦ Tub e normative di attuazione 83%;

♦ Tuf e normativa di attuazione 88%;

♦ Anti money laundering 92%;

♦ Market abuse 92%.

I risultati evidenziano un perimetro della compliance molto ampio, in cui risulta

consolidata la presenza di alcune attività, in particolare l’antiriciclaggio e la

normativa sul market abuse.

Per quanto riguardi i benefici ottenuti dall'introduzione della funzione compliance

nella azienda i scultati sono:

♦ Effettiva riduzione dei rischi 50%;

♦ Migliore tempestività e qualità nel dare risposte e trovare soluzioni 27%;

♦ Maggiore consapevolezza dei rischi dai responsabili delle diverse unità

73%;

♦ Maggiore consapevolezza dei rischi dal vertice aziendale 45%.

107

Per quanto riguarda il livello di conoscenza e consapevolezza dei rischi di

compliance i dati rivelano che il livello medio di conoscenza e consapevolezza dei

rischi di compliance sembra essere piuttosto elevato e descrive una popolazione

pronta a ricevere nuovi input da parte delle autorità preposte.

La ricerca si conclude con alcuni brevi spunti di riflessione molto interessanti.

L’attività di compliance deve essere organizzata al fine di contribuire alla

“creazione di valore”, minimizzando il rischio di incorrere in multe e sanzioni

varie e prevenire eventi dannosi che possano ledere l’immagine e la reputazione

dell’azienda, ma evitando che tali controlli di conformità si traducano in mere

verifiche burocratiche e inefficienti, incompatibili con i processi produttivi

aziendali, che creano invece un ambiente in cui la compliance è percepita come un

elemento di fastidio.

I costi sostenuti per implementare una unità interna indipendente incaricata di

svolgere l’attività di compliance rappresentano un vero e proprio investimento di

carattere pluriennale, non più la sola conseguenza della conformità a norme e

regolamenti, per non incorrere in sanzioni penali o amministrative, ma una sfida

strategica di gestione aziendale, che prenda il via dalla constatazione di trovarsi in

un mercato competitivo internazionale.

108

Capitolo 3

COMPLIANCE E MANAGEMENT: GESTIONE DEL RISCHIO

3.1 UN APPROCCIO OLISTICO ALLA FUNZIONE COMPLIANCE

C’è molta preoccupazione sull'approccio che molte aziende stanno seguendo per

adeguare i meccanismi organizzativi (strutture, formazione, procedure) e il livello

di esplicitazione della Funzione di Revisione e Controllo Interno all’insieme delle

normative.

A fronte di una proliferazione di dispositivi legislativi a livello nazionale ed

europeo e di una serie di scadenze perentorie in merito agli obblighi che gravano

sulle imprese, le iniziative che possono distinguersi per novità dell'approccio e dei

meccanismi sono davvero scarsi. L'approccio suggerito è sicuramente di tipo

"olistico63

Negli anni recenti molte aziende hanno tentato con maggiore o minor fortuna di

conformarsi ai vari requisiti normativi (Basilea II, d.lgs 231/01, Sarbanes-Oxley

", ovvero ispirato da una considerazione che da diversi decenni la

letteratura considera oramai assodata: l'impresa non può essere considerata un

sistema di settori, ma sempre più un sistema di processi, ognuno dei quali è

caratterizzato da "rischi" di varia natura (Basilea ne propone una prima

classificazione). Se i processi, com'è dimostrato, rappresentano la componente

dinamica dell'impresa, allora il Sistema di Controllo deve essere necessariamente

omnicomprensivo e seguito da una Regia interna, al fine di omogeneizzare ed

armonizzare regole, obiettivi, metodi ed, infine, la cultura. Cultura che non può

essere realizzata con semplici interventi sporadici e puntuali, ma solo grazie ad

una meticolosa opera di sensibilizzazione del management e delle risorse interne,

attraverso piani formativi e change management dedicati, attraverso la

condivisione di obiettivi chiari e specifici e mediante strategie di struttura

organizzativa ben ponderate. La regia dovrà governare il modello organizzativo

che assicurerà la "Compliance" aziendale al sistema normativo generale.

Insomma, la Compliance è sicuramente un argomento complesso, sta alle imprese

la scelta di renderlo più o meno complicato.

63 Adopting a Holistic Regulatory Compliance Approach: An Analysis of Total Cost of Ownership (TCO) And Return on Investment (ROI) Benefits By Jeff Jinnett, JD, CISSP, MCP

109

Act ecc.), uno per volta. Ma questo approccio ha spesso portato a iniziative

costose e non ben mirate, che richiedevano ingenti investimenti e continui

aggiustamenti, portando effettivamente la compliance ad essere un onere troppo

elevato rispetto ai benefici da essa derivanti.

I CIO più avveduti hanno però scoperto che si ottengono risultati migliori se i

manager adottano una visione olistica della conformità aziendale. Anziché

considerare ogni normativa come una sfida isolata e a sé stante, i CIO più

all'avanguardia ora elaborano le iniziative di conformità secondo un approccio ad

ampio spettro, essenzialmente servendosi di processi gestionali standardizzati per

garantire una copertura generale volta a soddisfare più normative.

Una strategia olistica di successo è caratterizzata da sei requisiti essenziali:

1) Un deciso coinvolgimento del management esecutivo;

2) Opportuni sistemi di controllo aziendale;

3) Verifiche regolari;

4) Formazione ad ampio spettro (economico, giuridico, tecnico,

amministrativo ecc.) e comunicazioni regolari;

5) Meccanismi di feedback che coinvolgano i dipendenti;

6) Piani d'azione correttivi e disciplinari efficaci destinati a risolvere le

inosservanze in materia di conformità.

Sebbene le strategie di attuazione della compliance siano diverse da azienda ad

azienda, le iniziative capaci di dare i risultati attesi hanno vari elementi chiave in

comune. Innanzitutto, la conformità non può prescindere da un opportuno

investimento finanziario. PricewaterhouseCoopers riporta che il 51% delle

multinazionali americane ed europee aumenteranno la spesa media destinata

all'attuazione della conformità di un buon 23% nel corso dei prossimi 12 - 24

mesi. In secondo luogo, la conformità è una necessità per tutti i tipi di aziende,

siano esse pubbliche, private, grandi, medie o piccole. Le start up ad azionariato

privato, ad esempio, devono aderire ai criteri delle norme GAAP (Generally

Accepted Accounting Principles) per essere pronte ad gevolare possibili IPO

(Initial Public Offering) o per attirare più facilmente potenziali acquirenti. Inoltre,

le società a capitale privato e le società non statunitensi devono spesso dar prova

della loro conformità normativa per avere relazioni commerciali con grandi

società quotate in borsa che vogliono garantire a tutti i propri soci operazioni

110

commerciali trasparenti. In terzo luogo, la compliance presuppone un'efficace

collaborazione in particolare fra CEO, CFO, CIO, consulenti legali e Chief

Compliance Officer di un'azienda, ma in generale fra tutti i dirigenti.

Questo livello di comunicazione è essenziale, perché la definizione di conformità

aziendale continua a cambiare. I dirigenti inoltre ricevono spesso pareri e

indicazioni contraddittorie dai vari revisori. Le normative internazionali in materia

di conservazione dei dati e di procedure aziendali sono spesso in contrasto fra

loro. L'imminenza della scadenza dell'adeguamento alle normative, poi, induce le

organizzazioni a cercare delle scorciatoie, come ad esempio documentare un

processo gestionale superato, anziché soluzioni efficaci nel lungo periodo, come

l'automazione di tali processi.

Adottando una visione olistica della conformità, le organizzazioni possono

vincere queste sfide e adeguarsi in modo più efficace alle nuove normative che si

profilano all'orizzonte.

È necessario rendersi conto che non esiste orientamento unico che sia in grado di

soddisfare tutte le esigenze di compliance. Essa richiede invece una serie di

processi e soluzioni, e una sorveglianza continua.

Sono molti i CIO che condividono questo punto di vista. Secondo un articolo della

rivista CIO Insight, un buon 87% dei reparti IT aziendali è formalmente coinvolto

nel processo di continuo adeguamento alla conformità normativa e il 46% dei CIO

prevede per il 2005 un aumento della spesa IT destinata alla compliance.

In tutto il mondo, i senior executive IT sono alle prese con la necessità di

soddisfare decine di requisiti di conformità a normative locali, statali, federali e

internazionali. In generale, tali normative sono finalizzate a garantire la

riservatezza delle informazioni sui clienti, la sicurezza dei dati e l'integrità delle

informazioni, migliorando nel contempo i controlli finanziari e i processi

gestionali generali.

La conformità non è facilmente attuabile. Le organizzazioni più attente, ogni volta

che passano da un'iniziativa di conformità (ad esempio la Direttiva UE in materia

di protezione dei dati) alla successiva (ad esempio il Sarbanes-Oxley), anziché

affrontare ciascuna di esse in modo isolato, scelgono l'approccio olistico alla

conformità, adottando una serie di processi e di soluzioni generalmente applicabili

a tutti i principali requisiti normativi attuali. Le organizzazioni all'avanguardia si

111

rifanno a sei regole fondamentali per raggiungere e mantenere la conformità

normativa:

1) Dare l'esempio. La conformità normativa inizia dai vertici. Il management

deve prendere sul serio e ritenersi responsabile dell'attuazione della

compliance;

2) Implementare controlli appropriati. Adottare processi e procedure adeguati

per proteggere le attività dell'azienda da danni accidentali o intenzionali;

3) Svolgere i controlli con regolarità. Rivedere le procedure di controllo con

cadenza regolare e rafforzare quanto prima gli anelli più deboli della

catena;

4) Formare e comunicare con regolarità. Informare i dipendenti su ciò che ci

si attende da loro per mezzo di comunicazioni regolari in forma scritta ed

elettronica, a cui far eventualmente seguire discussioni verbali;

5) Dare ascolto alle critiche. Predisporre un processo che permetta ai

dipendenti di esprimere le proprie preoccupazioni, senza timore di

conseguenze. Ad esempio, creare una hot line per comunicazioni anonime;

6) Agire opportunamente e con rapidità. Quando sorgono dei problemi di

conformità, eseguire un controllo e, se opportuno, adottare misure

disciplinari o correttive.

Prima regola - Iniziare dall'alto

La prima regola riguarda esclusivamente i dirigenti. Senza un coinvolgimento

serio e costante del top management dell'azienda, le iniziative di conformità sono

destinate a incontrare difficoltà o al fallimento totale. Grazie all'interesse dei

manager, le aziende stanno iniziando a pensare alla compliance più come a un

insieme di “best practice” piuttosto che come a una semplice “legge” da

osservare64

64 Afferma Sanjay Anand, autore del testo “The Sarbanes-Oxley Guide for Finance and Information Technology Professionals”, una guida alla normativa Sarbanes-Oxley per operatori finanziari e IT.

. In altre parole, ora il management accetta la compliance come una

componente necessaria delle attività di business e dell'impegno a mantenersi

onesti. Il timore, l'ostilità e l'inosservanza della normativa e delle iniziative legate

alla conformità stanno cominciando a lasciare il passo alla cooperazione, al

riconoscimento di opportunità e al rispetto. Questo è quanto sta succedendo nelle

società più avanzate. Si deve poter contare su un atteggiamento di condivisione a

112

partire dal consiglio di amministrazione in giù, in tale processo di condivisione il

management deve prendere sul serio e ritenersi responsabile dell'attuazione della

compliance e della diffusione della sua cultura in tutta l’azienda.

Il consiglio di amministrazione deve comprendere anche un Compliance

Committee che si riunisce formalmente almeno otto volte all'anno. Dopo l'avvento

del Sarbanes-Oxley Act, questi comitati sono divenuti ancora più attivi e

comunicano regolarmente con il Presidente e CEO, con il CFO, il CCO, il Senior

Vice President e CIO e con altri protagonisti del processo di conformità. Il

Consiglio svolge inoltre un ruolo di primo piano nel reclutare dirigenti esperti di

compliance e nel garantire soluzioni organizzative orientate alla conformità

normativa.

Bisogna inoltre pensare in modo globale, invece di affrontare il problema della

conformità regione per regione, le aziende devono adottare una visione totale. È

quindi necessario essere al corrente di queste normative in quanto riguardano vari

settori dell'industria e paesi diversi. Questo è possibile soltanto se il team dei

senior executive ha un'esperienza di livello internazionale e familiarità con le

prassi e le normative locali dei vari paesi del mondo.

La natura umana non cambia di molto da paese a paese, le differenze fra una

regione e l'altra sono culturali. Per implementare un programma di conformità che

possa essere definito internazionale, è necessario tener conto delle varie culture.

In alcuni paesi un regalo da 250 dollari per un partner commerciale può essere

appropriato e ragionevole, in altri potrebbe essere contro le regole.

Bisogna quindi stabilire quali sono per i documenti più importanti per il proprio

business e quali leggi ne regolano la conservazione nei vari mercati in cui si

opera.

In quei casi si devono individuare le normative più severe e soddisfarle, per poi

soddisfare tutte le altre normative relative al proprio settore di business.

Seconda regola – Implementare controlli appropriati

Una volta costituito un team di provata esperienza responsabile della conformità,

si passa a documentare e valutare tutte le procedure gestionali. In questa fase,

molte aziende scoprono di avere procedure antiquate o manuali non conformi alle

normative correnti.

113

Alcune organizzazioni ad esempio non prevedono una separazione dei compiti fra

personale di vendita, dirigenti finanziari e altri reparti dell'azienda.

Ad esempio, CA65

Inizialmente, l'implementazione dei controlli appropriati può sembrare un'impresa

titanica. Ma i senior executive possono sfruttare svariati standard fondamentali

come punti di partenza e semplificare così il processo. Ad esempio possono

adottare il COBIT (Control Objectives for Information and related Technology),

un diffuso standard metodologico messo a punto dalla Information Systems Audit

and Control Association (ISACA) e dall'IT Governance Institute, pubblicato nel

1996 e aggiornato regolarmente. Secondo la definizione dell'istituto, il COBIT

rappresenta un insieme di obiettivi di controllo generalmente accettati per tutti i

sistemi informativi aziendali, ovvero personal computer, minicomputer,

mainframe e ambienti distribuiti. Esso si basa sul concetto che le risorse IT

devono essere gestite da un insieme di processi raggruppati per affinità naturale al

fine di fornire le informazioni pertinenti e affidabili di cui, nell'opinione

dell'istituto, necessita un'organizzazione per raggiungere i propri obiettivi.

si avvale del proprio software, come pure della piattaforma

software di classe enterprise di SAP AG per garantire che vengano effettuati i

controlli opportuni. In particolare, l'iniziativa Global Computing Controls (GCC)

della società utilizza soluzioni BrightStor per la gestione, la protezione e il

recupero dei dati, eTrust per il controllo degli accessi e le attività di auditing e

amministrazione, ed eTrust CA-TopSecret Security per la protezione dei sistemi

operativi e dei database aziendali.

Mentre il COBIT, adottato da società dislocate in oltre 100 paesi, è focalizzato su

un'efficace IT governance, ITIL (IT Infrastructure Library) è un'infrastruttura di

gestione di processi e servizi, più pratica nel suo approccio alla gestione IT del

COBIT; inoltre, secondo Forrester Research di Cambridge, Massachussetts, essa

opera a un livello più capillare rispetto a quello delle infrastrutture di governance

tradizionali.

La metodologia ITIL si articola in una serie di documenti contenenti linee guida

su come fornire servizi IT di qualità e sulle infrastrutture logistiche e di ambiente

65 Computer Associates International, Inc.; CA opera nel settore del software per la gestione delle risorse informatiche delle imprese. Oltre il 95% delle società “Global 1000” utilizza il software CA per soddisfare i requisiti normativi producendo la documentazione necessaria più rapidamente e semplicemente

114

necessarie per supportare l'IT secondo quanto stabilito dall'Office of Government

Commerci di Norwich in Gran Bretagna.

Un altro importante standard di controllo è l'ISO (International Organization for

Standardization) 17799. Sebbene le metodologie COBIT e ITIL si riferiscano alla

necessità della sicurezza IT e ne illustrino le caratteristiche, secondo Forrester

esse tuttavia non forniscono direttive dettagliate a proposito della struttura pratica

della sicurezza e dei controlli IT. Né ITIL né COBIT, quindi, sono

sufficientemente specifici circa la sicurezza delle informazioni al punto di

soddisfare le esigenze di un'organizzazione a questo particolare livello. È in

questo ambito che abbiamo invece assistito a un'adozione generalizzata della

ISO17799 (BS17799), norma su cui è basato lo schema intorno a cui viene

costruita un'architettura di sicurezza informatica. Come già altri schemi di base, la

ISO17799 fornisce una struttura all'interno della quale sviluppare e organizzare i

controlli specifici per la propria realtà operativa, per quanto, riferisce Forrester,

essa non provveda automaticamente a “riempire gli spazi vuoti” durante il

processo di documentazione.

Oltre a implementare standard orientati ai controlli, le società continuano a

investire pesantemente in software e servizi IT in linea con i requisiti di

conformità. Secondo la rivista CIO Insight, il 45% delle organizzazioni intende

infatti acquistare quest'anno software di business continuity, seguito da software

di tracciabilità delle e-mail (38%), gestione dei contenuti (32%) e financial

reporting (29%).

Terza regola - Svolgere i controlli con regolarità

CIO Insight riporta che circa il 60% delle società ha implementato processi per il

monitoraggio continuo dell'efficacia delle iniziative di conformità adottate, e un

ulteriore 30% ha in programma di sviluppare tali processi nel corso del prossimo

anno.

Molti CIO paragonano le scadenze dell'adeguamento alle normative di oggi, al

panico informatico che si verificò nel 1999 per il passaggio all'anno 2000

denominato “millennium bug”. A differenza del problema dell'anno 2000, però, le

iniziative di conformità di oggi richiedono un'applicazione costante e ripetuti

controlli. Allora le aziende erano in corsa con il tempo per controllare miliardi di

115

righe di codice e, se necessario, aggiornare le applicazioni per supportare le date a

quattro cifre, ovvero “2000”, in alternativa a quelle a due cifre, ovvero “00”.

“La maggior parte delle società è in attesa di capire che vento tira fra i revisori e

come reagisce il mercato a esiti di controlli interni non proprio cristallini,”

afferma Larry White, presidente del consiglio di amministrazione dell'Institute of

Management Accountants66

L'approccio proattivo della Harvard Medical School nei confronti della

conformità non è tuttavia condiviso da molte organizzazioni che, invece,

affrontano i problemi man mano che si presentano. “Si tende a rispondere al fuoco

senza elaborare processi sostenibili efficienti,” osserva con rammarico White. “In

particolare per quanto riguarda la Sarbanes-Oxley Act, le organizzazioni tendono

ad applicare una logica di controllo alle verifiche, ma non attingono alle tecniche

di monitoraggio continuo dei processi, tipiche della produzione industriale, per

controllare la qualità.”

(www.imanet.org), che conta più di 70.000 membri.

“Le aziende stanno cominciando a capire che – la conformità – non è uno di quei

grandi eventi che si verificano una volta sola, seguiti da un improvviso calo di

attenzione. Se si vuole mantenere la conformità, non si può mollare la presa. Le

aziende dovranno cominciare a cercare soluzioni per rendere più efficiente il

lavoro di tutti i giorni.” John Halamka della Harvard Medical School ha qualcosa

da dire in proposito. “Sei mesi fa pensavamo di aver predisposto tutti i controlli

necessari per le nostre policy di security,” ricorda Halamka. “Ma i nuovi attacchi e

i malware più recenti ci hanno costretto a modificare le nostre policy e a

sviluppare nuovi strumenti di valutazione per capire se qualcuno qui utilizza

software peer-to-peer o altre applicazioni contrarie alle nostre policy.”

Anche le modifiche del codice di applicazioni legacy possono minare gli sforzi

compiuti per soddisfare i requisiti di conformità. “Nel mondo IT, molti fra i

programmatori migliori e i membri dello staff ricorrono a degli espedienti per

intervenire sui sistemi legacy”, osserva Chellappa Kumar, CIO del New York

College of Osteopathic Medicine (NYCOM), la seconda scuola di medicina più

grande degli Stati Uniti, ubicata a Old Westbury, New York. “Queste persone non

66 Institute of Management Accountants - IMA, (www.imanet.org), conta più di 70.000 membri. IMA è dedicato a riequilibrare la professione di contabilità istruendo la società per quanto riguarda il ruolo della costruzione di affari dei management accountants e dei professionisti della finanza che lavorano all'interno delle organizzazioni.

116

lascerebbero mai intenzionalmente libero accesso ai dati, ma questi espedienti

possono creare inavvertitamente le condizioni perché ciò succeda”.

Quarta regola - Informare

Naturalmente, qualsiasi misura di controllo aziendale orientata

all'implementazione della conformità non vale nulla senza una comunicazione e

una formazione degli utenti adeguate. “Comunicare la filosofia di base e una

formazione adeguata in itinere sono per le società le due aree più irte di ostacoli

quando si tratta di conformità,” afferma Anand67

“Il training e il riorientamento culturale sono due dei più importanti fattori di

successo per un'implementazione riuscita della conformità normativa,” aggiunge

Chellappa Kumar del NYCOM, che dedica circa il 20% del suo tempo alle

problematiche di compliance. “È essenziale far sì che il personale prenda sul serio

il problema della conformità. Spesso vedo che le organizzazioni cercano soltanto

una soluzione tecnica, dimenticando che devono convincere i dipendenti di quanto

sia importante la conformità.”

, esperto di compliance e autore

di successo. “Pur a fronte del dovuto coinvolgimento del top management e di

investimenti sufficienti in sistemi e tecnologia, la preparazione dei dipendenti in

relazione all'importanza della conformità e nel come utilizzare correttamente gli

strumenti a disposizione, è l'area in cui le aziende sono più carenti.”

Al NYCOM, Kumar tiene ogni mese degli incontri di carattere pratico con gli

utenti, durante i quali vengono prese in esame le problematiche correnti in fatto di

processi e le possibili soluzioni tecniche dei problemi individuati. Altre

organizzazioni hanno inserito materiale sulla compliance nei documenti di HR

(human resources), nelle intranet e nella newsletter elettronica mensile indirizzata

ai dipendenti.

Quinta regola - Dare ascolto alle critiche

Se una società si dimostra carente in termini di compliance, i dipendenti devono

avere a disposizione dei canali di comunicazione che consentano loro di esprimere

le proprie perplessità senza timore di

67 Sanjay Anand, CEO of Sarbanes Oxley Group, nel gruppo è incluso il giornale Sarbanes-Oxley compliance journal, www.s-ox.com, il quale si occupa di Proposed Rules, Final Rules, Concept Releases, Interpretive Releases, Policy Statements and PCAOB Rulemaking. Suggerendo alle aziende su come possono interessare e su come occuparsi di loro.

117

conseguenze. Questi possono essere costituiti da una hot line per comunicazioni

anonime o da account di posta elettronica anonimi che diano ai dipendenti la

possibilità di rendere note le proprie osservazioni.

“Oltre a fare in modo che questi canali di comunicazione vengano creati, occorre

anche accertarsi che tutti i dipendenti siano a conoscenza della loro esistenza,” ha

sottolineato Ed Golod, presidente di Revenue Accelerators, una società di New

York specializzata in servizi di consulenza strategica per i manager.

L'Health Science Center dell'Università del Texas, ad esempio, mette a

disposizione un numero verde tramite il quale i dipendenti possono denunciare in

forma anonima casi sospetti di violazione delle leggi federali o statali o del

regolamento dell'università.

Inoltre i dipendenti possono utilizzare la hot line dedicata alla conformità per

porre quesiti in caso di dubbio su come comportarsi in una particolare situazione.

Tutte le accuse di presunte violazioni vengono riportate all'Office of Legal Affairs

and Institutional Compliance dell'Health Science Center dell'Università del Texas

per approfondimento. L'origine della chiamata non viene rintracciata, né le

chiamate vengono registrate e il centro non dispone di funzioni di identificazione

del chiamante. Agli anonimi che chiamano viene tuttavia fornito un numero di

segnalazione che possono utilizzare per richiamare la hot line dedicata alla

conformità per aggiornamenti sulla questione sollevata. I dipendenti che chiamano

la hot line sono protetti contro ritorsioni o altre conseguenze dalla legge statale e

federale e dal regolamento dell'università.

Anche CA (Computer Associates International, Inc) ha creato una hot line

dedicata alla conformità etica. Durante le riunioni del comitato di controllo della

società, il CCO (Chief Compliance Officer) esamina lo stato di tutte le chiamate

con i membri del comitato per garantire che tutte vengano attentamente analizzate.

Sesta regola – Agire opportunamente e con rapidità

Quando sorgono dei problemi di conformità, le aziende devono eseguire un

controllo e, se opportuno, adottare misure disciplinari o correttive.

Secondo il parere di Faegre & Benson, uno studio legale di Minneapolis,

Minnesota, le aziende dovrebbero decidere come condurre delle indagini in

materia di conformità prima di trovarsi ad affrontare un'accusa o una denuncia

specifica. Molto importante, nell'opinione dello studio, è decidere se condurre

118

l'inchiesta internamente (e in tal caso chi dovrebbe farlo) o se rivolgersi a un

investigatore esterno. La seconda soluzione potrebbe giocare a favore

dell'indipendenza e della credibilità dell'inchiesta, facilitare l'interazione con i

revisori della società in relazione al raggio d'azione e ai risultati dell'inchiesta e

rendere più semplice la gestione delle questioni riguardanti il cosiddetto

“attorney-client privilege68

Un altro aspetto importante è fare in modo che l'investigatore abbia accesso libero

e immediato a tutti i documenti pertinenti; ciò implica che le aziende devono

avere sistemi di archiviazione e conservazione dei dati efficaci e adeguati alle

normative in essere e a quelle di una potenziale introduzione futura di ulteriori

regole.

” .

“Il numero e la rigorosità delle normative in materia di conformità aumenterà

piuttosto che diminuire,” sostiene Sanjay Anand, CEO di Sarbanes Oxley Group,

“Questo è dovuto all'evoluzione socio-economica del business e della società.

Assisteremo inoltre a una diminuzione esponenziale dell'ostilità nei confronti di

questa legislazione negli anni a venire, man mano che impariamo ad adattarci alle

nuove realtà delle funzioni manageriali e della responsabilità aziendale. La

conformità normativa continuerà a cercare di salvaguardare l'onestà delle persone,

a tutto vantaggio del maggior numero di soggetti interessati e degli azionisti.”

Il CCO di CA, Gnazzo, conclude: “Qualcuno deve assumersi la responsabilità

globale di garantire che vi sia un coordinamento fra i requisiti di conformità

attuali e futuri.” In CA e in altre società avanzate questa responsabilità globale

investe innanzitutto il Consiglio di amministrazione, estendendosi a CEO, CFO,

CIO e Chief Compliance Officer. Facendo leva su questo capitale intellettuale e

sugli strumenti IT appropriati, le aziende possono raggiungere e mantenere

un'efficace conformità normativa.

La compliance avrà sempre meno a che vedere con il tradizionale approccio della

conformità. Il management che aspira ad avere un ruolo anche al di fuori dei

propri confini nazionali ha capito che occorre passare da un approccio statico

amministrativo e corporativo, centrato sul solo rispetto delle norme, a una visione

dinamica, economica e individuale della singola impresa, che fa perno sulle

tecniche di gestione del rischio. Tenuto conto del fatto che la produzione

68 attorney-client privilege, “privilegio avvocato-assistito” mirante a consentire uno scambio d'informazioni completo e libero fra avvocato e assistito, tutelando la riservatezza delle comunicazioni e dei documenti correlati all'inchiesta o all'erogazione di una consulenza legale.

119

legislativa tende sempre più ad internazionalizzarsi, che i mercati sempre più

estesi e complessi renderanno il concetto di regole sempre più aleatorio, sorge la

necessità di dare spazio alla individualità personale e aziendale. E questo anche

per rispondere efficacemente ai tempi richiesti dalla operatività quotidiana, che

non coincidono con quelli della politica e produzione normativa. Si cercano,

dunque, risposte autonome interpretando sì le tendenze in atto, ma creando regole

di condotta appropriate. Partendo dalla pratica operativa quotidiana, si arriva a

gestire il rischio di compliance individuando le regole migliori per il proprio

business, minimizzando preventivamente il rischio di essere disallineati rispetto

alle regole e definendo come minimizzare successivamente i danni di effettivi

disallineamenti. Entra quindi in gioco il patrimonio culturale e dei valori di

ciascuna azienda, che è chiamata a fare le sue scelte strategiche e tattiche in

coerenza con il proprio ruolo e con le normative che più la riguardano.

La complessità del reticolo normativo impone oggi alle aziende, oltre l’istituzione

di una Unità di compliance quale centro di competenza, anche la capacità di saper

tradurre i principi normativi in cultura aziendale, giacché la compliance deve

essere garantita dall’impresa nel suo insieme e dunque da tutti i suoi collaboratori.

3.2 L RUOLO E LE RESPONSABILITÀ DEL TOP-MANAGEMENT:

DIFFUSIONE DELLA CULTURA COMPLIANCE

NELL’ORGANIZZAZIONE

La visione generale è che la funzione di compliance, per quanto strutturata, deve

avere accesso diretto al senior management ed alla struttura di governance, i quali

sono responsabili dell’accertamento della compliance ai requisiti regolatori.

Il management riconosce che l’input della compliance è essenziale per prendere le

decisioni strategiche come la riorganizzazione del gruppo al fine di determinare le

modalità attraverso le quali i loro affari rispondono alla compliance ed alle

questioni regolatrici. Al contempo, è necessario che i membri del Board o i senior

executives che hanno il compito di sorvegliare la funzione di conformità abbiano

le abilità, l’esperienza e le qualità regolatrici richieste per distribuire

efficacemente le loro responsabilità.

120

La maggior parte delle funzioni di compliance ha un calendario delle riunioni

convenzionali con il senior management o con i comitati delle varie funzioni

durante l’anno. I rapporti formali riguardanti le attività di compliance sono

presentati tipicamente a tali gruppi su una base semi annuale o annuale. Tale

segnalazione è completata tramite accesso diretto al senior management se vi è

una questione problematica.

Nel rapporto fra il management e le business unit il fattore più importante è la

“fiducia”. Senza di questa, lo staff della compliance non potrebbe realizzare la sua

funzione in tutta la sua interezza.

Il rischio della compliance ha cominciato a ricevere l’attenzione del management

similarmente ad altri rischi, quale il market risk e i rischi operativi. Alcune

organizzazioni inoltre hanno espresso la preoccupazione circa le conseguenze

finanziarie del rischio di compliance e qualcuno aveva stabilito dei collegamenti

fra compliance e management del rischio operativo. Le più grandi organizzazioni

ora tendono ad avere le funzioni d’amministrazione del rischio e comitato di

rischio all’interno della funzione compliance.

Le aziende devono promuovere una cultura organizzativa che consigli il

comportamento etico e ad un impegno di compliance alla legge. Il senior

management è informato della necessità di controllare il rischio di reputazione e

del fatto che i problemi della compliance siano un danneggiamento sicuro della

reputazione di un’impresa, così come potrebbe potenzialmente incorrere in

penalità.

Tutte le organizzazioni sono state rapide nell’imparare le lezioni dai paesi in cui la

conformità è stata stabilita da più tempo. Le organizzazioni internazionali

principali stanno cercando di sviluppare un metodo costante e olistico per la

compliance.

In generale è stato riconosciuto che la corporate governance e il senior

management di un’istituzione sono responsabili dell’accertamento della

conformità ai requisiti regolatori. La funzione di compliance è una funzione di

staff: il relativo scopo è quello di aiutare, raccomandare e controllare ma non

trasferire la responsabilità regolatrice generale. Sorge a volte un conflitto tra le

funzioni di compliance officer che devono al pubblico correttezza come parte

integrante del sistema regolatore e lealtà alla loro impresa.

121

L’impressione generale è che la maggior parte dei compliance officer sappiano

che il loro ruolo primario è di proteggere gli interessi della loro impresa. La

funzione di conformità ha guadagnato rilevanza come parte sempre più importante

dell’organizzazione del senior management per occuparsi delle materie regolatrici

e dell’annuncio degli argomenti per controllare il rischio di reputazione. Alcuni

dei più grandi attori stanno cominciando ad implementare una funzione forte di

conformità come fonte di vantaggio competitivo ed i regolatori degli Stati Uniti

sono felici di vedere questo ruolo svilupparsi.

In Italia il controllo all’interno dell’azienda, l’etica di affari e l’amministrazione

efficace della compliance sono sempre più critici nella visione di conformità nei

confronti dell’organizzazione. Il modo migliore per salvaguardare la sua

reputazione, deve includere l’etica e la compliance in tutti i sistemi, processi e

procedure nella cultura dell’organizzazione.

Includere l’etica e la conformità nella cultura corporativa può essere una sfida

importante. In questo modo è possibile trasformare il costo imposto dai regolatori

nel valore aggiunto nei confronti del mercato.

I principi della compliance devono essere ampiamente divulgati sia all’interno che

all’esterno della struttura. L’organizzazione decide di accertarsi che i relativi

impiegati conoscano e capiscano tali principi, in conformità con la loro posizione

e ruoli all’interno dell’azienda e promuovano il loro contributo costruttivo.

Quando si parla di controlli, la norma coinvolge, come sempre, anche le

responsabilità del consiglio di amministrazione. La normativa si propone di

“promuovere una cultura aziendale improntata a principi di onestà, correttezza e

rispetto non solo della lettera, ma anche dello spirito, delle norme; (...) di

approntare specifici presidi organizzativi, volti ad assicurare il rigoroso rispetto

delle prescrizioni normative e di autoregolamentazione.”

Il rischio di compliance viene definito in tale ambito come “il rischio di incorrere

in sanzioni giudiziarie o amministrative, perdite finanziarie rilevanti o danni di

reputazione in conseguenza di violazioni di norme di legge, di regolamenti,

ovvero di norme di autoregolamentazione o di codici di condotta.”

Il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale sono considerati

responsabili della supervisione complessiva del sistema di gestione di tale rischio;

detto compito spetta: nel modello dualistico, al consiglio di sorveglianza e al

consiglio di gestione; nel modello monistico, al consiglio di amministrazione. In

122

particolare, il consiglio di amministrazione, sentito il collegio sindacale, con

apposita delibera (non delegabile) approva le politiche di gestione del rischio in

questione, ivi inclusa la costituzione di una funzione di conformità alle norme,

permanente e indipendente. Per le aziende che adottino il sistema di

amministrazione e controllo dualistico, è opportuno che lo statuto della banca

medesima preveda su dette materie una delibera del consiglio di sorveglianza, su

proposta del consiglio di gestione. In caso di modello monistico, la delibera deve

essere approvata, oltre che dal consiglio di amministrazione nel suo complesso,

anche dalla maggioranza dei componenti il comitato per il controllo sulla

gestione.

Almeno una volta l’anno il consiglio di amministrazione, sentito il collegio

sindacale, valuta l’adeguatezza della funzione di conformità alle norme e a tal fine

può avvalersi di un comitato costituito al suo interno; nel modello dualistico, detta

valutazione è svolta dal consiglio di gestione e gli esiti della stessa sono

comunicati al consiglio di sorveglianza, ovvero a un comitato costituito al suo

interno.

La compliance non può essere tale senza una base culturale che consideri il

rispetto delle norme come un valore primario cui l’azienda e il comportamento di

tutti i suoi attori devono ispirarsi. E, come disse una volta R. Breeden, ex

Presidente della SEC: “non è certo uno standard etico adeguato quello di aspirare

a concludere la giornata senza essere incriminati”.

Occorre quindi verificare, innanzitutto, se la cultura aziendale e l’azione

manageriale, che ad essa si ispira, supportino in modo efficace un’azione di

controllo in materia di rischio di compliance. Solo di rado infatti è sufficiente il

cedimento caratteriale di un unico attore per spiegare chiaramente la cattiva

amministrazione di un’azienda69

Ad esempio, le prime esperienze in materia di verifiche esterne della compliance

riferite all’applicazione del d.lgs. 231/01 mostrano che l’attenzione del Tribunale

penale è concentrata sulla sostanza e non sulla forma. L’esame del modello

organizzativo ex 231, ad esempio, non viene mai fatto in astratto o in relazione ad

aspetti puramente documentali: ciò che interessa al Giudice è la volontà di

prevenire i reati e l’applicazione pratica dei modelli e delle connesse procedure di

controllo. In linea teorica, se non esiste la propensione a delinquere, il modello

.

69 Convegno ABI, Il ruolo del CdA nel controllo della compliance, una nuova normativa della Banca d’Italia in materia di compliance, 16 e 17 ottobre

123

non serve a nulla. Al tempo stesso, il d.lgs 231/01 prevede l’inversione dell’onere

della prova nel caso di soggetti apicali: si suppone che se il reato sia commesso a

questo livello, la società non può essere stata estranea ai fatti. Ovvero si suppone

implicitamente che il funzionamento della società non possa che ispirarsi alla

cultura del top management. Non vale quindi il principio che “se è legale, è

etico”: deve esservi un allineamento sostanziale e permanente tra compliance e

business ethics, tra adeguamento dei comportamenti alle norme e rispetto dei

valori etici dell’organizzazione.

Figura 3.1 – Business ethics

Il controllo sulla compliance presuppone la verifica della coerenza tra la cultura

aziendale e i principi di legge; il ruolo del consiglio di amministrazione è quello di

utilizzare gli strumenti per svolgere un’azione preventiva e di monitoraggio a tal

fine e di promuovere tali valori in tutta l’organizzazione.

La compliance è emersa come una delle aree più importanti di rischio che

un’organizzazione affronta. Ciò che una volta era il rischio meno considerato dal

senior management, rischio della compliance, insieme al reputational risk, hanno

124

raggiunto le zone più tradizionali di rischio, quali accreditamento, il mercato ed il

rischio finanziario per fronteggiare il rischio operativo all’ordine del giorno.

Figura 3.2 – Compliance management

Mentre la maggior parte delle imprese di servizi finanziari hanno sviluppato bene

la competenza dell’identificazione, di valutazione e dell’amministrazione nei

rischi più tradizionali, la compliance ai nuovi regolamenti è fonte della

preoccupazione del board e del senior management.

Tuttavia, la compliance dovrebbe essere osservata non soltanto come sottoinsieme

del rischio, per essere controllata come gli altri rischi, ma anche come un

“enabler” o catalizzatore per la creazione significativa di valore all’interno di

un’organizzazione. Sempre più aziende hanno scoperto che la compliance è una

funzione chiave all’interno dell’organismo aziendale. L’iniziale visione della

compliance come un’altra funzione interna o di controllo per il commercio sta

cominciando a modificarsi e a breve probabilmente sarà mutata completamente.

Sempre più aziende esigono che i loro uffici di compliance facciano uno “step

change” verso un livello di più alto valore aggiunto attraverso: miglioramento

della strategia, implementazione di processi di affari, valutazione del managing

risk, fornendo una consulenza al management, cogliendo le nuove possibilità nei

loro mercati.

125

Questo “step change” richiede una focalizzazione notevole sul contesto, sulle

abilità e sul comportamento del reparto di compliance. Per realizzare questo “step

change” del reparto compliance ci si dovrà allineare, sia all’interno che

all’esterno, alla strategia di affari e alle aspettative del cliente. Per quelli che

realizzano questo cambiamento, le ricompense ed i benefici sono significativi.

Una problematica frequentemente sollevata dai compliance directors e dal senior

management è: “come fa il reparto di compliance a comprendere e raggiungere la

best practice?” La risposta a tale domanda è che tutti i reparti di compliance sono

differenti quanto le aziende in cui operano. Quei reparti di compliance che

possono sostenere in conformità alla legge di essere fautori di best practice

riescono a far coesistere ed operare insieme quattro funzioni del funzionamento

con otto fattori essenziali, in una formula che permette loro di contribuire e

conseguire gli obiettivi generali dell’azienda. Le quattro funzioni del

funzionamento sono:

♦ Dimostrare la conformità alle regole relative;

♦ Includere la compliance all’interno dell’organizzazione;

♦ Controllare il costo di conformità;

♦ Identificare, richiamare e risolvere i problemi di regolazione.

Alcuni CCO (Chief Compliance Officer) hanno indicato che spendono

generalmente troppo tempo sulla prima ed ultima di queste funzioni, mentre

vorrebbero focalizzare i loro sforzi e risorse sulle due centrali.

Altri invece riconoscono che dirigendo i loro sforzi e risorse verso l’inclusione

della compliance ed il controllo dei costi all’interno delle loro organizzazioni,

ridurranno il tempo dedicato alla prima e ultima funzione.

Tuttavia, la dicotomia che affrontano i CCO è quella di impiegare le loro risorse

in modo da accertarsi che tutte e quattro le funzioni del funzionamento siano

controllate simultaneamente, spostando allo stesso tempo l’enfasi alle due

centrali.

Il metodo utilizzato dal top-management delle aziende più avanzate si focalizza

sull’impegno continuo alla compliance dell’organizzazione e permette di

sviluppare programmi di conformità efficaci e che siano in grado di sviluppare

una cultura compliance all’interno dell’azienda.

126

Questo avviene, attraverso una gestione competente e adeguata di risorse, persone

e informazioni con l’obiettivo di ottimizzare il valore, la sicurezza e i controlli dei

processi aziendali:

1) Attraverso i boards e il management “tone at the top”. L’etica negli affari

richiama come un’azienda coltiva una cultura di “fare la giusta cosa” e di

integrarla ai valori del nucleo, quali la responsabilità e la fiducia, nel senso

che il commercio è condotto attraverso l’organizzazione. Sia il board che il

management hanno bisogno di una visione forte e unificata riguardo allo

scopo del programma di compliance. Il management è responsabile della

progettazione ed esecuzione di un efficace programma di compliance,

mentre il board sorveglia l’amministrazione per accertarsi della corretta

esecuzione.

2) Con un codice di condotta “value driven”: i valori servono da obiettivo per

i processi decisionali dell’azienda e determinano come un’azienda si

comporta nei periodi incerti. L’etica e i valori dell’azienda per quanto

riguarda la compliance devono “essere vissuti” ed essere compresi in un

codice di comportamento chiaramente scritto e comunicato chiaramente a

tutti gli impiegati e terzi associati. Questo codice non dovrebbe esprimere

soltanto il valore dell’amministrazione, ma anche identificare e riflettere il

valore degli stakeholder importanti.

3) Con l’integrazione efficace nei business process: l’integrazione con i

processi di affari include le politiche e le procedure di sviluppo;

comunicando ed addestrando, uso del codice di comportamento e relativa

pratica, libere segnalazioni all’amministrazione e al board, comunicando

agli stakeholder le prestazione dell’azienda. L’integrazione si accerta che

il programma di etica e compliance sia operativo ed efficiente.

127

Figura 3.3 – Gestione competente e adeguata

Information System Governance e analisi dei rischi con ITIL e CoBIT, Marco Salvato, KPMG, studio AIEA, Roma, 6 aprile 2006

Nel progettare una funzione di compliance, un’organizzazione deve considerare

sia i ruoli funzionali che le compliance responsability, considerando le soluzioni

IT (information technology) e le best practice al fine di comprendere anch’esse nel

programma di conformità.

Le pratiche migliori per realizzare una cultura di sostegno della compliance

riguardano:

♦ Board e senior management orientati all’etica e alla conformità;

♦ funzione globale di compliance sostenuta dalle possibilità cross-functional

del management;

♦ comunicazione efficace verso l’alto e verso il basso;

♦ responsabilità costante a tutti i livelli;

♦ integrazione della conformità nel sistema di misura e di ricompensa di

prestazioni specifiche;

128

♦ metodo basato sui valori, sull’etica e sulla conformità;

♦ knowledge management per facilitare buoni risultati del leverage;

♦ miglioramento continuo basato su un uso efficace di misure obiettive di

tecnologia conforme ai requisiti compliance per migliorare il management,

la comunicazione e il controllo;

♦ coinvolgimento costruttivo degli stakeholder interni ed esterni;

♦ miglioramenti di conformità del leverage per permettere miglioramento

negli affari;

♦ misura sistematica di efficacia del programma di compliance, compreso il

controllo e la mitigazione dei costi e dei rischi;

♦ sviluppo dei sistemi di controllo immediato e dei processi efficaci di

risoluzione dei problemi;

♦ definizione nuova del programma di conformità e di etica per comprendere

la struttura che fornisce il supporto per i programmi di responsabilità

sociale d’impresa attraverso la triple-bottom-line relativa alle prestazioni

economiche, ambientali e sociali dell’organizzazione.

3.3 ENTERPRISE RISK MANAGEMENT (EMR) E BUSINESS

CONTINUITY

La sopravvivenza di un’azienda è assicurata dalla sua capacità di creare valore per

i suoi stakeholder. Tutte le aziende devono affrontare eventi incerti e la sfida del

management è di determinare il quantum di incertezza accettabile per creare

valore. L’incertezza rappresenta sia un rischio che un’opportunità e può

potenzialmente ridurre o accrescere il valore dell’azienda. L’ERM consente al

management di affrontare efficacemente le incertezze e i conseguenti rischi e

opportunità, accrescendo così le capacità dell’azienda di generare valore. Il

management massimizza il valore quando formula strategie e obiettivi al fine di

conseguire un equilibrio ottimale tra target di crescita e di redditività e rischi

conseguenti, e quando impiega in modo efficiente e efficace le risorse nel

perseguire gli obiettivi aziendali.

129

Figura 3.4 – Equilibrio rischio, valore, costo

Information System Governance e analisi dei rischi con ITIL e CoBIT, Marco Salvato, KPMG, studio AIEA, Roma, 6 aprile 2006

Un modello di ERM COSO, ha le seguenti caratteristiche.

♦ L’allineamento della strategia al rischio accettabile – Il management

stabilisce il livello di rischio accettabile per valutare le alternative

strategiche, fissare i corrispondenti obiettivi e sviluppare i meccanismi per

gestire i rischi che ne derivano.

♦ Il miglioramento della risposta al rischio individuato – L’ERM fornisce

una metodologia rigorosa per identificare e selezionare tra più risposte

alternative al rischio quella più adeguata (evitare, ridurre, condividere,

accettare il rischio).

♦ La riduzione degli imprevisti e delle perdite conseguenti – Le aziende,

accrescendo la loro capacità di identificare eventi potenziali, di valutare i

relativi rischi e di formulare risposte adeguate, riducono la frequenza degli

imprevisti come pure i costi e le perdite conseguenti.

130

♦ L’identificazione e la gestione dei rischi correlati e multipli – Ogni

azienda deve affrontare una miriade di rischi che interessano diverse aree

dell’organizzazione, e l’ERM facilita la formulazione di un’efficace

risposta ai rischi con impatti correlati e risposte univoche a rischi multipli.

♦ L’identificazione delle opportunità – Analizzando tutti gli eventi

potenziali, il management è in grado di identificare e cogliere

proattivamente le opportunità che emergono.

♦ Il miglioramento dell’impiego di capitale – L’acquisizione di informazioni

affidabili sui rischi consente al management di valutare efficacemente il

fabbisogno finanziario complessivo e di migliorare, così, l’allocazione del

capitale.

Queste caratteristiche proprie dell’ERM aiutano il management a conseguire i

propri obiettivi di performance e di redditività e di evitare perdite di risorse.

Inoltre, contribuiscono ad assicurare l’efficacia del reporting e la conformità alle

leggi e ai regolamenti, e costituiscono un ausilio per evitare danni all’immagine

aziendale e le conseguenze che ne derivano. In sintesi, l’ERM supporta

l’organizzazione nel raggiungimento delle mete desiderate evitando insidie e

imprevisti di percorso.

Per l’impresa gli eventi rappresentano rischi e opportunità. Un evento può avere

un impatto negativo, un impatto positivo, o entrambi. Eventi con impatti negativi

costituiscono “rischi” che possono ostacolare la creazione di valore o erodere

quello esistente. Eventi con un impatto positivo possono compensare impatti

negativi o possono costituire “opportunità”. Le opportunità sono possibilità che un

evento si verifichi e influisca positivamente per il conseguimento degli obiettivi,

contribuendo, così, alla creazione di valore oppure preservando quello esistente. Il

management valuta le opportunità emerse, riconsiderando le strategie formulate in

precedenza o i processi di definizione degli obiettivi in atto ed elaborando nuovi

piani per cogliere i vantaggi che ne derivano.

L’ERM, che tratta dei rischi e delle opportunità che influenzano la creazione o la

preservazione di valore, è definito come il processo di gestione del rischio

aziendale, posto in essere dal consiglio di amministrazione, dal management e da

131

altri operatori della struttura aziendale, utilizzato per la formulazione delle

strategie in tutta l’organizzazione e progettato per individuare eventi potenziali

che possono influire sull’attività aziendale, al fine di gestire il rischio entro i limiti

del rischio accettabile e per fornire una ragionevole sicurezza sul conseguimento

degli obiettivi aziendali.

Questa definizione riflette alcuni concetti fondamentali. L’ERM è:

♦ un processo continuo e pervasivo che interessa tutta l’organizzazione;

♦ svolto da persone che occupano posizioni a tutti i livelli della struttura

aziendale;

♦ utilizzato per la formulazione delle strategie;

♦ utilizzato in tutta l’organizzazione: sia nelle sue singole attività (in ogni

livello e in ogni unità della struttura), che nella sua attività complessiva.

Esso include una visione del rischio che considera l’azienda nel suo

complesso;

♦ progettato per identificare eventi potenziali che potrebbero influire

sull’attività aziendale e per gestire il rischio entro i limiti del rischio

accettabile;

♦ in grado di fornire una ragionevole sicurezza al consiglio di

amministrazione e al management;

♦ in grado di conseguire obiettivi relativi a una o più categorie distinte, ma

che si possono sovrapporre.

Questa definizione è intenzionalmente estensiva e racchiude i concetti chiave,

fondamentali per capire come le aziende devono gestire il rischio; fornisce i criteri

di base da applicare in tutte le organizzazioni, quale che sia la loro natura. Si

focalizza direttamente sul raggiungimento degli obiettivi di una specifica

organizzazione e fornisce i criteri per valutare l’efficacia dell’ERM.

Nell’ambito della missione e della visione aziendale, il management definisce gli

obiettivi strategici, sceglie la strategia e fissa gli obiettivi specifici, coerenti con la

strategia, e li assegna a vari livelli della struttura organizzativa.

L’ERM è finalizzato al conseguimento degli obiettivi aziendali rientranti nelle

seguenti categorie:

♦ strategici – sono di natura generale e definiti ai livelli più elevati della

struttura organizzativa, allineati e a supporto della missione aziendale;

132

♦ operativi – riguardano l’impiego efficace ed efficiente delle risorse

aziendali;

♦ di reporting – riguardano l’affidabilità delle informazioni fornite dal

reporting;

♦ di conformità – riguardano l’osservanza delle leggi e dei regolamenti in

vigore.

Questa classificazione degli obiettivi aziendali consente di approfondire differenti

aspetti della gestione del rischio. Queste categorie distinte, ma connesse o

sovrapponibili (un determinato obiettivo può rientrare in più di una categoria)

riguardano esigenze diverse dell’azienda e possono essere di competenza diretta

di più manager. Questa classificazione consente inoltre di distinguere quanto ci si

può attendere da ciascuna categoria di obiettivi.

Un’altra categoria che riguarda la “salvaguardia delle risorse”, adottata da qualche

azienda, è descritta nel proseguo di questo studio.

Poiché gli obiettivi riguardanti l’affidabilità del reporting e la conformità alle

leggi e ai regolamenti sono sotto il diretto controllo dell’azienda, l’ERM è in

grado di fornire una ragionevole sicurezza per il conseguimento di questa

tipologia di obiettivi. Il conseguimento degli obiettivi strategici e operativi è

soggetto a eventi esterni che non sempre rientrano nella sfera di controllo

dell’azienda; di conseguenza, la gestione del rischio può solo fornire una

ragionevole sicurezza che il management e il consiglio di amministrazione, nel

suo ruolo di vigilanza, siano tempestivamente informati della misura in cui si

stanno realizzando detti obiettivi.

L’ERM è costituito da otto componenti interconnessi. Essi derivano dal modo in

cui il management gestisce l’azienda e sono integrati con i processi operativi.

Questi componenti sono:

♦ Ambiente interno - L’ambiente interno, che costituisce l’identità essenziale

di un’organizzazione, determina i modi in cui il rischio è considerato e

affrontato dalle persone che operano in azienda, come pure la filosofia

della gestione del rischio, i livelli di accettabilità del rischio, l’integrità e i

valori etici e l’ambiente di lavoro in generale.

♦ Definizione degli obiettivi – Gli obiettivi devono essere fissati prima di

procedere all’identificazione degli eventi che possono potenzialmente

133

pregiudicare il loro conseguimento. L’ERM assicura che il management

abbia attivato un adeguato processo di definizione degli obiettivi e che gli

obiettivi scelti supportino e siano coerenti con la missione aziendale e

siano in linea con i livelli di rischio accettabile.

♦ Identificazione degli eventi – Gli eventi esterni e interni, che influiscono

sul conseguimento degli obiettivi aziendali, devono essere identificati

distinguendoli tra “rischi” e “opportunità”. Le opportunità devono essere

valutate riconsiderando la strategia definita in precedenza o il processo di

formulazione degli obiettivi in atto.

♦ Valutazione del rischio – I rischi sono analizzati, determinando la

probabilità che si verifichino in futuro e il loro impatto, al fine di stabilire

come devono essere gestiti. I rischi sono valutati in termini di rischio

inerente (rischio in assenza di qualsiasi intervento) e di rischio residuo

(rischio residuo dopo aver attuato interventi per ridurlo).

♦ Risposta al rischio – Il management seleziona le risposte al rischio emerso

(evitarlo, accettarlo, ridurlo, comparteciparlo) sviluppando interventi per

allineare i rischi emersi con i livelli di tolleranza al rischio e di rischio

accettabile.

♦ Attività di controllo – Devono essere definite e realizzate politiche e

procedure per assicurare che le risposte al rischio siano efficacemente

eseguite.

♦ Informazioni e comunicazione – Le informazioni pertinenti devono essere

identificate, raccolte e diffuse nella forma e nei tempi che consentano alle

persone di adempiere correttamente le proprie responsabilità. In linea

generale, si devono attivare comunicazioni efficaci, in modo che queste

fluiscano per l’intera struttura organizzativa: verso il basso, verso l’alto e

trasversalmente.

♦ Monitoraggio – L’intero processo dell’ERM deve essere monitorato e

modificato ove necessario. Il monitoraggio si concretizza in interventi

continui integrati nella normale attività operativa aziendale o in

valutazioni separate, oppure in una combinazione dei due metodi.

L’ERM non è un procedimento strettamente sequenziale, nel quale un

componente influisce solo sul successivo. Si tratta, invece, di un processo

134

interattivo e multidirezionale in cui ogni componente può influire o influisce su un

altro componente, indipendentemente dalla sequenza del processo.

Esiste un rapporto diretto tra obiettivi, ossia ciò che un’azienda si sforza di

conseguire, e i componenti dell’ERM, ovvero ciò che occorre per conseguire gli

obiettivi. Questo rapporto è schematizzato in una matrice tridimensionale a forma

di cubo. Le quattro categorie di obiettivi (strategici, operativi, di reporting e di

conformità) sono rappresentate nelle colonne verticali del cubo, gli otto

componenti sono invece rappresentati nelle righe orizzontali del cubo, e le unità

operative dell’organizzazione sono rappresentate dalla terza dimensione della

matrice (vedi fig. 3.8 ERM COSO). Questo schema fa capire l’estrema flessibilità

del modello, che qui si illustra: esso può essere applicato, sia all’intero processo di

gestione del rischio aziendale, sia distintamente alle singole categorie di obiettivi,

ai componenti, alle singole unità operative e alle singole sub unità di queste

ultime.

La valutazione dell’efficacia del processo di gestione del rischio aziendale è un

giudizio soggettivo, fondato sulla presenza degli otto componenti e sul loro

corretto funzionamento. Pertanto, i componenti costituiscono anche dei criteri di

efficacia. Così, se in un processo tutti gli otto componenti sono presenti e

funzionano correttamente, ciò rappresenta una prova dell’assenza di debolezze

significative e che i rischi che si vogliono affrontare sono al di sotto del livello di

rischio ritenuto accettabile. Quando un processo di gestione del rischio aziendale è

giudicato efficace per ciascuna delle quattro categorie di obiettivi, ciò significa

che il consiglio di amministrazione e il management hanno una ragionevole

sicurezza di venire a conoscenza della misura in cui gli obiettivi strategici e

operativi si stanno conseguendo, che i report sono affidabili e che le leggi e i

regolamenti in vigore sono osservati.

Gli otto componenti non funzionano in modo identico in ogni azienda.

L’applicazione del modello, in aziende medio-piccole, per esempio, potrebbe

essere meno formale e meno strutturata. Ciò nondimeno, le piccole aziende

possono avere un efficace processo di gestione del rischio, purché ciascun

componente sia presente e funzioni correttamente.

Sebbene l’ERM procuri importanti benefici, tuttavia, esistono dei limiti. Oltre ai

fattori illustrati in precedenza esistono dei limiti dovuti a possibili errori di

giudizio quando si prendono decisioni gestionali, all’impossibilità di proteggersi

135

da tutti i rischi anche perché il rapporto costo-benefici diverrebbe gravoso, a errori

umani che possono procurare danni involontari, alla possibilità che i controlli

siano aggirati da parte di due o più persone, in collusione, e al management che

può eludere le decisioni sulla gestione dei rischi. Queste limitazioni non

consentono al consiglio di amministrazione e al management di ottenere una

sicurezza assoluta sul conseguimento degli obiettivi aziendali.

Il controllo interno è parte integrante dell’ERM, che qui si presenta. Pertanto, il

modello di gestione del rischio aziendale incorpora il controllo interno fornendo

un più completo strumento per il management. Il controllo interno è definito e

descritto nella pubblicazione intitolata “Il sistema di controllo interno70

Ogni persona che opera in un’organizzazione, ha una certa responsabilità

nell’ERM. Il CEO ne ha la responsabilità ultima e ne assume la paternità. Il

management promuove la filosofia di gestione del rischio e l’osservanza del

livello di rischio accettabile, e gestisce i rischi nella sua sfera di responsabilità in

coerenza con i livelli di “tolleranza al rischio”. Generalmente, il risk officer, il

direttore finanziario, l’internal auditor assolvono compiti chiave di supporto alla

gestione del rischio; altre persone svolgono invece compiti puramente esecutivi

nella gestione del rischio in conformità alle direttive e ai protocolli. Il consiglio di

amministrazione svolge un ruolo importante di supervisione del processo di

gestione del rischio aziendale e contribuisce alla determinazione del livello di

rischio accettabile. Un certo numero di soggetti esterni, come i clienti, i fornitori,

partner, revisori esterni e analisti finanziari spesso forniscono informazioni utili

per il buon funzionamento del processo di gestione del rischio aziendale, ma essi

non rispondono della sua efficacia, né fanno parte del processo medesimo.

”. Poiché

questa pubblicazione ha superato bene la “prova del tempo” e ha costituito la base

per regolamenti e leggi attualmente in vigore, essa rimane ancora valida come

pure la definizione e il modello di controllo interno.

70 PWC, PriceWaterhouse Cooper, “Il sistema di controllo interno”, ed. Il Sole 24 Ore, tale testo propone la versione italiana del COSO Report, studio sulla best practice dei sistemi di controllo interno, riprendendo l'edizione statunitense del 1992. Il COSO Report è ancor oggi indicato come best practice di riferimento per l'architettura dei sistemi di controllo interno del Sarbanes-Oxley Act del 2002, il provvedimento legislativo del Congresso di riforma dei mercati finanziari americani, dalle relative norme di attuazione della SEC e dai documenti di studio della Commissione Europea.

136

3.3.1 COMPLIANCE RISK MANAGEMENT

Il rischio normativo viene definito come il rischio di danni materiali, alla

reputazione o di attendibilità, emerso dall’impossibilità di rispettare le

disposizioni dei regolatori o dei codici relativi per la prassi migliore, che possa

supervisionare le imprese regolamentate, in qualsiasi area si trovi ad operare

l’organizzazione. Il rischio normativo influisce sulle aziende regolamentate in

qualsiasi industria e può venire classificato in:

rischio a monte: i rischi esistenti prima della formulazione delle regole,

includendo quei rischi per cui l’organizzazione non è cosciente dei potenziali

sviluppi normativi, così che non riesce ad accertare l’impatto commerciale e

normativo della nuova legislazione, così che non riesce ad esercitare delle

pressioni efficaci sui legislatori ad i regolatori e non riesce, infine, a progettare

ed applicare efficientemente le nuove disposizioni.

rischio a valle: rischi emersi dopo la formulazione delle regole, includendo il

rischio che le direttive esistenti non vengano rispettate dall’organizzazione,

che i cambiamenti nell’ambito commerciale dell’organizzazione possano

venire influenzati da norme nuove o esistenti o dai regolatori ed, infine, che le

violazioni individuate nell’organizzazione non vengano corrette

tempestivamente.

rischio normativo: i rischi di non sviluppare e gestire efficacemente il rapporto

con i regolatori, includendo un’indebolita influenza sulle pressioni politiche,

un metodo di supervisione troppo invadente ed un’azione coercitiva

invalidabile.

Le funzioni di compliance tradizionale e gestione del rischio potrebbero essere le

funzioni naturali per assumersi la responsabilità principale per la conduzione di

quei rischi normativi fondamentali. Ma, decisamente, questi non sono problemi

tecnici da delegare e di cui dimenticarsi in un secondo momento. Il senior

management ed i comitati amministrativi più rilevanti devono restare coinvolti da

vicino, non solo perché i rischi a valle possono essere molto alti, ma anche perché

una gestione efficiente dei rischi a monte e dei rapporti con i regolatori ai livelli

più autorevoli darà modo all’organizzazione di valutare ed influenzare più

efficientemente il cambiamento del panorama normativo.

137

Il rischio legato alla gestione della compliance ha cominciato a ricevere

sufficiente attenzione, al pari di altri rischi come quello operativo, del mercato e

su crediti. Alcune aziende hanno espresso preoccupazione sulle conseguenze del

rischio legato alla compliance, ed hanno anche stabilito stretti collegamenti tra la

compliance e la gestione del rischio operativo. I gruppi più grandi ora tendono a

rappresentare la funzione compliance insieme a quelle della gestione dei rischi ed

al comitato sui rischi.

Figura 3.5 – Risk compliance committee

La valutazione del rischio olistico sta guadagnando un profilo sempre più alto

all’interno dell’industria dei servizi finanziari, in quanto le aziende stanno

cercando non solo di conformarsi alle regole comportamentali di mercato, ma

anche di utilizzare il capitale quanto più efficientemente possibile. L’esperienza

ha dimostrato che le iniziative di compliance hanno un impatto estremamente

benefico sul risultato economico finale. La compliance alle regole di “know your

customer” a scopo antiriciclaggio di denaro sporco ad esempio, può combaciare

con una gestione più efficiente dei rapporti con la clientela.

Il processo di valutazione del rischio compliance tende a svilupparsi

maggiormente in quei paesi dove il controllo della compliance viene svolto

ampiamente dal dipartimento per la compliance. È chiaro che, in molti casi,

potrebbe venire applicato un approccio alla compliance fondato sul rischio,

138

mentre molte organizzazioni possono accostarsi all’esperienza concreta in cui le

funzioni della revisione interna si sono sviluppate negli anni verso la realizzazione

di settori prioritari per la revisione stessa.

Il rischio legato alla compliance viene definito come “il rischio di

danneggiamento del modello commerciale aziendale, della sua reputazione e

condizione finanziaria, dall’insuccesso nel rispettare le leggi e le regole, agli

standard interni e le politiche, nonché le aspettative dei principali interlocutori

sociali quali i clienti, i dipendenti e la società nel suo complesso”.

Una nuova indagine a livello globale, svolta dalla Price Waterhouse Coopers71

Il dipartimento di compliance da solo non può risolvere il conflitto di interesse

intrinseco tra il desiderio di un’organizzazione per gli utili ed il suo dovere di

ampliare gli interlocutori sociali. Le regole diventano inutili se vanno contro

l’intera organizzazione, e cioè se esiste una cultura della non-compliance.

, su

160 senior executives (dirigenti) nel settore industriale, effettuata specificamente

su questa funzione, rivela che la conformità alle regole con mandato governativo è

considerata meno importante per evitare il rischio di reputazione rispetto alla

conformità dei codici morali e professionali interni. Aderire alla legge è

necessario, ma non sufficiente per proteggersi contro il reputational risk (rischio

di reputazione). Seguire le regole esistenti non basta; identificare la fonte e le

conseguenze delle regolamentazioni potenziali è quanto di più decisivo.

La compliance è spesso reattiva ai cambiamenti aziendali solo se è consentito

dalle regole. Alla richiesta di identificare i sostenitori dell’adozione e

realizzazione dei codici di best practice, ad esempio, gli intervistati dell’indagine

hanno messo i regolatori al primo posto.

Tavola 3.1 – Realizzatori di best practice

71 Price Waterhouse Coopers, “Compliance: a gap at the heart of risk management”, gennaio 2003

139

Questo genere di approccio considera gli strati dei procedimenti di compliance

uno sovraordinato all’altro, aggiungendo le spese, aumentando la possibilità di

duplicazione ed incoerenza e riducendo la generale destrezza dell’impresa72

Lo studio Price Waterhouse Coopers sostiene che sussista una lacuna tra i

procedimenti ideati per mantenere l’organizzazione in linea con le sue

obbligazioni normative e le politiche necessarie per proteggere ed evitare

eventuali disallineamenti con tali obbligazioni. Si ha bisogno di una nuova

concezione di compliance per superare questa lacuna, che metta avanti il cliente,

che comprenda delle direttive interne, così come un regolamento esterno che

prevenga i danni all’organizzazione, piuttosto che andarli ad indagare dopo che si

sono sofferti, e che inserisca una cultura incentrata sulla compliance nel midollo

delle istituzioni.

.

I regolatori si stanno proiettando verso l’accesso immediato al rischio e alle

informazioni sulla compliance osservando il management mentre prende le sue

decisioni. La loro nozione di compliance comprende sempre di più le

informazioni di gestione interna ed i processi decisionali, provenienti dalla sala

del consiglio verso il front desk.

Le cose stanno cambiando verso un migliore funzionamento delle organizzazioni

di servizi finanziari. Piuttosto che vedere la compliance come una funzione a sé

stante, queste organizzazioni stanno ora integrandola nelle loro strutture di

gestione del rischio generale, rendendo tale gestione una parte fondamentale della

compliance globale effettiva. Ma troppe istituzioni continuano a deludere le

aspettative di una compliance di prima classe, stando ai risultati dell’indagine.

Meno di un quinto delle organizzazioni intervistate considera la consapevolezza

dei rischi legati alla compliance come una delle parti più significative del business

dell’azienda. Meno di un quarto è molto sicura che la propria organizzazione sia

pienamente in compliance con le disposizioni normative, i codici e le politiche

interne. Tutto ciò è allarmante; una molteplicità di esempi con un profilo alto

nell’industria dei servizi finanziari ha evidenziato che l’insuccesso della

compliance in una parte dell’azienda può minacciare l’intera organizzazione.

“Il cambiamento necessario per trasformare con successo la conformità richiede

uno spostamento culturale importante a tutti i livelli di un'organizzazione, a partire

72 Rollins, Lanza: “Essential project investement governance an reporting”, 2005

140

dalla parte superiore della stessa” dice Bob Moritz, capo dei servizi finanziari di

Price Waterhouse Coopers degli Stati Uniti.

Dall’indagine emergono tre principi basilari:

1) Gli amministratori ed i direttori dovrebbero formulare in maniera chiara

una concezione di compliance che vada ben oltre la sua funzione e che poi

possa condurre ad un processo di notifica. Delle politiche e delle

procedure trasparenti ed accessibili dovrebbero essere profondamente

radicate in tutte le funzioni e unità commerciali all’interno delle

organizzazioni. La responsabilità della compliance dovrebbe venire

introdotta in tutta l’impresa, dai giovani ai più anziani.

2) Si dovrebbe costruire un’infrastruttura sul posto, per consentire al

management di seguire le questioni attuali ed emergenti relative alla

compliance e comunicarle agli acquirenti interni ed esterni. Un sistema

completo di controlli e revisioni interne dovrebbe creare una situazione di

continui miglioramenti nella gestione del rischio legato alla compliance.

Parte del processo strategico dovrebbe consistere nella revisione delle

tendenze emergenti, così da essere in vantaggio e prevedere le nuove

problematiche, prima che vengano introdotte e diventi difficile trattarle.

3) La compliance deve essere utilizzata per orientare il valore. Una buona

compliance implica la comprensione e la notifica delle aspettative dei

clienti e degli altri acquirenti, migliorando quindi la qualità dei rapporti

fondamentali. Le procedure di compliance, stabilite ed introdotte,

velocizzano i processi di approvazione dei nuovi prodotti e della gestione,

incrementando la destrezza strategica in un mercato stimolante. Una

compliance più efficace rinforza il modello aziendale, abbassando il

premio sul capitale di rischio e quindi il costo del capitale. Le

organizzazioni che non riescono a riconoscere e colmare la lacuna tra

l’approccio del banco di controllo della compliance e la totalità del rischio

corso sono estremamente vulnerabili dal punto di vista del rischio sulla

reputazione.

Secondo l’indagine globale di PWC, sui 160 dirigenti dei servizi finanziari, il

rischio sulla reputazione è l’unico grande rischio affrontato dagli istituti

finanziari. Anche se dovesse essere considerato come un rischio secondario,

141

emergente dagli altri tipi di rischi come quello aziendale e normativo, le

riflessioni sulla tassonomia non dovrebbero nascondere il fatto che questa rimane

la più grande fonte di preoccupazione per l’industria.

Tavola 3.2 – Ambiente di rischio

In parte, tutto ciò riflette la certezza crescente e l’aumentata volontà da parte dei

regolatori e di altri che vorrebbero rimproverare pubblicamente le istituzioni per i

fallimenti del management. In parte, riflette uno scrutinio più invadente, dai

gruppi dei consumatori, ai consumatori singoli, agli azionisti ed ai media, fino alle

questioni di gestione governativa e del rischio e la loro crescente capacità di

influenzare il dibattito normativo e le decisioni aziendali.

Queste sfide, richiedono un maggiore sforzo delle istituzioni finanziarie piuttosto

che un semplice atteggiamento di completa uniformità alla legge. Alla richiesta di

identificare le politiche già efficienti nel limitare il rischio sulla reputazione nelle

istituzioni finanziarie, il gruppo intervistato ha scelto codici chiari ed accessibili

delle pratiche governative e sulla gestione del rischio, nonché dei controlli interni

efficaci. Solo dopo ritroviamo la responsabilità del personale all’aderenza di

codici comportamentali, dei regolamenti e alle migliori pratiche. Una rivelazione

è stata trovare solo al quarto posto nell’ordine gerarchico, il detenere una funzione

di compliance con delle risorse appropriate.

142

Tavola 3.3 – Mitigazione del rischio di reputazione

Gli intervistati risultano anche essere d’accordo nel preferire una compliance alle

politiche interne di controllo del rischio rispetto alla compliance con il governo

3.3.2 OPERATIONAL RISK MANAGEMENT

Un sistema di risk management può essere definito come un insieme di presidi

organizzativi, regole, infrastrutture tecniche e metodologiche di misurazione dei

rischi il cui obiettivo è quello di assicurare in ogni momento l’allineamento tra la

propensione al rischio definita dal vertice aziendale e l’esposizione effettiva al

rischio risultante dalle operazioni finanziarie in essere.

L’individuazione delle aree di rischio “risk mapping” assume rilievo cruciale e

richiede un’approfondita conoscenza delle procedure operative aziendali, nonché

un sistema informativo-contabile in grado di rilevare tempestivamente tutti i fatti

di gestione. L’attivita di risk mapping risulta non agevole soprattutto con

riferimento ai rischi operativi, qualificabili come “il rischio di perdite, dirette o

indirette, derivanti da inadeguatezza o fallimento dei processi interni, delle risorse

umane, dei sistemi ovvero imputabili a eventi esterni”73

73 Basel Committee on Banking Supervision, Internal Convergence of Capital Measurement Standards: a revised framework, Basilea, giungo 2004.

. Per essere efficace la

mappatura dei rischi dovrebbe arrivare a un livello di dettaglio molto elevato,

riferibile alla singola business unit. In questa fase, il confronto tra il risk

143

management e i responsabili delle singole unità operative dovrebbe favorire la

diffusione di una cultura del controllo basata sul principio che una piena

consapevolezza dei rischi comporta ricadute positive anche in termini di

redditività prospettica dell’azienda. In pratica, occorre rimuovere la mentalità,

spesso diffusa, che vede l’attività di risk management in una dimensione esterna

all’istituzione, piuttosto che in un’ottica collaborativa.

I rischi operativi, ovviamente, sono sempre esistiti, tanto nelle realtà industriali,

quanto in quelle finanziarie, pur non essendo mai stati individuati quale categoria

di rischio a sé stante, meritevole pertanto di un autonomo trattamento come – e

per certi versi più – dei rischi finanziari. Viceversa, nel comparto industriale, i

rischi operativi sono percepiti come elementi chiave del risk management e le

esigenze di profitto e competitività hanno posto, da più tempo, il problema di un

adeguato trattamento dei rischi. Tuttavia vi sono ancora molteplici aree di criticità

con riferimento ai tre profili essenziali di identificazione, valutazione e gestione, a

testimonianza del fatto che il trattamento dei rischi operativi nelle realtà aziendali

sia ben lungi dall’essere completo.

I rischi operativi sono rischi puri e per questo, da una loro manifestazione,

possono scaturire solo perdite e mai opportunità di profitto.

Tuttavia, la strategia dell’organizzazione deve essere orientata alla creazione di

valore per gli shareholder per mezzo di tecniche di quantificazione ex ante e di

misurazione ex post della contribuzione agli obiettivi aziendali delle diverse unità

operative, ai fini di un’efficiente allocazione del capitale, della disponibilità di

accurate informazioni quantitative, oltre che qualitative, sui profili di rendimento,

ma anche sui rischi rilevanti a cui è esposto l’intermediario, della definizione e

attuazione di strategie di mitigazione mirate a ridurre le perdite causate dai fattori

di rischio individuati.

La funzione di compliance gestisce un portafoglio di rischi fortemente eterogenei

con riflessi in termini di applicabilità di tecniche di misurazione, anche in

relazione alla disponibilità di dati di perdita e di sovrapposizione con i rischi

gestiti dall’Operational Risk Management, come ad esempio il rischio legale,

oneri connessi con contestazioni/reclami della clientela, e altre perdite monetarie.

Serve dunque un efficace raccordo del Compliance Risk con l’Operational Risk

Management e ciò può valorizzare il contributo della funzione di compliance sotto

il profilo della misurazione dei rischi “condivisi”. In particolare, la funzione di

144

Compliance è di ausilio all’Operational Risk Management per attività di risk

assessment, interviste ai process/risk owners, per il presidio metodologico e di

coordinamento delle attività di control risk self assessment, per la raccolta dei dati

di perdita e per la verifica dell’idoneità dei presidi sui rischi operativi.

Viceversa l’Operational Risk Management aiuta la Funzione di Compliance per la

disponibilità di serie storiche e di stime sull’esposizione ai rischi, fornisce una

mappatura dei processi e analisi dei rischi.

Ma il contributo maggiormente rilevante della funzione Compliance

all’Operational Risk Management, e più in generale all’ERM, nella creazione di

valore, nasce dalla riduzione dei rischi di non conformità, mediante l’ausilio al

governo dei cambiamenti interni ed esterni, grazie alla presenza di un processo

strutturato di analisi e valutazione delle esigenze anche prospettiche di

compliance, mediante una maggiore consapevolezza dell’intermediario sui rischi

a cui è esposto e sul grado di efficienza e qualità dei propri processi interni,

attraverso una minore volatilità degli utili derivante dal contenimento delle perdite

monetarie e di eventuali contrazioni di volumi e ricavi da servizi, e infine con una

incidenza positiva sulle valutazioni delle società di rating e degli investitori

istituzionali e sul costo del funding, con la protezione del marchio e della

reputazione, preservando e rafforzando il rapporto fiduciario con la clientela.

Infine, mentre sussistono dei problemi di delimitazione reciproca fra la funzione

compliance e l’internal auditing, in quanto viene esplicitamente richiesta

l’indipendenza della funzione compliance da una particolare unità organizzativa

costituita dall’auditing, non esistono espresse indicazioni sulla necessità di

costruire per la funzione compliance una unità organizzativa ad hoc.

Pertanto, un plausibile candidato, secondo alcuni e anche alla luce dei documenti

del Sound Practice for the Management an Supervision of Operational Risk74

Posto che gli eventi di compliance risk per la loro natura sembrerebbero rientrare

nell’ambito dell’operational risk, si richiede ai regulators di indicare esattamente

quali siano gli event type, che individuano gli eventi di compliance.

,

potrebbe essere individuato in una unità specialistica dell’ operational risk

management che già prevede l’identificazione, la valutazione ed il monitoraggio

del rischio legale.

74 Basel Committee on Banking Supervision, “Sound Practices for the Management and Supervision of Operational Risk”, Bank for International Settlement, February 2003

145

3.4 METODOLOGIA E MODELLI DI GESTIONE

Con l’enfatizzazione della separazione tra proprietà e controllo dovuta

all’incessante sviluppo dei mercati finanziari, nel corso degli anni Novanta si è

affermato il concetto di Corporate Governance quale moderno strumento di regole

a cui le aziende si devono rifare per garantire trasparenza, correttezza e affidabilità

della gestione aziendale verso gli azionisti e gli stakeholders in genere, in

un’ottica di massimizzazione del valore.

Oggi gran parte delle informazioni di business viene prodotta attraverso l'uso di

sistemi informatici. L’efficace gestione dell’informazione e dell’information

technology (IT) è di fondamentale importanza per la sopravvivenza ed il successo

di un’organizzazione. Per realizzare direttive efficaci e garantire adeguati controlli

le organizzazioni di successo richiedono una valutazione e una comprensione dei

rischi e dei vincoli IT a tutti i livelli dell’azienda. Il management deve pertanto

allineare strategie di business con strategie di IT, bilanciare i rischi anche in

termini di costi/benefici, usufruire di benchmark sull’efficienza dell’ambiente IT

presente e futuro.

Negli ultimi anni si è reso necessario possedere un modello per l’identificazione

dei confini e della struttura dei processi di gestione dei sistemi informativi: uno

standard generalmente accettato di regole tali da considerare “sotto controllo”

l’area informatica dell’azienda. A questo proposito gli auditors, invitati sempre

più dai managers per consulenze e raccomandazioni sulla sicurezza e sul controllo

IT, hanno guidato gli sforzi internazionali nell’elaborazione di nuovi standards.

Dall’analisi75

Un’efficace sistema di controllo interno e di gestione dei rischi è quindi la risposta

concreta di come amministratori e direttori possono far fronte alle loro

responsabilità in materia di trasparenza informativa, correttezza gestionale,

efficacia ed efficienza

degli studi Italiani ed Internazionali sulla Corporate Governance,

emerge il continuo riferimento, non solo agli aspetti fondamentali di

composizione e ruolo del CdA e degli altri organi societari, ma anche alla

necessità dello sviluppo di un Sistema di Controllo Interno (SCI) basato sulla

gestione dei rischi aziendali, come garanzia di un’applicazione sostanziale delle

norme di Corporate Governance

75 Analisi svolta da Deloitte Touche Tohmatsu

146

Il sistema di "protocolli" per la gestione del rischio viene allora ad inserirsi,

integrandolo, nel sistema di controllo interno della società, definibile, secondo lo

standard internazionale di riferimento Co.S.O. (Committee of Sponsoring

Organizations della Commissione Treadway), quale "processo che si prefigge di

fornire una ragionevole sicurezza sulla realizzazione degli obiettivi di efficacia ed

efficienza delle attività operative, di attendibilità delle informazioni contabili ed

extracontabili, sia per i terzi che a fini interni, di conformità alle leggi, ai

regolamenti, alle norme e alle politiche interne e alla salvaguardia dei beni

aziendali".

Figura 3.6 - Focus sul Sistema di Controllo Interno e Risk Management Corporate Governance e Sistema di Controllo Interno Normativa e regolamentazione internazionale e nazionale di riferimento, Deloitte & Touche S.p.A.

Nel Rapporto viene messo in evidenza il ruolo primario che spetta all'organo di

governo nel sistema di controllo interno ( il c.d. "tone at the top" o

"comportamento esemplare del vertice").

Per essere efficace un sistema di controllo interno richiede l'attenzione continua

del Capo dell'esecutivo, che deve assumerne la "paternità", determinando le

condizioni ambientali favorevoli al pieno sviluppo del processo76

I requisiti ambientali analizzati nel Co.S.O. Report

. 77

76 V. PASTIN, Relazione al Convegno "Corporate crime in America: strengthening the good citizen corporation", 7/8 settembre 1995, disponibile sul sito www.ussc.gov, pp. 140 e ss., il quale, tra i fattori dell'organizzazione societaria che influiscono sull'effettività dei compliance programs, menziona due tipologie di condotta dei vertici: l'adozione di sistemi premiali conseguenti al raggiungimento di obiettivi economici ottenuti senza il rispetto dei principi etici adottati e le ritorsioni avverso i dipendenti che hanno segnalato illeciti o violazioni del codice etico

riguardano aspetti critici

quali integrità e valori etici, valore attribuito alla competenza del personale,

filosofia e stile di direzione, struttura organizzativa, attribuzione di poteri e

77 Co.S.O. Report, pubblicato nel 1992 e aggiornato nel 1994

147

responsabilità, politiche e prassi riguardanti le risorse umane. Tutto ciò configura

una visione ampia del controllo interno, incentrata sul concetto di "gestione del

rischio" e sui valori di integrità e trasparenza, veri e propri principi-guida per

l'impostazione delle strutture organizzative.

Il COSO Report (Stati Uniti) 1992, fornisce la prima definizione di SCI,

identificato come un processo, svolto dal CdA, dai dirigenti e da altri operatori

della struttura aziendale, che si prefigge di fornire una ragionevole certezza in

merito al raggiungimento degli obiettivi rientranti nelle seguenti categorie:

♦ efficacia ed efficienza delle attività operative;

♦ affidabilità delle informazioni e del reporting economico finanziario;

♦ conformità a leggi e regolamenti in vigore

Il Report considera in maniera dettagliata i meccanismi di controllo e propone

strumenti quali le analisi di benchmark e i modelli di valutazione finalizzati al self

assessment, ovvero all’autovalutazione dei rischi e dei controlli.

In altri termini, il nuovo modello di controllo supera la tradizionale (ed angusta)

focalizzazione sulle attività di controllo ed ispettive; l'utilità di queste attività deve

essere vagliata in termini di rapporto tra costi e benefici, avendo di mira l'obiettivo

di realizzare un'appropriata mitigazione del rischio, inscindibile dalla

complementare (necessaria) accettazione del rischio residuo.

A seguito dell’applicazione degli standard internazionali, delle linee guida, delle

ricerche nell’ambito delle “best practices” e allo sviluppo degli “obiettivi di

controllo”, è stata emanata nel 1994 la prima definizione del framework COBIT

(Control Objectives for Information and Related Technology), benchmark

internazionale per un efficace progresso nel campo dei controlli IT.

Gli standards CobiT, pubblicati dall’ISACA (Information Systems Audit and

Control Association), forniscono le best practices per supportare il management

nella determinazione del livello più adatto di sicurezza e controllo IT delle loro

organizzazioni. Cobit è un approccio alla gestione, al controllo e alla verifica dei

sistemi informativi, sviluppato per permettere la comprensione ai manager,

all’Alta Direzione, all’audit interno, dei controlli esistenti, delle performance e

delle potenziali criticità.

L’obiettivo è stato, innanzitutto, quello di individuare uno standard “aperto”,

quindi indipendente dalla piattaforma IT, che permettesse una valutazione

148

dell’area di business riguardante il sistema informativo aziendale. Uno standard

tecnico, per il controllo e la sicurezza IT, che fosse anche orientato al business e ai

processi aziendali. Attraverso l’analisi della complessa struttura di cui esso è

caratterizzato, tali caratteristiche sono state riscontrate nel CobiT, in quanto

strumento concepito con l’obiettivo di colmare il ‘gap’ esistente tra i modelli di

controllo di business Co.S.O. e i più specifici modelli di controllo dell’IT.

3.4.1 L’EMR Co.S.O. FRAMEWORK

La valutazione del proprio sistema di controllo interno, per risultare

sufficientemente oggettiva, deve essere condotta con riferimento ad un sistema di

controllo interno “ideale”, in cui nessuna componente e nessun aspetto siano

trascurati e che risulti largamente condiviso. Questo ruolo oggi viene assolto dal

Co.S.O. framework, descritto nel Co.S.O. Report.

Il Co.S.O. framework è il modello di sistema di controllo interno elaborato dal

1992 dal The Committee of Sponsoring Organizations of the Treadway

Commission78

Il Co.S.O. è universalmente accettato dalle principali organizzazioni e

associazioni di professionisti quale modello di riferimento, e di conseguenza il più

diffusamente accettato nell’adempimento alla SOA, suggerito dalla stessa SEC

quale modello di riferimento.

(Co.S.O.), e aggiornato nel 2004 (in collaborazione con

PriceWaterhouseCoopers) con l’EMR Co.S.O. framework (modello di un

processo di Enterprise Risk Management) il quale rappresenta l’evoluzione

concettuale dell’Internal Control Framework (del 1992).

Nel 2004, data di redazione del Co.S.O. Report la Treadway Commission ha

emesso, “l’Enterprise Risk Management Framework” rappresentato da un

78 Definizione elaborata dal Committee of Sponsoring Organizations della Commissione Treadway (CO.S.O. Report), nel documento "Internal Control - Integrated framework", 1992. La Commissione è stata istituita nel 1985 per individuare le cause dei falsi in bilancio e formulare suggerimenti per arginare questo fenomeno; era patrocinata dall'American Accounting Association, dall'American Institute of Certified Public Accountants, dal Financial Executives Institute, dall'Institute of Internal Auditors e dall'Institute of Management Accountants. Queste associazioni, successivamente alla presentazione del rapporto della Commissione (1987), costituirono un gruppo di lavoro (appunto il Committee of Sponsoring Organizations) che redasse il Rapporto in discorso. Il Rapporto è stato tradotto ed adattato alla realtà italiana dal Progetto Corporate Governance per l'Italia, il cui lavoro è stato raccolto in Il sistema di controllo interno, Coopers e Lybrand, 1997.

149

modello di gestione dei rischi di impresa che amplia gli obiettivi (includendo gli

strategic objectives) e le componenti del Co.S.O. Framework (Objective setting,

Event identification, Risk reponse). Il controllo interno è incluso all’interno dell’

Enterprise Risk Management Framework ed è strumentale all’interno del modello

stesso al fine di focalizzare sui rischi la gestione di impresa.

Oltre l’indubbia qualità di questo framework di riferimento, una delle ragioni che

limita il ricorso ad altri modelli è data dal fatto che adottando un riferimento

diverso, occorre anche dimostrare che tale modello adottato è almeno equivalente

al EMR Co.S.O. Framework in termini di obiettivi e componenti considerati.

L’ERM si basa sull’ Internal Control — Integrated Framework, pubblicato nel

1992 dallo stesso Co.S.O., cioè sullo standard internazionale più noto e diffuso

per il sistema di controlli interni; tale standard, negli USA, è stato indicato come

guide line per la conformità al Sarbanes-Oxley Act dal SEC, l’organo di controllo

della borsa.

l’EMR Co.S.o. rappresenta un cambiamento fondamentale nell’approccio di

un’organizzazione verso le aree di rischio più rilevanti, incluse le questioni di

dominio aziendale correlate alla Sarbanes-Oxley Act del quale ne definisce la

road map dei punti di intervento.

Figura 3.7 – SOA road map

L’EMR è un metodo per scoprire, individuare e valutare i rischi, sia dal punto di

vista del rischio individuale, sia da un contesto più vasto, riguardante

150

l’interdipendenza dei diversi rischi ed il loro impatto sull’organizzazione.

Secondo i nuovi studi del Co.S.O. ERM, questo viene definito come un processo,

realizzato dal CdA, dal management o da altro personale, applicato ad un’analisi

che stabilisca una strategia per l’impresa. Lo scopo dell’EMR consiste nel fornire

una garanzia ragionevole del raggiungimento degli obiettivi aziendali,

identificando gli eventi che potrebbero influire sull’istituto. Il Co.S.O. ERM

esalterà l’importanza della gestione del rischio nel concetto di istituto o del livello

di tendenza al rischio, intendendo per questo quanto rischio un’organizzazione è

disposta a correre.

La struttura del Co.S.O. ERM, secondo le informazioni del progetto, divide le

procedure della gestione del rischio aziendale in quattro vaste categorie:

1) Obiettivi ERM strategici – sono dei traguardi ad alto livello che

sostengono la generale missione dell’organizzazione.

2) Obiettivi ERM operativi – si tratta di obiettivi che si concentrano sull’uso

efficiente ed efficace delle risorse complessive dell’organizzazione, che

può condurre le sue operazioni giornaliere sia in modo conservativo che

rischioso.

3) Obiettivi ERM dichiarativi – per prima cosa, questi obiettivi contemplano

l’attendibilità nel rendere conto alle parti interne ed esterne. Grazie alle

sanzioni imposte dalla SOA per i rendiconti fraudolenti, oggi le

organizzazioni sono molto attente nel limitare i rischi per gli obiettivi

dichiarativi. Resta comunque, un numero discreto di opzioni dichiarative

che possono comportare degli approcci più o meno rischiosi.

4) Obiettivi ERM relativi alla compliance – questi obiettivi si riferiscono alla

compliance con leggi e regolamenti, per cui anche qui, si possono

intraprendere approcci più o meno rischiosi. In tal caso le passività

potenziali derivano dal mancato rispetto di leggi.

Con un ERM efficace, rivolta ai suddetti obiettivi, la gestione aziendale dovrebbe

avere una verosimile certezza che sta facendo i passi necessari per gestire i propri

rischi generali. La dirigenza e l’amministrazione dovrebbero, per prima cosa,

identificare il genere e l’ambiente dei rischi che l’organizzazione sta affrontando,

che possono essere più o meno vari. Il management team dovrebbe considerare i

rischi potenziali in ognuna delle aree multiple, come quella per i rischi finanziari

151

ed operativi (rischi finanziari, sul capitale umano, normativi e giuridici, strategici,

operativi e tecnologici). Il team aziendale che accerta i rischi dovrebbe cercare di

non quantificare ogni rischio potenziale, ma considerare un’area di rischio

maggiore che potrebbe contrastare il progresso aziendale o limitarlo. Il

management dovrebbe rivolgersi a questi rischi con aria indagatrice e poi decidere

quali possono essere i rischi da correre o meno. Il risultato sarà ciò che il Co.S.O.

ERM chiama un quadro della tendenza al rischio, sviluppata dall’organizzazione,

e cioè alcune organizzazioni ed i loro manager tenderanno ad assumersi dei rischi

al contrario di altri, ognuno con una potenziale ricompensa o sanzione.

Il progetto di struttura del Co.S.O. ERM, quindi, sostiene che le organizzazioni

dovrebbero rendere esplicita la loro tendenza al rischio e comunicarla. L’idea

sarebbe quella di disporre tutti i manager sullo stesso livello di accettazione del

rischio, così come per i direttori delle unità, il resto dello staff e gli azionisti.

La fase successiva consiste nel creare ciò che può essere definito come rischio

portafoglio, così da identificare le interrelazioni tra i vari rischi

dell’organizzazione, ma visto che molti non sono collegati, considerarli come

portafoglio potrebbe ridurne considerevolmente la volatilità, rendendo più

efficienti i rischi difesi individualmente. Basandosi su questi rischi potenziali,

l’organizzazione dovrebbe elaborare una strategia tale da fornirsi un qualche tipo

di protezione.

La struttura del COSO ERM, nella sua attuale forma progettuale, delinea un

approccio per comprendere i rischi maggiori dell’impresa e per sviluppare una

strategia che li possa gestire, intendendo con questo che un’organizzazione può

sviluppare dei controlli per evitare il rischio, può modificare la sua attività con

l’unico scopo di eliminare il rischio o può ottenere garanzie o altri controlli per

accettare il rischio. Analogamente alla disposizione Co.S.O. (1992), quella

Co.S.O. ERM propone una struttura con otto elementi ERM distinti:

1) Condizione ERM interna – internal environment. Effettua una mappatura

dell’organizzazione per business unit e location. Questo fattore rivela la

tendenza al rischio dell’organizzazione e dovrebbe aiutare ad influenzare il

rischio e a controllare la consapevolezza di tutti i membri

dell’organizzazione stessa. Il management è responsabile per la fissazione

di questa base comportamentale verso i rischi rivolti a tutti i partecipanti in

152

qualità di gruppo di direttive. Ci sono delle similitudini, qui, con

l’ambiente di controllo del Co.S.O. (1992).

2) Disposizione degli obiettivi strategici e del rischio – objective Setting.

Assegna le misure, i test di verifica che si allineano con i valori corporativi

e stabiliscono i livelli di tolleranza di rischio. Stabilisce, inoltre, le

strutture di tempo e le prestazioni del processo. L’organizzazione

dovrebbe stabilire gli obiettivi nei termini strategici della commissione ed i

rischi che è disposta a correre. Gli obiettivi strategici rifletteranno la scelta

manageriale relativa a come l’organizzazione tenterà di accrescere il

valore, solitamente quello degli azionisti. Perseguendo questi obiettivi

strategici generali, un’organizzazione dovrebbe anche fissare degli

obiettivi legati al rischio generale.

3) Individuazione degli eventi – Event Identification. Secondo le nozioni del

Co.S.O. Internal Control – Integrated Framework (1992), il management

dovrebbe avviare dei provvedimenti in loco per realizzare l’ERM con

successo ed individuare quegli eventi con influsso positivo o negativo

sulle strategie legate al rischio. Queste circostanze potrebbero

comprendere, tra l’altro, dei cambiamenti nell’ambiente competitivo, nelle

tendenze economiche o sociali o negli sviluppi di automazione.

4) Valutazione del rischio - risk assessment. Se dovesse presentarsi una

situazione a rischio, il management dovrebbe considerare il suo influsso

sugli obiettivi ERM, in termini sia di probabilità dell’evento, sia del suo

impatto.

5) reazione ai rischi – risk response. Il management dovrebbe individuare

varie opzioni di risposta al rischio e considerare gli effetti sulla probabilità

dell’evento e sull’impatto, relativamente alla tolleranza aziendale per il

rischio stesso. Le risposte ai rischi comprenderanno la risoluzione, la

riduzione, la condivisione e l’accettazione del rischio. La valutazione delle

reazioni al rischio e la garanzia che alcune di queste siano state selezionate

e realizzate, è un elemento chiave della struttura ERM organizzativa.

Comunque, un ERM efficace non sottintende che sia stata decisa la

miglior risposta al rischio, ma che tale risposta riesca a limitare la

probabilità del rischio e che l’influsso sull’organizzazione abbia stabilito

la sua stessa “fame”.

153

6) Attività di controllo – control activities. Le politiche e le procedure

dovrebbero garantire la realizzazione di appropriate risposte ai rischi.

Queste attività di controllo dovrebbero venire impiegate per tutti i livelli e

le funzioni all’interno dell’organizzazione, includendo l’approvazione,

l’autorizzazione, la revisione dell’esecuzione, le questioni relative alla

sicurezza e la separazione appropriata delle funzioni. Anche qui ci sono

molte similitudini tra i controlli interni Co.S.O. (1992) e la nuova struttura

Co.S.O. ERM (2004).

7) Informazione e comunicazione – information & communication.

L’informazione legata al rischio, proveniente da fonti interne ed esterne,

deve essere identificata, fermata e comunicata in una forma che consenta

ai membri più adatti dell’organizzazione di adempiere alle proprie

responsabilità. Una comunicazione efficace dovrebbe influire in tutta

l’organizzazione, a tutti i livelli, come anche con i contraenti esterni, quali

acquirenti, i venditori, i regolatori e gli azionisti.

8) Monitoraggio del rischio – monitoring. Le procedure in corso dovrebbero

venire attuate per monitorare il programma ERM e la qualità della sua

applicazione nel tempo.

Figura 3.8 – ERM Co.S.O.

Un ERM viene considerato efficace quando questi otto elementi sono tutti

presenti ed operativi e ciò è vero indipendentemente dalle dimensioni

dell’organizzazione, anche se alcune istituzioni più piccole possono applicare la

154

loro struttura ERM in modo un po’ diverso. Da una prospettiva più ampia, il

progetto del modello ERM è uno strumento utile che amministratori ed azionisti

possono utilizzare per valutare come i loro management team riescano a gestire i

rischi che affrontano. La rappresentazione della figura (Co.S.O. – internal control)

mostra la struttura come viene proposta nell’iniziale relazione del Committee of

Sponsoring Organizations of the Treadway Commission. La disposizione

tridimensionale dell’ERM contempla le questioni discusse nella struttura di

revisione interna del Co.S.O., ma con sottili differenze. Ad esempio, questa

colloca la condizione di controllo alla base o come fondamenta per la revisione

interna, il cui monitoraggio si trova invece ad un livello più alto.

Figura3.9 – Co.S.O. Internal Control – Integrated Framework (1992)

Per la struttura ERM è vero il contrario, anche se ci sono diverse fasi aggiuntive

da considerare. Mentre la revisione interna Co.S.O. detiene delle classi distaccate

per ogni unità commerciale, la ERM pondera i rischi da un livello istitutivo ad

uno affiliato. Come già affermato il Co.S.O. ERM fornisce un metodo esaustivo ai

manager di tutti i livelli per considerare i rischi per tutta l’impresa, e dovrebbe

anche essere un modello valido per i manager più anziani per far fronte alla

Sarbanes-Oxley Act.

Non esistono, in Italia e nel mondo, obblighi “mandatory” di attuazione

dell’ERM. L’implementazione di un processo ERM Co.S.O. consente tuttavia di

gestire in maniera strutturata ed organica una serie di richieste regolamentari con

cui si confrontano, in particolare, le società quotate:

♦ Codici di Corporate Governance (es. Codice Preda in Italia);

155

♦ Normative antifrode (es. D.lgs. 231/2001);

♦ Regolamentazione su rischi specifici (es. legge antiriciclaggio, rischio

operativo – Basilea II; Risk management in SGR e SICAV; Risk

management – ISVAP);

♦ Standard di qualità (es. Cobit, ISO, ecc.).

Molte società dichiarano di aver implementato al loro interno processi di risk

assessment:

♦ PWC 2004 Global CFO Survey; l’ERM è stato definito una priorità per il

40% dei CFO intervistati;

♦ McKinsey 2003 Board of Directors Survey; il 64% degli amministratori

dichiara di conoscere i principali rischi aziendali;

♦ Protiviti Italia 2005 CFO Survey; il 75% circa del campione intervistato

dichiara di disporre di un processo o di una politica di gestione dei rischi.

Figura 3.10 – maturità dei processi di ERM

156

3.4.2 IL COBIT

In questi ultimi decenni l'information technology sta diventando fattore critico di

successo per molte organizzazioni, nonché parte integrante del business e suo

fondamentale supporto e sostegno per lo sviluppo. Occorre domandarci: perché

risulta essere così importante per la crescita dell'organizzazione? Naturalmente

perché l'informazione, il suo valore, e le tecnologie ad essa collegate, risultano

essere un fattore strategico e di facilitazione per il raggiungimento degli obiettivi

dell'organizzazione.

Molte aziende e imprese di successo, oltre a riconoscere i potenziali benefici della

tecnologia, iniziano a capire l'importanza della gestione dei rischi inerenti

l'implementazione delle nuove tecnologie. Il motivo di tanto interesse per i rischi

di business collegati all'IT risiede in misura principale negli investimenti sempre

maggiori richiesti per stare al passo con i tempi, e per fornire il supporto adeguato

ai processi di business. Inoltre, pochissimi manager sono in grado di misurare il

ritorno degli investimenti tecnologici, in una realtà dove la maggior parte dei

progetti IT, 49 % secondo uno studio del 2001 (Acadys – Standish Group), non

raggiunge i suoi obiettivi e fallisce. Quindi, il Vertice deve cercare di trovare la

giusta via per:

♦ allineare la strategia IT con quella di business;

♦ supportare e raggiungere strategie ed obiettivi dell'impresa;

♦ implementare strutture organizzative che facilitino il raggiungimento di

tali obiettivi;

♦ implementare un adeguato sistema di controllo interno dell'information

technology;

♦ riuscire ad individuare indicatori per la misurazione delle performance

delle nuove tecnologie.

157

Figura 3.11 - COBIT

Recentemente, sono venute alla luce grosse bancarotte di aziende americane,

Enron e WorldCom per tutte, le quali hanno aperto il dibattito sulla corportate

governance, intesa come l'insieme delle responsabilità ed obiettivi che il Vertice

ed i manager si pongono insieme agli obiettivi strategici, cercando di assicurare il

loro raggiungimento, accertando che i rischi vengano gestiti in maniera

appropriata e le risorse aziendali vengano utilizzate responsabilmente.

Inizialmente gli sviluppi della governance furono direzionati verso la necessità di

trasparenza sui rischi di impresa e sulla protezione del valore per gli azionisti

(shareholder value); successivamente, l'uso massiccio della tecnologia, nelle

organizzazioni, ha creato una dipendenza critica verso l'IT e quindi uno

spostamento del focus verso l'IT governance. Infatti, il Vertice ed i manager

necessitano di estendere il "governo aziendale" all'information technology per

essere sicuri che le strutture organizzative ed i processi IT sostengano e

supportino adeguatamente le strategie e gli obiettivi aziendali.

L'IT governance diventa così parte integrante del governo di impresa, come

l'information technology parte integrante dell'organizzazione.

Possiamo brevemente definire l'IT governance come il governo delle strutture

organizzative e dei processi che assicurano lo sviluppo dell'information

technology, finalizzato al supporto e raggiungimento delle strategie ed obiettivi

dell'organizzazione.

Dobbiamo precisare che i manager, nel contesto attuale, sanno consigliare il

Vertice su come operare tradizionalmente, ma sanno poco di risk management ed

158

IT governance. Necessitano quindi di una conoscenza di base dei rischi collegati

all'information technology, al fine di prevedere linee di azione e controlli

adeguati.

La metodologia COBIT, acronimo di "Control Objectives for Information and

related Technology", rappresenta un paradigma internazionalmente e

generalmente accettato sui controlli IT, che mette in grado le organizzazioni di

implementare una corretta struttura di IT governance nell'impresa, offrendo

supporto ai manager ed al Vertice per ottenere un adeguato controllo e governo

dei processi tecnologici.

La conformità alla Serbanes-Oxley Act è responsabilità dei CFO e CEO e la legge

non richiede un coinvolgimento specifico dell’IT, ma il CIO ha la responsabilità

di documentare i processi che possono influenzare le informazioni finanziare. L’

IT deve assicurare che il controllo delle informazioni finanziare soddisfi gli

standard imposti dalla legge. La sezione 404 della Legge, dedicata ai “controlli

interni” sui rapporti finanziari, è strettamente correlata ai processi IT di gestione

delle informazioni e di integrità e conformità dei dati. La sezione 409 della SOA,

che obbliga le società a divulgare un “cambiamento importante” che influenza

l’ambiente operativo/l’attività aziendale, ha un impatto sui processi IT per la

gestione delle modifiche e delle configurazioni dei sistemi. Per l’effettuazione dei

controlli la normativa fa, in primo luogo, riferimento alle raccomandazioni del

Committee of the Sponsoring Organizations (Framework Co.S.O.). L’IT

Governance Institute ha emesso un documento (IT Control Objectives for

Sarbanes-Oxley), focalizzato sulla sezione 404 della SOA, dove sono inclusi i

controlli di CoBit per 27 delle 34 aree di processo. Se CoBit definisce i controlli

per l’IT in relazione ai processi aziendali, le best practice “ITIL”, mediante la

definizione dei processi di servizio, facilitano e indirizzano di fatto circa la metà

dei controlli CoBit.

L’applicazione delle “best practice” di fatto facilita la verifica della conformità

alla SOA, ed in particolare assicura la copertura e la prevenzione dei Rischi

Finanziari.

La Sezione 404 riguarda i controlli generali atti a mantenere l'integrità dei

processi di elaborazione e rendicontazione dei dati finanziari. Perché, dunque, non

si tratta di una questione che interessa esclusivamente il dipartimento delle

finanze? I processi di rendicontazione finanziaria dell'azienda si affidano ad

159

applicazioni finanziarie, che a loro volta dipendono dai sistemi informatici. Molti

sistemi diversi – incluse applicazioni per risorse umane, paghe, gestione

magazzino, gestione fornitori, gestione clienti, acquisti, registrazione ordini e

applicazioni personalizzate – possono materialmente influire sui principali

rendiconti finanziari.

Pertanto, è probabile che un'azienda non possa superare l'audit e dimostrare un

adeguato controllo del proprio processo di reporting finanziario senza avere il

pieno controllo dei sistemi sottostanti e della gestione dell'IT. Conseguentemente,

l'organizzazione IT dell'azienda dovrà essere adeguatamente preparata e superare

un auditing interno dei controlli IT, al fine di garantire che i controlli interni non

solo siano implementati, ma siano anche efficaci ed utilizzati coerentemente.

I controlli generali dell'IT sono studiati per evitare – oppure per rilevare e

correggere – eventi indesiderati, che potrebbero compromettere l'integrità, le

transazioni, l'elaborazione e i dati risultanti. I controlli generali dell'IT

contribuiscono ad assicurare un'adeguata gestione e il corretto funzionamento

dell'infrastruttura IT che supporta il processo di reporting finanziario, nonché le

relative applicazioni e l'integrazione delle applicazioni.

Se i controlli generali sono deboli, l'intero processo di reporting finanziario

potrebbe essere compromesso in caso di violazione della sicurezza o del processo

generale, aprendo la strada a possibili azioni non autorizzate.

Per la valutazione dei propri controlli, quindi, occorre specificare ed utilizzare un

quadro di riferimento prestabilito. L'IT Governance Institute (ITGI) ha costruito

un framework di controllo incentrato sull'IT chiamato COBIT (Control Objectives

for Information and related Technology) che fornisce linee guida dettagliate sulla

governance dell'IT. L'ITGI ha inoltre pubblicato un compendio degli obiettivi di

controllo COBIT specificatamente studiato per prepararsi all'audit previsto nel

Sarbanes-Oxley Act, chiamato IT Control Objectives For Sarbanes-Oxley. Questo

gruppo di linee guida, che include obiettivi di controllo dettagliati in dodici

diverse aree di processo, viene utilizzato da molte aziende per valutare i propri

controlli IT ed accertarne la conformità con i requisiti della SOA.

L'aiuto delle soluzioni IT accelera gli sforzi di compliance in tre zone importanti

nel controllo generale dell’IT:

1) Application and Infrastructure Change Controls – adottare soluzioni IT per

il management dell’impresa, comporta dei vantaggi, in quanto, l’uso di

160

applicazioni IT accelera la preparazione in vista dell'audit richiesta dalla

Sezione 404, permettendo di dimostrare la padronanza di aree di controllo

chiave COBIT, nonché l'utilizzo coerente di tali controlli.

2) Controlli delle attività operative e della gestione dei problemi – Attività

operative e gestione dei problemi sono necessarie per contribuire ad

assicurare l'integrità, la completezza e l'accuratezza dei dati finanziari e

delle transazioni. L’azienda deve dimostrare di essere in grado di

rispondere ai guasti di sistema, in modo tale da assicurare la continuità

delle attività operative e il mantenimento dell'integrità e della completezza

delle transazioni o dei dati finanziari. Occorre stabilire specifici livelli di

servizio per l'IT che rispondano agli obiettivi di business dell’azienda e le

prestazioni e le capacità dei sistemi dovranno essere tali da supportare le

transazioni e i processi di reporting finanziario.

3) Controlli di gestione degli asset – L'attività di asset management, dalla

prospettiva dell'audit, include la responsabilità per gli asset IT, dalla

richiesta di acquisto al ricevimento, all'installazione e alla manutenzione,

fino alla relativa dismissione. L’azienda dovrà quindi verificare

periodicamente la lista degli asset IT e valutarne il valore registrato,

assicurando che producano un ritorno nell'arco della loro vita utile. È

necessario anche monitorare attentamente l'uso appropriato delle licenze

software, per evitare passività non registrate, nonché la violazione delle

leggi sull'utilizzo del software, che l'auditor potrebbe richiedere di

verificare. Infine, sarà necessario configurare l'hardware e il software in

modo da ridurre al minimo il rischio di accessi non autorizzati a sistemi e

dati. Si dovranno introdurre nel sistema controlli su sicurezza,

disponibilità e integrità dei dati elaborati, che andranno mantenuti

nell'intero ciclo di vita dell'asset

Scandali finanziari, terrorismo internazionale e protezione dei dati personali sono

alcuni dei fattori critici che hanno spinto istituzioni e associazioni internazionali a

definire standard e normative (internazionali o nazionali) riferiti ad alcuni o alla

globalità dei settori di attività. Con il termine compliance, che in questi ultimi

161

anni ha assunto un significato importante nell’Information Technology (IT), si

intende appunto la conformità alle normative che impongono ai responsabili

aziendali (IT ma non solo), interventi importanti per mettere in regola i sistemi

informativi. Il mancato adeguamento alle normative di tipo finanziario e

organizzativo e la scarsa protezione dei dati critici possono sfociare in ingenti

danni per le aziende, oltre a possibili sanzioni.

E’ ormai assodato che uno dei principali driver che spingono le aziende a

rafforzare il proprio sistema di sicurezza è rappresentato proprio dalla compliance.

Anche rimanendo nel solo ambito della sicurezza, è comunque consigliabile

circoscrivere l’argomento alle conformità che interessano il nostro paese.

Va innanzitutto chiarito che quando parliamo di “essere compliant a qualcosa”

significa adottare tutti i controlli previsti dalla normativa in questione in relazione

allo specifico oggetto di analisi. Ma le normative non dicono quasi mai quale

debbano essere le tecnologie da adottare per la conformità.

Ecco che i cosiddetti “framework” di controllo, come il COBIT, il COSO, l’ITIL,

il BS7799 (ora ISO) ed altri ancora diventano sempre più utili per adeguare il

sistema informativo aziendale a quanto richiesto dalle normative, dette anche

“regulation”.

Al fine di garantire la conformità a queste regulation è necessario svolgere

un’attività di coordinamento con molte aree aziendali, includendo il dipartimento

legale, l’IT, il dipartimento finanziario e coloro che sono responsabili dei processi

di business. La compliance deve essere di fatto considerata come un serio

problema dell’organizzazione e, se affrontato in modo efficiente ed efficace, può

creare un reale valore aggiunto al business stesso dell’azienda.

Generalmente le normative (o regulation) non specificano la tecnologia necessaria

per la relativa conformità.

Di conseguenza, coloro che si occupano di compliance in azienda devono stabilire

a priori quali metodi e best practice adottare per soddisfare i requisiti stabiliti dalle

singole normative. Gli elementi comuni a tutte le normative sono i controlli, vale

a dire una serie di procedure che possono assicurare il successo di un’operazione

di business o di una transazione: questo è il motivo per cui, oggi, i principali

framework di controllo stanno vivendo momenti di celebrità.

I controlli in questione devono soddisfare:

162

1) la tracciabilità, che fornisce le informazioni su chi esegue un’operazione,

chi l’approva, quando è stata fatta e qual è stato il risultato;

2) la trasparenza, che permette che tutte le operazioni di business e i

controlli possano essere completamente compresi e chiaramente

documentati;

3) la misurabilità, che deve garantire che tutti i processi possano essere

misurati e valutati sia in caso di successo che di insuccesso attraverso

operazioni di auditing, logging, correlazione e visualizzazione. Alcune

aziende stanno già adottando framework di controllo come modelli (best

practice) per la compliance. Fra questi, il COBIT, il COSO, e l’ITIL sono i

più noti.

Il COBIT è un framework che fornisce le best practice per analizzare, controllare

e governare l'informatica aziendale, gestire i rischi informatici e proporre dei

miglioramenti ai processi esaminati. Attualmente il COBIT è arrivato alla

versione 4.0, rilasciata nel 2005.

Come possiamo notare, questi ultimi anni rappresentano un momento particolare

per la compliance; se il 2005 è stato un anno caldo per l’attuazione di alcune delle

normative, sembra che i prossimi anni non saranno da meno.

Costruendo una relazione fra normative e sicurezza si individuano gli strumenti

necessari a garantire questo “matrimonio del terzo millennio” che interessa le

aziende e quindi l’IT.

Tavola 3.4 – Rrelazione normative/ sicurezza

163

Il ruolo di un framework come il CoBIT è duplice. Come anticipato, alcune di

queste regulation (es. la Sarbanes-Oxley), non entrano nei dettagli di come

realizzare i controlli necessari per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Analizzando il documento “Compliance Insight”79

La tabella seguente mostra invece la mappatura in termini di sola copertura tra

l’area “DS5 Ensure Systems Security” del COBIT e la ISO 17799 del 2000.

relativo alla Sarbanes-Oxley, ,

possiamo notare il riferimento ai framework COSO, COBIT e ISO 17799. Questo

significa che, a seconda dell’argomento trattato, la Sarbanes-Oxley reindirizza il

lettore sui controlli specifici che si possono trovare nei tre freamework appena

menzionati.

Ancora una volta possiamo affermare che vi sono delle sinergie tra alcuni

framework di controllo: questa tabella ne rappresenta un chiaro esempio

Tavola 3.5 – Obiettivi di controllo del COBIT

79 Ottenibile dal sito

164

Se consideriamo alcuni punti del COBIT, in riferimento alla Sarbanes-Oxley,

possiamo notare una chiara associazione (mappatura) tra l’Identity & Access

Management (una delle tre aree del mercato del software di sicurezza) e la

“Ensure Systems Security” (DS5) del capitolo “Deliver and Support” del COBIT

stesso.

Il tema della compliance è veramente ampio. È questo un momento in cui il

termine “governance” viene associato a diverse aree dell’IT ed in particolare alla

sicurezza. Per un governo vero e proprio della sicurezza IT non si possono

improvvisare procedure o soluzioni. Esistono delle normative di carattere

nazionale e internazionale che permettono alle aziende di sviluppare, con l’aiuto

di specifici framework, il sistema di sicurezza in conformità a quanto

espressamente richiesto in generale o dallo specifico settore di attività.

Un valido sistema di Identity & Access Management, ad esempio, rappresenta

l’essenza della compliance ed è chiaramente riscontrabile nella maggior parte

delle normative, dalla 196/03 alla Sarbanes-Oxley, da Basilea II al 21 CFR Part

11.

Il 2006 è l’anno in cui alcune di queste normative devono essere ufficialmente

attuate riflettendo seriamente sulla necessità di adeguare il sistema di sicurezza;

fra queste nuove scadenze, l’accordo di Basilea II (previsto per la fine di

quest’anno) e la Sarbanes-Oxley, la cui attuazione è stata prorogata per alcune

compagnie al luglio di quest’anno.

165

CAPITOLO 4

4. SARBANES-OXLEY COMPLIANCE E ANALISI DEI

COSTI/BENEFICI

4.1 THE SARBANES-OXLEY ACT OF 2002 (SOA)

Gli scandali Enron, WorldCom, Global Crossing, Qwest Communication

International, AllFirst, Rite Aid, Republic Securities, ImClone, hanno creato

diffidenza tra gli investitori del mercato nord-americano. Il Presidente G. W. Bush

ha dovuto prendere una netta posizione sulle modalità e le tecniche da utilizzare

per fronteggiare la crisi delle big corporations statunitensi e la sfiducia degli

operatori del mercato. Lo ha fatto richiamando, in via generale, un maggiore

rispetto dell’etica nella conduzione degli affari e nella gestione delle società e, in

particolare, rilevando dieci punti d’intervento legislativi (cd. ten-point plan).

Il “ten-point plan” (proposto a marzo, quando ancora si era rivelato solo il caso

Enron) é una sorta di proposta-risposta del Presidente alla Nazione per creare

nuovamente quella fiducia nei mercati finanziari e nella regolamentazione degli

stessi che gli statunitensi hanno perduto. Il plan in oggetto può così riassumersi:

pene più severe (detenzione sino a dieci anni) per chi commette frodi e certifica

bilanci falsi, per chi ostacola la giustizia distruggendo documenti; l’istituzione di

una nuova Corporate Fraud Task Force (che sembrerebbe essere stata sostituita

dal Board creato dalla Legge Sarbanes-Oxley), l’incremento dei poteri della SEC

(Securities Exchange Commission) relativamente al congelamento dei profitti

illegittimamente ottenuti dai manager e dagli amministratori; il divieto di erogare

prestiti ai dirigenti della società; una più intensa disclosure nelle transazioni e

nelle operazioni di acquisto e vendita di azioni della società da parte degli

amministratori e dei manager; il rafforzamento della SEC attraverso l’aumento dei

fondi.

Successivamente alla vicenda Worldcom, il Senato é andato oltre la proposta del

Presidente. Il Committee on Banking, Housing, and Urban Affairs del Senato,

presieduto dal Senatore (democratico) Paul S. Sarbanes, aveva proposto un nuovo

Bill, denominato Public Company Accounting Reform and Investor Protection Act

166

of 2002 (S. 2673), che ha dato il via ai lavori che hanno condotto il Congresso

all'adozione del Sarbanes-Oxley Act. Questo Bill era caratterizzato da modifiche

normative incisive, che lo differenziavano dalla proposta del Presidente.

In data 16 luglio 2002, il Senato ha approvato all’unanimità il Sarbanes Bill e,

successivamente, sia quest’ultimo che l’Oxley Bill sono stati discussi nel

Conference Committee, in modo da trovare un punto d’accordo tra le due versioni.

Effettivamente, in data 30 luglio 2002, il Presidente Bush ha firmato, nella East

Room della Casa Bianca, il nuovo Sarbanes-Oxley Act of 2002, così denominato

in quanto risulta essere la combinazione dei due Bills precedentemente

menzionati, a seguito dell’analisi dei due testi avvenuta presso il Conference

Committee. Il nuovo Act ricalca nella stessa struttura e nel contenuto il Sarbanes

Bill, al quale sono state aggiunte alla fine (titoli dall'VIII all'XI) le norme in

materia di sanzioni previste dall'Oxley Bill. Una tale speditezza legislativa e la

stessa firma del Presidente su un Act che prevede riforme strutturali, non

sorprendono, in quanto dettata dall'esigenza di ridare, velocemente, fiducia al

pubblico.

La riforma persegue obiettivi di credibilità e trasparenza dell’amministrazione

societaria e contabile, e si traduce in un’importante riforma strutturale della

corporate governance, al fine di proteggere gli investitori incrementando

l’accuratezza e l’affidabilità dell’informativa societaria. La Legge interessa

principalmente gli emittenti e le società di revisione; essa prevede un incremento

degli obblighi di comunicazione a carico delle società emittenti, inasprisce le

sanzioni penali per i reati finanziari, contiene norme dirette a favorire la

precisione e l’affidabilità della certificazione finanziaria, e introduce una nuova

regolamentazione dell’attività di revisione contabile, creando una commissione ad

hoc per le aziende di revisione.

Il Sarbanes-Oxley Act prevede delle modifiche normative in materia di

consulenze e di revisione contabile delle società quotate in borsa.

Le modifiche della riforma riguardano:

♦ la creazione di un board indipendente che si occupi del monitoraggio delle

società di revisione (PCAOB);

167

♦ la separazione dell’attività di consulenza da quella di revisione, cioè il

divieto di svolgere attività di consulenza a favore di imprese oggetto di

revisione;

♦ l’obbligo di rotazione del partner revisore;

♦ la certificazione da parte del senior corporate management (CEO e CFO)

della veridicità del bilancio annuale e delle relazioni finanziarie delle

società quotate;

♦ la full disclosure delle transazioni off-balance sheet (non iscritte in

bilancio) e di altre obbligazioni che possono influenzare o mistificare le

condizioni finanziarie della corporation;

♦ il potenziamento dei poteri dell’Audit Committee: è richiesta la diretta

supervisione sui revisori esterni e sulle procedure aziendali istituite ai fini

della e successiva gestione delle segnalazioni interne (c.d. “whistleblower

processes”);

♦ la concessione di maggiori finanziamenti alla SEC (Securities and

Exchange Commission). Con questo nuovo Act si vogliono aumentare le

risorse della SEC ed al contempo aumentarne i poteri per poter meglio

rispondere a più alti standards di tutela degli investitori. L’anno fiscale

2003 fu stabilito l’aumento del budget concesso alla SEC di $776 milioni e

il potere di quest’ultima di imporre sanzioni civili derivanti da violazioni

delle federal securities laws, che andranno ad incrementare dei fondi

costituiti per risarcire i danni degli investitori derivanti da tali misconducts

delle società.;

♦ l’attestazione del management sull’efficacia del sistema di controllo

interno.

I problemi che sono stati individuati e che richiedono correttivi sono quelli

riguardanti: la contabilità, i conflitti d’interesse (creazione di incompatibilità) e

l'aumento dei fondi alla SEC. L’unico cambiamento di diritto sostanziale é quello

che riguarda le incompatibilità, in quanto le altre previsioni costituiscono un

semplice rafforzamento di norme già precedentemente esistenti.

Mentre alcuni articoli della SOA hanno esecutorietà immediata, altre disposizioni

corrispondono a principi-quadro che sono state rese operative attraverso

l’emanazione di specifici regolamenti (Rule) da parte della commissione

168

statunitense per il controllo degli strumenti finanziari e delle borse (Security

Exchange Commission – SEC) e da un apposito comitato per il controllo delle

società di revisione aziendale (Public Company Account Oversight Bord –

PCAOB) istituito dal SOA. Finora, la SEC ha emanato dei regolamenti esecutivi

in materia di certificazioni contabili, corporate governance, obblighi di

comunicazione, responsabilità professionale dei consulenti legali interni ed esterni

ed indipendenza dei revisori contabili80

Gli obiettivi che più da vicino riguardano l’informativa societaria, vengono

perseguiti, tra l’altro, attraverso l’assegnazione ai vertici aziendali di rilevanti e

specifiche responsabilità in merito alla predisposizione dell’informativa societaria

e all’istituzione, monitoraggio e verifica dell’affidabilità del sistema dei controlli

e delle procedure adottate dall’emittente ai fini del riscontro dell’accuratezza delle

informazioni finanziarie e non.

.

In particolare assumono rilevanza:

♦ l’obbligo da parte del management di presentare nel rapporto annuale una

relazione (internal control report) sul sistema di controllo interno che

sovrintende la redazione del bilancio (cd. internal control over financial

reporting) che: indichi la responsabilità del management per la

predisposizione ed il mantenimento di tale sistema di controllo interno;

identifichi il framework utilizzato dal management per valutare l’efficacia

di tale sistema di controllo interno; contenga la valutazione della sua

efficacia al termine dell’esercizio finanziario (SEC Release No. 33-8238

del 5 giugno 2003 di attuazione della sezione 404 del SOA); il contenuto

della relazione è soggetto all’attestazione da parte del Revisore esterno;

80 In particolare, sono entrate in vigore simultaneamente alla pubblicazione della Legge: il divieto di concedere mutui ad amministratori e consiglieri (cfr., parte III, par. 2.1 infra), l’obbligo di restituzione da parte di CEO/CFO di incentivi e profitti (cfr., par. 2.2 infra) e le norme sulla protezione dei c.d. “whistleblowers”. Le disposizioni della Sezione 302 del Sarbanes-Oxley Act sulla certificazione delle relazioni finanziarie periodiche sono state rese esecutive con l’adopting release emanato il 28 agosto 2002 (cfr., parte III, par. 1.1 infra). Allo stesso modo, recenti releases adottati della SEC hanno dato attuazione, attraverso l’emanazione di c.d. final rules, alle disposizioni della Legge in materia di codice etico ed esperto in materie finanziarie (cfr., par. 3.1 infra), transazioni non riportate in bilancio (cfr., par. 3.2 infra), non-GAAP financial measures (cfr., nota 47 infra), nonché alle norme sull’indipendenza dei revisori contabili (cfr., par. 4.1 infra). Inoltre, il 9 aprile 2003, la SEC ha adottato delle final rules in materia di indipendenza dell’audit committee, dando attuazione alla delega di cui alla Sezione 301 della Legge. Inoltre, l’esecutorietà degli obblighi previsti dalla Rule 10A-3 in materia di audit committee è subordinata all’adozione da parte delle borse nazionali di regolamenti condizionanti l’ammissione alla quotazione nei propri listini agli standards minimi fissati dalla SEC.

169

♦ l’obbligo dell’emittente di dotarsi si un sistema di controlli e procedure

finalizzati ad assicurare il rispetto degli obblighi informativi (cd.

“disclosure controls and procedures”) (sezione 302 del SOA);

♦ l’obbligo del principal executive officer e del principal financial officer

dell’emittente di rilasciare separate certificazioni con valenza civile (civil

certification – sezione 302 del SOA) e penale (criminal certification –

sezione 906 del SOA) sulla completezza e correttezza dell’informativa

finanziaria e non, fornita nel rapporto annuale.

La Legge, nella sua interezza, si applica genericamente, senza altre specificazioni,

alla categoria degli issuers, come definita dalla Sezione 2(a)(7) dell’Act.

Tale riferimento vale ad estendere la nuova disciplina a tutte le società emittenti,

statunitensi o straniere81

a) abbiano titoli quotati, ai sensi della Sezione 12 del Securities Exchange

Act (“Exchange Act”), presso un U.S. exchange o Nasdaq;

, che:

b) siano comunque soggette ad obblighi di comunicazione in base alla

Sezione 15(d) dello stesso atto82

c) abbiano depositato un ‘registration statement’ al fine di procedere ad

un’offerta pubblica di securities sul mercato statunitense, ai sensi del

Securities Act del 1933.

;

La Legge, quindi, è applicabile:

alle società europee quotate negli Stati Uniti o che intendano procedere ad

un’offerta pubblica di securities per la quotazione sul mercato statunitense o,

ancora, che siano, comunque, soggette ad un obbligo di comunicazione nei

confronti della SEC, laddove, per esempio, abbiano un patrimonio superiore a

10 milioni di dollari e un numero di azionisti nel mondo superiore a

81 Ai sensi della SEC Rule 3b-4, si definisce foreign private issuer ogni società costituita fuori dagli Stati Uniti che abbia i due seguenti requisiti: 1) che persone residenti negli Stati Uniti non detengano direttamente o indirettamente la maggioranza delle azioni della società; 2) che la maggioranza degli amministratori non sia composta da cittadini statunitensi o da residenti negli Stati Uniti; o che il business dell’emittente sia gestito al di fuori degli Stati Uniti; o, infine, che la maggior parte del patrimonio sia situato al di fuori degli Stati Uniti. 82 Ai sensi dell’Exchange Act, sono soggette agli obblighi di comunicazione presso la SEC, e quindi sottoposte alla Legge, in qualità di reporting issuers, le società statunitensi anche non quotate che abbiano un patrimonio superiore a 10 milioni di dollari e un numero di azionisti nel mondo superiore a cinquecento.

170

cinquecento, di cui almeno trecento residenti negli Stati Uniti83; un’esenzione

dagli obblighi di comunicazione è prevista per le società non statunitensi il cui

unico contatto con i mercati americani avviene tramite investitori istituzionali

ai sensi della SEC Rule 144A del 1990 o le cui azioni sono soggette al Level 1

American Depository Receipts (“ADRs”)84

a quelle società europee che, pur non essendo quotate in una borsa

statunitense, siano però controllate da un issuer statunitense;

;

alle società di revisione non statunitensi che svolgono attività di certificazione

in favore degli issuers non statunitensi.

I regolamenti di attuazione emanati ad oggi dalla SEC hanno reso esplicita

l’applicabilità di taluni precetti alle emittenti straniere, mentre soltanto in limitate

e circoscritte ipotesi le regole di attuazione hanno previsto delle esplicite

esenzioni.

4.1.1 LE DISPOSIZIONI DEL SOA IN MATERIA DI CONTROLLO

INTERNO ED INFORMATIVA SOCIETARIA

Sezione 302

Le disposizioni della Sezione 302 del SOA (rese operative dalla SEC mediante

l’adozione della Rule “Certification of Disclosure in Companies’ Quarterly and

Annual Reports” del 29 agosto 200285

83 La Legge non si applica alle società non statunitensi che beneficiano dell’esenzione prevista alla Sezione 12g3-2(b) dell’Exchange Act. Centinaia di società straniere hanno beneficiato di tale esenzione. Nella lista pubblicata il 1° maggio 2002 compaiono le seguenti società italiane: AEM S.p.A., Banca Popolare di Brescia, Banca Popolare di Lodi, Cassa di Risparmio di Firenze, Davide Campari Milano S.p.A., ERG S.p.A., Interpump Group S.p.A., Olivetti S.p.A. e Saipem S.p.A..

, successivamente modificata dalla Rule

“Management’s Report on Internal Contro Over Financial Reporting and

Certification of Disclosure in Exchange Act Periodic Reports” del 5 giugno

84 Il Level 1 American Depository Receipts rappresenta la categoria base di ADRs (vale a dire, titoli negoziabili sui mercati statunitensi che rappresentano un numero determinato di azioni di una società non statunitense). Ricorrono al Level 1 le società non statunitensi che non hanno i requisiti o l’intenzione di quotarsi presso una borsa statunitense. 85 Per le imprese che godono dello stato di foreign private issuers, le norme in esame si applicano a partire dal rapporto annuale su Form 20-F, e a ogni sua eventuale modifica, depositato presso la SEC successivamente alla data del 29 agosto 2002.

171

2003), stabiliscono il rilascio da parte del principal executive officer e del

principal financial officer (in genere CEO e CFO), ovvero persone che svolgono

analoghe funzioni, di separate certificazioni sulla correttezza e completezza

dell’informativa, finanziaria e non, presente nel rapporto annuale su Form 20-F

depositato presso la SEC.

In particolare ai soggetti citati è chiesto di attestare che:

1) hanno analizzato il rapporto annuale;

2) sulla base delle loro conoscenze:

♦ non vi sono indicazioni false riguardanti fatti di rilievo o omissioni di

fatti rilevanti necessari a rendere non ingannevoli le dichiarazioni rese,

avuto riguardo alle circostanze nelle quali esse sono state rese, in

relazione al periodo di tempo cui il rapporto annuale si riferisce;

♦ il bilancio e le altre informazioni finanziarie contenute nel rapporto

annuale rappresentano correttamente, sotto tutti gli aspetti rilevanti, la

situazione patrimoniale-finanziaria, il risultato dell’impresa e i flussi di

cassa dell’emittente alle date e per i periodi di tempo cui il rapporto

annuale si riferisce;

3) sono responsabili della predisposizione e del mantenimento dei controlli e

delle procedure finalizzati ad assicurare il rispetto degli obblighi

informativi (disclosure controls and procedures) e del sistema di controllo

interno che sovrintende la redazione del bilancio (cd internal control over

financial reporting)86

4) hanno progettato o determinato la progettazione, sotto la propria

supervisione, di:

;

♦ controlli e procedure finalizzati ad assicurare il rispetto degli obblighi

informativi (cd disclosure controls and procedures) e intesi, fra l’altro,

ad assicurare che le informazioni rilevanti relative alla società, incluse

86 Quanto indicato tiene conto delle modifiche apportate dalla SEC al testo della certificazione richiesta dalla sezione 302 del SOA per effetto dell’adozione della Rule “Management’s Report on Internal Contro Over Financial Reporting and Certification of Disclosure in Exchange Act Periodic Reports” del 5 giugno 2003 di attuazione della sezione 404 del SOA, riguardante l’“internal control over financial reporting”. Il nuovo testo della certificazione si applica ai bilanci presentati al, o successivamente al 10 agosto 2003 ed include una certificazione del sistema di controllo interno che sovrintende la redazione del bilancio (cd internal control over financial reporting). Per gli emittenti non USA, l’adeguamento alle disposizioni relative all’ internal control over financial reporting è previsto per i bilanci relativi agli esercizi finanziari chiusi al, o dopo il 15 aprile 2005 (bilancio 2005). Sino a quella data, la SEC consente di omettere dalla certificazione richiesta dalla sezione 302 del SOA l’attestazione relativa all’internal control over financial reporting.

172

le sue controllate consolidate, siano portate a conoscenza del CEO e

del CFO da parte di altri soggetti operanti all’interno di tali società in

modo tale da permettere decisioni in materia di informativa, in

particolar modo durante le fasi di preparazione del rapporto annuale;

♦ un sistema di controllo interno che sovrintende la redazione del

bilancio (cd internal control over financial reporting) al fine di

assicurare, per quanto ragionevolmente possibile, che l’informativa

finanziaria sia affidabile e che il bilancio pubblicato e diffuso dalla

società sia preparato in conformità ai principi contabili generalmente

accettati;

5) hanno valutato l’efficacia delle procedure e dei controlli finalizzati ad

assicurare il rispetto degli obblighi informativi (cd disclosure controls and

procedures) della società e, sulla base di tale valutazione, hanno incluso

nel rapporto annuale le proprie conclusioni in merito all’efficacia di tali

procedure e controlli al termine del periodo di tempo cui il rapporto si

riferisce;

6) hanno illustrato nel rapporto annuale ogni cambiamento relativo al sistema

di controllo interno che sovrintende la redazione del bilancio, intervenuto

nel corso del periodo di tempo cui il rapporto annuale si riferisce, che

abbia inciso in modo significativo o sia ragionevolmente in grado di

incidere in modo significativo sul sistema di controllo interno che

sovrintende la redazione del bilancio;

7) sulla base della loro più recente valutazione del sistema di controllo

interno che sovrintende la redazione del bilancio, entrambi hanno

comunicato al Revisore contabile della società ed al comitato per il

controllo interno (audit committee)87

a. ogni punto di debolezza significativo nonché ogni significativa carenza

nella progettazione o nell’esecuzione del sistema di controllo interno

che sovrintende la redazione del bilancio che sia ragionevolmente in

:

87 In Italia la comunicazione di frodi e di eventuali carenze del sistema di controllo interno è effettuata non solo al Revisore e al Comitato per il controllo interno (audit committee), ma anche al Collegio sindacale; infatti l’art. 149 del d.lgs 58/98 dispone: “il collegio sindacale vigila: (a) sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo; (b) sul rispetto di principi di corretta amministrazione; (c) sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società per gli aspetti di competenza, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo-contabile nonché sull’affidabilità di quest’ultimo nel rappresentare i fatti di gestione….”.

173

grado di incidere negativamente sulla capacità della società di

registrare, elaborare, riassumere e divulgare le informazioni

finanziarie;

b. ogni frode, anche non significativa, in cui sia coinvolto il management

o altri dipendenti con ruoli rilevanti nel sistema di controllo interno

che sovrintende la redazione del bilancio.

In base alla definizione contenuta nella Rule 13°-15(e) dell’U.S. Security

Exchange Act of 1934 (Exchange Act), i “disclosure controls and procedures”

rappresentano “i controlli e le altre procedure dell’emittente progettati per

assicurare che le informazioni da inserire nei rapporti che l’emittente deposita o

fornisce in base alle disposizioni dell’Exchange Act siano registrate, elaborate,

riassunte e divulgate secondo le tempistiche definite dalle forms e dalle Rules

della SEC”.

I disclosure controls and procedures includono tutti controlli e le procedure

progettati per assicurare che le informazioni, finanziarie e non, da inserire nei

rapporti che l’emittente deposita in base alle disposizioni dell’Exchange Act,

siano raccolte e comunicate al management dell’emittente, ivi inclusi il CEO ed il

CFO, in maniera idonea a consentire l’assunzione di decisioni tempestive in

relazione alle rappresentazioni da fornire.

I disclosure controls and procedures coprono uno spettro di informazioni

maggiore di quello coperto dall’internal control over financial reporting in quanto

relativi ad assicurare la conformità dell’informativa alla generalità dei requisiti

applicabili. I disclosure controls and procedures dovrebbero infatti identificare le

informazioni rilevanti al fine di valutare la necessità di descrivere nei rapporti

depositati forniti alla SEC gli sviluppi ed i rischi relativi agli affari dell’emittente.

I disclosure controls and procedures dovrebbero inoltre coprire informazioni da

valutare nel contesto del requisito generale di produzione di informazioni

necessarie a rendere non ingannevoli le dichiarazioni rese nei rapporti depositati o

forniti alla SEC.

Con riferimento alla valutazione dell’adeguatezza del sistema di disclosure

controls and procedures, sebbene non siano stabiliti criteri specifici, l’emittente è

chiamato a “sviluppare un processo (di valutazione, ndr.) confacente ala propria

attività e alle proprie condotte di gestione e supervisione interne”; ad ogni modo

174

è incoraggiata la costituzione di un disclosure committee che risponda all’alta

direzione aziendale e “abbia la responsabilità di considerare la rilevanza delle

informazioni e di definire tempestivamente gli obblighi di divulgazione da

rispettare”.

Sebbene la certificazione sia prevista in sede di redazione del rapporto trimestrale

o annuale (quarterly and annual reports, depositate presso la SEC ai sensi delle

Sezioni 13(a) e 13(d) dell’Exchange Act88

Infatti, la mancata osservanza delle regole sull’istituzione e il mantenimento delle

procedure di controllo espongono l’emittente al rischio di un procedimento

giudiziale da parte della SEC per violazione della Sezione 13(a) dell’Exchange

Act, a prescindere dall’esattezza o meno della risultante comunicazione

; La violazione dell’obbligo comporta

sanzioni di natura civilistica.), nelle intenzioni della SEC le nuove rules relative ai

disclosure controls and procedures devono supportare qualunque tipologia di

informativa predisposta. L’assenza di adeguate procedure e controlli, la loro

mancata revisione e valutazione ed altri inadempimenti delle rules applicabili

potrebbero pertanto essere sanzionati dalla SEC anche in presenza di una corretta

informativa nel rapporto annuale.

89

88 Il regolamento di attuazione della SEC chiarisce che la certificazione in oggetto è obbligatoria soltanto per le comunicazioni aventi natura periodica (trimestrale o annuale). Ciò si traduce, per le società straniere, nell’obbligo di includere le certificazioni nelle Forms 20-F o 40-F. Si segnala anche che il 31 marzo scorso la SEC ha pubblicato una proposta di modifica della sezione 302 della Legge la quale prevede che il filing delle certificazioni debba essere effettuato sotto forma di allegato alle relazioni. Cfr., il SEC Release No. 33-8212. Tale modifica non altererebbe in alcun modo il quadro delle responsabilità susseguenti alla violazione degli obblighi di certificazione.

. Gli

obblighi di certificazione relativi ai controlli interni si estendono al delicato

rapporto tra amministratori e revisori contabili o audit committee. Gli

amministratori firmatari dei Sections reports 13(a) e 13(d), infatti, in aggiunta alle

precedenti certificazioni, devono dichiarare di non aver omesso di comunicare ai

revisori contabili eventuali lacune o deficienze delle procedure di controllo tali da

mettere a repentaglio la veridicità e correttezza dei dati comunicati al pubblico,

nonché eventuali frodi commesse dagli amministratori o da altri dipendenti

89 Si segnala che la certificazione finanziaria è stata vincolata a standard assai più rigidi dei principi accolti a livello di revisione contabile. Il SEC Release chiarisce che la dichiarazione che i bilanci rappresentano in modo corretto, in ogni aspetto rilevante, le condizioni finanziarie dell’emittente deve essere intesa come certificazione che l’informativa finanziaria resa pubblica con il report, intesa nel suo complesso, è conforme a standard di assoluta accuratezza e completezza, aventi portata più ampia dei generali parametri di revisione contabile GAAP.

175

coinvolti nell’espletamento dei suddetti controlli90. Le final rules non specificano

la forma e la consistenza che tali procedure devono assumere. Tuttavia, esse

raccomandano la costituzione di un comitato interno con il compito di raccogliere

dati ed informazioni materiali e di relazionare gli amministratori firmatari91

.

Sezione 906

Unitamente alla certificazione prevista dalla sezione 302, la sezione 906 del SOA

(recante sanzioni di natura penale) stabilisce la separata attestazione, da parte del

CEO e del CFO, che il rapporto annuale contenente il bilancio “rispetta in piano

le disposizioni” dell’Exchange Act in materia di rapporti annuali, e che “le

informazioni contenute nel rapporto annuale riflettono correttamente, sotto tutti

gli aspetti rilevanti, la situazione patrimoniale-finanziaria e i risultati delle

operazioni dell’emittente”.

Quanto all’aspetto sanzionatorio, esso appare in linea con gli ambiziosi obiettivi

di riforma della Legge. Infatti, la Sezione 906 prevede l’irrogazione di una multa

fino a $1.000.000 e/o la reclusione fino a 10 anni per chi certifichi il report con

piena conoscenza (knowingly) che la relazione non rispetta i precetti di legge. Le

sanzioni si irrigidiscono in proporzione alla mens rea del responsabile: la norma

prevede una multa fino a $5.000.000 e/o la reclusione fino a 20 anni in caso di

condotta dolosa (willful). La Legge, per converso, è muta circa le conseguenze

derivanti dalla mancata certificazione o da una dichiarazione non in linea con le

formalità prescritte dalla Legge92

90 Il SEC Release ha integrato e completato la disciplina predisposta dalla Legge sotto due importanti aspetti. In primo luogo, esso ha esteso l’obbligo di certificazione al cash flow dell’emittente, di cui non v’è menzione nella Legge. Inoltre, la SEC ha sostituito il concetto di controlli interni (internal controls) di cui alla Legge stessa con quello, più ampio, di procedure e controlli interni intesi a garantire la trasparenza (disclosure controls and procedures).

.

91 Il SEC Release suggerisce che il comitato sia costituito dalle seguenti figure aziendali: il “principal accounting officer” (o il controller), il general counsel o altra figura di consulente legale interno con obbligodi relazionare il general counsel, il “principal risk management officer”, il “chief investor relationsofficer” o altro dirigente avente analoghe funzioni, e altri dipendenti dell’azienda il cui contributo appaianecessario secondo le circostanze. 92 Il 31 marzo 2003, la SEC ha pubblicato una proposta di modifica della sezione 906 della Legge. Essa prevede che le certificazioni previste siano “fornite” alla SEC come allegato alle proprie relazioni periodiche e, dunque, in forma pubblica. Secondo la proposta di regolamento, l’exhibit non andrebbe tuttavia considerato parte integrante del filing ai fini dell’applicazione delle norme federali in tema di responsabilità penale per dichiarazioni false o ingannevoli. Cfr., a tale

176

La certificazione disposta dalla sezione 906 del SOA è in parte differente rispetto

a quella indicata nella sezione 302 e alla rule della SEC, non soltanto per la natura

delle sanzioni – penali e non civilistiche – che conseguono alla sua falsificazione

o irregolarità. Essa, infatti, omette ogni riferimento alla rilevanza delle

informazioni e non attribuisce alcun rilievo alla conoscenza del firmatario. Inoltre,

l’oggetto dell’obbligo appare assai più circoscritto, in quanto il giuramento non si

estende ai controlli ed alle procedure di trasparenza, come previsto dalla Sezione

30293

In particolare la certificazione ai fini penali:

.

♦ non fa riferimento al grado di conoscenza del firmatario;

♦ non chiede di certificare l’affidabilità del sistema di controllo interno e

delle procedure adottate.

Considerate queste differenze, le disposizioni della sezione 906 sono da intendersi

come un obbligo informativo ulteriore e diverso rispetto a quello previsto dalla

sezione 302 del Sarbanes-Oxley Act.

A differenza di quanto previsto per le lettere di attestazione espressamente

predisposte nella forma delle sezioni 302 e 404 del SOA, per la fattispecie in

esame si fa riferimento ad una più generica “certificazione” non formalmente

predefinita.

Sezione 404

Le disposizioni della sezione 404 del SOA, rese operative dalla Rule SEC

“Management’s Reposrts on Internal Control Over Financial Reporting and

Certification of Disclosure in Exchange Act Periodic Reports” del 5 giugno 2003,

modificano l’Item 15 del Form 20-F e stabiliscono l’inserimento nel rapporto

proposito, la Sezione 18 dell’Exchange Act. In attesa dell’adozione di final rules in materia, la SEC ha comunque incoraggiato le emittenti a fornire le certificazioni come “additional exhibit” alle proprie relazioni periodiche, le Forms 20-F e 40-F. Cfr., SEC Release No. 33-8212.

93 La Legge tralascia invece di definire il concetto di relazioni periodiche (periodic reports), dando originead alcuni dubbi interpretativi, specie per quanto concerne la Form 8-K e la Form 6-K. Infatti, mentrela prima non ha natura periodica, ma corrente, la seconda è soltanto fornita alla SEC e, come tale, nonè tecnicamente oggetto di deposito. Si ritiene comunque che sia la Form 8-K sia la Form 6-K siano esclusedall’obbligo certificativo.

177

annuale di una relazione del management dell’emittente sul sistema di controllo

interno che sovrintende la redazione del bilancio che contenga:

♦ l’indicazione della responsabilità del management nell’istituzione e nel

mantenimento di un adeguato sistema di controllo interno che sovrintende

la redazione del bilancio (cd internal control over financial reporting);

♦ l’identificazione del modello (framework) utilizzato dal management per

valutare l’efficacia del sistema di controllo interno che sovrintende la

redazione del bilancio dell’emittente come richiesto dalle disposizioni

dell’Exchange Act in materia di rapporti annuali;

♦ la valutazione da parte del management dell’efficacia del sistema di

controllo interno che sovrintende la redazione del bilancio alla data di

chiusura del più recente esercizio dell’emittente. Tale valutazione dovrà

indicare se il sistema di controllo interno che sovrintende la redazione del

bilancio sia o meno efficace. Tale valutazione dovrà inoltre illustrare ogni

debolezza significativa nel sistema di controllo interno che sovrintende la

redazione del bilancio dell’emittente che sia stata identificata dal

management. Il mamagement non potrà concludere che tale sistema di

controllo interno sia efficace in presenza di una o più di tali debolezze

significative94

♦ l’indicazione che il Revisore che ha effettuato la revisione contabile del

bilancio incluso nel rapporto annuale contenente le informazioni richieste

dall’Item 15 della Form 20-F ha rilasciato l’attestazione sulla valutazione

da parte del management del sistema di controllo interno che sovrintende

la redazione del bilancio.

;

94 Il management dovrà inoltre illustrare ogni cambiamento nel sistema di controllo interno che sovrintende la redazione del bilancio che sia stato identificato in relazione alla valutazione richiesta dalla Rule 13°-15 dell’Exchange Act, sia intercorso nel periodo di tempo cui il rapporto annuale si riferisce e abbia inciso in modo significatico, o sia ragionevolmente in grado di incidere in modo significativo, sul sistema di controllo interno che sovrintende la redazione del bilancio del’emittente.

178

Figura 4.1 – Sec 404, Management assessment process

L’attestazione prevista dalla sezione 404 del SOA va in pratica a sostituire la civil

certification precedentemente richiesta dalla sezione 302, integrandola

sostanzialmente tramite più specifici richiami alla tematica dell’internal control

over financial reporting.

Alla società incaricata della revisione del bilancio è chiesto di attestare la

valutazione effettuata dal management95

La mancanza di adeguate procedure e controlli potrebbe essere sanzionata dalla

SEC anche in assenza di carenze nell’informativa fornita.

; la circostanza che la valutazione dell’

internal control over financial reporting sia oggetto di attestazione da parte della

società di revisione non consente peraltro al management di delegare la propria

responsabilità relativa alla valutazione del sistema di controllo interno che rimane,

in via esclusiva, in capo alla società.

L’espressione “internal control over financial reporting” è definita come il

processo progettato dai, o sotto la supervisione dei, principal executive and

principal financial officers dell’emittente (in genere identificati nelle persone del

CEO e del CFO), ovvero da persone che svolgono analoghe funzioni, e attuato dal

Consiglio di amministrazione, dal management e da altro personale, volto a

fornire ragionevole certezza sull’attendibilità dell’informativa finanziaria e sulla

redazione del bilancio pubblicato o diffuso dall’emittente in ottemperanza ai

95 Per espressa disposizione, l’attestazione svolta da parte della società incaricata della revisione del bilancio non rappresenta un incarico aggiuntivo.

179

principi contabili generalmente accettati, e include quelle politiche e procedure

che:

1) attengono al mantenimento di registrazioni contabili che riflettano, con un

ragionevole dettaglio, accuratamente e correttamente le transazioni e le

cessioni dei beni aziendali;

2) forniscono la ragionevole certezza che le transazioni sono rilevate in modo

tale da consentire la redazione del bilancio in accordo con i principi

contabili di generale accettazione e che gli incassi e i pagamenti

dell’emittente sono effettuati esclusivamente secondo le autorizzazioni del

management e degli amministratori dell’emittente;

3) e forniscono la ragionevole certezza relativa alla prevenzione o alla

tempestiva individuazione di acquisti, utilizzi o cessioni non autorizzati di

beni aziendali che potrebbero avere un effetto significativo sul bilancio.

Pertanto, come meglio illustrato in seguito, i controlli a cui intende riferirsi la

sezione 404 sono focalizzati sui controlli interni relativi alla redazione del

bilancio e alla salvaguardia del patrimonio aziendale. La valutazione della loro

efficacia deve avvenire confrontando il proprio sistema di controlli con un metodo

di riferimento (cd. Framework; ad esempio il Co.S.O.) adeguato e riconosciuto

che sia stato predisposto da un ente o gruppo che abbia seguito procedure di due

process, ivi inclusa la distribuzione del framework al pubblico interessato per

ottenere commenti prima della sua adozione96

96 Vedi SEC Release No. 33-8238 e Rule 13°-15(c) del Securities Exchange Act of 1934

. Per essere considerato adeguato,

un framework deve: essere imparziale; consentire misurazione qualitative e

quantitative, ragionevolmente coerenti, del sistema di controllo interno di una

azienda; essere sufficientemente completo in modo che non vengano omessi quei

fattori rilevanti che modificherebbero le conclusioni in materia di efficacia del

sistema di controllo interno di una azienda; ed essere rilevante ai fini della

valutazione del sistema di controllo interno che sovrintende la redazione del

bilancio. Il modello di riferimento utilizzato per la valutazione deve essere

indicato nella relazione. Tra i possibili modelli di riferimento, coerentemente ai

180

suggerimenti della SEC, il Co.S.O. framework97

La valutazione sull’efficacia del sistema di controllo interno posto in essere, deve

essere effettuata sulla base di procedure sufficienti a valutare il progetto, nonché,

attraverso l’esecuzione di appropriati test, sulla sua efficacia operativa

, appare essere lo standard di

generale accettazione.

98

La valutazione, inoltre, deve essere supportata da evidenze, adeguatamente

documentate, che devono fornire un ragionevole supporto per:

.

1) valutare se i controlli sono stati progettati in modo adatto a prevenire o

individuare significativi errori o omissioni;

2) concludere che i test sono stati adeguatamente pianificati ed eseguiti;

3) assicurare che i risultati dei test effettuati sono stati adeguatamente

considerati nell’espressione del giudizio sull’efficacia dei controlli.

Sebbene non siano previste specifiche disposizioni, la verifica deve essere svolta

su un arco temporale congruo per consentire al management l’espressione di un

giudizio sull’efficacia del sistema di controllo interno posto in essere con

riferimento alla data di chiusura dell’esercizio.

Qualora dalla valutazione emergessero eventuali “carenze materiali” (cd. material

weaknesses), per espressa disposizione del sistema di controllo interno posto in

essere non può essere qualificato come efficace.

Le material weaknesses rappresentano carenze nella progettazione e/o

nell’operatività del sistema di controllo interno tali da non consentire di ridurre,

ad un livello relativamente basso, il rischio che si verifichino, e non siano

tempestivamente individuate, dichiarazioni inesatte determinate da errori o frodi

per ammontare rilevante in relazione al bilancio99

97 Il frameworkin esame è stato definito, nel 1992, dal Committee of Sponsoring Organizations of the Treadway Commission.

. Le carenze in esame sono

illustrate nella relazione su internal control over financial reporting unitamente ad

98 La SEC non stabilisce criteri specifici da adottare per la verifica di internal control over financial reporting limitandosi a indicare, a titolo esemplificativo, che l’ambito della valutazione include, ma non è limitato, ai controlli relativi: (I) all’apertura, alimentazione, registrazione, elaborazione e riconciliazione dei saldi dei conti, delle classi di transazioni poste in essere e delle informazioni fornite e delle relative asserzioni di bilancio; (II) all’apertura ed alla elaborazione di transazioni non sistematiche e non routinarie; (III) alla selezione e applicazione dei principi contabili adatti; (IV) alla prevenzione, identificazione e individuazione di frodi. 99 Tali definizioni di material weaknesses e significant deficency risultano in linea con quelle contenute nell’Audit Standard n°2 emanato dal PCAOB.

181

ogni cambiamento, intervenuto nel corso dell’esercizio, che abbia inciso (o che sia

ragionevolmente in grado di incidere) in modo significativo sul sistema di

controllo interno che sovrintende la redazione del bilancio.

Le carenze significative e ogni rilevante punto di debolezza (cd significant

deficencies) nel progetto o nell’operatività del sistema di controllo interno

adottato, che siano ragionevolmente in grado di influenzare negativamente la

capacità dell’azienda di registrare, elaborare, riassumere e divulgare informazioni

finanziarie, nonché ogni frode, significativa o meno, in cui sia coinvolto il

management o altro personale che svolge un ruolo rilevante nel sistema di

controllo interno che sovrintende la redazione del bilancio della società, sono

portate a conoscenza del Revisore e del Comitato per il controllo interno100

;

l’avvenuta comunicazione è oggetto di attestazione dal parte del CEO e CFO.

4.1.2 OBIETTIVI SPECIFICI DEL SISTEMA DI CONTROLLO AI FINI

DEL SOA (SEZ. 302 e 404)

Le disposizioni relative ai “disclosure controls and procedures” e al’”internal

control over financial reporting” individuano come obiettivo principale la

correttezza e l’affidabilità dell’informativa finanziaria, comunque non

esclusivamente coincidente con la categoria “financial reporting”, definita fra gli

obiettivi di controllo del Co.S.O. framework.

Risultano pertanto esclusi dalla definizione di internal control over financial

reporting, in linea generale, gli obiettivi di presidio di efficacia ed efficienza delle

attività operative (operations) e di conformità a leggi e regolamenti (compliance),

ad eccezione dei seguenti obiettivi specifici di controllo esplicitamente inclusi nel

campo di applicazione dell’internal control over financial reporting:

♦ La salvaguardia del patrimonio aziendale (obiettivo specifico delle

operations);

♦ L’adeguata autorizzazione delle transazioni aziendali(obiettivo specifico

delle operations);

♦ La documentabilità delle transazioni;

100 Analogamente a quanto indicato in precedenzam in Italia la comunicazione in esame è effettuata anche al Collegio sindacale

182

♦ La conformità a leggi e regolamenti relativi alla predisposizione

dell’informativa finanziaria (obiettivo specifico della compliance).

Tuttavia, l’osservanza di altre leggi e regolamenti potrebbe rientrare

indirettamente nell’oggetto della normativa nella misura in cui una violazione

significativa debba essere oggetto di informazione di mercato.

Il concetto di salvaguardia del patrimonio aziendale, definito nell’ambito del

sistema di internal control over financial reporting, è da intendersi come il

processo volto a “fornire la ragionevole sicurezza relativa alla prevenzione o alla

tempestiva individuazione di acquisti, utilizzi o cessioni non autorizzati di beni

aziendali che potrebbero avere un effetto significativo sul bilancio”.

Pertanto, la definizione di salvaguardia dei beni aziendali in tale accezione non

coincide con il più ampio e fondamentale obiettivo del management di proteggere

il valore dell’attivo dell’impresa e di accrescerlo nel tempo (mantenimento e

creazione di valore)101

Il concetto di “autorizzazione

. 102

Il concetto di “documentabilità” è da intendersi come la capacità dell’azienda di

produrre e mantenere tutta la documentazione necessaria al fine di consentire, con

un ragionevole livello di dettaglio, di valutare l’accuratezza e la corretta

rappresentazione di transazioni o vendite che riguardano i beni aziendali.

” delle transazioni aziendali è da intendersi con il

processo e le procedure adottate dall’azienda che consentono, con ragionevole

sicurezza, di attestare che i passi autorizzativi relativi ad impegni e disposizioni,

ovvero incassi e pagamenti, cono adeguatamente messi in atto e controllati.

Il concetto di “conformità” a leggi e regolamenti (compliance) è da intendersi

come l’applicazione delle norme previste dalla legislazione di riferimento

relativamente all’informativa finanziaria con valenza esterna.

101 In quest’ottica, nel valutare il sistema di controllo sulla salvaguardia dei beni aziendali non devono essere, ad esempio, considerati tutti i controlli sul processo decisionale di acquisizione e vendita. La decisione di vendere un prodotto ad un prezzo che si dimostra non profittevole potrebbe essere considerata da un punto di vista gestionale come un insuccesso nella protezione delle attività esistenti, ma, se opportunamente autorizzata, non un difetto del sistema di internal control over financial reporting. 102 L’autorizzazione delle transazioni aziendali, a differenza dell’autorizzazione propria della salvaguardia dei beni, non è concepita come potere di disposizione dei beni aziendali, ma è limitata alle verifiche autorizzative proprie di incassi e pagamenti.

183

4.1.3 LA CERTIFICAZIONE DEL REVISORE CONTABILE

Nel Sarbanes Oxley Act del 2002 sono molti gli articoli che cercano di migliorare

l’affidabilità e la correttezza dei reports finanziari, ma, senza ombra di dubbio, le

sezioni 302 e 404, con le sanzioni previste dalla sezione 906, sono da considerare

preminenti nella nostra analisi. Questa riforma disciplina svariati aspetti

dell’organizzazione delle imprese e del loro governo societario e, sicuramente,

inciderà in modo molto deciso sulle operazioni e sulle valutazioni economiche

delle suddette imprese quotate negli Stati Uniti. Un primo punto di partenza è

sicuramente quello dell’affidabilità dei bilanci e di tutti i reports finanziari emessi

dalle società quotate. I reports finanziari sono molto importanti in quanto sono

spesso l’unica forma di conoscenza effettiva che gli azionisti e gli investitori

hanno, riguardo all’andamento economico, finanziario e patrimoniale delle

imprese in cui loro investono o a cui sono interessati per vari ordini di motivi.

Inoltre, le già richiamate vicissitudini finanziarie che hanno coinvolto molte

imprese americane ed europee, hanno fatto sorgere nel legislatore americano, ma

anche in tutti gli stakeholders ed economisti in genere, l’esigenza di

regolamentare meglio il processo di formazione e comunicazione dei reports

finanziari.

Sempre i reports finanziari devono essere considerati strumenti fondamentali e,

ovviamente, devono correttamente rappresentare le reali condizioni economiche

dell’azienda, perché sono l’unico pilastro su cui si fonda il sistema economico

capitalista e, in definitiva, il mondo dei mercati finanziari. Si vuole asserire che

senza una vera affidabilità delle informazioni finanziarie, e con il sorgere di casi

sempre più clamorosi di crack o crisi aziendali, si rischia la perdita di fiducia degli

investitori, ma anche di tutti i soggetti interessati alla situazione di un’impresa e,

più in generale, si rischia la crisi del sistema economico capitalista.

L’obiettivo del Revisore contabile in sede di audit sull’internal control over

financial reporting è di esprimere un’opinione sulla valutazione di efficacia

fornita dal management riguardante il sistema dei controlli interni sull’informativa

finanziaria aziendale (Interna Control Report).

Per poter formare una solida base sulla quale costruire un’opinione di tale rilievo,

il Revisore deve pianificare ed eseguire un audit finalizzato alla verifica, con un

ragionevole grado di sicurezza, su come la società emittente abbia mantenuto

184

efficaci controlli interni relativi alle informazioni di natura finanziaria, così come

specificato nell’attestazione del management. A tal fine il Revisore procede

all’esame di tutta l’informativa finanziaria relativa al periodo ricadente all’interno

dell’arco temporale di riferimento per la suddetta attestazione.

Il mantenimento di un efficace sistema di controlli interni sull’informativa

finanziaria comporta l’assenza di carenze significative (material weakness) nel

disegno, nell’operatività e nel mantenimento dello stesso; pertanto, l’obiettivo

principale di un audit sull’ internal control over financial reporting consiste

nell’ottenere la ragionevole sicurezza in merito all’assenza di eventuali carenze

significative, così come attestato dal management della società emittente.

Al fine dell’ottenimento della ragionevole sicurezza, il Revisore è tenuto ad

esaminare la valutazione prodotta dal management ed a constatare come e se

effettivamente il sistema dei controlli interni sull’informativa finanziaria è stato

disegnato e reso operativo. Il Revisore acquisisce tali informazioni tramite diversi

strumenti, inclusi l’utilizzo dell’operato altrui (internal auditing, self assessment,

ecc.) e l’espletamento di vere e proprie attività di revisione.

Il Revisore considera il fatto che fra le categorie di soggetti che fanno affidamento

sulle informazioni che interessano il sistema di controllo interno sull’informativa

finanziaria, vanno inclusi investitori, creditori, Consiglio di amministrazione,

Audit committee, organi di controllo, ecc. il Revisore, inoltre, tiene presente che

gli utilizzatori esterni della documentazione finanziaria sono particolarmente

interessati all’informativa riguardante il suddetto sistema di controllo in quanto

determinante del livello qualitativo del reporting finanziario e quindi del livello di

affidamento stesso che tali soggetti ripongono sull’informativa finanziaria

prodotta. L’informazione in materia di controlli interni è anche finalizzata a

fornire un pronto avviso in merito a situazioni potenzialmente pericolose ai

soggetti interni ed esterni operanti nell’ambito del miglioramento del sistema dei

controlli stesso, quali Audit commettee e Organi di controllo.

Inoltre il SOA afferma il principio dell’illegalità, per ogni società di revisione,

delle sue prestazioni di servizi non audit in contemporanea all’attività di revisione,

tranne che per quanto previsto dalle esenzioni della stessa legge; il Sarbanes cita

esplicitamente una lista di otto servizi non audit di seguito riportati:

1) tenuta della contabilità od altri servizi relativi alle registrazioni contabili o

ai bilanci del cliente auditato;

185

2) creazione del sistema informativo dei dati finanziari;

3) servizi di stima o valutazione, opinioni di equità, redazione di report;

4) servizi degli attuariali;

5) outsourcing della funzione di internal auditing;

6) funzione manageriale e/o gestione delle risorse umane;

7) broker o consulente, consulente d’investimento o servizi di investment

banking;

8) servizi legali e di consulenza non riferiti all’attività di audit;

9) ogni altro servizio che il Board ritiene di vietare.

Il PCAOB ha quindi la facoltà di aumentare le tipologie di servizi non audit da

vietare, nonché la possibilità di implementare alcune esenzioni dopo un’analisi

caso per caso, seppur in quest’ultimo caso è necessaria l’approvazione della SEC.

Il revisore deve quindi evitare la prestazione di determinati servizi non audit a

emittenti o a sue società consociate nel momento in cui ha il compito di

revisionare il bilancio dello stesso emittente o delle sue consociate103

103 Una società si deve ritenere consociata se una società emittente detiene direttamente o indirettamente il suo controllo, se l’emittente influenza materialmente e significativamente le decisioni della consociata, se la consociata detiene direttamente o indirettamente il controllo sull’emittente o è in grado di esercitare influenza rilevante sulle decisioni dell’emittente. Più specificatamente si potrebbe ritenere controllata una società di cui si possiede almeno la metà delle azioni con diritto di voto, e quindi si è in grado di controllare praticamente tutta l’attività operativa della stessa; inoltre, l’influenza significativa che una società esercita su di un’altra potrebbe essere tale nel momento in cui si possegga più del 20 % del capitale sociale della società in oggetto.

. La Sec ha

implementato le previsioni del SOA riguardo ai servizi non audit nel gennaio del

2003 con l’Act Release 8183 forse invadendo il campo delle prerogative del

PCAOB, azione questa giustificata dalla non ancora efficacia operativa raggiunta

dal Board in quel periodo e dalla contemporanea necessità di regolamentare

tempestivamente e più in dettaglio una disciplina alquanto delicata. Il principio

generale definito dalla SEC è che si vieta la prestazione di servizi non audit a

meno che è ragionevole concludere che i risultati forniti da questi servizi non

saranno oggetto delle procedure di revisione sui bilanci del cliente, ovvero “il

revisore non può controllare il suo lavoro”. La lista fornita dal SOA viene solo

estesa dividendo i servizi manageriali da quelli relativi alle risorse umane e quelli

legali da quelli di consulenza non audit. La lista delle circostanze che potrebbero

intaccare l’indipendenza del revisore non è esaustiva e per esaminare attentamente

186

questi casi, la SEC esplicitamente afferma che considererà se la fornitura di

servizi:

♦ crea un interesse reciproco o contrastante tra il revisore e

l’emittente;

♦ mette il revisore in condizioni di revisionare il suo lavoro;

♦ pone il revisore in una posizione di difensore del cliente;

♦ pone il revisore in una situazione simile a quella di manager o

impiegato del cliente.

I servizi di internal audit potrebbero essere svolti da società esterne a quella

dell’impresa emittente o da società di revisione se la società emittente riconosce

la sua responsabilità per la creazione e gestione di un adeguato sistema di

controllo interno, nomina un responsabile della funzione di internal audit e la

stessa società emittente non fa affidamento sul lavoro della società esterna per la

determinazione dell’efficacia e dell’affidabilità del sistema di controllo interno.

Tutti i servizi audit e non audit devono essere pre-approvati dall’audit committee

che si assume la responsabilità di tutti i servizi richiesti al revisore diversi

dall’audit che ne possano minare l’indipendenza; è ovvio che è anche interesse del

revisore evitare la prestazione di sevizi non audit vietati al suo cliente al fine di

non incorrere nelle dure sanzioni del PCAOB che potrebbero anche comportare la

revoca della registrazione che, in termini pratici, comporterebbe l’impossibilità a

svolgere l’attività di revisione per tutte le società emittenti, che negli USA sono

praticamente la totalità delle imprese.

Al riguardo la legge individua alcune eccezioni relative all’approvazione di tutti i

servizi audit e non audit da parte dell’audit committee. La richiesta di pre-

approvazione dell’audit committee è derogata, se riguarda servizi non audit

prestati ad un emittente da una società di revisione, se:

♦ l’ammontare complessivo degli onorari per tutti i servizi non audit ricevuti

non eccede il 5% del totale degli onorari pagati ai revisori, anche per i

servizi audit, nell’esercizio in cui i suddetti servizi non audit sono forniti;

♦ questi servizi non sono stati riconosciuti dall’emittente al momento in cui

è avvenuto l’accordo con il revisore come servizi non audit;

187

♦ tali servizi sono stati immediatamente portati all’attenzione dell’audit

committee e da esso approvati prima della conclusione della loro

prestazione.

Tutto ciò deve essere comunicato agli investitori per via degli appositi report

periodici che si inviano alla SEC e sono chiaramente resi pubblici. La

commissione ha comunque meglio definito i servizi non audit già elencati dal

Sarbanes:

♦ tenuta della contabilità o altri servizi relativi alle registrazioni contabili o

ai bilanci del cliente auditato comprendono il mantenimento e la

preparazione delle registrazioni contabili del cliente auditato, la

preparazione dei bilanci del cliente trasmessi alla Sec e l’individuazione di

tutti i dati necessari per la redazione dei bilanci di cui sopra;

♦ il design e l’implementazione del sistema informativo finanziario

comprende l’operatività diretta o indiretta o la supervisione delle

operazioni riguardanti il sistema informativo da parte del revisore,nonché

la creazione di sistemi hardware o software che aggreghino ed elaborino

dati finanziari da parte dello stesso;

♦ i servizi di stima o valutazione riguardano tutti quei processi svolti dal

revisore per la valutazione di assetts tangibili o intangibili e del passivo

della società emittente;

♦ i servizi degli attuariali consistono in tutte quelle consulenze sulle poste di

bilancio e i relativi conti, nonché l’assistenza fornita al cliente nella

comprensione dei metodi, dei modelli, delle ipotesi utilizzate nella stima di

un’esposizione di bilancio;

♦ l’outsourcing della funzione di internal auditing comprende ovviamente

tutti quei servizi forniti dal revisore relativi al sistema di controllo interno,

al sistema finanziario e al bilancio di una società cliente;

♦ le funzioni manageriali si verificano nel momento in cui il revisore agisce

come un amministratore, direttore o impiegato di un cliente sottoposto ad

audit, nonché lo svolgimento di ogni attività di programmazione,

supervisione, monitoraggio e decisione;

♦ la funzione risorse umane si riferisce alla selezione di candidati operata dal

revisore per conto del suo cliente, implementazione di test psico

188

attitudinali o test valutativi del personale, determinare la posizione, il

titolo, il pagamento ed i benefit che spettano ai dipendenti;

♦ l’attività di broker o dealer significa agire come promotore, sottoscrittore,

intrapresa di decisioni di investimento per il cliente o avere autorità

riguardo gli investimenti, le transazioni e i movimenti di capitale dello

stesso;

♦ i servizi legali potrebbero essere forniti da avvocati registrati.

Molti dubbi ha suscitato la disposizione della Sec riguardo i servizi fiscali, in

quanto sia Proposing release che nell’Adopting release si afferma che i servizi

fiscali non sono totalmente preclusi dal SOA, perché la sezione 201 afferma che i

servizi non audit, compresi i servizi fiscali, possano essere forniti dal revisore se

approvati anticipatamente dall’audit committee dell’emittente, il quale deve

accertarsi se i servizi fiscali costituiscano dei servizi di consulenza proibiti tanto

da pregiudicare l’indipendenza del revisore.

Si ricordano, inoltre, all’audit committee le tre situazioni su esaminate in cui il

revisore non si deve assolutamente trovare e si fa l’esplicito esempio della

partecipazione del revisore alla formulazione di quelle strategie fiscali che

minimizzino la tassazione a carico dell’emittente.

L’unica nota considerata positiva da molteplici osservatori, che si sono opposti a

queste disposizioni della SEC, è la messa in guardia operata dalla Commissione

sul fatto che i servizi fiscali non sarebbero servizi di consulenza appropriati da

prestare ad una società cliente.

Comunque, sulla scia delle molteplici proteste anche di commentatori autorevoli e

forse, comprendendo la possibile perdita di efficacia che le decisioni della SEC

potrebbero produrre sulla reale applicazione del concetto di indipendenza, ha

espresso la necessità di una sua revisione delle norme in oggetto e la possibile

emanazione di norme più articolate riguardo l’indipendenza del revisore, norme

che al momento non sono operative.

189

Uno spiraglio per la Corporate America

La Securities and Exchange Commission (SEC, la Consob statunitense) proporrà a

dicembre una proposta più flessibile della sezione 404 della Sarbanes-Oxley, la

legge che disciplina la corporate governance per le compagnie, a seguito del crac

Enron del 2002.

Secondo quanto scrive il Wall Street Journal, il lungo dibattito per rivedere le

rigidità della legge anti-scandali, finita nel mirino perché scoraggia tra l'altro le

nuove quotazioni a Wall Street (a favore di Londra e Hong Kong), starebbe quindi

per produrre i primi effetti visto che la SEC lavorerà con la Public Company

Accounting Oversight Board (l'agenzia che ha la supervisione delle società di

revisione) per definire alcune modifiche agli standard (i cosiddetti AS2) seguiti

per valutare l'adeguatezza dei conti aziendali.

Proprio questi schemi particolarmente rigidi si sono tradotti in una crescita

piuttosto sostenuta degli oneri a carico delle aziende. Il numero uno della SEC,

Christopher Cox, ha messo in moto il meccanismo di revisione, scrivendo alla

commissione di supervisione con l'auspicio che siano adottate regole contabili

capaci di rispettare di più le dimensioni dei gruppi.

Dimenticare Enron e World Com, ovvero i grandi scandali finanziari che hanno

segnato la stagione della vergogna per la finanza americana? Dopo Christopher

Cox, numero uno della SEC (la società che vigila sulla Borsa americana), è

arrivato il turno del segretario al Tesoro, Henry "Hank" Paulson, di aprire il

capitolo della revisione della Sarbanes-Oxley Act. Non va stravolta, ha avvertito il

già banchiere numero uno di Goldman Sachs104

104 Goldman Sachs è una delle piu grandi e affermate Merchant Bank (definibile anche con i termini Banca d'affari, Banca d'investimento, Investment Bank) del mondo, ha sede a New York ma ha sedi anche a Londra, Francoforte, Tokyo, Hong Kong e in tutti gli altri centri finanziari del Mondo. La Banca è quotata al New York Stock Exchange (NYSE) con la sigla GS. Essa opera nei piu variegati e innovati settori finanziari, dalla Consulenza non solo alle aziende o a ricchi imprenditori ma anche a Governi, non ha caso i suoi Top Manager sono spesso reclutati dalla politica (gli ultimi due casi sono Henry Paulson ex presidente della banca e ora nuovo Segretario al tesoro Americano e Mario Draghi vice presidente di Goldman e ora a capo di Banca D'Italia).

intervenendo all'Economic Club

di New York, ma ha bisogno di «un miglioramento», un rafforzamento capace di

bilanciare «tutela dei risparmiatori e necessità di innovazione dei mercati

finanziari» per fare in modo che gli Stati Uniti e la sua Mecca borsistica Wall

Street in particolare, continuino a indossare i panni di leader del settore su scala

globale.

190

L'ex boss della principale banca d'affari del mondo, quindi, diventato ministro

dell'Economia degli Stati Uniti, mette le mani sulle regole fatte per frenare la

disinvoltura dei finanzieri e delle banche d'affari che ne disegnano le strategie.

L'obiettivo, ha chiarito tuttavia Paulson, è quello di «non caricare le aziende

americane con costi rilevanti e con una regolamentazione severa, capace alla fine

di danneggiare la competitività stessa del mercato dei capitali». La Sarbanes-

Oxley Act è da diverso tempo materia di dibattito tra gli esperti e nel mondo

politico, sulla scia dei ripetuti appelli lanciati dalla Corporate America per le

disposizioni troppo onerose contenute in particolare nella sezione 404 (sulla cui

revisione è al lavoro proprio la SEC) che obbliga le aziende a valutare i controlli

interni per garantire che i risultati finanziari diffusi sui mercati siano affidabili.

Queste norme, sostengono gli esperti, spiegherebbero la fuga dai mercati

regolamentati degli Stati Uniti di molte corporation che preferiscono andarsi a

quotare su listini più flessibili e in forte ascesa come Londra e Hong Kong. «I

nostri mercati restano forti e competitivi - ha argomentato il segretario al Tesoro -

ma hanno di fronte sfide che non possono essere facilmente risolte». Paulson fissa

l'attenzione sul capitolo 404 che dovrebbe «essere più efficiente e funzionale sul

lato dei costi», assicurando che lo spirito della Sarbanes-Oxley «è integro». C'è

solo da migliorare «l'effetto complessivo della legge». Vedremo come.

4.1.4 RELAZIONE TRA “DISCLOSURE CONTROLS AND

PROCEDURES” E “INTERNAL CONTROL OVER FINANCIAL

REPORTING”

La descrizione del concetto di “disclosure control and procedures” e di “internal

control over financial reporting”, evidenzia che i due ambiti di controllo si

sovrappongono senza però coincidere.

In particolare, come indicato in precedenza, il perimetro di riferimento dei

disclosure control and procedures (sec. 302) appare più ampio in quanto riferito

all’intera informativa prodotta, finanziaria e non, che l’emittente è tenuto a

depositare o fornire in base alle disposizioni dell’Exchange Act. L’obiettivo è

quello di assicurare uno standard generale di qualità dell’informativa presentata e

191

la conoscenza tempestiva, da parte del vertice aziendale, di ogni fatto rilevante per

consentire decisioni tempestive in merito all’informazione che deve essere fornita

nel rapporto annuale.

Il sistema di internal control over financial reporting (sec. 404) è focalizzato

sull’informativa finanziaria, ovvero sulla redazione del bilancio nel rispetto delle

disposizioni dei principi contabili applicabili e sulla salvaguardia del patrimonio

aziendale.

Pertanto le problematiche inerenti la predisposizione dell’informativa finanziaria

appaiono comuni a entrambi i concetti di controllo, mentre le indicazioni in

merito alla completezza dell’informativa non finanziaria e la tutela del patrimonio

aziendale rappresentano aspetti peculiari, rispettivamente dei disclosure control

and procedures e dell’ internal control over financial reporting.

La distinzione assume rilevanza sostanziale, almeno per gli aspetti di seguito

indicati:

♦ L’adeguatezza dei disclosure control and procedures non assicura, di per

sé, l’efficacia del sistema di controllo che sovrintende la redazione del

bilancio (internal control over financial reporting);

♦ Solo l’ambito del sistema di controllo delineato dalla sec. 404 (internal

control over financial reporting) è oggetto di verifica e attestazione anche

da parte della società di revisione.

4.2 I COSTI DELLA SARBANES-OXLEY ACT A CONFRONTO CON I

BENEFICI E LE ASPETTATIVE

All’esordio della Legge SOA, il Congresso ha dichiarato che tale Legge è volta a

proteggere gli azionisti attraverso il miglioramento dell’accuratezza e

dell’attendibilità delle rivelazioni della società eseguite in conformità alle

securities laws. Nel Release No. 33-8238, la SEC (2003a) discute i seguenti

benefici e costi. I primi benefici ricercati come risultato dell’implementazione del

regolamento della sezione 404 della SOA sono l’accresciuta fiducia degli azionisti

nei resoconti finanziari, una migliore trasparenza delle società, dati finanziari più

192

attendibili basati sugli effettivi sistemi di controllo interno riguardo a dati,

rivelazioni e deterrenti di frode finanziaria.

I costi menzionati dalla SEC (2003a) includono i costi di preparazione dei

resoconti richiesti al management sui controlli interni e sui costi trascritti dalla

testimonianza degli azionisti.

Sebbene i benefici siano difficili da quantificare, i costi non lo sono. Prima di una

attestazione è opportuno che le compagnie valutino e documentino i loro sistemi

di controllo esistenti, determino quali cambiamenti siano necessari per migliorare

tali sistemi, implementino i cambiamenti, e testino l’efficienza dei controlli interni

stabiliti. I costi per portare a termine questi incarichi includono i crescenti salari e

benefici interni personali, le tasse per la consultazione esterna e per la nuova o

aggiornata tecnologia (hardware and software).

Nel Release No. 33-8238, la SEC (2003a) fornisce una stima del costo intorno a

91,000 dollari per compagnia su una media dei costi annuali di implementazione

riferita solo alla sezione 404(a) della SOA. Tale stima non include i costi riferiti

all’attestazione dei revisori indipendenti. Un’indagine svolta con la collaborazione

dei dirigenti delle compagnie nel corso del 2003 e 2004 rivela una stima molto

alta dei costi.

L’indagine condotta dal CFO magazine nell’agosto del 2003 fornisce interessanti

informazioni sui costi di implementazione della sezione 404 della SOA (Nyberg

2003). Solo il 44% dei dirigenti intervistati seguono le tracce dei costi di

implementazione e più della metà di quelli che non li inseguono non intendono

farlo.

Questo denota che tali costi sono immateriali o che questi dirigenti non

riscontrano benefici nel valutare tali specifici costi.

Più di tre-quarti degli intervistati ha indicato che i costi stimati dalla SEC, (91,000

dollari), sono troppo bassi. Circa la metà degli intervistati ha valutato che i propri

costi annuali di implementazione, inclusa l’attestazione delle tasse, ammontano a

meno di 500,000 dollari. Sebbene il 49% degli intervistati crede che la propria

compagnia ha ottenuto internamente dei benefici dall’implementazione dei

processi, il 70% sostiene che i costi di compliance abbiano superato i benefici.

Questa valutazione è stata condotta con un questionario via e-mail su un campione

casuale di dirigenti individuati dalla lista del CFO in circolazione. Su 220 degli

intervistati, 139 sono dirigenti di compagnie pubbliche. Il Financial Executives

193

International (FEI) ha osservato i costi della sezione 404 della SOX nel primo

anno di implementazione, nel gennaio e luglio del 2004 (FEI 2004), dei propri

membri delle compagnie pubbliche. Più della metà degli intervistati di entrambe

le indagini rappresentano le grandi aziende con un reddito annuo di 1 miliardo di

dollari o più. In queste indagini, il FEI interroga i dirigenti su tre diversi tipi di

costi di compliance – i costi dello sfaff interno, costi esterni quali consultazione e

tasse sui software, e le tasse sulle valutazioni dei revisori.

La media dei costi totali stimata è aumentata da 1.9 milioni di dollari nella

valutazione di gennaio, a 3.1 milioni di dollari nella valutazione di luglio. Per gli

intervistati con un reddito annuale di 1 milione di dollari o più, la media dei costi

totali è cresciuta da 3.0 a 5.2 milioni di dollari. La media dei costi valutata è

aumentata per tutte e tre i tipi di costi, ma la proporzione per i diversi tipi di costo

è cambiata da gennaio a luglio. Gli intervistati a gennaio hanno visto che le tasse

attestate ammontano a circa il 30% dei costi totali, tale percentuale è scesa al 26%

nella valutazione di luglio. La media attesa delle tasse attestate dai revisori è stata

di 823,200 di dollari a luglio in confronto a 590,100 di dollari in gennaio. Per gli

intervistati con un reddito di 1 milione di dollari o più, la media delle tasse

attestate è stata stimata intorno a 1.33 milioni di dollari a luglio comparata con

0.92 milioni di dollari in gennaio.

Nel maggio del 2005, quattro grandi società contabili, Deloitte & Touche LLP,

Ernst & Young, KPMG e PricewaterhouseCoopers hanno rilasciato una ricerca105

♦ Costi per il raggiungimento della conformità alla legge;

condotta da CRA International sulle società degli Stati Uniti il cui campione

comprendeva società con un giro d’affari annuale di 2 bilioni di dollari 48%,

meno di 500 milioni di dollari 19% e fra 500 milioni e 2 bilioni di dollari 33%. La

survey, e la successiva discussione con i partecipanti, si è focalizzata in particolare

sugli aspetti seguenti:

♦ Benefici associati in particolare alla sec. 404 della SOA;

♦ Relazioni con i revisori esterni;

♦ Ruoli e responsabilità in riferimento ai Sistemi di Controllo Interno (SCI);

♦ Formazione e addestramento;

♦ Interrelazioni con i comitati di controllo interno;

♦ Costi di mantenimento e miglioramenti previsti.

105 Sarbanes-Oxley Section 404 Costs and Implementation Issues: Survey UpdateMay 2005

194

Nei primi due anni di applicazione della Sarbanes-Oxley Act, si sono verificati

numerosi impatti, non tutti positivi, in particolare riguardanti:.

♦ I costi, interni ed esterni;

♦ La complessita di applicazione delle norme non sempre esaustive;

♦ La definizione dei ruoli e responsabilità per il processo di monitoraggio;

♦ Le difficoltà di fronteggiare questi impatti, raggiungere gli obiettivi di

breve e medio termine ed al contempo far fruttare gli ingenti investimenti

effettuati.

Alla fine del secondo anno di applicazione integrale per le Società USA, stanno

però emergendo molti benefici, in particolare:

♦ La scoperta ed il conseguente uso di molte “features” già presenti, ma non

sfruttate nei Sistemi Informativi ed in particolare nei Sistemi ERP;

♦ Eliminazione di processi e/o controlli duplicati;

♦ Ottimizzazione dei cicli contabili;

♦ Elevazione della cultura aziendale in termini di “Governance” ed “Internal

Control”;

♦ Miglioramento della conoscenza da parte dei Board.

195

4.2.1 COSTI ELEVATI PER L’ADEMPIMENTO DELLA SEZIONE 404

Un gruppo di società di revisione, tra cui Deloitte & Touche, Ernest & Young,

KPMG e Pricewaterhouse Coopers, hanno chiesto (marzo 2005) al CRA

International Inc. di svolgere una indagine (“survey spring 2005”) e di rivedere i

dati relativi al costo di esecuzione della sec. 404 del Sarbanes-Oxley Act del

2002, per un campione di società (clienti delle società di revisione) “Fortune

1000” con capitalizzazione di borsa sopra i 700 milioni di dollari (Larger

Companies). A seguito di quel rapporto le società contabili chiesero al CRA di

controllare, per la sec. 404, i costi di esecuzione del secondo anno sia per le grandi

compagnie incluse nell’indagine della primavera 2005, che di un gruppo separato

di compagnie pubbliche più piccole con capitalizzazione di borsa tra i 75 milioni e

i 700 milioni di dollari (“Smaller Companies”).

L’indagine attuale, Spring 2006, aggiorna la precedente ricerca con i dati sui costi

e sui driver di costo, per l’anno due dell’applicazione della sez. 404 ed il numero

di debolezze materiali e di mancanze significative identificate. L’indagine Spring

2006 include un’analisi dei costi totali della sez. 404 e delle informazioni sulla

revisione contabile “audit fee” derivanti dalla documentazione contabile,

riguardante i compensi sostenuti dalla società per gli auditor esterni.

Per aiutare la comprensione, l’indagine distingue tra i costi totali della sec. 404 e

gli onorari per la revisione contabile tratti dai documenti contabili dell’azienda, di

cui una parte è attribuibile alla verifica di controllo interno relativa alla sec. 404 e

un’altra parte è attribuibile alla verifica dei rendiconti finanziari dell’emittente (e

altri servizi di revisione contabile, definiti dalle procedure finalizzate ad

assicurare il rispetto degli obblighi informativi).

Nella precedente ricerca, le stime dei costi di esecuzione e di implementazione

dell’anno due di attuazione della sez. 404, si basavano essenzialmente su

“proiezioni di costo”. Mentre, i costi sec. 404 “anno due” dell’indagine Spring

2006 si basano su dati di costo più accurati, poiché la gran parte del lavoro di

esecuzione della sec. 404 per l’anno due era completa o quasi, nel periodo

dell’indagine.

L’indagine Spring 2006 fornisce, per la prima volta, dati sui compensi per il

servizio di revisione contabile (totale) delle compagnie, che comprendono le

competenze per la revisione contabile dei rendiconti finanziari, audit del controllo

196

interno della sec. 404 ed altri servizi di revisione inclusi nell’“audit fees”

(compensi per l’attività di audit), come definito per gli scopi definiti dalle

procedure finalizzate ad assicurare il rispetto degli obblighi informativi.

Tavola 4.1 – Riassunto costi; risultati dell’indagine Spring 2006

Per le compagnie indagate (“subject companies”), le rivelazioni più importanti

sono:

♦ Mentre le competenze totali audit nei documenti di delega erano piatte o

leggermente diminuite, i costi della sec. 404 (inclusi i costi interni, i costi

di terze parti e di audit fees per la 404) diminuirono notevolmente,

scendendo del 30.7% per le Smaller Companies e del 43.9% per la Larger

Companies;

♦ Dei costi totali della sec 404 dell’anno due, i compensi per l’attività di

audit per la sec. 404 diminuirono in media del 20.6% per le Smaller

Companies e del 22.3% per le Larger Companies;

197

♦ Nell’anno due i compensi per l’attività di audit della sec. 404 sono stati

computati per il 39% dei costi totali della sec. 404 per le Smaller

Companies e del 33% per la Larger Companies.

Le società di revisione attribuiscono l’aumento delle competenze audit non-404 a

diversi fattori, incluso procedure audit addizionali richieste da nuovi standards

diversi dalla sec. 404, o in risposta a risultati di verifica; costi di salario più alti

dovuti ad una aumentata richiesta di personale contabile (incluso emittenti di titoli

e regulators); costi addizionali relativi alla compliance e ai sitemi di controllo

indipendenti; e i più alti costi di adozione delle practice.

Gli Auditor indipendenti che lavorano per le compagnie, attribuiscono le

diminuzioni dei costi della sec. 404 essenzialmente a efficienze come risultato

dell’effetto dell’apprendimento e degli sforzi della documentazione sostenuti nel

primo anno, che non fu necessario ripetere nel secondo anno.

Alla richiesta di definire i tre motivi principali per la riduzione dei costi, gli

auditor hanno indicato i seguenti fattori:

Maggiori efficienze ottenute dall’esperienza accumulata nel corso

dell’esecuzione. I test dei controlli dall’anno uno verso l’anno due, sono state

citate dal 38% degli auditor esterni per le Larger Companies e dal 49% per le

Small Companies come la più importante fonte della riduzione dei costi;

La riduzione della documentazione dall’anno uno all’anno due: è stata citata

dal 32% degli external auditors delle Grandi Compagnie e dal 26% di quelli

delle Piccole Compagnie come il maggior fattore rilevante per l’avvenuta

riduzione dei costi;

Una riduzione nell’uso di revisori esterni da parte delle compagnie: è stato

citato dall’8% delle Larger Companies e dal 13% delle Piccole società come il

principale responsabile della riduzione dei costi

In più, l’indagine Fall 2005 trovò che un’attesa diminuzione del numero dei

controlli chiave esaminati, i benefici dell’esperienza e maggiore fiducia nel lavoro

degli altri tenderebbe anche a ridurre i costi. Per le piccole società il numero dei

controlli chiave testati dagli auditors diminuì più del 21% in media da 262 a 206

dall’anno uno all’anno due. Per le Grandi Compagnie il numero medio dei

198

controlli chiave testati dall’audit è diminuito più del 19%, da 669 dell’anno uno, a

540 nell’anno due.

I management sia delle Grandi che delle Piccole Società, hanno anche ridotto la

propria verifica dei controlli chiave.

Gli auditor delle Piccole Compagnie hanno affermato di essersi fidati del lavoro

dei revisori interni alle società per il 22% dell’audit nel secondo anno, e dell 11%

nel primo. Per la Grandi Compagnie la fiducia nel lavoro dei revisori interni alle

società è aumentato dal 25% al 15% nell’anno due.

I dati della ricerca Spring 2006 indicano che per le società intervistate il numero

dei punti deboli reali e disavanzi significativi identificati dall’emittente di titoli e

dal contabile sono diminuiti nell’anno due rispetto all’anno uno. Le società di

revisione credono che ciò indica un generale miglioramento nell’internal controls

over financial reporting nelle società assoggettate alla ricerca.

Per le Piccole società, il numero dei reali punti deboli e delle mancanze

significative sono scesi da una media di 5.3 dell’anno uno all’1.3 nell’anno due,

mentre per le Grandi Compagnie sono scesi in media da 5.0 nell’anno uno a 2.5

nell’anno due.

È da più di tre anni che l’U.S. Congress ha decretato la SOA con l’intenzione di

ristabilire la fiducia nell’investitore. Negli ultimi due anni la sec. 404 ha richiesto

che il management di molte compagnie pubbliche e gli auditor indipendenti dalle

società riferiscano sull’efficacia del controllo interno delle compagnie sui report

finanziari (internal control over financial reporting).

Le quattro grandi società di revisione hanno chiesto al CRA di aiutarle a condurre

delle indagini periodiche per valutare alcuni orientamenti riguardanti l’esecuzione

della sec. 404. Ad oggi, CRA ha condotto tre di queste indagini. Tutte le indagini

coinvolgevano i dati di raccolta e di compilazione pertinenti ai cosi della sec. 404

e l’identificazione delle mancanze nel controllo interno.

Gli scopi primari dell’indagine Spring 2006 sono di:

Aggiornare le stime di costo per l’anno due dell’indagine Fall 2005 con i

dati forniti dopo il completamento dell’esecuzione della sec. 404 nell’anno

due per determinare la misura in cui le aspettative per la riduzione dei

costi della sec. 404, anno due, sono state realizzate;

Confrontare le variazioni nei costi totali per l’esecuzione della sec. 404

nell’anno due con le variazioni degli onorari degli auditor esterni, che

199

include sia le competenze per il lavoro su audit sec. 404, che le

competenze relative alla revisione contabile dei report finanziari e altri

servizi di audit che sono riportati come “audit fees”;

Fornire informazioni riguardanti i motivi della diminuzione dei costi di

attuazione della sec. 404 nell’anno due.

Per questo studio, la CRA International ha fornito a ciascuna società di revisione

due campioni a caso selezionati fra le Larger Companies e le Small Companies

clienti delle società di revisione. Le aziende assoggettate all’indagine sono le

stesse di quelle utilizzate per l’indagine Fall 2005. Ciascuna società di revisione

richiedeva, a turno, dei dati sui costi e sugli audit fees dagli audit teams delle

società assoggettate all’indagine. Ogni accounting firms fornì al CRA i dati sui

costi medi e le competenze audit per ciascuno dei due gruppi (Larger e Small

Companies). CRA ha calcolato le risposte medie per ciascuno dei gruppi

pertinenti attraverso le risposte delle società intervistate. Le medie delle società

assoggettate all’indagine fornite dalle società di revisione, costituiscono la base

dei dati utilizzati in questa survey.

Per quanto riguarda i costi medi di esecuzione delle Small Companies, come

dimostrato nella tavola, i dati dell’indagine spring 2006 mostrano che le

compagnie piccole, nella ricerca, hanno rilevato una notevole riduzione nei costi

totali della sec. 404 e anche nelle competenze audit esterne relative alla sec. 404

durante il secondo anno di esecuzione.

Scoperte significative per le piccole compagnie includono:

I costi totali della sec. 404 sono diminuiti ad una media di 860.000 dollari

nell’anno due rispetto a 1.24 milioni di dollari nel primo anno di

esecuzione; ciò significa una riduzione del 30.7%;

Le spese medie per l’audit fees esterne abbinate alle sec. 404 sono

diminuite del 20.6% nel secondo anno di esecuzione;

I costi totali di esecuzione dell’anno due rappresentano

approssimativamente lo 0.24% delle entrate medie delle compagnie per le

quali i dati furono raccolti, paragonato allo 0.38% delle entrate nel primo

anno. Le competenze audit nell’anno due per la sec. 404 rappresentano lo

0.09% delle entrate.

200

Tavola 4.2 – Confronto tra anno uno e anno due dei costi medi di esecuzione

della sec.404 per le Smaller Companies

Grafico 4.1 – Costi medi di esecuzione dell’Anno-Due per la sec. 404 per le

piccole società

Come dimostrato dalla tavola, la media dei compensi per i servizi di revisione sec.

404 sono scese da 423.000 dollari del primo anno di esecuzione a 336.000 dollari

nell’anno due. Nell’anno due, gli “audit fees” rappresentano il 39% dei costi medi

della sec. 404 per le piccole compagnie. I costi interni e le competenze di terze

parti (escluse le audit fees sec. 404) furono stimate per il rimanente 61% dei costi

totali della sec. 404.

CRA International ha inoltre analizzato i risultati di due sottogruppi di Smaller

Companies, quelle con una capitalizzazione di mercato inferiore a 125 milioni di

201

dollari e quelle con una capitalizzazione compresa tra 150 milioni e 700 milioni di

dollari.

La riduzione media nei costi totali della sec. 404 per il 2004/2005 per questi

sottogruppi, è stata simile alla riduzione media dell’intero campione delle Smaller

Companies; i costi totali della sec. 404 per le compagnie con capitalizzazione di

mercato da 125 milioni di dollari a 700 milioni, diminuirono nel 2004 del 29%, da

1.33 milioni di dollari a 0.94 milioni. Mentre i costi totali della sec. 404 per le

società con una capitalizzazione di mercato inferiore a 125 milioni di dollari

diminuirono nel 2005 del 42%, da 0.92 milioni a 0.53 milioni di dollari.

La ricerca Spring 2006, inoltre, effettuò un confronto dei risultati dell’indagine

con gli importi derivanti dai proxy materials (documenti contenenti i compensi

delle società di audit esterne). La tavola, mette a confronto i cambiamenti medi

dei costi totali della sec. 404 con le total audit fees in proxy materials (composte

sia dalla sec. 404 che non 404). Sebbene gli audit fees e i costi totali per la sec.

404 si siano ridotti notevolmente, le competenze audit totali nei proxy materials

hanno fatto registrare una riduzione più modesta. A differenza dei costi totali della

sec. 404, in cui tutte le categorie di costo diminuirono, la riduzione nelle

competenza audit esterne (incluse sia nei costi totali della sec. 404 che nelle

competenze audit), fu largamente compensata da aumenti nelle audit fees

collaterali (non sec. 404). Questo rapporto di compensazione si risolse in una lieve

diminuzione delle competenze audit totali incluse dei proxy materials.

Tavola 4.3 – Confronto dei cambiamenti nei costi totali della sec. 404 rispetto al

cambiamento degli audit fees totali per le piccole compagnie.

202

Per le Larger Company dai costi medi di esecuzione della sec. 404 come

dimostrato dalla tavola 4.4, emergono risultati significativi:

I costi totali della sec. 404 sono scesi da una media di 4.8 milioni di dollari

nell’anno due, rispetto agli 8.5 milioni di dollari sostenuti nel primo anno

di esecuzione, facendo registrare una riduzione dei costi medi sec. 404 del

43.9%;

I costi interni e di terze parti per la sec. 404 è diminuito circa il 50% ad

una media dei costi per l’anno due di 3.2 milioni di dollari;

Le spese medie sulle competenze sulle competenze audit sec. 404 sono

scese del 22.3%, da 2.02 milioni (anno uno) a 1.57 milioni di dollari

nell’anno due;

I costi totali dell’anno due, rappresentano circa lo 0.05% del reddito medio

delle compagnie per le quali sono stati raccolti i dati, paragonato allo

0.11% del primo anno. Mentre, gli audit fees per l’anno due rappresentano

lo 0.02% del reddito.

Tavola 4.4 - Confronto tra anno uno e anno due dei costi medi di esecuzione della

sec.404 per le Larger Companies

203

Grafico 4.2 – Costi medi di esecuzione dell’Anno-Due per la sec. 404 per le

Larger Companies

Come dimostrato dal grafico 4.2, gli audit fees sec. 404, hanno rappresentato per

le Larger Companies il 33% dei costi medi totali di esecuzione della sec. 404 nel

2005. I costi interni di audit ed i pagamenti degli auditor esterni (esclusi quelli per

la sec. 404) hanno rappresentato i 67 per cento restanti dei costi totali della parte

404.

Per quanto riguarda il confronto tra i risultati e gli importi dell’indagine derivanti

dai proxy materials, la tavola 4.5 paragona i costi totali della sec. 404 alle

competenze audit totali. Dalla tavola emerge la diminuzione del 22.3% nei costi

di verifica esterni della sec. 404 per le grandi aziende, che ha compensato gli

aumenti nelle tasse di verifica di rendiconto finanziario (financial reporting) in

modo che i costi di verifica integrati totali (costi compresi per altri servizi di

verifica) segnalate dai proxy materials fossero essenzialmente costanti dall'anno

uno all'anno due.

204

Tavola 4.5 - Confronto dei cambiamenti nei costi totali della sec. 404 rispetto al

cambiamento degli audit fees totali per le Larger Companies

L’indagine ha effettuato una classificazione dei driver più importanti che hanno

condotto al cambiamento dei costi dall’anno uno all’anno due. I risultati

dell’indagine per le Larger e Smaller Companies sono ricapitolati nella tavola 4.6.

I tre driver principali per i cambiamenti nei costi, sono identici per entrambi i

gruppi di aziende. Il primo driver si individua nella riduzione dei costi di

esecuzione nell’anno due rispetto all’anno uno dovuta all’esperienza accumulata

nell’implementazione e valutazione dei controlli interni. Il secondo driver

riguarda il fatto che la documentazione iniziale sostenuta nell’anno uno non deve

poi essere ripetuta nell’anno due. Il terzo e ultimo driver citato deriva da una

riduzione nell’uso di auditor esterni da parte delle Companies nell’anno due

Tavola 4.6 – Percentuali degli auditors nella classificazione dei principali Driver

di costo della riduzione dei costi di esecuzione dell’anno due

205

Inoltre, l’indagine Fall 2005, prevedeva che una diminuzione prevista nel numero

dei controlli chiave esaminati, poteva mettere in luce i benefici derivanti

dall’esperienze accumulate nel corso dell’implementazione, e che una maggiore

fiducia riposta nell’internal audit avrebbe contribuito a ridurre i costi di

implementazione.

4.3 I VANTAGGI DI GESTIRE LA COMPLIANCE CON PROCESSI

AUTOMATIZZATI DI AMMINISTRAZIONE DELLA FUNZIONE

Le aziende devono far fronte ogni giorno a rischi e sfide. Le interruzioni del

funzionamento dei sistemi, con conseguente perdita di dati e diminuzione della

credibilità, costano ogni anno ad aziende ed enti pubblici milioni di euro in utili

mancati. Non stupisce, dunque, che la sicurezza informatica sia diventata una

delle principali priorità. Le regolamentazioni aziendali e la legislazione industriale

hanno ampliato la responsabilità relativa alla sicurezza informatica, estendendola

alle massime cariche di un'organizzazione.

Per molti CEO e CIO, la gestione dei rischi relativi alla sicurezza informatica è

diventata, quindi, una nuova area di responsabilità, che richiede formazione e

linee guida. Proteggere un'infrastruttura aziendale, e tutto il patrimonio in essa

contenuto, senza sapere bene da dove iniziare, può risultare un compito

scoraggiante.

Le aziende si trovano ad affrontare, come mai prima d'ora, la necessità di

conformarsi ai rigidi requisiti che governano la sicurezza e l'integrità dei dati

aziendali strategici. Per soddisfare tali requisiti, le organizzazioni devono sapere

quali utenti dispongono dei diritti di accesso e a quali risorse, monitorare le

variazioni di tali accessi, registrare accuratamente i risultati e fornirne report

storicizzati.

Inoltre, le aziende devono essere in grado di rispondere, in modo rapido ed

efficace, alle eventuali deviazioni dai controlli del processo IT e aziendale. La

mancata risoluzione dei problemi che compromettono la conformità e l'efficacia

generale della sicurezza potrebbe comportare una responsabilità legale da parte

dell'organizzazione.

206

Per migliorare le prestazioni di controllo e garantire la conformità con le

normative di settore, ad esempio Sarbanes-Oxley, le organizzazioni stanno

ampliando il personale, stipulando contratti con consulenti e implementando

nuovi processi, molti dei quali manuali e complessi. Inoltre, le attività di

preparazione e di conduzione dei controlli possono essere costose e impegnative,

oltre a creare maggiore pressione e carico di lavoro per i team della sicurezza. Le

aziende devono poter raggiungere i loro obiettivi di sicurezza, controllo e

conformità utilizzando dei metodi che siano gestibili, ripetibili, sostenibili ed

economici a lungo termine.

Le esigenze di governo, sicurezza e controllo dell'informatica dell'impresa

bancaria e finanziaria sono sempre più pressanti. Le competenze e la

responsabilità per l'adempimento di queste esigenze ricadono su Centri di

competenza diversi, non sono dunque di esclusiva pertinenza dell'Unità IT.

Indipendentemente dall'organizzazione interna, e da chi è chiamato a garantire

l'osservanza delle condizioni quadro normative, la non-compliance ha delle

ripercussioni su quasi tutti gli ambiti operativi e comporta dei rischi giuridici,

reputazionali e di immagine importanti. Di conseguenza l'impresa bancaria e

finanziaria, anche quella di piccole e medie dimensioni, deve dotarsi di strutture

(organizzative e tecniche) e di strumenti al passo con le innumerevoli norme

legislative e di autoregolamentazione esistenti e in continuo sviluppo.

Sempre più le società IT presentano le soluzioni di It Compliance, una vasta

gamma di prodotti e servizi per la sicurezza e la disponibilità che aiutano i clienti

a ridurre il costo della conformità. Attraverso l’offerta delle tecnologie necessarie

per controllare e analizzare continuamente l’ambiente di controllo, le soluzioni di

It Compliance permettono ai clienti di monitorare efficacemente le proprie attività

verificando che siano conformi agli standard vigenti. La conformità del sistema

informatico aziendale non può più essere un evento occasionale, ma un processo

continuo ed automatizzato per poter ridurre i costi e limitare le inefficienze.

Secondo un’indagine condotta da Securitycompliance.com, le norme più rigide

volte a controllare la riservatezza e la protezione dei dati, influenzano il 60% delle

aziende, dalle piccole imprese alle grandi realtà multinazionali.

207

Come emerge da uno Studio Multi-client di IDC 2005 intitolato “Le priorità della

conformità106

L’offerta di servizi IT permette ai clienti di ridurre il costo della compliance

automatizzandone alcuni aspetti, come ad esempio: la gestione e l’attuazione delle

policy, la valutazione dei controlli, la raccolta di dati da diverse fonti di analisi, tra

cui prodotti di sicurezza e disponibilità e la conservazione dei documenti,

fornendo una visione completa della conformità delle aziende e dei relativi clienti.

In questo modo, le società di servizi IT limitano la necessità dei propri clienti di

rivolgersi a diversi titolari e responsabili dei dati per reperire queste informazioni,

poiché i dati sono raccolti in modo coerente e sostenibile, riducendo in tal modo le

imprecisioni.

” e condotto da Vivian Tero, senior research analyst compliance

infrastructure, più dell’80% delle aziende intervistate sono concordi

nell’affermare che non è possibile affrontare la conformità senza essere dotati di

una soluzione automatizzata per la gestione della documentazione e dei processi,

comprese alcune operazioni collegate come la valutazione e l’esecuzione di

controlli e log degli eventi.

Al fine di accorciare ulteriormente i tempi e i costi associati alla gestione della

compliance, le soluzioni di IT compliance centralizzano le informazioni ottenute

tramite le diverse attività, migliorando il processo decisionale e dimostrando con

sicurezza una conformità costante. Tali società di servizi IT, attraverso una

valutazione, è in grado di automatizzare la gestione della conformità integrando

diverse fonti e generando rapporti che misurano e dimostrano l’adeguamento a

diverse norme, standard e direttive, come ad esempio Sarbanes Oxley, HIPAA e

PCI.

L’offerta per l’IT Compliance aiuta le società clienti a definire, controllare e

governare le operazioni volte al raggiungimento della conformità informatica.

Queste attività cominciano con l’analisi dei requisiti del business, la definizione

degli obiettivi di controllo e la valutazione del rischio. Le policy allineate con gli

obiettivi del business vengono automaticamente mappate in base a varie norme,

quadri normativi e standard e, in seguito, distribuite agli utenti perché le

approvino.

Al fine di garantire un’ulteriore riduzione dei tempi e dei costi associati alla

conformità alle policy, l’IT compliance effettua il collaudo automatico dei

106 Vivian Tero, Compliance in Information Management Forum West Survey: “End-User Attitudes and Investment Priorities”, July 2006, IDC International Data Group.

208

controlli informatici e integra varie fonti di informazioni. I dati vengono raccolti

in maniera coerente e sostenibile, riducendo le imprecisioni. Le soluzioni per l’It

Compliance permettono ai clienti di redigere e pubblicare rapporti che attestino la

loro attenzione verso la conformità e che consentano di ricevere consigli per

migliorare l’ambiente di controllo. Tali soluzioni, inoltre, forniscono indicazioni

per stabilire le priorità in base al rischio ed attuare i rimedi in base a dati raccolti

attraverso la rete d’informazioni sulla sicurezza.

Molte leggi e regolamentazioni adottate nello scorso decennio impongono

requisiti di sicurezza per aziende e agenzie governative. Alcune di queste, come la

normativa HIPAA (Health Insurance Portability and Accountability Act), la

California SB 1386 e la Direttiva Europea sulla Privacy, fanno riferimento alla

privacy dei consumatori. Altre, come la normativa Sarbanes-Oxley Act, si

concentrano sull'inviolabilità dei dati e sui sistemi sicuri di archiviazione e

reporting.

Altre ancora devono entrare in vigore; ad esempio i requisiti e gli standard stabiliti

nell'Accordo di Basilea II, che dovranno essere implementati nel 2007 e la

versione giapponese del Sarbanes-Oxley Act che entrerà in vigore solo nel 2008.

Tuttavia, rileva Gartner, nessuna di queste regolamentazioni definisce l’attenzione

dovuta nell’ambito della sicurezza e non esiste alcuna forma di certificazione che

garantisca che un prodotto o un servizio consentirà a un'organizzazione di

raggiungere una condizione di conformità10. Inoltre, secondo Forrester, benché i

requisiti di conformità per molte imprese richiedano di adottare misure sempre più

severe rispetto al passato per proteggere i dati privati memorizzati nei database, le

normative che stabiliscono queste regole non offrono strategie, né suggeriscono

best practice o linee guida per affrontare le sfide riguardanti la sicurezza107

Di conseguenza, molte organizzazioni arrancano ancora nel comprendere le

numerose normative che potrebbero riguardarle, e le loro implicazioni in termini

aziendali

.

108

107 “Trends 2006: DBMS Security”, Forrester Research, Inc., 2005

. Poiché le odierne organizzazioni sono, in misura crescente,

dipendenti dai sistemi informatici, la tecnologia riveste un ruolo chiave in

iniziative strategiche riguardanti la conformità, per assicurare la sostenibilità di

processi legati alla conformità, mitigare i rischi e gestire i costi correnti. In

108 “Worldwide Outbound Content Compliance 2005 – 2009 Forecast and Analysis: IT Security Turns Inside Out”, IDC, 2005

209

generale, le normative si concentrano sulle attribuzioni di responsabilità e sul

controllo all'interno dell'azienda, principalmente attraverso la disciplina dei

processi e la governance aziendale, e spesso sono implementate nell'IT.

Solitamente i requisiti di conformità comprendono:

l'uso di sistemi di autenticazione per assicurare l'identità e l'autorizzazione

degli utenti;

limitazioni di accesso alle informazioni:

privacy dei dati personali;

ripartizione delle responsabilità tra utenti e gruppi per limitare gli abusi;

procedure di auditing, solitamente richieste per dimostrare la conformità e

comprendenti requisiti per livelli appropriati di reporting.

Le difficoltà e i costi di implementazione della conformità sono inaspriti dal fatto

che molte organizzazioni hanno un'infrastruttura informatica estremamente

distribuita, comprendente sistemi, dispositivi e dati sparsi per tutta l'impresa.

Queste non sono considerazioni banali. Malgrado il fatto che le scadenze per la

conformità non siano sempre certe, alcuni aspetti delle iniziative sono alquanto

chiari, come ad esempio le sostanziali multe in cui si incorre in caso di non

conformità, comprendenti spesso la responsabilità personale per i dirigenti

dell'azienda. Occorre anche sottolineare che incidenti legati alla perdita della

sicurezza informatica possono minare la fiducia dei clienti, causare un danno

d’immagine e perdita di profitti, avere un impatto negativo sul valore delle azioni

e dare adito ad azioni legali collettive109

.

4.4 COMPLIANCE SOSTENIBILE, UN APPROCCIO STRATEGICO

GENERA BENEFICI

Nello scenario complesso del mercato si confrontano e si scontrano diversi

approcci culturali; da un lato la complessità come fattore di rischio che

contribuisce a rendere la struttura aziendale labile, dall’altra la complessità come

fattore di crescita, in grado di proporre opportunità la cui evidenza, spesso, è data

109 “Eight Steps Needed to Define Reasonable Security”, Gartner, Inc., 2005

210

solo a chi sa sviluppare una cultura d’impresa capace di unire piuttosto che

separare. Questa dicotomia culturale si riflette nelle scelte delle soluzioni

tecnologiche. Il governo della compliance, per esempio, è un caso emblematico; a

fronte di una base normativa identica per tutti i soggetti coinvolti, diverse sono le

modalità di applicazione, in funzione dei rischi individuati e della capacità di

cogliere nelle procedure imposte spunti di innovazione organizzativa. Concepire

in questi termini la Sarbanes-Oxley Act, il testo unico sulla Privacy, oppure

Basilea 2, o ancora la certificazione di qualità ISO, potrebbe rivelarsi una via per

l’innovazione, trasformando i costi in investimenti. Sono proprio i costi di

adeguamento normativo caricati sulle aziende a essere fonte di preoccupazione

per gli imprenditori e il management. Difficile stimarli; negli Stati Uniti però,

dove il tempo trascorso dall’introduzione del Sarbanes Oxley Act (SOA) è ormai

significativo, sono già disponibili alcune valutazioni d’impatto della nuova norma

sui costi aziendali, stime che comprendono i costi di audit interno ed esterno, le

attività di controllo e monitoraggio necessarie per adeguarsi alla sezione 404 della

SOA.

Secondo Gartner110

Il contenimento dei costi registrato nel corso del tempo dall’attuazione di queste

regolamentazioni è anche il frutto dell’automazione dei processi, in particolare

quelli interni di controllo e monitoraggio che individuano le non conformità e

quelli di auditing. L’allineamento tra tecnologia e business di cui tante volte si è

parlato diventa allineamento con il processo di compliance, nella consapevolezza

che non esiste una soluzione valida per tutte le aziende, sebbene si vadano

sviluppando software per il compliance management, finalizzati appunto

all’automazione dei controlli interni, del workflow, del reporting.

le società che hanno scelto singole soluzioni per ogni sfida

proposta dall’ingresso di nuove norme spenderanno dieci volte di più nei progetti

di compliance rispetto a quelle che hanno preferito un approccio proattivo e

programmatico.

La maggiore vigilanza dei governi e delle autorità di controllo sull’attività delle

aziende rappresenta un nuovo costo di esercizio e può assumere proporzioni

considerevoli. Se si esaminano queste spese, si effettua una mappatura delle

norme a cui le aziende devono conformarsi e si esplorano i componenti comuni a

molte di queste regole, l’esigenza di elaborare una strategia di adeguamento

110 Fonte French Caldwell, Simplifying Compliance: key technologies and best practices, Symposium 2005, Barcellona.

211

proattiva emerge in tutta la sua urgenza. Per raggiungere questi obiettivi, occorre

modificare i processi di governance e i sistemi tecnologici aziendali non solo per

rispondere rapidamente all’insorgenza di nuove regole, ma anche per acquisire un

vantaggio competitivo e un livello più elevato di efficienza IT.

L’analista di Gartner Brian Wood in occasione del Gartner Symposium/ITxpo

2004 ha dichiarato “Un’architettura per la conformità non richiede

necessariamente nuovi investimenti in software e un’implementazione immediata

su scala aziendale. La maggior parte delle organizzazioni dispone già di una

buona parte degli strumenti software necessari.” Secondo la società di ricerca, gli

stessi principi valgono anche per quanto riguarda l’adeguamento all’accordo

Basilea II e ad altre normative.

Gli analisti di Gartner hanno espresso altre rassicurazioni nel corso di questo

evento, sottolineando che qualunque azienda che disponga di un solido piano di

sicurezza e di business continuity, di un sistema di gestione dei documenti e di un

sistema di gestione dei servizi aziendali possiede le basi fondamentali per

un’architettura della conformità.

Istituendo un’architettura di questo tipo, le aziende possono ridurre il costo della

conformità alle normative in quanto “si elimina l’esigenza di assumere revisori o

consulenti esterni ogni volta che viene varata una nuova legge”, dichiara l’analista

di Gartner Rich Mogull. John Hagerty, esperto di conformità presso la AMR

Research di Boston, è d’accordo con questa tesi. “Se l’adeguamento alle nuove

norme viene gestito isolatamente di volta in volta, i costi risultano enormemente

superiori”, dichiara Hagerty, che a febbraio ha pubblicato una relazione,

“Planning for a Sustainable Active Compliance Architecture”, in cui la

conformità alle normative viene definita “un obiettivo strategico, non un semplice

insieme di progetti tattici”.

Secondo una ricerca condotta da Mercury111 in collaborazione con The

Economist112

111 Sustainable Compliance – Industry regulation and the role of it governance, A survey and white paper produced by Mercury in cooperation with the economist intelligence unit

Intelligence Unit, una inondazione di regolamentazioni sta forzando

il settore dell’IT nella ricerca di nuove strategie orientate a minimizzare le

112 The Economist Business Unit è una divisione del gruppo The Economist. Le aziende del gruppo includono il giornale The Economist, CFO Magazine e di altre pubblicazioni specialistiche.

212

difficoltà ed incrementare i benefici del richiamo alla conformità regolatrice

(regulatory compliance).

Un'indagine di 808 professionisti IT negli Stati Uniti, nell'Europa, Medio Oriente

e Africa (EMEA) e nell’Asia-Pacifico rivela quali regole stanno avendo un

maggiore impatto sulle operazioni IT e come i CIO ed i manager dell’IT stanno

cercando di rispondere a queste sfide. L'indagine ed un certo numero di interviste

approfondite condotte per questo rapporto, hanno mostrato che molte

organizzazioni sperano di trasformare la compliance da una costosa difficoltà ad

un beneficio per gli affari.

I risultati chiave della ricerca includono quanto segue:

1) La compliance porterà a difficoltà sempre maggiori e continue sulle

operazioni IT. Gli intervistati dell’indagine negli Stati Uniti, stanno

procedendo velocemente per rispondere alle esigenze del Sarbanes-Oxley

Act, mentre i board dell'Asia pacifico e di EMEA113

sono maggiormente

focalizzati sui principi internazionali di contabilità (IAS - International

Accounting Standards). Ma mentre l’impulso regolatore alla conformità

differisce a secondo del paese o dell'industria interessata, la globalità delle

aziende sono d’accordo che la compliance è una sfida significativa per l’IT

e che continuerà ad assorbire le sue risorse per molti anni ancora.

2) L'obiettivo è di trasformare la compliance da costo puro a beneficio

aggiunto. Le aziende sperano di ottenere una serie di benefici dalla

compliance, attraverso un più accurato report finanziario, una migliore

visibilità dei rischi e una migliore IT governance. Ma questi obiettivi

saranno contrastati, a meno che i progetti di conformità non siano gestiti e

controllati correttamente ed efficacemente. Questo è già un problema per

molte aziende, nell'indagine il 40% dei quadri IT protestano che la

mancanza di un budget è un ostacolo importante al buon esito della

compliance.

3) l’IT governance deve svilupparsi per minimizzare il costo ed il rischio

della conformità. I progetti di compliance richiedono cambiamenti per il

113 EMEA, Europe, Middle East and Africa, Europa, Medio Oriente e Africa

213

processo di business e nelle moderne organizzazioni ciò significa

modificare i sistemi e le applicazioni IT. Per ridurre il costo ed il rischio

dei progetti IT compliance, occorre che le aziende sviluppino una struttura

di governo IT che faccia in modo che le nuove richieste regolatrici

vengano soddisfatte dall’organizzazione senza notevoli sforzi, come quelli

sostenuti nell’affrontare le regolamentazioni singolarmente.

I nuovi scandali che hanno colpito la corporate governance, e con il business

globale che opera sotto diverse giurisdizioni, la direzione verso maggiori controlli

sembra che debba continuare. Il massiccio carico di lavoro necessario per

adempiere alle richieste di norme diverse, unitamente all’aumento delle pene

sempre più severe, comporta per molte aziende un peso che spesso non riescono a

sostenere; ciò implica la necessità che gli esecutivi IT trovino un approccio più

sostenibile per la conformità. Questa ricerca dimostra che i piani a lungo termine

ed un governo IT forte, saranno la chiave per questo sforzo.

Per ciò che riguarda l’impatto della compliance, un numero crescente di norme

hanno trasformato la sfida della conformità in un problema maggiore per gli

executives IT globali di oggi. Nell’indagine molte aziende sono state prese da

problemi regolatori, e le grandi organizzazioni citano in particolare la regulatory

compliance come una delle principali sfide per la gestione IT.

Infine, per le aziende rispondenti con un giro d’affari superiore a 8 bilioni di

dollari, la conformità si colloca come una delle più grandi sfide correnti che

affronta IT per più dell’80% delle maggiori compagnie nella regione dell’Asia

Pacifica, per il 45% delle maggiori compagnie EMEA, per il 74% di tutte le

compagnie degli Stati Uniti.

214

Grafico 4.3 – Quali attività rappresentano la maggiore sfida per l’IT management

nell’organizzazione

L’importanza crescente della conformità come un problema per i managers IT,

riflette il ruolo vitale che il dipartimento IT ha nei progetti di compliance. Il focus

per gli esecutivi IT varia da industria a industria e da paese a paese; per esempio,

il 68% delle società rispondenti negli Stati Uniti hanno detto che la Sarbanes-

Oxley Act avrebbe un maggiore impatto nelle proprie operazioni IT, mentre i

principi IAS (standard internazionali di contabilità) e la conformità normativa

specifica del paese ha maggiormente occupato la mente degli esecutivi IT

nell’EMEA e APAC. Quello che la maggior parte di queste norme hanno in

comune, comunque, è che hanno maggiori diramazioni per come i processi

informativi delle organizzazioni richiedano personale e maggiori spese. Il

Sarbanes-Oxley Act e lo IAS sfidano le organizzazioni per creare le strutture,

controlli e bilanci per assicurare una maggiore trasparenza nei report finanziari.

Importante, sebbene SOA, IAS e Basilea II siano presenti in particolari mercati, è

la riservatezza dei dati che emerge come il problema più grande per i dipartimenti

IT su una base globale. Il 70% delle società rispondenti degli Stati Uniti, il 55% di

quelli dall’Asia Pacifica ed il 48% dalla regione EMEA hanno identificato la

riservatezza dei dati come la loro preoccupazione chiave della regulatory

compliance.

215

Grafico 4.4 – Le regolamentazioni che avranno un maggior impatto sulle

operazioni IT nei prossimi tre anni

Le pene imposte per la non-compliance della riservatezza sui dati va oltre le

sanzioni previste dalla legge. Nel 2005, un grande servizio stampa insieme alla

business information rivelò pubblicamente che alcuni ladri informatici erano

entrati nei sistemi IT ed avevano accesso alle informazioni sulla sicurezza sociale

e sulle patenti di guida degli Stati Uniti di più di 300.000 persone. Nonostante la

potenziale sanzione regolatoria per non aver protetto queste informazioni

personali, l’azienda sta combattendo per ridurre il danno al suo marchio ed alla

reputazione.

Questo esempio illustra l’ulteriore rischio che le moderne aziende affrontano in un

mondo dove ogni scandalo o fallimento derivante da una mancata regulatory

compliance è altamente visibile ai clienti ed al pubblico in generale. Di

conseguenza, la conformità si è sviluppata oltre il semplice rispetto di un obbligo

normativo per abbracciare una politica di maggiore controllo interno eseguita

dall’IT.

Per i dipartimenti IT, le nuove richieste di report stanno portando un cambiamento

verso i sistemi che sono diventati più formali, più orientati verso il processo, più

documentati di prima. Creando una struttura organizzativa per gestire le richieste

complesse, i progetti di conformità a più facce stanno mostrando di essere una

sfida maggiore per le aziende ed i loro dipartimenti.

“quello di cui si ha bisogno è una struttura governativa che sia riutilizzabile e

stabile attraverso i cambiamenti nella legge e cambiamenti nella strategia

216

dell’azienda”, dice il Dott. Peter Weill, direttore del centro per Information

System Research all’istituto di tecnologia del Massachussetts (MIT). “Senza tener

conto se si parla di conformità o altri processi di business, lo scopo è che la

struttura governativa non deve essere rifatta ogni volta che c’è un cambiamento o

un colpo esterno”.

Se l’IT può gestire effettivamente la conformità, l’indagine suggerisce che le

aziende dovrebbero essere anche in grado di trasformare il peso di norme in

maggiori benefici per gli affari. Secondo l’indagine, tre casi (report finanziari,

governo IT e miglioramenti del processo di affari), si distinguono come benefici

significativi della conformità. Di tutti e tre, quello finanziario è stato considerato il

beneficio dominante., con il 54% delle società USA, il 60% di EMEA ed il 66%

di APAC, credendo che report finanziari più accurati emergerebbero da iniziative

di conformità delle aziende.

Secondo Bob Suh, partner di gestione per la strategia tecnologica ad Accenture,

un problema del governo IT nel contesto della conformità è un report finanziario

tangibile e trasparente. “Siete un’azienda che si interessa a come fare soldi?” Ha

chiesto Suh. “Sembra banale, ma occorre che le compagnie riconoscano che le

loro abilità nel lasciare informazioni per adempiere ad una richiesta di

conformità dipenda da come le aziende gestiscono i processi di business prima di

tutto”.

Grafico 4.5 – Quali saranno le iniziative di compliance che riguarderanno le

diverse aree di business

217

Un miglior controllo sull’IT, miglioramenti di processo e maggiore visibilità del

rischio delle imprese sono stati gli altri benefici principali derivanti dalla

compliance. Senza badare alle differenze di regione, l’indagine fa credere

fortemente che ci si aspetta di vedere dei benefici tangibili della compliance e

dalle iniziative del governo IT, oltre ad affrontare le responsabilità sancite dalla

legge.

Usando i processi e gli strumenti appropriati, un’azienda può reagire rapidamente

ogni volta e ovunque venga varato un nuovo insieme di norme. Già di per sé,

questo approccio può fornire un vantaggio competitivo, poiché consente di

focalizzarsi sull’attività aziendale, mentre i concorrenti cercano ancora di

adeguarsi alle ultime regole. In più, il monitoraggio delle informazioni per scopi

normativi migliora anche le conoscenze dell’azienda sui clienti, sui partner

commerciali e sull’ambiente competitivo.

Quindi per realizzare un programma di conformità sostenibile, le società devono

creare un'infrastruttura di conformità su tre livelli, che consenta l'adozione di

azioni affidabili e ripetibili;

1) Unificare le risorse umane:

a. Creare ex novo o ridisegnare ruoli e incarichi per la

definizione e l'assegnazione delle responsabilità in materia

di conformità e divulgazione delle informazioni;

b. Stabilire iniziative formative, inclusi nuovi programmi e

standard;

c. Favorire un sistema di comunicazione variato e aperto in

seno all'intera organizzazione

2) Migliorare i processi:

a. Definire processi per la valutazione, la verifica,

l'ottimizzazione, il monitoraggio e la certificazione dei

controlli interni su base trimestrale e annua;

b. Integrare le attività di identificazione dei rischi, di

valutazione dei controlli e di monitoraggio nell'ambito della

gestione quotidiana dei controlli interni;Migliorare la

c. comprensione dei processi aziendali;

d. Stabilire processi guida per la gestione della conformità.

218

3) Ottimizzare la tecnologia:

a. Valutare e implementare fattori tecnologici a supporto della

gestione dei controlli interni;

b. Progettare e implementare tecnologie migliorative dei

processi di controllo e di monitoraggio;

c. Implementare un cruscotto aziendale che fornisca un

quadro delle informazioni di controllo e di monitoraggio

finanziario e dei processi interni, dei parametri di qualità e

dello stato di conformità normativa;

d. Sviluppare capacità di monitoraggio, reporting e analisi in

tempo reale;

e. Sfruttamento delle tecnologie esistenti e/o implementazione

di nuove tecnologie.

Per quanto riguarda i vantaggi della conformità normativa in termini di gestione,

un approccio proattivo, coerente ed esaustivo alla conformità può aiutare ad

acquisire maggiori efficienze e a ridurre i costi, attraverso un triplice

miglioramento delle prestazioni aziendali:

1) Riducendo i rischi:

a. Riduzione degli eventi critici nell'ambito delle pubbliche relazioni;

b. Riduzione delle violazioni minori alla sicurezza, con conseguente

risparmio di risorse;

c. Visione più chiara della situazione aziendale per una reattività più

appropriata;

d. Maggiore agilità;

2) Favorendo l'efficienza:

a. Migliore comprensione e ottimizzazione dei processi di controllo interno

esistenti;

b. Riduzione del carico sulle risorse di help desk (fino al 50% delle richieste

di assistenza riguarda la reimpostazione delle password);

c. Maggiore produttività del personale, che accede più rapidamente alle

applicazioni interne grazie al provisioning automatico degli account;

219

d. Riduzione dei costi operativi (la gestione centralizzata di tutte le identità e

degli accessi degli utenti riduce i costi amministrativi);

3) Aumentando l'efficacia:

a. Migliore comprensione e ottimizzazione dei processi di controllo interno

esistenti;

b. Migliore accesso a informazioni aggiornate con conseguente

ottimizzazione delle attività di definizione del budget, di pianificazione e

di analisi;

c. Maggiore competitività;

d. Processo decisionale più efficiente;

e. Maggiore agilità nel cogliere le nuove opportunità;

f. Automazione dei controlli per una maggiore trasparenza.

220

CONCLUSIONI

La funzione Compliance coinvolge un ambito ampio e diversificato nella gestione

e nelle attività di una azienda; ad essa si attribuisce una missione particolarmente

onerosa, ossia quella di assicurare l’individuazione e la valutazione dei rischi che

comportano sanzioni legali, perdite finanziare e di reputazione per il mancato

rispetto di leggi, regolamenti, procedure, codici interni e best practices e quella di

curare gli aspetti etici e comportamentali che l’azienda deve sostenere.

É generale l’idea che i costi di adeguamento rappresentino fondo perduto; per

questo l’approccio alla cosiddetta “regulatory compliance” deve essere

programmatico, agendo sul supporto organizzativo, sul controllo di processo e

sulla metodologia e sul controllo dei contenuti, in modo che gli sforzi profusi

vengano spalmati sull’intera struttura aziendale e siano la base su cui edificare un

nuovo vantaggio competitivo, oltre che, nel tempo, una fonte di

ridimensionamento dei costi.

Secondo Gartner (fonte French Caldwell, Simplifying Compliance: key

technologies and best practices, Symposium 2005, Barcellona) le società che

hanno scelto singole soluzioni per ogni sfida proposta dall’ingresso di nuove

norme, spenderanno dieci volte di più nei progetti di compliance rispetto a quelle

che hanno preferito un approccio olistico, proattivo e programmatico.

Il contenimento dei costi è anche il frutto dell’automazione dei processi, in

particolare quelli interni di controllo e monitoraggio che individuano le non

conformità e quelli di auditing.

Come emerge dalla Survey di CRA International, Spring 2006, i tre driver

principali per la riduzione dei costi sono individuabili nella riduzione dei costi di

esecuzione riscontrati nel secondo anno di implementazione della Sec. 404,

dovuta all’esperienza accumulata nella realizzazione e valutazione dei controlli

interni. Il secondo driver riguarda il fatto che la documentazione iniziale sostenuta

nel primo anno di implementazione non deve poi essere ripetuta nell’anno due. Il

terzo e ultimo driver citato deriva da una riduzione nell’uso di auditor esterni da

parte delle Companies nell’anno due.

I costi di adeguamento normativo caricati sulle aziende sono comunque fonte di

preoccupazione per gli imprenditori e per il management. Ma a fronte degli

ingenti costi sostenuti nei primi anni di attuazione della SOA, si stanno ora

221

verificando i benefici, come rilevato dall’indagine della CRA Spring 2006. Oltre

all’accresciuta fiducia degli azionisti nei resoconti finanziari, ad una maggior

trasparenza delle società e dei dati finanziari resi più attendibili dai sistemi di

controllo interno, altri benefici sono riscontrabili nella scoperta ed il conseguente

uso di molte caratteristiche, “features,” già presenti, ma non sfruttate nei Sistemi

Informativi, nelll’eliminazione dei processi e dei controlli duplicati,

nell’ottimizzazione dei cicli contabili, nell’elevazione della cultura aziendale in

termini di “Governance” ed “Internal Control” ed infine un miglioramento

dell’attenzione alla compliance da parte dei Board.

Alcune disponibili valutazioni dell’impatto del Sarbanes-Oxley Act del 2002 sui

costi aziendali registrano stime comprendenti i costi dell’audit interno ed esterno e

delle attività di controllo e di monitoraggio necessarie per l’adeguamento alla

sezione 404 della SOA; questa è risultata, da più indagini, essere una delle cause

dei crescenti costi che le imprese sostengono per implementare la funzione.

Il CFO MAGAZINE in un articolo, “Sticker Shock: The True Cost of Sarbane-

Oxley Compliance”, riporta i risultati di un’indagine in cui molti managers

sostengono che i costi di compliance sono eccessivi.

Come è vero che una parte della legislazione così complessa come il Sarbanes-

Oxley Act ha portato inevitabilmente delle conseguenze inattese, è anche vero che

non tutti i risultati conseguiti sono contrari all’intento dell’Act. Ci sono valide

preoccupazioni sui costi riguardanti la sezione 404, e probabilmente è vero che

non è stata data abbastanza considerazione a tali costi, quando è stata approvata la

legislazione; in parte perché non è stata compresa in anticipo l’importante natura

di quelle disposizioni.

Per tali motivi la Securities and Exchange Commission (SEC, la Consob

statunitense) proporrà entro dicembre 2006 una proposta più flessibile della

sezione 404 della Sarbanes-Oxley Act. Secondo quanto scrive il Wall Street

Journal, il lungo dibattito per rivedere le rigidità della legge anti-scandalo, finita

nel mirino perché scoraggia tra l'altro le nuove quotazioni a Wall Street (a favore

di Londra e Hong Kong), starebbe quindi per produrre i primi effetti visto che la

SEC lavorerà con la Public Company Accounting Oversight Board (l'agenzia che

ha la supervisione delle società di revisione) per definire alcune modifiche agli

standard (i cosiddetti AS2) seguiti per valutare l'adeguatezza dei conti aziendali.

222

Proprio questi schemi particolarmente rigidi si sono tradotti in una crescita

piuttosto sostenuta degli oneri a carico delle aziende. Il numero uno della SEC,

Christopher Cox, ha messo in moto il meccanismo di revisione, scrivendo alla

commissione di supervisione con l'auspicio che siano adottate regole contabili

capaci di rispettare di più le dimensioni dei gruppi.

La via per l’interpretazione di questa sezione sta crescendo e prendendo una

propria vita, generando un’intera nuova industria di controlli sui resoconti

finanziari. Oggi le imprese sono molto più complesse e tecnologicamente

dipendenti rispetto al passato. Questo suggerisce che i modi con cui devono essere

controllate necessitano di essere riorganizzati.

Per tale motivo gli attori del mercato ed i players internazionali stanno

espandendo le loro attività di compliance per migliorare l’implementazione dei

processi delle loro imprese

Gran parte dei senior management non vede più la funzione compliance come

necessaria solamente per rispondere alle esigenze regolatrici. Le imprese

internazionali sono andate oltre i requisiti minimi regolatori al fine di sviluppare

strutture di compliance che migliorino il modo di operare all’interno del mercato,

riconoscendo che questa funzione possa creare valore aggiunto

all’organizzazione.

Creare valore per l’azienda significa che la funzione compliance è vista come una

funzione che non costituisce unicamente un Centro di Costo, ma che riesce invece

a creare un vero valore aggiunto, sia tramite il delivery che la funzione è in grado

di erogare direttamente, sia attraverso le competenze indotte, capaci di creare un

ambiente protetto nei confronti dei rischi che gravano sull’intera Azienda. Si

viene così a creare uno “shift” culturale necessario per affrontare in modo

consapevole i rischi operativi, riuscendo ad acquistare il riconoscimento da parte

degli stakeholder ed essere percepito come una funzione capace di garantire

modalità sicure per fare business.

Il senior management capisce che la responsabilità della conformità non può

essere delegata alla funzione di compliance. Riconosce non soltanto che

l’amministrazione del rischio di reputazione è cruciale per il successo degli affari

in un mercato che muta continuamente secondo le esigenze dell’odierno

consumatore, ma anche l’importanza della compliance finalizzata ad un

posizionamento strategico.

223

La regulatory compliance sta muovendosi fino all’ordine del giorno del board e

deve rimanere a quel livello. Molti players internazionali, si sono resi conto della

molteplicità di contingenze che devono essere fronteggiate, e stanno investendo

nella compliance al fine di mantenere la sopravvivenza dell’organizzazione, in

quanto solo un efficiente ed efficace utilizzo di una funzione compliance

sostenibile comporta per l’azienda un vantaggio competitivo.

Questo risonoscimento porterà ad un’armonizzazione degli standard regolatori e

guiderà le imprese verso il raggiungimento della “best practice”.

224

APPENDICE n 1:

Lista delle sezioni del SARBANES OXLEY ACT OF 2002

225

226

APPENDICE n 2:

Contenuto della sezione 404 del Sarbanes-Oxley Act

227

BILIOGRAFIA

1. LA FUNZIONE COMPLIANCE

Funzione compliance: attività e indicatori di performance, Mauro

Chicchinè Presidente Dexia Crediop

Progetto Q-RES: La qualità della responsabilità etico-sociale d’impresa,

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Prepared by: INECE Expert Working Group on Environmental

Compliance and Enforcement Indicators 22 OCTOBER 2003

Banca d’Italia, Vigilanza Creditizia e Finanziaria, NORMATIVA DI

VIGILANZA IN MATERIA DI “CONFORMITA’ ALLE NORME

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