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Università degli studi di Pisa Facoltà di Agraria Corso di Laurea Specialistica in Agricoltura Biologica Tesi di Laurea: “Determinazione dell’ocratossina A in prodotti derivati da suini allevati con metodo biologico” CANDIDATA: RELATORI: Milena Tolomeo Prof. Alessandro Pistoia Dott. ssa Valentina Meucci Anno Accademico 2006/2007

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Università degli studi di Pisa

Facoltà di Agraria

Corso di Laurea Specialistica in Agricoltura Biologica

Tesi di Laurea:

“Determinazione dell’ocratossina A in prodotti derivati da suini allevati con metodo biologico”

CANDIDATA: RELATORI:

Milena Tolomeo Prof. Alessandro Pistoia

Dott. ssa Valentina Meucci

Anno Accademico 2006/2007

Ai miei genitori

INDICE

1. INTRODUZIONE 1

1.1 LE MICOTOSSINE 1 1.1.1 Aspetti generali 1 1.1.2 Cenni storici 2 1.1.3 Miceti produttori di micotossine 2 1.1.4 Contaminazione degli alimenti 5 1.1.5 Effetti sulla salute dell’uomo e degli animali 12 1.1.6 Prevenzione e decontaminazione 15 1.1.7 Legislazione 27

2. OCRATOSSINE 38

2.1 GENERALITA’ 38 2.1.1Cenni storici 38 2.1.2 Miceti produttori e condizioni di sviluppo 39 2.1.3 Alimenti contaminati 42 2.1.4 Caratteristiche chimiche e strutturali 45

2.2 TOSSICOCINETICA 47 2.2.1 Generalità 47 2.2.2 Assorbimento 47 2.2.3 Distribuzione 48 2.2.4 Biotrasformazione 51 2.2.5 Eliminazione 54

2.3 EFFETTI E MECCANISMO DI AZIONE 56

2.4 TOSSICITA’ 62 2.4.1 Tossicità nel topo e nel ratto 63 2.4.2 Tossicità nel suino 64 2.4.3 Tossicità nell’uomo 65

3. PREMESSA 68

4. MATERIALI E METODI 71

4.1 Prove di allevamento 71 4.1.1 Rilievi in vita 71 4.1.2 Rilievi post-mortem 72

4.2 Determinazione dell’ocratossina A con metodo HPLC 73 4.2.1 Materiali 73

4.2.2 Strumentazione e condizioni cromatografiche 74 4.2.3 Soluzioni standard e soluzione stock 74 4.2.4 Standard esterno 75 4.2.5 Retta di calibrazione 75 4.2.6 Campioni 75 4.2.7 Estrazione e purificazione dei campioni di mangime 76 4.2.8 Estrazione e purificazione dei campioni di carne 80 4.2.9 Conferma 82 4.2.10 Validazione del metodo 82 4.2.11 Vetreria 84 4.2.12 Analisi statistica 85

5. RISULTATI 86

5.1 Prove di allevamento 86

5.2 Determinazione dell’ocratossina A tramite HPLC 91 5.2.1 Condizioni cromatografiche e di estrazione 91 5.2.2 Retta di calibrazione 97 5.2.3 Analisi dei campioni 98 5.3.4 Analisi statistica 105

6. DISCUSSIONE 110

7. CONCLUSIONI 114

8. BIBLIOGRAFIA 116

INTRODUZIONE

1

1. INTRODUZIONE

1.1 LE MICOTOSSINE

1.1.1 Aspetti generali Il termine micotossine comprende numerosi metaboliti secondari ad elevata

tossicità, prodotti in opportune condizioni microclimatiche da funghi

microscopici e filamentosi, meglio noti con il termine di “muffe”, che

colonizzano le piante e/o le derrate alimentari nel corso del loro

accrescimento. Il termine metabolita secondario significa che non si è in

grado di attribuire loro alcun ruolo evidente nella crescita dell’organismo che

le produce. Queste tossine non costituiscono una classe chimica, ma hanno

strutture tra loro molto diverse, e mentre il metabolismo primario è

fondamentalmente lo stesso per i funghi, quello secondario dipende dalle

specie e talvolta dal ceppo fungino. Da ciò la grande diversità di molecole

prodotte, anche se per famiglie di prodotti simili. (Piva e Pietri, 2006). Lo

sviluppo dei funghi tossigeni e la successiva sintesi di micotossine, può

avvenire in qualunque fase di produzione e trasformazione di un prodotto

alimentare. In particolare, la produzione di micotossine, può essere favorita

già nella fase di coltivazione dei vegetali, da una serie di fattori che,

provocando stress alle piante, possono aumentare la loro suscettibilità alle

infezioni fungine. Le derrate alimentari, le granaglie ed i mangimi,

rappresentano i substrati ideali per l’accrescimento dei funghi produttori di

micotossine (Brera et al., 2002). Esse possono giungere alla nostra tavola

sia direttamente attraverso il consumo di prodotti derivati da derrate

vegetali contaminate (cerali, prodotti da forno, legumi, caffè, frutta

tropicale, frutta secca a guscio, spezie, piante infusionali ecc.), sia

2

indirettamente attraverso prodotti di origine animale derivati da bestiame

alimentato con mangimi contaminati, qualora non sussistano casi acuti di

micotossicosi tali da indurre l’allevatore a sopprimere l’animale.

1.1.2 Cenni storici

Le micotossine, pur risalendo a tempi remoti, sono state scientificamente

oggetto di studio, specie nel campo veterinario, solo a partire dal 1850

quando si è dimostrata l’associazione tra l’ingestione di segale contaminata

con sclerozi di Claviceps purpurea e la comparsa di casi di ergotismo.

Successivamente, nel 1913, fu descritta una malattia degli equini

denominata “blind staggers”, conseguente all’ingestione di grani ammuffiti

da varie specie di Penicillium responsabili della produzione di acido

penicillico e acido micofenolico. Prima degli anni ’60 erano note altre

patologie sostenute da micotossine quali ad esempio l’angina tossica, la

leucopenia alimentare tossica in Russia, dove fù descritta l’insorgenza di

una tossicosi alimentare correlata all’ingestione di cereali colonizzati da

Fusarium sporotrichioides e da F.poae, e la Yellow rice tossicosi in

Giappone. L’inizio della moderna micotossicologia è databile al 1960, anno

in cui vennero identificate le aflatossine, , prodotte da Aspergillus flavus e

Aspergillus parasiticus, ritenute responsabili dell’insorgenza in Inghilterra di

una particolare malattia, denominata “malattia X turkeys disease”, che

provocò la morte di migliaia di volatili di allevamento (Tiecco, 2001).

1.1.3 Miceti produttori di micotossine Attualmente sono note più di 300 micotossine, per circa 60 delle quali è

stata individuata una potenziale tossicità, anche se la maggior parte delle

ricerche sono concentrate su aflatossine, ocratossine, tricoteceni,

zearalenone, fumonisine e patulina (Miraglia e Brera, 1999). Solo il 7%

delle oltre 300 micotossine identificate si ritrovano negli alimenti a livelli

3

significativamente elevati tali da costituire un pericolo per la salute umana.

Numerosi, sono i generi fungini responsabili della produzione di tali sostanze

e appartengono generalmente alla categoria dei Deuteromiceti la quale

raggruppa tutti gli anamorfi e tutti i miceti nei quali la riproduzione è di tipo

agamico (Matta, 1996). Tra di essi, le specie note e che destano maggior

preoccupazione sono comprese nei generi Aspergillus, Penicillium e

Fusarium, anche se si possono riscontare ceppi dotati di elevata tossicità e

facilmente presenti nei nostri ambienti, nei generi Alternaria e Claviceps

(Causin, 2004). Essendo prodotte da un’ampia gamma di organismi, si

potrebbe ricavare l’impressione errata, che tutte le materie di origine

organica, comprese quelle destinate all’alimentazione umana e zootecnica,

possano essere facilmente contaminate da sostanze dannose, derivanti dallo

sviluppo su queste matrici di qualche tipo di muffa. Fortunatamente ciò è

vero solo in parte, poiché non tutti i funghi compresi nei generi

potenzialmente capaci più o meno di produrre tossine, sono in grado di

produrle. Infatti, solo specifici ceppi, all’interno di alcune specie, riescono a

produrre le sostanze in questione e ciò può avvenire solamente se le

condizioni ambientali sono favorevoli a tali processi. Tuttavia, quando tali

tossine sono prodotte, la loro pericolosità risulta elevata in quanto possono

provocare danni molto gravi alla salute, riescono ad agire a concentrazioni

molto basse, possono passare attraverso l’apparato digerente degli animali

andandosi a ritrovare, variamente modificate nei prodotti zootecnici e sono

difficilmente eliminabili dai prodotti contaminati, tant’è che possono

permanere anche dopo l’eliminazione del l’organismo produttore (Causin,

2004). La Tabella 1 riporta i principali funghi tossigeni responsabili della

produzione di micotossine di maggior interesse.

4

FUNGHI PRODUTTORI

MICOTOSSINE PRODOTTE

Genere Penicillum P. patulum P. expansum

Patulina

P. viridicatum

Citrinina, Ocratossina A

Genere Fusarium F. moniliforme F. proliferatum

Fumonisine

F. graminearum F. culmorum F. poae F. sporotrichioides

Tricoteceni, Zearalenone

Genere Aspergillus A. flavus Aflatossine B1, B2

Acido ciclopiazonico

A. parasiticus

Aflatossine B1, B2, G1, G2

A. versicolor A. nidulans

Sterigmatocistina

A. ochraceus

Ocratossina A, acido penicillico, Citrinina

A. clavatus

Patulina

Genere Claviceps

C. purpurea Alcaloidi

Tabella 1. Funghi tossigeni e relative micotossine.

5

1.1.4 Contaminazione degli alimenti

Per prevenire la contaminazione da micotossine delle derrate alimentari,

occorre impedire la crescita fungina, in quanto la formazione di micotossine

vi è strettamente connessa; senza la crescita del micete produttore,

generalmente la produzione di tossine non avviene. Questo non sta a

significare però, che la presenza del fungo tossigeno in un prodotto, indichi

automaticamente la presenza di micotossine; anzi esse possono persistere

per lungo tempo anche dopo il termine della crescita vegetativa o la morte

del fungo, riscontrandosi nel prodotto contaminato anche in assenza di unità

vitali di miceti. Inoltre, l’assenza di isolati fungini negli alimenti non indica

necessariamente l’assenza di micotossine (Haouet e Altissimi, 2003). Non

dobbiamo tralasciare il fatto che all’interno di una specie fungina, esistono

ceppi capaci di produrre una grande quantità di micotossine, ed altri con

minori capacità, senza presentare differenze significative né nello sviluppo,

né nei caratteri morfologici. Ne consegue che l’analisi micologica, basata

sulla numerazione delle unità vitali e l’identificazione delle specie fungine,

non permette di quantificare il rischio tossico proprio di una derrata

alimentare, in funzione della presenza dei miceti (Haouet e Altissimi, 2003).

Per tale ragione, il rischio non può che essere determinato attraverso

l’analisi chimico-fisica per l’identificazione e la quantificazione delle

micotossine note (Miraglia e Brera, 1999). Lo sviluppo degli agenti tossigeni

e la successiva sintesi di micotossine, possono avvenire in tutte le fasi della

catena produttiva, in funzione di molteplici fattori tra loro interdipendenti,

per tale ragione, il controllo dei parametri chimico-fisici, riveste

un’importanza primaria nel settore del controllo e della prevenzione dalla

contaminazione (Miraglia e Brera, 1999). I principali fattori che consentono

la tossinogenesi sono:

• fattori intrinseci legati al ceppo fungino;

• la specie fungina che determina le classi di micotossine prodotte;

• il potenziale tossigeno che può variare tra i diversi ceppi;

6

• il livello iniziale di contaminazione il quale influenza la quantità di

tossine sintetizzabili (più muffe = maggior quantità potenziale di

micotossine);

• fattori estrinseci che comprendono l’insieme di tutte le condizioni

ecologiche in grado di agire sullo sviluppo fungino e di conseguenza

sulla produzione delle micotossine;

• fattori biologici, quali gli insetti come Ostrinia nubilalis, conosciuta

più comunemente come la piralide del mais, rivestono importanza in

quanto possono essere vettori di spore fungine ed agenti di lesioni alle

cariossidi, favorendo così l’insediamento delle muffe; la microflora con

risultante competizione tra le specie fungine; eventuali stress della

pianta (stress idrico o nutrizionale) e la resistenza al substrato, intesa

quest’ultima sia come resistenza genetica che come integrità delle

cariossidi;

• fattori chimici e chimico-fisici, quali l’umidità, l’acqua libera (aw), la

temperatura, la composizione gassosa dell’ambiente, il pH, la natura

del substrato ed i danni meccanici alla cariosside, risultano poi

essenziali. (Haouet e Altissimi, 2003).

Per prevenire la contaminazione da micotossine delle derrate alimentari,

bisogna impedire la crescita fungina. Per far questo, occorre perciò,

prendere in considerazione un insieme di misure che scaturiscono dalle leggi

che regolano la vita delle muffe; i funghi hanno bisogno di acqua, ossigeno

(minimo 1-2%) e temperatura adeguata, quest’ultima variabile a seconda

della specie, infatti le temperature elevate favoriscono lo sviluppo del

genere Aspergillus mentre le basse il genere Fusarium (Haouet e Altissimi,

2003). Il parametro cui prestare maggiore attenzione è senza dubbio l’aw.

Bisogna tener presente, che l’attività ed il contenuto dell’acqua, non sono la

stessa cosa: l’aw esprime la parte attiva del contenuto di umidità, nei

confronti dell’umidità totale, la quale comprende anche l’acqua legata.

L’acqua contenuta in un alimento, in generale, sarà quindi legata in maniera

più o meno intensa a seconda del tipo di substrato e della presenza in

7

questo di gruppi idrofobi e idrofili. La colonizzazione fungina degli alimenti,

si verifica più frequentemente di quella batterica a livelli di aw <0,85;

questo non perché i funghi non possano crescere a tenori di aw più elevati,

ma piuttosto perché i batteri sono fortemente competitivi e diventano la

microflora predominante a valori di aw di 0,85-1,00 ed in particolare a

valori > 0,90 – 0,93. In base alle loro differenze di comportamento in

funzione delle disponibilità di acqua, le specie fungine sono state classificate

in:

• Igrofile, le cui spore germinano solo con valori di aw superiori a 0,90

ed hanno una crescita ottimale ad aw pari a 1,00.

• Mesofite (es. Penicillium cyclopium), le cui spore germinano a valori

di aw di 0,80 – 0,90 ed hanno un optimum a 0,95 – 1,00.

• Xerofile (es. Aspergiullus repens, Aspergillus versicolor), le cui spore

germinano ad un valore di aw inferiore a 0,80 e la crescita ottimale

si osserva intorno a 0,95 (Haouet e Altissimi, 2003).

Il valore di aw minimo al quale è stata osservata una crescita fungina è di

0,61. Tuttavia, non si conoscono specie tossigene in grado di crescere a

valori di aw<0,78. Inoltre, i livelli minimi richiesti per la sintesi delle

micotossine, sono generalmente superiori a quelli necessari per la crescita

fungina (Haouet e Altissimi, 2003). Infatti, mentre il valore minimo di aw

per la crescita dei funghi tossigeni è di 0,79, quello necessario per la

produzione delle tossine va dallo 0,80 per l’acido penicillico allo 0,95 per

l’ocratossina, allo 0,99 per la produzione di patulina. Importante è da

sottolineare che la disponibilità d’acqua, dipende da altri fattori ambientali

quali la temperatura; infatti, qualora le spore delle muffe riuscissero a

germinare in presenza di valori di aw ridotti, valori limite di temperatura

possono inibire la crescita del micelio; al contrario , per un dato valore di

aw, il suo aumento può comportare la riduzione della vitalità delle spore,

mentre l’abbassamento ne favorisce la longevità (Aureli, 1996). Più in

generale, le temperature ideali per lo sviluppo di una muffa sono comprese

8

tra 15 e 30 °C , con un optimum di 20-25°C. Per quanto riguarda il pH, le

muffe al contrario dei batteri, tollerano un ampio range, in quanto molte

crescono bene a valori compresi tra 3 ed 8 con un optimum di circa pH 5

(Aureli, 1996); tuttavia, alcuni miceti possono manifestarsi anche a valori

più bassi o più elevati, modificando gradualmente l’acidità del mezzo nel

corso del loro sviluppo. Esse competono poco e male con i batteri a pH 7

specialmente quando l’aw del substrato è alta, mentre a pH 5 l’attività

metabolica batterica si riduce e le muffe predominano rapidamente. Un altro

fattore condizionante la crescita fungina è la presenza di ossigeno, il quale

fa sì che i funghi si sviluppino generalmente sulla superficie dei substrati,

sebbene alcune specie, siano in grado di crescere anche in profondità, o in

mezzi liquidi a basso tenore di ossigeno oppure in atmosfera modificata con

CO2 o N2 (Haouet e Altissimi, 2003). Per quanto concerne le caratteristiche

dei funghi tossigeni più pericolosi e conosciuti si può affermare che:

� Il genere ASPERGILLUS

� È il più termofilo dato che vive tra 7 – 42 °C

� Resiste di più al secco, visto che si sviluppa su substrati con umidità

del 18 – 20% ed in atmosfera con umidità relativa dell’85%

� Predilige i climi caldi

� È diffuso nelle aree più meridionali

� Normalmente non è patogeno, ma un’eccezione è rappresentata dall’

A.flavus che è capace di comportarsi come patogeno a temperature

>30°C

� Il genere FUSARIUM

� Preferisce temperature più fresche

� Esige livelli di umidità più alti e nei nostri ambienti si sviluppa su

substrati aventi un’umidità del 20 – 22%

� E’ diffuso nelle aree settentrionali

� Predilige climi temperato – freschi ed umidi che nei nostri ambienti

corrispondono alla primavera o inizio autunno

9

� Comprende molte specie di patogeni (es. F. moniliforme, F.

graminearum, F. culmorum)

� Il genere PENICILLIUM

� Si adatta meglio di Aspergillus ad ambienti e climi più freschi umidi

anche se, alcuni ceppi hanno la capacità di crescere su substrati con

umidità inferiore

� Sebbene non sia presente nei nostri ambienti, può comportarsi

anche da patogeno di pieno campo (Causin, 2004).

Riveste poca importanza per lo sviluppo delle muffe sugli alimenti, la natura

del substrato, se sussistono le condizioni ambientali sopra descritte. Non è

invece il caso della produzione delle loro micotossine, dove il tipo di

substrato e le condizioni ambientali assumono dei limiti molto più delineati.

La tossinogenesi infatti, è favorita da livelli di aw dei substrati, superiori a

quelli richiesti per lo sviluppo fungino (in campo >0,95 ed in magazzino

0,80), l’Aspergillus flavus può iniziare la produzione di aflatossine già a

0,83, mentre A. ochraceus necessita di almeno 0,97 per produrre

ocratossine. L’umidità del substrato, espresso come aw, è pertanto il vincolo

principale per prevenire la tossinogenesi in un alimento, per cui il suo

controllo è diventato indispensabile, per esempio in mangimistica.

Relativamente alle condizioni termiche, queste sono estremamente variabili

a seconda della specie. Aspergillus flavus, produce aflatossine

preferibilmente intorno ai 25°C e non è mai stata evidenziata una

tossinogenesi a temperature inferiori a 10°C. A queste ultime temperature

sono state prodotte sì aflatossine, in latte in polvere umidificato e in

formaggi, ma da A. parasiticus. Il Fusarium graminearum produce

zearalenone intorno a 14°C e anche a temperature inferiori, come il

Fusarium tricinctum che è in grado di produrre la tossina T2 a temperature

comprese tra 1 e 4°C e fino a 15°C, mentre Aspergillus ochraceus produce

ocratossina in un intervallo di temperatura compreso tra 20 e 30°C, e

comunque mai al di sotto di 12°C; la stessa micotossina viene poi anche

prodotta da Penicillium viridicatum, ma a temperature completamente

10

diverse e comprese tra 4 e 31 °C. E’ pertanto difficile generalizzare dei limiti

di contenimento, se si esclude la produzione di aflatossine che non si

accumulano al di sotto di 10°C neanche in substrati fortemente ammuffiti

(Haouet e Altissimi, 2003). Per ogni muffa, tuttavia, esiste una temperatura

minima ed una massima oltre le quali l’attività produttiva cessa (Tiecco,

2001). Il tipo di substrato è invece in questo caso, l’elemento che più

probabilmente più di ogni altro, influenza la tossinogenesi. I vegetali sono

più facilmente contaminati rispetto ai prodotti animali; la presenza di amido

inoltre, sembra incrementare la tossinogenesi ed in particolare quella di

zinco, limitatamente alla sintesi di aflatossine. I cereali, i semi oleaginosi e

la frutta secca, sono al vertice degli alimenti più frequentemente

contaminati da aflatossine: mais, arachidi e semi di cotone rappresentano i

prodotti più a rischio. La frutta e i succhi derivati sono invece i principali

veicoli di patulina, mentre i cereali quelli di zearalenone e vomitossina

(deossinivalenolo), cereali, birra, vino, cacao e caffè quelli di ocratossina.

Tra gli alimenti di origine animale, il latte e il formaggio sono prodotti in cui

il passaggio di aflatossine è più evidente, qualora le vacche siano alimentate

con prodotti zootecnici contaminati. In tal caso, nel latte, compaiono

molecole idrossilate delle aflatossine B1 e B2, denominate M1 e M2. Per

quanto riguarda invece i prodotti carnei, risulta che applicando basse

temperature nella trasformazione e nella conservazione, il rischio di

micotossinogenesi è limitato; su prosciutti crudi stagionati è stata messa in

evidenza la possibilità di produrre ocratossina da parte di Aspergillus

ochraceus solo se la temperatura di conservazione raggiungeva i 25-30°C;

in tal caso, dopo 21 giorni di mantenimento a questa temperatura, la

micotossina era penetrata nella massa carnea fino a mezzo centimetro di

profondità, in quantità pari a due terzi della produzione totale della muffa

(Haouet e Altissimi, 2003) anche se è stata osservata in alcuni casi la

presenza di aflatossina in carne macinata di manzo (reni e fegato

soprattutto) e ocratossina in carne di suino. Evento raro è invece la

contaminazione delle uova, che può derivare solo dalla contaminazione dei

mangimi utilizzati per l’alimentazione delle galline ovaiole (Haouet e

11

Altissimi, 2003). Se ne deduce che la potenzialità di produrre tossina si

estrinseca raramente nella pratica e solo quando si realizza un insieme di

condizioni favorevoli. La produzione massima, in genere, si verifica

all’insorgere di condizioni stressanti per il micete, rappresentate da bruschi

abbassamenti di temperatura, condizioni di umidità e di substrato non più

favorevoli allo sviluppo ed alla vita del fungo, stadio vegetativo finale e

stadio di sporulazione che attivano il metabolismo secondario del fungo

(Tiecco, 2001).

Tabella 2. Valori ottimali per lo sviluppo fungino.

Oltre alla pericolosità dovuta alla possibile produzione di micotossine, lo

sviluppo delle muffe nelle derrate alimentari provoca conseguenze ben

precise. Possono verificarsi infatti:

� Modificazione dell’aspetto;

� Alterazione delle qualità organolettiche: Penicillium cyclopium

conferisce un gusto di terra, il deossinivalenolo prodotto da diverse

specie di Fusarium, provoca fenomeni di rifiuto soprattutto nella

specie suina;

� Alterazioni delle qualità tecnologiche: gli enzimi prodotti dai funghi,

idrolizzano i lipidi, l’amido e le proteine.

� Riduzione quantitativa e soprattutto qualitativa del valore

alimentare: produzione di calore, anidride carbonica, acqua; perdita

di aminoacidi essenziali e vitamine. Prove di laboratorio hanno

evidenziato che le perdite di sostanza secca dovute allo sviluppo

fungino (produzione di CO2), con conseguente riscaldamento della

FATTORE MINIMO OTTIMO MASSIMO Aw 0,61 0,80-0,95 1,00 Temperatura -21 20-25 60 PH 2,0 4,5-6,5 8,0 Ossigeno 0,14 >2,0 - Anidride carbonica

- <10,0 >15,0

12

massa, possono raggiungere il 5% e che la produzione di acqua

inoltre, può favorire un’ulteriore crescita delle muffe. Alcune ricerche

hanno dimostrato che, nel caso del mais, un prodotto fortemente

contaminato, subisce diminuzioni nel tenore di energia, proteine e

grassi del 5, 7 e 63% rispettivamente. Come si nota, la quota

lipidica è infatti quella più soggetta ad attacco fungino.

� Rischi di micosi e di allergie per gli animali, ma anche per gli

operatori (Piva e Pietri, 1996).

Pertanto, essendo la problematica delle micotossine estremamente

variegata e non risolvibile con una sola azione specifica, può essere

affrontata in maniera efficace ed efficiente solamente con un approccio

integrato, supportato da un’attenta analisi comparata del rischio e dei mezzi

disponibili per ridurlo il più possibile al di sotto del limite accettabile, che

gestisca tutta la filiera del prodotto.

1.1.5 Effetti sulla salute dell’uomo e degli animali La presenza di micotossine nelle derrate alimentari costituisce un rischio

per la salute sia dell’uomo sia degli animali in seguito all’ingestione di

alimenti contaminati. La contaminazione di alimenti di origine animale da

parte di micotossine può essere diretta o primaria, cioè derivante dallo

sviluppo di funghi tossigeni sugli alimenti, oppure indiretta o secondaria,

causata dall’assunzione da parte degli animali, di alimenti contaminati da

funghi tossigeni a causa di un fenomeno denominato “carry over” (Miraglia

e Brera, 1999). Per tale ragione, queste molecole rivestono importanza, in

quanto la loro ingestione tramite foraggi, mangimi e cereali da parte degli

animali in produzione zootecnica, comporta successivamente il loro

accumulo in vari organi e tessuti o la loro eliminazione attraverso il latte e

le uova. I residui presenti possono essere costituiti sia dalle micotossine

inalterate, originariamente presenti nel mangime, sia da micotossine

13

prodotte dal metabolismo dell’animale. Le interazioni esistenti tra uomo,

animali da allevamento e alimenti contaminati da micotossine sono

rappresentate nella figura 1 (Miraglia e Brera, 1999).

Ceppo fungino

Mangimi Animali destinati all’ alimentazione umana Micotossine Cereali e semi oleaginosi

Latte

Carne

Uova

Alimentazione umana

Figura 1. Interrelazione tra micotossine e uomo.

La gravità dei loro effetti, dipende dalla quantità assunta tramite gli

alimenti, dalla tossicità del composto, dal peso corporeo dell’individuo, dalla

presenza di altre micotossine (in quanto si possono verificare effetti

sinergici), dai fattori dietetici (Carratù e Cuomo, 2001) nonché dalla specie

animale interessata, in quanto non tutte le specie animali, presentano la

stessa sensibilità agli effetti delle micotossine. In particolare, il suino e gli

animali da compagnia sono le specie più sensibili alle micotossicosi, mentre

i ruminanti, grazie alla degradazione delle tossine svolta a livello ruminale,

14

tendono ad essere le specie più resistenti (Hussein e Brasel, 2001). Gli

effetti tossici osservati, consentono di classificare le patologie in

micotossicosi acute primarie, croniche primarie e croniche secondarie

(Tiecco, 2001). Le micotossine possono provocare:

• intossicazioni acute, conseguenti all’ingestione di unan singola dose

o di più dosi ingerite in un breve periodo di tempo; tali intossicazioni

sono però fenomeni che non coinvolgono mai prodotti di origine

animale in quanto, solo i prodotti di origine vegetale possono

contenere dosi così elevate di micotossine;

• intossicazioni croniche, conseguenti all’ingestione di piccole dosi

ripetute nel tempo e in genere, maggiormente legate all’assunzione

di prodotti di origine animale. Infatti, le derrate animali, sono

generalmente meno contaminate delle derrate vegetali, in quanto

l’organismo degli animali produttori di alimenti destinati all’uomo,

agisce da potente sistema di depurazione (Piva e Pietri, 1996).

Le micotossine, essendo molto diverse tra loro dal punto di vista chimico,

mostrano una notevole gamma di effetti biologici dovuti alla loro capacità di

interagire con diversi organi e/o sistemi bersaglio degli organismi viventi

(Miraglia e Brera, 1999). Per tale ragione, esse sono classificate in

immunotossine, dermatossine, epatotossine, nefrotossine e neurotossine;

oppure sulla base del loro effetto cronico in mutagene, cancerogene e

teratogene. In particolare tutte queste attività biologiche sono dovute alla

capacità delle micotossine e/o dei loro metaboliti, di interagire con il DNA,

l’RNA, le proteine funzionali, i cofattori enzimatici ed i costituenti di

membrana. Gli effetti tossici osservati raramente possono dare origine a

fenomeni patologici di tipo acuto ed il rischio maggiore risiede nel loro

accumulo che può originare sintomatologie di tipo cronico. (Miraglia e Brera,

1999).

A causa della loro tossicità, le micotossine possono causare seri danni alla

salute umana e possono provocare notevoli danni economici negli

15

allevamenti e negli impianti zootecnici dovuti ad un calo nelle fasi produttive

e riproduttive. La Tabella 3, riporta la classificazione delle principali

micotossine in base alla loro tossicità (Tiecco, 2001).

EFFETTO TOSSICO MICOTOSSINA Epatotossicità

Aflatossine, ocratossina A, rubratossina, sporidesmine, tossina PR

Azione irritante del derma

Psolareni, tricoteceni

Teratogenicità

Aflatossine, rubratossine, tricoteceni, ocratossina A

Cancerogenicità

Aflatossine, tricoteceni, patulina, ac. penicillico, stirigmatocistina, luteoschirina

Nefrotossicità

Ocratossina A, citrinina, aflatossine

Neurotossicità

Tremorgeni, alcaloidi dell’ergot, verrucolotossina, ac. ciclomizzomico, citroviridina, roquefortina

Mutagenicità

Aflaossine, patulina, ac. penicillio, ac. micofenolico, sterigmacistina, rubratossina

Azione endocrinomimetica

Zearalenone, penitrem

Azione radiomimetica Tricoteceni

Tabella 3. Classificazione di alcune micotossine secondo la loro tossicità.

1.1.6 Prevenzione e decontaminazione Il primo passo nella prevenzione della contaminazione da micotossine nelle

diverse colture ed in modo particolare nel mais, consiste nell’ applicazione di

tecniche di coltivazione attente al “benessere del vegetale” ovvero

finalizzate alla riduzione massima di tutti gli stress che possono favorire

16

l’insediamento dei funghi tossigeni e la relativa produzione di micotossine.

Premesso che ad oggi, è difficilmente ipotizzabile la completa eliminazione

delle contaminazioni da micotossine, è possibile attivare efficaci azioni di

prevenzione per contenere il rischio attraverso l’elaborazione e

l’applicazione di buone pratiche agricole (GAP) e buone pratiche di

lavorazione (GMP) (Miraglia e Brera,1999). E’ bene ricordare innanzitutto

che la proliferazione sia delle muffe “di campo”, sia “di magazzino” parte dal

campo e può proseguire per entrambe se si mantengono condizioni ottimali

che ne facilitano la proliferazione durante una non corretta conservazione;

per tale ragione quindi, la prevenzione deve partire dalla coltivazione e

concludersi nelle lavorazioni del prodotto, senza interruzioni di attenzione.

In particolare, i miceti del genere Fusarium sono comuni saprofiti e patogeni

delle piante per cui sono ricorrenti in campo, mentre gli Aspergillus ed i

Penicillium, si sviluppano prevalentemente nelle fasi di conservazione per la

loro elevata capacità di svilupparsi su substrati caratterizzati da bassa

umidità (Borreani et al., 2003). Le condizioni che favoriscono lo sviluppo dei

funghi da campo includono l’alto grado di umidità (>70%) e le forti

escursioni termiche (giornate calde seguite da notti fredde). I cereali

maggiormente colpiti risultano essere mais, frumento ed orzo (Haouet e

Altissimi, 2003). Nel nostro ambiente di coltivazione, la situazione, riguardo

la contaminazione da micotossine delle derrate, e in particolare della

granella di mais, è sotto controllo rispetto alle più importanti aree maidicole

mondiali, questo perché caratterizzate da condizioni climatiche, più

favorevoli allo sviluppo dei funghi tossigeni e alla conseguente produzione di

micotossine, rispetto alle nostre zone in cui solo raramente e in casi

eccezionali (estate 2003), si verificano. Tuttavia, nei nostri allevamenti la

componente mais nella razione degli animali ha un peso molto rilevante;

inoltre, gli elevati standard qualitativi richiesti dal mercato ed una

legislazione europea molto restrittiva in materia, consigliano proprio per

questo di adottare delle misure preventive, per abbattere la concentrazione

di queste micotossine nel prodotto finale (Verderio,2001). La soluzione a

questo problema, non può che passare attraverso una serie di interventi

17

realizzabili per ridurre la presenza di micotossine nel mais e in altri cereali

così da impedirne il loro assorbimento. Alcuni ricercatori sostengono che la

formazione delle micotossine nelle colture attaccate dai miceti in condizioni

di pre-raccolta, abbia valori nettamente superiori rispetto alla fase di post-

raccolta; per questo motivo quindi, risulterebbero più efficaci le azioni

preventive attuabili in campo rispetto a quelle applicabili durante lo

stoccaggio, anche se sono più difficilmente eseguibili a causa

dell’interferenza delle condizioni ambientali. La prevenzione della

contaminazione è attuabile in due fasi operative della filera di produzione

dell’alimento a base di mais, le quali sono qui di seguito elencate (Bertocchi

et al., 2004):

1. Fase di pre-raccolta o coltivazione

2. Fase di raccolta e post-raccolta

FASE DI PRE-RACCOLTA

In questa fase la prevenzione della contaminazione fungina rappresenta una

delle migliori strategie per ridurre i rischi di contaminazione da micotossine

e garantire un prodotto alimentare sicuro. Fermo restando che la resistenza

della pianta ospite rappresenta la migliore strategia in pre-raccolta per

prevenire l’attecchimento di funghi e l’accumulo di micotossine, le ricerche

fatte finora per selezionare o sviluppare varietà di mais naturalmente

resistenti alla colonizzazione da parte di funghi tossigeni e all’accumulo di

micotossine hanno portato, salvo rare eccezioni, a risultati poco

soddisfacenti. E’ stato verificato però, che alcune caratteristiche

morfologiche della spiga e della granella, quali la completa copertura della

spiga e brattee consistenti contro l’attacco di insetti ed altri patogeni,

portamento non eretto della spiga in fase di maturazione per evitare una

ritenzione dell’acqua piovana ed una reidratazione della granella ed infine

una granella meno suscettibile (per la forma e la durezza dell’endosperma)

alle rotture meccaniche, che si possono verificare nei processi di raccolta ed

essiccazione, si sono dimostrate un possibile vantaggio nel contenere lo

18

sviluppo del fungo (Verderio,2001). I monitoraggi condotti in questi ultimi

anni in diversi comprensori a mais dell’Emilia-Romagna, hanno spesso

mostrato che gli ibridi più precoci (classe FAO 300-400), sono quelli

maggiormente suscettibili alla contaminazione da aflatossine, mentre gli

ibridi più tardivi (classe FAO 600-700) sono maggiormente suscettibili alla

contaminazione da fumonisine (Agricoltura, 2007). L’infezione primaria e il

successivo sviluppo del fungo avvengono più facilmente e più

frequentemente, in corrispondenza di periodi più o meno lunghi nei quali la

pianta è in stato di stress evapotraspirativo, causato da temperature

eccessive ed inadeguato rifornimento di acqua. Con lo scopo di diminuire il

livello generale di stress evapotraspirativo, considerato come la condizione

più importante per l’infezione da parte del micete, viene richiesto da parte

dell’agricoltore un adeguato e regolare rifornimento di acqua alla coltura, e

nelle situazioni in cui il fattore acqua è difficilmente controllabile, o per

ridotta disponibilità o per alti costi, viene consigliata l’applicazione di diverse

procedure agronomiche quali l’anticipo dell’epoca di fioritura, ottenibile con

l’anticipo dell’epoca di semina o con l’utilizzo di ibridi con un ciclo precoce

ed, infine, l’adozione di investimenti moderati, perché colture fitte tendono

maggiormente ed anticipatamente a manifestare i sintomi (appassimento,

disseccamenti basali, proteandria ecc..), che di conseguenza influiscono

negativamente anche sulla produzione (Verderio, 2001). Condizione ad alto

rischio di infezioni in campo da A. flavus, agente delle aflatossine, è la

presenza di stress idrico successivo alla maturazione cerosa della granella.

Al contrario nelle annate fresche, quando lo stress idrico è molto contenuto

e la maturazione è ritardata, si presentano le condizioni per lo sviluppo di

Fusarium graminearum e delle tossine zearalenone e DON; in questi casi

risulta più efficace evitare apporti irrigui eccessivi, che rischiano solo di

aumentare l’insorgenza di fumonisine, senza peraltro determinare

significativi incrementi di resa (Agricoltura, 2007). Sebbene è riportato che

il danno provocato alle colture dagli insetti fitofagi, nella maggioranza dei

casi provocato da Ostrinia nubilalis, conosciuta più comunemente come

Piralide del mais, non rappresenta un requisito essenziale per la

19

contaminazione da micotossine; è anche noto però, che l’incidenza di

infezione da parte miceti tossigeni è significativamente più alta nelle

cariossidi danneggiate, rispetto a quelle sane (Verderio, 2001).

Figura 2. Ostrinia nubilalis.

Gli insetti, oltre a danneggiare i tegumenti esterni delle cariossidi e facilitare

l’ingresso e la colonizzazione da parte di funghi micotossigeni, possono

inoltre agire da vettori delle spore fungine o creare punti critici nella massa

delle derrate, ad alto contenuto di umidità, favorevoli alla crescita dei funghi

e alla produzione di tossine; proprio per questo motivo le procedure e gli

accorgimenti adottabili dall’agricoltore per contrastare l’attività della

piralide, possono essere quelli di cercare di non utilizzare degli ibridi più

suscettibili all’attacco dell’insetto, anticipare l’epoca di fioritura (con le

modalità descritte precedentemente) per sfasare gli stadi fenologici della

coltura con il ciclo di riproduzione dell’insetto, oppure proteggere la coltura

con trattamenti specifici in post fioritura (Verderio, 2001). In prospettiva, è

ipotizzabile l’adozione di mezzi di lotta biologica, mediante pre-infezione

delle colture con isolati fungini non tossigeni bio-competitivi, infatti proprio

a questo scopo, diversi microrganismi sono stati proposti quali agenti di bio-

controllo in pre-raccolta della contaminazione da micotossine; isolati non

tossigeni della stessa specie possono infatti essere ottimi agenti bio-

competitivi, che ben si adattano alle condizioni ambientali tipiche delle

20

specie tossigene (Verderio, 2001). E’ opportuno ricordare, che un’efficace

difesa della piralide sembra permettere una consistente riduzione dei tenori

di contaminazione delle fumonisine mentre non risulta avere analogo effetto

sulla contaminazione da aflatossine (Miraglia e Brera, 1999). Il mais è una

coltura definita a ciclo primaverile estivo, in quanto il suo ciclo colturale, nei

climi temperati, avviene nel periodo compreso tra la primavera e l’estate e

per questo viene seminato, nei nostri ambienti, verso la prima metà di

Aprile con possibilità di un certo anticipo nelle zone meridionali, e viene

raccolto, nel caso di produzione di granella secca, quando viene raggiunta la

cosiddetta “maturità commerciale”, che si verifica 10-15 giorni dopo la

“maturazione fisiologica”, nel mese di Settembre (Giardini e Vecchietti,

2000). Quest’ultima fase è riconoscibile dal completamento della formazione

del cosiddetto “strato nero, ed è caratterizzata da un’umidità della granella

che è intorno al 30-32%. La successiva fase di perdita di umidità in campo,

fino allo stadio di “maturazione commerciale”, può avere diversa durata, in

relazione all’epoca di comparsa dello strato nero ed all’andamento

stagionale; proprio in questo stadio, la granella di mais, diventa

estremamente suscettibile all’attacco da parte dei funghi i quali, in base al

“potenziale inoculo del fungo”, alle “condizioni di incubazione” (andamento

climatico) e al tempo in cui il substrato, è lasciata a disposizione del

patogeno, determinano un livello finale di concentrazioni di micotossine nel

prodotto più o meno elevato. Si deve quindi evitare tassativamente la

pratica, assai diffusa in alcuni areali, di lasciare in campo la coltura fino al

tardo autunno, al fine di ottenere un’ulteriore riduzione del tenore di

umidità, proprio per evitare che il fungo attacchi il substrato, determinando

così la contaminazione, poichè si è potuto constatare che l’anticipo della

raccolta può prevenire la fase più attiva dell’invasione fungina. Ugualmente

correlata sia all’intensità dell’infestazione, sia alla produzione di tossine da

parte del fungo, è la concimazione, che se corretta, fornisce alla pianta

migliori difese contro l’attacco del fungo tossigeno. L’agricoltore in questo

caso, deve soprattutto considerare l’importanza di assicurare un buon

bilanciamento del rapporto azoto/potassio, affidandosi per quest’ultimo a

21

buoni test di laboratorio ed inoltre, fornire un’adeguata quantità di azoto

prendendo in considerazione la quantità, in teoria assorbita e le perdite

dell’elemento stesso (Verderio, 2001). Nel caso del mais, l’elemento che

richiede maggiore attenzione è l’azoto: piante con evidenti sintomi di

carenza azotata (limitato sviluppo vegetativo e produzione al di sotto della

media), sono maggiormente predisposte alla contaminazione da aflatossine.

Sperimentazioni condotte in Emilia-Romagna hanno poi rilevato che, apporti

decisivamente superiori alle dosi da bilancio, possono incrementare

sensibilmente la contaminazione delle fumonisine, probabilmente a seguito

dello sviluppo di condizioni micro-climatiche più favorevoli alla diffusione dei

funghi (minore circolazione dell’aria con piante eccessivamente vigorose ed

il mantenimento di elevati livelli di umidità) (Agricoltura,2007). E’ stato

inoltre sperimentato se l’adozione della pratica di rotazione, la quale è stata

storicamente ed in modo meno obbligato tuttora un mezzo potente, per

ridurre l’impatto dei parassiti sulle coltivazioni, avrebbe potuto avere effetti

significativi sull’incidenza del patogeno, ma questa non ha portato a risultati

apprezzabili in grado di ridurre il potenziale di inoculo del fungo. Al contrario

è stato constatato che, le pratiche e gli interventi agronomici volti ad

aumentare il benessere della pianta hanno ridotto sensibilmente sia lo

sviluppo del fungo sulla pianta, sia il potenziale di inoculo sul terreno

(Verderio, 2001).

FASE DI RACCOLTA E POST-RACCOLTA

Durante la fase di raccolta del prodotto, è importante che vengano

considerate alcune pratiche fondamentali, in modo da poter svolgere in

modo attento questa delicata fase (Verderio, 2001). La raccolta è una delle

fasi ove è possibile intervenire maggiormente per il controllo delle

micotossine (Agricoltura, 2007).

22

Figura 3. Mietitrebbiatura del mais.

La formazione di aflatossine è favorita in campo da temperature elevate

(massima giornaliera superiore ai 30 °C) nel periodo compreso tra la

maturazione fisiologica della granella e la raccolta e dall’umidità della

granella stessa. Per tale ragione, una consistente riduzione del rischio

aflatossine può essere ottenuta raccogliendo la granella con umidità non

inferiore al 22-24%. Si segnala che valori di umidità inferiori al 20% sono da

considerarsi ad alto rischio, in quanto predispongono fortemente alla

contaminazione delle aflatossine, soprattutto in annate con andamento

stagionale caldo e asciutto. Analogamente, la raccolta anticipata della

granella consente di ridurre anche la contaminazione da fumonisine che,

negli ibridi più tardivi può raggiungere livelli elevati, in particolare in annate

caratterizzate da periodi di stress idrico e altri a decorso umido, soprattutto

in prossimità della raccolta. E’ dunque preferibile effettuare trebbiature

tempestive, anche se con qualche punto di umidità in più, in modo tale da

ridurre il tempo a disposizione dei funghi tossigeni per svilupparsi e

accumulare tossine nella granella (Agricoltura, 2007). Risulta poi di

particolare importanza una regolazione puntuale della mietitrebbia, la quale

permette di ridurre rotture e fessurazioni delle cariossidi, e di pre-pulire il

prodotto dalle parti a più basso peso specifico, questo perché una partita di

23

mais che presenti rotture e fessurazioni dei chicchi, costituisce un substrato

facilmente più attaccabile da parte dei funghi e di più difficile conservazione

durante la fase di stoccaggio. Per quanto riguarda, invece la pre-pulitura del

prodotto, molto frequentemente i granelli invasi dal fungo sono molto più

piccoli, più leggeri e di conseguenza più soggetti a rotture. Pertanto,

attraverso questa piccola operazione sulla mietitrebbia, è possibile ottenere

un prodotto finale teoricamente non contaminato (Verderio, 2001). Una

volta raccolto il prodotto, questo viene destinato agli essiccatoi. Già nelle

prime ore di attesa del prodotto umido sui carri o sui piazzali degli essiccatoi,

si possono attivare processi di ossidazione e di fermentazione che causano

una riduzione di sostanza secca ed un aumento della temperatura di massa,

che favoriscono una rapidissima proliferazione secondaria di funghi, i quali

sono dotati di una capacità di invasione proporzionale ai tempi di attesa,

all’umidità della granella, alla temperatura di attesa e all’altezza e

compressione dei cumuli. Proprio per questo motivo, diventa essenziale

ridurre l’intervallo di tempo tra la raccolta e l’ essiccazione onde evitare

proliferazioni secondarie. E’ risaputo, che durante la fase di conservazione

del prodotto, possono venire a crearsi condizioni favorevoli allo sviluppo dei

funghi tossigeni di magazzino. Riveste particolare importanza, come

condizione primaria per inibire ogni attività fungina durante questa fase,

l’umidità finale della granella, la quale deve essere adeguata non solo alle

caratteristiche del prodotto da conservare, ma anche alla tipologia

dell’impianto e alla durata dello stoccaggio. Risulta molto importante oltre al

controllo del parametro umidità, a cui l’essiccatore-stoccatore è soggetto,

anche le operazioni di eliminazione delle parti piccole o leggere presenti nel

prodotto, quali spezzati piccoli, polveri ecc.. e di riduzione delle

microfessurazioni delle cariossidi, sempre con l’unico scopo di permettere un

abbattimento diretto dei livelli di micotossine ed una migliore conservazione

al prodotto. Vista la frequente correlazione tra i livelli di “rotture” del

prodotto e i livelli di infestazione da funghi, come precedentemente

enunciato, i compiti e le responsabilità dell’essiccatore-stoccatore si vanno

riconfigurando come finalizzate, non esclusivamente alla conservazione di un

24

prodotto, ma al miglioramento, in funzione della qualità finale e delle

richieste del mercato. Per quanto riguarda la fase di pre-raccolta e la fase

raccolta e post-raccolta, gli aspetti principali dell’agrotecnica di sicura

attuabilità sono riassunti nella Tabella 4.

Agrotecnica ad alto rischio Agrotecnica a basso rischio Scelta di epoche di semina e ibridi con cicli colturali tali da condurre a raccolte in periodi molto caldi

Scelta di epoche di semina e ibridi con cicli colturali tali da condurre a raccolte al termine dell’estate o inizio autunno

Densità di semina elevate (8 piante/metro quadrato per ibridi a ciclo pieno)

Densità di semina equilibrate (6-6,5 piante/metro quadrato per ibridi a ciclo pieno)

Minima lavorazione o semina su sodo

Lavorazioni che assicurino l’interramento dei residui

Diserbo assente o poco efficace

Diserbo accurato

Concimazione: • Carente per potassio e azoto

(< 100 Kg/ha) • Eccessiva per azoto (>300

Kg/ha) • Alti apporti organici

Concimazione • Equilibrata tra azoto, fosforo

e potassio • Dosi di azoto pari a 180-240

Kg/ha • Apporti di azoto frazionati

Nessun controllo sulla piralide e sulla semina

Trattamento contro la piralide con insetticidi

Irrigazione: • Assente • Insufficiente (< 0,7 ETc) • Precocemente interrotta

Irrigazione: • Corretta (0,9-1,1 ETc) • Fino alla maturazione lattea

avanzata Raccolta Essiccazione prolungata in campo della granella Elevate rotture alla trebbiatura

Raccolta tempestiva soprattutto per maturazioni estive Ridotte rotture alla trebbiatura

Trasporto della granella umida non tempestivo Impiego di macchinari non puliti

Trasporto ed essiccazione tempestivi Pulitura attenta della mietitrebbia e dei carri

Tabella 4. Confronto tra agrotecniche ad alto e basso rischio.

25

Sebbene la prevenzione risulti essere la strategia principale, in alcuni casi è

necessario intervenire sulla granella già contaminata (Berocchi et al., 2004).

Figura 4. Chicchi di mais contaminati da muffe.

Possono essere utilizzati sistemi di decontaminazione e detossificazione,

aventi come principale scopo quello eliminare, per quanto possibile dalla

massa del prodotto, le micotossine. I principali metodi di decontaminazione

consistono in una pulitura e in una separazione meccanica tramite

vagliatura, molitura e ventilazione delle cariossidi; in una lavatura della

granella che normalmente viene effettuata successivamente alla vagliatura,

ed infine una macinazione ad umido soprattutto utilizzata per il mais in

associazione e prima della molitura ad umido. Tra i principali metodi di

detossificazione, possiamo distinguere tre diverse categorie quali: metodi

fisici, chimici e biologici comprendenti diversi sistemi riassunti nella tabella

5:

26

Metodi Fisici

Metodi Chimici

Metodi Biologici

Inattivazione termica: cottura ad alta pressione Utilizzo di adsorbenti (alluminosilicati, carboni attivi, bentonite, zeoliti) in grado di sequestrare le micotossine grazie alla loro struttura e le proprietà chimico-fisiche.

Utilizzo di acidi, basi, agenti riducenti, agenti cloruranti, sali, formaldeide.

Utilizzo di specifici agenti biotici (batteri, muffe, lieviti), capaci di degradare o trasformare enzimaticamente le micotossine.

Tabella 5. Metodi di detossificazione.

Dei sistemi elencati, quello di decontaminazione attraverso pulitura e

separazione meccanica è il più facilmente applicabile. Questa operazione è

eseguita mediante l’utilizzo di appositi strumenti, quali i setacci che hanno

lo scopo di rimuovere dalla granella di mais, le cariossidi più piccole e rotte,

in quanto rappresentano la parte di prodotto a più alto rischio di

contaminazione. L’effettuazione di studi preliminari derivanti dal settore

mangimistico ha permesso di notare che, utilizzando setacci aventi fori da 5

mm, si ottiene la riduzione dei livelli di inquinamento mediamente del 50%

e che, maggiore è il livello di contaminazione della partita, migliori saranno i

risultati (Bertocchi et al., 2004). Durante la fase di alimentazione del

bestiame, è possibile invece, utilizzare delle sostanze che riducano

l’assorbimento enterico delle tossine. L’utilizzazione degli additivi

“sequestranti”, possono rappresentare un aiuto per ridurre il rischio di

contaminazione da micotossine, se nell’immediato futuro dovessimo

comunque utilizzare per l’alimentazione degli animali mais o altri cereali

contaminati (nei limiti di legge), questo perché sono caratterizzati dal poter

impedire l’assorbimento gastrointestinale delle micotossine, riducendo di

conseguenza la loro eventuale presenza negli alimenti. In natura esistono

27

composti chimici capaci per la loro struttura, di adsorbire le micotossine

presenti nelle derrate alimentari. Inizialmente utilizzati per il loro potere

antiagglomerante, questi prodotti, sono stati successivamente utilizzati a

scopo detossificante, per ridurre i rischi di intossicazione da micotossine.

Qui di seguito vengono elencati i prodotti maggiormente (già

precedentemente accennati) utilizzati per tale scopo:

• Zeoliti naturali e sintetiche

• Alluminosilicati

• Carboni attivi

• Bentonite

• Argille

Va sottolineato però, che l’efficacia di molti dei prodotti citati, rimane ancora

dubbia in quanto, se esistono prove della loro validità in vitro, pochi sono i

lavori che ne dimostrano la stessa in vivo. Al momento le sostanze che in

letteratura sembrano avere maggior numero di ricerche con risultati positivi,

sono gli alluminosilicati e la bentonite, i quali devono essere miscelati

all’alimento non eccessivamente contaminato, affinché diano buoni risultati.

(Bertocchi et al., 2004).

1.1.7 Legislazione

Le recenti e numerose direttive dell’Unione Europea e di altri Organismi

Internazionali (es. FAO), e Nazionali (Ministero della Sanità) in materia di

qualità e sicurezza degli alimenti, impongono una sorveglianza non più

limitata alla semplice ispezione da eseguire esclusivamente nei punti

terminali delle filiere agro-alimentari, ma dei controlli da effettuare nel

corso di tutte le fasi che costituiscono la filiera produttiva. In questa ottica

di gestione totale di qualità, protesa all’ottenimento di standard qualitativi

sempre più elevati e quindi di maggiore sanità e sicurezza alimentare,

28

un’attenzione particolare è stata data anche al problema della presenza di

micotossine le quali, tra i contaminanti naturali dei prodotti alimentari,

rivestono un ruolo importante al punto di essere oggetto di specifica

legislazione prodotta a tutela della salute umana. Conseguentemente a tale

motivo e per la tutela anche della salute e del benessere animale, tale

argomento è da sempre di grande interesse per gli operatori del settore

agroalimentare-zootecnico. Fino ad oggi, l’UE è tra i paesi al mondo ad

avere il pacchetto normativo più completo in materia di micotossine. Gli

organi internazionali hanno promosso l’acquisizione di nuove conoscenze

attraverso studi e programmi di ricerca, con il fine di avere indicazioni

risolutive per la regolamentazione e limitazione del rischio per la salute

dell’uomo e degli animali. I risultati degli studi tossicologici ed

epidemiologici, infatti, non solo hanno portato ad una revisione della

concentrazione massima ammissibile di alcune micotossine in alimenti, ma

costituiscono la base della discussione in atto sulla regolamentazione da

avviare ex novo. La ricerca ha fornito indicazioni per la definizione dei limiti

di legge distinguendo specifiche categorie di consumo (es. bambini) e

specifiche classi di prodotto, il cui consumo può incrementare l’esposizione

dell’uomo al rischio di contaminazione. A livello europeo le norme preposte

alla limitazione dei livelli di micotossine negli alimenti destinati all’uomo si

sono susseguite rapidamente (Tecnoalimenti, 2006). In particolare, le

aflatossine presenti all’interno di alimenti destinati al consumo umano sono

sottoposte alle limitazioni imposte dai Regolamenti 472/2002 (CE/2002a),

2174/2003 (CE/2003b) e 683/2004 (CE/2004).

29

Aflatossine (ppb)

Prodotto

B1 B1, B2, G1, G2

M1

Spezie 5 10

Arachidi, frutta a guscio e frutta secca e relativi prodotti di lavorazione per il consumo umano diretto e l’utilizzo come ingredienti per la produzione di derrate alimentari

2 4 -

Arachidi da sottoporre a cernita o ad altri trattamenti fisici prima del consumo umano o dell’impiego come ingrediente di derrate alimentari

8 15 -

Frutta a guscio e frutta secca da sottoporre a cernita o ad altri trattamenti fisici prima del consumo umano o dell’impiego come ingrediente di derrate alimentari

5 10 -

Cereali e derivati destinati al consumo umano diretto

2 4 -

Cereali destinati alla cernita o ad altri trattamenti fisici prima del consumo umano o dell’impiego come ingrediente di derrate alimentari

2 4 -

Granturco da sottoporre a cernita o ad altri trattamenti fisici prima del consumo umano o dell’impiego come ingrediente di derrate alimentari

5 10 -

Latte (crudo, trattato termicamente e destinato alla fabbricazione di prodotti a base di latte)

- - 0,05

Alimenti per l’infanzia e alimenti a base di cereali destinati a lattanti e prima infanzia

0,1

0

- -

Alimenti per lattanti e alimenti di proseguimento, compresi il latte per lattanti e il latte per lo svezzamento

- - 0,025

Alimenti dietetici a fini medici speciali destinati in modo specifico ai lattanti

0,1

0

- 0,025

Tabella 6. Reg.472/2002 (CE/2002), 2174/2003 (CE/2003b) e

683/2004 (CE/2004).

30

Sempre per quanto riguarda l’aflatossina B1, è stata redatta un’ulteriore

regolamentazione finalizzata a limitarne la presenza nelle derrate alimentari

destinate agli animali. Essa è rappresentata dalla Direttiva 2002/32

(CE/2002b), il cui allegato I riguardante i quantitativi massimi delle

sostanze indesiderabili, è stato poi modificato con la Direttiva 2003/100

(CE/2003c). I dati sono relativi al contenuto massimo di micotossina in

mg/Kg (ppm) in mangime al tasso di umidità del 12%.

Aflatossina B1 Ppm

Tutte le materie prime per mangimi 0,02

Mangimi completi per bovini, ovini e caprini ad eccezione di:

• Mangimi completi per animali da latte • Mangimi completi per vitelli ed agnelli

0,02

0.005 0,01

Mangimi completi per suini e pollame, salvo animali giovani

0,02

Altri mangimi completi 0,01

Mangimi complementari per bovini, ovini e caprini, ad eccezione dei mangimi complementari per animali da latte, vitelli ed agnelli

0,02

Mangimi complementari per suini e pollame, salvo per animali giovani

0,02

Altri mangimi completi 0,05

Tabella 7. Direttiva 2003/100/CE.

L’articolo 5 di tale Direttiva inoltre, prescrive che “i prodotti destinati

all’alimentazione degli animali il cui contenuto di sostanze indesiderabili

supera il livello massimo fissato non possono essere mescolati, a scopo di

diluizione, con lo stesso prodotto o con altri prodotti destinati

all’alimentazione animale”. Per quanto riguarda la presenza di ocratossina A

31

nelle derrate alimentari destinate al consumo umano, i Regolamenti

472/2002 (CE/2002a), 683/2004 (CE/2004) e 123/2005 (CE/2005),

costituiscono la normativa vigente a livello europeo.

Prodotto Ocratossina

A (ppb)

Cereali non lavorati 5 Tutti i prodotti derivati dai cereali (compresi i prodotti lavorati a base di cereali destinati al consumo umano diretto)

3

Frutti essiccati della vite 10 Alimenti per l’infanzia, alimenti a base di cereali destinati ai lattanti e prima infanzia, alimenti dietetici a fini medici speciali destinati in modo specifico ai lattanti

0,50

Caffè torrefatto e caffè torrefatto macinato 5 Caffè solubile 10 Vino ed altri vini e bevande spiritose a base di mosto d’uva; succo d’uva, ingredienti a base di succo d’uva in altre bevande incluso il nettare d’uva e il succo d’uva concentrato e ricostituito; mosto d’uva e mosto d’uva concentrato ricostituito, destinati direttamente al consumo umano

2

Caffè crudo, frutta secca diversa dalle uve secche, birra, cacao e prodotti a base di cacao, vini liquorosi, prodotti a base di carne, spezie e liquirizia

-

Tabella 8. Reg. (CE) 472/2002, Reg. (CE) 683/2004, Reg (CE) 123/2005.

Il Regolamento 1425/2003 (CE/2003a), a livello comunitario, pone le basi

per il controllo della patulina negli alimenti.

32

Prodotto Patulina (ppb)

Succhi di frutta, nettare di frutta, succo di frutta concentrato dopo ricostituzione

50

Bevande spiritose, sidro e alre bevande fermentate derivate dalle mele o contenenti succo di mela

50

Prodotti a base di mele allo stato solido 25 Succo di mela, prodotti a base di mela per l’infanzia, altri alimenti per bambini

10

Tabella 9. Reg (CE) 1425/2003.

Il Regolamento 1126/2007 (CE/2007), modifica il Reg. CE 1881/2006

(CE/2006b) e definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti

alimentari per quanto riguarda le Fusarium-tossine nel granturco e nei

prodotti a base di granturco.

33

Tabella 10. Reg. (CE) 1126/2007.

Prodotto Zearalenone (ppb)

Cereali non trasformati diversi dal granturco 100 Granturco non trasformato ad eccezione del granturco non trasformato destinato alla molitura ad umido

350

Olio di granturco raffinato 400 Pane (compresi piccoli prodotti da forno), prodotti della pasticceria, biscotteria, merende a base di cereali e cereali da colazione, esclusi le merende a base di granoturco e i cereali da colazione

50

Cereali destinati al consumo umano diretto, farina di cereali, crusca e germe come prodotto finito commercializzato per il consumo umano diretto eccetto i prodotti alimentari di seguito riportati

75

Granoturco destinato al consumo umano diretto, merende a base di granoturco e cereali da colazione a base di granoturco

100

Alimenti a base di cereali trasformati (esclusi quelli a base di granoturco) e altri alimenti destinati ai lattanti e ai bambini

20

Alimenti a base di granoturco trasformato destinati ai lattanti e ai bambini

20

Frazioni della molitura del granoturco di dimensioni > 500 micron di cui al codice e altri prodotti della molitura del granoturco non destinati al consumo umano diretto di dimensioni > 500 micron di cui al codice NC 1904 10 10

200

Frazioni della molitura del granoturco di dimensioni < 500 micron di cui al codice e altri prodotti della molitura del granoturco non destinati al consumo umano diretto di dimensioni < 500 micron di cui al codice NC 1904 10 10

300

34

Prodotto Deossinivalenolo (DON) (ppb)

Cereali non trasformati diversi da grano duro, avena e granoturco

1250

Grano duro e avena non trasformati 1750 Granoturco non trasformato ad eccezione del granoturco non trasformato destinato alla molitura ad umido

1750

Pasta secca 750 Pane (compresi piccoli prodotti da forno), prodotti della pasticceria, biscotteria, merende a base di cereali e cereali da colazione

500

Cereali destinati al consumo umano diretto, farina di cereali, crusca e germe come prodotto finito commercializzato per il consumo umano diretto , eccetto i prodotti alimentari di seguito riportati

750

Alimenti a base di cereali trasformati e altri alimenti destinati ai lattanti e ai bambini

200

Frazioni della molitura del granoturco di dimensioni > 500 micron di cui al codice e altri prodotti della molitura del granoturco non destinati al consumo umano diretto di dimensioni > 500 micron di cui al codice NC 1904 10 10

750

Frazioni della molitura del granoturco di dimensioni < 500 micron di cui al codice e altri prodotti della molitura del granoturco non destinati al consumo umano diretto di dimensioni < 500 micron di cui al codice NC 1904 10 10

1250

Tabella 11. Reg (CE) 1126/2007.

35

Prodotto Fumonisine (somma di B1 e B2) (ppb)

Granoturco non trasformato, ad eccezione del granoturco non trasformato destinato alla molitura ad umido

4000

Granoturco destinato al consumo umano diretto, prodotti a base di granoturco destinati al consumo umano diretto, ad eccezione degli alimenti elencati di seguito

1000

Cereali da colazione e merende a base di granoturco 800 Alimenti a base di granoturco trasformato e altri alimenti destinati ai lattanti e ai bambini

200

Frazioni della molitura del granoturco di dimensioni > 500 micron di cui al codice e altri prodotti della molitura del granoturco non destinati al consumo umano diretto di dimensioni > 500 micron di cui al codice NC 1904 10 10

1400

Frazioni della molitura del granoturco di dimensioni < 500 micron di cui al codice e altri prodotti della molitura del granoturco non destinati al consumo umano diretto di dimensioni < 500 micron di cui al codice NC 1904 10 10

2000

Tabella 12. Reg (CE) 1126/2007.

Per quanto riguarda lo zearalenone, la sua presenza nelle derrate alimentari

destinate agli animali, costituisce anche una problematica di tipo legale in

quanto uno dei suoi metabolici, l’α-zearalanol, può essere utilizzato anche

come sostanza anabolizzante (Shier et al., 2001).

Anche per l’ocratossina A, il deossinivalenolo, lo zearalenone, le tossine T-2

e HT-2 e le fumonisine, è stata redatta una regolamentazione finalizzata a

limitarne la presenza nelle derrate alimentari destinate agli animali. Essa è

rappresentata dalla Direttiva 2006/576/CE (CE/2006a). I dati sono relativi

al contenuto massimo di micotossina in mg/Kg (ppm) di mangime al tasso

di umidità del 12%.

36

Micotossina Prodotti destinati all’alimentazione degli animali

ppm

Deossinivalenolo Materie prime per mangimi • Cereali e prodotti a base di cereali

fatta eccezione per sottoprodotti del granoturco

• Sottoprodotti del granoturco Mangimi complementari e completi ad eccezione di:

• Mangimi complementari e completi per suini

• Mangimi complementari e completi per vitelli (< 4 mesi), agnelli e capretti

8

12 5

0,9 2

Zearalenone Materie prime per mangimi • Cereali e prodotti a base di cereali

fatta eccezione per sottoprodotti del granoturco

• Sottoprodotti del granoturco Mangimi complementari e completi ad eccezione di:

• Mangimi complementari e completi per suinetti e scrofette (giovani scrofe)

• Mangimi complementari e completi per scrofe e suini da ingrasso

• Mangimi complementari e completi per vitelli, bovini da latte, ovini (inclusi agnelli) e caprini (inclusi capretti)

2 3

0,1

0,25

0,5

Ocratossina A Materie prime per mangimi • Cereali e prodotti a base di cereali

Mangimi complementari e completi • Mangimi complementari e completi

per suini • Mangimi complementari e completi

per pollame

0,25

0,05

0,1

Fumonisine B1 + B2

Materie prime per mangimi • Granoturco e prodotti derivati

Mangimi complementari e completi per: • Suini, equini, conigli e animali da

compagnia, • Pesci, • Pollame, vitelli (<4 mesi), agnelli e

capretti, • Ruminanti adulti (> 4 mesi)

60 5

10 20

50

Tabella 13. Direttiva (CE) 2006/576.

37

Anche in Italia sono stati adottati questi Regolamenti e tramite la Circolare

Ministeriale n° 10 del 9 Giugno 1999 sono stati forniti dei valori guida per le

autorità preposte al controllo ufficiale, cioè dei valori massimi di tossine

ammissibili nelle derrate alimentari di provenienza nazionale, comunitarie e

proveniente da Paesi Terzi.

Aflatossine (ppb)

Prodotto

B1 B1, B2, G1, G2

M1

Ocratossina A (ppb)

Caffè crudo - - - 8 Caffè tostato e solubile

- - - 4

Cacao e derivati - - - 0,5 Birra - - - 0,2 Carne suina e derivati

- - - 1

Piante infusionali 5 10 - -

Tabella 14. Valori guida della circolare n. 10, del 9 Giugno 99,

G.U n. 135.

Per quanto riguarda la Regolamentazione fuori dall’Europa, possiamo

prendere in considerazione il caso degli USA, i quali sono principalmente

sensibili alle contaminazioni di aflatossine legate al mais. Le condizioni

climatiche degli USA negli stati meridionali (clima caldo umido), fanno sì che

le derrate alimentari non possono che avere livelli di contaminazione da

micotossine decisamente superiori a quelli europei. In tal senso pertanto, la

normativa USA, risulta essere meno restrittiva di quella europea. E’ il caso

ad esempio dei limiti sulle aflatossine: per gli USA i valori regolati dalla UE,

sarebbero impossibili da ottenere viste le condizioni climatiche che

caratterizzano il paese; per tale ragione il loro livello di accettabilità per

legge è 10 volte superiore a quello indicato in Europa (Tecnoalimenti,

2006).

38

2. OCRATOSSINE

2.1 GENERALITA’

2.1.1Cenni storici

Nel Gennaio del 2006, il proprietario del più grosso impianto di molitura di

cereali in Italia, è stato arrestato per l’importazione di circa 58.000

tonnellate di frumento proveniente dal Canada, il quale risultava

contaminato da ocratossina A (OTA) a concentrazioni di 15 µg/kg (Hooper,

2006). Questo frumento è stato venduto e destinato direttamente al

consumatore finale e ai diversi processi di lavorazione alimentare. Questa

notizia, ha sconvolto i consumatori, ma l’esposizione al rischio ocratossine,

non è nuova. Si parla già di ocratossina nel 1750 in seguito ad una minore

mortalità in Gran Bretagna e in Francia dovuta in parte al miglioramento

delle condizioni igienico sanitarie e alimentari, ma anche alle micotossine, in

quanto, a quell’epoca, il consumo alimentare di patate, aumentò

drasticamente andando a sostituire alimenti come grano, orzo e riso,

maggiormente suscettibili rispetto alla patata, alla contaminazione di

micotossine (Stomer et al., 1992). Inoltre, si notò la correlazione tra gli

eventi di mortalità di massa e il clima favorevole alla formazione di

micotossine (Stomer et al., 1992). La scoperta dell’ocratossina però, risale a

tempi ancora più lontani; tant’è che, diversi archeologi studiosi delle antiche

tombe egizie, cercarono di far luce sulle cause di morte dei faraoni,

suggerendo come causa di morte un’insufficienza renale acuta provocata

dall’inalazione di spore fungine contenenti ocratossine (Di Paolo et al.,

1993).

39

2.1.2 Miceti produttori e condizioni di sviluppo

Le ocratossine sono un gruppo di metaboliti secondari strutturalmente simili

prodotti da funghi del genere Aspergillus e Penicillium, principalmente A.

ochraceus e P. verrucosum (Miraglia e Brera, 1999). La produzione di

ocratossine è dipendente da differenti fattori come la temperatura, l’acqua

libera ed altre condizioni che influiscono sulla fisiologia dei funghi produttori.

Nelle regioni caratterizzate da climi temperato-freddi, le ocratossine, sono

maggiormente prodotte da P. verrucosum (Pitt, 2000; Castella et al., 2002)

o P .nordicum (Larsen et al., 2001). P. verrucosum, contamina

principalmente piante come cereali, mentre P. nordicum è stato

maggiormente trovato in prodotti carnei e formaggio. Nelle regioni

caratterizzate invece, da climi tropicali e semitropicali, è stata rinvenuta la

presenza di A. ochraceus, il quale è stato ritrovato in diversi prodotti come

nocciole, arachidi, legumi, spezie, chicchi di caffè verde e frutta secca, ma

anche in processi di affumicatura e salatura di carne e pesce (WHO/FAO,

2001). Altre due specie di Aspergillus, rispettivamente, A.niger var niger

(Abarca et al., 2001; Belli et al.,2004) e A.carbonarius (Teren et al., 1996;

Mitchell et al., 2004), sono stati identificati anch’essi come produttori di

ocratossine. La contaminazione da ocratossine di substrati come i cereali e

le oleaginose nelle zone umide, si pensa sia dovuta a specie di A.niger var

niger in addizione ad A.ochraceus (Accensi et al., 2004), mentre

A.carbonarium sembra maggiormente coinvolto nella contaminazione di

uva, uva passa, e caffè (Sage et al., 2002; Cabanes et al., 2002). La

maggior parte delle muffe deputate alla sintesi delle ocratossine sono

xerofile. Ponendo attenzione sulle due specie maggiori produttrici di

ocratossine, possiamo dire che Aspergillus ochraceus sintetizza l’ocratossina

A quando l’aw è superiore a 0,80 e la produzione ottimale si osserva a valori

di aw 0,96-0,98 (Adebajo et al., 1994; Ramos et al., 1998); mentre

Penicillum verrucosum, sintetizza la micotossina quando l’aw è compresa tra

0,80 e 0,90 con un massimo di produzione a valori di aw compresi tra 0,95

e 0,99 (0,92 più specificatamente con riferimento al grano e all’orzo)

(Patterson e Darnogloul, 1986; Northolt e Bullerman, 1982; Northolt et al.,

40

1979). Alcune volte tali micotossine, sono sintetizzate durante la

conservazione o la commercializzazione stessa dei prodotti in precedenza

ben essiccati, quando per qualche causa i prodotti ritornano ad inumidirsi.

Questo in genere, accade nelle derrate conservate alla rinfusa in magazzino

o in silos per condensazione d’acqua sui pavimenti o su altre superfici

fredde. Piuttosto frequente, è anche l’eventualità di una condensazione di

acqua sui prodotti confezionati in buste di plastica quando il

confezionamento avviene ad elevate temperature ed umidità in quanto in un

secondo momento, se le buste vengono esposte a basse temperature,

l’umidità residua nella plastica si condensa e consente la crescita dei miceti

(Hesseltine, 1969). Per limitare la contaminazione degli alimenti, il tenore in

acqua deve essere contenuto durante la conservazione e mantenuto

inferiore al 13-13,5% per i cereali e al 7-8% per i semi oleosi. Per quanto

riguarda la temperatura, quelle ideali per lo sviluppo fungino sono comprese

tra 20 e 30°C con l’umidità del substrato del 30%. La produzione di tossine

invece, avviene a temperature lievemente più basse di alcuni gradi rispetto

a quelle ottimali per lo sviluppo del micelio fungino, ma che possono

oscillare in un range di 10-50°C (Osweiler, 1992). In particolar modo A.

ochraceus, sintetizza l’OTA a partire da una temperatura di 12°C, con un

massimo di produzione a 30°C (Bacon et al., 1973; Haggblom, 1982;

Northolt e Bullerman, 1982; Northolt et al., 1979; Ramos et al., 1998);

mentre A. nigri, cresce a temperature comprese tra 6 e 47°C con un

optimum di sviluppo a 35-37°C e sintetizza la micotossina in un range di

20-25°C. Infine A. carbonarius, si sviluppa a temperature comprese tra 10 e

40°C e produce l’OTA tra i 15 e i 35°C (Esteban et al., 2004). Il fattore

temperatura risulta essere inoltre, determinante per la sintesi di una

specifica tossina, se si considera che uno stesso fungo può elaborare tossine

diverse a temperature diverse (A. ochraceus A 25°C sintetizza l’OTA mentre

a 20°C sintetizza acido penicillio). I trattamenti termici classici di

sterilizzazione degli alimenti, permettono di distruggere le muffe, ma sono

per lo più, poco efficaci contro le ocratossine (termostabili come la maggior

parte delle micotossine) (Pasteiner, 1997). Anche la composizione gassosa

41

dell’atmosfera può influenzare la crescita delle specie tossigene e lo sviluppo

delle relative micotossine (Northolt e Bullerman, 1982; El-Halouat e

Debevere, 1997; Paster et al., 1983). Le muffe che sintetizzano ocratossine,

sono aerobie ma possono adattarsi, quando sussistono le altre condizioni

ottimali, all’ambiente in atmosfera modificata contenente più CO2 della

norma. Alcuni autori, hanno però dimostrato che, modificando la

composizione in CO2 dell’atmosfera (20%), era possibile ridurre

l’accrescimento fungino (Hesseltine, et al 1972) e che, inoltre un’atmosfera

contenente il 30% di CO2 era capace di inibire completamente la produzione

di OTA da parte di A. ochraceus (Paster et al., 1983). La mancanza di

ossigeno non comporta l’eliminzaione dei miceti, ma ne sospende l’attività e

quindi la sintesi di tossine. Anche il pH è un fattore importante che influenza

la crescita dei funghi ocratossigeni e la relativa sintesi di OTA. Lo sviluppo

del micelio, avviene a valori compresi tra 4 e 8. Il pH ottimale per la

produzione di OTA da parte di specie del genere Penicillium, è di 6,5

(Bullerman, 1985). Infine, il tipo di substrato, è l’elemento, come già

ricordato, che più probabilmente influenza la tossinogenesi. A tal proposito

(Madhyastha et al., 1990), è stato osservato che l’OTA viene sintetizzata da

P.verrucosum preferibilmente sui cereali rispetto alle leguminose; invece

avviene il contrario per l’A.ochraceus il quale colonizza principalmente le

leguminose, in particolare le arachidi e la soia. La presenza di miceti sui

cereali, potrebbe determinare variazioni della qualità nutrizionale degli

alimenti; è stato infatti dimostrato, come la contaminazione di grano e di

orzo da parte dei miceti, implica una grande riduzione della quantità di lipidi

e di amido rispetto alle colture non colonizzate, e che la composizione

aminoacidica subisce delle modifiche (Madhyastha et al., 1993). Sembra

infatti che le specie ocratossigne, sintetizzino più facilmente OTA sfruttando

proprio le riserve aminoacidiche dell’ospite; in particolare prolina ed acido

glutammico favoriscono la produzione di OTA nell’orzo (Haggblom e Ghosh,

1985). La presenza di ocratossine su specie vegetali, potrebbe poi essere

messa in relazione anche ad un diverso contenuto in microelementi, tra cui

zinco, ferro, boro, mobildeno e manganese. Bisogna puntualizzare invece

42

che, durante la conservazione, più che il substrato chimico, è lo stato fisico

dell’alimento che interviene nel favorire o meno la crescita dei miceti, in

quanto i semi macinati, verranno più velocemente contaminati poiché la

funzione protettiva offerta dal tegumento viene a mancare.

2.1.3 Alimenti contaminati

Grazie alla grande diffusione dei funghi produttori (Aspergillus ochraceus

nelle regioni a clima caldo e Penicillium verrucosum nei paesi a clima

freddo), l’ocratossina A presenta una distribuzione mondiale. Molteplici sono

gli alimenti che possono essere contaminati in primo luogo dalle diverse

specie fungine produttrici di ocratossine e secondariamente dagli stessi

metaboliti. I principali substrati contaminati da OTA sono: riso, segale,

mais, grano, sorgo, orzo, frumento, i cereali in genere (o per

contaminazione diretta dei cereali o per ammuffimento delle farine) ed i

prodotti da forno specialmente pane e biscotti. Inoltre, le noci, i pistacchi, le

arachidi ed i sottoprodotti delle loro rispettive lavorazioni (panelli e farine di

estrazione), come olive ma anche fagioli e legumi sono di frequente

contaminati dall’OTA (Campbell et al., 2000; Fukal, 1990; Hennigen e Dick;

1995; Hohler, 1998; Holmberg et al., 1991; Scott et al., 1972; Scudamore ,

1996; Wolff, 2000; Yoshizawa, 1991). In questi ultimi anni è stato messo in

evidenza come l’OTA contamini anche altri tipi di alimenti in particolare

vino, birra e caffè. Recenti studi hanno mostrato come la concentrazione di

OTA sia più elevata nei vini rossi , seguito da quelli rosati ed infine da quelli

bianchi (Burdaspal e Legarda, 1999; Soleas et al., 2001; Ueno, 1998;

Visconti et al., 1999; Zimmerli e Dick, 1996). Ciò è dovuto al diverso

processo di lavorazione dell’uva; infatti la produzione di vino rosso, prevede

la fermentazione del succo insieme alle bucce che potrebbero essere

contaminate nella parte esterna dalla micotossina. I vini dolci risultano

anche più contaminati dei vini rossi (Burdaspal e Legarda, 1999; Zimmerli e

Dick, 1996), in quanto, per ottenere un’uva più dolce, si effettua la

vendemmia più tardi e ciò favorisce lo sviluppo delle muffe ocratossigene e

43

delle relative micotossine. I vini che provengono dalle regioni del

Mediterraneo risultano più contaminati di quelli provenienti dai Paesi del

nord Europa (Hohler, 1998; Markaki et el., 2001; Zimmerli e Dick, 1996).

Anche alcuni succhi d’uva, possono contenere quantità di OTA, anche

superiori rispetto ai vini, risultando così, molto pericolosi in quanto destinati

principalmente al consumo dei bambini (Zimmerli e Dick, 1996).

Fortunatamente, la tossicità delle ocratossine nel vino, può essere

minimizzata con l’utilizzo di sostanze comunemente commercializzate

nell’industria alimentare, come carboni, bentonite e fibre vegetali dal potere

adsorbente, oltre che con l’ausilio di microrganismi come l’Acinetobacter

calcoaceticus che le degrada ad α-ocratossina (Carratù e Cuomo, 2001). La

presenza di OTA nel caffè è stata evidenziata per la prima volta nel 1974

(Bucheli e Taniwaki, 2002). La sua produzione nel caffè sembra sia dovuta

ad Aspergillus spp, principalemente A.niger, A.carbonarius ed A.ochraceus

(Bucheli et al., 2000; Bucheli e Taniwaki, 2002; Joosten et al., 2001; Tèren

et al., 1997). Dati recenti, indicano che l’80% dell’OTA è distrutta durante la

torrefazione industriale e che il caffè contaminato, venduto al dettaglio,

offre solo un contributo marginale all’assunzione quotidiana di OTA (Van Der

Stegen et al., 1997). Il caffè istantaneo però, risulta essere più pericoloso in

quanto contiene livelli di ocratossine significativamente più elevati rispetto

al caffè prodotto a partire da chicchi tostati (Bresch et al., 2000). La

contaminazione della birra da parte della micotossina invece, sembra sia

dovuta allo sviluppo di P.verrucosum durante la conservazione dell’orzo e

durante la produzione del malto (Baxter et al., 2001). E’ stata osservata

una percentuale di contaminazione del 42% nell’uva passa e nell’uva

sultanina proveniente dalla Turchia e dalla Grecia (con alti livelli di

contaminazione in un range di 4-53,6 µg/kg). Ugualmente alte

concentrazioni sono state riscontrate in Inghilterra sugli stessi substrati con

incidenza dell’88% dei campioni esaminati (MacDonald et al., 1999). E’

stata riscontrata una notevole presenza di OTA anche sulla frutta sottoposta

a procedimenti di essiccazione quale prugne, albicocche e fichi (Zohri e

Abdel-Gawad, 1993). Le oleaginose ed i semi di girasole, di arachidi e di

44

soia sono spesso invasi da funghi, però l’estrazione ed i processi industriali

cui sono sottoposti comportano la quasi totale eliminazione delle

micotossine. Il cacao, le spezie in genere, le foglie di tè e le erbe medicinali

(Halt, 1998), le mandorle ed i pistacchi, possono evidenziare concentrazioni

discrete di ocratossine, tuttava, le radiazioni possono efficientemente

determinare una drastica riduzione della loro concentrazione su questi

prodotti di piccolo volume. L’OTA è stata ritrovata anche in alimenti di

origine animale, in particolare in prodotti a base di carne di maiale e di

specie avicole (Canela et al., 1994; Curtui et al., 2001; Gareis e Wolff,

2000; Gareis e Scheuer, 2000; Holmberg et al., 1991; Jimenez et al., 2001;

Jorgensen, 1998; Kuiper-Goodman e Scott, 1989) a causa, come dimostrato

sperimentalmente, dal fenomeno del carry-over della micotossina dal

mangime ai tessuti animali (Abramson et al., 1983). Questo si verifica

maggiormente in animali che vengono alimentati con mangimi contaminati

da OTA (Fukal, 1990; Greis e Wolff, 2000; Pohland et al., 1992; Kuiper-

Goodman e Scott, 1989; Speijers e Van Egmond, 1993). Per alcuni studiosi,

la presenza delle micotossine negli alimenti di origine animale, è tuttavia,

più verosimilmente da addebitare ad altri ingredienti del prodotto sottoposto

a lavorazione come ad esempio i pistacchi utilizzati per aromatizzare la

mortadella. Alcuni ricercatori, hanno contaminato la porzione esterna di un

prosciutto crudo, ed hanno evidenziato come la tossina contamini solo

superficialmente il prodotto entrando di pochi mm nella cotenna (Escher et

al 1973). E’ stata riscontrata la presenza di OTA anche in diversi prodotti

carnei sottoposti ad affumicamento (Pepeljnjack e Blozevic, 1982). Un’altra

pericolosa fonte di contaminazione, può essere quella derivante dalla

presenza dei miceti utilizzati nell’industria di lavorazione dei prodotti carnei

(ad es. salumi), quali vari ceppi di Penicillium ed Aspergillus per conferire al

prodotto qualità organolettiche apprezzabili ma che, se sono presenti le

idonee condizioni, sono anche produttori di ocratossina, citrinina,

citroviridina e sterigmatocistina. La presenza della micotossina, è stata

riscontrata anche nel latte di bovine alimentate con mangime contaminato

(Hohler, 1998; Skaug, 1999; Valenta e Goll, 1996), tuttavia sono ancora

45

discordanti i pareri relativi alla sua presenza in questa matrice biologica i cui

livelli risultano a concentrazioni tali da non destare pericolo.

Figura 5. Mais contaminato da muffe.

2.1.4 Caratteristiche chimiche e strutturali

Le ocratossine, eccetto l’ocratossina α (OTα), costituiscono un gruppo di

derivati dell’isocumarina strettamente correlati tra loro, legati al gruppo

amminico della L-β-fenilalanina e classificati in base alla loro origine

biosintetica come pentachetidi (Turner, 1971). Le ocratossine attualmente

conosciute sono l’ocratossina A (OTA), l’ocratossina B (OTB), l’ocratossina C

(OTC), l’ocratossina α (OTα), l’ocratossina β (OTβ), i due epimeri 4R/S-

idrossiocratossina A, la 10-idrossiocratossina A e la forma aperta di OTA

(OP-OTA) (Van der Merwe et al., 1965a,b; Steyn e Holzapfel, 1967; Xiao et

al., 1995; Xiao et al., 1996a). Tra tutte l’OTA è quella più studiata per la

sua elevata diffusione e per la sua importanza tossicologica (Miraglia e

Brera, 1999). L’OTA è stata isolata per la prima volta nel 1965 in Sud africa

46

da A.ochraceus (Van der Merwe et al., 1965a). L’OTA o 7(L-β-fenilalanina-

carbonil)-carbossil-5-cloro-8-idrossi-3,4diidro3R-metilisocumarina (Kuiper-

Goodman e Scott, 1989), presenta un atomo di cloro in posizione C5. L’OTA

negli alimenti e nei mangimi, è spesso accompagnata dall’OTB che si

differenzia dal non avere l’ atomo di cloro. Sebbene l’OTB, possa co-esistere

con l’OTA in alcuni prodotti naturalmente contaminati, in alcuni studi sugli

effetti tossici in animali, si è potuto constatare che le sue concentrazioni

sono generalmente più basse e che la sua tossicità, è notevolmente

inferiore rispetto all’OTA (Mally at al., 2005). Il potenziale tossico di

quest’ultima è incrementato dalla presenza di un gruppo OH (Chu et al.,

1972) che, permettendo la formazione di legami idrogeno con altri elementi,

determina la formazione di strutture secondarie (Bredenkamp et al., 1989).

In particolare, l’OTA è un composto cristallino incolore, altamente solubile in

solventi organici polari e in soluzioni acquose di bicarbonato ma poco

solubile in acqua (Betina, 1989). Ha inoltre proprietà debolmente acide

(Chu, 1974). Gli esteri dell’OTA, possiedono una tossicità simile a quella del

loro precursore, mentre diversa è la tossicità degli esteri dell’OTB in quanto

è pressochè nulla (Ueno, 1987). L’ OTα ed i derivati idrossilati dell’OTA

invece, non risultano essere tossici; al contrario, la forma aperta dell’OTA,

sembra possedere una tossicità simile a quella del suo precursore (Xiao et

al., 1996a).

Figura 6. Struttura chimica dell'ocratossina A.

47

2.2 TOSSICOCINETICA

2.2.1 Generalità

Considerando la notevole diffusione in natura delle micotossine nelle derrate

alimentari, assume particolare importanza capire la tossicologia e il destino

biologico di questi composti. Il destino di una tossina in un organismo

animale, è il frutto dei processi di assorbimento, distribuzione,

biotrasformazione e dei processi di eliminazione che, nel caso di animalI di

interesse zootecnico, comprendono le modalità di passaggio dei metaboliti

nella carne, uova e latte.

2.2.2 Assorbimento

L’assorbimento dell’OTA in molte specie, avviene inizialmente a livello dello

stomaco a causa della sua acidità (pKa =7,1) .Comunque, da studi condotti

su animali con anse intestinali legate, il piccolo intestino si è dimostrato il

maggior sito di assorbimento, specialmente a livello del digiuno, il cui

passaggio di OTA può avvenire anche contro gradiente e dipende dal pH

della superficie mucosale (Kumagai e Aibara, 1982; Kumagai, 1988). I

valori di pKa del gruppo carbossilico della fenilalanina (4,2-4,4) e del gruppo

idrossilico del fenolo dell’isocumarina (7,0-7,3), iocano un ruolo essenziale

nell’assorbimento della micotossina. A condizioni di pH fisiologico del chimo

duodenale sono presenti sia la forma monoanionica (OTA-) sia la dianionica

(OTA-2), mentre la forma totalmente protonata è presente principalmente in

soluzioni acide, come nella parte superiore del tratto gastrointestinale. In

seguito ad assorbimento si lega alle siero proteine, principalmente alle

albumine, e a seconda dell’affinità e del grado di legame con le proteine, si

riscontrano notevoli differenze nell’emivita nel siero. La persistenza dell’OTA

48

nel sangue infatti è più lunga nell’uomo, dove raggiunge un’emivita di 840

ore (Miraglia e Brera, 1999) e nel maiale (35 giorni) che sono le specie più

sensibili. I picchi di OTA riscontrati nel siero e nel contenuto intestinale sono

una conseguenza della circolazione entero-epatica, in quanto l’escrezione

biliare di questa tossina è molto efficiente (Fuchs et al., 1988; Roth et al.,

1988). Negli animali la concentrazione della tossina e dei suoi metaboliti nei

vari tessuti varia a seconda della dose di somministrazione, della forma

dell’OTA somministrata (cristallina o presente naturalmente nel cibo), dalla

composizione della dieta, dallo stato di salute dell’animale e dalla specie. In

quest’ultimo caso la percentuale di OTA assorbita è pari al 66% nei maiali,

56% nei ratti e conigli e del 40% nei polli (Galtier et al., 1981). La

percentuale risulta bassa invece nei ruminanti poiché la flora ruminale

(costituita principalmente da protozoi), trasforma la micotossina

rapidamente in OTα (Kuiper-Goodman e Scott, 1989).

2.2.3 Distribuzione

LEGAME CON LE PROTEINE DEL PLASMA

La biodisponibilità di OTA, stimata paragonando la concentrazione sierica

massima dopo la somministrazione orale o endovenosa, è scarsa nel pesce

ma risulta compresa tra il 44 e il 97% nei mammiferi studiati (Hagelberg et

al., 1989). In seguito all’ assorbimento l‘OTA, viene convogliata nel circolo

sanguigno e lì interagisce rapidamente con le proteine sieriche in particolare

con le albumine con altre macromolecole (Chu, 1971; Chu, 1974), mentre

gli eritrociti ne contengono solo in tracce (Galtier, 1978). L’OTA legata alle

albumine e alle altre molecole ematiche costituisce una riserva mobile di

micotossina che può essere ceduta facilmente ai tessuti per lungo tempo

(Galtier, 1978; Hult et al., 1982). Il ruolo delle albumine nella cinetica di

distribuzione dell’OTA, è stato illustrato attraverso uno studio condotto su

ratti deficienti di albumina in cui si è evidenziato come fossero capaci di

eliminare l’OTA dal torrente ematico, molto più velocemente rispetto ai ratti

normali. Questo fenomeno ha portato alla conclusione che, il legame OTA-

49

albumina, permette di ritardare la sua eliminazione limitandone il

trasferimento dal torrente ematico alle cellule epatiche e renali (Kumagai,

1985). La frazione di OTA libera è lo 0,02% nell’uomo e nel ratto, 0,08%

nella scimmia, 0,1 % nel topo e nel maiale e 22% nel pesce (Hagelberg et

al., 1989). Sono state riportate notevoli differenze riguardo l’emivita

dell’OTA nel siero delle diverse specie: 72-120 ore nel suino (Galtier et al.,

1981; Mortensen et al., 1983a), 72 ore nel vitello (Sreemannarayana et al.,

1988), 55-120 ore nel ratto (Galtier et al., 1979; Ballinger et al., 1986;

Hagelberg et al., 1989) e 4,1 ore nel pollo (Galtier et al., 1981). L’emivita

dell’ OTA nell’uomo dopo somministrazione orale è di 840 ore e, poiché essa

impiega circa otto volte questo periodo per essere eliminata, il livello di OTA

ematica è quantificabile per 280 giorni (Petzinger e Ziegler, 2000).

CIRCOLAZIONE ENTEROEPATICA

La circolazione enteroepatica dell’OTA, è stata dimostrata attraverso studi

effettuati su roditori (Kumagai e Aibara., 1982; Roth et al.,1988; Fuchs et

al., 1988) e su vitelli (Sreemannarayana et al, 1988). Tutti questi studi,

hanno mostrato una distribuzione di picchi secondari di OTA nel siero e nel

contenuto intestinale portando alla conclusione di una secrezione biliare

della tossina seguita dal suo riassorbimento da parte dell’intestino. Il

riassorbimento di OTA dall’intestino ritorna in circolazione, come

conseguenza del riciclaggio biliare, favorisce così la distribuzione di OTA nei

differenti tessuti.

DISTRIBUZIONE TISSUTALE

La concentrazione di OTA e dei suoi metaboliti nei tessuti e nel plasma

degli animali, dipende dalla specie animale, dalla dose somministrata, dalla

sua forma (cristallina o naturalmente presente nei mangimi), dalla

composizione della dieta come anche dallo stato di salute dell’animale.

Generalmente, la velocità di eliminazione dell’ OTA dal sangue, è più lunga

rispetto a quella di altri tessuti, questo dovuto in parte, all’alta affinità di

legame della tossina con le proteine del sangue (Hagelberg et al., 1989). La

50

distribuzione nei tessuti di maiale, ratto, pollo e capra, segue l’ordine:

reni>fegato>muscolo>tessuto adiposo (Harwing et al., 1983; Ferrufino-

Guardia et al., 2000). Differenza nella distribuzione nei diversi tessuti di

ratto, sono state osservate in uno studio dopo ingestione di piccole dosi di

OTA radioattiva (in ordine decrescente: polmone, fegato, reni, cuore, lardo,

intestino, testicoli, muscolo, milza e cervello) (Kane et al., 1986). L’OTA

inoltre, è stata ritrovata nel cervello, nel cervelletto, nella parte ventrale del

mesencefalo, nello striato e nell’ippocampo di ratti maschi ad una

percentuale di 0,022-0,028% della dose somministrata di 289 g/kg/giorno

durante 8 giorni di somministrazione tramite intubazione gastrica

(Belmadani et al., 1988). Altri studi mostrano un trasferimento attraverso la

placenta nei mammiferi, soprattutto in topi, ratti e maiali (Kuipper Goodman

et al., 1989; Palminger et al., 1998).Questi studi hanno dimostrato che il

trasferimento dipende dallo stadio di sviluppo della placenta, che si

considera completato dopo il 9° giorno di gestazione. Nell’uomo, la

concentrazione fetale di OTA riscontrata è due volte maggiore rispetto a

quella materna; questo stà ad indicare un attivo trasferimento placentare

(Zimmerli e Dick,1995). L’OTA somministrata nella dose di 0,38 mg/kg p.v.

a scrofe a 21-28 giorni di gravidanza invece, non attraversava la placenta

(Patterson et al, 1976), e nessun residuo di micotossina è stato ritrovato nei

suinetti nati da scrofe alimentate con mangimi contenenti livelli pari a 7-16

µg di OTA durante tutta la gravidanza (Mortensen et al., 1983b). Però,

secondo uno studio recente, in soggetti alimentati con cibi naturalmente

contaminati, l’OTA è stata trasmessa in utero e a sei maialini: il livello di

micotossina ematica nei piccoli è risultato pari a 0,075-0,12 ng/ml e di 0,20

ng/ml nella madre (Barnikol e Thalmann, 1988). E’ comunque ancora poco

conosciuto il trasferimento dell’OTA attraverso la placenta. La presenza di

OTA, è stata ritrovata anche nelle uova di diverse specie di volatili. In

galline, alimentate con mangimi contaminati con una concentrazione di OTA

di 0,3-1 mg/kg per 341 giorni, non è stata ritrovata nessuna traccia di OTA

nelle uova (Krogh et al., 1976), ma nel corso di altri studi, la micotossina è

51

stata trovata in uova di uccelli che ne avevano ingerito una quantità pari a

10 mg/kg di p.v. (Juszkiewicz et al., 1982).

2.2.4 Biotrasformazione La principale via metabolica dell’OTA, consiste nella sua idrolisi in OTα, un

composto molto meno tossico originatosi attraverso la rottura del legame

peptidico. Nel ratto questa via di detossificazione, appare principalmente a

carico dell’ azione della microflora presente nel cieco (Galtier, 1978). In

particolare gli enzimi responsabili della reazione di idrolisi nei roditori e nel

bovino sono la carbossipeptidasi A e la chimotripsina (Pitout, 1969a, 1969b;

Pitout e Nel, 1969). Altre micotossine come l’acido penicillico, impediscono

la reazione di idrolisi (Parker et al., 1982), mentre l’inibizione della flora

dell’ultimo tratto intestinale da parte della neomicina, riduce la produzione

di OTα aumentando il livello di OTA ematica (Madhysta et al., 1992). Studi

condotti su omogenati di tessuto di ratto, hanno mostrato che tale reazione

può avvenire anche nel duodeno, nell’ileo, e nel pancreas, mentre è

risultata scarsa nel rene e nel fegato (Suzuki et al., 1977). Tale meccanismo

di detossificazione, avviene anche nei bovini grazie all’azione della frazione

protozoaria presente nel liquido ruminale. L’OTA in questo caso, viene

idrolizzata nella sua forma atossica anche nel secondo stomaco e

nell’omaso, mentre questo non succede nell’abomaso (Hult et al., 1976). E’

stato stimato che possono essere degradati fino a 12 mg di OTA/kg di

alimento (Hult et al., 1976; Petterson et al., 1982). Proprio per tale ragione,

i ruminanti sono meno sensibili alla tossina rispetto ai monogastrici. Da

alcuni studi è emerso inoltre che, esiste una correlazione tra la

concentrazione di protozoi ed il contenuto di amido nel rumine; infatti la

popolazione protozoaria, è significativamente influenzata dal contenuto nella

razione e quindi nel rumine, di carboidrati facilmente fermentescibili quali

l’amido (Abe e Iriki, 1978). Un incremento di amido nella dieta, porta ad

aumento di energia disponibile e ad un aumento della densità dei protozoi

nel rumine (Nakamura e Kanegasaki, 1969). Come il bovino, anche la

52

pecora si è mostrata capace di possedere una buona attività di

detossificazione dell’OTA, prima che questa raggiunga il circolo ematico

(Kiessling et al., 1984). Ricerche svolte sul topo, hanno mostrato che l’OTA

dal fegato, per mezzo della bile, viene riversata nell’intestino dove viene

degradata ad OTα (Moroi et al., 1985). Circa il 25-27% dell’OTA,

somministrata sia per via orale che per via intraperitoneale nel ratto, si

ritrova sotto forma di OTα nelle urine in quanto riassorbita dall’intestino

(Storen et al.,1982). Altri metaboliTi urinari dell’ OTA di minore importanza

sono la (4R)-4-idrossiocratossina A e la (4S)-4-idrossiocratossina A prodotte

dal fegato di ratto e di coniglio (Stormer et al., 1981) e dal rene di ratto

(Stein et al., 1985) per azione del citocromo P450 (Stormer et al., 1981;

1983). Il primo epimero, considerato meno tossico dell’OTA, è il principale

metabolita prodotto dal sistema microsomale epatico dell’uomo e del ratto

(Stormer et al., 1981), mentre l’altro, è principalmente formato dai

microsomi epatici di suino e non sono disponibili dati riguardanti la sua

tossicità (Moroi et al., 1985). Altri prodotti del metabolismo dell’OTA sono la

10-idrossiocratossina, identificata dopo incubazione di OTA con microsomi

epatici di coniglio (Stormer et al., 1983), e l’ocratossina C, prodotta nel

fluido ruminale e di tossicità paragonabile a quella del suo precursore

(Galtier et al., 1981). E’ stata dimostrata inoltre, la formazione in vivo di

una forma di OTA caratterizzata da un lattone aperto (OP-OTA). Questa

forma è stata ritrovata in particolare nella bile e nelle urine di ratti ai quali è

stata somministrata l’OTA per via endovenosa; ancora però non è chiaro

quale sia il meccanismo cellulare che ne determina la sua sintesi (Li et al.,

2000). Questa forma è inoltre risultata altamente tossica quando

somministrata per via endovenosa al ratto (Xiao et al., 1996b). Infine,

anche l’OTB, pur essendo spesso presente nei cereali e derivati insieme

all’OTA, può esserne uno dei suoi metaboliti in quanto è stata ritrovata nel

corso di uno studio in vitro in seguito all’incubazione dell’OTA in cellule

renali di scimmia (Grosse et al., 1995).

53

Figura 7.

54

2.2.5 Eliminazione L’ OTA è un composto altamente tossico con un relativo rapido

assorbimento ed una lenta eliminazione. In tutte le specie, l’OTA e i suoi

metaboliti vengono escreti fondamentalmente per via fecale ed urinaria. Il

differente contributo di ciascuna via di escrezione, dipende dalla quantità di

micotossina e dalla sua modalità di somministrazione (Kuipper et al., 1989).

Inoltre, in tutte le specie questo è influenzato dalla stabilità del legame tra

l’OTA e le proteine sieriche e dalla diversa intensità della circolazione

enteroepatica (Hagelberg et al., 1989). Sia l’escrezione biliare che la

filtrazione glomerulare, giocano un ruolo importante nell’eliminazione

dell’OTA contenuta nel plasma di ratto. In questi animali, i prodotti di

escrezione più rappresentati sono l’OTA stessa, l’OTα, (presente sia nelle

feci che nelle urine), e la (4R)-4-idrossiocratossina A, che nelle urine si

ritrovano rispettivamente per il 6%, 25-27%, e 1-1,5% della dose

somministrata (Storen et al., 1982). Il 33% dell’OTA somministrata per os

nel ratto è stata riscontrata nella bile dopo 6 ore, mentre solo piccole

quantità di OTα sono state ritrovate nelle urine (Suzuki et al., 1977). In

vitelli e bovini invece, l’80-90% dell’OTA somministrata per via orale, viene

secreta soprattutto con le urine sotto forma di OTα (Sreemannarayana et

al., 1988). E’ stato poi dimostrato che l’OTA viene secreta a livello

gastrointestinale (Suzuki et al., 1977; Kumagai e Ai bara, 1982; Berger et

al., 2003). Tramite un esperimento condotto sul ratto, si è potuto verificare

che la quantità di OTA eliminata dall’intero tubo gastroenterico è pari a

quella secreta con la bile (Suzuki et al., 1977). Sembra che tale secrezione,

è più lenta in presenza del contenuto intestinale e più abbondante nei tratti

di intestino con minore mobilità (Kumagai e Aibara, 1982). Uno studio

condotto sulla capra, ha mostrato che di una dose di OTA pari a 0,5 mg/kg

somministrata per via orale, solo il 53% della tossina veniva secreta nelle

feci (Nip e Chu, 1979), mentre nelle pecore, solo il 10% di OTA

somministrata per via orale veniva escreta nelle feci mentre la rimanente

parte veniva idrolizzata in OTα. La via fecale ed urinaria giocano un ruolo

55

importante nella cinetica plasmatici della tossina in tutte le specie ma anche

l’escrezione attraverso il latte nei mammiferi sembra essere rilevante.

Questa via di escrezione, riveste molta importanza in quanto il latte,

rappresenta l’alimento maggiormente consumato dai bambini, più sensibili

agli effetti tossici di tali sostanze. In uno studio con ratti in allattamento è

stato riscontrato un trasferimento di OTA dose dipendente nel latte in

seguito ad una somministrazione singola, Il rapporto tra concentrazione nel

latte e nel sangue alla 24° e 72° ora, era rispettivamente di 0,4 e 0,7. Lo

stesso rapporto latte/sangue è stato ritrovato in uno studio condotto su ratti

in allattamento esposti ad Ota per otto settimane con intubazione gastrica

(Breitholz-Emanuelsson et al., 1993a). E’ stato determinato

successivamente, un rapporto di concentrazioni latte/plasma più basso,

nutrendo conigli in allattamento ripetutamente con una dieta a base di

alimenti contaminati naturalmente. Questo basso rapporto, è stato correlato

alla modalità di esposizione alla tossina (Ferrufino-Guardia et al., 2000).

Diversi autori hanno riscontrato livelli di OTA nel latte umano (Breitholtz-

Emanuelsson et al., 1993b; Miraglia et al., 1995). Da questi studi è emerso

che l’OTA presenta significative variazioni interindividuali e geografiche.

Recentemente in altri studi, è stata mostrata una correlazione tra la

contaminazione da OTA nel latte materno e la sua introduzione attraverso la

dieta (Skaug et al., 2001).

56

2.3 EFFETTI E MECCANISMO DI AZIONE

L’OTA ha proprietà cancerogene, genotossiche, nefrotossiche,

immunosoppressive e teratogene (Kuiper-Goodman e Scott, 1989; Genkle e

Silbernagl, 1996). Il rene, è considerato essere il maggior organo bersaglio

sul quale l’OTA esplica i suoi effetti. Elevate dosi di OTA, infatti, ne alterano

la sua funzionalità e la sua morfologia, soprattutto danneggiando la parte

prossimale dei tubuli prossimali, deputati al riassorbimento (Berndt e

Hayes, 1979). Nel ratto, gli effetti dell’OTA sulla morfologia e sulla

funzionalità del rene sono indicati da un incremento del suo peso, del

volume delle urine, del glucosio urinario, della proteinuria e dal

danneggiamento del trasporto urinario degli anioni organici (Munro et al.,

1974; Berndt e Hayes, 1979) situato a livello dell’orletto a spazzola delle

cellule del tubulo prossimale e delle membrane basolaterali (Endou et al.,

1986; Sokol et al., 1988). Ed è proprio a quest’ultimo effetto che è legata

la nefrotossicità dell’OTA. Alcuni studi, hanno dimostrato che questo sistema

di trasporto, è anche quello responsabile dell’ingresso dell’OTA nelle cellule

del tubulo prossimale (Friis et al., 1988; Sokol et al., 1988), in particolare

per mezzo del trasportatore OAT1 (Tsuda et al., 1999). E’ stato dimostrato

che alcuni inibitori del OAT1 sono capaci di inibire il trasporto, ipotizzando

così, che questo meccanismo possa spiegare la capacità di questi composti

di prevenire gli effetti nefrotossici dell’OTA (Tsuda et al., 1999). Le parti

maggiormente sensibili alla tossicità dell’OTA, come dimostrato da una

significativa riduzione dell’ATP cellulare e mitocondriale, sono la parte

intermedia e quella terminale del tubulo prossimale (Jung e Endou, 1987).

E’ stato possibile valutare gli effetti dell’OTA dalla liberazione di enzimi

nell’urina a partire dal parenchima renale, risalendo ai diversi danni renali

dalla presenza di diversi enzimi e proteine nell’urina (Stonard et al., 1987).

Per esempio, somministrando a ratti 0,14 mg/kg p.v ogni 48 ore per 8-12

settimane, si è osservata una significativa riduzione dell’attività della lattato

deidrogenasi, della fosfatasi alcalina, della leucina aminopeptidasi e della

gamma-glutamil transferasi e la loro concomitante presenza nelle urine.

57

Questi ultimi tre enzimi sono localizzati proprio a livello dei tubuli prossimali

ed indicano pertanto un danno a questo livello. L’OTA inoltre, determina

l’innalzamento del pH nell’insterstizio della papilla renale e l’alterazione

dell’acidificazione delle urine (Kuramochi et al., 1997a), oltre che l’aumento

del pH e della concentrazione degli ioni bicarbonato nel fluido tubulare e nei

vasa recta senza modificare la pCO2. E’ stato ipotizzato che lo squilibro

dell’omeostasi del pH può contribuire alla tossicità dell’OTA sui reni

(Kuramochi et al., 1997b). Diverse ipotesi sul meccanismo di interazione

dell’OTA e dei suoi metaboliti con molecole endogene, sono portati avanti

per cercare di spiegare la sua tossicità. Esse fanno riferimento a specifiche

interazioni, basate sull’alta specificità di legame con particolari siti specifici

su molecole bersaglio e, interazioni di tipo non specifico, basate sulla

reattività chimica dell’OTA e dei suoi metaboliti e sulla loro vicinanza con le

molecole bersaglio. Sono stati identificati così, alcuni meccanismi molecolari

alla base degli effetti tossici indotti dalla micotossina. La disfunzione

mitocondriale è un primo evento durante la tossicità dell’OTA (Aleo et al.,

1991). E’ stato mostrato come l’OTA inibisce la respirazione nei mitocondri

di fegato dei ratti (Meisner e Chan, 1974; Wei et al, 1985) e ne altera la

morfologia dopo somministrazione in vivo (Suzuki et al., 1975). Questo

processo, correlato con la deplezione dell’ ATP, è considerato come una

conseguenza dell’inibizione del fosfato intramitocondriale attraverso

l’inibizione competitiva delle proteine carrier localizzate sulla membrana

interna del mitocondrio (Aleo et al., 1991; Meisner e Chan, 1974), e/o come

un effetto diretto sulla catena di trasporto di elettroni, attraverso l’inibizione

dell’attività del succinato. L’importanza del meccanismo mitocondriale però,

non è ancora del tutto chiaro, in quanto l’OTα, pur non avendo effetti

tossici, è capace di inibire anch’essa la respirazione mitocondriale (Meisner

e Chan, 1974). L’OTA possiede inoltre la capacità di interferire sui processi

metabolici coinvolgenti la fenilanina. Poiché l’OTA deriva dal legame

dell’isocumarina con la L-β-fenilalanina la componente fenilalaninica può

interagire con tutti i sistemi metabolici che coinvolgono l’amminoacido che è

un suo anologo strutturale. Infatti l’OTA, influisce principalmente sulla

58

sintesi proteica, ma anche sulla sintesi del DNA e dell’RNA in diversi

organismi (Marquardt e Frohlich, 1992; Fink-Gremmels et al., 1995). L’OTA

ha quindi un ruolo importante nell’inibizione della Fen-tRNA Sintetasi e della

Fen-idrolasi. Inoltre, poiché interrompe la sintesi proteica , indirettamente

altera l’attività di molti enzimi cellulari, ed in particolar modo l’attività

dell’enzima fosfoenolpiruvato carbossichinasi, un’ enzima chiave della

gluconeogenesi. Perciò una conseguenza tossicologica indiretta dell’OTA è

anche l’alterazione della via metabolica dei carboidrati. E’ stato verificato sia

in vitro che in vivo, e sia negli organismi procarioti che eucarioti, che la

fenilalanina tRNa- sintetasi viene inibita dall’OTA durante la reazione di

amminoacilazione della fenilalanina, determinando così, l’interruzione della

sintesi proteica (Creppy et al., 1983). Altri esperimenti in vitro svolti su

colture di lievito (Saccharomyces cerevisiae), mostrano come oltre all’OTA,

anche la 4R-4-idrossiocratossina A, esercita un effetto analogo, mentre

l’OTα e l’OTB non espletano alcuna attività tossica (Dirheimer e Creppy,

1991). L’OTA inibisce anche la fenilalanina idrossilasi agendo come

substrato per questo enzima, il quale catalizza l’idrossilazione della

fenilalanina a tiroxina con conseguente blocco del metabolismo della

tiroxina (Creppy et al., 1990). L’OTA inoltre, altera l’azione di diversi enzimi

ed in particolare, l’attività dell’enzima fosfoenolpiruvato carbossichinasi,

enzima chiave della gluconeogenesi, il quale può essere completamente

ridotto nei ratti (Meisner e Meisner, 1981) e nei maiali (Meisner e Krogh,

1986), degradando l’mRNA che codifica per questa molecola (Meisner et al.,

1983). La tossicità dell’OTA, non è legata solo all’alterazione della sintesi

proteica, ma anche ad altri effetti come la perossidazione dei lipidi, il

danneggiamento del DNA e l’alterazione dell’omeostasi del calcio. Altri studi

suggeriscono anche il coinvolgimento di stress ossidoriduttivo nella tossicità

e nella carcinogenicità. Lo stress ossidoriduttivo indotto da xenobiotici può

causare dirette lesioni cellulari ossidative, dovute alla produzione di forti

ossidanti come radicali superossidi (O2-), H2O2, e radicali idrossilici (HO)

provoca anche deterioramento del segnale di traduzione e regolazione

dell’espressione genica attraverso meccanismi redox-sensibili. Studi in vivo

59

e in vitro dimostrano che l’OTA potenzia la per ossidazione lipidica in quanto

stimola la per ossidazione nei microsomi sia NADPH-dipendente che

ascorbato-dipendente, con Fe+3 come co-fattore (Rahimtula et al., 1988;

Omar et al., 1990). L’aumentata perossidazione lipidica da parte dell’OTA,

influisce sulla permeabilità della membrana plasmatica al Ca+2, andando

così ad alterare l’omeostasi di questo elemento (Khan et al., 1989). Studi

effettuati suI ratti hanno dimostrato che, somministrando una singola dose

o dosi multiple più basse di OTA, si ha a livello renale, un incremento

dell’attività della pompa del calcio del reticolo endoplasmatico. L’OTA

potrebbe così alterare tutte le funzioni cellulari che sono sotto il controllo dei

livelli di concentrazione del calcio (Rahimtula e Chong, 1991). Per quanto

riguarda l’impatto sul genoma, l’OTA è in grado di determinare la

formazione di addotti con il DNA in diversi organi. Il meccanismo di azione

genotossica, è stato presupposto soprattutto sui risultati di alcuni

esperimenti che mostrano proprio come il trattamento con OTA a topi e

ratti, induce una formazione dose e tempo dipendente, di addotti con il DNA

in diversi organi (Pfohl-Leszkowicz et al., 1993; Pfohl-Leszkowicz et al.,

2002). La maggior parte di questi addotti dopo 5 giorni dalla

somministrazione di OTA, scompaiono dal fegato e dalla milza, mentre nel

rene, alcuni addotti persistono fino a 16 giorni (Pfohl-Leszkowicz et al.,

1993). I ratti e i topi trattati con 0,4-2,5 mg/kg p.v per un periodo da 1-16

giorni a 2 anni, hanno mostrato un numero di addotti a livello renale

compreso tra 1 e 200/109 nucleotidi (Pfohl-Leszkowicz et al., 1991; 1993;

Grosse et al., 1995; Pfohl-Leszkowicz et al., 1998). Ciò può essere causato

dal danno ossidativo dovuto alla produzione di radicali liberi (Grosse et al.,

1997), ma questo non è sicuramente l’unico meccanismo possibile, in

quanto altri addotti sono stati ottenuti anche in vitro a partire da DNA e

mononucleotidi purificati ed incubati con microsomi di rene o fegato di topo

NADPH o acido arachidonico come cofattori (Obrecht-Pflumio e Dirheimer,

2000). Nel 1993 l’International Agency for Research on Cancer (IARC), ha

stabilito l’appartenenza dell’OTA al gruppo 2B, in quanto ritenuta una

possibile sostanza cancerogena per l’uomo (Pittet, 1998). L’OTA si è

60

dimostrata cancerogena provocando tumori renali in ratti e topi con marcate

differenze in base alla specie e al sesso (US-NTP, 1989); tant’è che i

maschi, sono risultati maggiormente sensibili rispetto alla femmine ed i ratti

maggiormente sensibili rispetto ai topi. Proprio nei ratti maschi, l’OTA si è

dimostrata una delle più potenti sostanze capaci di determinare la

formazione di tumori renali (Mantle, 2002). Il meccanismo di induzione

tumorale è controverso. Molti studi, attribuiscono questo ruolo alla

biotrasformazione dell’OTA in quanto, un metabolita attivo della

micotossina, sembrerebbe capace di legarsi al DNA e attraverso l’azione

catalizzante del citocromo P450, della perossidasi e del glutatione S-

transferasi, capace di innescare il meccanismo tumorale (Hietanem et al.,

1991; Henning et al., 1991; Wurgler et al., 1991; Malaveille et al., 1994;

Fink-Gremmels et al., 1995; Obrecht-Pflumio et al., 1999; El Adlouni et al.,

2000). I processi di produzione dei metaboliti dell’OTA, non sono

sicuramente coinvolti nella sua cancerogenicità, in quanto aumentando il

tasso di biotrasformazione dell’OTA tramite l’azione del citocromo P450, si

determina una riduzione della sua tossicità (Omar et al., 1996). Si pensa

che la formazione di idrossi radicali (Hoeheler et al., 1996; 1997) o di

addotti di DNA (Pfohl-Leszkowicz et al., 1991; Wurgler et al., 1991; Grosse

et al., 1995; 1997; Obrecht-Pflumio e Dirheimer, 2000), possano avere un

ruolo importante. La nefrotossicità, lo stress ossidativo dovuto

all’alterazione della respirazione mitocondriale (Aleo et al., 1991), la

formazione di perossidi di idrogeno (Omar et al., 1996) e la proliferazione

cellulare rappresenta un meccanismo alternativo nella determinazione dei

tumori renali, questo perché nel rene di ratto per esempio, si è osservato

come lo stress ossidativo e la tossicità renale a lungo termine, siano capaci

di svolgere un ruolo nella determinazione dei tumori (Swenberg e Maronpot,

1991; Dietrich e Swenberg, 1993; Hard, 1998). Attraverso diversi studi, si è

osservato come l’OTA possiede una tossicità anche a livello riproduttivo.

Studi condotti sui ratti e sui topi, mostrano come l’OTA, sia in grado di

attraversare la placenta ed esplicare effetti teratogeni e embriotossici

(FAO/WHO, 1991; 1996; 2001; EC, 1998). Somministrando concentrazioni

61

pari a 0, 0,125, 0,25, 0,50 e 0,75 mg OTA/kg p.v. a topi gravidi, si è

osservato un aumento dell’incidenza di anomalie del feto soprattutto nei

gruppi ai quali venivano somministrate le dosi di OTA maggiori. Le anomalie

comprendevano principalmente difetti scheletrici a livello del cranio, costole

e vertebre, dovuti essenzialmente ad una assenza o ad un’incompleta

ossificazione e malformazioni localizzate alle strutture craniofacciali, dovute

alla mancata chiusura del cranio, quali mesencefalo, microencefalo e

mascella iposviluppata (Wangikar et al., 2004a,b). Altri studi sull’effetto

teratogeno dell’OTA, sono stati condotti in Nuova Zelanda su conigli bianchi

gravidi somministrando dosi di 0, 0,025, 0,05, 0,10 mg di OTA/kg

p.v./giorno (Wangikar et al., 2005). Nei gruppi a cui è stata somministrata

la più alta dose, si è osservato un calo nel numero dei feti e del loro peso ed

un’incidenza delle malformazioni. Tra i diversi bersagli dell’OTA, il sistema

immunitario, è uno dei più sensibili. Attraverso studi in vitro con linfociti di

ratto e concentrazioni di OTA pari a 0, 0,5, 2, e 20 µM, si è osservata una

diminuzione dose-dipendente dell’ attività delle cellule natural killer e una

diminuzione dell’attività dei T-linfociti, già a basse concentrazioni; mentre

subiva solo qualche variazione l’attività batteriologica dei macrofagi

(Alvarez-Erviti et.al, 2005). L’OTA, induce mielotossicità, effetto evidenziato

da una marcata riduzione della massa timica e da una ipocellularità del

midollo osseo, con conseguente diminuizione delle cellule staminali

totipotenti e significativa riduzione della sintesi dei precursori degli eritrociti,

dei granulociti e dei macrofagi (Boorman et al., 1984).

62

2.4 TOSSICITA’

Le micotossicosi in genere (e quindi anche le ocratossicosi), sono

intossicazioni acute e croniche riscontrate in uomini ed animali imputabili

principalmente, all’ingestione di alimenti e mangimi contaminati.

L’esposizione dell’uomo alle ocratossine, come alle altre micotossine, può

verificarsi principalmente attraverso il consumo di alimenti di origine

vegetale contaminati o l’ingestione di residui di micotossine o suoi

metaboliti contenuti in derrate (latte e derivati, carni, insaccati ecc.)

derivanti da animali alimentati con mangimi contaminati; oppure in seguito

all’inalazione di spore fungine tossigene presenti in elevate quantità sia in

particolari ambienti di lavoro (in cui si generano per esempio polveri di

cereali contaminati), sia in ambienti domestici umidi e poco areati. E’ stato

dimostrato che cani, maiali e polli, sono le specie più sensibili agli effetti

dell’OTA rispetto ai topi e ai ratti (IARC, 1993; Marquardt e Frohlich, 1992).

In particolare, l’OTA, è in grado di provocare gravi disordini e sintomi di

tossicità acuta a livello di differenti organi e sistemi anatomici, quali

principalmente i reni, il fegato, il sangue ed il sistema immunitario. Il rene è

considerato l’organo più suscettibile a questa tossina, tant’è che in tutte le

specie testate, l’OTA ha indotto una tossicità a livello renale. Studi condotti

su topi, ratti, cani e maiali, hanno mostrato una correlazione tra il

progressivo sviluppo della nefropatia, la dose ed il tempo di

somministrazione di OTA. Inoltre sono state osservate differenze per quanto

riguarda l’effetto nefrotossico, a seconda della specie e del sesso. Oltre ad

una tossicità acuta o subacuta, tali micotossine sono responsabili anche di

una tossicità cronica come conseguenza di un’esposizione protratta nel

tempo a bassi livelli di contaminazione degli alimenti che comporta effetti

cronici quali cancerogenicità, genotossicità, mutagenicità, teratogenicità ed

immunosoppressione.

63

2.4.1 Tossicità nel topo e nel ratto

Topi e ratti sono stati largamente utilizzati come modelli per lo studio delle

micotossicosi. Per quanto riguarda le indagini inerenti gli effetti legati alla

tossicità acuta dell’OTA nel ratto, si è osservato che essa, somministrata per

via orale alle dosi di 0,24, 0,48, 0,96 e 2,4 mg/kg p.v./giorno per 14 giorni,

determina il ritardo dello sviluppo, un ridotto consumo di alimento e un

incremento dell’urea ematica. Con il dosaggio più elevato, è stato osservato

un aumento del peso del rene mentre, con tutti i dosaggi, si è verificata la

degenerazione dell’intero sistema tubulare, una diminuizione del volume

urinario e eosinofilia e cariomegalia a livello del tubulo prossimale

convoluto. Inoltre i topi maschi, sono stati trovati molto più sensibili rispetto

alle femmine (Munro et al., 1974; Berndt e Hayes, 1979). In un altro studio

(Munro et al., 1974), gruppi di 15 ratti appena svezzati, sono stati

alimentati con una dieta contenente OTA a concentrazioni equivalenti a 0,

15, 75 o 370 µg/kg p.v/giorno per 90 giorni, seguiti da un uguale periodo di

dieta di controllo. Al termine dello studio, alcuni animali sono morti, mentre

gli altri, al termine dell’intero intervallo di tempo, non presentavano

alterazioni del profilo urinario ed ematologico e i loro reni, ridotti di peso

nella prima parte dell’esperimento, sono successivamente rientrati nei valori

standard, tranne nei maschi trattati con dosaggi maggiori. Istologicamente

gli organi presentavano comunque cariomegalia e ispessimento della

membrana basale (Munro et al., 1974). Da altri studi è emerso che le

femmine di ratto più vecchie, sono molto più sensibili all’induzione della

cariomegalia tubulare e alla necrosi rispetto ai giovani adulti (Dortant et

al., 2001). Sono stati effettuati anche numerosi studi a lungo termine per

testare la tossicità e la cancerogenicità dell’OTA. Topi alimentati con 5,6

mg/kg p.v./giorno di OTA per 44 settimane hanno mostrato un’elevata

incidenza di tumori epatici, adenomi renali cistici e tumori renali rispetto al

gruppo di controllo (Kanisawa e Suzuki, 1978). Altri studi hanno mostrato

come il trattamento con melatonina (10-20 mg/kg p.v./giorno), può avere

un effetto di tipo preventivo sulla tossicità indotta dall’OTA a livello del

fegato e del rene (Ayadin et al., 2003). Anche l’aspartame, si è rilevato un

64

composto in grado di svolgere un’azione protettiva contro i maggiori effetti

nefrotossici indotti dall’OTA (Baudrimont et al., 2001). Recenti studi, hanno

inoltre mostrato come anche i flavonoidi presenti nel vino rosso, possono

esercitare un’azione di protezione contro gli effetti dell’OTA (Bertelli et al.,

2005).

2.4.2 Tossicità nel suino I suini sono generalmente considerati come la specie animale più sensibile

alla nefrotossicità dell’OTA. L’intossicazione da OTA si può presentare in

forma acuta o cronica. La forma acuta si osserva soprattutto in soggetti da

poco svezzati ed è dovuta all’assunzione di mangimi contenentiuna quantità

di OTA superiore a 4000 µg per kg di alimento. Dal punto di vista clinico

l’ocratossicosi acuta è caratterizzata da edema sottocutaneo, atassia e

incartamento del dorso, mentre all’esame post-mortem si riscontrano

edema perirenale, nefrosi e necrosi tubulare (Marcato, 1998). In una serie

di esperimenti sulla tossicità acuta dell’OTA, gruppi di 3-6 scrofe, sono state

trattate con 0, 0,008, 0,04 o 0,2 mg/kg p.v./giorno di OTA per periodi di 5

giorni o 12-16 settimane rispettivamente, o 2 anni: in tutti i casi si è

verificata una riduzione della funzionalità renale, nefropatia e una diminuita

attività degli enzimi renali. Nelle femmine trattate con 1 mg/kg di OTA al

giorno per 2 anni si è riscontrata una nefropatia progressiva, ma non il

mancato funzionamento del rene, mentre non è stato riportato alcun

risultato nei maschi (Krogh e Elling, 1977; Elling, 1979; 1983; Elling et al.,

1985). Non sono stati osservati nei 2 anni di studio, effetti sugli enzimi e

sulle funzioni renali (Krogh e Elling, 1977; Elling, 1979a,b, 1983; Elling et

al., 1985; Meisener e Krogh, 1986; Krogh et al., 1988; FAO/WHO, 2001).

L’intossicazione cronica invece, è frequente soprattutto nei suini all’ingrasso

alimentati per almeno tre settimane con mangimi contenenti 200-1000

µg/kg di OTA. Clinicamente si riscontrano la diminuizione dell’appetito,

poliuria e polidipsia dovute all’aumento della permeabilità del filtro

glomerulare ed all’alterazione della funzione di riassorbimento a livello del

65

tubulo prossimale, da cui consegue proteinuria e glicosuria. L’esame

anatomo-patologico mostra l’aumento del volume dei reni che hanno una

colorazione normale o pallida. Istologicamente si notano lesioni atrofico-

degenerative degli epiteli dei tubuli prossimali, dilatati, fibrosi interstiziale e

ialinosi glomerulare (Marcato, 1998). In recenti studi, gruppi di maiali, sono

stati alimentati con una dieta contaminata da ceppi di Aspergillus

ochraceus, produttore sia di OTA che di acido penicillico (PA) e contenente

90, 130, o 180 µg OTA/kg per tre mesi. A fine trattamento, tutti i gruppi

hanno riportato lesioni renali microscopiche e variazioni di alcuni parametri

biologici ed ematologici. Aumentando i livelli di OTA nella dieta fino a

concentrazioni pari a 130, 305 o 790 µg OTA/kg per altri due mesi, l’esame

istologico ha mostrato a livello delle cellule epiteliali dei tubuli prossimali,

dei cambiamenti degenerativi principalmente nei primi stadi della malattia

e secondariamente cambiamenti a carico dell’intestino (Stoev et al., 2001).

A causa della sua tossicità, l’OTA è stata identificata come il possibile agente

causale della nefropatia micotossica suina, riscontrata per la prima volta

all’inizio degli anni ’70 in Danimarca.

2.4.3 Tossicità nell’uomo

Sebbene nell’uomo non siano stati riportati chiari casi di nefropatia

micotossica, è abbastanza verosimile che questa potente nefrotossina, che

determina danni renali ingenti in diverse specie animali, può anche indurre

alterazioni renali negli uomini esposti. E’ stata infatti riscontrata una

connessione tra l’insorgenza di tumori del tratto urinario e patologie renali

croniche nell’uomo e l’elevata incidenza di nefropatie nel suino (Olsen et al.,

1993), in zone con forte contaminazione di OTA negli alimenti (Miraglia e

Brera, 1999). Per tale ragione, si ritiene che la micotossina sia alla base di

patologie renali anche nell’uomo. In particolae si pensa che l’OTA svolga un

ruolo importante nella patogenesi della “nefropatia endemica dei Balacani”

(BEN). La BEN è una patologia renale dall’esito fatale che è stata osservata

prevalentemente nelle popolazioni rurali della Bulgaria, Romania, Serbia,

66

Bosnia, Erzegovina, Croazia e Yugoslavia; infatti, è stato stimato che circa

20.000 persone soffrono di tale patologia in queste regioni (Peraica et al.,

1999; 2001). Nel passato, si è cercato di individuare i possibili fattori

eziologici di tale nefropatia (batteri, virus, metalli tossici, fattori genetici)

senza tuttavia giungere a risultati convincenti; fino a che nel 1974 è stata

proposta come causa determinante dello sviluppo della patologia una

micotossina, concentrando l’attenzione soprattutto sull’ OTA (Krogh e Elling,

1976). Diversi studi epidemiologici hanno mostrato la correlazione esistente

tra la presenza di OTA negli alimenti e la maggiore incidenza di casi di BEN

(Krogh e Elling., 1977). Numerosi campioni di alimenti destinati al consumo

umano ed animale, prodotti nelle regioni endemiche, sono risultati

contaminati da OTA. La nefropatia, interessa maggiormente gli abitanti delle

regioni rurali, ma limitatamente anche quelli delle regioni urbane. Ciò è

stato spiegato considerando che le popolazioni contadine di questi paesi,

consumano alimenti prodotti in proprio e conservati, spesso in condizioni

non idonee e quindi altamente contaminate da OTA, mentre le popolazioni

urbane consumano prodotti a livello industriale. La BEN è una nefropatia

che colpisce più frequentemente i soggetti tra i 30 e i 50 anni con maggiore

incidenza di casi nei soggetti di sesso femminile, per le quali anche il tasso

di mortalità è superiore (Chernoremsky et al., 1977). Non è stata osservata

una fase acuta della malattia, ed i primi sintomi sono risultati aspecifici; essi

includono affaticamento, anemia, proteinuria, ingiallimento della pelle,

dolore di testa, perdita di peso, anoressia ed uremia. All’esame autoptico, i

reni appaiono notevolmente ridotti di volume con una diffusa fibrosi

corticale, spesso senza alcun segno di infiammazione (Vukelic et al., 1992).

L’esame istologico mostra la presenza di lesioni croniche della corteccia

renale con fibrosi interstiziale, ialinizzazione dei glomeruli, degenerazione

dell’epitelio tubulare e perdita dell’orlo a spazzola del tubulo renale. Nelle

regioni endemiche della Croazia, Bulgaria e Yugoslavia, è stata riscontrata

anche un’elevata incidenza di tumori uroteliali delle pelvi e dell’uretere

(UTT) (Ceovic et al., 1992; Chermozemsky, 1997). E’ stato suggerito, che

l’OTA potrebbe essere l’agente scatenante sia della nefropatia endemica sia

67

dei tumori del tratto urinario (Castegnaro et al., 1991). A tal proposito lo

IARC ha classificato l’OTA come una possibile sostanza cancerogena per

l’uomo. L’esposizione delle popolazioni balcaniche all’OTA è stata inoltre,

supportata da un’elevatissima presenza di residui della micotossina in

campioni di sangue (oltre 1-2 µg/kg) e di urine delle famiglie esposte

(Castegnaro et al., 1991). Il riscontro della presenza di OTA nel sangue e

nel latte (Miraglia et al., 1995), viene da alcuni anni utilizzato come

parametro di valutazione dei livelli di esposizione della popolazione anche di

aree non particolarmente a rischio.

PARTE SPERIMENTALE

68

3. PREMESSA

I sistemi di allevamento estensivi, nei quali i suini ptrascorrono all’aperto

gran parte della loro vita, hanno una lunga tradizione in molti paesi europei.

Tuttavia, la necessità dettata da motivi economici di incrementare

l’efficienza biologica della produzione della carne e di contenere i costi di

gestione degli animali, ha determinato il declino di questi sistemi di

allevamento e la loro evoluzione e trasformazione verso il sistema intensivo

al chiuso. La tecnica dell’allevamento razionale di suini all’aperto ha radici

antiche in Europa. Già nel 1934 Bonadonna e Scattolin scrivevano

“L’allevamento dei suini all’aperto: criteria e tecnica.” e successivamente

anche Stanga (1946) e Vezzani (1948) hanno pubblicato articoli su questo

argomento. Negli anni ’50 tale tecnica si è cominciata a diffondere in

Inghilterra; in Toscana si sono avuti alcuni esempi in provincia di Arezzo

(Savaglio). Ma la vera diffusione si ebbe negli anni ’80, sia nell’Europa del

Nord con razze migliorate (Nilzèn et al., 2001; Hogberg et al; 2001) che in

quella del Sud con razze rustiche (Diaz et al., 1996; Lopez-Bote, 1998). La

recente rinascita degli allevamenti all’aperto è stata guidata da una

combinazione di fattori come il basso valore del capitale fondiario di alcune

zone marginalizzate; gli aumentati costi delle strutture, della gestione e

delle attrezzature; l’attuazione di rigide normative circa lo stoccaggio e la

distribuzione dei liquami zootecnici; le pressioni delle organizzazioni

animaliste per un allevamento più consono al benessere animale ed eco-

compatibile; il bisogno di diversificare la produzione rendendola più attenta

all’impatto sull’ambiente e soprattutto la crescente richiesta di prodotti

“genuini” da parte dei consumatori. I principali vantaggi dell’allevamento

all’aperto stanno nella possibilità di contenere le spese di investimento

iniziali, che ammontano a circa il 20-25% di quello convenzionale nel

risparmio alimentare, qualora l’allevamento all’aperto è condotto con

69

l’utilizzazione del pascolo; nell’ottenimento di prodotti ad elevata

caratterizzazione organolettica. Tuttavia l’impatto ambientale, specie se

l’allevamento si svolge in terreni boschivi, resta uno degli aspetti critici

dell’allevamento all’aperto e va valutato opportunamente in quanto è molto

variabile in funzione del rapporto capi/superficie e della possibilità di turnare

le superfici utilizzate. Sulla scia degli ottimi risultati ottenuti in Spagna con il

suino iberico ed in Toscana con la Cinta Senese, l’allevamento macchiatico

del suino è stato preso in considerazione come elemento trainante per un

progressivo recupero economico ed ambientale dei territori marginali.

Questo è stato possibile grazie alla grande disponibilità di terreni soprattutto

boschivi, alla sempre crescente richiesta di prodotti tipici di qualità da parte

dei consumatori, soprattutto se provenienti da animali allevati all’aperto.

Tale forma di allevamento costituisce infatti, una valida alternativa alle

attuali attività legate all’utilizzo del bosco grazie anche alle elevate capacità

che il suino ha di valorizzare sia i prodotti del bosco e del sottobosco, che

integrano la sua alimentazione, sia questa particolare tecnica di allevamento

che lo rende meno soggetto a fattori causa di stress, presenti

nell’allevamento di tipo tradizionale. Durante questa fase, infatti, i suini

sono in grado di dare libero sfogo ai loro istinti naturali avendo la possibilità

di grufolare liberamente ed usufruire di appositi spazi quali zone fangose

per far fronte ai periodi di eccessiva calura e bagni di sabbia e di acqua per

liberarsi da eventuali parassiti. Gli animali così allevati, sono infatti, in grado

di fornire carni e prodotti caratterizzati da aromi e peculiarità organolettiche

strettamente correlate alle essenze e ai frutti del sottobosco che vanno ad

integrare la loro dieta, presentando inoltre una bassissima incidenza di

miopatie (PSE; DFD) derivanti perlopiù da stress delle fasi di allevamento.

Particolare importanza, riveste la qualità igienico-sanitaria di questi prodotti

ottenuti da suini allevati allo stato semi-brado. In questo caso, i suini sono

meno soggetti al controllo da parte dell’uomo soprattutto per quanto

riguarda l’alimentazione e possono quindi cibarsi liberamente di qualsiasi

prodotto che trovano. Per questo motivo, ci è sembrato interessante

effettuare questo studio che ha per obiettivo quello di determinare

70

l’ocratossina A nelle carni e nei prodotti carnei stagionati, di suini allevati

allo stato semi-brado nel bosco, rispetto a quelli ottenuti da animali in

allevamento stabulato.

71

4. MATERIALI E METODI

4.1 Prove di allevamento

4.1.1 Rilievi in vita

La prova è stata effettuata nell’azienda agricolo-forestale situata in località

Cambertano di Tinvegna nel comune di Follo (SP). La zona oggetto di

questa sperimentazione rispecchia le peculiarità del territorio dell’entroterra

ligure, caratterizzato dalla quasi totale assenza di zone pianeggianti e con

una orografia per lo più caratterizzata da terrazzamenti sorretti da tipici

muri a secco e da una copertura vegetale costituita prevalentemente da

bosco. Per la prova sono stati impiegati 10 suini maschi castrati derivanti

dall’incrocio di Large White X Duroc acquistati dall’azienda agricola

“Montone” sita a Villanova di Ravenna. Questi animali, acquistati ad un peso

vivo di circa 30 kg, sono stati immediatamente suddivisi in due differenti

gruppi da sei individui omogenei per peso; un primo gruppo denominato

“indoor” (stabulato) è stato allevato all’interno di un ricovero di 16 m2 ;

mentre il secondo denominato “outdoor” (brado), è stato lasciato libero di

pascolare all’interno di un recinto di 5000 m2 situato in una porzione di

bosco in evidente stato di abbandono, sede di un antico castagneto.

Entrambi i gruppi di animali sono stati allevati con metodo biologico ed

alimentati con una razione composta da una miscela di mangimi fioccati

(Pisello proteico, mais, grano ed orzo), tutti quanti certificati e garantiti

come prodotti O.G.M FREE. Il razionamento è stato di gruppo ed in base al

peso vivo degli animali, che sono stati pesati ad inizio e fine prova ed a

intervalli regolari di circa 2 mesi. Il mangime è stato somministrato una

volta al giorno alla mattina e periodicamente sono stati pesati i residui nelle

mangiatoie, per valutare l’effettiva quantità di mangime assunta dagli

72

animali. Il piano di razionamento ha visto crescere la quantità di alimento

somministrato e contemporaneamente diminuire la percentuale di pisello

proteico fioccato, ed aumentare quella di mais fioccato, mentre quelle di

grano fioccato e orzo fioccato sono state mantenute agli stessi livelli

(Tabella 15). A partire dalla fruttificazione delle castagne (mese di Ottobre),

al gruppo “outdoor” è stato somministrato 1 kg/capo/d di castagne in

sostituzione di un 1 kg/capo/d di mais, mentre per il gruppo “indoor” la

composizione della dieta è rimasta invariata.

Peso vivo kg

Mangime somministrato (kg/TQ)

Pisello proteico fioccato %

Mais fioccato %

Grano fioccato %

Orzo fioccato %

30-50

1,50 35 30 20 15

50-70

2,00 30 35 20 15

70-90

2,50 25 40 20 15

90-110

3,00 20 45 20 15

>110

3,50 15 50 20 15

Tabella 15. Composizione percentuale mangimi sulla razione.

4.1.2 Rilievi post-mortem

Ognuno dei due gruppi di animali, è stato poi macellato ad un peso

medio/capo di circa 140 kg; gli animali appartenenti al medesimo gruppo

sono stati macellati lo stesso giorno. Le macellazioni sono state effettuate

presso il macello e salumificio Savani situato in Località Borgotaro (PR) dove

è stato possibile compiere anche la sezionatura della carcassa, la

lavorazione e la stagionatura dei prodotti trasformati. Il gruppo “indoor” è

stato macellato il giorno 22-02-06 mentre il gruppo “outdoor” il 29-03-06.

Dopo la macellazione, le carcasse dei suini sono state sezionate per la

produzione di salumi (pancette, coppe e prosciutti); le restanti parti

anatomiche, sono state lavorate separatamente per i due gruppi per la

produzione di insaccati tipici (salami e mortadelle). Durante le fasi di

73

macellazione, sono stati prelevati da ciascun soggetto campioni freschi di

muscolo Longissimus lomborum e grasso. Successivamente, da ciascun

suino sono stati prelevati campioni di muscolo e campioni di grasso

sottocutaneo (lardo), e dopo la stagionatura dei prodotti trasformati, sono

stati prelevati campioni stagionati dello stesso tipo di muscolo e grasso.

Infine sono stati prelevati 3 campioni di mortadelle e 3 di salame ottenuti da

ciascun gruppo dei suini in prova. Tutti i campioni prelevati, sono stati

quindi sottoposti all’analisi per la determinazione dell’OTA mediante metodo

HPLC.

4.2 Determinazione dell’ocratossina A con metodo HPLC

4.2.1 Materiali

I reagenti utilizzati sono stati acquistati dalle comuni fonti commerciali, in

particolare l’OTA dalla Sigma Chemical Co. (St. Louis, MO, USA) ed i

solventi, tutti di grado HPLC, dalla Labscan (Hasselt, Belgium). L’acqua di

grado analitico impiegata per portare a concentrazione la fase mobile per il

sistema HPLC è stata prefiltrata mediante filtri di acetato di cellulosa

impermeabilizzati con silicone della PS Whatman® (Millipore Corporation,

Maid Stone, UK). Per l’estrazione sono state usate colonnine di

immunoaffinità NeoColumn for Ochratoxin A prodotte dalla Neogen Europe

Ltd (Diessechem, Milano, Italia). Le colonnine sono state conservate ad una

temperatura di 4 °C.

Il PBS utilizzato per la diluizione dei campioni da passare in colonna era

costituito da 8 g NaCl, 0,2 g KH2PO4, 1,16 g Na2HPO4*2H2O, 0,2 g KCl in 1 l

di H2O, tutto a pH 7,4.

74

4.2.2 Strumentazione e condizioni cromatografiche

Le analisi di laboratorio sono state condotte utilizzando un sistema HPLC

costituito da una pompa JASCO 880 PU (JASCO, Tokio, Japan) a flusso

variabile e da un rilevatore fluorimetrico JASCO 821-FP (JASCO, Tokio,

Japan) settato ad una lunghezza d’onda di eccitazione ed emissione di 380

nm e 420 nm, rispettivamente. Lo strumento è stato interfacciato ad un

personal computer tramite interfaccia Hercule 2000 (JMBS Inc., Bear, USA)

e l’integrazione dei picchi è stata effettuata tramite software Jasco Borwin

(JASCO, Tokio, Japan).

E’ stata utilizzata una colonna cromatografica Gemini ODS2, 150x4,60 mm

(Phenomenex®, Torrance, CA, USA), con granulometria delle particelle di 5

µm ed una precolonna Waters Guard-PakTM (Waters, Milford, MA, USA),

entrambe impaccate con gel di silice derivatizzato con gruppi alchilici C18.

Per l’analisi cromatografica è stata utilizzata una fase mobile costituita da

una miscela di tampone fosfato a pH 7,5 (Na2HPO4 0,03 M e Na2H2PO4

0,007M) e metanolo in rapporto 48/52 % v/v. Il flusso della fase mobile è

stato regolato a 1 ml/minuto ed è stato iniettato un volume di campione di

100 µl.

4.2.3 Soluzioni standard e soluzione stock

La soluzione stock di OTA (PM di 403,8), è stata ottenuta sciogliendo 1 mg

di OTA in 5 ml di una miscela costituita da toluene-acido acetico nelle

proporzioni 99/1 % v/v, in modo da ottenere una soluzione finale con una

concentrazione pari a 200 µg/ml. Le soluzioni standard necessarie per la

creazione della curva di calibrazione e per l’aggiunta ai campioni da cui

ricavare il recupero sono state ottenute riprendendo 100 µl della soluzione

stock, portati a secco sotto flusso di azoto, con 10 ml di fase mobile, in

modo da ottenere una soluzione madre con una concentrazione di 2 µg/ml.

A partire da questa, per mezzo di diluizioni successive, sono state ottenute

75

le soluzioni standard con concentrazioni di OTA di 0,2-0,5-1-2,5-5-10 e 20

ng/ml. Le diverse soluzioni sono state conservate a –20°C e, data la

fotosensibilità dell’OTA, sono state tenute al riparo dalla luce.

4.2.4 Standard esterno

Poiché non esiste uno standard interno per la micotossina analizzata, è

stato fatto riferimento a quello esterno, rappresentato dall’OTA stessa.

Infatti, sia i campioni di mangime che di carne, sono stati analizzati dopo

l’aggiunta di una concentrazione nota di OTA (10 µl di soluzione stock) della

quale è poi stato calcolato il recupero.

4.2.5 Retta di calibrazione

La retta di taratura è stata creata mediante l’iniezione delle soluzioni

standard precedentemente preparate. Ogni soluzione è stata iniettata tre

volte, e dalla media delle tre determinazioni è stata ottenuta l’equazione

della retta di calibrazione tramite il programma Graph Pad Prism® (Graph

Pad Software Inc., IL, USA). Come parametro quantitativo, è stata utilizzata

l’area sottesa ai picchi del tracciato cromatografico misurata tramite il

software Jasco Borwin (JASCO, Tokio, Japan).

4.2.6 Campioni

Sono stati analizzati in totale 60 campioni di cui 8 di mangimi e 52 di carne

suina. Per quanto riguarda i mangimi, più specificatamente, sono stati

analizzati campioni di mais, fioccato di orzo, fioccato di grano, pisello

proteico, castagne intere, castagne sbucciate, bucce di castagne e ghiande,

mentre per quanto riguarda le carni i campioni analizzati sono stati:

muscolo (Longissumus lomborum, muscolo fresco), lardo fresco, salami,

76

mortadelle, coppa (Longissimus lomborum dopo stagionatura, muscolo

stagionato) e pancetta (lardo stagionato).

4.2.7 Estrazione e purificazione dei campioni di mangime

Per ogni tipologia di mangime (fioccato d’orzo, fioccato di grano, mais,

pisello proteico, castagne intere, castagne sbucciate, bucce di castagne e

ghiande) preventivamente macinato finemente, sono stati utilizzati 5

grammi che sono stati posti in una provetta da 45 ml e addizionati con 40

ml della miscela estrattiva CH3OH e H2O. Il campione è stato poi vortexato

per 3 minuti, messo in oscillatore a 180 oscillazioni/minuto per 20 minuti e

successivamente sottoposto a filtrazione utilizzando filtri di carta Whatman.

Per l’estrazione dei campioni, sono state utilizzate delle colonnine di

immunoaffinità Neocolumn, che contengono anticorpi monoclonali anti-

Ocratossina A adsorbiti su particelle di gel. Le estrazioni sono state eseguite

con un collettore sottovuoto (Vacuum manifold, J.T. Baker, Deventer, The

Netherland), con il quale è possibile estrarre contemporaneamente fino a 12

campioni (Figura 8).

Figura 8. Vacuum manifold per l'estrazione dei campioni

con le colonnine di immunoaffinità.

77

La vaschetta, in vetro, presenta sul coperchio una serie di valvole di

connessione sulle quali vengono montate le colonnine. All’interno della

vaschetta, vi è una rastrelliera in grado di alloggiare le provette di raccolta.

L’intero sistema è connesso ad una pompa da vuoto elettrica e la

depressione è controllata all’uscita della camera da un manometro, mentre

ciascun alloggiamento delle colonnine è dotato di una valvola integrale di

controllo di flusso, regolabile indipendentemente per ogni campione,

cercando di assicurare un flusso costante di 1-2 gocce al minuto.

L’estrazione del campione con le colonnine è stata condotta con la seguente

procedura (Figura 9):

1. passaggio del campione attraverso la colonnina, per gravità o per

filtrazione sotto vuoto;

2. lavaggio della colonnina con 20 ml di PBS;

3. eluizione dell’ocratossina con la miscela metanolo e acido acetico.

Figura 9. Fasi di estrazione con colonnine di immunoaffinità.

Del campione filtrato sono stati prelevati 4 ml e vi sono stati aggiunti 46 ml

di PBS. La soluzione è stata fatta passare attraverso la colonnina. Agendo

sull’apposita valvola di connessione e regolando il vuoto all’interno della

78

vaschetta è stato assicurato un flusso costante di 1-2 gocce al secondo,

assicurandosi di non lasciare mai asciugare la colonna. E’ stato quindi

effettuato un lavaggio della colonna con 20 ml di PBS , mantenendo sempre

lo stesso flusso. Al termine del lavaggio, praticando un leggero vuoto, è

stata eliminata tutta l’acqua dalla colonna senza però farla seccare.

L’eluizione è stata eseguita utilizzando 4 aliquote da 0,75 ml di metanolo e

acido acetico 98/2 %, e l’eluato è stato raccolto in provette di vetro da 10

ml. La miscela di eluizione è stata lasciata all’interno della colonna per circa

3 minuti prima di essere fluita al fine di favorire il distacco dell’OTA dagli

anticorpi. Dopo aver aggiunto l’ultima aliquota della miscela di eluizione, è

stato praticato un vuoto molto spinto per far fluire tutta la fase liquida

rimasta nella colonna. L’eluato così ottenuto, è stato portato a secco sotto

flusso di azoto, ripreso con 250 µl di fase mobile, vortexato per qualche

minuto e iniettato in HPLC.

79

CAMPIONE (5 g di mangime) 1. Aggiungere 40 ml di miscela

estrattiva CH3OH e H2O 50/50% 2. Vortexare per 3 minuti 3. Oscillare per 20 minuti 4. Filtrare

FILTRATO (4 ml)

1. diluire con 46 ml di PBS

Colonne di immunoaffinità

1. Passaggio del campione attraverso

la colonna 2. Lavaggio della colonna con 20 ml

di PBS 3. Eluizione con la miscela metanolo

e acido acetico 98/2 %

Eluato

1. Portare a secco sotto flusso di azoto

2. Riprendere con 250 µl di fase mobile

3. Vortexare per 3 minuti 4. Centrifugare per 10 minuti

Iniettare in HPLC

Figura 10. Shema del metodo di estrazione e purificazione

dei campioni di mangime.

80

4.2.8 Estrazione e purificazione dei campioni di carne

Per ogni matrice (muscolo fresco, lardo fresco, salami, mortadelle, muscolo

stagionato e lardo stagionato) sono stati utilizzati 5 grammi che sono stati

posti in una provetta di vetro da 15 ml, addizionati con 5 ml di H3PO4 1M e

omogenati utilizzando l’apparecchio ultraturrax Pabish (IKA, LABORTCHIK,

Staufen, Germany). Dell’omogenato così ottenuto, sono stati prelevati 2,5

grammi e sono stati trasferiti in un’altra provetta di vetro da 15 ml, in cui

sono stati aggiunti 5 ml di etilacetato saturo di NaCl, che rappresenta il

solvente di estrazione. La provetta è stata poi vortexata per 3 minuti,

messa in oscillatore a 180 oscillazioni/minuto per 20 minuti e centrifugata a

3000 rpm per 10 minuti. Al termine di queste operazioni, è stato prelevato il

sovranatante (fase organica), mentre il residuo è stato sottoposto per una

seconda volta alle stesse fasi precedentemente illustrate. Il sovranatante

ottenuto dalla seconda estrazione, è stato prelevato e aggiunto alla fase

organica risultante dalle precedenti operazioni. La fase organica totale (10

ml), è stata successivamente concentrata sotto flusso di azoto fino ad un

volume di 5 ml. In seguito, vi sono stati aggiunti 5 ml di NaHCO3 0,5 M a pH

8,4. La provetta è stata nuovamente vortexata per 3 minuti, oscillata e

centrifugata per 10 minuti. A questo punto, è stata prelevata la fase

acquosa, acidificata con H3PO4 all’85% fino a pH 2,5, sonicata per 5 minuti e

nuovamente addizionata con 5 ml di etilacetato. Il tutto è stato vortexato

per ulteriori 3 minuti e centrifugata per 10 minuti a 3000 rpm. La fase

organica è stata prelevata, portata a secco sotto flusso di azoto e il residuo,

ripreso con 250 µl di fase mobile, è stato iniettato in HPLC. Solamente per

quanto riguarda i campioni di pancetta, dopo aver portato a secco la fase

organica, il residuo è stato ripreso con 500 µl di fase mobile.

81

CAMPIONE (5 g di carne)

1. Aggiungere 5 ml di H3PO4 1M

2. Omogenare con ultraturrax

2,5 g DI OMOGENATO RESIDUO FASE ORGANICA

1. Aggiungere 5 ml di etilacetato

2. Vortexare per 3 minuti 3. Agitare nell’oscillatore per 20 minuti 4. Centrifugare per 10 minuti a 3000 rpm

RESIDUO FASE ORGANICA

1. Concentrare fino a 5 ml 2. Aggiungere 5 ml di NaHCO3 a pH 8,4

3. Vortexare per 3 minuti 4. Centrifugare per 10 minuti

FASE ACQUOSA 1. Aggiungere H3PO4 85% fino a pH 2-3 2. Sonicare per qualche minuto 3. Aggiungere 5 ml di etilacetato 4. Vortexare per 1 minuto 5. Centrifugare per 10 minuti

FASE ORGANICA RESIDUO 1. Portare a secco sotto flusso di azoto 2. Riprendere con 250 µl di fase mobile 3. Vortexare per 3 minuti 4. Centrifugare per 10 minuti

Iniettare 100 µµµµl in HPLC

Figura 11. Shema del modo di estrazione e purificazione. dei campioni di carne.

82

4.2.9 Conferma

La conferma dei campioni positivi è stata eseguita attraverso la

derivatizzazione dell’ OTA per metilazione e successiva analisi in HPLC

(Shephard et al., 2003). Il campione ottenuto da processi di estrazione o

l’OTA standard (150 µl) sono stati portati a secco e il residuo è stato poi

disciolto in una soluzione al 12,5% di trifluoruro di boro in metanolo (0,5

ml). L’esterificazione è avvenuta riscaldando la provetta chiusa per 15

minuti a 50-60°C. Il solvente è stato poi fatto evaporare e, dopo

raffreddamento della provetta, il residuo è stato ridisciolto in 250 µl di fase

mobile ed iniettato in HPLC. La conferma della presenza di OTA è mostrata

dalla scomparsa del picco corrispondente all’OTA e la comparsa del picco

corrispondente all’estere metilico dell’OTA con diverso tempo di ritenzione.

4.2.10 Validazione del metodo

La specificità è stata valutata mediante l’analisi HPLC di soluzioni standard

di OTA.In questo modo è stato possibile dimostrare quale fosse il il

cromatogramma della molecola in esame. La conferma che i picchi

cromatografici ottenuti fossero dovuti proprio a tale sostanza si è anche

avuta dalla constatazione che, aumentando la concentrazione delle soluzioni

iniettate, l’area sottesa al picco aumentava.

La linearità è stata valutata dall’analisi del grafico ottenuto riportando i

valori dell’area sottesa ai picchi cromatografici in funzione della

concentrazione.

L’intervallo di concentrazioni in cui il metodo è risultato valido, chiamato

range, deriva dagli studi sulla linearità. E’ stato stabilito in base al fatto che

i risultati ottenuti dall’analisi di un campione contenente una concentrazione

di analita compresa nel range specifico per quella procedura, devono

discostarsi di poco dalla linearità e devono essere precisi ed attendibili.

L’accuratezza del metodo è stata dimostrata facendo delle prove in bianco,

ossia iniettando degli estratti di mangime e carne bianchi. E’ stato così

83

dimostrato che ai tempi di ritenzione corrispondenti all’OTA, non vi erano

picchi relativi ad impurezze che potessero alterare l’esito dell’analisi.

La precisione è data dalla ripetibilità, valutata analizzando un minimo di

nove concentrazioni della sostanza in esame comprese nel range di

linearità, e dalla riproducibilità. Il coefficiente di variazione intra-day e inter-

day è stato determinato mediante analisi HPLC di soluzioni contenenti 2, 10

e 20 ng/ml di OTA. La variabilità intra-day è stata ottenuta iniettando tre

volte ciascuna concentrazione in tempi diversi dello stesso giorno. La

variabilità inter-day è stata ottenuta iniettando ciascuna soluzione tre volte

al giorno per cinque giorni consecutivi (Tabella 16).

Il limite di determinazione (LOD) ed il limite di quantificazione (LOQ) sono

stati calcolati analizzando concentrazioni progressivamente più basse delle

soluzioni di OTA. Il LOD è la concentrazione minima di sostanza in

corrispondenza della quale si riesce a vedere il picco corrispondente ma non

a quantificarlo; invece il LOQ è la minima concentrazione che si riesce anche

a quantificare. Sia il limite di determinazione che quello di quantificazione

sono stati valutati basandosi sulla deviazione standard del valore

sperimentale e sulla pendenza della curva di taratura. Essi possono essere

espressi come:

• LOD = 3 σ/S

• LOQ = 10 σ/S

dove σ rappresenta la deviazione standard del valore sperimentale e S la

pendenza della curva di taratura. Riferendosi alla curva di calibrazione,

come valore di deviazione standard può essere preso la deviazione standard

dell’intercetta con l’asse delle y o la deviazione standard della linea di

regressione (Tabella 17).

La robustezza del metodo HPLC è stata valutata prendendo in

considerazione tutti i parametri in grado di influenzarlo. Essi comprendono

la stabilità in soluzione dell’analita, il suo tempo di estrazione e le variazioni

di pH, composizione e temperatura della fase mobile.

84

OCRATOSSINA Concentrazione Numero CV (%) 2 ng/ml 3 6,9 10 ng/ml 3 2,3

Intra-day

20 ng/ml 3 5,1

2 ng/ml 3 8,9 10 ng/ml 3 2,8

Inter-day

20 ng/ml 3 1,6

Tabella 16. Coefficiente di variazione intra-day e inter-day.

LOD (ng/g) LOQ (ng/g) Mangimi

0,0625 0,125

Carni

0,0125 0,025

Tabella 17. Valori di LOD e LOQ dei campioni di mangime e di carne.

4.2.11 Vetreria

Tutta la vetreria utilizzata, deve essere lavata accuratamente per evitare

che eventuali residui di OTA possano falsare le analisi. Per questo motivo, le

provette sono state prima decontaminate tenendole a lungo in ammollo con

ipoclorito di sodio, poi lavate con sapone per impedire l’adsorbimento della

tossina al vetro. La vetreria deve poi essere sciacquata con attenzione

affinché il vetro risulti privo di residui di sapone alcalino o detergente che

potrebbe determinare la perdita della micotossina durante l’analisi a causa

della formazione di sali, della precipitazione o dell’adsorbimento al vetro..

per evitare questi inconvenienti si è effettuato un lavaggio con metanolo

prima di ogni analisi.

85

4.2.12 Analisi statistica

I risultati sono stati espressi come media ± deviazione standard. Le

differenze statisticamente significative tra i due diversi gruppi di suini

analizzati sono stati determinati con il T-Test e con l’analisi della varianza

(ANOVA) seguita dal test di Tukey-Kramer. Un valore di p<0,05 è stato

considerato statisticamente significativo. Tutte le analisi sono state

effettuate mediante il programma Prism (GraphPad software, San Diego,

CA, USA).

86

5. RISULTATI

5.1 Prove di allevamento

Dall’analisi della composizione chimica dei mangimi utilizzati nella dieta di

entrambi i gruppi (Tabella 18), si nota come questi presentino buone

caratteristiche qualitative e del tutto in linea con quelle riscontrate in

letteratura. Il pisello proteico, in particolare, ha mostrato un elevato

quantitativo di proteine (circa il 26%). Anche l’apporto nutritivo ottenuto

dalle sostanze boschive è risultato più che soddisfacente. Le castagne

presentano infatti, una composizione molto favorevole all’alimentazione dei

suini grazie agli elevati apporti di sostanze amilacee, anche se il contenuto

di ADL (lignina) presenta un valore piuttosto alto. Ciò è dovuto alle

caratteristiche del tegumento esterno che però, a causa dell’elevato

contenuto di tannini, viene scartato dagli animali. Per quanto concerne le

ghiande, pur presentando anch’essi elevati apporti amilacei, invece, sono

caratterizzati da un alto contenuto in sostanze fibrose (ADF, ADL) non

digeribili dai monogastrici.

87

Mais fioccato

Orzo fioccato

Grano tenero fioccato

Pisello proteico fioccato

SS %

87,34 87,00 88,00 86,00

PG (% SS)

8,84 11,61 12,50 25,90

FG (% SS)

1,80 5,00 2,61 6,10

EE (% SS)

2,54 2,30 2,50 1,50

CENERI (% SS)

0,54 2,70 1,70 3,70

EI (%)

86,28 78,39 80,68 62,80

NDF (%SS)

16,03 16,30 17,05 16,70

ADF (%SS)

3,43 5,93 4,66 7,70

ADL (%SS)

0,57 1,28 1,14 0,60

EMICELL. (% SS)

12,59 10,37 12,39 9,09

CELLULOSA (% SS)

2,86 4,66 3,52 7,00

E.M (kcal/kg)

4202 3178 4091 3726

Tabella 18. Composizione chimica e valore nutritivo degli alimenti somministrati.

88

Castagne

intere

Castagne decorticate

Bucce di castagna

Ghiande intere

SS %

51,75 50,31 62,19 51,85

PG (% SS)

5,72 4,92 2,55 4,29

FG (% SS)

9,14 4,68 31,14 17,89

EE (% SS)

2,86 2,74 0,96 1,74

CENERI (% SS)

2,66 2,48 1,40 2,84

EI (%)

79,62 85,18 63,95 71,24

AIA (% SS)

0,00 0,05 0,16 0,02

NDF (% SS)

34,75 36,90 48,85 52,18

ADF (% SS)

18,75 8,47 46,12 20,84

ADL (%)SS)

9,00 3,00 31,69 8,88

EMICELL. (% SS)

16,00 28,43 2,73 31,35

CELLULOSA (% SS)

9,75 5,42 14,43 11,94

E.M (kcal/kg)

3374 3245 2838 2518

Tabella 19. Composizione chimica e valore nutritivo dei prodotti del bosco.

89

Relativamente ai principali parametri ottenuti durante il ciclo di allevamento

(Tabella 19), è stato evidenziato come il gruppo “indoor” abbia ottenuto un

miglior accrescimento (IMG 0,394 vs 0,364 g/capo/d) che ha permesso di

raggiungere il peso di macellazione prefissato a 140 kg circa, un mese

prima rispetto al gruppo “outdoor”. Dalla comparazione dei valori dell’indice

di conversione dell’ alimento (ICA), si nota un valore leggermente più alto

per il gruppo “outdoor”, a causa presumibilmente del maggior dispendio

energetico da parte degli animali allevati in libertà e dallo stress di

adattamento subito nei periodi iniziali dell’allevamento. Confrontando i

consumi medi giornalieri, è possibile notare un aumento dei consumi da

parte degli animali “indoor” rispetto a quelli “outdoor”; ciò è dovuto al fatto

che questi ultimi utilizzavano anche dei prodotti del bosco. Per quanto

riguarda infine, i consumi medi totali di mangime durante l’intero ciclo,

emerge una superiorità (circa 50 kg) per gli animali “outdoor”. Questa

differenza non deve attribuirsi ai maggiori consumi giornalieri medi, ma alla

maggior durata del ciclo di allevamento (35 giorni) degli animali allevati allo

stato brado.

90

Fase di allevamento

Indoor Outdoor

Peso inizio prova (kg)

30,00 30,00

Peso fine prova (kg)

138,40 140,80

Durata ciclo di allevamento (gg)

276 304

Consumo di mangime medio giornaliero (kg)

1,960 1,880

Incremento ponderale medio giornaliero IMG (g/capo/d)

0,394 0,364

Indice di conversione dell’alimento ICA (kg di alimento SS/kg PV)

4,840 5,280

Tabella 20. Principali parametri "in vita" relativi all'intero ciclo.

Riguardo i risultati post-mortem riportati in un altro elaborato, è stato

evidenziato come nei due gruppi in prova, non vi siano state differenze di

rilievo riguardo alla resa di macellazione (circa 80%) e le caratteristiche

tissutali della carcassa. Gli animali del gruppo outdoor hanno mostrato,

invece, un maggiore stato di ingrassamento con un più elevato spessore di

grasso sottocutaneo (29,2 vs 26,2 mm) e un più alto tenore di grasso

intramuscolare (9,35 vs 4,70%).

91

5.2 Determinazione dell’ocratossina A tramite HPLC

5.2.1 Condizioni cromatografiche e di estrazione

Le condizioni cromatografiche utilizzate hanno permesso di ottenere una

buona risoluzione dei picchi evitando la sovrapposizione del picco di OTA

con quelli delle impurezze presenti nei campioni di mangime e dei prodotti

carnei analizzati. Il tempo di ritenzione dell’OTA è risultato 8,01±0,05

minuti. Di seguito sono riportati i cromatogrammi relativi a una soluzione

standard di OTA e a campioni di mangime e di carne (Figura 12, 13, 14, 15,

16, 17, 18, 19).

Figura 12. Cromatogramma di una soluzione standard di OTA (10 ng/ml).

92

Figura 13. Cromatogramma di un campione di pisello proteico contaminato da

OTA.

Figura 14. Cromatogramma di un campione di orzo contaminato da OTA.

93

Figura 15. Cromatogramma di un campione di ghianda

contaminato da OTA.

Figura 16. Cromatogramma di un campione di lardo stagionato outdoor

contaminato da OTA.

94

Figura 17. Cromatogramma di un campione di lardo fresco indoor contaminato da OTA.

Figura 18. Cromatogramma di un campione di muscolo fresco outdoor

contaminato da OTA.

95

Figura 19. Cromatogramma di un campione di mortadella outdoor

contaminato da OTA.

I recuperi percentuali dell’estrazione dell’OTA dai diversi campioni analizzati

sono mostrati nelle tabelle 21 e 22.

Campione

Recupero % ±±±± DS

Mangimi 76,5 ± 2,1 Essenze del bosco 65,5 ± 5,1

Tabella 21. Recuperi relativi alla metodica di estrazione ottimizzata.

96

Campione

Recupero % ±±±± DS

Muscolo fresco

89,0 ± 3,0

Muscolo stagionato

95,3 ± 6,0

Lardo fresco

98,0 ± 6,0

Lardo stagionato

63,5 ± 4,3

Salame

74,3 ± 2,7

Mortadella

84,0 ± 5,0

Tabella 22. Recuperi relativi alla metodica di estrazione ottimizzata.

97

5.2.2 Retta di calibrazione La linearità del metodo è mostrata dai parametri della retta di calibrazione

ottenuta per l’OTA, il cui coefficiente di correlazione (r2) è risultato > di

0,99.

0 5 10 15 20 250

2.5×105

5.0×105

7.5×105

1.0×106

1.3×106

OTA (ppb)

are

a

Figura 20. Retta di taratura dell'OTA.

La retta di taratura ottenuta (y= ax+c) presentava i seguenti parametri:

• Pendenza (a) = 51780

• Intercetta con l’asse delle y (c) = -12010

• Coefficiente di correlazione (r2) = 0,9929.

98

5.2.3 Analisi dei campioni

Sono stati analizzati 8 campioni di mangime, tutti ottenuti mediante metodo

biologico. I risultati ottenuti sono indicati nelle Tabelle 23 e 24.

TIPO DI MANGIME

VALORI OTA (ng/g di mangime)

Mais

2,11

Pisello proteico

2,35

Fioccato di grano

1,06

Fioccato d’orzo

7,17

Tabella 23. Contenuto di OTA nei campioni di mangime.

99

TIPO DI MANGIME

VALORI OTA (ng/g di mangime)

Castagne intere

3,58

Castagne sbucciate

2,06

Bucce di castagne

2,18

Ghiande

1,77

Tabella 24. Contenuto di OTA nei prodotti del bosco.

Dalle analisi è emerso che tutti i campioni sono risultati positivi all’ OTA. In

particolare, l’orzo è risultato essere il campione maggiormente contaminato

ma con livelli di contaminazione entro i limiti di legge.

0,00

1,00

2,00

3,00

4,00

5,00

6,00

7,00

8,00

pisello

pro

teico

fiocc

ato

gra

no

castagne

inte

re

castagne

sbucc

iate

mais

orz

o

bucc

e

ghianda

Figura 21. Livelli di OTA nei campioni di mangime. I risultati sono espressi in ng/g di mangime e di prodotti del bosco.

100

Sono stati analizzati un totale di 52 campioni di carne suina, di cui 5

campioni di muscolo e lardo freschi, muscolo e lardo stagionati e 3 campioni

di mortadelle e salami per ciascun gruppo (outdoor e indoor). Tutti i

campioni analizzati sono risultati positivi all’OTA. Il campione meno

contaminato è risultato il muscolo sia per quanto riguarda il gruppo

“outdoor” sia per quello “indoor”. In particolare, in tutti i campioni

analizzati, è stata riscontrata una maggiore presenza di OTA nei campioni

“outdoor”. Le Tabelle 25, 26, 27, 28, 29, 30 riportano le concentrazioni di

OTA per ognuno dei diversi campioni.

CAMPIONI DI MUSCOLO FRESCO

VALORI (ng/g di omogenato ±±±± DS)

0,092 0,067 0,068 0,080 0,085

Media 0,078

GRUPPO OUTDOOR

DS 0,011

0,071 0,042 0,061 0,066 0,036

Media 0,055

GRUPPO INDOOR

DS 0,015

Tabella 25. Livelli di OTA nei campioni di muscolo fresco. I risultati sono espressi in ng/g di omogenato.

101

Tabella 26. Livelli di OTA nei campioni di muscolo stagionato. I risultati sono espressi in ng/g di omogenato.

CAMPIONI DI MUSCOLO STAGIONATO

VALORI (ng/g di omogenato ±±±± DS)

0,172 0,182 0,228 0,151 0,154

Media 0,178

GRUPPO OUTDOOR

DS 0,031

0,153 0,040 0,057 0,047 0,042

Media 0,068

GRUPPO INDOOR

DS 0,048

102

CAMPIONI DI LARDO FRESCO

VALORI (ng/g di omogenato ±±±± DS)

0,078

0,129 0,078 0,065 0,078

Media 0,085

GRUPPO OUTDOOR

DS 0,025

0,074

0,080 0,055 0,080 0,105

Media 0,079

GRUPPO INDOOR

DS 0,018

Tabella 24. Livelli di OTA nei campioni di lardo fresco. I risultati sono espressi in ng/g di omogenato.

103

CAMPIONI DI LARDO STAGIONATO

VALORI (ng/g di omogenato ±±±± DS)

0,220 0,155 0,264 0,112 0,269

Media 0,204

GRUPPO OUTDOOR

DS 0,069

0,138 0,176 0,076 0,211 0,239

Media 0,170

GRUPPO INDOOR

DS 0,064

Tabella 28. Livelli di OTA nei campioni di lardo stagionato. I risultati sono espressi in ng/g di omogenato.

104

Tabella 29. Livelli di OTA nei campioni di salame. I risultati sono espressi in ng/g

Tabella 30. Livelli di OTA nei campioni di mortadella. I risultati sono espressi in ng/g di omogenato.

CAMPIONI DI SALAME

VALORI (ng/g di omogenato ±±±± DS)

0,060 0,068 0,063

Media 0,064

GRUPPO OUTDOOR

DS 0,004

0,074 0,054 0,045

Media 0,058

GRUPPO INDOOR

DS 0,015

CAMPIONI DI MORTADELLA

VALORI (ng/g di omogenato ±±±± DS)

0,570 0,601 0,578

Media 0,590

GRUPPO OUTDOOR

DS 0,016

0,517 0,889 0,206

Media 0,537

GRUPPO INDOOR

DS 0,342

105

5.3.4 Analisi statistica

Dall’analisi statistica eseguita per paragonare i livelli di OTA nei campioni di

muscolo fresco e stagionato, sono state evidenziate differenze

statisticamente significative tra i campioni del gruppo outdoor rispetto al

gruppo indoor. I livelli di OTA riscontrati nei campioni del gruppo outdoor

sono risultati significativamente più alti per il muscolo sia fresco (p< 0,05)

sia stagionato (p< 0,01) (Tabella 31).

TIPO DI CAMPIONE

VALORI (ng/g ±±±± DS) GRUPPO OUTDOOR

VALORI (ng/g ±±±± DS) GRUPPO INDOOR

Muscolo fresco

0,078 ± 0,011 0,055 ± 0,015*

Muscolo stagionato 0,178 ± 0,031 0,068 ± 0,048**

Lardo fresco

0,085 ± 0,025 0,079 ± 0,018

Lardo stagionato 0,204 ± 0,069 0,170 ± 0,064

Tabella 31. Livelli di OTA nei campioni di muscolo e lardo freschi e stagionati dei due gruppi di suini analizzati. I risultati sono espressi come media ±

deviazione standard. *significativamente differente per p < 0,05; **significativamente differente per p < 0,01.

Dall’analisi statistica eseguita per paragonare i livelli di OTA nei diversi

campioni di lardo fresco e stagionato, non sono state evidenziate differenze

significative (p>0,05) tra i due gruppi esaminati. Tuttavia i livelli di OTA

riscontrati nei campioni dei suini outdoor sono risultati solo di poco più alti

rispetto a quelli del gruppo indoor per entrambe le tipologie di campioni

analizzati. (Tabella 31).

106

TIPO DI CAMPIONE

VALORI (ng/g ±±±± DS) GRUPPO OUTDOOR

VALORI (ng/g ±±±±DS) GRUPPO INDOOR

Salami

0,064 ± 0,004 0,058 ± 0,015

Mortadelle

0,590 ± 0,016 0,537 ± 0,342

Tabella 32. Livelli di OTA nei campioni di salami e mortadelle dei due gruppi di suini analizzati. I risultati sono espressi come media ± deviazione standard.

Dall’analisi statistica eseguita per paragonare i livelli di OTA nei diversi

campioni di salame e mortadella, non sono state evidenziate differenze

significative (p>0,05) tra i due gruppi esaminati. Tuttavia i livelli di OTA

riscontrati nei campioni dei suini outdoor sono risultati solo di poco più alti

rispetto a quelli del gruppo indoor per entrambe le tipologie di campioni

analizzati (Tabella 32).

L’analisi statistica effettuata per verificare differenze tra i livelli di OTA di

muscolo fresco rispetto allo stagionato ha mostrato che i campioni

stagionati del solo gruppo outdoor mostravano valori significativamente

superiori rispetto alle medesime matrici fresche (p< 0,001), mentre i livelli

di OTA dei campioni del gruppo indoor non hanno mostrato differenze

significative (Tabella 33).

107

MUSCOLO FRESCO

MUSCOLO STAGIONATO

Valori (ng/g ±±±± DS) gruppo outdoor

0,078 ± 0,011

0,178 ± 0,031***

Valori (ng/g ±±±± DS) gruppo indoor

0,055 0,015±

0,068 ± 0,048

Tabella 33. Livelli di OTA nei campioni di muscolo frescho e stagionato dei due gruppi di suini analizzati. I risultati sono espressi come media ± deviazione standard. ***significativamente differente per p < 0,001;

L’analisi statistica effettuata per verificare differenze tra i livelli di OTA di

lardo fresco rispetto allo stagionato ha mostrato che i campioni stagionati

del gruppo sia outdoor sia indoor mostravano valori significativamente

superiori rispetto alle medesime matrici fresche (grupo outdoor p< 0,01;

gruppo indoor p< 0,05) (Tabella 34).

LARDO FRESCO

LARDO STAGIONATO

Valori (ng/g ±±±± DS) gruppo outdoor

0,085 ± 0,025

0,204 ± 0,069**

Valori (ng/g ±±±± DS) gruppo indoori

0,079 ± 0,018

0,170 ± 0,064*

Tabella 34. Livelli di OTA nei campioni di lardo fresco e stagionato dei due gruppi di suini analizzati. I risultati sono espressi come media ± deviazione standard. *significativamente differente per p < 0,05; **significativamente

differente per p < 0,01.

108

L’analisi statistica effettuata per verificare differenze tra i livelli di OTA di

salame rispetto alla mortadella ha mostrato che i campioni di mortadella del

gruppo sia outdoor sia indoor mostravano valori significativamente superiori

al salame (gruppo outdoor p< 0,001; gruppo indoor p< 0,05) (Tabella 35).

SALAMI

MORTADELLE

Valori (ng/g ±±±± DS) gruppo outdoor

0,064 ± 0,004

0,590 ± 0,016***

Valori (ng/g ±±±± DS) gruppo indoor

0,058 ± 0,015

0,537 ± 0,342*

Tabella 35. Livelli di OTA nei campioni di salami e mortadelle dei due gruppi

di suini analizzati. I risultati sono espressi come media ± deviazione standard. * significativamente differente per p < 0,05;

***significativamente differente per p < 0,001.

Dall’analisi statistica effettuata all’interno del singolo gruppo, è emerso che i

campioni di mortadella hanno presentato livelli di contaminazione da OTA

significativamente superiori, in entrambi i gruppi, rispetto agli altri campioni

analizzati. Per quanto riguarda il gruppo outdoor, i campioni di muscolo

stagionato e di lardo stagionato, hanno presentato valori significativamente

superiori rispetto alle medesime matrici fresche (Figura 22, 23).

109

MF

MS LF LS SA M

O0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

a aa

bb

c

OTA (ng/g)

Figura 22. Livelli di OTA nei diversi campioni di carne del gruppo OUTDOOR. I risultati sono espressi come media ± deviazione standard. Differenti lettere

indicano medie che sono significativamente diverse (ANOVA, p<0,05)

MF

MS LF LS SA M

O

0.00

0.25

0.50

0.75

a a a

a

a

b

OTA (ng/g)

Figura 23. Livelli di OTA nei diversi campioni di carne del gruppo INDOOR. I risultati sono espressi come media ± deviazione standard. Differenti lettere

indicano medie che sono significativamente diverse (ANOVA, p<0,05).

DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

110

6. DISCUSSIONE

La contaminazione da micotossine appare sempre più un fenomeno diffuso,

essendo influenzato da molteplici fattori, sia di tipo ambientale che

agronomico, che sono difficilmente controllabili. In particolare i cambiamenti

delle condizioni ambientali, con rapide escursioni termiche, accompagnate

da umidità elevate, ha comportato un microclima particolarmente adatto al

loro sviluppo. La presenza di micotossine nelle derrate alimentari costituisce

un rischio per la salute sia dell’uomo sia degli animali in seguito

all’ingestione di alimenti contaminati (Miraglia e Brera, 1999). Attualmente

le micotossine rappresentano uno dei problemi più critici proprio a causa dei

noti e pericolosi effetti tossici sulla salute. Pertanto, essendo la problematica

delle micotossine estremamente variegata e non risolvibile con una sola

azione specifica, può essere affrontata in maniera efficace ed efficiente

solamente con un approccio integrato, supportato da un’attenta analisi

comparata del rischio e dei mezzi disponibili per ridurlo il più possibile al di

sotto del limite accettabile, in modo da gestire tutta la filiera del prodotto.

L’OTA è una delle micotossine più comuni e diffuse (Miraglia e Brera, 1999),

della quale è ormai provato il potere nefrotossico, cancerogeno, teratogeno,

mutageno ed immunotossico (Kuiper-Goodman e Scott, 1989; Stormer,

1992; Gekle e Silbernagl, 1996; Kuiper-Goodman, 1996). I cereali

rappresentano la maggiore fonte alimentare di OTA sia per gli animali che

per l’uomo, per il quale l’assunzione di questa micotossina dipende in larga

misura da prodotti di origine animale. L’esposizione dell’uomo all’OTA è

stata chiaramente dimostrata tramite il suo ritrovamento nel sangue e nel

latte materno (Breitholtz et al., 1993; Miraglia et al., 1995), pertanto la sua

presenza negli alimenti costituisce un pericolo concreto. Molteplici sono gli

alimenti che possono essere contaminati in primo luogo dalle diverse specie

fungine produttrici di ocratossine e secondariamente dagli stessi metaboliti.

I principali substrati contaminati da OTA sono: riso, segale, mais, grano,

111

sorgo, orzo, frumento e i cereali in genere. In questi ultimi anni è stato

messo in evidenza come l’OTA può contaminare anche altri tipi di alimenti in

particolare vino, birra e caffè. L’OTA è stata ritrovata anche in alimenti di

origine animale, in particolare in prodotti a base di carne di maiale e di

specie avicole (Canela et al., 1994; Curtui et al., 2001; Gareis e Wolff,

2000; Gareis e Scheuer, 2000; Holmberg et al., 1991; Jimenez et al., 2001;

Jorgensen, 1998; Kuiper-Goodman e Scott, 1989) a causa, come dimostrato

sperimentalmente, del fenomeno del carry-over della micotossina dal

mangime ai tessuti animali (Abramson et al., 1997). Le principali vie di

escrezione sono quella urinaria e fecale, tuttavia un ruolo importante nella

clearance plasmatica della tossina è rivestito, nei mammiferi dall’escrezione

attraverso il latte (Kuipper et al., 1989). Nei ruminanti la percentuale di OTA

espulsa con il latte è limitata grazie all’azione della frazione protozoaria

presente nel liquido ruminale, capace di idrolizzare l’OTA nella sua forma

atossica OTα. E’ stato stimato che possono essere degradati fino a 12 mg di

OTA/kg di alimento (Hult et al., 1976; Petterson et al., 1982). Proprio per

tale ragione, i ruminanti sono meno sensibili alla tossina rispetto ai

monogastrici. I dati relativi al livello di contaminazione da OTA di suini

macellati in Italia e più in generale di prodotti a base di carne suina sono

piuttosto scarsi. Per tale ragione, con la presente tesi, è stato creato un

quadro rappresentativo della sua presenza in un totale di 60 campioni di cui

8 di mangimi e 52 di carne suina fresca e suoi derivati prodotti da suini

allevati con metodo biologico ma appartenenti a due diversi gruppi: indoor

(stabulati) allevati all’interno di un ricovero, e outdoor (brado) lasciati

pascolare liberamente in un recinto situato in una porzione di bosco. Per

quanto riguarda i mangimi, più specificatamente, sono stati analizzati

campioni di mais, fioccato di orzo, fioccato di grano, pisello proteico,

castagne intere, castagne sbucciate, bucce di castagne e ghiande, mentre

per quanto riguarda le carni sono stati analizzati campioni di muscolo

(Longissumus lomborum), lardo, salami, mortadelle, coppa (Longissimus

lomborum dopo stagionatura) e pancetta (lardo dopo stagionatura). Il

metodo utilizzato si è confermato semplice e valido, ed in particolare le

112

condizioni cromatografiche utilizzate hanno permesso di ottenere una corsa

cromatografica abbastanza breve (8 min) e picchi corrispondenti all’OTA

stretti, risolti e ben distinguibili da quelli delle impurezze dei campioni

esaminati. Il metodo di estrazione e purificazione adottato per l’analisi dei

campioni di mangime, ha previsto l’utilizzo di colonne di immunoaffinità che

hanno permesso di ottenere valori di recupero molto buoni. L’OTA è stata

determinata in tutti i campioni di mangime analizzati con valori compresi tra

1,06-7,17 ng/g. Il campione maggiormente contaminato è risultato il

fioccato d’orzo contenente 7,17 ng/g di OTA; tuttavia dall’analisi della

composizione chimica dei mangimi utilizzati nella dieta di entrambi i gruppi,

si è potuto notare come questi abbiano presentato buone caratteristiche

qualitative. Il motivo per cui tali mangimi sono stati analizzati è legato al

fenomeno del carry-over della micotossina dal mangime ai tessuti animali,

maggiormente evidenziato negli animali alimentati con prodotti contaminati.

Per quanto riguarda invece i campioni di carne, è stato necessario l’utilizzo

di una metodica estrattiva seguita da un doppio passaggio per la

purificazione dei campioni a causa della notevole quantità di grasso e di

impurità contenute negli estratti. Dall’analisi dei valori, in tutti i campioni è

stata riscontrata una maggiore presenza di OTA nelle carni dei suini

appartenenti al gruppo outdoor rispetto al gruppo indoor. Ciò è

probabilmente dovuto alla possibilità dei suini allevati allo stato semi-brado,

di alimentarsi liberamente anche di prodotti contaminati da muffe che, in un

allevamento di tipo stabulato, con un’ alimentazione più controllata da parte

dell’uomo non vengono somministrati. Sono state evidenziate differenze

statisticamente significative tra il muscolo fresco e il muscolo stagionato e

tra il lardo fresco e quello stagionato di entrambi i gruppi. L’aumento

dell’OTA dopo la stagionatura è dovuto probabilmente ad un aumento della

concentrazione di tale tossina, in seguito alla perdita di acqua a cui i

prodotti vanno incontro durante il processo di stagionatura. Confrontando i

valori di OTA nei salami e nelle mortadelle di entrambi i gruppi, è emersa

una contaminazione significativamente più alta della mortadella rispetto al

salame, dovuto probabilmente al maggior contenuto di grasso presente

113

nella mortadella poiché l’OTA è una molecola lipofila preferibilmente

accumulata nel tessuto adiposo. Dall’analisi statistica effettuata all’interno

del singolo gruppo di tipologia di allevamento, è emerso che i campioni di

mortadella hanno presentato livelli di contaminazione di OTA più alti, per

entrambi i gruppi, rispetto agli altri campioni analizzati. Ciò è probabilmente

legato alle caratteristiche di produzione della mortadella, in quanto risulta

costituita non solo da una maggiore quantità di grasso, ma anche da una

miscelazione di quest’ultimo con il muscolo già contaminati e appartenenti

ad ogni singolo individuo; fattori probabilmente responsabili dell’elevato

livello di contaminazione riscontrato. A tale proposito, in questa prova è

emerso come in un campione di mortadella il valore di OTA è risultato molto

vicino (0,886 ppb) ai limiti di legge (1 ppb). I muscoli presentano valori di

poco superiori rispetto ai livelli di OTA riscontrati in altri studi condotti sulla

stessa tipologia di campione (Matrella et al., 2006; Guillamont et al., 2005).

Per quanto riguarda i campioni di salame i valori riscontrati nella presente

tesi, sono risultati simili ad uno studio condotto sul salami di origine italiana

(Monaci et al., 2005). I dati derivati dal presente studio, pur essendo

inferiori ai limiti di legge stabiliti, mettono in evidenza quanto l’esposizione

all’OTA sia ormai un fenomeno comune per la cui limitazione è

indispensabile incrementare i controlli sulle derrate alimentari curando ogni

fase della filiera produttiva, data la crescente preoccupazione per la salute

del consumatore. Il problema più grande nella gestione del rischio da

micotossine, è rappresentato sia dalla difficoltà di individuare precisamente

le fasi nelle quali può avvenire la contaminazione, sia dalla grande varietà di

alimenti sui quali questa può verificarsi. Negli ultimi anni sono comunque

aumentati gli studi volti a controllare i livelli di contaminazione da OTA in

varie tipologie di alimenti proprio a testimonianza del fatto che questo è

riconosciuto come un rilevante problema di sanità pubblica. Solamente una

visione globale del problema che coinvolga competenze di ogni genere, di

tipo agronomico, biologico, fisiopatologico, chimico, zootecnico e molte altre

potrebbe portare ad una migliore valutazione e gestione del rischio da

micotossine e limitare la presenza dell’OTA nei nostri alimenti.

114

7. CONCLUSIONI

Dai risultati ottenuti si può concludere che:

� Gli animali bradi, hanno mostrato accrescimenti più bassi rispetto a

quelli confinati, pur ricevendo la stessa razione. Pertanto si ritiene

che, tali differenze, siano dovute più che alla maggiore attività

motoria, alla difficoltà di adattamento iniziale degli animali trasferiti

nei recinti esterni; in quanto provenivano da allevamento di tipoi

tradizionale e quindi non abituati a vivere all’aperto.

� I soggetti del gruppo outdoor sono stati macellati ad una età più

avanzata (circa 1 mese), e ciò ha determinato un maggior stato di

ingrassamento delle carcasse e delle carni.

� Il metodo utilizzato per la determinazione dell’ocratossina A è risultato

valido, semplice e sensibile ed ha permesso di ottenere recuperi

elevati ed una corsa cromatografica breve con picchi corrispondenti

all’OTA ben distinguibili da quelli delle impurezze dei campioni

esaminati.

� La presenza di OTA nella carne, è indice di contaminazione da OTA nei

mangimi a causa del fenomeno del carry over della micotossina dal

mangime ai tessuti animali, maggiormente evidenziato negli animali

alimentati con prodotti contaminati; tuttavia dall’analisi della

composizione chimica dei mangimi utilizzati nella dieta di entrambi i

gruppi, si è potuto notare come questi abbiano presentato buone

caratteristiche qualitative. Tra quest’ultimi, l’orzo è risultato essere il

campione maggiormente contaminato, ma con valori inferiori ai limiti

di legge stabiliti dalla UE. Si rende però necessario attuare piani di

115

prevenzione e di detossificazione al fine di ridurre il rischio di

contaminazione.

� Dall’analisi dei valori di tutti i campioni di carne, è stata riscontrata

una maggiore presenza di OTA nelle carni dei suini appartenenti al

gruppo outdoor. Ciò può probabilmente essere dovuto, alla possibilità

dei suini allevati allo stato semi-brado, di alimentarsi liberamente

anche di alimenti ammuffiti che in un allevamento di tipo stabulato

con alimentazione più controllata da parte dell’uomo, che non

vengono somministrati. Una seconda ipotesi potrebbe essere derivata

dalla maggior presenza di grasso intramuscolare nella carne dei suini

outdoor.

� Particolarmente importante riuslta l’aumento di OTA sia nel muscolo

che nel grasso di entrambi i gruppi durante la stagionatura. Tali

differenze sono probabilmente dovute ad un aumento della

concentrazione di tale tossina, in seguito alla perdita di acqua a cui i

prodotti vanno incontro durante il processo di stagionatura.

� Riguardo i prodotti trasformati è stato osservato come nelle

mortadelle di entrambi i gruppi, è emersa una contaminazione

significativamente più alta rispetto al salame. Tale diiffereza è

probabilmente legata al fatto che la mortadella contiene un maggior

tenore in grasso che rappresenta il tessuto maggiormente

contaminato da OTA.

� La presenza dell’OTA nei mangimi e di conseguenza nelle carni,

costituisce infine un concreto pericolo per la salute dell’animale e

dell’uomo. Per tale ragione, diventa indispensabile incrementare i

controlli sulle derrate alimentari curando ogni fase della filiera

produttiva, per ridurre così la quantità di OTA assunta con la dieta.

BIBLIOGRAFIA

116

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E dopo 154 pagine riguardanti sempre e solo l’Ocratossina A, mi sembra

doveroso dedicare questa pagina alle persone che in questo periodo rihanno

aiutato e mi sono state vicine. Innanzitutto ringrazio il Prof. Alessandro

Pistoia per la sua disponibilità e per la possibilità di realizzare questa tesi.

Un ringraziamento speciale va alla Dott.ssa Valentina Meucci per la sua

enorme pazienza (e con me, assicuro che ce n’è voluta) e per la sua

impareggiabile competenza che mi ha permesso di imparare qualcosa da

questa esperienza. Non dimentico di ringraziare anche Elisabbetta e le

bimbe del laboratorio che ho conosciuto perché hanno fatto sì da rendere

più allegre e più spensierate le mie giornate tra le provette. Un

ringraziamento ricco di amore va a Nicola che, a modo suo, tra alti e bassi,

è riuscito a starmi sempre vicino aiutandomi e cercando di capire o miei

momenti di gioia e quelli di sconforto. Infine il ringraziamento più grande va

però ai miei genitori, ultimi nella lista ma primi nella mia vita, perché è solo

grazie a loro se sono riuscita ad arrivare fino alla fine di questo percorso e a

diventare quella che sono.