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Università degli Studi di Napoli Federico II FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea in Fisica TESI DI LAUREA Il sistema di Resistive Plate Chambers per il trigger di muoni dell’esperimento ATLAS ad LHC: messa a punto della procedura di Certificazione finale CANDIDATO: RELATORI: FRANCESCA TOGLIA CH.MO PROF. MARIAGRAZIA ALVIGGI MATRICOLA 60/965 CH.MO PROF. VINCENZO CANALE ANNO ACCADEMICO 2008-2009

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Università degli Studi di Napoli Federico II

FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI

Corso di Laurea in Fisica

TESI DI LAUREA

Il sistema di Resistive Plate Chambers

per il trigger di muoni dell’esperimento ATLAS ad LHC:

messa a punto della procedura di Certificazione finale

CANDIDATO: RELATORI:

FRANCESCA TOGLIA CH.MO PROF. MARIAGRAZIA ALVIGGI

MATRICOLA 60/965 CH.MO PROF. VINCENZO CANALE

ANNO ACCADEMICO 2008-2009

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A mio padre Sergio

a mia nonna Francesca

ed a mio zio Raffaele

che, sopra chiunque altro al mondo,

avrebbero voluto stringere tra le mani questo tomo

e sorridere con me

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Se sapessimo cosa stiamo facendo

non la chiameremmo ricerca

Albert Einstein

Molto che noi ignoriamo sarà conosciuto dalla gente dell’evo futuro; molto è riservato a generazioni ancora più lontane nel tempo, quando di noi anche la memoria sarà cancellata. […] La natura non svela il suo mistero tutto in una volta. […] Aumentiamo il capitale che abbiamo ricevuto dagli antenati: passiamo accresciuta da noi ai posteri questa eredità. Ancora molto resta da fare e molto resterà; né ad alcuno, anche se nascerà tra mille secoli, mancherà l’occasione di aggiungere ancora qualcosa.

Lucio Anneo Seneca

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Indice Capitolo 1 ................................................................................................................................................... - 5 -

Il Modello Standard e la fisica di LHC ............................................................................................. - 5 -

1.1 Introduzione .......................................................................................................................... - 5 -

1.2 La Struttura del Modello Standard ............................................................................... - 5 -

1.3 La Rottura Spontanea di Simmetria ed il Meccanismo di Higgs ....................... - 9 -

1.4 Oltre il Modello Standard: le Supersimmetrie ....................................................... - 15 -

1.5 La ricerca di nuova fisica ad LHC ................................................................................ - 16 -

1.6 Il collider adronico ............................................................................................................ - 16 -

1.6.1 Il Large Hadron Collider e gli apparati di rivelazione ...................................... - 20 -

Capitolo 2 ................................................................................................................................................. - 24 -

L’esperimento ATLAS a LHC ............................................................................................................. - 24 -

2.1 L’esperimento ATLAS ....................................................................................................... - 24 -

2.2 Sistemi di riferimento in ATLAS .................................................................................. - 24 -

2.3 Il sistema magnetico ....................................................................................................... - 27 -

2.4 Il rivelatore interno .......................................................................................................... - 29 -

2.5 Il sistema di calorimetri .................................................................................................. - 33 -

2.6 Lo Spettrometro per muoni .......................................................................................... - 37 -

2.6.1 La misura del momento e la sua risoluzione ...................................................... - 46 -

2.6.2 Il livello della radiazione di fondo ........................................................................... - 50 -

2.6.3 Nomenclatura e convenzioni per lo Spettrometro ........................................... - 51 -

Capitolo 3 ................................................................................................................................................. - 55 -

Il Trigger ed i rivelatori RPC ............................................................................................................. - 55 -

3.1 Introduzione ........................................................................................................................ - 55 -

3.2 Il Trigger dell’esperimento ATLAS .............................................................................. - 55 -

Capitolo 4 ................................................................................................................................................. - 97 -

Il Commissioning degli RPC .............................................................................................................. - 97 -

4.1. I test stand con i Raggi Cosmici .............................................................................. - 97 -

4.1.1. Produzione, assemblaggio e test degli RPC in Italia ................................... - 97 -

4.1.2. La Certificazione finale degli RPC al CERN .................................................... - 101 -

4.2. Il Commissioning dell’apparato di rivelazione ................................................. - 103 -

4.2.1. I test di Commissioning all’interno dell’ATLAS PIT .................................... - 104 -

4.3. Il Detector Control System del sistema degli RPC ......................................... - 105 -

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4.4. La distribuzione della miscela gassosa ed i relativi test .............................. - 107 -

4.5. La distribuzione dell’alta tensione ed il monitoraggio della corrente ..... - 114 -

4.6. La distribuzione ed i test di bassa tensione ...................................................... - 135 -

4.6.1. Un esempio di evento di overcurrent .............................................................. - 139 -

4.7. La situazione del sistema RPC ............................................................................... - 145 -

Capitolo 5 ............................................................................................................................................... - 149 -

Il Software di Analisi per il Commissioning .............................................................................. - 149 -

5.1. Il Software sviluppato per il Commissioning .................................................... - 149 -

5.1.1. La struttura della “rootpla” per il controllo qualità dei dati .................... - 150 -

5.2. Il programma di analisi per il rumore ................................................................. - 152 -

5.3. Il programma di analisi per i Cosmici ................................................................. - 161 -

5.4. I risultati dell’analisi dei dati acquisiti ................................................................. - 168 -

5.4.1. Il programma di transcodifica e correlazione .............................................. - 168 -

5.4.2. L’analisi dei dati di Random ................................................................................ - 173 -

5.4.3. L’analisi dei dati dell’acquisizione di muoni cosmici .................................. - 186 -

5.5. Considerazioni conclusive ........................................................................................ - 200 -

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Introduzione La presente tesi di laurea è stata sviluppata nell’ambito del Gruppo ATLAS di Napoli ed è stata dedicata alla realizzazione dei test di messa a punto delle camere di trigger dello Spettrometro muonico dell’esperimento e la successiva analisi dei dati. ATLAS (A Toroidal LHC ApparatuS) è uno dei quattro apparati sperimentali previsti per sfruttare appieno le potenzialità di ricerca offerte dal collider adronico Large Hadron Collider (LHC), che potrà raggiungere un'energia nel centro di massa pari a 14 TeV ed una luminosità di 1033÷34 cm-2s-1, nei primi tre anni di funzionamento. Le caratteristiche della macchina acceleratrice consentiranno lo studio di processi fisici fino ad una scala di energia ancora inesplorata; in particolare, il programma di ricerca ha come obiettivo principale la ricerca del bosone di Higgs e di eventuale nuova fisica, come i modelli supersimmetrici. ATLAS, concepito come un rivelatore di indirizzo generale, consiste di una serie di cilindri concentrici attorno al punto di interazione e può essere diviso in quattro parti principali: il tracciatore interno, i calorimetri, lo spettrometro muonico ed il sistema di magneti. I rivelatori sono complementari e ciascuno dedicato ad una particolare misura, mentre il sistema di magneti deflette le particelle cariche permettendo così la misurazione del loro momento. Infatti, la presenza nello stato finale di muoni di momento elevato è tra le più promettenti segnature di fisica e per sfruttare tale aspetto, è stata necessaria la realizzazione di uno Spettrometro di elevata risoluzione con un sistema indipendente ed autoconsistente di trigger, organizzato in tre livelli di selezione a complessità crescente, cui è affidato il compito di ridurre il tasso di eventi acquisiti al valore finale di circa 100 eventi al secondo. Nella regione centrale di ATLAS denominata Barrel la determinazione del trigger muonico di primo livello è affidata a tre piani di rivelatori a gas di tipo Resistive Plate Chambers (RPC), impiegati, a merito della loro risoluzione spazio-temporale di 1cm x 1ns, nella selezione di eventi compatibili con la presenza di muoni provenienti dal vertice di interazione con impulso trasverso superiore ad una data soglia. Gli RPC sono il frutto dell’invenzione, progettazione e costruzione della collaborazione italiana di ATLAS, coinvolgente i dipartimenti di Scienze Fisiche e le sezioni INFN delle città di Lecce, Napoli e Roma (Tor Vergata) e Bologna. Al fine di effettuare la completa verifica delle prestazioni dei rivelatori per assicurare il loro corretto funzionamento ed il rispetto delle richieste del progetto di ATLAS, sono state allestite tre stazioni di test con i raggi cosmici nei laboratori summenzionati. Quindi le unità operative complete sono state installate nel sito dell’esperimento, dopo aver ottenuto la certificazione finale ed essere state assemblate nella stazione a raggi cosmici del CERN. Durante il mio lavoro di tesi ho partecipato a tutte le fasi di test che si sono svolte in situ, apprendendo le tecniche di misura e l’uso degli appositi strumenti, sia nell’ambito hardware che software, e collaborando attivamente alla messa a punto dell’apparato. Quindi mi sono occupata dell’analisi dei dati acquisiti, mediante strumenti software alla cui creazione ho collaborato o che ho completamente realizzato da me. Infine ho potuto verificare, attraverso lo studio dei risultati ottenuti dalle prese dati di raggi cosmici, il funzionamento globalmente uniforme e corretto dell’apparato. La trattazione è stata sviluppata in cinque capitoli. Nel Capitolo 1 viene presentato il quadro teorico del programma di ricerca di fisica, con particolare attenzione alla teoria del Modello Standard e del Settore di Higgs, ed una panoramica delle prestazioni dell’acceleratore LHC. Il Capitolo 2 è dedicato ad un’estesa descrizione dell’esperimento ATLAS, focalizzando l’attenzione su tutti i sottorivelatori e sulle richieste fisiche che hanno portato alla loro progettazione e realizzazione.

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Nel Capitolo 3 è stata illustrata l'architettura generale del sistema di trigger rivolgendo particolare cura alla descrizione della logica e della struttura del trigger muonico di primo livello. Segue, quindi, una dettagliata descrizione del principio di funzionamento degli RPC, della loro progettazione e collocazione all’interno dell’esperimento. Il Capitolo 4 è una descrizione completa ed accurata di tutte le procedure di verifica delle prestazioni dei rivelatori, condotte durante le fasi di messa a punto dell’apparato alle quali ho partecipato e contribuito. In particolare mi sono soffermata sull’analisi delle correnti di gap, un parametro di fondamentale importanza per il corretto funzionamento degli RPC. Infine il Capitolo 5 è suddiviso in due parti: la prima è costituita dalla presentazione delle linee guida dei programmi software sviluppati per l’analisi dei dati, sottolineando la loro efficacia nella ricognizione di problemi ed errori, di cablaggio e funzionamento, immediatamente risolvibili; nella seconda parte ho illustrato i risultati dell’analisi condotta sui dati ottenuti da prese dati, di noise e muoni cosmici, afferenti al periodo compreso tra Novembre 2008 e Gennaio 2009 e relative a tutte le circa 4000 unità del sistema di RPC, al fine di ottenere una panoramica delle prestazioni e dello stato dell’apparato, a pochi mesi dall’avvio dell’Esperimento.

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Capitolo 1 Il Modello Standard e la fisica di LHC

1.1 Introduzione

Il modello teorico noto come “Modello Standard”, ad oggi, ha dimostrato d’essere la più completa e rigorosamente accertata descrizione dei costituenti elementari della materia e delle loro interazioni e di poter rispondere anche a domande fondamentali sulla simmetria e la struttura dell’universo. Il Modello Standard non è un modello nel senso convenzionale del termine, ma piuttosto una teoria efficace, in quanto, dotato di un grado soddisfacente di coerenza interna, è applicabile soltanto ad una determinata scala energetica e di distanza. Ad oggi essenzialmente tutte le verifiche sperimentali hanno dimostrato l’accordo con le previsioni teoriche (allo 0.1% dagli esperimenti al LEP, SLC e Tevatron), nonostante ciò il modello non può considerarsi una teoria completa delle interazioni fondamentali, dal momento che non include una descrizione della gravità e non è compatibile con la relatività generale. Inoltre esso presuppone l’esistenza di un’ulteriore particella scalare, il bosone di Higgs, finora non osservata, il cui ruolo è di fondamentale importanza in quanto determinerebbe, attraverso il meccanismo della rottura spontanea di simmetria, la massa di tutte le altre particelle elementari.

Per verificare l’esistenza di tale bosone è stata costruita una nuova macchina acceleratrice, LHC, presso il CERN di Ginevra, ed è stato varato un programma sperimentale senza precedenti.

Nel presente capitolo, dopo aver riepilogato brevemente come è strutturato il Modello Standard ed il meccanismo attraverso il quale le particelle elementari acquistano massa, ho illustrato gli attuali limiti sperimentali e teorici relativi alla massa del bosone di Higgs e son passata, poi, ad esaminare i canali di decadimento più importanti ai fini della rivelazione. Infine mi sono soffermata sulla struttura e le caratteristiche del collider LHC.

1.2 La Struttura del Modello Standard

Il Modello Standard (SM) è una teoria di campo quantistica, in cui ciascuna interazione tra i campi di materia è regolata da un’opportuna simmetria locale (di gauge) strutturata come somma diretta dei gruppi:

SU(3)C ⊗ SU(2)L ⊗ U(1)Y

Le proprietà di invarianza per trasformazioni di gauge garantiscono la rinormalizzabilità della teoria e perciò la capacità di previsione della stessa per qualunque valore dell’energia e a qualsiasi ordine dello sviluppo perturbativo. Le simmetrie di gauge locali, nelle quali la fase della trasformazione dipende dal punto spazio-temporale considerato, risultano strettamente connesse con le interazioni fisiche: la richiesta di invarianza sotto queste trasformazioni della Lagrangiana, che descrive la sola materia, comporta l’automatica comparsa del campo di interazione nella teoria: la simmetria determina la dinamica [1].

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Il gruppo di simmetria SU(3)C dà origine alla teoria della cromodinamica quantistica, che descrive le interazioni forti mediate da bosoni vettoriali a massa nulla, i gluoni, interagenti con la carica di “colore” dei quark.

La somma diretta dei gruppi di simmetria SU(2)L ⊗ U(1)Y permette di descrivere le interazioni deboli ed elettromagnetiche. In particolare, al gruppo SU(2)L, legato all’isospin elettrodebole, sono associati tre campi di gauge W; al gruppo U(1)Y, legato all’ipercarica Y, è associato il campo di gauge B. A partire da tali gruppi è quindi possibile definire i tre bosoni di gauge per le interazioni deboli W+ W- Z0 ed il fotone per le interazioni elettromagnetiche.

Nel Modello Standard le particelle coinvolte vengono classificate in due categorie fondamentali:

Fermioni: i campi di materia sono rappresentati da particelle di spin semintero, i leptoni e i quark e le corrispondenti antiparticelle. I leptoni sono, a loro volta, divisi in tre generazioni, come illustrato nelle seguenti tabelle:

Tabella 1: Classificazione dei leptoni in tre famiglie di interazione debole, in cui sono indicati i limiti

superiori sperimentali delle masse dei neutrini.

Tabella 2: Classificazione dei quark in tre famiglie.

I leptoni sono suddivisi in tre generazioni classificate mediante il numero quantico leptonico Le, Lμ, Lτ, conservato in ogni interazione del modello (Tabella 1). In ogni doppietto è presente una particella di carica elettrica uguale a quella dell’elettrone (e, μ, τ) e l’associato neutrino (νe, νμ, ντ).

Analogamente esistono sei quark classificati secondo il numero quantico di sapore: Up (U), Down (D), Strange (S), Charm (C), Truth (T), Beauty (B). Essi sono dotati di carica frazionaria rispetto a quella dell’elettrone: ogni doppietto è costituito da un quark di carica ⅔e e da uno di carica -⅓e (Tabella 2).

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Bosoni: i mediatori delle interazioni fondamentali sono particelle di spin 1 come illustrato nella seguente tabella (Tabella 3):

Tabella 3: Interazioni fondamentali, la cui intensità è normalizzata a quella della QCD.

Le interazioni fondamentali, che determinano gli scambi di energia tra i costituenti della materia, sono descritte sulla base dello scambio di particelle mediatrici, o quanti di campo o bosoni di gauge, emesse e riassorbite da quelle interagenti.

Le interazioni sono le seguenti quattro:

• Elettromagnetica: agente tra particelle dotate di carica; il quanto di campo è il fotone, di massa nulla, ed il suo raggio d’azione è infinito.

• Forte: si esercita tra particelle dotate di “carica di colore” ed è mediata dai gluoni; il suo raggio d’azione è dell’ordine del fermi (10-15 m).

• Debole: agente tra leptoni e quark (interazioni semileptoniche), tra soli leptoni (interazioni leptoniche) o tra soli quark (interazioni non leptoniche), mediante lo scambio di bosoni vettori molto massivi, detti W± e Z0. Il suo raggio d’azione è dell’ordine di 10-18 m.

• Gravitazionale: quale presunta mediata dal gravitone, si esercita tra tutte le particelle ed ha raggio d’azione infinito.

Nel settore adronico, in cui opera l’interazione forte, la fisica è stata formalizzata dalla teoria quantistica di campo della “Cromodinamica Quantistica” (QCD), mentre in quello elettrodebole l’interazione elettromagnetica e quella debole sono state unificate nella “Teoria Elettrodebole”.

La QCD è una teoria di gauge non abeliana fondata sulla simmetria di colore SU(3)C. La carica elettrica è la proprietà in virtù della quale si manifesta l’interazione elettromagnetica con lo scambio dei fotoni, analogamente, il colore è la proprietà in virtù della quale i quark interagiscono fortemente attraverso lo scambio di gluoni. Ma a differenza della carica elettrica, la carica di colore può essere di tre tipi: Red (R), Blue (B), Green (G) per i quark ed i corrispondenti anticolori per gli antiquark. Ogni quark è, inoltre, definito dalla sua carica elettrica frazionaria, dal numero barionico, dallo spin e dal sapore (u, d, s, c, t, b).

La densità di Lagrangiana della QCD risulta essere la seguente:

μνμν

μμγ GGqmDiqL ff

ffQCD 4

1)( −−= ∑

ove il primo termine della somma è relativo ai quark liberi, mentre il secondo ai bosoni vettori liberi.

La non abelianità della teoria e quindi la presenza del termine di interazione gluonica deriva dal fatto che i gluoni, a differenza dei fotoni privi di carica elettrica, sono portatori di carica di colore e possono quindi partecipare alle interazioni non solo come mediatori ma anche come partecipanti attivi. Tale proprietà, per effetto della diffusione della carica di colore dovuta ai diagrammi di polarizzazione forte del vuoto, implica

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che la costante di accoppiamento della QCD diminuisca all’aumentare del momento trasferito nell’interazione tendendo asintoticamente a zero, da cui il nome di ”libertà asintotica”. Il confinamento dei quark all’interno degli adroni implica che qualsiasi tentativo di liberarne uno provochi la produzione di coppie quark-antiquark e la radiazione di gluoni, che si manifestano come jet adronici. Quindi il termine di interazione gluonica della Lagrangiana è in grado di spiegare la libertà asintotica ed il confinamento dei quark all’interno degli adroni come naturale conseguenza dinamica delle forze di colore.

Gli adroni sono stati dinamici costituiti da quark di valenza, gluoni e quark del mare (questi ultimi due originati da processi virtuali di materializzazione di un gluone bicolorato in una coppia di quark-antiquark) e si suddividono in mesoni (coppie quark-antiquark) e barioni (stati legati di tre quark).

Allo scopo di rappresentare in una teoria unificata le interazioni elettromagnetiche e deboli, Weinberg e Salam svilupparono il “Modello Standard Elettrodebole”, costruendolo sulla somma diretta SUL(2) ⊗ UY(1) dove l’isospin debole L e l’ipercarica Y sono i generatori delle trasformazioni dei campi.

Per riuscire a riprodurre le caratteristiche osservate nei fenomeni deboli, gli stati fermionici left-handed1 e right-handed (questi ultimi non partecipano alle interazioni deboli) vanno trattati in modo differente. I primi, left-handed, vengono raggruppati in doppietti di isospin debole mentre i secondi, right-handed, vengono considerati come singoletti di isospin. La simmetria SUL(2) ⊗ UY(1) origina una teoria di gauge in cui le interazioni tra fermioni sono mediate dai campi bosonici di Yang – Mills, da quello Wiμ (i=1,2,3) di SUL(2) e da quello Bμ neutro di UY(1).

Si può dimostrare che la densità di Lagrangiana per i bosoni di gauge assume la seguente espressione:

14

14

14

I primi due termini rappresentano la densità Lagrangiana dei campi di gauge liberi, mentre il terzo e quarto le autointerazioni dei bosoni con se stessi. Queste ultime si presentano perché i campi Wµ x , che trasmettono le interazioni attraverso la corrente debole di isospin, trasportano essi stessi una carica di isospin debole.

La descrizione delle interazioni deboli mediante le teorie sopramenzionate richiede che i bosoni siano privi di massa. Questa conclusione è in contrasto con l’evidenza sperimentale, in quanto la forza debole risulta essere una forza a corto raggio (circa 1015 cm) e dalla relazione cτ ~ h/mc appare che i bosoni vettori della teoria debbano avere massa. Inoltre per le particelle di massa finita non esiste un’elicità preferenziale, pertanto la simmetria deve essere rotta al fine di poterle includere.

Per risolvere il problema della generazione delle masse senza introdurre termini massivi nella Lagrangiana di Yang – Mills che “romperebbero” l’invarianza locale della teoria, Weinberg e Salam [2][3] hanno introdotto il concetto di rottura spontanea della simmetria (SSB). Una rottura spontanea di simmetria può sorgere quando la Lagrangiana e le equazioni del moto del sistema possiedono simmetrie che non mantengono, in ogni caso, sullo stato fondamentale del sistema. Il meccanismo che prevede la rottura spontanea della simmetria, preservandone l’invarianza per trasformazioni locali è noto come “Meccanismo di Higgs”.

1 La classificazione in viene effettuata in relazione al valore dell’elicità della particella, che misura il segno della componente dello spin nella direzione del moto, ed è definita come segue:

ppH r

rr⋅

dove σr è il vettore di spin e pr il momento della particella.

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1.3 La Rottura Spontanea di Simmetria ed il Meccanismo di Higgs

Il metodo più accreditato per introdurre la massa delle particelle, pur mantenendo la teoria rinormalizzabile ed invariante per trasformazioni di gauge locale è il “meccanismo di rottura spontanea di simmetria”. Questo meccanismo è fondato sulla possibilità di aggiungere alla Lagrangiana un potenziale del vuoto con identiche proprietà di simmetria, senza così rompere l'invarianza di gauge globale.

L’ipotesi alla base della rottura spontanea di simmetria consiste, in sintesi, nell’ammettere che una simmetria “buona” per la Lagrangiana di un dato sistema, descritto da un campo come quello rappresentato in Figura 1 può non esserlo per lo stato di minima energia, il cosiddetto “stato di vuoto”, del sistema stesso. L’espansione perturbativa attorno a tale stato induce nella Lagrangiana termini di massa per alcuni dei campi attraverso i quali è fatta l’espansione, mentre ne lascia altri massless (bosoni di Goldstone). Si consideri, ad esempio, un potenziale della stessa forma di quello riportato in Figura 1 che risulta essere invariante per rotazioni intorno al suo asse centrale. Se il massimo relativo centrale è sufficientemente elevato, i minimi immediatamente vicini rappresentano gli stati a più bassa energia.

Figura 1: Potenziale del vuoto invariante per rotazioni intorno all'asse V.

Un sistema che occupi uno di questi stati non presenta più invarianza rotazionale. La scelta di un particolare stato di vuoto fa sì che la Lagrangiana si trasformi in questo stato attraverso una traslazione di campi. La teoria più semplice e completa che includa questo fenomeno è il modello di Higgs, che rompe la simmetria SUL(2) ⊗ UY (1) delle interazioni elettrodeboli addizionando un campo scalare complesso associato ad un potenziale simile a quello in Figura 1. La presenza di questo potenziale di vuoto è associata ad una particella scalare massiva e a tre bosoni di Goldstone. La particella scalare massiva è il cosiddetto “bosone di Higgs”.

La richiesta di invarianza di gauge locale della Lagrangiana elettrodebole comporta l'esistenza di quattro campi di gauge privi di massa. Uno di questi proviene da UY (1), mentre gli altri tre derivano dalla parte SUL(2) del gruppo. È possibile, però, mediante un’opportuna scelta di gauge, far scomparire i bosoni di Goldstone dallo sviluppo perturbativo del potenziale attorno al minimo stabile e far apparire, invece, termini di massa per i campi di gauge. La Lagrangiana traslata nel nuovo minimo ha gli stessi gradi di libertà di quella originale. La scelta della fase è basata su due parametri: l'angolo di Weinberg e il valore di aspettazione sul vuoto. Il primo determina quanto siano mescolati i due campi summenzionati, che determinano i bosoni W± e Z0, il secondo individua la posizione del raggio al quale si trovano i punti di minimo nel potenziale in Figura 1. Quindi, mediante il meccanismo di Higgs, la teoria può prendere in

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considerazione particelle massive senza perdere l'invarianza locale di gauge. Inoltre la teoria così formulata risulta rinormalizzabile e tale che la simmetria non è persa, ma semplicemente “nascosta”.

Esistono dei limiti sulla massa del bosone di Higgs nel quadro del Modello Standard: il limite superiore, posto a circa 1 TeV, proviene da argomenti di unitarietà dell’operatore di diffusione per la teoria elettrodebole [4]. Limiti inferiori alla massa del bosone sono stati ottenuti sia da ricerche dirette della particella ai quattro esperimenti di LEP, sia da un fit globale alle variabili elettrodeboli, che dipendono dalla massa dell’Higgs attraverso le correzioni radiative. La ricerca diretta del bosone di Higgs al LEP [5] nei quattro esperimenti, ALEPH, DELPHI, L3 ed OPAL, con sensibilità alla massa dell’Higgs fino al limite cinematico dei principali processi di produzione di circa 117GeV, ha permesso di porre un limite sperimentale inferiore a mH di 114.1GeV al 95% di livello di confidenza. Il fit elettrodebole pone, invece, un limite inferiore, al 95% di livello di confidenza, pari a 211 GeV ed un valore più probabile pari a 91 GeV [6]. Proprio la convergenza dei risultati provenienti dai fit delle osservabili elettrodeboli su un valore della massa dell’Higgs piuttosto basso ha incoraggiato gli studi sui possibili canali di decadimento da poter utilizzare in una regione di massa mH fino ai 200GeV.

La ricerca del bosone di Higgs [7] prevede l’analisi della sezione d’urto di produzione e dei possibili canali di decadimento, stimati su basi teoriche e dipendenti dalla massa della particella in questione.

I meccanismi di produzione del bosone di Higgs hanno sezioni d’urto che dipendono dalla sua massa, mH.

Le sezioni d’urto di produzione in interazioni p-p ad un’energia nel centro di massa pari a GeVs 14= sono illustrate in Figura 2: è interessante notare che il principale meccanismo di produzione in tutto l’intervallo di massa sotto esame (100 GeV< mH <1 TeV) è la fusione di gluoni gg → H, con una sezione d’urto dell’ordine di 10 pb per una massa mH pari a circa 120GeV. Poiché il bosone di Higgs non si accoppia direttamente al gluone il processo è del secondo ordine nello sviluppo perturbativo, come illustrato in Figura 3 la sezione d’urto per questo processo, pur diminuendo all’aumentare di mH ha un incremento al posizionarsi dei quark top sul guscio di massa, per mH pari a circa 350 GeV. Il secondo meccanismo di produzione è fornito dalla fusione di bosoni vettori (Figura 3), con una sezione d’urto inferiore su tutto l’intervallo di massa. Sebbene gli stati finali completamente adronici siano quelli dominanti, essi non possono esser estratti dal fondo di QCD. Anche per valori della massa del bosone di Higgs pari a mH pari a circa 1 TeV, la sezione d’urto totale di produzione è maggiore di 100 fb, pertanto potrebbero essere osservati oltre 103 eventi per anno durante il periodo di bassa luminosità ed oltre 104 durante il periodo di alta luminosità.

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Figura 2: Sezione d’urto totale di produzione dell’Higgs in funzione di mH per i principali processi di produzione del

bosone di Higgs ad energia nel centro di massa di 14 TeV.

Figura 3: Principali diagrammi di produzione dell’Higgs ad LHC : fusione di gluoni (a) , fusione di bosoni Z o W (b) ,

produzione in associazione con un bosone (c) o una coppia tt (d).

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Figura 4: Frazioni di decadimento nei canali dominanti per il bosone di Higgs (vedere [8]).

I canali di decadimento che verranno investigati dall’esperimento per l’osservazione del bosone di Higgs sono stati scelti in base al rapporto di decadimento per i valori di mH, come illustrato nella Figura 4, all’efficienza di rivelazione e alla possibilità di riconoscere il segnale di fondo.

Gli accoppiamenti dei bosoni di Higgs sono proporzionali alle masse delle particelle con le quali interagiscono. Ciò giustifica la tendenza dell’Higgs a decadere preferibilmente nelle particelle più pesanti, compatibilmente con lo spazio delle fasi accessibile e con l’andamento dei rapporti di decadimento.

Dalla Figura 4, possiamo ricavare in dettaglio:

• Regione di Piccola Massa: 80 GeV < mH <120 GeV

H → bb (proveniente dal canale di produzione: WH , ZH e tt H) Questo canale di decadimento è caratterizzato da una frazione di decadimento di circa 90%, in quanto b è la particella con massa maggiore in cui può decadere. È difficilmente osservabile in quanto l’elevato fondo ne limita l’osservazione e la possibile rivelazione avviene nel caso di produzione associata (WH, ZH, H), in cui si sfruttano come segnatura i leptoni di decadimento dei bosoni di gauge o del top.

tt

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Figura 5: Diagrammi di Feynman di vari processi: a) produzione di due getti di QCD; b) decadimento dell’Higgs in due fotoni; c) e d) produzione di due fotoni attraverso un processo ordine Born ed ordine scatola; e) produzione di un

fotone e di un quark con seguente frammentazione.

• 90 < mH <150 GeV

H → γγ (proveniente dal canale di produzione: WH , ZH e H) Il canale di decadimento del bosone di Higgs in due fotoni è estremamente raro poiché l’accoppiamento è proibito al primo ordine e dunque il decadimento può avvenire soltanto ad ordini superiori. Pertanto la sua osservazione diventa possibile solo in una regione di massa in cui sia la sezione d’urto di produzione, sia la frazione di decadimento, sono grandi: condizione verificata nell’intervallo 100 GeV < mH < 150 GeV. Lo stato finale consiste di due fotoni di alto impulso trasverso, pari a circa 50 GeV. Nonostante la semplice segnatura, questo canale è affetto da due importanti sorgenti di fondo. La prima di queste sorgenti è la produzione di coppie γγ, possibile attraverso uno dei processi rappresentati dai diagrammi in Figura 5 che costituisce un fondo irriducibile (cioè produce lo stesso stato della segnatura). La sua sezione d’urto è 60 volte più grande di quella del processo di decadimento dell’Higgs nella regione con mγγ pari a circa 100 GeV. Pertanto il rivelatore necessita di un’eccellente risoluzione angolare ed in energia per permettere di estrarre lo stretto picco risonante sopra il fondo continuo dominante.

La seconda sorgente è, invece, la produzione di gj e jj, in cui uno o entrambi i getti vengono scambiati per un fotone. In generale un getto consiste di svariate particelle e pertanto può essere facilmente distinto da un singolo fotone, per esempio attraverso la produzione di uno sciame più largo nel calorimetro o per la presenza di diverse tracce nel rivelatore centrale associate allo sciame calorimetrico. Esistono, comunque, rari casi in cui un getto di particelle può essere identificato per un singolo fotone. Questo accade quando un quark frammenta in un pione neutro assieme ad alcune altre particelle di impulso troppo basso per essere rivelate. I due fotoni generati dal susseguente decadimento del pione neutro sono spazialmente molto vicini perché il pione neutro genitore è prodotto con impulso longitudinale molto alto.

• Regione di Massa Intermedia: 130 GeV< mH < 2mZ H → ZZ* → 4l Questo canale di decadimento rappresenta sicuramente il più promettente per la ricerca del bosone di Higgs nel range di massa che va dai 130 agli 800 GeV .

• Regione di Grande Massa: mH > 2mZ

H → ZZ → 4l ± , 2l ± 2ν

tt

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Questo canale ha due decadimenti: il primo è come quello precedente, il secondo – con due leptoni e due neutrini – richiede una buona copertura del sistema calorimetrico per misurare eventi con energia traversa mancante.

• 600 GeV < mH< 1 TeV

qqH → qqWW Questo tipo di produzione consiste nella fusione di due bosoni elettrodeboli, prodotti per irraggiamento dai quark componenti del protone, in un Higgs. Il meccanismo di produzione offre caratteristiche cinematiche che ne rendono la segnatura molto particolare e consente di ottenere buoni risultati. Infatti i quark spettatori (coloro che hanno emesso i bosoni elettrodeboli) si ritrovano nello stato finale, ma con una direzione di volo tipicamente molto vicina al fascio. Inoltre, non essendoci scambio di colore tra i quark nello stato iniziale, l’attività adronica nella zona centrale del rivelatore è scarsa. Lo stato finale è caratterizzato da due leptoni e da energia trasversa mancante. Il bosone di Higgs è uno scalare e questo impone una serie di correlazioni angolari tra i leptoni nello stato finale che vengono sfruttate nell’analisi.

Figura 6: Significatività del segnale per la rivelazione dello Higgs calcolata ad una luminosità integrata di 30 fb-1 (corrispondente ad un anno di presa dati ad alta luminosità) per vari tipi di decadimento. Il grafico a sinistra si limita

a considerare l’intervallo di massa fino a 200 GeV. Il grafico di destra esplora, invece, l’intero intervallo di massa teoricamente accettabile [9].

Il potenziale di scoperta per il bosone di Higgs nell’esperimento ATLAS in funzione della sua massa è illustrato in Figura 6. Nel grafico la significatività della misura di un canale è definita come il rapporto tra il numero di eventi di segnale e la radice quadrata del numero di eventi di fondo, ossia rappresenta una stima di quanto un segnale sia significativo rispetto alle fluttuazioni del fondo calcolate mediante la statistica di Poisson. Canali differenti coprono differenti regioni di massa, ma più di un canale può essere osservato in gran parte dell’intervallo.

Se il bosone di Higgs verrà osservato a LHC, gli apparati di rivelazione ATLAS e CMS dovrebbero essere in grado di misurarne la massa con una precisione di circa 0.1% per masse fino a 600 Gev.

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1.4 Oltre il Modello Standard: le Supersimmetrie

Gli esperimenti condotti hanno dimostrato la validità del Modello Standard nei limiti sperimentalmente raggiungibili dalle macchine finora realizzate. Tuttavia il Modello Standard non è completamente soddisfacente: al suo interno, ad esempio, non esiste una descrizione quantistica delle interazioni gravitazionali, la cui inclusione è necessaria in un modello con un'unica costante di accoppiamento per tutte le interazioni. Un ulteriore problema deriva dal fatto che il Modello Standard prevede che i neutrini abbiano rigorosamente massa nulla, mentre le evidenze sperimentali ne hanno dimostrato l'oscillazione del sapore, alla quale è connessa l'attribuzione di una massa neutrinica non nulla. Infine si rileva l’inconsistenza connessa al Modello Standard: per la quale alcuni accoppiamenti descritti nell'ambito di tale teoria non sono asintoticamente liberi nell'ultravioletto, con conseguente divergenza alle alte energie.

Non appena si tenti di estendere il modello ad energie superiori alla scala di Fermi (dell’ordine di 300 GeV ), si incontra il cosiddetto problema di “naturalezza”. Infatti, l'introduzione del meccanismo di Higgs in questa teoria porta a correzioni radiative alla massa dell'Higgs divergenti, che possono essere corrette solo modificando opportunamente alcuni parametri. Questa attribuzione di particolari valori ai parametri liberi della teoria, il cosiddetto fine tuning, è però innaturale.

Questo problema è elegantemente risolto nelle teorie supersimmetriche (SUSY), [10], attraverso l'introduzione di una nuova simmetria tra gli stati bosonici e fermionici. Ad ogni particella si associa una superparticella con proprietà analoghe a quelle della particella originaria, ma con spin diverso per mezza unità. Anche le intensità delle forze d'interazione tra queste nuove particelle sono identiche a quelle che agiscono tra le particelle normali. Le super-particelle corrispondenti ai fermioni hanno spin 0 e vengono indicate ponendo il prefisso .s-. al nome della particella normale. I superpartner dei bosoni hanno invece spin 1/2 e sono indicati aggiungendo il suffisso -ino. Per spiegare la stabilità alla scala elettrodebole, la differenza di massa tra le particelle e i loro rispettivi partner supersimmetrici deve essere dell'ordine del TeV . Quindi le teorie SUSY prevedono l'esistenza di una grande quantità di particelle con un valore di massa che parte dai limiti sperimentali ad oggi raggiunti sino a qualche centinaia di TeV. Se la natura fosse perfettamente supersimmetrica, i s-elettroni avrebbero massa identica a quella degli elettroni e sarebbero legati ai protoni dalla forza elettromagnetica, ma, essendo bosoni, occuperebbero gli stessi livelli energetici, e quindi gli atomi contenenti s-elettroni non rispetterebbero la classificazione periodica degli elementi. Atomi del genere non sono mai stati osservati, quindi la supersimmetria deve essere una simmetria spezzata.

Partendo dal Modello Standard, la sua estensione minimale supersimmetrica attraverso i modelli di SUSY, è il Modello Standard Minimale Supersimmetrico (MSSM), dove il termine minimale fa riferimento al fatto che questa teoria è quella che prevede il minor numero di particelle aggiunte a quelle già presenti nell'ambito del MS. Nei modelli di SUSY, e quindi anche nell'ambito del MSSM, le masse dei bosoni di Higgs della teoria sono collegate alle costanti di accoppiamento di gauge, contrariamente a quanto succede all'interno del Modello Standard, in cui la massa dell’Higgs è uno dei parametri liberi della teoria.

Inoltre la richiesta dell’invarianza locale della SUSY comporta automaticamente l’introduzione della gravitazione nella teoria, cosa invece non risulta possibile nel Modello Standard.

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1.5 La ricerca di nuova fisica ad LHC

Dalle considerazioni teoriche espresse nel paragrafo precedente appare evidente quanto sia altamente probabile che ad energie comprese tra la scala fissata dalla rottura spontanea di simmetria elettrodebole (~100GeV) e quella del TeV siano visibili nuovi ed importanti fenomeni. La costruzione di un acceleratore di particelle in grado di fornire energie nel centro di massa comprese in questo intervallo è stata sollecitata dalla possibilità di dare risposta ad alcune delle seguenti problematiche:

• ricerca del bosone di Higgs (in un range compreso tra 114.1 GeV e 1 TeV) ed analisi delle sue proprietà in finalizzate alla verifica della validità del meccanismo di rottura spontanea di simmetria prevista nel Modello Standard;

• ricerca di nuove particelle supersimmetriche nell’intero intervallo di massa teoricamente previsto; • esplorazione dell’origine dell’asimmetria tra materia ed antimateria attraverso esperimenti

specifici; studio, con la collisione fra ioni di piombo, prevista in un secondo periodo di funzionamento del collider, il confinamento di quark e gluoni nel quark gluon plasma, come accadde nelle fasi iniziali dell’universo;

• produzione ad elevati rate le particelle note, fornendo così una grande statistica in modo da permettere misure di precisione della massa dei bosoni W±, della massa e dei principali parametri fisici del quark top e di altre grandezze importanti per la QCD;

• studio dettagliato della fisica del B, della violazione di CP nel sistema B0 - B0 (scopo principale dell’esperimento LHCb) e dei decadimenti rari che avvengono mediante processi di corrente neutra che cambiano il sapore;

• studi delle interazioni tra ioni pesanti mediante l’esperimento dedicato ALICE.

1.6 Il collider adronico

Il Large Hadron Collider, LHC, è un progetto senza precedenti in termini di costi, complessità e mole degli esperimenti nonché di coinvolgimento e sforzo umano (nelle collaborazioni si contano oltre 4000 fisici provenienti da tutto il mondo), ma soprattutto in termini di luminosità ed energia nel centro di massa dei fasci collidenti.

Fin dal 1930 la storia degli acceleratori di particelle è caratterizzata da un continuo aumento dell’energia dei fasci, come illustrato nel diagramma di Livingstone (M.S.Livingstone, High-energy accelerators, Interscience Publishers Inc., New York, USA, 1954) in Figura 7, che mostra un incremento di tipo esponenziale su vari ordini di grandezza, dal primo ciclotrone di E.O.Lawrence fino ai progetti di oggi.

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Figura 7: Il diagramma rappresenta la frontiera energetica della fisica delle particelle elementari. L’energia nel centro di massa dei collider attivi e di quelli in progettazione è illustrata in figura in funzione dell’anno in cui si sono

ottenuti i primi risultati fisici rilevanti

L’aumento delle dimensioni delle macchine ed ancor più delle prestazioni da queste offerte deriva essenzialmente dall’implementazione successiva di tecnologie sempre più avanzate; tra queste è stata particolarmente trainante quella connessa alla superconduttività. Infatti, negli acceleratori circolari, per un fissato valore dell’energia del fascio, la dimensione radiale risulta essere inversamente proporzionale al campo dei magneti di curvatura. Il fattore limitante per l’energia raggiungibile nel centro di massa è il potere di curvatura dei magneti necessario a far circolare i fasci nel tunnel (di 27 km nel caso di LHC); poiché il momento del fascio p=0.3B(Tesla)R(km), con B campo magnetico e R (circa 4.3 km) il raggio di curvatura dell’anello, si deduce che per un potere di curvatura pari a circa 5.4 Tesla si ottiene un momento del fascio di circa 7 TeV.

Nella collisione di particelle l’energia nel centro di massa è interamente disponibile per la creazione di nuove solo nel caso in cui tale collisione avvenga tra entità elementari. Pertanto un collider e+e-, quale il LEP, che raggiunga un’energia di almeno 1 TeV, risulta essere uno strumento ideale, in quanto i leptoni sono particelle fondamentali e le loro interazioni producono eventi facilmente distinguibili dal fondo. Per un collider adronico quale LHC la collisione tra protoni non può, invece, essere considerata come un processo a due corpi poiché le particelle coinvolte, i protoni, presentano una sottostruttura complessa e l’interazione avviene in realtà tra quark e gluoni. In tal caso l’energia efficace nel centro di massa assume la forma:

212 xxEs = (2.1)

dove xi (i=1,2) sono le frazioni di energia dei costituenti coinvolti. Essendo in media xi ≤ 0.2, un ipotetico collider e+e- da 1 TeV disporrebbe della stessa energia efficace di una macchina adronico di energia 10 volte

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superiore. Inoltre, poiché i fattori xi non sono determinabili evento per evento, è impossibile per una macchina adronica definire esattamente l’energia efficace disponibile in ogni collisione. L’utilizzo di un acceleratore di elettroni è però fortemente influenzato dalla perdita di energia per radiazione di sincrotrone. Infatti una particella carica vincolata su una traiettoria circolare di raggio R irraggia, in un ciclo, una quantità di energia pari a

ReE

432

34 γβπ

=Δ (2.2)

dove β e γ sono i fattori relativistici ⎟⎟

⎜⎜

−==

211,

βγβ

cv . Il fattore di Lorentz γ è legato alla massa a

riposo della particella tramite la relazione:

20cmE

=γ , (2.3)

dall’equazione 2.2 emerge che la differenza tra l’energia dissipata da un elettrone e quella dissipata da un protone, a parità di momento, è proporzionale alla quarta potenza del rapporto delle loro masse: l’elettrone possiede, cioè, un potere irraggiante 1013 volte superiore a quello del protone.

Ad energie dell’ordine di decine di TeV la scelta tra un collider adronico del tipo protone-protone od uno protone-antiprotone non è influenzata dalle potenzialità di analisi fisica poiché le sezioni d’urto in elastiche totali sono comparabili. Un collider protone-antiprotone permetterebbe l’utilizzo di un solo circuito magnetico, con notevoli vantaggi in termini economici. Tuttavia la difficoltà di ottenere fasci di antiprotoni sufficientemente intensi, a causa dei problemi di bassa energia (circa il 10%) che presentano anche i migliori metodi di collimazione degli antiprotoni, ha condotto alla scelta di un collider protone-protone.

La sezione d’urto anelastica per collisioni pp con energia nel centro di massa di 14 TeV risulta essere di circa 80 mb [11]. La relazione che lega la luminosità L alla sezione d’urto σ e al numero di eventi per unità di tempo N è la seguente:

σ⋅= LN (2.4)

Con L si indica la luminosità istantanea della macchina, espressa in cm-2s-1, che può essere calcolata mediante l’espressione seguente:

Fm

ENL

p

p

εβπν

*

2

4= (2.5)

dove Np indica il numero di protoni in un bunch (per LHC ~1011), ν la frequenza di rivoluzione del bunch nell’anello (per LHC dell’ordine di 104 Hz), k il numero di bunch che circolano simultaneamente (3600), E è l’energia del fascio, F è un fattore che tiene conto della non perfetta collimazione dei fasci, mp è la massa del protone, β* tiene conto della focalizzazione dei fasci ed, infine, ε è l’emittenza traversa normalizzata. La luminosità è senz’altro il parametro cruciale di un acceleratore ed equivale all’ingrandimento di un microscopio (il rapporto tra il diametro apparente: per esplorare i processi subatomici e sondare distanze molto piccole bisogna utilizzare impulsi e quindi energie molto elevati. L’energia totale di una particella si divide in modo statistico tra i suoi componenti e il tasso di interazione tra i costituenti di energia più alta può essere incrementato aumentando sia l’energia delle particelle-madri sia la frequenza dei loro urti. A sua volta

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la frequenza, in un collider, dipende dall’intensità dei fasci e dalla dimensione delle aree di intersezione, parametri che determinano la “brillanza” della sorgente, ossia la luminosità della macchina. Per questo, a parità di energia, è maggiore la potenzialità di scoperta dei collider ad alta luminosità.

In base a queste considerazioni, al massimo della luminosità di LHC (prevista dell’ordine di 1033÷34 cm-2s-1), si produrranno circa seventiscmmbLN /101080 91234 ≅⋅=⋅= −−σ .

La maggior parte degli eventi è dovuta a collisioni con elevato parametro d’urto e piccolo impulso trasferito (collisioni soft): il momento trasferito è piccolo e quindi le particelle sono deflesse a piccoli angoli rispetto all’asse dei fasci. Eventi di tal sorta sono detti di minimum bias. La misura dell’impulso delle particelle nello stato finale permette di riconoscere gli eventi di minimum bias: in questi casi, infatti, il valore della componente longitudinale dell’impulso è molto maggiore rispetto a quella traversa alla direzione del fascio (tipicamente di circa 500 MeV). Inoltre, pur essendo tali eventi i più frequenti, sono di minor interesse per gli studi di LHC. Tenendo conto della frequenza di 109 eventi al secondo, si avranno in media 25 eventi di minimum bias ogni collisione. Questo effetto è detto di pile-up e conduce ad errori sistematici nella misura della posizione e dell’energia della particella, che hanno avuto grande impatto nella progettazione dei rivelatori con tre conseguenze principali [7]:

1. una risposta temporale veloce, altrimenti il segnale da essi generato verrebbe integrato sul passaggio di diversi bunch e da ciò conseguirebbe un pesante pile-up. La risposta temporale media tipica dei rivelatori è di 20-50 ns, che corrisponde ad integrare sul passaggio di un paio di bunch e quindi a sommare, in media, 25-50 eventi di minimum bias. Una risposta temporale veloce richiede un’elettronica di lettura molto sofisticata;

2. una granularità di lettura molto fine, per minimizzare la probabilità che particelle del pile-up attraversino lo stesso elemento del rivelatore attraversato da una particella fisicamente importante. Tale richiesta implica l’esistenza di un gran numero di canali di elettronica e, di conseguenza, costi elevati ed operazioni di rivelazione impegnative;

3. resistenza alla radiazione per l’elevato flusso di particelle provenienti dalle collisioni protone-protone. Tale flusso, che integrato su un periodo di funzionamento previsto di oltre 10 anni ammonta ad oltre 1017 n/cm2, può danneggiare i componenti e portare ad una riduzione del segnale rivelato o, nella peggiore delle ipotesi, alla rottura dei rivelatori. Ogni parte dell’apparato di rivelazione deve quindi essere sottoposta a severi e periodici controlli di qualità.

4.

Figura 8: Collisioni a LHC

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1.6.1 Il Large Hadron Collider e gli apparati di rivelazione

Il Large Hadron Collider, LHC [12], è la macchina per collisioni tra protoni o ioni pesanti costruita, al CERN di Ginevra, nel tunnel, di circonferenza pari a circa 27 km, che ha già ospitato il Large Electron Positron collider (LEP).

Figura 9: Schema grafico del complesso degli acceleratori al CERN

In Figura 9 è rappresentato il sistema di iniezione dei fasci. Una volta generati, i protoni saranno sottoposti ad una prima fase di accelerazione all’interno dell’acceleratore lineare LINAC, che li porterà ad un’energia di 50 MeV; successivamente saranno portati ad 1.4 GeV nel Booster PSB e poi a 26 GeV nel Sincrotrone a Protoni PS. Infine, prima di essere iniettati in LHC, saranno accelerati ulteriormente sino ad un’energia di 450 GeV nel Super Sincrotrone a Protoni SPS. L’inserzione in LHC avverrà in due punti distinti e i due fasci di protoni, viaggiando separatamente ed in senso opposto nei due anelli di LHC ad una distanza di 194 mm l’uno dall’altro, saranno accelerati all’energia di collisione nominale. La collisione avverrà nei punti di intersezione dei due anelli negli ottanti 1, 2, 5 ed 8, con un angolo di intersezione di 200 μrad.

Il tunnel è strutturato in otto archi di cerchio con raggio medio di curvatura di circa 3 km e in otto sezioni rettilinee di circa 500 m di lunghezza ciascuna. Ogni ottante è costituito da 46 moduli di 53 m di lunghezza, ciascuno dotato di tre magneti dipolari, un magnete quadrupolare e di singoli magneti di correzione, separatamente per i due fasci. Nelle sezioni rettilinee sono presenti ulteriori magneti finalizzati sia alla guida e focalizzazione del fascio sia alla riduzione della dispersione (dipendenza della posizione trasversale del

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fascio dall’energia) e a far collidere i due fasci nei punti di intersezione. In totale sono stati istallati più di 1200 magneti dipolari, 500 magneti quadrupolari e migliaia di magneti di correzione.

Per ottenere campi magnetici di 8-10 Tesla vengono utilizzati cavi superconduttori di Nb-Ti raffreddati con elio superfluido ad una temperatura di 1.9 K. La scelta di Nb-Ti soddisfa la richiesta di linearità del campo magnetico nell’intervallo dinamico di energia: da 0.45 TeV di iniezione a 7 TeV nominali di funzionamento. Un’ulteriore caratteristica dei magneti di LHC è la loro configurazione cosiddetta “2 in 1”: i due canali magnetici, nei quali circoleranno le particelle, sono alloggiati nello stesso giogo e contenuti nello stesso criostato con notevole economia sia di spazio sia in termini economici, come indicato nella schematizzazione della sezione in Figura 10.

Figura 10: Sezione di un magnete dipolare ad LHC: 1) Heat exchanger pipe, 2) Superconducting busbars, 3)Superconducting coils, 4) Beam screen, 5) Vacuum vessel, 6) Radiation screen, 7) Shrinking cylinder (He2 vessel), 8)

Termal shield (55 to 77 K), 9) Non magnetic collars, 10) Iron joke (cold mass at 1.9 K).

Il sistema criogenico dovrà mantenere alla temperature di 1.9 K una massa totale di circa 50000 tonnellate, con un volume di elio di 400 m3. L’insieme delle bobine e del circuito metallico di ogni magnete, la cosiddetta massa fredda, è immerso in un bagno statico di elio mantenuto ad una pressione leggermente superiore a quella atmosferica, per evitare infiltrazioni d’aria, e raffreddato da un flusso di elio saturo che circola in un tubo scambiatore di calore.

I parametri principali sono elencati in Tabella 4.

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Tabella 4: Parametri principali del collider LHC.

In Figura 11 vengono illustrati i vari punti di interazione. Due zone ad alta luminosità sono dislocate in sezioni rettilinee diametralmente opposte per i due principali esperimenti, ATLAS [13] e CMS[14]; le altre due zone sperimentali sono dedicate rispettivamente ad un rivelatore per lo studio della fisica del quark bottom, LHCb [15], e ad un rivelatore per lo studio degli stati di plasma tra quark e gluoni prodotti nelle collisioni tra ioni pesanti, ALICE [16]. Infatti è previsto che ad LHC avvengano anche collisioni tra ioni di piombo ad un’energia di 1250 TeV (circa 5.5 TeV nelle collisioni tra i nucleoni singoli).

Figura 11: Disposizione degli esperimenti sull’anello di LHC

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I due rivelatori di indirizzo generale ATLAS e CMS sono stati costruiti con delle caratteristiche dettate dalla necessità di sfruttare al massimo le potenzialità di ricerca offerte dal collider. Un riassunto comparativo delle loro principali caratteristiche è riportato in Tabella 5.

Tabella 5: Disposizione Confronto tra le maggiori caratteristiche di ATLAS e CMS

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Capitolo 2

L’esperimento ATLAS a LHC

2.1 L’esperimento ATLAS

L’esperimento ATLAS è un apparato di rivelazione di indirizzo generale, ovvero una composizione appropriata di più rivelatori, ciascuno dei quali avente lo scopo di rivelare alcune specifiche particelle tra le prodotte e di misurarne i parametri fondamentali [1][2].

Le caratteristiche del rivelatore sono dettate dalle seguenti richieste:

• Accurata calorimetria elettromagnetica per l’identificazione e la misura dell’energia di fotoni ed elettroni e calorimetria adronica di grande copertura per la misura di jet e di energia trasversa mancante;

• Misure di alta precisione del momento dei muoni, accurate anche in condizioni di alta luminosità, ottenute mediante l’utilizzo dello Spettrometro muonico che opera in modo autonomo;

• Efficienza di tracciamento ad alta luminosità per la misura del momento di tracce ad alto momento trasverso, identificazione di elettroni, fotoni, leptone τ e quark pesanti;

• Capacità di ricostruzione dell’evento completo in condizioni di bassa luminosità; • Capacità di trigger e di misura del momento trasverso delle particelle, anche per valori bassi di

esso, al fine di ottenere un’elevata efficienza per la maggior parte dei processi di interesse fisico ad LHC.

2.2 Sistemi di riferimento in ATLAS

Al fine di favorire e standardizzare l’unificazione dei riferimenti topografici, sono stati definiti due sistemi di coordinate, uno globale ed uno locale per ogni singolo sottorivelatore.

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Figura 12: Sistema di coordinate globali di ATLAS

Il sistema globale è destrorso (Oxyz), come illustrato in Figura 12, con l’asse Oz che punta lungo la direzione dei fasci, l’asse Oy che punta verso l’alto, verso la superficie, e l’asse Ox che punta verso il centro dell’anello di LHC. Il piano xy suddivide l’apparato in due lati: positivo (z >0) e negativo (z<0), che sono etichettati rispettivamente dalle lettere A e C, mentre la zona B si identifica con il piano z=0. L’angolo azimutale φ è definito come angolo di rotazione attorno all’asse Oz, con l’origine (φ=0) individuata sull’asse Ox e crescente in senso orario guardando nella direzione positiva dell’asse Oz. L’angolo polare θ è definito come angolo di rotazione attorno all’asse Ox, si annulla in corrispondenza dell’asse Oz positivo e cresce in senso orario a partire da esso.

L’introduzione di un’ulteriore variabile, la “pseudorapidità2”, definita dalla relazione ⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛−=

2ln ϑη tg ,

consente di effettuare una suddivisione virtuale del rivelatore in tre zone, ciascuna corrispondente ad un intervallo ben definito di valori di η: la zona A del rivelatore corrisponde a valori positivi di η, la zona B è identificata da η=0 e la zona C corrisponde a valori negativi. In quest’ottica è possibile rivedere la suddivisione in tre regioni, come segue: la regione di Barrel (|η|<1.05) corrisponde alla regione centrale, prossima al punto di interazione, nella quale i sottorivelatori sono disposti concentricamente rispetto all’asse dei fasci; la regione di End Cap (|η|>1.4), il cui nasce dall’analogia con i due tappi di un cilindro cavo, è costituita da quegli apparati situati alle due estremità destra e sinistra; la regione di Extended Barrel o “di transizione” per 1.4 < |η| < 1.05. Si faccia riferimento alla Figura 13 esemplificativa della variazione della pseudorapidità per una sezione dell’apparato.

2 La pseudorapidità è una variabile che descrive l’angolo tra il momento della particella e l’asse del fascio e gode di due proprietà che la rendono particolarmente utile nella descrizione della Fisica dei collider:

• è invariante per trasformazioni di Lorentz • la produzione di particelle è distribuita in modo abbastanza uniforme rispetto a tale variabile.

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Figura 13: Indicazione della pseudorapidità per una sezione dell’apparato.

L’intero apparato può essere, inoltre, suddiviso in quattro sistemi principali: un rivelatore interno, un sistema calorimetrico, un sistema magnetico ed uno Spettrometro per muoni, come illustrato in Figura 14.

Figura 14: Struttura del rivelatore ATLAS

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Il sistema di coordinate locali riguarda ogni singola camera per muoni: è stato adottato un sistema destrorso. Il piano della camera è definito dalle coordinate x e z, con y che punta verso l'alto. L'origine del sistema di coordinate giace nel piano centrale della camera, nel punto medio del lato che si troverà più vicino al punto d'interazione.

2.3 Il sistema magnetico

Un aspetto fondamentale dell’esperimento ATLAS è la presenza di due configurazioni di campo magnetico distinte, predisposte all’applicazione delle tecniche dedicate alla misura del momento delle particelle:

• configurazione solenoidale, in cui le linee di campo sono parallele al fascio di particelle; • configurazione toroidale, in cui le linee di campo si sviluppano circolarmente attorno all’asse del

fascio. Il magnete superconduttore3 a configurazione solenoidale produce un campo a simmetria cilindrica con asse coincidente con quello del fascio di particelle del valore di 2T. Ha un diametro interno di 2.44 m, esterno di 2.63 m e una lunghezza di 5.3 m. È ottimizzato per minimizzare la quantità di materia che le particelle devono attraversare per arrivare al calorimetro elettromagnetico, condividendo con esso lo stesso criostato per il raffreddamento.

Il campo, parallelo all’asse dei fasci, deflette le particelle cariche provenienti dal punto di collisione: se una particella emerge perpendicolare al fascio, mantiene la sua direzione e viaggia su un cerchio il cui raggio è proporzionale al suo impulso e può risultare sufficientemente ampio da consentirle di lasciare l’apparato. Se la particella ha una direzione non ortogonale al fascio, il campo magnetico cambia la sua traiettoria in un’elica con l’asse parallelo alla linea del fascio e il cui raggio è proporzionale all’impulso della particella.

L’uso di un magnete solenoidale costituisce un vantaggio poiché permette l’utilizzo della coordinata del punto di interazione nelle misure del momento, in quanto la curvatura delle traiettorie avviene nel piano trasverso, e poiché, a parità di valore del campo magnetico integrato, presenta una struttura più compatta e una minore quantità di energia immagazzinata rispetto alla configurazione toroidale.

Figura 15: Il Solenoide centrale di ATLAS

3 NbTi/Cu/Al raffreddato da un flusso forzato di Elio liquido a 4.5K.

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La seconda configurazione di campo magnetico, quella che, peraltro, dà il nome all’esperimento, è prodotta da una struttura toroidale progettata al fine di fornire un grosso volume magnetico con un potere di curvatura molto grande4. Nella regione del Barrel il toroide è costituito da otto bobine, lunghe 25.0 m e larghe 5.0 m, ognuna raffreddata da un proprio criostato indipendente, ha un diametro interno di 9.4 m ed esterno di 20.1 m ed una lunghezza di 25.3 m. Nelle regioni degli End Cap i magneti toroidali sono formati da otto bobine lunghe 5.0 m e dal diametro interno ed esterno rispettivamente di 1.65 m e 10.7 m, ruotate rispetto al toroide del Barrel di 22.5° per ottimizzare il potere curvante del campo magnetico. Il campo ha un’intensità di picco di 3.3 T per il toroide del Barrel e 4.1 T per quello degli End Cap ed è funzionale allo Spettrometro muonico che costituisce la parte esterna del rivelatore. La soluzione air-core permette di minimizzare gli effetti di scattering multiplo.

Il campo magnetico integrato aumenta con l’aumento, ad alta pseudorapidità, della distanza percorsa dalle particelle nel campo sia per la dipendenza del tipo 1/R dell’intensità del campo nei toroidi laterali. Così l’aumento del momento medio delle particelle per grandi valori di |η| viene compensato dall’aumento del campo magnetico integrato e ciò garantisce, a pT fissato, una risoluzione in momento costante su un ampio intervallo di pseudorapidità.

Figura 16: Struttura del magnete toroidale di ATLAS

Le spire sono realizzate con avvolgimenti di NbTi superconduttore, stabilizzato con Alluminio, nei quali circola una corrente di 20.5 kA. Il raffreddamento è garantito da un flusso forzato di Elio liquido a 4.5 K mediante tubi saldati sul rivestimento degli avvolgimenti. A causa del numero finito delle spire il campo magnetico non è perfettamente toroidale ma presenta notevoli disomogeneità, soprattutto in prossimità delle bobine, come illustrato nella mappa in Figura 17.

4 Il potere di curvatura dei magneti è calcolato mediante l’integrale ∫ dlBϕ , dove Bφ rappresenta la componente

azimutale del campo.

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Figura 17: Mappa del campo magnetico nella regione di transizione. Le linee di campo sono mostrate nel piano perpendicolare all’asse del fascio e localizzato nel mezzo del toroide End Cap. L’intervallo che separa le linee

consecutive è di 0.1 T m e le scale sono in cm

A causa di questa disomogeneità per ogni traccia occorre calcolare l’integrale del campo magnetico lungo la traiettoria percorsa dalla particella nello Spettrometro e per poter effettuare quest’integrazione è necessario conoscere la coordinata della traccia nel piano R-φ, perpendicolare al piano di curvatura, con una precisione dell’ordine del cm per non compromettere la risoluzione della misura del momento.

2.4 Il rivelatore interno

Con la denominazione di “rivelatore interno” si intende l’insieme di sottorivelatori più vicino al punto di interazione in quanto confinato all’interno della cavità cilindrica definita dai criostati del magnete solenoidale di lunghezza pari a 6.8 m e raggio 1.15 m .

Esso è delegato a svolgere le seguenti mansioni:

• identificazione delle particelle cariche e ricostruzione delle tracce; • ricostruzione dei vertici di decadimento primari e secondari; • misure di momento ad elevata precisione;

L’elevata densità di tracce e la necessità di un’alta risoluzione spaziale richiedono l’utilizzo di tracciatori a grande granularità, mentre la possibilità di risolvere le ambiguità dovute a tracce sovrapposte, vertici secondari ed inefficienze geometriche od elettroniche comporta un alto numero di misure di posizione lungo la traiettoria delle particelle. Anche questo apparato eredita la suddivisione nei settori Barrel ed End Cap: il primo si estende su una lunghezza di ±80 cm, mentre le due parti identiche dell’End Cap ricoprono il resto della cavità cilindrica.

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Figura 18: Sezione dell’inner detector dell’esperimento ATLAS.

Una particella che si allontana dal punto di interazione verso l’esterno incontra dapprima un rivelatore a semiconduttore ad alta precisione, suddiviso a sua volta in un rivelatore a pixel ed un rivelatore a microstrip (SCT), poi un tracciatore a radiazione di transizione (TRT), che fa da sistema di tracciamento continuo. Gli strati di rivelatori della zona del Barrel sono disposti in maniera concentrica secondo una geometria cilindrica mentre quelli relativi all’End Cap sono montati su dischi perpendicolari all’asse del fascio. La disposizione descritta è comune sia ai rivelatori a semiconduttore ad alta risoluzione che al rivelatore a radiazione di transizione. Gli apparati comprendono sistemi di raffreddamento che operano per rimuovere il calore generato dall’elettronica di lettura e dalle correnti di polarizzazione inversa tipiche di tale genere di rivelatori; inoltre le strutture sono realizzate con materiali dal coefficiente di espansione termica il più basso possibile.

Rivelatori a pixel

I rivelatori a pixel (ogni pixel ha le dimensioni di 50x400 μm2) vengono utilizzati nella regione più interna, vicina al punto di interazione, per determinare i parametri di impatto e ricercare particelle con vita media breve, quali gli adroni B ed i leptoni τ. Si tratta di rivelatori al Silicio disposti su cilindri attorno all’asse dei fasci: tre strutture concentriche nel Barrel e cinque dischi affiancati per ogni End Cap. La segmentazione dei sensori è bidimensionale (in R-φ e z), in modo da evitare le ambiguità tipiche delle geometrie a strip incrociate, e per questo ogni elemento è fornito di un chip individuale che include una memoria di transito per incamerare i dati in attesa delle informazioni del trigger.

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In totale il sistema è stato progettato per essere altamente modulare ed ottenere risoluzioni spaziali, mediate sulla distribuzione di pseudorapidità, pari a circa 12 μm su R-φ, 66 μm su z per il settore del Barrel e circa 77 μm per i dischi dell’End Cap.

Rivelatore a microstrip

Il rivelatore a microstrip è costituito da Rivelatori di Tracciamento a Semiconduttore (SCT), al Silicio, utilizzati nella regione radiale intermedia. Seguendo la stessa geometria del Rivelatore a pixel, esso si compone di otto superfici concentriche di strip nella regione Barrel e nove dischi affiancati nelle due regioni di End Cap.

Ogni modulo si compone di quattro unità ed ogni unità consta di un singolo strato di semiconduttore di tipo p-su-n di dimensioni pari a 6.36x6.40 cm2 e con 768 strip di lettura separate da un passo di 80μm. I moduli sono montati su strutture di carbonio con un opportuno sistema di raffreddamento. Il sistema complessivo conta in totale 6.2 milioni di canali di lettura e permette di ottenere una risoluzione spaziale pari a 16 μm in R-φ e 580 μm in z per ciascun modulo; pertanto le singole tracce risultano distinte se separate per una distanza superiore a circa 200 μm.

Tracciatore a Radiazione di Transizione

Il sistema di rivelatori a straw tube, collocato nella regione più esterna del rivelatore interno, dove la densità di tracce è relativamente bassa, è generalmente indicato come TRT poiché consente l’identificazione di elettroni grazie alla “radiazione di transizione” da essi emessa durante l’attraversamento della superficie di separazione di due mezzi di differente costante dielettrica. Il sistema di TRT, oltre a svolgere il ruolo di tracciatore, garantisce anche l’identificazione di pioni ed elettroni. L’identificazione di questi ultimi si basa sul numero di depositi di energia lungo la traccia al di sopra di una certa soglia: infatti un tipico fotone TR ha un’energia di 8-10 keV, mentre una particella al minimo di ionizzazione, quale un pione, perde circa 2 keV di energia.

I tubi sono disposti parallelamente alla direzione dei fasci nella regione di Barrel e radialmente nelle regioni di End Cap, ottenendo in entrambi i casi una risoluzione spaziale di 170 μm. I segnali sono generati sia per il diretto passaggio di una particella attraverso i tubi che indirettamente, in quanto l’interspazio tra due tubi contigui è riempito con una schiuma di Polipropilene, che fa da radiatore. La schiuma ha una struttura porosa con minuscole bolle d’aria: poiché aria e Propilene hanno una diversa costante dielettrica, al passaggio di un elettrone, il campo elettrico varia bruscamente sulle superfici di contatto ed emette raggi X per radiazione di transizione. Affinché i fotoni vengano emessi, la particella deve avere un’energia ultrarelativistica: sono sufficienti energie E = 500 MeV per gli elettroni, mentre per gli adroni, più pesanti, sono necessarie energie ben più elevate (≈ 100 GeV). Infine i fotoni emessi vengono assorbiti per effetto fotoelettrico dal gas contenuto nei tubi a deriva con una sezione d’urto proporzionale alla quinta potenza del numero atomico: questo motiva la scelta della miscela di Xe(70%), CO2(27%) e O2(3%), consentendo l’identificazione dell’elettrone.

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Figura 19: Rappresentazione schematica dei tubi del TRT.

La tecnica di misura spaziale, basata sull’acquisizione del tempo di deriva, intrinsecamente lenta, è in grado di sostenere l’altissimo rate di eventi proprio di LHC grazie al piccolo diametro dei tubi, pari a 4 mm, ed all’isolamento dei singoli fili di sense (dello spessore di 30 μm e della lunghezza di 114 cm) all’interno di volumi di gas individuali.

I complessivi 420000 canali di lettura forniscono singolarmente la misura di tempo di deriva, rendendo pertanto possibile una risoluzione di 170 μm per tubo. L’elettronica associata è dotata di un meccanismo a due soglie indipendenti per discriminare gli eventi traccianti diretti (a soglia più bassa) da quelli a radiazione di transizione (a soglia più alta).

Tabella 6: Tabella riassuntiva e comparativa dei parametri principali del rivelatore interno. Le risoluzioni indicate

sono quelle tipiche in quanto in realtà dipendono, in ogni sottorivelatore, dall’angolo di impatto. Con B si è indicato il Barrel e con EC l’End Cap.

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2.5 Il sistema di calorimetri

Il sistema di calorimetria è costituito da componenti diversificate per tipologia e per regione di pseudorapidità: il Calorimetro Elettromagnetico (EM) ricopre una regione di pseudorapidità con |η| < 3.2, mentre quello adronico è suddiviso in tre parti: una cilindrica nel Barrel per |η| < 1.7, due (HEC) nell’End Cap per 1.5 < |η| < 3.2 e due in avanti (FCAL) per 3.2 < |η| < 4.9. Le richieste cui devono soddisfare i calorimetri, rese più stringenti dall’elevata luminosità e le alte energie previste, sono le seguenti:

• accurate misure di energia e posizione di elettroni e fotoni; • misure di direzione e di energia dei jet; • identificazione di particelle come elettroni, fotoni, adroni e di jet, • misura dell’energia trasversa mancante, • selezione degli eventi per il trigger di primo livello.

Figura 20: Sistema calorimetrico di ATLAS.

Il calorimetro elettromagnetico

Il Calorimetro Elettromagnetico è essenziale per la ricostruzione di elettroni e fotoni di energia compresa nel intervallo tra 2 GeV e 5 TeV, per esempio derivanti dai decadimenti

H → ZZ* → 4e

e

H → γγ.

La parte centrale del calorimetro elettromagnetico occupa una zona cilindrica che si estende da un raggio di 150 cm ad un raggio di 198 cm e copre l’intervallo di pseudorapidità |η|< 1.4. Si tratta di un calorimetro “a campionamento”, composto da strati di assorbitore di Piombo, spessi in media 2.5 mm, alternati a strati di 4 mm di Argon liquido, scelto per la linearità e la stabilità della sua risposta, nonché per la buona tolleranza alla radiazione. Al centro della gap di Argon sono immersi due elettrodi alimentati con alta tensione positiva

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dove si raccolgono gli elettroni di ionizzazione dell’Argon: al centro dei due elettrodi è presente un terzo sul quale viene letto il segnale che si forma per accoppiamento capacitivo con gli altri due. L’innovazione del progetto sta nella geometria “a fisarmonica” [4], come illustrata in Figura 21: essa permette di avere completa simmetria nell’angolo azimutale ed allo stesso tempo di minimizzare le zone morte. Il segnale proveniente dall’insieme degli elettrodi può essere estratto direttamente dalla faccia interna e da quella esterna del calorimetro e mandato all’elettronica di lettura con grande risparmio di cavi, connessioni e volumi morti. Inoltre tale geometria minimizza l’induttanza del segnale, consentendo pertanto l’uso dei formatori veloci necessari per operare con 25 ns di distanza temporale tra i pacchetti di particelle di LHC.

Figura 21: Immagine fotografica, in alto, e schematizzazione, in basso, della geometria di un calorimetro a

campionamento tradizionale a) e “a fisarmonica” b); schematizzazione della struttura ad elettrodi del calorimetro elettromagnetico di ATLAS.

Nella regione con |η| < 1.8 il calorimetro è preceduto da un precampionatore che ha il compito di apportare una correzione alle misure dovuta all’energia persa nel materiale attraversato a monte del calorimetro (rivelatore interno, criostato, spire del magnete).

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.

Figura 22: Schematizzazione della segmentazione del calorimetro elettromagnetico.

La granularità in η e φ è stata ottenuta richiedendo di poter distinguere e separare i fotoni derivanti dal decadimento dei pioni neutri π0 con ET da 50 GeV, che costituiscono la sorgente di fondo dominante nel decadimento dell’Higgs in due fotoni. Tale criterio ha portato a scegliere celle di dimensioni pari a Δη×Δφ ≅ 0.025 × 0.025, tranne che nella zona del primo campionamento, in cui è necessaria una maggiore segmentazione (Δη×Δφ ≅ 0.003 × 0.1).

Le due parti laterali del calorimetro elettromagnetico (EMEC), costituite da due ruote concentriche, coprono la regione di pseudorapidità 1.375 < | η | < 3.2 ed hanno un raggio interno di 29.6 cm ed esterno di 203 cm. Anche in questa parte è mantenuta la struttura a fisarmonica adottata nella regione centrale. Gli assorbitori sono disposti a raggiera attorno alla linea del fascio, con l’ondulatura parallela a quest’ultima, in modo da avere una simmetria azimutale completa. Inoltre, per garantire una buona uniformità lo spessore di Argon liquido ed assorbitore attraversato dalle particelle deve essere indipendente dall’angolo azimutale: l’angolo con cui sono piegati gli assorbitori deve variare con il raggio, così come lo spessore del Piombo, in modo da compensare l’aumento dello spessore dello strato di Argon liquido.

La risoluzione è espressa dalla seguente formula:

cEb

Ea

EE ⊕⊕=

σ

, in cui il simbolo ⊕ indica la somma in quadratura. Il primo termine al secondo membro è detto “termine di campionamento”, strettamente legato alle fluttuazioni statistiche ed alla

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frequenza di campionamento, del valore di circa 8-11%. Il secondo termine tiene conto del rumore dovuto all’elettronica ed alla sovrapposizione di segnali successivi, il cui contributo diventa più rilevante per E ≤ 20 GeV. Il termine costante è dovuto ad effetti legati alla calibrazione e ad eventuali disomogeneità nella distribuzione di temperatura come negli aspetti meccanico-strutturali.

Un esempio di processo fisico nel quale le caratteristiche del calorimetro elettromagnetico di ATLAS sono determinanti per la rivelazione del segnale è il decadimento H → γγ: la ricerca del bosone di Higgs in questo canale sfrutta proprio la risoluzione e segmentazione laterale del calorimetro elettromagnetico. La risoluzione sulla massa invariante del sistema a due fotoni è data dalla relazione:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ Δ⊕⊕=

Δ

2/21

21

21

γγ

γγ

γγ

γγ

θθσσ

tgEEmm EE , dove

EEσ

è la risoluzione energetica del calorimetro

elettromagnetico e γγθ è l’angolo tra i due fotoni. Per valori della massa del bosone dell’ordine di 100 GeV, esso si presenta come una stretta risonanza ed è quindi necessaria una grande risoluzione sia sulla misura energetica sia su quella angolare. La reiezione di π che si ottiene per il calorimetro elettromagnetico in combinazione con il rivelatore di traccia è maggiore di 103 con un’efficienza sui γ dell’ 80 %. Il fattore e/h risulta pari a circa 1.55.

Per massimizzare il potenziale di scoperta, l’intervallo dinamico va da 20 MeV a 2 TeV, mentre la risoluzione in energia per fotoni ed elettroni è pari a

%7,0)(

%10⊕=

GeVEEEσ

.

Figura 23: A sinistra:Immagine fotografica del calorimetro adronico nella regione dell’End Cap (HEC); a destra:

schema del Calorimetro adronico nella regione del Barrel (Tile).

5 e/h è il rapporto tra l’efficienza di rivelazione del deposito di energia puramente elettromagnetica e quella del

deposito di energia puramente adronica

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Il calorimetro adronico Il sistema del calorimetro adronico copre l'intero intervallo di pseudorapidità |η| < 4.9, utilizzando, al variare della pseudorapidità sono state scelte tecnologie diverse, che tenessero conto in particolare della differente esposizione alla radiazione, più intensa avvicinandosi alla direzione del fascio.

Nella sezione del Barrel si adopera un calorimetro a campionamento, il Tile Calorimeter, che impiega assorbitori in Ferro con mattonelle (tiles) di scintillatore plastico lette da fibre scintillanti come mezzi attivi, sfalsate lungo la direzione dei fasci (asse z). La struttura presenta una periodicità nella direzione z e in un periodo lo spessore totale delle piastre assorbenti è di 14 mm, mentre quello dello scintillatore è 3 mm. Il calorimetro è costituito da un cilindro centrale e due cilindri esterni; il raggio interno dei cilindri è pari a 2.28 m e quello esterno a 4.25 m. Rispetto alla variabile azimutale si ha una suddivisione in 64 moduli. La granularità ottenuta è pari a Δη×Δφ ≅ 0.1 × 0.1 e 0.2 × 0.1 nell’ultimo strato ed il numero complessivo di canali di lettura è circa 10000.

Nella regione compresa di 1.5 < |η| < 3.2, negli End Cap (HEC), invece, è stata preferita l’istallazione di un calorimetro ad Argon liquido, che consiste in due dischi indipendenti per lato di raggio esterno pari a 2.03 m e di spessore 25 mm il più lontano dal punto di interazione e 50 mm il più vicino. In entrambi i casi le gap tra due piatti di rame consecutivi sono munite di tre elettrodi paralleli che suddividono la singola gap in tre spazi di deriva di circa 1.8 mm.

Anche il Calorimetro In Avanti (Forward Calorimeter), che si estende nella regione di 3.1 < |η| < 4.9 impiega la tecnologia ad Argon liquido. Sia l’HEC che il FC sono alloggiati all’interno dello stesso criostato che ospita la parte laterale del calorimetro elettromagnetico.

Lo spessore del calorimetro adronico è un parametro fondamentale per il contenimento degli sciami adronici, oltre che per la riduzione del flusso di particelle cariche dovuto al punch-through (se lo spessore fosse troppo sottile, alcune particelle dello sciame riuscirebbero ad uscirne e verrebbero rivelate dallo Spettrometro muonico). Le previsioni, basate su simulazioni e misure effettuate, indicano che un calorimetro di 10 lunghezze di interazione è sufficiente a fornire una buona risoluzione per jet adronico ad alta energia ed una buona misura dell’energia trasversa mancante.

La risoluzione in energia del calorimetro adronico è:

%3)(

%50⊕=

GeVEEEσ |η| ≤ 3 Barrel

%10)(

%100⊕=

GeVEEEσ 3 ≤ |η| ≤ 5 End Cap

2.6 Lo Spettrometro per muoni

Gli eventi con muoni ad alto momento nello stato finale giocano un ruolo cruciale per il programma scientifico di ATLAS e per l’intero progetto di LHC [3].

La presenza di muoni di alto momento trasverso pT è una segnatura della produzione di una particella di grande massa nel vertice di interazione, che successivamente decade convertendo una parte rilevante della sua massa nel momento dei suoi prodotti di decadimento. Le maggiori richieste fisiche alla base della progettazione dello Spettrometro sono le seguenti:

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• Ricostruzione di decadimenti. Molti canali di fisica di primario interesse producono muoni nello stato finale, ad esempio H → ZZ* → 4 leptoni oppure il raro processo B0 → μ+μ-.

• Identificazione del quark b. La ricostruzione delle tracce dei muoni provenienti dal decadimento semileptonico del quark b fornisce un modo semplice per identificare quest’ultimo senza dover ricorrere ad altre informazioni riguardo ai vertici secondari.

• Identificazione del sapore. Le misure di violazione di CP negli eventi di 00 BB richiedono la

conoscenza del sapore del mesone B alla produzione. Per questo proposito, è richiesta al trigger l’applicazione di un taglio di pT ≥ 5 GeV per eliminare una gran parte degli eventi K/π nel processo b → μ + X.

• Massa di W. Una delle sfide di LHC è quella di migliorare la determinazione della massa del bosone W, mediante i decadimenti W → μν o W → eν, non essendo possibile studiare W → 2 jet a causa dell’elevato fondo QCD.

• Identificazione dei bosoni vettori. L’unica via efficace nell’identificazione della produzione di bosoni vettori è la ricerca di leptoni di alto momento trasverso provenienti dai loro decadimenti. Relativamente all’intervallo di massa 120 < mH < 170 GeV, il momento del muone è compreso nell’intervallo 5 < pT < 50 GeV. La richiesta di un trigger con soglia di pT >20 GeV è un buon compromesso per avere un’accettanza di trigger soddisfacente con un rate non troppo basso.

La scelta del sistema di identificazione e di misura dei muoni ad un collider adronico è correlata al livello di molteplicità delle tracce presenti. Nel caso di bassa molteplicità l’identificazione può essere effettuata utilizzando le informazioni provenienti dal sistema di calorimetria e da un sistema di rivelatori interni, generalmente piani alternati di materiale assorbitore e rivelatori a gas. Il momento dei muoni viene successivamente determinato con l’analisi delle tracce estrapolate nei rivelatori interni. Questo approccio diventa irrealizzabile in condizioni di elevato flusso di particelle. Infatti con l’aumentare della densità delle tracce diventa sempre più difficile correlare il segnale proveniente dal sistema esterno di rivelazione dei muoni con la rispettiva traccia nei rivelatori interni. Per questo l’esperimento ATLAS impiega una configurazione tale da massimizzare l’assorbimento nei calorimetri delle particelle prodotte nelle collisioni, mentre la misura del momento dei muoni avviene all’esterno del sistema di calorimetria, quindi in condizioni di basso flusso adronico. Il campo toroidale in aria permette, grazie al limitato apporto dello scattering multiplo, una buona risoluzione anche per bassi valori di momento trasverso, la massimizzazione dell’accettanza geometrica, nonché l’identificazione e la misura del momento dei muoni nello Spettrometro anche in modalità stand-alone, cioè indipendente dagli altri rivelatori. La possibilità di operare in modalità autosufficiente dal resto dell’apparato consente di ottenere ulteriori vantaggi, brevemente elencati nel seguito:

• avere due misure di momento dei muoni e quindi uno strumento di verifica di autoconsistenza, • la garanzia di mantenere rilevanti capacità di analisi anche in caso di malfunzionamento di altri

rivelatori o di condizioni di background impreviste, • la possibilità di utilizzare condizioni di trigger meno restrittive rispetto al resto dell’apparato e di

operare anche in condizioni di luminosità superiori a quelle previste.

Tabella 7: Rate di muoni inclusivi in corrispondenza di due valori della luminosità per diversi canali.

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Il progetto dello Spettrometro muonico si basa sull’esigenza di realizzare un sistema capace di misurare con grande precisione il momento dei muoni nell’intervallo che va da 6 a 100 GeV e pertanto caratterizzato da una copertura omogenea nell’angolo φ fino ad un valore della pseudorapidità pari a |η| = 3; inoltre esso costituisce anche il trigger indipendente per tutto l’apparato.

Lo schema concettuale del sistema è basato sulla curvatura in campo magnetico delle tracce dei muoni che attraversano il sistema toroidale: nel intervallo di pseudorapidità |η| ≤ 1.0 la curvatura magnetica è fornita dal toroide del Barrel, per 1.4 ≤ |η| ≤ 2.7 dai due magneti dell’End Cap, mentre nella zona intermedia, la regione di transizione, si ha la sovrapposizione dei due campi. L’apparato è munito di due differenti tipologie di camere: quelle dedicate al tracciamento ad alta precisione e quelle dedicate al sistema di trigger.

Figura 24: Sezione dello Spettrometro per muoni di ATLAS.

Lo Spettrometro è segmentato lungo la direzione azimutale in 16 settori che seguono la simmetria ottagonale del sistema magnetico toroidale e che sono di dimensioni differenti secondo che si trovino tra due spire (Large Sectors) o se contengano la spira stessa (Small Sectors).

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Figura 25: Vista tridimensionale dello Spettrometro

Nella regione del Barrel le coordinate delle tracce sono misurate da camere disposte su tre strati cilindrici sviluppati attorno all’asse dei fasci con raggi di circa 5, 7.5 e 10 m, come illustrato in Figura 25. Nell’End Cap la disposizione delle camere avviene su quattro dischi verticali, concentrici con l’asse dei fasci, distanti dal punto di interazione 7, 10, 14 e 21-23 m. Sulla quasi totalità dell’intervallo di pseudorapidità le misure di precisione delle coordinate, nella direzione di maggior curvatura del campo sono fornite dai Monitored Drift Tube (MDT). Per grandi valori di |η|, nelle vicinanze del punto di interazione, questo ruolo è svolto dalle Cathode Strip Chamber (CSC), caratterizzate da una maggiore granularità e, come tali, in grado di far fronte al rate tipico della zona d’operazione ed alle relative condizioni di background. Il sistema di trigger ricopre un intervallo di pseudorapidità di |η| ≤ 2.4 ed impiega le Camere a Piatti Resistivi (RPC) nel settore di Barrel e le Thin Gap Chamber (TGC) nell’End Cap. Entrambi i tipi hanno l’ulteriore funzione di fornire, per una traccia, le misure della “seconda coordinata”, cioè la coordinata relativa alla direzione ortogonale a quella delle misure di precisione fornite dalle MDT e CSC.

La disposizione delle camere è tale che le particelle emergenti dal vertice di interazione attraversano le tre stazioni sistemate secondo lo schema a “torri proiettive”. Per quanto riguarda la regione di Barrel la posizione relativa delle stazioni permette tre misure della traiettoria nella regione di deflessione magnetica in modo da poter ricostruire la sagitta alla traiettoria. Nella regione dell’End Cap la presenza del criostato non consente il posizionamento di camere all’interno del volume magnetico e la determinazione del momento avviene, quindi, mediante misure di tipo punto-angolo, cioè misure del punto di ingresso nel campo magnetico e la deflessione da esso prodotta. Il posizionamento e l’allineamento relativo delle camere rappresenta un aspetto molto critico per lo Spettrometro. Una volta istallate all’interno di una torre proiettiva non è possibile effettuare ulteriori riposizionamenti delle camere e inoltre bisogna considerare anche la concreta possibilità che la struttura portante sia soggetta nel tempo a deformazioni meccaniche. Per far fronte a queste problematiche viene impiegato un sistema ottico che connette le camere mediante un fascio di allineamento consentendo così un monitoraggio costante delle posizioni relative. Nella zona dell’End Cap la strategia per l’allineamento è in parte diversa in quanto viene monitorata la posizione dell’intero piano di camere.

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Le tecnologie adottate per la verifica dell’allineamento sono di due tipi: il sistema RASNIK-CCD ed una tecnologia basata su fasci laser. Il principio di funzionamento del sistema RASNIK-CCD, si basa sull’uso di un LED che proietta, attraverso una lente, la figura di una maschera di codifica su un rivelatore di immagini CCD; analizzando gli spostamenti della maschera è possibile ricavare quelli della lente nel piano trasverso.

Per quanto concerne la seconda tecnologia di allineamento, essa si basa sull’uso di una sorgente laser e di rivelatori a strip di fotodiodi semi-trasparenti.

Figura 26: Sezione laterale dello Spettrometro

I rivelatori di posizione Le camere di precisione sono organizzate in modo che le particelle provenienti dal vertice di interazione attraversino tre stazioni di camere.

Nel Barrel esse sono disposte su tre cilindri concentrici con l'asse dei fasci, con raggi pari a circa 5, 7.5 e 10 m rispettivamente per le stazioni interna (Inner), mediana (Middle) ed esterna (Outer), e ricoprenti un intervallo di pseudorapidità |η| < 1. Le camere dell'End Cap, di forma trapezoidale, coprono la regione di pseudorapidità 1 < |η| < 2.7 e sono disposte su quattro dischi concentrici con l'asse del fascio, posti alle distanze di 7, 10, 14 e 21 m dal punto di interazione. Le misure di precisione delle tracce di muoni sono eseguite nella proiezione R - z: nel Barrel si misura la coordinata assiale (z) con la coordinata radiale (R) data dal posizionamento delle camere, mentre nelle regioni di transizione e di End Cap si misura la coordinata radiale (R) con la coordinata assiale (z) data dalla distanza delle camere dal punto di interazione.

Per la maggior parte del intervallo in η, le misure di precisione sono fornite dai Monitored Drift Tube (MDT). A grandi valori di pseudorapidità e vicino al vertice di interazione sono utilizzate, nel piano più interno (2 < |η| < 2.7), le Cathode Strip Chamber (CSC) che offrono una maggiore granularità al fine di sostenere l'elevato rate e le difficili condizioni di fondo.

I requisiti principali che devono essere soddisfatti dai rivelatori di posizione sono una conseguenza diretta delle prestazioni richieste allo Spettrometro, a loro volta derivanti dall’osservabilità dei processi fisici di interesse. Lo Spettrometro deve permettere la determinazione dei muoni con una risoluzione dell’1% per pT

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= 100 GeV e del 10% per pT = 1 TeV. Pertanto anche la misura della sagitta della traiettoria dei muoni nel campo magnetico deve essere effettuata con lo stesso livello di accuratezza.

La disposizione in più strati offre, inoltre, la possibilità di definire il vettore di traccia locale all’interno del singolo multistrato, facilitando così la misura del momento. Infatti se non fosse possibile determinare il valore della sagitta della traiettoria della particella, per esempio se un muone non interagisse in tutte le stazioni di misura, si può ugualmente determinare il momento grazie all’angolo di deflessione della traccia calcolato confrontando gli angoli dei vettori di traccia locali. A causa della variazione di molti parametri fisici, quali il campo magnetico ed i gradienti di temperatura, è molto importante che i rivelatori di posizione posseggano notevoli capacità di autocalibrazione.

La non uniformità del campo magnetico, infatti, si ripercuote sulle prestazioni delle camere a deriva. La traiettoria degli elettroni di deriva nel campo magnetico è funzione dell’angolo (angolo di Lorentz) tra il vettore associato alla velocità della particella e il vettore di campo magnetico. Quindi la relazione spazio-temporale, utilizzata per calibrare la camera a deriva, varia notevolmente e bruscamente nelle varie regioni dell’apparato in funzione dell’intensità e della direzione del campo magnetico. Pertanto, al fine di poter monitorare il campo magnetico, viene istallato sui rivelatori un sistema di sonde in grado di misurarne la direzione e l’intensità.

MDT, Monitored Drift Tube

Figura 27: Illustrazione schematica di una camera MDT rettangolare della regione di Barrel

I Monitored Drift Tube sono rivelatori a gas a filo, il cui principio di funzionamento è basato sulla relazione che intercorre tra la coordinata di drift ed il tempo di drift degli elettroni di ionizzazione generati dal passaggio di una particella ionizzante all’interno del gas si riempimento.

L’elemento base per la rivelazione è un tubo di Alluminio di 30 mm di diametro e 400 μm di spessore; al suo interno, lungo l’asse centrale, è posizionato un filo anodico, realizzato in lega di Tugsteno-Renio, placcato in oro per il 3% del suo peso, del diametro di 50 μm e la cui lunghezza varia da 70 cm a 630 cm. Al fine di garantire una risoluzione, per singolo tubo, entro gli 80 μm, la posizione del filo rispetto alla struttura di sostegno deve essere nota con una precisione di 20 μm. Ogni tubo, riempito con una miscela di 93% Argon, 7% CO2, alla pressione di 3 bar assoluti, funge da singolo elemento di drift. Alla tensione di lavoro prevista, ogni tubo fornisce una relazione spazio-tempo perfettamente lineare fino ad un tempo di drift massimo pari a circa 500 ns. In Figura 27 è riportato lo schema strutturale del rivelatore in questione. Meccanicamente, ogni

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singola camera è costituita da due multistrati di 6 tubi a drift, disposti su entrambi i lati di una struttura rigida di supporto, ogni multistrato essendo costituito da tre o quattro piani di tubi.

La struttura di supporto ha essenzialmente due scopi: garantisce il corretto posizionamento di un tubo rispetto ad un altro e l’integrità meccanica della camera sotto gli effetti della temperatura e della gravità. Una volta che la camera viene istallata nella sua posizione finale, le deformazioni meccaniche legate a variazioni termiche e alla gravità vengono monitorate attraverso un sistema ottico a laser, da cui deriva il nome.

Le misure di posizione con le camere a deriva sono basate generalmente sulla misura del tempo di deriva degli elettroni di ionizzazione generati da un muone incidente; conoscendo la velocità di deriva degli elettroni, si può determinare la lunghezza del cammino di deriva, mediante la misura del tempo compreso tra il passaggio della particella incidente e l’arrivo degli elettroni di ionizzazione all’anodo.

Il regime di funzionamento è quello proporzionale che, con un moderato livello di amplificazione, garantisce una buona longevità delle camere.

Figura 28: Principio di funzionamento degli MDT

L’elettronica di lettura è connessa ad una sola estremità del tubo e, come schematicamente illustrato in Figura 28, è costituita essenzialmente da un preamplificatore di corrente a bassa impedenza seguita da un discriminatore e un TDC (Time to Digital Converter) che fornisce la misura del tempo di drift degli elettroni. Il tempo di drift è, quindi, convertito in una distanza mediante la relazione spazio-tempo.

CSC, Cathode Strip Chamber Una Cathode Strip Chamber è un rivelatore a gas operante in regime proporzionale, composto da diversi strati di camere a fili anodici disposti parallelamente tra due piani di rame con funzione di catodo, sostenuti da una leggera struttura a nido d’ape, come illustrato in Figura 29. I fili hanno una spaziatura s pari a 2.54 mm, mentre la spaziatura W tra le strip è pari a 5.08 mm. Definita d la distanza anodo-catodo si ha s = d, ovvero la spaziatura anodo-catodo è uguale a quella tra i fili, in modo da creare una cella perfettamente simmetrica.

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Figura 29: Spaccato di una CSC in cui sono visibili i dettagli costruttivi

Figura 30: Visualizzazione schematica anodo-catodo di una CSC

La prima coordinata si ottiene misurando la carica indotta sulle strip catodiche ortogonali ai fili anodici dalla valanga generata sul filo anodico; determinando il centro di gravità della carica indotta, la segmentazione del catodo consente di ottenere una buona risoluzione spaziale, dell’ordine di 60 μm. La seconda coordinata di precisione si ottiene misurando il segnale indotto sulle strip catodiche ortogonali ai fili anodici.

La spaziatura limitata tra i fili, grazie anche ad un’opportuna scelta dello spessore di gap, consente di ottenere tempi massimi di deriva dell’ordine di 25 ns, offrendo così la possibilità di identificare il bunch crossing di appartenenza dell’evento con una risoluzione di circa 4 ns.

Le CSC vengono impiegate nello Spettrometro nella regione |η| > 2, in cui il numero di conteggi al secondo previsti per gli MDT supera il valore di 1 kHz cm-2. Infatti in tali condizioni la quantità di carica accumulata, in 10 anni previsti di funzionamento, sull’anodo degli MDT è di circa 0.7 Ccm-1, un valore prossimo al limite massimo oltre al quale le prestazioni dei tubi a deriva peggiorano notevolmente. Nelle stesse condizioni, la

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carica totale accumulata sui fili delle camere CSC è limitata a 0.01 C cm-1, permettendo così l’utilizzo di queste ultime in condizioni di rate elevato.

La miscela di gas è composta dal 30% Argon, 50% Biossido di Carbonio, 20% Tetrafluoruro di Carbonio (CF4).

Il limitato utilizzo di questi rivelatori è dovuto principalmente al loro elevato costo introdotto dall’alto numero di canali di elettronica necessari.

I rivelatori del trigger Gli obiettivi di ricerca dell’esperimento ATLAS comportano la necessità di selezionare eventi caratterizzati da muoni sia con basso momento trasverso sia con momento trasverso superiore a 20 GeV. Queste prestazioni sono garantite da un sistema di trigger che deve essere altamente efficiente nella regione di accettanza geometrica fino a |η| < 3.0 per le misure di precisione e fino a |η| < 2.4 per le misure di trigger.

Nel Barrel sono impiegate le Resistive Plate Chamber (RPC), disposte su tre piani, due dei quali situati su entrambe le facce delle camere MDT della stazione mediana e uno sopra (sotto) gli MDT della stazione più esterna per i settori grandi (piccoli), come illustrato in Figura 26 Lungo la direzione z le camere sono segmentate in 6 o 7 unità fisiche non più grandi di 2.6 m che seguono esattamente la segmentazione delle camere MDT alloggiate nella stessa struttura meccanica.

Nella regione dell'End Cap sono, invece, utilizzate le Thin Gap Chamber (TGC) montate verticalmente e di forma trapezoidale. Esse sono segmentate in unità non più larghe di 3 m, a seconda della loro disposizione, secondo la geometria ad ottante del toroide.

Le camere di trigger hanno la funzione di identificare il bunch crossing grazie alla loro risoluzione temporale migliore di 25 ns. Inoltre forniscono una misura della seconda coordinata, ortogonale a quella misurata dalle camere di precisione, con una risoluzione tipica di 5-10 mm.

RPC, Resistive Plate Chamber Gli RPC sono i rivelatori a gas utilizzati per il sistema di trigger nella regione del Barrel. Mi limito ivi a citarli, in quanto dedicherò parte del Capitolo 3 alla loro trattazione.

TGC, Thin Gap Chamber Le TGC sono camere a fili che assolvono nell’End Cap la duplice funzione di camere da trigger e contemporaneamente forniscono la coordinata azimutale. Il piano centrale impiega sette strati di TGC in appoggio alle MDT, mentre il piano più interno ne impiega due strati che non partecipano al trigger. Infine, le camere del piano esterno partecipano al trigger e forniscono la seconda coordinata mediante tecniche di interpolazione.

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Figura 31: Struttura di una TGC in cui sono visibili i fili anodici ed i catodi in grafite; le strisce di lettura sono

ortogonali ai fili

Questi rivelatori hanno una struttura sostanzialmente simile a quella delle camere proporzionali a multifilo, con la differenza fondamentale che la distanza tra i fili anodici, pari a 1.8 mm, è maggiore della distanza tra il piano anodico e quello catodico, pari a 1.4 mm, con una conseguente sostanziale riduzione dello spessore della gap di gas. Il diametro dei fili anodici è pari a 50 μm, mentre lo spessore dei piani catodici è di 1.6 mm.

Il segnale proveniente dai fili anodici fornisce informazioni sul trigger, mentre le strip catodiche, separate dal volume di gas attraverso uno strato sottile di grafite e disposte ortogonalmente ai fili anodici, danno la seconda coordinata.

La miscela di gas utilizzata è composta da CO2 al 55% e n-C3H12 al 45% e la tensione di lavoro è pari a 3100 V.

Ogni singola camera è un doppietto di monostrati, quale quello illustrato in Figura 31, in dipendenza dalla sua collocazione all’interno dell’apparato.

2.6.1 La misura del momento e la sua risoluzione

Consideriamo una particella carica |±e| con momento p che si muove in un campo magnetico B, uniforme e perpendicolare alla direzione di moto: la traiettoria della particella è di tipo elicoidale con un raggio di curvatura dato dalla seguente relazione:

[ ] [ ][ ]TkB

GeVpm =ρ

ove k = 0.2998 GeV/T·m. In Figura 32 è rappresentata la traiettoria di una particella che attraversa una regione di lunghezza l in cui è attivo il campo magnetico.

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Figura 32: Definizione della sagitta di una particella in moto in un campo magnetico uniforme

Possiamo quindi ricavare la relazione pBlkl2

2/2

sin ==ρ

α

ed in prima approssimazione l’angolo di

deflessione della traiettoria della particella dovuto al campo risulta pari a pBlk≅α

. La sagitta della traiettoria è legata all’angolo di deflessione della stessa dalla relazione che segue:

82cos

2αραρρ ≅−=s da cui, sostituendo il valore di α, si ottiene:

pkBls8

2

=.

Il valore del momento p può essere pertanto dedotto dalla misura dell’angolo α o dalla misura della sagitta s.

Essendo lo Spettrometro magnetico in aria, i contributi alla risoluzione derivanti da fenomeni di scattering colombiano multiplo e dalla perdita di energia dei muoni per l’attraversamento del materiale sono limitati. Differenziando la relazione di cui sopra, si trova che la risoluzione percentuale del momento risulta uguale a quella della sagitta:

ss

pp Δ

La sagitta s può essere misurata mediante una serie di rivelatori di posizione, dotati di risoluzione σ, equidistanti nella direzione data dalla proiezione della traccia sul piano perpendicolare al campo magnetico B, assunto uniforme. In questo caso la risoluzione nella misura del momento risulta [5][6]:

5720

2 +=

Δ=

ΔNkBl

pss

pp σ

,

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con N numero di punti utilizzati nella misura. È possibile minimizzare quest’errore sulla determinazione della sagitta, per N fissato, ponendo i punti di misura in raggruppamenti all’esterno ed al centro del volume in cui è attivo il campo magnetico. Si ottiene

232

2

21

2 228

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛++⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛=

Δ=

Δ σσ

σkBl

pss

pp

dove σi sono le risoluzioni complessive nelle tre zone di misura. La configurazione con la quale si ottiene la miglior risoluzione prevede n misure distinte nelle zone esterne e 2n in quella interna. Nel caso N=8 questa soluzione permette di ottenere una risoluzione migliore del 30% di quella che si avrebbe con punti di misura equidistanti.

Nel caso dello Spettrometro dell’esperimento ATLAS, tutte e tre le stazioni di misura sono composte dallo stesso numero di rivelatori e quindi hanno la stessa risoluzione σ nella misura della posizione; si ottiene, dunque, la seguente relazione tra la σ richiesta alla singola camera e la risoluzione in momento:

pkBl

ss

832 2Δ

Per impulsi maggiori di 200 GeV la risoluzione è limitata soprattutto dall’errore nella misura della sagitta. Nell’intervallo di 25 < pT < 200 GeV il contributo più importante viene dallo scattering multiplo, mentre per pT < 25 GeV la risoluzione è dominata dalle fluttuazioni dell’energia persa nel calorimetro. Possiamo calcolare quale deve essere la risoluzione spaziale del singolo punto di misura per avere a pT =1 TeV una

risoluzione nella misura dell’impulso %10<Δpp

.

Figura 33: Il potere di curvatura del toroide relativo alla componente azimutale del

campo, in funzione della pseudorapidità. Le due curve si riferiscono ad angoli azimutali equispaziati

tra una bobina del Barrel ed una dell’End Cap.

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Consideriamo la zona a η = 0, ed assumiamo per l’integrale di campo il valore minimo in questo punto, ossia 2.3 Tm, come si può ricavare dalla Figura 33 In queste condizioni la sagitta è pari a circa 450 μm. Pertanto la risoluzione del singolo punto deve essere minore di 100 μm, considerando N = 18 punti di misura. In

particolare, per avere, in queste condizioni, un contributo al %7<Δpp

, la risoluzione di singolo punto deve

essere uguale a circa 80 μm.

La risoluzione necessaria per la misura del momento viene determinata dalla possibilità di ricostruire il decadimento delle particelle con stati finali muonici ricercate. Dato un sistema di due particelle con momenti

1pr e 2pr ed energie E1 ed E2, la massa invariante, per c=1, è definita come segue:

( ) ( )221

221

2 ppEEm rr+−+=

Alle alte energie dei muoni prodotti ad LHC è possibile trascurarne la masse (105 MeV), da cui:

( ) ( ) )cos1(2 12212

212

212 Θ−=+−+= ppppppm rr

dove 12Θ rappresenta l’angolo tra i due muoni e p1, p2 sono i moduli dei rispettivi momenti. Differenziando la relazione precedente si ottengono i contributi alla risoluzione dovuti all’incertezza nella misura del momento dei muoni e del loro angolo relativo:

)2/(221

12

12

ΘΔΘ

tgpp

mm

ove si è assunto p1 = p2 = p.

Considerando il canale muonico di ricerca relativo al bosone di Higgs, per ottenere una misura precisa della sua massa è necessario che l’errore sulla ricostruzione della massa invariante della coppia μ+μ- sia minore o dello stesso ordine della sua larghezza, che per mH < 200 GeV è inferiore ai 2 GeV. Inoltre la riduzione del background al decadimento H → Z*Z* → 4l avviene tramite tagli sulla massa invariante delle coppie di leptoni, per cui, affinché il metodo sia efficace, è necessario che la massa invariante del sistema μ+μ- sia inferiore alla larghezza totale del bosone intermedio Z (ΓZ ≈ 2.5 GeV). Per tali ragioni è opportuno che la

risoluzione sulla misura della massa invariante della coppia di muoni sia %1≈

Δmm

.

Per capire quale livello di accuratezza è richiesto alla misura del momento del muone, consideriamo il contributo dovuto all’errore sulla misura dell’angolo tra i due leptoni alla risoluzione sulla massa invariante:

Per bassi valori del momento (p ≈ 20 GeV) il termine 12ΔΘ è dovuto principalmente allo scattering coulombiano multiplo nei calorimetri che si trovano davanti allo Spettrometro. La deviazione angolare dovuta a queste interazioni è descritta dall’equazione

0

14Xl

p=Δα ,

ove p è il momento della particella espresso in MeV/c, X0 è la lunghezza di radiazione del materiale e l lo spessore dello stesso attraversato dai muoni. Per il sistema di calorimetria del rivelatore ATLAS (per η =0) lo

spessore totale è di ≈ 130 X0 e quindi si ottiene rad312 108 −⋅≈ΔΘ per p = 20 GeV. In tal caso il

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contributo angolare alla risoluzione sulla massa invariante risulta inferiore all’1% su un ampio intervallo di pseudorapidità. Per p > 100 GeV invece il contributo maggiore alla risoluzione sulla misura dell’angolo

12ΔΘ deriva dalla precisione della misura di posizione effettuata nella prima stazione di misura dello Spettrometro, posta a 4.5 m dal vertice di interazione. Nel caso in cui la risoluzione di quest’ultima sia

dell’ordine del mm si ottiene rad412 10 −≈ΔΘ .

Sia per bassi che per elevati valori del momento risulta, quindi, che l’errore sulla massa invariante del sistema μ+μ- è determinato principalmente dalla risoluzione sulla misura del momento dei muoni. Per cui otteniamo

%1≈Δpp

2.6.2 Il livello della radiazione di fondo

Un parametro fondamentale per la progettazione dello Spettrometro è rappresentato dal flusso di particelle che lo investe e che, a seconda della fonte che genera queste ultime, può essere distinto in due categorie: flusso di particelle cariche correlate alla collisione protone-protone e radiazione di fondo. Entrambi i tipi, comunque, hanno un impatto determinante sull’efficienza del sistema di trigger, sulla ricostruzione delle tracce, sulla risoluzione della misura di momento, sull’invecchiamento e conseguente danneggiamento dei rivelatori.

Le particelle correlate nel tempo alla frequenza delle collisioni tra i pacchetti di protoni provengono dal vertice d'interazione, dai decadimenti di adroni o dagli sciami e, in genere, hanno impulsi trasversi relativamente alti. I decadimenti semileptonici degli adroni con Beauty e Charm costituiscono la principale sorgente di muoni di ampio intervallo di momento trasverso. I muoni provenienti dai decadimenti di W e Z, invece, diventano significativi solo per pT > 20 GeV , mentre quelli provenienti dai decadimenti del top danno un contributo evidente quando pT supera i 100 GeV . Inoltre, anche adroni leggeri come π e K, provenienti dall'interazione primaria, possono decadere in volo nel rivelatore interno e dare origine a muoni, con sezione d'urto che domina su quelle degli altri decadimenti per piccoli valori di pT. Anche alcuni adroni primari non assorbiti nei calorimetri possono raggiungere lo Spettrometro (punch-through) o muoni generati dal decadimento di particelle prodotte negli sciami adronici all'interno dei calorimetri (showers muons).

Con il termine di “radiazione di fondo” indichiamo le particelle secondarie poco energetiche prodotte negli sciami dovuti all'interazione di adroni primari con i calorimetri “in avanti”, con il materiale di schermo o con altri elementi dell'acceleratore. Si tratta in maggioranza di neutroni e fotoni che provengono da processi di diseccitazione nucleare, indotti dallo sviluppo dello sciame adronico. Anche la cattura nucleare dei neutroni può produrre fotoni di diseccitazione, oltre a generare elettroni per decadimento β dei nuclei. I fotoni rivelabili sono, per la maggior parte, prodotti nell'ultima parte di materiale dei calorimetri e hanno energia compresa tra 100 keV e qualche MeV; il loro contributo al segnale di fondo è dato dalla creazione di elettroni a bassa energia, per conversione o per effetto Compton. Il fondo dovuto a fotoni e neutroni è caratterizzato principalmente da segnali non più correlati con un'interazione primaria p-p e prodotti su un unico elemento sensibile del rivelatore (ad esempio una camera RPC o un singolo tubo MDT).

In conclusione, la frequenza di conteggi nel Barrel è di circa 10 Hz/cm2, di cui circa 1 Hz/cm2 dovuto ai muoni, circa 6 Hz/cm2 agli elettroni e circa 3 Hz/cm2 agli adroni. Inoltre, la frequenza aumenta in

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corrispondenza del crescere della pseudorapidità e arriva a circa 1 kHz/cm2 per |η| pari a circa 2.7, caso in cui il contributo dominante è dovuto a muoni ed elettroni, mentre quello degli adroni è ridotto di un fattore 3. La dipendenza della frequenza dalla pseudorapidità ha implicato la scelta di rivelatori differenti nella regione dell'End Cap.

La quantità di segnali provocati da queste circostanze può essere ridotta minimizzando la sensibilità dei rivelatori ai fotoni. Infatti in generale l’efficienza di rivelazione dei neutroni nei rivelatori a gas è inferiore a quella dei fotoni. Inoltre i neutroni termici perdono energia prevalentemente per reazioni di cattura nucleare con conseguente produzione di fotoni con energia compresa tra 10 eV e 10 MeV. Essendo per i fotoni la sezione d’urto di scattering Compton e di produzione di coppie e+e- proporzionale rispettivamente a Z e Z2 (con Z numero atomico), l’interazione si ha con maggiore probabilità sulle pareti dei rivelatori. Minimizzando lo spessore di queste ultime è quindi possibile ridurre la probabilità di rivelazione di particelle neutre.

2.6.3 Nomenclatura e convenzioni per lo Spettrometro

Nell’ambito del presente lavoro di tesi, per ottimizzare il lavoro svolto direttamente sull’esperimento, si è resa necessaria la puntuale ed approfondita conoscenza della nomenclatura e delle convenzioni usate sullo Spettrometro, che illustrerò brevemente come segue.

• Regione – Si distinguono due regioni: il Barrel (B) per |η |< 1 e l’End Cap (E) per |η| > 1. L’End Cap è a sua volta suddiviso in un anello interno o Forward (F) ed uno esterno o External (E).

• Lato – L’apparato è diviso in due lati, A e C: il lato A è quello in corrispondenza della direzione positiva dell’asse z e il lato C di quella negativa.

• Stazione – Una stazione è definita come l’allocazione di una camera o di un gruppo di camere. Le stazioni prendono i nomi di: I(nner), E(xtra), M(iddle) ed O(uter). Limitatamente al Barrel i tre cilindri concentrici sono indicati con I, M, O, mentre manca l’E.

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Figura 34: Nomenclatura e numerazione per le camere di un settore dispari (Large) sopra e pari (Small) sotto

• Settore – Con il termine Settore si designa ciascuna delle regioni di differente angolo azimutale in cui è suddiviso l’intero apparato dalle strutture che costituiscono il sistema magnetico toroidale del Barrel.

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Figura 35: Numerazione degli RPC sullo Spettrometro

I Settori ATLAS sono numerati da 1 a 16 a partire dall’angolo φ =0 e crescenti nel verso crescente di φ, come illustrato in Figura 35. I dispari occupano lo spazio compreso tra due spire consecutive, mentre i pari sono situati in corrispondenza di ogni singola spira. La diversa disposizione implica diverse dimensioni delle camere: per i settori dispari queste sono maggiori, da cui la denominazione L(arge), mentre per quelli pari S(mall), come illustrato in Figura 34.

Ogni Settore ATLAS è suddiviso in quattro “settori logici o di trigger”: due sul lato A dell’esperimento e due sul lato C. Pertanto la numerazione dei settori logici, come illustrato in Figura 35 procede da 0 a 31 sul lato C e da 32 a 63 sul lato A.

• Torre Proiettiva – Si definisce con questo termine un insieme di camere appartenente allo stesso angolo solido visto dal punto di interazione.

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Figura 36: Struttura proiettiva dello Spettrometro

In particolare, di seguito approfondiamo la nomenclatura e convenzioni per le camere:

• Camera – Con questo termine si fa riferimento al singolo strato (layer) di rivelatore attivo; gli strati sono assemblati in strutture meccaniche comuni. Nel dettaglio un contatore consiste di:

− Singolo strato di tubi per le MDT, − Piano di fili per le CSC, − Singola gap di gas per gli RPC, − Piano di fili per le TGC.

• Unità – Un’unità è l’insieme di più strati di contatori: − Multistrato di tre o quattro strati di MDT, − Un gruppo di quattro piani per CSC, − Doppia gap di gas per gli RPC, − Doppio o triplo piano di fili per le TGC.

• Modulo – Un modulo è formato da una o più unità assemblate assieme in un’unica struttura meccanica. Può funzionare come un rivelatore indipendente od essere parte di un sistema più complesso, denominato Set:

− Insieme di uno o due multistrati per gli MDT, − Un gruppo di quattro piani per CSC, − Una o due unità connesse nella direzione dell’azimuth per gli RPC, − Da due a cinque unità connesse nella direzione radiale e/o dell’azimuth per le TGC.

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Capitolo 3

Il Trigger ed i rivelatori RPC

3.1 Introduzione

Un sistema di trigger consta di un insieme di dispositivi e strumenti sia elettronici che informatici, che fornisce un segnale veloce ogni volta che si verifica un evento “interessante” (relativamente a certi criteri specifici) ed abilita un certo gruppo di rivelatori ad acquisire, processare ed archiviare detto evento, nelle condizioni imposte dalle richieste di massima efficienza per il programma di fisica, di ampiezza di banda e di potenza di calcolo disponibili.

Per superare la selezione del trigger, l’evento deve soddisfare dei criteri e verificare delle caratteristiche, l’insieme dei quali costituisce la “segnatura”. In generale la lista delle selezioni deve essere flessibile, estendibile ed adatta alla rivelazione anche di fenomeni non previsti.

Nei grandi esperimenti, il trigger è implementato su diversi livelli: il primo livello individua in tempi brevi gli eventi candidati, riducendo il rate di alcuni ordini di grandezza. I dati, quindi, vengono digitalizzati e trasmessi a dei registri che li sottomettono ad algoritmi complessi, atti a ridurre ulteriormente il rate. Infine dopo un’ulteriore selezione, via software, ad opera dell’Event Filter, gli eventi che hanno soddisfatto tutti i criteri e sono dotati delle caratteristiche confacenti agli scopi dell’analisi, vengono ricostruiti e mandati alla scrittura su disco.

3.2 Il Trigger dell’esperimento ATLAS

Figura 37: Schema a blocchi del sistema di trigger e di acquisizione dati dell’esperimento ATLAS

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Il funzionamento di LHC in pieno regime (fase di elevata luminosità) comporterà la produzione di un tasso di particelle estremamente elevato; tenendo conto del valore stimato per la sezione d’urto protone-protone, pari a circa 100 mbarn, e nell’ipotesi di più elevata luminosità, pari a circa 1034cm-2s-1, si calcola che il tasso di eventi generati dalla collisione di ogni coppia di pacchetti è di circa 109 eventi s-1. Prendendo in considerazione la frequenza di incrocio dei fasci, pari a 40 MHz, la frequenza di eventi suddetta corrisponde a circa 25 interazioni per bunch crossing. L’analisi accurata di un così elevato numero di eventi richiederebbe un dispendio di energie non indifferente, non solo in termini di tempo necessario all’analisi, ma anche in termini di costi, poiché sarebbe necessario l’impiego di un’elettronica di lettura ed un sistema di acquisizione dati eccessivamente complessi. Pertanto occorre concentrare l’attenzione esclusivamente sugli eventi che presentano caratteristiche di particolare interesse per il programma di ricerca di LHC, operando una selezione sugli eventi prodotti, in modo che la frequenza finale di acquisizione sia di circa 109 Hz contro i 106 kHz di produzione: lo scopo del sistema di trigger è proprio quello di operare tale selezione.

Il sistema di trigger, di cui è illustrato lo schema a blocchi in Figura 37 è stato organizzato in tre livelli di filtri progressivamente più complessi, ognuno dei quali applica selezioni e tagli agli eventi che hanno superato il livello che lo precede. I primi due livelli sono realizzati mediante un sistema di tipo hardware, ovvero il trigger e l’algoritmo di selezione sono implementati su schede installate “on-board” rispetto ai rivelatori e sull’elettronica di lettura. Il terzo, detto anche “Event Filter”, si basa invece interamente su un sistema di tipo software.

Come illustrato nello schema in Figura 37 il sistema di trigger consente di selezionare 100 eventi al secondo, da un rate di eventi di circa 1 GHz di partenza, con un fattore di reiezione di 107, corrispondente quindi ad un evento registrato ogni 10 milioni.

3.1.1 Il trigger di primo livello

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Figura 38: Diagramma del primo livello di trigger

Il primo livello (LVL1), come illustrato nello schema a blocchi in Figura 38 opera una selezione iniziale degli eventi basata su informazioni a bassa “granularità” provenienti dalle camere di trigger di muoni e dai calorimetri ed ha il compito di ridurre il rate degli eventi dai 40 MHz di ingresso a 75 kHz, estendibile fino ad un massimo di 100 kHz; tale limite infatti, è fissato dalla velocità e dalla profondità delle memorie dei sistemi di lettura.

Il sistema calorimetrico e quello muonico possono, a loro volta, essere divisi in due parti, una riguardante i dati provenienti dalla zona del Barrel e l’altra dalla zona dell’End Cap. Essendo i rivelatori usati di tipo differente, anche gli algoritmi usati sono diversi e ciò implica un’elaborazione separata dei vari sistemi di trigger. In particolare, i segnali riguardanti lo Spettrometro per muoni sono riuniti nel MUCTPI (MUon to CTP Interface) prima di passare al CTP (Central Trigger Processor). I dati provenienti dai due sottosistemi del calorimetro si riuniscono direttamente nel CTP, il quale è in grado di prendere una decisione sull’accettazione o meno dell’evento.

I due trigger, quello muonico e quello calorimetrico, lavorano in parallelo ed hanno compiti distinti: il trigger muonico si basa sull’identificazione di muoni ad alto impulso trasverso pT (mediante misure di energia e posizione), quello calorimetrico sulla ricognizione di cluster6 elettromagnetici (mediante misure di energia e posizione) e jet adronici dovuti al decadimento del tau o di singoli adroni (misure di energia).

Il trigger calorimetrico

6 Nell'ambito scientifico, con il termine cluster si intende un gruppo di elementi omogenei, simili o vicini tra loro dal punto di vista della posizione o della composizione

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Figura 39: Torri di trigger nel sistema calorimetrico

Prendiamo, brevemente, in considerazione il trigger calorimetrico, facendo riferimento alla Figura 39. Il sistema è basato sulla segmentazione in cellette, dette torri di trigger, di dimensione Δη x Δφ ≈ 0.1 x 0.1 Ogni torre è costituita da due strati sovrapposti: uno appartenente al calorimetro elettromagnetico, l'altro a quello adronico. Per implementare l'algoritmo, viene preso in considerazione un cluster formato da 4 x 4 cellette di trigger all'interno del quale viene applicata una soglia in “energia trasversa” entro un'area di 2 x 2 cellette situata al centro di ogni finestra nel calorimetro elettromagnetico.

L’aspetto essenziale di questo livello di selezione consiste nell’identificazione univoca del pacchetto di protoni cui l’evento vada riferito, fornendo, ai livelli successivi, le informazioni sulla Regione di Interesse, RoI, costituite dalla posizione (η, φ), il range di pT, la somma delle energie degli oggetti. Obiettivo, il suddetto, nient’affatto banale poiché i pacchetti sono intervallati di soli 25 ns e nello Spettrometro muonico le dimensioni stesse del rivelatore implicano tempi di volo dei muoni paragonabili a tale periodo.

Durante il tempo di latenza7 i dati provenienti dai canali di lettura vengono immagazzinati in dispositivi simili a registri di scorrimento, le pipeline memory, a seguito della decisione del trigger vengono passati ai Read Out Driver (ROD) e quindi nei Read Out Buffer (ROB), accessibili ai successivi livelli di trigger o vengono eliminati, se non soddisfano i criteri di selezione prescelti.

Il trigger muonico nella regione del Barrel

Lo Spettrometro è suddiviso nelle regioni del Barrel e dell’End Cap, mentre la regione intermedia è detta “di transizione”.

7 Il “tempo di latenza” è il tempo impiegato dal sistema per elaborare e deliberare in merito ad una scelta e, quindi, distribuire la decisione di trigger

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Il principio di funzionamento è basato sulla deflessione delle tracce dei muoni nell'attraversamento del campo magnetico toroidale generato da tre grandi magneti (uno nel Barrel e due nelle regioni di End Cap), come descritto nel Capitolo 2.

Gli obiettivi di ricerca comportano la necessità di selezionare eventi caratterizzati sia da muoni con basso momento trasverso, pT > 6 GeV (LowPt), per l’identificazione dei mesoni B, sia da muoni con pT > 20 GeV (HighPt) per la ricerca del bosone di Higgs, dello Z0, etc. Sono state sviluppate, per questo, due differenti logiche di trigger.

La risoluzione della misura del muone di basso momento trasverso è pari al 20% e scende al 30% per i muoni di alto momento trasverso. La soglia nel momento trasverso è determinata dalla larghezza spaziale della finestra di coincidenza che, a sua volta, dipende dalla pseudorapidità e dall’angolo azimutale. Per una soglia di momento pari a 20 GeV, la larghezza media della finestra di coincidenza è di 40 cm nel Barrel e di 5-10 cm nell’End Cap.

Le tecnologie di rivelazione utilizzate nello Spettrometro nelle regioni caratterizzate da diversi valori di η dipendono dai flussi di particelle a cui i rivelatori devono operare. In particolare, come camere di trigger, sono impiegati gli RPC nella regione del Barrel e i TGC nelle regioni di End Cap.

L’impiego degli RPC, i rivelatori di nostro precipuo interesse, è contemplato solo nel Barrel e precisamente nelle stazioni denominate Middle ed Outer. Nelle stazioni di tipo Middle sono collocati due piani di RPC, sopra e sotto il corrispondente piano MDT: quello più vicino al vertice di interazione è detto “piano di conferma (di LowPt)” (in Figura 40 è indicato come RPC1), mentre l’altro è detto “piano pivot” (in Figura 40 è indicato come RPC2). Le stazioni di tipo Outer prevedono un solo piano di RPC, dal lato più esterno rispetto al punto di interazione, che è detto “piano di conferma (di HighPt)” (indicato come RPC3 in figura).

Figura 40: Schema dell’algoritmo di trigger di primo livello per muoni

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Figura 41: Schema tridimensionale dell’algoritmo di trigger di primo livello

Segmentazione del sistema di trigger e schema del sistema elettronico

Le camere dello Spettrometro, in particolare quelle di trigger, sono segmentate 16 volte nella direzione azimutale, seguendo lo schema ottagonale dei toroidi che generano il campo magnetico presente in tale regione. Come si è già accennato nel Capitolo 2, ognuno di questi settori fisici, dal punto di vista della logica di trigger, è diviso in quattro parti, in modo da ottenere 32 settori di trigger per la metà del Barrel posta ad η < 0 ed altrettanti per la metà del Barrel posta a η > 0, per un totale di 64 settori logici di trigger. Oltre alla distinzione in settori grandi (Large) e settori piccoli (Small), si deve tenere conto dei settori particolari in corrispondenza delle strutture che sostengono l'intero apparato sperimentale.

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La segmentazione lungo l'asse z risulta più complessa e può variare da un settore all'altro.

Una volta che il segnale è uscito dalle camere RPC, passa attraverso l’elettronica di front end, che lo amplifica, filtra e discrimina prima che esso sia utilizzato dal sistema di trigger. Il circuito è terminato su entrambi i lati con un resistore di valore pari all’impedenza caratteristica delle strip, per evitare problemi di riflessione. L’ampiezza del segnale che si presenta al circuito di front end è pari a metà del segnale indotto sulla strip.

L’elettronica di front end è stata realizzata su di un chip ad 8 canali con tecnologia GaAs [1], le cui prestazioni garantiscono un’elevata velocità di trasmissione, alti guadagni ed un’ottima resistenza alla radiazione. La sua struttura è composta da un amplificatore a tre stadi e da un comparatore a soglia variabile. Il segnale in uscita è in logica ECL.

Le principali caratteristiche del chip sono le seguenti:

Amplificazione massima pari a 300 attorno a 100 MHz e banda passante fino a 300 MHz. Soglia minima del comparatore 50 mV, la quale corrisponde ad una soglia minima del segnale pari a 170 μV.

Figura 42: Schema dell’elettronica di front end

La soglia fisica Vph è imposta al discriminatore mediante l’applicazione di una tensione negativa Vth compresa tra 0 e -1.4V, secondo la seguente relazione:

3ee

thphV

VV −=, dove Vee è la tensione di alimentazione pari a circa – 6V.

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Figura 43: Esempio di suddivisione delle camere RPC3 in OR logico (sulla PAD) o hardware (Wired-OR)

Il Sistema di AcQuisizione Dati (DAQ) e quello di trigger devono essere sincronizzati col segnale di cadenza di LHC. Questa richiesta non è necessaria per gli elementi di preamplificazione e discriminazione dei segnali. Infatti, il processo di formazione dell’evento, sebbene cadenzato dal bunch crossing, è intrinsecamente asincrono, in quanto dipendente dal tempo di volo del muone, dalla scarica nel rivelatore RPC e dal tempo di propagazione del segnale lungo le strip di lettura.

I segnali provenienti dall’elettronica di front end sono spediti su cavo lungo due percorsi, quello di Read-Out e quello di trigger. Prima di entrare nelle CMA (Coincidence Matrix ASIC8), i segnali vengono formati e preprocessati [2].

Ogni camera RPC2 e RPC3 ospita due PAD, una per settore: la PAD è una scheda che si occupa di raccogliere, impacchettare e spedire i dati al livello di trigger successivo. Ogni settore è gestito, sia sul lato A che sul lato C, da 7 PAD, (se si tratta un settore Large) o da 6 PAD (se è un settore Small).

Le schede PAD Logic “LowPt” con le quattro CMA “LowPt” sono montate sulla stazione RPC2, mentre la scheda PAD Logic “HighPt” con le quattro CMA “HighPt” è montata direttamente sulla stazione RPC3. Ogni CMA prende i dati provenienti da metà camera e, essendo questa formata da due piani da 64 strip per ogni direzione, per il piano di pivot è composta da due ingressi da 32 bit. Gli ingressi relativi ai piani di conferma, invece, sono 2 x 64 (il 2 è riferito ai 2 piani di strip) dato che 64 strip rappresentano la lunghezza massima (nella zona coperta da una CMA) percorsa dalla particella deflessa dal campo magnetico.

I dati di Read-Out sono immagazzinati in banchi di memoria, di profondità programmabile, in attesa della decisione del trigger di livello 1. Se viene dato il segnale L1A (Level 1 Accept), i dati sono promossi alle

8 Application Specific Integrated Circuit

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memorie FIFO (derandomizer) che li predispongono per l’uscita seriale, altrimenti sono eliminati. Le memorie devono mantenere i dati per il tempo di latenza del trigger di livello 1, cioè tutto il tempo in cui il trigger elabora i dati e decide se accettare o meno l’evento.

Figura 44: Segmentazione di un settore Small

A causa della sovrapposizione delle finestre di coincidenza, un singolo RPC può spedire i suoi segnali a più CMA. Per questa ragione i segnali in uscita dal RPC1 e RPC3 passano attraverso delle schede, dette splitter, che hanno il compito di duplicare il segnale, così che questo possa guidare più di un ingresso delle Matrici di Coincidenza. Altro compito degli splitter è quello di convertire dalla logica ECL a LVDS9 i segnali in uscita dal front end.

Figura 45: Schema dell’elettronica di acquisizione. Le linee chiare rappresentano i dati del rivelatore, le scure indicano i dati di trigger

9 LVDS: Low Voltage Differential Signaling. È un sistema di trasmissione differenziale. Il segnale LVDS è generato da un Driver, che trasforma i segnali logici in segnali differenziali, e letto da un Receiver,

che, viceversa, trasforma i segnali differenziali in segnali logici. I livelli logici dei segnali sono 1.0 e 1.3 V, mentre l’impedenza caratteristica del filo è di 120 Ω. Il sistema ha il pregio di avere un’alta velocità di

trasmissione (nell’ordine dei Mbps), una bassa dissipazione di potenza, e poco rumore.

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Nella Figura 46 viene mostrata la struttura di un settore di trigger di ATLAS. Una PAD, montata su delle camere RPC, interessa logicamente metà camera di trigger RPC lungo la direzione φ e contiene al suo interno quattro CMA, con le quali riesce a coprire un settore Δη x Δφ ≈ 0.2 x 0.2, il quale a sua volta racchiude quattro regioni d’interesse ROI. Ogni ROI è una regione di spazio definita dalla sovrapposizione di una matrice di coincidenza in η ed una in φ e copre un settore Δη x Δφ ≈ 0.1 x 0.1, mentre le CMA η un settore Δη x Δφ ≈ 0.1 x 0.2 e le CMA φ un settore Δη x Δφ ≈ 0.2 x 0.1.

La coincidenza è verificata in una matrice programmabile in funzione della soglia di momento trasverso impostata. Ogni scheda CMA, di dimensioni pari a 32 x 64 celle, consente di programmare contemporaneamente fino a tre diverse condizioni di trigger. Inoltre è possibile programmare la coincidenza di majority 2/4, 3/4 o 4/4 tra i quattro piani di rivelatori. Ad esempio, nel caso di majority 3/4, la condizione di trigger è valida soltanto se, all’interno della finestra di trigger, sono rilevati, nella coincidenza temporale di 20 ns, almeno tre dei quattro segnali ricevuti dalle due stazioni di trigger.

Figura 46: Esempio di scheda PAD

La CMA è in grado di avere accesso a tutti i dati necessari per coprire la finestra aperta sul piano sottostante nella ricerca degli hit lasciati dai muoni (l’apertura della finestra dipende dalla soglia scelta per il pT); la logica CMA è eseguita separatamente per η e φ ed il numero di segnali d’ingresso è scelto in base al numero di strip presenti sulla camera, il quale varia a seconda della grandezza della stessa. Le strip che formano una camera di trigger sono controllate da due coppie di CMA (due per la direzione η e due per la φ). Il primo blocco che i dati in uscita dalle strip φ degli RPC del piano di conferma incontra all’ingresso della PAD sono le schede OR. Queste si occupano di mettere in OR-logico i segnali provenienti dalle camere RPC1 o RPC3 adiacenti, fino ad un massimo di tre: in una torre di trigger il cammino di un muone sulle strip φ può essere lungo fino a tre camere ed occorre tenere in considerazione i segnali da queste provenienti per poter così creare una strip “virtuale” lunga quanto tutto il settore d’interesse. Le coppie di RPC che formano una camera di trigger vengono invece collegate già direttamente in φ tramite un Wired-OR. La necessità di duplicare il segnale per le strip η, affinché questo venga letto da due CMA diverse contemporaneamente, è

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dovuta alla geometria delle camere ed alle sovrapposizioni; in termini di strip, la curvatura massima di una particella può interessare fino ad un massimo di 128 strip η.

Per la soglia di pT > 6 GeV (LowPt) l’algoritmo di trigger impiega le informazioni provenienti dai soli piani di “pivot” (RPC1) e di “confirm LowPt“(RPC2). Si controlla per primo RPC2, il piano di pivot: qualora si sia accesa una strip su di esso, viene effettuata una ricerca di strip attivate sul piano RPC1 in una regione detta “finestra di coincidenza”. Quest’ultima viene delimitata da un cono, il cui asse coincide con la congiungente il vertice di interazione con la strip accesa sul piano di pivot: tale linea rappresenta la traiettoria di una particella con momento idealmente infinito, pertanto è detta “traccia di impulso infinito”. Per effetto del campo magnetico un muone di impulso finito presenterà, invece, una deflessione, la quale, funzione del momento, può essere ricostruita a partire dalla distanza d della strip attivata sul piano “cardine”, ovvero di pivot dall’asse del cono: quanto maggiore è pT, minore sarà la deflessione e minore sarà la distanza d. In definitiva la finestra di coincidenza può essere calcolata come funzione del taglio in impulso trasverso che si vuole effettuare. I muoni con momento trasverso inferiore alla soglia finiscono al di fuori della finestra di coincidenza. La selezione dei muoni con momento trasverso pari a pT > 20 GeV (HighPt) è prodotta dall’utilizzo di ambedue le stazioni, Middle ed Outer: ai criteri di coincidenza di LowPt si aggiunge come ulteriore richiesta anche la coincidenza con il piano più esterno, il “confirm di HighPt” (RPC3). Per far fronte al fondo dovuto a particelle di bassa energia, per l’algoritmo di LowPt è richiesta una coincidenza dei segnali provenienti da almeno tre dei quattro piani dei due doppietti di RPC impiegati, secondo la logica di majority ¾; mentre per l’algoritmo di HighPt, è richiesta una coincidenza dei risultati dell’algoritmo di LowPt con i segnali di almeno uno dei piani del doppietto di RPC3, secondo la logica di majority ½.

Figura 47: Finestra di coincidenza

Per ridurre i conteggi di trigger accidentali, dovuti principalmente alle particelle di bassa energia costituenti il fondo, l’algoritmo è applicato indipendentemente in entrambe le proiezioni η e φ per entrambe le tipologie: un trigger è considerato valido solo se sono soddisfatti i criteri di selezione per entrambe le proiezioni.

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Figura 48: Architettura del trigger muonico nel Barrel

I segnali del RPC3 e quelli delle CMA di LowPt sono raccolti da quattro CMA di HighPt montate sulla PAD di HighPt. Quest’ultima prende i dati di Read-Out, che le sono stati inviati dalle otto CMA, più i dati di trigger relativi alla soglia ed all’overlap delle CMA di High e LowPt. A seguito dell’elaborazione, tramite un FPGA (Field Programmable Gate Array), essa individua sia il segnale a soglia maggiore, indicandone anche la ROI di provenienza, sia eventuali sovrapposizioni, ed invia tali informazioni, in pacchetti di otto bit, per trasmissione seriale tramite fibra ottica, ad una frequenza di 40 MHz, all’elettronica situata in una stanza esterna al rivelatore. Mentre il protocollo di trasmissione dei dati di Read Out è asincrono ed è regolato dal presentarsi del segnale di L1A (circa 100 kHz), i dati di trigger sono trasferiti con protocollo sincrono, alla frequenza di bunch crossing (40 MHz) e con una latenza piccola (per limitare al minimo le dimensioni e per non saturare le successive memorie pipeline) e fissata (per permettere un’esatta calibrazione temporale del sistema di acquisizione).

La Figura 49 mostra la struttura del crate VME, situato nella sala di conteggio USA15, distante circa 80 m dal punto di interazione dei fasci, che accoglie le schede Sector Logic, i concentratori ottici (in figura RX) ed i ROD. Ciascun ROD gestisce i dati provenienti da uno dei 64 settori in cui è diviso lo Spettrometro.

Figura 49: Struttura del crate VME in sala conteggio

Il compito del ROD è di ricevere le informazioni eseguirne un ulteriore “impacchettamento” (framing), prima di trasferirli ai Read Out Buffer (ROB).

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Figura 50: Schema a blocchi del ROD

Ogni Sector Logic, situata in sala di controllo, raccoglie i dati di trigger provenienti dalle PAD di HighPt e copre una regione, a causa della sovrapposizione suddetta, di Δη x Δφ ≈ 1.0 x 0.2. I suoi compiti sono i seguenti:

Controllare la corretta temporizzazione dei dati in ingresso. Eseguire la coincidenza con il calorimetro elettromagnetico. Eseguire un filtro sui muoni di LowPt, mediante il controllo della presenza di hit sulla stazione di trigger RPC3. Risolvere sovrapposizioni in η tra differenti PAD interne al medesimo settore logico di trigger; Selezionare i due muoni con la più alta soglia ed associare loro la regione d’interesse RoI con un unico identificativo di bunch crossing. Inoltre, definendo una finestra in impulso intorno al più elevato pT identificato, segnalare con una flag la presenza, in una regione identificata da una PAD, di più di un muone con l’impulso compreso in tale finestra.

Il MUCTPI raccoglie i dati provenienti dal Barrel e dall’End Cap ed ha, principalmente, i seguenti compiti: • Risolvere sovrapposizioni nel caso di due camere appartenenti a settori adiacenti, dato che una

particella potrebbe generare due segnali in due SL. • Allineare temporalmente i dati provenienti dai diversi settori, assegnandoli alle giuste ROI.

Il MUCTPI è composto di vari moduli, fra i quali, l’ultimo, il Muon Interface Read-Out-Driver (MIROD), spedisce i dati al trigger di secondo livello (LVL2) e al sistema DAQ.

Dal MUCTPI i dati vengono mandati al CTP, il quale genera la decisione del livello 1 con un tempo di latenza medio di circa 2.5 μs (inclusi i tempi di propagazione sui cavi). Il CTP si interfaccia al TTC (Timing Trigger Control), generando un segnale di L1A (Level 1 Accept) in caso venga accettato il processo, ed al livello 2, fornendo informazioni sui criteri di accettazione.

Il TTC (Trigger Timing Control) si occupa di distribuire il clock (40MHz), sincronizzato con quello di LHC, a tutti i dispositivi, insieme ai segnali di L1A. Inoltre controlla l’identificativo del bunch crossing (il BCID),

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che deve essere univoco: i segnali rivelati nei diversi dispositivi, generati dallo stesso evento, devono avere lo stesso identificativo di bunch crossing.

Figura 51: Architettura del trigger muonico

3.1.2 Il trigger di secondo livello

Il trigger di secondo livello LVL2, basato su algoritmi software, riduce ulteriormente il rate di acquisizione da circa 100 kHz (dopo il LVL1) a circa 1 kHz (fattore di reiezione dell’ordine di 102) e si occupa di analizzare, in base alle informazioni sulle RoI ricevute dal LVL1, i dati provenienti da tutti i rivelatori, compresi quelli ad elevata granularità.

Ad esempio, per elettroni e fotoni isolati si analizza l’informazione granulare del calorimetro elettromagnetico, in combinazione (per i fotoni) con la ricostruzione di tracce molto energetiche nel rivelatore interno. I jet tauonici sono individuati sfruttando la granularità fine del calorimetro adronico e la ricerca di tracce ad alto pT dell’Inner detector. In particolare, per la rivelazione dei muoni, i dati provenienti dal LV1, che contengono informazioni parziali, vengono integrati con quelli degli MDT e CSC e del rivelatore interno. La traccia viene ricostruita nelle camere a precisione MDT del Barrel, (o CSC nell’End Cap) limitatamente alle regioni individuate dagli RPC (o TGC); quindi viene eseguita un’estrapolazione fino al vertice mediante le informazioni dei calorimetri e dell’Inner detector. Più in particolare i dati provenienti dalle ROI vengono processati localmente tramite un algoritmo software (chiamato μ-fast) in grado di determinare i parametri della traccia (η, φ, pT).

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Figura 52: Costruzione della traiettoria di un muone all’interno dello Spettrometro, ottenuta con la tecnica del

superpunto

Il primo passo dell'algoritmo è di utilizzare le informazioni delle strip degli RPC e del trigger LVL1 per definire le regioni, all'interno delle camere MDT, in cui effettuare la ricostruzione delle tracce (pattern recognition). Le traiettorie dei muoni sono quindi valutate su due piani ortogonali: r – z, ove è forte l’effetto del campo magnetico toroidale, e nel piano r – φ. Mediante operazioni di fit, nel piano r – z, la traiettoria del muone è descritta dall’arco di circonferenza dovuto alla presenza del campo, da una linea tangente alla circonferenza laddove il campo è assente.

Per i muoni di HighPt sono utilizzati, per il fit, un punto sulla stazione più interna, RPC1, ed uno su quella più esterna, RPC3, oltre al vertice nominale di interazione. Per i muoni di LowPt, invece, sono utilizzati due punti sulle due stazioni più interne (RPC1 e RPC2) ed il punto di interazione. Ogni punto è ottenuto mediando su tutte le strip accese in tutti gli strati di una data stazione di RPC.

Nel piano r – φ sono effettuati due fit lineari indipendenti, utilizzando la stazione esterna/interna ed il punto nominale di interazione. La direzione media tra queste due linee rette viene impiegata come stima della traiettoria del muone. Quest’ultima è utilizzata nel calcolo del tempo di deriva per i tubi accesi negli MDT.

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Figura 53: Costruzione della traiettoria di un muone all’interno dello Spettrometro, ottenuta con la tecnica del superpunto

Il passo successivo consiste nell’effettuare un fit lineare utilizzando i tempi di drift dei tubi selezionati dell’algoritmo di contiguità in ogni stazione di MDT. Il risultato dei fit fornisce la misura dei tre punti (i cosiddetti “superpunti”), uno per stazione di MDT, utili per la determinazione della sagitta. Quest’ultima è definita come la distanza dal superpunto, valutato nella stazione mediana, dalla retta congiungente i superpunti delle stazioni interna ed esterna. Tipicamente un muone con impulso traverso di 20 GeV ha una sagitta dell’ordine di 2 – 3 cm nello Spettrometro.

Infine per stimare il pT della traccia ricostruita, viene impiegata una tabella detta Look-Up Table, LUT, e una relazione lineare tra sagitta e pT che permette di convertire la misura della sagitta e la posizione di una traccia all’interno dello Spettrometro, in una misura di pT.

3.1.3 Il trigger di terzo livello Il trigger di terzo livello od Event Filter fornisce la selezione finale degli eventi online, utilizzando come punto di partenza dell’analisi i risultati ottenuti al secondo livello (le coordinate η e φ e l’impulso pT). La sua caratteristica distintiva consta nell’implementazione in tempo reale della prima analisi dell’intero insieme di dati relativi ad un evento; quanto detto comporta le conseguenze ivi riportate:

• esso opera mediante gli algoritmi derivati da quelli per la ricostruzione e l’analisi offline; • si rendono necessari vincoli per gli algoritmi di ricostruzione dovuti sia al tempo di processamento

sia alla quantità di dati a disposizione; • non sono possibili ripetizioni o ripensamenti: un evento, una volta scartato, non si può recuperare

più. In una prima fase dell’elaborazione viene confermata la classificazione degli eventi operata dal LVL2, successivamente viene eseguita un’analisi più accurata dell’evento utilizzando, inoltre, la mappa completa della geometria dell’apparato sperimentale, del campo magnetico e delle costanti di calibrazione.

La funzione primaria dell’Event Filter è la riduzione del rate di acquisizione del livello precedente (1-2 kHz) ad un valore, stimato dal gruppo Physics and Event Selection Architecture (PESA) dell’ordine di 260 Hz [3].

Ulteriori funzioni dell’Event Filter sono il monitoraggio delle prestazioni dei rivelatori, al fine di assicurare la qualità dei dati registrati, la loro calibrazione e l’attivazione di procedure iterative di allineamento.

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3.2 Il Sistema di Acquisizione (DAQ) ed il Sistema di Controllo (DCS)

Figura 54: Architettura globale del Sistema di Acquisizione Dati di ATLAS

Il sistema di AcQuisizione Dati (DAQ) gestisce la distribuzione dei dati dal ROD all’archiviazione di massa ed il completo monitoraggio e controllo della presa dati ed è organizzato in due parti: il DataFlow e l’Online Software.

Il sistema di DataFlow provvede alle funzionalità di ricevere e memorizzare in appositi registri i dati che vengono inviati dal ROD, distribuisce gli eventi all’High Level Trigger (HLT) e manda gli eventi selezionati all’archiviazione di massa. Queste funzioni sono gestite dai quattro sottosistemi denominate Read Out, il DataFlow LVL2, l’Event Builder e l’Event Filter Input/Output. Il sottosistema di Read Out riceve e memorizza in appositi registri gli eventi ed i messaggi di controllo che hanno superato la selezione del trigger di secondo livello.

L’Event Builder raccoglie dai ROD tutti i frammenti corrispondenti allo stesso bunch crossing e ricostruisce l’evento in modo completo e con una formattazione prestabilita.

L’Event Filter I/O trasmette gli eventi ricostruiti all’archiviazione di massa.

Il sistema software online si occupa di gestire i controlli dell’intero esperimento: esso provvede al controllo dei dati e dei parametri operativi dei run, alla configurazione dei sistemi di HLT e DAQ e gestisce le varie ripartizioni dell’acquisizione dati. Le suddette funzioni sono assegnate a due sistemi che lavorano in parallelo: alcune sono pertinenti allo stesso DAQ, altre al Sistema di Controllo (DCS).

Il compito del Detector Control System (DCS) è quello di rappresentare un’interfaccia verso il rivelatore capace di garantire un costante monitoraggio dei parametri di funzionamento e tale da consentire il controllo delle funzioni operative. Questo tipo di sistema prevede l’implementazione di processi automatici in grado di effettuare un condizionamento dell’apparato coerente con le specifiche caratteristiche costruttive e di

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funzionamento ed in grado di assicurare una totale integrazione con il progetto in cui è inserito. Requisito fondamentale è l’alto livello di compatibilità, tale da permettere l’interfacciamento omogeneo con tutti i sottorivelatori e le infrastrutture tecniche. Sulla base dell’acquisizione dei parametri monitorati, il sistema deve essere in grado di individuare eventuali situazioni anomale, segnalarle agli operatori, quindi provvedere ad operazioni correttive specifiche ed automatiche. Pur seguendo percorsi operativi diversi, è necessario un fitto interscambio tra il DAQ ed il DCS, nonché tra il DCS ed i servizi tecnici (il fascio di LHC, elettricità, raffreddamento, ventilazione, magneti, etc). Il DCS [4] è suddiviso in due componenti: il Back End, a struttura distribuita, ha un carattere prevalentemente software; il Front end raggruppa i dispositivi di acquisizione e di controllo interfacciati direttamente agli apparati sperimentali. Dal punto di vista dell’architettura, è concepito come un insieme di sottosistemi indipendenti distribuiti in modo gerarchico in una struttura ad albero e ciascuna delle singole componenti realizza un’unità di controllo dotata di applicazioni autonome. L’intero apparato è quindi impostato secondo uno schema piramidale come una Macchina a Stati Finiti: ogni unità è organizzata con un insieme di stati ben definiti e le transizioni tra questi ultimi sono legate all’esecuzione di comandi specifici od al verificarsi di particolari eventi. Il controllo generale dell’apparato è affidato alla Global Control Station (GCS) che ha il compito di supervisionare e controllare ad alto livello tutti i sottorivelatori. Tutti i processi legati all’elaborazione dei dati ed all’esecuzione dei comandi avvengono nelle stazioni di basso livello, mentre le archiviazioni di dati, di azioni o di allarmi sono eseguite a tutti i livelli. Il sistema di Back End è stato realizzato utilizzando strumenti informatici commerciali ereditati da applicazioni industriali note come Supervisory Control And Data Acquisition (SCADA). In particolare, la piattaforma di sviluppo adottata per i quattro esperimenti è il PVSS II della ditta austriaca ETM.

3.3 Le Camere a Piatti Resistivi paralleli (RPC)

Introduzione

La scelta della tecnologia di rivelazione da utilizzare come camere di trigger nello Spettrometro muonico ha richiesto un’attenta analisi sia delle esigenze dettate dagli scopi dell’esperimento ATLAS sia dei limiti imposti dalle particolari condizioni in cui si trovano a lavorare. In particolare, anche in base all’esperienza accumulata al LEP e a SLAC, la scelta è stata orientata verso un tipo di rivelatore caratterizzato da un notevole grado di affidabilità, ottime prestazioni sia per l’efficienza di rivelazione e le misure di posizione che per quanto attiene alle misure di tempo. Le buone prestazioni riguardo alla risoluzione temporale ed alla velocità di risposta sono di cruciale importanza per il sistema di trigger. Gli RPC (acronimo di Resistive Plate Chamber), sviluppati agli inizi degli anni '80 da R.Santonico e R.Cardarelli [5][6], sono costituiti da una coppia di piatti piani di materiale resistivo che delimita il volume contenente la miscela gassosa utilizzata come mezzo attivo. Tradizionalmente i contatori a gas a piani paralleli con elettrodi metallici presentano il grave problema del massimo tasso di conteggi ottenibile [7]. Successivamente, l'impiego di materiali resistivi ha consentito una sensibile riduzione del tempo morto – e, di conseguenza, un aumento del tasso di conteggi – confinando la scarica nella piccola regione di passaggio della particella da rilevare e non più interessando l’intera superficie di rivelazione. Attualmente dispositivi di questo tipo hanno trovato larga applicazione nella ricerca sperimentale della Fisica delle Particelle, grazie alle peculiarità di tale tecnologia di rivelazione, quali le ottime prestazioni raggiungibili, le semplificazioni introdotte rispetto ad altri tipi di rivelatore (come la richiesta di una bassa precisione meccanica, il largo impiego di materiale plastico e l'assenza di alte pressioni, nonché la definizione di un ormai consolidato processo di produzione industriale) e la semplicità ed economicità di produzione, utilizzo e manutenzione.

Le richieste sperimentali che hanno portato alla progettazione degli RPC sono fondamentalmente le seguenti [8]:

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• efficienza elevata (di circa 97%) • buona risposta temporale (di circa2 – 3 ns) • elevata capacità di conteggio ( fino a circa 100 Hz/cm2) • misura delle due coordinate con una risoluzione di 5 – 10 mm.

La struttura meccanica degli RPC

Figura 55: Schema di base della struttura di un RPC a singola gap

Come illustrato in Figura 55 lo schema meccanico di un RPC a singola gap consiste essenzialmente nell’assemblaggio di due elementi: un volume centrale di materiale resistivo contenente una miscela di gas e due piani di elettrodi di lettura.

Il volume del gas, la gap, è costituito da due piani di bachelite, un polimero fenolico la cui resistività di volume è tipicamente compresa tra 109÷1011 Ωcm. I due piani sono mantenuti a distanza costante di 2 mm da un reticolo di spaziatori in Policarbonato e sono rivestiti esternamente mediante un sottile strato di vernice grafitata (di resistività superficiale pari a 200÷300 kΩ/10), la quale consente di applicare la necessaria differenza di potenziale ai due piani. La bassa resistività della grafite assicura una distribuzione uniforme del potenziale e quindi del campo elettrico nella gap (4÷5 kV/mm).

Vi è infine una cornice isolante che fissa i bordi degli elettrodi, garantendone la tenuta alla circolazione di gas, resa possibile da un certo numero di ugelli.

La lettura dei segnali viene effettuata mediante strip di pick-up di rame (lamina di 40 μm), affacciate sui lati esterni dei piani di bachelite e tali che il segnale si propaga nelle due direzioni opposte con una perdita 10 La resistività superficiale si misura in Ω/; ciò allo scopo di sottolineare il fatto che essa, misurata su un quadrato con due elettrodi posti ai lati, è indipendente dalla dimensione del lato del quadrato di misura.

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d’informazione minima. Le strip sono isolate elettricamente dall'alta tensione mediante un insulating layer, costituito generalmente da una pellicola di PET di 190 μm su un supporto di polistirene estruso dello spessore di 2 mm. Dalle dimensioni delle strisce di lettura dipende la risoluzione spaziale del rivelatore: nel caso di ATLAS esse hanno una larghezza di 3 cm e sono distanti 2 mm le une dalle altre. Inoltre per evitare il fenomeno del cross-talk, ovvero la possibile sovrapposizione di segnali provenienti da strisce contigue, ogni coppia di strisce è intervallata con un filo conduttivo dello spessore di 0.3 mm, ottenuto anch’esso per incisione e collegato a massa. Per limitare le fughe di corrente in prossimità delle cornici è stato utilizzato un ulteriore rivestimento dei bordi dei volumi.

Figura 56: Sezione di un piano di lettura

Alcuni accorgimenti che devono essere adottati allo scopo di evitare possibili inconvenienti ed anomalie nel funzionamento delle camere sono i seguenti:

• è di estrema importanza accertarsi che gli RPC dell’istallazione siano alimentati rigorosamente da una miscela avente la stessa composizione per tutti; infatti vanno evitati effetti di separazione dovuti alla gravità, che possono provocare regioni distinte per efficienza di rivelazione ed alto livello di noise; generalmente tale risultato si ottiene mantenendo un flusso di distribuzione sufficientemente elevato;

• la necessità di utilizzare una cornice esterna ed un reticolo di spaziatori interni in materiale isolante, incollati a superfici degli elettrodi, comporta la diminuzione della superficie attiva (circa 1%) del rivelatore con una conseguente perdita di efficienza;

• il procedimento di incollatura degli spaziatori va eseguito con la massima attenzione, poiché eventuali sbavature potrebbero dar luogo a locali scariche nella gap. Per ovviare a quest'ultimo inconveniente lo strato esterno di grafite viene rimosso, in prossimità degli spaziatori, per una superficie di qualche cm2, in modo da ridurre la conducibilità elettrica;

• se non viene eseguita un'accurata levigatura delle superfici interne degli elettrodi, il forte gradiente del campo elettrico in prossimità delle "punte" può determinare delle scariche nel gas, che comportano un aumento del livello del noise. Allo scopo di evitare tale indesiderato effetto è necessario effettuare un delicato procedimento di oliatura delle suddette superfici, da eseguirsi con estrema attenzione e a temperatura controllata.

Riguardo a quest’ultimo punto, per ridurre le eventuali imperfezioni delle superfici interne della gap che provocherebbero delle irregolarità locali del campo elettrico, l’intero volume viene riempito di olio di lino misto ad un solvente; in seguito l’olio viene fatto defluire e la gap viene asciugata con un flussaggio di aria secca che favorisce l’evaporazione del solvente. L’operazione descritta produce sulla superficie degli elettrodi la polimerizzazione di uno strato sottile di olio di lino (decine di μm) e ciò regolarizza le “rugosità”.

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Principio di funzionamento

Il passaggio di particelle cariche attraverso la materia è caratterizzato da due fenomeni elettromagnetici: le collisioni anelastiche con gli elettroni atomici del mezzo e lo scattering colombiano sui nuclei, responsabili, il primo della perdita di energia da parte della particella incidente, il secondo della deflessione dalla direzione di incidenza. Tra i suddetti due processi, le collisioni anelastiche sono le sole responsabili della perdita di energia della particella: infatti, a causa di tali collisioni, una frazione dell’energia cinetica totale viene trasferita all’atomo, causandone la transizione ad uno stato eccitato e la ionizzazione. Essendo il numero di collisioni abbastanza elevato per unità di lunghezza, è osservabile una sostanziale perdita di energia anche in piccoli spessori di materia. Il processo di ionizzazione, alla base delle tecniche di rivelazione, è di natura statistica e l’energia media ceduta per unità di percorso è descritta dalla formula di Bethe.Bloch [9], come segue:

ηβγ

β−=−

Icm

AZkz

dxdE e

222

22 2

ln

Dove k=4πNare2mec2, η è un parametro di densità, Na il numero di Avogadro. L’andamento tipico della curva

di Bethe-Bloch, illustrato in Figura 57 presenta un minimo, detto “minimo di ionizzazione”, nella regione in cui la ionizzazione primaria dipende logaritmicamente dall’energia della particella.

Figura 57: Curva di Bethe Bloch

L’energia E persa dalla particella carica può eccitare l’elettrone in un livello atomico (collisione morbida) oppure, se questa è maggiore di quella di soglia di ionizzazione (caratteristica della specie atomica), può strappare l’elettrone dall’atomo e creare così una coppia ione-elettrone (collisione dura). Nel secondo caso, avviene il processo X + q → X++q+e- (per Ei > I), dove X è l’atomo del mezzo assorbitore, q la particella incidente, X+ lo stato eccitato dell’atomo, Ei la differenza di energia tra uno stato eccitato e quello fondamentale del mezzo, I il potenziale di ionizzazione. La probabilità P che un elettrone venga emesso con energia E, in funzione della densità ρ del gas e della profondità di penetrazione è data da:

22)(EAxZKEP

βρ

=

con K = 4πNaz2e4/mec2 . La massima cessione di energia Wmax avverrà per una collisione di tipo frontale. Se introduciamo la lunghezza di penetrazione ridotta ε = ρx, la precedente formula diventa

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222)(EdEWdE

EAZKdEEP ==

βε

con 2β

εAZKW =

. Integrando tale espressione è possibile ottenere il numero medio di elettroni primari emessi con un’energia

maggiore di un valore di soglia E0, come segue: 0max00

11)()( max

0 EW

WEWdEEPEEN

W

E≈−==> ∫

.

Per particelle di alta energia che attraversano piccoli spessori a bassa densità, come avviene per gli RPC, possiamo supporre che queste perdano solo una frazione trascurabile della loro energia in seguito ad un numero piccolo di interazioni, allora la distribuzione del numero di ionizzazioni primarie, in un certo spessore di materiale, sarà di tipo Poissoniano. Tale distribuzione potrà essere totalmente determinata specificando solamente il cammino medio di ionizzazione della particella, λ. Pertanto il numero di coppie

primarie elettrone-ione per unità di lunghezza risulta determinato dalla seguente relazione: λ1

=pn, mentre

la probabilità di avere k ionizzazioni su un tratto di gas di lunghezza L è pari a !,

keLLkP

Lk λ

λλ

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛

Tra i processi che tendono a decrementare il numero di elettroni primari ci sono la ricombinazione e la cattura elettronica. La ricombinazione si verifica principalmente in assenza di campo elettrico applicato al gas: in questo caso l’elettrone e lo ione appena formati, risentendo della reciproca attrazione, tendono a ricreare l’atomo neutro emettendo un fotone di energia pari all’energia di legame dell’elettrone: X+ + e- → X + hν.

Per gli ioni molecolari si ha una simile reazione di ricombinazione X- + Y+ → XY + hν.

In tal caso, poiché il tasso di ricombinazione dipende dalla concentrazione di ioni positivi n+ e negativi n-, è possibile scrivere

−+−= nbndtdn

, dove b rappresenta una costante che dipende dal tipo di gas considerato. Ponendo n+ = n- = n ed integrando la precedente formula con le condizioni n(t = 0) = n0 e n(t) = n si ottiene

10

0

+=

tbnn

n.

La cattura elettronica (o attachment) si può verificare quando all’interno della miscela di gas sono presenti delle specie elettronegative che hanno la tendenza a catturare elettroni liberi per raggiungere una configurazione energetica più stabile. Nel processo di cattura viene generato uno ione negativo ed un fotone di energia pari all’affinità elettronica dell’atomo secondo la seguente relazione:

X + e- → X- + hν. Se indichiamo con x la distanza dal punto in cui si è sviluppata la ionizzazione e λe il cammino libero medio dell’elettrone prima della cattura elettronica si può dimostrare che l’intensità degli elettroni primari Ie diminuisce in modo esponenziale: Ie = Ie0 exp(-x/ λe)

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Il coefficiente di attachment β = 1/λe dipende dall’energia della particella incidente ed è fortemente modificato dalla presenza del campo elettrico.

Se consideriamo un spessore di gas pari ad L = 2mm ed una particella carica al minimo di ionizzazione con un cammino medio di ionizzazione di circa 130 μm, caratteristico della miscela impiegata dagli RPC di ATLAS; il numero medio di coppie primarie elettrone-ione risulta pari a 15 con una probabilità del 10%.

Gli elettroni che vengono emessi a seguito della ionizzazione primaria hanno energie comprese tra pochi eV fino a qualche KeV; quelli che hanno un’energia cinetica maggiore della soglia di ionizzazione delle molecole o atomi del gas possono, a loro volta, produrre delle coppie elettrone-ione. Questi processi costituiscono quella che viene solitamente chiamata “ionizzazione secondaria”.

Il numero complessivo di elettroni generato nei processi di ionizzazione è modesto, inoltre l’agitazione termica e gli effetti di ricombinazione, per condizioni esterne assegnate, tendono a mantenerlo costante. L’applicazione di un campo elettrico al volume di gas somma al moto di agitazione termica un moto di deriva: la diffusione degli ioni non avviene più isotropamente perché il campo elettrico ne modifica le traiettorie e quindi questi acquistano una componente non nulla della velocità lungo la direzione del campo, la cosiddetta velocità di drift11 (o deriva), appunto. Un elettrone accelerato perde nelle collisioni con le molecole gran parte dell’energia acquistata dal campo stesso. L’equilibrio risultante è caratterizzato da una velocità di deriva molto superiore a quella degli ioni, dell’ordine di qualche centimetro per microsecondo. Inoltre in ogni urto, l’elettrone, che ha una massa molto più piccola di quella delle molecole, viene diffuso isotropamente. Se il campo è sufficientemente intenso, gli elettroni raggiungono rapidamente un’energia superiore alla soglia di ionizzazione, divenendo, a loro volta, in grado di generare coppie elettrone-ione e dando luogo ad una valanga, la cui crescita è, in prima approssimazione, esponenziale. Detto n il numero di elettroni che derivano lungo una linea di campo, si definisce α, il numero di elettroni secondari prodotti per unità di cammino (primo coefficiente di Townsend, per cui la loro crescita è descritta dalla relazione: dn = n α dx.

Se si indica con Δx lo spazio a disposizione degli elettroni iniziali n0, al termine dello sviluppo della valanga

si ottiene un numero di elettroni pari a: dtvx enenxn αα

00)( == Δ

con vd dell’ordine di 50 μm/ns velocità di drift degli elettroni nel gas, che dipende sia dalla composizione del gas, sia dall’intensità del campo elettrico applicato.

Nel caso in cui si utilizzi una miscela di gas contenente delle specie elettronegative, è necessario tener conto

anche della cattura elettronica, come segue: xenxn Δ−= )(

0)( βα

, ove η = α – β è il coefficiente di ionizzazione efficace.

Inoltre a causa della distorsione che il campo elettrico subisce per l’aumentare della carica spaziale nella valanga, η è una funzione del campo elettrico e, nell’espressione della crescita esponenziale, occorre

11 La velocità di deriva che i prodotti della ionizzazione acquistano per effetto del campo, è data dalla seguente

relazione: EuP

μ= , dove μ è la mobilità delle particelle cariche (diversa per ioni ed elettroni), e P è la pressione del

gas. Se la pressione del gas aumenta, diminuisce il cammino libero medio e, dunque, diminuiscono le deviazioni dalla direzione media conseguenti agli urti degli elettroni con le molecole del gas; aumentare la pressione vuol dire aumentare la densità e, di conseguenza, il numero di elettroni di ionizzazione.

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sostituirlo con l’integrale, esteso al cammino percorso:

')'(exp)(')'(exp)(00

00 dxxQxQdxxnxnx

x

x

x ∫∫ =⇒= ηη

Il guadagno effettivo M è quindi dato dal rapporto tra la carica finale, prodotta dalla moltiplicazione a valanga, e la carica iniziale prodotta al passaggio della particella.

')'(exp)(00

dxxn

xnMx

x∫== η

Moltiplicando ambo i membri per la carica elementare, si ottiene la carica complessiva della valanga: Q(x) = Q(x0) M.

Figura 58: Generazione e sviluppo di un segnale in un RPC

Nella Figura 58 è riportato schematicamente lo sviluppo di un segnale all’interno di un RPC. Lo schema delineato finora, che prevede, per la carica complessiva prodotta al passaggio di una particella ionizzante, un valore comunque proporzionale all'entità della carica primaria, non è più soddisfacente quando M comincia ad assumere valori troppo elevati: il campo di carica spaziale deforma ed attenua il campo elettrico complessivo agente sugli elettroni, determinando una diminuzione del fattore di proporzionalità (regione di proporzionalità limitata). Il guadagno M è, allora, un parametro di fondamentale importanza per definire le condizioni operative di un rivelatore a gas. Poiché la densità degli ioni positivi è maggiore presso la coda della valanga, in prima approssimazione è lecito schematizzare la distribuzione di carica spaziale all'interno di una valanga come un doppio strato formato da ioni positivi e da elettroni che migrano verso l'anodo. Il campo elettrico totale, all'interno della gap è dato da due contributi: il campo E0 applicato agli elettrodi di grafite ed il campo generato dal doppio strato El.

Il campo elettrico complessivo, internamente alla valanga, diminuisce all'aumentare di E0, fino ad annullarsi. Nello stesso tempo, se la differenza di potenziale agli elettrodi è costante, il campo tenderà ad aumentare lungo la direzione di propagazione della valanga. In breve, il campo elettrico risultante non è più uniforme, ma localmente distorto dalla dinamica della valanga stessa; in particolare, esso è meno intenso nella zona interna di essa e più intenso in corrispondenza della testa, determinando così un allungamento di quest'ultima [11].

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Figura 59: Schematizzazione di una valanga e delle deformazioni del campo elettrico da esssa provocate all’interno di un RPC. In testa e in coda alla valanga il campo risulta più alto di quello applicato, mentre al centro ed ai lati della distribuzione di carica è più basso. Da questo consegue la non uniformità della velocità di drift e del coefficiente di

Townsend

Volendo fare una stima del campo generato dalla carica presente nella testa della valanga, ponendo il raggio di quest’ultima pari a 100 μm, mediante un semplice modello si ottiene:

cmVFm

CR

NeEs /104.11085.8

106.1104

4112

197

20

⋅=⋅⋅

⋅⋅== −−

ππε Questo campo di carica spaziale è quindi confrontabile con i valori medi di campo riscontrabili negli RPC.

In teoria, tale processo può raggiungere un punto di equilibrio quando il campo di carica spaziale è tale da fermare circa la metà degli elettroni della testa della valanga: dal momento che, ad ogni passo, λ = α-1, il numero di elettroni verrebbe raddoppiato, si giungerebbe ad una stabilizzazione del numero di elettroni attivi e, quindi, del campo di carica spaziale. Questo stato di equilibrio dinamico della valanga viene detto di “valanga saturata” [12] ed è descritto in termini di “valanga attiva” cioè dell’effettivo numero di elettroni che danno luogo ad ulteriori ionizzazioni che rimpiazzano gli elettroni lasciati indietro nelle regioni di basso valore del campo elettrico. Tale regime, una volta raggiunto, potrebbe essere mantenuto indefinitamente per tutto il percorso libero che separa la valanga dall’anodo. In realtà si è osservato che tale stato non è stabile ma rappresenta il punto di transizione tra il regime di valanga e quello di streamer.

I fotoni ultravioletti, prodotti dalla diseccitazione dei livelli più esterni degli atomi eccitati o da eventuali processi di ricombinazione casuale di ioni ed elettroni, danno luogo, per fotoionizzazione, ad elettroni esterni al doppio strato ("fotoelettroni"), i quali producono valanghe secondarie attorno all'asse di formazione di quella principale. Se il numero di valanghe secondarie, così prodotte, è sufficientemente alto, si genera un rivolo di plasma ionizzato, il cui assorbimento da parte del catodo provoca un'emissione di elettroni che mette in collegamento i due elettrodi alla maniera di un corto circuito, una scarica ("streamer12"). Infatti, poiché, all'interno del doppio strato, la ricombinazione ioni-elettroni e la conseguente produzione di fotoni 12 Il termine streamer deriva dall'aspetto che presenta in una fotografia statica, ossia una fotografia in cui l'obiettivo della macchina fotografica rimane costantemente aperto durante lo sviluppo del fenomeno. Lo streamer appare come un sottile filamento, luminoso in tutta la sua estensione, che si sviluppa da un elettrodo verso l’altro.

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ultravioletti aumenta al diminuire del campo complessivo e diviene massima quando questo è circa nullo, la condizione ("criterio di Meek") E0 – El = 0 rappresenta la definizione quantitativa del mutamento di condizioni operative della camera. Empiricamente si è visto che il limite della carica totale prodotta in una valanga, prima che si abbia lo streamer, è rappresentato dalla "condizione di Raether" [13]: n ≈ 108 → η ≈ 20

Se, allora, S è la superficie del doppio strato, σ è la densità superficiale di carica, il numero di cariche presenti in esso è n, il campo El vale:

SneEl00 εε

σ==

e, sostituendo nella relazione di Meek, si ottiene la "condizione di propagazione dello streamer":

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛=

eSE00ln

εη

In realtà, la teoria descritta, che considera la valanga come un sistema sostanzialmente isolato, trova i suoi limiti proprio nella presenza delle valanghe secondarie, che contribuiscono al numero totale di elettroni prodotti e che assumono un ruolo rilevante ancor prima che la valanga primaria abbia raggiunto la sua dimensione massima. Bisogna allora tener conto, nel valutare la carica complessiva, degli effetti associati alla propagazione dei fotoni ultravioletti (produzione di n′ elettroni secondari). Sicché, senza dilungarci ancora nei calcoli, la condizione empirica per lo streamer diventa: n + n′ ≈ 108.

Il principio di scarica locale ed il tempo morto

Il funzionamento di un RPC è basato, come già accennato, sul principio di scarica locale, ovvero sul fatto che la carica generata nella valanga, una volta arrivata sull'elettrodo, a causa della resistività di questo, non si disperde sulla superficie, ma viene neutralizzata mediante correnti che attraversano lo spessore. Ciò permette di rappresentare il rivelatore stesso come una matrice di sottorivelatori ("celle di scarica"), ognuno costituito da un piccolo condensatore piano, avente superficie S (dove S dipende dalla valanga stessa), tutti indipendenti ed in parallelo tra loro. In particolar modo, l'estensione superficiale di ogni singola cella è proporzionale alla carica totale Q, liberata nel gas, e allo spessore della gap. Elettricamente ogni cella può essere rappresentata dal circuito equivalente in cui la resistenza R schematizza gli elettrodi, mentre la resistenza Rg è dovuta alla gap.

In assenza di ionizzazione si ha che Rg >>R e quindi l’intera differenza di potenziale è applicata ai capi della gap di gas. Quando, però, una particella ionizzante attraversa la gap, si ha una scarica che può essere schematizzata sostituendo alla resistenza R un generatore di corrente che tende a scaricare la capacità Cg in modo da portare l’intera differenza di potenziale sugli elettrodi resistivi, ovvero ai capi di C.

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Figura 60: Circuito equivalente di una singola cella a) prima della ionizzazione e b) dopo la ionizzazione

Durante l’intervallo di tempo necessario per recuperare la tensione iniziale, il campo elettrico nella gap non possiede localmente un'intensità tale da poter innescare un'altra scarica; pertanto non è possibile la rivelazione di ulteriori particelle che dovessero incidere nella stessa cella. Il tempo morto di ricarica è, quindi, legato alla resistenza R ed alle capacità dalla relazione:

( ) ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛+=+≈ gb

gbgRPC g

dgS

dS

SdCCR εερ

εερτ 22

In cui d è lo spessore degli elettrodi, g è lo spessore della gap, εb ed εg sono le costanti dielettriche rispettivamente della bachelite e del gas. Questo porta ad una frequenza di conteggio massimo stimabile in

RPC

fττ

1=

Sapendo che la superficie interna del piatto di bachelite (S), sulla quale si diffonde, durante il tempo di ricarica, la carica prodotta dalle valanghe, e la regione iniziale del piatto (S0) interessata dall'assorbimento della valanga sono legate dalla relazione:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+=

S

V dSS

ρρ

10

in cui ρV e ρS sono rispettivamente le resistività di volume e di superficie dell'elettrodo, allora possiamo introdurre il numero di conteggi per unità di superficie fs , definito dalla relazione:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+=

S

Vs

dS

ρ11

Il flusso massimo di conteggi che l’intera superficie del rivelatore può accettare, nell'unità di tempo e di superficie, cioè la cosiddetta rate capability, è dato da Φ = fτfs.

Per εb ≈ 5 ε0 , εgas ≈ ε0 e g=2 mm, ρV ≈ 1010 ÷ 1011 Ωcm, ε0 = 8.86 · 10-12 F/m, si ha con le dovute approssimazioni: τ ≈ 12ρVε0 ≈ 10-3 ÷ 1 s, che definisce il range da 100 Hz/cm2 fino ad 1 kHz/cm2.

In base al suddetto modello capacitivo, la resistività non può eccedere il limite sopra indicato, essendo la rate capability inversamente proporzionale ad essa.

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Attraverso studi specifici sulla rate capability si è verificato che, in regime di valanga saturata, il flusso massimo tollerato dagli RPC con efficienza > 95% è 3 kHz/cm2, 7 kHz/cm2 e 10 kHz/cm2 per tensioni pari a 9.9kV, 10kV e 13 kV.

Quanto detto consente l'uso degli RPC nelle più svariate condizioni di irraggiamento. I processi di valanga, nelle usuali condizioni di funzionamento di un RPC, si sviluppano in tempi dell’ordine di 10 ns, quindi molto inferiori della costante di tempo del circuito; pertanto è quest’ultimo che determina il tempo morto di ricarica e di ripristino delle condizioni iniziali della cella elementare.

Poiché il tempo morto è l’intervallo di tempo durante il quale il rivelatore resta “insensibile”, esso gioca un ruolo cruciale quando si impieghino gli RPC all’interno del sistema di trigger di primo livello (la cui caratteristica fondamentale è proprio la velocità con cui opera la prima selezione degli eventi). La dipendenza del tempo morto dalla resistività dell’elettrodo fa sì che questa costituisca un parametro di estrema importanza per le prestazioni di un RPC, soprattutto nel caso in cui il rivelatore sia sottoposto ad un alto rate di particelle incidenti. Il vantaggio principale derivante dall’impiego degli elettrodi resistivi è che la zona in cui il potenziale elettrico si abbassa, per effetto della corrente generata dalla valanga, è circoscritta e pertanto il tempo morto concerne solo la celletta interessata.

Differenze tra i regimi di valanga e streamer e scelta della miscela di gas

Gli RPC hanno l’interessante caratteristica di poter essere impiegati in diversi regimi di funzionamento, a seconda delle esigenze; tra questi, in particolare, distinguiamo il regime di valanga e quello di streamer. La sostanziale differenza tra questi consiste nella diversa quantità di carica prodotta in ogni singolo atto di ionizzazione, che può essere controllata tramite la miscela stessa, nonché la scelta di un’opportuna tensione di lavoro.

Il segnale tipico che viene generato quando l’RPC lavora in regime di valanga ha una durata di circa 4ns e una carica media indotta dell’ordine del pC mentre, nello streamer, il segnale ha una durata di 10−20ns e la carica indotta è circa 102 volte maggiore.

La composizione della miscela di gas circolante all’interno della gap è di fondamentale importanza per le prestazioni di un RPC e, come appare evidente dalle precedenti riflessioni, viene decisa in base ad un compromesso tra le richieste scientifiche e l’analisi delle prestazioni. La sua scelta è essenzialmente legata alla ricerca delle seguenti condizioni di lavoro:

• funzionamento in regime di streamer/valanga • tensione di lavoro relativamente bassa • alto guadagno • elevata efficienza anche per alti rate di particelle • costi ragionevoli

Infatti, oltre ad essere il mezzo attivo del rivelatore, cioè la parte sensibile al passaggio di una particella, il gas gioca un ruolo cruciale nelle modalità di impiego del rivelatore stesso.

Per il funzionamento in regime di streamer il mezzo attivo è rappresentato da un gas nobile, l’Argon: la sua caratteristica principale è l’elevata sezione d’urto di ionizzazione per gli elettroni di bassa energia che partecipano alla moltiplicazione a valanga, che assicura una rapida crescita di quest’ultima. L’esigenza di limitare lateralmente la scarica è soddisfatta utilizzando una miscela contenente un gas poliatomico come l’n-butano. L’aggiunta di isobutano (iso-C4H10), macromolecola organica, fa da quencher, cioè assorbe i fotoni UV, dissipandone l'energia per dissociazione o tramite l'attivazione di modi rotazionali e vibrazionali

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della molecola stessa, permettendo così di migliorare le prestazioni del rivelatore in termini di stabilità del punto di lavoro.

Gli RPC in regime di streamer sono stati utilizzati in molti esperimenti, caratterizzati da un flusso di particelle incidenti relativamente basso. Tuttavia il loro uso in situazioni quali il tracciamento spazio temporale in presenza di alti flussi di particelle ionizzanti, è stato limitato dal massimo rate, di circa 100 Hz/cm2, con il quale è possibile utilizzare tale rivelatore in modo efficiente [14]. Tale limitazione della capacità di conteggio è dovuta al fatto che, in regime di streamer, l’estensione laterale della scarica sui piatti di bachelite (S0) presenta un valore molto più elevato, a causa della maggior quantità di carica generata, e, pertanto, il valore della frequenza di conteggio risulta ridotto. È possibile migliorare la capacità di conteggio di un RPC a streamer in due modi: diminuendo la resistività di volume degli elettrodi di bachelite o riducendo la quantità di carica prodotta mediamente dalla singola scarica. Ma resistività molto basse tendono ad aumentare il rumore intrinseco del rivelatore, mentre per ridurre la quantità di carica prodotta possono essere impiegati gas fortemente elettronegativi, che riducano la possibilità di generazione di streamer.

Al fine di ottimizzare le prestazioni degli RPC da impiegare negli esperimenti a LHC, è stato organizzato l’esperimento RD5 del 1994 [15][16], presso il fascio dell’SPS al CERN, in cui sono state studiate le prestazioni degli RPC in regime di streamer con miscele di gas comprendenti piccole quantità di freon e con elettrodi di bachelite a diversa resistività. Lo studio dell’efficienza di rivelazione in funzione del flusso di particelle incidenti, per due diversi valori di resistività, ha portato ai seguenti risultati:

• per flussi inferiori a 10 Hz/cm2 l’efficienza varia tra il 99% (bassa resistività: 1010 Ωcm) ed il 94% (alta resistività: 1011 Ωcm)

• Per flussi maggiori le prestazioni degli RPC ad alta resistività degradano sensibilmente, mentre quelli a bassa resistività continuano ad essere efficienti fino a flussi di 50 Hz/cm2.

Tali prestazioni non sono sufficienti a garantire un buon margine di sicurezza le richieste dell’esperimento ATLAS che prevede intensità di flusso nella regione di Barrel da 10 a 50 Hz/cm2; pertanto si è scelto di operare con RPC in regime di valanga proporzionale con elettrodi di bassa resistività.

Il funzionamento in regime di valanga, se da una parte garantisce i vantaggi sopra elencati, dall’altra introduce le seguenti difficoltà:

• un segnale con un’ampiezza di un paio di ordini di grandezza più piccola ha bisogno di un’elettronica di amplificazione molto più sofisticata per essere utilizzabile;

• l’ampiezza dei segnali, differentemente che per lo streamer, dipende da quanto la valanga abbia avuto modo di svilupparsi prima di giungere all’anodo, ossia tra la distanza tra il punto d’inizio di formazione della valanga e l’anodo. Poiché alcune valanghe possono dar luogo a segnali molto deboli, è necessario trovare un buon compromesso per la soglia di discriminazione, al fine di non sopprimere parte dei segnali. A tale scopo è efficace il controllo e la riduzione delle possibili fonti di rumore.

Il regime di valanga comporta anche minori effetti di invecchiamento dei rivelatori. Infatti, nel regime di streamer, le grandi quantità di energia rilasciata causa un incremento della temperatura che riduce la resistività della bachelite e, di conseguenza, il tempo morto. Questo meccanismo di reazione positiva può agire localmente in favore dell’amplificazione del rate di rumore in corrispondenza di qualche irregolarità della superficie degli elettrodi e porta, in casi estremi, ad una scarica autoalimentata che si comporta come un cortocircuito all’interno del rivelatore.

Anche se un RPC viene fatto funzionare in regime di valanga, c’è una probabilità residua di innescare lo streamer. Un esperimento [17], realizzato nel 1997 nei laboratori INFN presso l’Università Tor Vergata di Roma, ha dimostrato come sia possibile sopprimere la probabilità residua di transizione da valanga a

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streamer grazie all’aggiunta di una piccola (< 1%) di SF6, in un intervallo ampio di valori della tensione di lavoro.

Figura 61: Efficienza di rivelazione e probabilità di streamer in funzione della tensione operativa per concentrazioni di SF6 pari a (a) 5%, (b) 2%, (c) 1% e (d) 0%

In Figura 61 sono messi a confronto i plateau di efficienza ottenuti utilizzando la miscela binaria di C2H2F4 : iso-C4H10 = 97 : 3 e le miscele contenenti varie percentuali di SF6. In ciascun grafico è riportata anche la probabilità residua di streamer, che nell’intervallo di tensioni ispezionato risulta essere più bassa nelle miscele contenenti una più alta percentuale di SF6. Inoltre la presenza di quest’ultimo consente di raggiungere elevati valori di efficienza senza allontanarsi troppo dalla regione di ginocchio della curva caratteristica.

Oltre a svolgere la mera funzione di quencher, l’SF6 influenza l’andamento della curva caratteristica dell’efficienza in funzione della tensione, allargandone la regione di plateau (e quindi allontanando l’eventuale formazione di streamer) e rendendone più ripida la regione di transizione.

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Figura 62: Tipici segnali di RPC per diversi regimi operativi: (a)Segnale relativo ad una valanga, a 9.4 kV; (b)Segnale relativo ad uno streamer, a 9.6 kV; (c)A tensioni più alte, il ritardo tra valanga e streamer; (d)Valanga e streamer si

fondono in un unico segnale, a 11.4 kV

Tabella 8: Valori di tensione in corrispondenza dei valori 50%, 95% e 98% dell’efficienza e tensione di soglia per la generazione di streamer tabulati per concentrazioni di pari SF6 a 0%, 1%, 2% e 5%.

Il meccanismo, atto a limitare lo sviluppo della carica, è in parte legato al valore dell’affinità elettronica del suddetto gas (1.06 ± 0,06 eV) [18]. I dati suggeriscono che alle basse concentrazioni usate, l’effetto di cattura elettronica è debole nel primo stadio della valanga e produce il solo effetto di spostare la tensione di lavoro di poche centinaia di Volt, mentre è molto più forte quando la valanga entra in saturazione. Ciò si spiega assumendo che la sezione d’urto di cattura elettronica è una funzione fortemente decrescente del campo elettrico: quando gli effetti di carica spaziale riducono il campo agente sulla valanga, la cattura elettronica diventa molto efficace e gli elettroni liberi esistenti danno luogo a ioni negativi che hanno una velocità di drift molto inferiore e quindi non contribuiscono ulteriormente allo sviluppo del segnale. Inoltre gli ioni

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negativi sono meno efficienti nell’irraggiamento di fotoni UV in caso di ricombinazione. Pertanto allo svilupparsi della valanga, l’effetto di soppressione dello streamer aumenta notevolmente per effetto della diminuzione di campo all’interno della stessa valanga. In Figura 63 è riportato l’andamento del primo coefficiente di Townsend e del coefficiente di cattura elettronica in funzione del campo elettrico applicato per la miscela usata negli RPC di ATLAS.

Figura 63: Andamento del coefficiente di Townsend, di cattura elettronica, di Townsend effettivo in funzione del campo elettrico per la miscela degli RPC di ATLAS [10]

Lunghi studi di ottimizzazione del comportamento degli RPC hanno portato alla scelta di un gas di base alternativo all’Argon.

Infatti, nei rivelatori impiegati in regime di valanga, come nel caso di ATLAS e CMS, il gas utilizzato come mezzo attivo è il Tetrafluoretano, C2H2F4, il quale gode delle seguenti proprietà:

• è caratterizzato da un alto valore di ionizzazione primaria (circa 75 ioni/cm), per particelle al minimo di ionizzazione;

• essendo un gas poliatomico con legami singoli, presenta un elevato numero di livelli roto-vibrazionali adatti alla dissipazione dei fotoni UV che limitano la formazione del processo di streamer;

• è un gas fortemente elettronegativo con conseguenti proprietà di cattura elettronica che riducono la carica totale prodotta nella valanga;

• a confronto con altri gas candidati, a parità di condizioni operative, la velocità di drift degli elettroni risulta più elevata, a vantaggio delle prestazioni di temporizzazione degli RPC.

Numerosi studi ed analisi [19] hanno dimostrato che per gli RPC di ATLAS, funzionanti in regime di avalanche, la miscela con la quale si ottiene la più elevata efficienza è la seguente:

C2H2F4 : iso-C4H10 : SF6 = 94.7 : 5.0 : 0.3

La lettura capacitiva dei segnali

Il segnale generato da una scarica all'interno di un RPC viene prelevato in maniera induttiva per mezzo di pannelli di elettrodi di pick up, in genere strip, posti su entrambi i lati del rivelatore, delle quali si è discusso in precedenza. Mentre le strip sono ideali per misure di posizione, le pad quadrate meglio si adattano per le misure di tempo. Le strip, infatti, si comportano come delle vere e proprie linee di trasmissione,

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caratterizzate da una certa impedenza e che provvedono a trasmettere i segnali, con minima perdita di ampiezza e senza grosse distorsioni, all'elettronica di Front end ("FEC"), la quale può esser quindi situata semplicemente all'estremità del rivelatore. Il vantaggio di una così semplice connessione dell'elettrodo con l'elettronica si viene però a pagare al momento dell'adattamento dell'impedenza tra strip e canali d'ingresso dell'elettronica stessa, allo scopo di evitare riflessioni del segnale. Infatti l'impedenza caratteristica di una strip dipende, oltre che dalla sua larghezza, anche dal dielettrico sovrastante, i cui parametri (costante dielettrica relativa, spessore) non sono facilmente controllabili. Le resistenze di ingresso dell’elettronica di front end sono dell'ordine di qualche kΩ, in modo da apparire, in rapporto all'impedenza caratteristica delle strip, molto grandi e rappresentare, quindi, per il segnale, un circuito aperto.

La corrente indotta nella strip è proporzionale a quella di scarica della gap. Per mostrarlo trascuriamo il contributo degli ioni rispetto a quello degli elettroni a causa della loro minore mobilità ed assumiamo che il numero di elettroni prodotti per ionizzazione siano uniformemente distribuiti lungo lo spessore della gap di gas. Sia n il numero di elettroni prodotti per unità di lunghezza, il numero N(t) di elettroni in moto all’istante t all’interno della gap di gas è pari a

tvd

detvgntN α)()( −=

dove vd è la velocità di deriva degli elettroni. La valanga generata induce una carica qe sulle strip pari a

( )[ ]∑ −−=j

jje xgMQgkq 1expη

η

ove l’indice j corre sui cluster di elettroni generati dal passaggio della particella. Il segnale può essere rilevato solo se qe > qth, quest’ultima essendo la soglia in carica dell’elettronica. Un cluster di elettroni è quindi rilevato se la sua distanza dal catodo xj risulta

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +−=< 11

Aq

gxx ththj η

e

gMkQ

A j

η=

Se un cluster venisse generato ad una distanza maggiore di quella di soglia xth dal catodo, esso non si sarebbe sviluppato a sufficienza per esser rivelato. Assumendo che il tempo di generazione del segnale sia molto inferiore a qualsiasi costante di tempo del sistema, il circuito equivalente risulta essere quello illustrato in Figura 64 ove Cg è la capacità della gap, Cb è la capacità della porzione S dei piatti di bachelite e R/2 la resistenza di carico.

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Figura 64: Semplice schematizzazione della modalità di lettura del segnale

Indicando con g lo spessore della gap, s lo spessore della bachelite, ρ la sua resistività e εr la sua costante dielettrica relativa, si ha

gS

Cg0ε

= e s

SC rb 0εε=.

Applicando al capo Y una tensione impulsata, si ottiene una corrente in uscita sulle strip pari a

gv

xkQTi d)()( =

dove k è un parametro legato alla geometria della cella. Dall’espressione della corrente di gap si ricava che

)()( tkITi gap=

e per g = s = 2 mm e εr = 5 si ottiene un valore per k pari a circa 0.07 [20], pertanto in media solo il 70% del segnale generato nel volume del gas è raccolto dalle strip di lettura.

La lunghezza delle strip impiegate per gli RPC di ATLAS varia a seconda della camera tra circa 1 m e circa 5 m.

Come precedentemente accennato, un altro problema legato al trasferimento del segnale è il cross-talk dovuto all’accoppiamento capacitivo tra la striscia su cui viene indotto il segnale e le contigue, secondo lo schema illustrato in Figura 65.

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Figura 65: (a) Circuito equivalente per un sistema di tre strip di lettura affiancate e (b) schema delle strip in cui sono evidenziati i fili di massa

Il circuito si comporta come un filtro passa-alto, pertanto la componente veloce del segnale tende a trasferirsi dalla striscia interessata dalla valanga sulle strip contigue; l’effetto ha un peso maggiore nel caso di un segnale indotto da una valanga, poiché, rispetto ad un segnale indotto da uno streamer, ha una durata molto inferiore e quindi prevalgono componenti ad alta frequenza. L’accorgimento adottato per i pannelli di lettura degli RPC di ATLAS è quello di frapporre tra le strip un filo conduttore collegato a massa che consente di catturare le linee di campo elettrico tendenti a collegare due strip contigue.

La scelta della bachelite per gli elettrodi

Si è visto come la caratteristica fondamentale degli RPC sia l'utilizzo di materiali ad alta resistività per la costruzione degli elettrodi. Questa scelta è dovuta al fatto che il funzionamento stesso del rivelatore è basato sul cosiddetto principio della "scarica localizzata": ogni valanga, prodotta all'interno della gap, dà luogo ad una diminuzione solo locale del campo elettrico interno. In questo modo, le caratteristiche globali del rivelatore non cambiano e, cosa ugualmente importante, la scarica non produce danneggiamenti alla superficie degli elettrodi.

Il materiale costruttivo oggi preferito è la bachelite, sia per ragioni di costo per unità di superficie sia per la sua duttilità d'impiego. Tale scelta risulta, al momento, rafforzata dalla proprietà di resistenza all'irraggiamento. Questo invecchiamento è stato attribuito ad un rilevante incremento della resistività degli elettrodi, a sua volta legata al flusso integrato di corrente che li attraversa [21].

La bachelite [22] è un pannello di laminato plastico industriale, ottenuto attraverso la pressatura, ad alta temperatura, di una pila di fogli di carta kraft, precedentemente imbevuti in una miscela di resine fenoliche. La superficie esterna lucida del prodotto finale viene ottenuta utilizzando una resina melaminica. In quest’ultima parte della produzione viene fissato il valore della resistività di volume; assieme al successivo processo di grafitatura, che fissa il valore di resistività superficiale, determina la capacità di conteggio dell’RPC.

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Il fenomeno della corrente elettrica nei materiali è dovuto al movimento di portatori di carica e, nella gran parte dei materiali polimerici, quale è la bachelite, essa dipende fondamentalmente dal movimento degli ioni. La presenza di processi di conduzione può essere evidenziata da una correlazione tra costante dielettrica e conducibilità, dovuta alla riduzione delle forze Coulombiane tra gli ioni in un mezzo con elevata costante dielettrica. In questo modo è possibile giustificare come l’assorbimento delle molecole d’acqua da parte del materiale determini un aumento della conducibilità dello stesso.

Fenomenologicamente, infatti, si evidenzia la dipendenza della resistività ρ dall’umidità h:

. min

1550

1ρρ +

+= −h

e

a

A causa di tale dipendenza e data la necessità di mantenere ρ limitata allo scopo di non far diminuire la rate capability, la bachelite ha bisogno di essere a contatto con gas opportunamente umidificato, onde evitarne il disseccamento. La dipendenza della resistività dalla temperatura è stata largamente studiata ed evidenzia un andamento corrispondente alla seguente relazione fenomenologia:

1220

20 4.4−

−=

T

ρρ , dove con ρ20 si indica la resistività normalizzata a 20°C e con T la temperatura in gradi Celsius della lastra di bachelite al momento della misura.

L’invecchiamento degli RPC

Per stimare l’invecchiamento dei rivelatori e sondare le loro prestazioni, sono stati condotti numerosi esperimenti presso la GIF di X5 al CERN [23], sottoponendo gli RPC ad un’intensa radiazione gamma, per simulare le condizioni che si avrebbero dopo dieci anni di attività di ATLAS. A questo scopo il rate di conteggio di background di ATLAS, stimato pari a circa 10 Hz/cm2 [24], è stato moltiplicato per un fattore 10 di sicurezza.

È stato riscontrato un decremento della capacità di conteggio da 1.6 kHz/cm2 a 300 Hz/cm2 a seguito dell’integrazione di 360 mC/cm2 di carica prodotta nel gas al punto di lavoro selezionato. Una spiegazione [25] di questo comportamento risiede nel fatto che, sottoposto il rivelatore a radiazione uniforme, il punto di lavoro risulta non più determinato dalla tensione di lavoro applicata V ma dall’effettiva tensione risentita dal gas Vgas(x,y,t). Tale tensione è, in generale, regolata da una complicata funzione del tempo e della posizione. Come illustrato in Figura 66 il valore medio di Vgas(x,y,t) è ottenuto prendendo in considerazione la caduta di tensione sui piatti resistivi, mentre la capacità del rivelatore non gioca alcun ruolo:

Vgas = V – IR, ove I è la corrente di lavoro media ed R è la resistenza totale degli elettrodi.

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Figura 66: Circuito equivalente di un RPC in regime di valanga sottoposto a radiazione uniforme

L’aumento della resistenza degli elettrodi, causata dall’invecchiamento, è dovuta prevalentemente a due fenomeni: un moderato incremento della resistività della bachelite ed un più rilevante aumento della resistività della copertura di grafite sull’anodo.

Per quanto riguarda la resistività della bachelite, si è scoperto che i portatori liberi di carica responsabili della conduzione nel materiale plastico sono prodotti dall’elettrolisi dell’acqua: la corrente lungo i piatti porta via con sé i portatori di carica e produce l’incremento osservato di resistività se questi non vengono rimpiazzati.

La resistività della grafite aumenta esponenzialmente in funzione della carica integrata fino ad un punto di breakdown in cui prevale una più ripida crescita lineare. Pertanto è necessario garantire che sia la miscela di gas che l’ambiente esterno siano opportunamente umidificati.

Figura 67: Resistenza degli elettrodi in funzione degli anni di attività di ATLAS (AY)

Per quanto riguarda gli effetti di invecchiamento relativi alla miscela di gas, la decomposizione dei gas a causa delle scariche elettriche produce una significativa concentrazione di composti ionici o polari del fluoro.

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Poiché i potenziali di ionizzazione primaria del C2H2F4 sono 13.6 eV e 17.4 eV mentre l’energia di legame C-F nella stessa molecola è pari a 4.5 eV, è chiaro che gli elettroni accelerati trovano via più agevole nello spezzare la molecola piuttosto che ionizzarla. I radicali F- possono produrre HF [26], un acido molto aggressivo, che rappresenta una possibile causa del danneggiamento della superficie interna della gap per la sua elevate reattività chimica. Inoltre l’HF in presenza di acqua può formare un sottile strato conduttivo che incrementa le correnti ohmiche. L’effetto tende ad aumentare nel tempo perché innesca una reazione positiva per la quale il danneggiamento locale produce un locale aumento del rate di conteggio e di conseguenza una più ingente produzione di F-.

Figura 68: Concentrazione di F- in funzione della corrente di gap per diverse miscele e punti di lavoro

La produzione di F- dipende soltanto dalla corrente di lavoro e dal flusso del gas (in quanto una prolungata permanenza del gas all’interno della gap ne facilita la produzione). Si è inoltre evidenziato che un incremento della concentrazione di iso-C4H10 è fortemente efficace nel ridurre la produzione di F-. Purtroppo, però, la percentuale di iso-C4H10 presente nella miscela è limitata dalle esigenze di non infiammabilità della stessa. Nel caso del regime di streamer gli effetti di danneggiamento risultano amplificati a causa del maggior quantitativo di carica prodotto.

Gli RPC di ATLAS

Gli RPC utilizzati nello Spettrometro muonico sono stati realizzati assemblando nella singola camera due unità elementari di rivelazione, due singole gap, elettricamente disaccoppiate: in questo modo è stato possibile costruire un sistema di trigger che, nello stesso tempo, fornisce un tracciamento preliminare dei muoni passanti, le cui traiettorie sono poi determinate dalle camere di precisione MDT.

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Figura 69: Stazione di trigger con RPC, sul primo dei quali sono installate PAD e Splitter, e MDT

Come precedentemente accennato ed in seguito illustrato nella Figura 70 la superficie delle camere è più o meno estesa in relazione alla posizione che esse occupano all’interno dello Spettrometro; da ciò consegue un’ampia varietà di tipologie di camere, standard o speciali, come illustrato nella Tabella 9.

Figura 70: Sezione di un settore Large ed i contigui due Small corredato delle relative misure

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Tabella 9: Numero di RPC di tutti i tipi usati nel Barrel (dimensioni in mm)

La nomenclatura completa delle camere impiega informazioni tratte dal Product Breakdown System (PBC) [27]. La forma generale dello schema di nomenclatura è data dalla sequenza di lettere:

ATL.M.X.YYY.ZZZZ.

ove ATL.M costituisce la sigla a livello più alto: ATLAS Muon system. Per quanto riguarda le lettere successive:

• X: indica la tipologia di camera nel suo aspetto tecnico (C per CSC, M per MDT, R per RPC, T per TGC);

• Y: indica il tipo di camera e la sua posizione globale: − Y1: Regione (B per Barrel, E per End Cap, F per Forward), − Y2: Stazione (I per Inner, E per Extra, M per Middle, O per Outer), − Y3: dimensione (L per Large, S per Small), che per il Barrel discrimina tra settori pari e

dispari. • ZZZZ: indica la posizione della camera in modo più dettagliato:

− Z1: numero della camera all’interno di una stazione e di un settore (1 – n), − Z2: lato A o C (z > 0 o z < 0), − Z3,4: numero del Settore (01 – 16).

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Un’ulteriore classificazione, indicandole con le lettere A, B, C, D, E, suddivide le camere standard, a parità di lunghezza, in classi di diversa larghezza.

A queste vanno aggiunte le camere speciali, che occupano posizioni in prossimità di particolari elementi dello Spettrometro (supporti, bobine del toroide, piedi dell’apparato, etc) e prevedono forme atipiche e buchi strategici.

L’assemblaggio di una camera RPC è stato portato a termine mediante la seguente procedura:

• produzione delle gap di gas presso la General Tecnica, sita in Colli (FR) • assemblaggio presso i Laboratori INFN di Lecce • integrazione elettronica e test presso i Laboratori INFN di Napoli • test presso i Laboratori INFN e l’Università Tor Vergata di Roma • test conclusivi presso i Laboratori INFN di Lecce.

L’unità elementare di un RPC è composto da due piani sovrapposti di gap, ognuno dei quali è equipaggiato con due piani ortogonali di strip di lettura (η e φ).

Figura 71: Schema della composizione delle camere

Per quanto riguarda le camere di dimensioni maggiori, è stato ritenuto opportuno non realizzare gap e piani di lettura dell’estensione dell’intera camera, in quanto questi elementi, soggetti all’azione di gravità, sarebbero sottoposti a sforzi eccessivi che potrebbero comprometterne la corretta funzionalità. Pertanto vengono assemblate due gap affiancate nel senso della lunghezza e due nel senso della larghezza e lo stesso espediente viene eseguito per i piani di lettura; le gap vengono connesse attraverso tubi del diametro di 3 mm che permettono il flusso ed il deflusso del gas.

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Figura 72: Schema dei pannelli di strip (esempio di una BML): lungo i lati di lunghezza maggiore della stazione, per entrambi i piani di conferma e di pivot, sono disposti i connettori per la lettura delle strip PHI; ad essi sono connesse delle piattine che portano i segnali a dei mezzanini che effettuano un wired-or (tra destra e sinistra). Lungo i lati di lunghezza minore, indicati dalle sigle RO e HV, vi sono le due file (per ogni piano) di connettori ETA; ad essi sono

connesse delle piattine che portano i segnali a dei mezzanini. I piani di Pivot e Conferma sono distinti dalle lettere I e J rispettivamente, il layer dalle cifre 0 ed 1 in ordine crescente a partire dal punto di interazione.

Quindi l’RPC può essere suddiviso come segue: UP (left/right per la camera di grandi dimensioni) e DOWN (left/right per la camera di grandi dimensioni) per HV e UP (left/right per la camera di grandi dimensioni) e DOWN (left/right per la camera di grandi dimensioni) per RO. HV e RO sono le sigle delle denominazioni

convenzionali High Voltage e Read Out delle due estremità (nel senso della lunghezza) della camera: il Read Out è indicativo del lato delle camere MDT equipaggiato con le schede di Read Out.

Figura 73: Schema dell’assemblaggio di due RPC affiancati

Su ognuno dei quattro angoli di una camera RPC sono posti i connettori per le connessioni elettriche, in dettaglio: un connettore per l'alta tensione per ogni gap, due connettori seriali a 9 pin per l'alimentazione e le tensioni di soglia dell'elettronica interna di due pannelli di strip, un connettore a 10 pin per l'impulso di test dell'elettronica ed, infine, un connettore a 2 pin per leggere la corrente all'interno della gap di gas (connesso su una resistenza di shunt). Tutti i segnali elettrici del sistema fanno riferimento ad una massa comune, la carcassa della camera.

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Capitolo 4

Il Commissioning degli RPC

4.1. I test stand con i Raggi Cosmici

4.1.1. Produzione, assemblaggio e test degli RPC in Italia Considerato il grande numero di rivelatori e l’enorme difficoltà d’accesso ad essi una volta completato l’apparato ATLAS, è stato richiesto un elevato standard di qualità, in base al quale i singoli rivelatori sono stati testati durante varie fasi di costruzione ed assemblaggio ed infine, una volta completi, prima di essere istallati. Sono stati realizzati tre stand di test ai raggi cosmici presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, l’Università degli Studi di Lecce e L’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” [1], funzionanti dal 2002 (quella di Napoli) alla metà del 2006.

In breve, le fasi di produzione ed assemblaggio sono avvenute nel seguente ordine:

• produzione delle gap, grafitatura degli elettrodi ed oliatura delle superfici interne presso la General Tecnica sita in Colli di Frosinone (FR);

• produzione dei pannelli di lettura presso lo stesso sito; • perforazione dei pannelli di lettura su apposito tavolo di punzonatura presso la Sezione INFN di

Napoli; • saldatura delle schede di read out sui pannelli di lettura presso la Sezione INFN di Roma; • assemblaggio completo e prima fase di test ai raggi cosmici delle camere RPC presso la Sezione

INFN di Lecce; • test ai raggi cosmici sulle stazioni apposite site presso la Sezione INFN di Napoli (tipologia BM) e

quelle di Roma e di Lecce (tipologie BO).

Figura 74: Stand di test a raggi cosmici presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”: foto e schema della sezione longitudinale.

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Il test stand di Napoli è costituito da una struttura di ferro delle dimensioni di 4.5x2x3.2 m3 alle cui estremità, superiore ed inferiore, sono posizionati delle unità mobili di trigger e di tracciamento, ciascuna costituita da un piano di scintillatori di 1 m2 e una camera a drift a multistrato. Un raggio cosmico che attraversi l’apparato può essere rivelato nelle camere a drift con un massimo di quattro punti nella vista x-z e quattro punti in quella y-z, disponibili per la successiva ricostruzione off-line della traccia. La caratteristica fondamentale del test stand è la spinta risoluzione di ricostruzione di traccia, pari a circa 400 μm. I parametri che possono essere impostati, misurati e controllati tramite l’elettronica sono il flusso e la composizione della miscela di gas, l’alta tensione applicata, le correnti di gap, le soglie di tensione dei canali di front end e le correnti assorbite (sia sulle alte tensioni che sulle schede di front-end). Inoltre sono stati monitorati i parametri ambientali (temperatura, pressione ed umidità relativa atmosferiche), necessari per la correzione in tempo reale al valore di alta tensione da applicare. Per il controllo del sistema e l’analisi dei risultati dei test, sono state sviluppate procedure software completamente automatiche i cui risultati sono stati pubblicati ed archiviati in un database locale.

Figura 75: Stand a raggi cosmici presso l’Università degli Studi di Lecce.

Lo stand test di Lecce è costituito da una struttura di ferro delle dimensioni di 4.3x2.2x3.4 m3, simile a quella di Napoli per strumentazioni e sistema di rivelazione. Lo stand di test di Lecce fa uso di un trigger ed un apparato di tracciamento per raggi cosmici, costituiti da quattro unità RPC ATLAS del tipo BOS-B (con una superficie pari a 4.3 m2). I vantaggi di questa struttura sono determinati dall’elevata efficienza geometrica delle camere sotto test, l’uso di un unico sistema di read out e di un unico formato di dati di output, la possibilità di monitorare il comportamento a lungo termine delle stesse camere di trigger. I raggi cosmici sono selezionati mediante una richiesta di trigger poco restrittiva ed offline, in base ad un numero massimo e minimo di hit sulle camere di trigger, in modo da garantire una buona ricostruzione delle tracce ed, al contempo, un’efficace reiezione del rumore e degli eventi con più di una traccia. L’analisi offline degli eventi è finalizzata al calcolo dell’efficienza e al monitoraggio dei parametri caratteristici delle unità che sono state sottoposte al test.

Lo stand test di Roma è costituito da una struttura di ferro delle dimensioni di 8x1.5x4.5 m3, simile alle precedenti due descritte; le tecniche di trigger e di tracciamento sono state sviluppate in conformità a quelle

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di Lecce, essendo basate su quattro camere ATLAS di tipo BOL precedentemente testate. La peculiarità dello stand di Roma consiste nella grandezza delle camere testate , circa 5.6 m2.

I Test di Qualità ai Raggi Cosmici prescrivono una dettagliata procedura, al fine di verificare che siano soddisfatti tutti i requisiti delle prestazioni degli RPC. I test svolti, uniformemente nelle tre stazioni, sono i seguenti:

• Curve voltamperometriche – Le correnti di gap sono continuamente monitorate per verificare che non vi sia nessun incremento anomalo durante il periodo di test. Le curve voltamperometriche sono caratterizzate da una crescita lineare della corrente a basse tensioni ed esponenziale a tensioni più alte. Le gap con correnti oscure maggiori di 4 μA/m2 al punto di lavoro vengono sostituite. • Rate di singola – Un trigger esterno di 20 Hz apre una finestra temporale di 500 ns e viene misurato il conteggio di tutti i canali di lettura, al fine di identificare le strip rumorose. • Curve di efficienza – L’efficienza di ciascun rivelatore è misurata in funzione della tensione applicata, separatamente per i pannelli η e φ, e per diversi valori di soglia, in modo da poter determinare il punto di lavoro. Per ogni valore di tensione e di soglia vengono raccolti 104 eventi e ciò permette di ottenere un errore statistico minore dello 0.3%. Un pannello di lettura è considerato efficiente se, in corrispondenza del punto di impatto della traccia, ottenuto proiettando la traccia relativa ad un raggio cosmico ricostruita dalle camere traccianti, è registrato un hit su di una strip di lettura all’interno della regione attesa. La grandezza della regione attesa è scelta in base alla risoluzione di ricostruzione ed il disallineamento geometrico tra gli RPC e le camere traccianti. Le curve di efficienza possono essere interpolate con una

“funzione di Fermi”, )(0

%501 VVBe −−+=

εε , in modo da valutare il valore dell’efficienza rispetto al plateau ε0,

il valore di tensione V50% al quale l’efficienza raggiunge il 50% di ε0 ed il valore del parametro B del fit, legato alla pendenza della curva in corrispondenza di V50%. La distribuzione del numero di hit adiacenti associati alla traccia (cluster13 size) e la distribuzione del numero di cluster per evento (molteplicità di cluster) sono misurate anche durante il test per le curve di efficienza. Si è evidenziato che, nel punto di lavoro, la grandezza media del cluster è, tipicamente, pari a 1.5 e la molteplicità di cluster è 1, tale cioè da provare che il cross-talk delle strip di lettura ed il rumore ad esso correlato sono trascurabili.

13 Il segnale prodotto dal passaggio di una particella nella gap di gas può essere indotto su più strip adiacenti, rendendo così i dati più complessi da studiare. A tal fine è stato introdotto un algoritmo di clusterizzazione che raggruppa le strip in cluster in base alle seguenti regole:

• un cluster è definito come un gruppo di strip adiacenti accese allo stesso tempo o entro una finestra di 15 ns;

• per una stessa strip solo il primo segnale indotto viene preso in considerazione, in modo da tagliare via gli impulsi secondari indotti a tempi superiori;

• il tempo associato al cluster viene scelto come il tempo associato al primo impulso;

• a ciascun cluster viene associata una dimensione, definita come il numero di strisce utilizzate per costruire il cluster (cluster size);

• la posizione associata al cluster è fornita dal baricentro delle strip che lo costituiscono.

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Figura 76: Distribuzione delle zone di inefficienza in una gap: ogni punto rappresenta il passaggio di un cosmico non rivelato in modo da evidenziare le regioni di inefficienza, in cui è chiaramente evidente la presenza degli spaziatori e

gli effetti di bordo.

• Tomografia – L’uniformità spaziale dell’efficienza di gap viene misurata in due dimensioni, al fine di identificare ogni piccola regione di inefficienza. È considerata efficiente una regione della gap quando, in corrispondenza del punto di impatto della traccia ricostruita, viene registrato almeno un hit sul pannello η o su quello φ. Infatti, quando si sviluppa una valanga all’interno della gap, si può a buon diritto considerare trascurabile la probabilità di non registrare neppure un hit sui pannelli di lettura. Inoltre, quando in corrispondenza di una traccia si registra un solo hit sui pannelli di lettura, si evidenzia un’inefficienza del pannello sul quale non è stato registrato alcun hit. In Figura 76 sono illustrate due tomografie di un layer attivo (costituito da due gap adiacenti) in cui i puntini neri evidenziano le zone regolari di inefficienza dovute agli spaziatori di Policarbonato ed una stretta regione di inefficienza in prossimità dei bordi dovuta alla cornice. • Tenuta del gas – Ogni gap è sottoposta ad un leak test per assicurare la buona tenuta del gas. La differenza di pressione tra la gap del rivelatore sotto test ed una gap di riferimento, viene monitorata per un certo intervallo di tempo, dopo aver posto circa 3 mbar di sovrapressione e chiudendo gli ingressi e le uscite del gas. Soltanto le gap che hanno superato il leak test nelle stazioni suddette sono state accettate come valide

Figura 77: Risultati del Test di Qualità

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In Figura 77a) è riportato un grafico delle unità RPC certificate mediante il Test di Qualità, in funzione del tempo, dall’agosto 2002: l’asse di sinistra riporta il numero totale di RPC certificati, il destro la frazione corrispondente rispetto al totale. In Figura 77b) è riportata una tabella con i singoli componenti che hanno determinato la reiezione delle unità RPC da essi affette. La presenza di un difetto nella gap ha determinato la reiezione di un’unità nel 5% dei casi. Tra gli altri fattori di reiezione sono presenti ampie zone di inefficienza, alte correnti oscure, perdite di gas, etc. Il fattore di reiezione per i pannelli di lettura è ancora più basso.

I risultati complessivi dei Test stand a raggi cosmici sono stati presentati da P. Iengo al VIIth Workshop on Resistive Plate Chambers and Related Detectors nell’Ottobre 2003 a Clermont-Ferrand (Francia).

4.1.2. La Certificazione finale degli RPC al CERN Al CERN, nel laboratorio denominato BB5, ove si è svolto il mio “apprendistato” in qualità di CERN Summer Student, le camere RPC ed MDT sono state sottoposte nuovamente a test a seguito del trasporto subito e prima dell’istallazione nell’ATLAS PIT, secondo le procedure prefissate dal Pre-test e dalla Certificazione ai Raggi Cosmici presso gli stand appositamente allestiti. A conclusione dei test, le camere sono state assemblate assieme in un’unica stazione completa, comprensiva di tutta l’elettronica, la sensoristica ed il sistema di allineamento, per poter essere infine trasportate nella loro destinazione finale.

Figura 78: Sinistra: Stazioni BML dopo l’integrazione; destra: lo stand a raggi cosmici

Le camere vengono consegnate al Pre-test Stand per la prima fase dei test:

• Gas Leak Test: è il test di tenuta delle camere che consiste nel riempire una gap alla volta con Argon ad una fissata sovra-pressione, tappandone l’uscita, e di verificare la stabilità della pressione per qualche minuto;

• Test elettrico e di cablaggio: particolare attenzione è prestata al controllo del buon isolamento; quindi viene verificata la correttezza del cablaggio e delle connessioni alla logica di trigger;

• Test di corrente: la corrente viene misurata per ogni gap al fine di verificare che il suo valore sia al di sotto di 4 μA/m2 alla tensione nominale di 9600 V

• Test di pull down: consiste nel verificare la reattività dei discriminatori di read out alla tensione di soglia, scegliendo il valore più basso possibile per essa, e quindi la loro immunità al rumore e la stabilità della messa a terra.

Tra i test sopra elencati i più delicati sono senz’altro il Gas Leak Test ed il Test di pull down; del primo si disquisirà in seguito, soffermiamoci, pertanto, brevemente sul secondo.

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Ricordiamo che il valore della tensione di soglia dei discriminatori di read out è compreso tra 0 e -2 V, corrispondenti rispettivamente a soglia massima (per cui tutti i segnali sono reietti) e a soglia minima (per cui tutti i segnali sono accettati). Il Test di pull down, pertanto, viene condotto, su ogni piano di lettura, abbassando il valore della tensione fino a circa -1.8 V e contemporaneamente verificando il corrispondente incremento dell’assorbimento di corrente delle schede elettroniche, indice dell’aumentato numero di segnali oltrepassanti la soglia; quindi il valore di tensione viene fatto risalire nuovamente per verificare la modalità di ritorno alle medesime condizioni iniziali. È atteso che la corrente assorbita manifesti un immediato decremento, in corrispondenza dell’abbassamento di tensione; in pratica ciò non accade, manifestandosi una sorta di ciclo di isteresi, che implica che la tensione di soglia debba essere ulteriormente abbassata onde permettere lo spegnimento dei segnali. Quanto più ristretto risulta essere il ciclo di isteresi, tanto più l’intero piano di lettura è immune al rumore.

Superata la fase di Pre-test, ogni RPC è stata assemblato nell’apposita stazione assieme ai corrispondenti strati di MDT ed all’elettronica di trigger; quindi le siffatte stazioni muoniche sono state sottoposte al Test di Certificazione con i raggi cosmici. Lo stand è costituito da una torre di tre alloggiamenti la cui struttura meccanica ha dimensioni pari a 4.5 m di altezza e 2.5 x 6.0 m2 di lunghezza e larghezza; è dotato di due RPC di 5 x 2 m2 impiegati come camere esterne di trigger per rivelare il passaggio dei raggi cosmici. Il rate di cosmici, dovuto alla configurazione geometrica ed all’ampiezza della superficie coperta, è pari a circa 100 Hz. Ogni piano della torre è equipaggiato con carrelli per il montaggio delle camere e con tutti i servizi (dai tubi del gas, ai cavi di tensione alle fibre ottiche) necessari. La strumentazione elettronica è basata sugli standard NIM e VME.

In primo luogo viene effettuato uno scanning dell’alta tensione e, contemporaneamente, un controllo dell’assorbimento di corrente; quindi si procede ad una verifica della stabilità delle basse tensioni e del corrispondente assorbimento di corrente. Poi si passa all’inizializzazione dell’elettronica di trigger (PAD e splitter) via CANbus. Il test viene completato con dei brevi run di acquisizione dati: si imposta la tensione di soglia di discriminazione ad un valore pari a 1.1 V e l’alta tensione al valore nominale14 di lavoro pari a 9.6 kV. Mediante i dati acquisiti si verificano i profili di conteggio delle strip per individuare canali morti, eventuali inversioni ed errori di cablaggio.

Figura 79: Distribuzioni delle correnti di gap per alcune delle camere da me testate a BB5

14 È stato precisato che i valori di tensione sono “nominali” per quanto si dirà a seguito riguardo alla correzione effettuata con i parametri di temperatura e pressione ambientali.

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Elenchiamo, infine, brevemente i criteri soddisfacendo ai quali le camere RPC hanno ricevuto la “Certificazione ai Raggi Cosmici”[2]; si richiede che:

• le correnti di gap siano inferiori a 4 μA/m2 alla tensione nominale di lavoro pari a 9.6 kV; • le correnti di dispersione siano inferiori a 6 μA alla medesima tensione di cui sopra; • le correnti di pull down devono mantenersi stabili alla tensione di lavoro; • sia corretto il cablaggio; • il massimo numero di canali morti non deve superare il 10% del totale per ogni pannello di strip.

4.2. Il Commissioning dell’apparato di rivelazione

Con il termine “Commissioning” si fa riferimento all’insieme di attività di test e messa a punto di un apparato di rivelazione al fine di verificare la correttezza dei punti di lavoro, la funzionalità e le prestazioni sia di ogni singola parte di esso che del sistema nel suo complesso.

L’installazione dell’apparato all’interno dell’ATLAS PIT è durata dalla fine del 2005 alla fine del 2007 ed alla fine del 2006 sono iniziati i primi test con i raggi cosmici.

Le procedure di Commissioning sono tanto più articolate quanto più è complesso l’apparato di rivelazione e ciò è particolarmente significativo relativamente ad un rivelatore “di indirizzo generale” quale ATLAS. Esse possono essere distinte in tre fasi:

• la prima fase consiste nel Commissioning individuale di ogni sotto-rivelatore, conformemente ad una prefissata lista di test e verifiche;

• la seconda fase consiste nella sincronizzazione ed integrazione dei vari sotto-rivelatori tra di loro; • la terza fase prevede il test ai Raggi Cosmici, coordinato da un trigger dedicato, al fine, da un lato, di

testare approfonditamente l’intero apparato e la catena di ricostruzione e, dall’altro, di organizzare la presa dati ed il controllo operativo dell’apparato di rivelazione.

Il test con i raggi cosmici ha coinvolto, assieme alle camere RPC, dapprima le camere MDT ed il Calorimetro Adronico, in seguito l’intero apparato, e risulta di fondamentale importanza per verificare l’uniformità ed omogeneità del sistema.

Dal Dicembre 2006 sino alla data di consegna della presente tesi, l’obiettivo del Commissioning dell’apparato nella sua interezza e complessità è stato quello di procedere all’integrazione e coordinazione di ogni parte del rivelatore assieme al trigger e al sistema di acquisizione dati, durante le cosiddette “milestone weeks”, in cui tutti gli esperti di ciascun settore sono stati chiamati a lavorare in consonanza e sincronizzazione per un obiettivo comune. Alle milestone weeks M3 e M4 ho preso parte anche io, seguendo, in particolare, gli esperti in turno presso la postazione atta al controllo del sistema di RPC e MDT. Ad esempio la milestone week M4 si è svolta a cavallo tra i mesi di Agosto e Settembre del 2007 ed ha interessato i seguenti sistemi:

MDT: 224 camere tra Barrel (settori 3, 4, 5 e 6) e EndCap

RPC: Settore 5 completo

TGC: Settori C09, C10, C11, in corrispondenza degli MDT

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Da Luglio a Settembre del 2008 la maggior parte dell’apparato si è mantenuta in acquisizione quasi ininterrotta al fine di raggiungere la stabilità delle operazioni entro l’accensione di LHC.

L’incidente accaduto a LHC ha permesso che venissero anticipate le operazioni di completamento del Commissioning e di riparazione di alcuni elementi, danneggiati durante l’installazione, inizialmente previsti durante il periodo di spegnimento invernale. In vista della riaccensione di LHC, prevista per Ottobre 2009, poco tempo dopo la consegna del presente lavoro di tesi verrà ripresa l’acquisizione dati.

Figura 80: Event display per una presa dati combinata di calorimetro adronico, MDT e RPC.

4.2.1. I test di Commissioning all’interno dell’ATLAS PIT

Ho partecipato alle attività di Commissioning dapprima durante i miei tre mesi di “apprendistato” in qualità di CERN Summer Student presso la già citata Stazione di Test di BB5 per la Certificazione con i Raggi Cosmici. Quindi, durante le fasi iniziali del mio lavoro di tesi, ho collaborato, per altri tre mesi circa, al Commissioning all’interno dell’ATLAS PIT, da una parte collaborando a tutte le attività dei gruppi addetti al controllo dell’hardware e del sistema gas, dall’altra partecipando, nella “sala di controllo”, alla gestione ed implementazione del DCS ed alla presa dati. Particolare attenzione ho dedicato al controllo delle correnti di gap e del noise, parametri per l’analisi dei quali ho, in seguito, sviluppato dei programmi dedicati.

Una volta installati in ATLAS, nella propria destinazione finale, gli RPC sono stati collegati ai sistemi definitivi di gas, alta tensione (High Voltage) e bassa tensione (Low Voltage) ed ai cablaggi che consentono la lettura, il controllo ed il funzionamento del trigger di primo livello. Tali sistemi, incluse tutte le relative connessioni, sono stati anch’essi sottoposti a test di vario livello, dai semplici controlli manuali e qualitativi a quelli più sofisticati effettuati tramite lo sviluppo di opportuno software di controllo.

Nei successivi paragrafi ho riassunto e descritto brevemente i principali sistemi (DCS, gas, HV, LV) e le modalità con cui ne è stata effettuata la messa a punto all’interno dell’ATLAS PIT.

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4.3. Il Detector Control System del sistema degli RPC

Figura 81: Una schermata del DCS del sistema RPC

Un Detector Control System (DCS) da impiegare per un sistema complesso quale quello degli RPC dello Spettrometro è progettato in base alle seguenti finalità:

• Fornire, istante per istante, una panoramica dello stato di funzionamento della parte hardware del sistema e della qualità dell’informazione che viene archiviata come documentazione relativa ad ogni evento;

• Tenere sotto controllo, mediante monitor ed allarmi, tutti i parametri fisici che risultano variabili a breve, medio e lungo termine, al fine di prevenire il danneggiamento e l’invecchiamento del rivelatore;

• Implementare l’automatizzazione dei controlli fini (quali quelli inerenti i valori di soglia ed i punti di lavoro) per massimizzare le prestazioni del rivelatori in termini di uniformità della risposta;

• Consentire anche al personale non esperto la possibilità di operare sul rivelatore in modo semplice, via remoto ed in totale sicurezza.

Elenchiamo di seguito i parametri fisici del sistema di RPC che è necessario monitorare con attenzione:

Per la gap di gas:

• Composizione percentuale della miscela gassosa • Flusso del gas e tenuta della linea di distribuzione • Umidità relativa sia dell’atmosfera che della miscela (30%<RH<50%) • Temperatura

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• Correnti di gap per le parti sia ohmica che esponenziale Per il front end e la lettura dei segnali:

• Assorbimento relativo alle basse tensioni misurato canale per canale • Stabilità delle correnti di pull down • Controllo periodico della minima soglia di tensione

Per permettere all’utente di gestire sia i monitor di controllo che gli strumenti operativi, il sistema si configura come un “strumento virtuale” e pertanto è stato sviluppato in ambiente PVSS II15.

Il DCS deve essere, inoltre, in grado di mantenere il controllo simultaneo di una gran quantità di parametri, al fine di riconoscere, prevenire e correggere in modo immediato tutte le possibili irregolarità di comportamento che possano inficiare le prestazioni del rivelatore. A seguito della segnalazione di tali situazioni anomale agli operatori, devono seguire procedure automatiche di blocco delle sorgenti di errore e di segnalazione di richiesta di intervento ed eventualmente di correzione specifica. Inoltre il gran numero di dati che il DCS può gestire permette anche uno studio statistico del comportamento del rivelatore – così come abbiamo tentato di produrre nel Capitolo 5 – e costituisce, pertanto, un punto di vista diverso per una più approfondita comprensione della fisica del sistema.

L’architettura del sistema di controllo è concepita come un insieme di sottosistemi indipendenti distribuiti in maniera gerarchica in una struttura ad albero, nella quale ciascuna delle singole componenti realizza “un’unità di controllo” dotata di applicazioni autonome. Pertanto, sulla base di una “macchina a stati finiti”, è stato individuato un insieme di stati ben definiti ed il verificarsi delle transizioni che possono avvenire tra di essi è legato all’esecuzione di comandi specifici o all’accadere di eventi in relazione all’apparato. Sia l’interpretazione delle informazioni provenienti dall’apparato che la scelta delle azioni da intraprendere a seconda dei casi richiedono un’adeguata conoscenza da parte dell’operatore dei dispositivi coinvolti. È proprio la caratterizzazione sintetica del sistema, ottenuta attraverso l’insieme degli stati e delle possibili transizioni tra essi, che permette di intervenire, mediante procedure automatiche, dai livelli più alti della struttura gerarchica sullo stato dei sottosistemi, senza dover necessariamente conoscerne la complessità specifica e consentendo, pertanto, l’uso in sicurezza dei pannelli di controllo anche all’utente medio finale.

La sorgente dati di maggiore importanza per il DCS è il sistema di alimentazioni costituito da un centinaio di Crate CAEN EASY, completamente attrezzati per la distribuzione di alte e basse tensioni e per la lettura delle correnti di gap e dei parametri ambientali. Altre sorgenti di dati sono rappresentate dalle circa 800 PAD, dal sistema del gas, eventualmente anche dal Monitor Online dello Spettrometro.

Per poter fornire un’accurata panoramica dello stato del sistema, l’organizzazione interna del DCS riflette la segmentazione dell’apparato in settori, camere, livelli e piani.

Un aspetto fondamentale dei “sistemi di controllo lento” riguarda la scelta delle logiche di “trigger” utilizzata per l’acquisizione delle variabili. Poiché queste ultime sono soggette a cambiamenti a medio termine, risulta fisicamente sensato calibrare il flusso di acquisizione alle caratteristiche di tali cambiamenti, sulla base di intervalli regolari; ma una siffatta logica, cosiddetta a “lettura cadenzata”, non può rendere conto di improvvise variazioni, dovute ad anomalie nelle condizioni ambientali dell’apparato o relative al processo che si sta monitorando. Per far fronte a questa problematica si adotta la logica di “trigger on change”, basata sul cambiamento del valore delle variabili. Tale metodo prevede la configurazione di una 15 Il PVSS II, concepito per lo sviluppo di sistemi distribuiti con un’architettura interna modulare, è un sistema di Supervisory Control and Data Acquisition (SCADA), cioè una piattaforma di sviluppo software orientato all’hardware di lettura, in quanto si basa su variabili logiche (dataPoint) direttamente collegate ai dispositivi ed organizzate in strutture gerarchiche.

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“dead band” ovvero di un intervallo di tolleranza per le variazioni assolute o percentuali delle variabili di processo. Il raffronto vecchio/nuovo è il fondamento di un sistema “event driven” e consiste nel confrontare il nuovo valore letto con il valore precedentemente registrato dal sistema, generando un evento soltanto quando il nuovo valore risulta differente. Il processo di smoothing rappresenta una naturale estensione del processo di confronto nel caso di valori che derivino da misurazioni. Questa tecnica consente di riassorbire le fluttuazioni aleatorie a cui le misure sono soggette per effetto della sensibilità dell'apparato, registrando come eventi solo quelle che superano una soglia predefinita. Per evitare effetti pericolosi derivanti dalla perdita di connessione all'hardware con una conseguente assenza di eventi, il sistema prevede di impostare un tempo massimo entro il quale, se non si verifica alcun evento, si forza una rilettura completa dello stato del dispositivo, per assicurarsi che la connessione sia ancora attiva. Per quanto riguarda il DCS degli RPC la dead band e l’intervallo di tempo sono stati impostati per i canali di lettura delle correnti di gap pari a 0.02 μA e 120 secondi e sono impiegati in fase di archiviazione, ma non determinano l'aggiornamento dei valori sul DCS. È in funzione, infatti, la modalità cosiddetta "event driven" del sistema CAEN, in grado di garantire il miglior compromesso per la velocità di lettura dei diversi canali: i valori sono aggiornati dalle schede al mainframe in modo automatico alla massima velocità possibile e quando il DCS richiede una nuova misura per un determinato canale ottiene il valore in quel momento memorizzato nel mainframe in modo asincrono. Si è osservato che una nuova lettura può avvenire ad intervalli di tempo tra i 5 e i 30 secondi. Per tutte le variabili di processo controllate è stata prevista una rappresentazione grafica dell’evoluzione temporale, il cosiddetto “trending”. Infatti, una volta impostata per una data variabile l’archiviazione nel database locale, servendosi di opportuni tasti di navigazione, è possibile visualizzare graficamente, oltre all’andamento online anche la ricostruzione storica dell’evoluzione. I trending plot risultano molto utili, soprattutto durante i turni di acquisizione, per un’agile ed immediata disamina dell’uniformità e del corretto comportamento dei parametri di interesse. Ho dedicato tanto spazio alla descrizione del sistema DCS, in quanto, durante tutto il mio lavoro di tesi ho contribuito dapprima ad alcune implementazioni dell’interfaccia utente, quindi al suo “Commissioning” ed infine è stato uno degli strumenti principali che ho impiegato per ottenere i dati di cui è proposta un’analisi statistica nel prossimo capitolo.

4.4. La distribuzione della miscela gassosa ed i relativi test

La miscela gassosa viene prodotta e controllata in un’apposita sala (Figura 82 (a) e (b)), prospiciente all’ingresso principale dell’ATLAS PIT.

I flussi delle diverse componenti gassose della miscela sono gestiti da flussimetri di massa controllati da elettrovalvole. Il flussimetro di massa si basa sul principio del trasferimento di calore attraverso la massa del gas, tra due punti di misura situati sulla sezione normale di un tubo capillare. Il segnale in tensione rivelato è direttamente proporzionale alla quantità di gas che passa, secondo la relazione che segue: Δv = K Cp M, dove K è una costante di proporzionalità, Cp è il calore specifico (per questo ogni flussometro è tarato per uno specifico gas) ed M la massa del gas.

I flussi sono monitorati da procedure di controllo che ricalcolano ed aggiustano ininterrottamente le percentuali della miscela, garantendo una stabilità a medio termine, in condizioni di flusso costante, migliore dello 0.1%. La gestione del DCS dedicato al sistema del gas è un servizio offerto dal Gas Group del CERN [3] e si occupa dei controlli di qualità della miscela, della correttezza dei parametri di funzionamento e di sicurezza – quali flussi e pressioni -, dell’interfaccia utente. I flussi dei tre gas vengono quindi convogliati in un volume di miscelazione di circa mezzo litro in cui avviene la miscelazione per diffusione. Quindi la siffatta miscela subisce un processo di umidificazione tramite evaporatore. Sono previste due modalità di funzionamento del sistema del gas: Open e Closed Mode. Il primo regime di funzionamento prevede che la miscela così formata venga direttamente inviata all’apparato e poi eliminata; il secondo, invece, prevede che

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la miscela di ritorno dal sistema venga purificata e che solo una percentuale inferiore al 5%, dovuta essenzialmente alle perdite del sistema, venga reintegrata con miscela “fresca” ovvero appena prodotta.

In totale il sistema è in grado di fornire un flusso massimo previsto in ricircolo di circa 15000 l/h con produzione di gas fresco compresa tra 50 l/h e 6000 l/h; lo scambio volumetrico corrispondente nei rivelatori è pari al massimo ad 1 volume/h. Durante i test al Settore 5 il sistema ha lavorato in regime di Open Mode con flusso massimo di 250 l/h, equivalenti ad uno scambio di circa 1/3 volume/h.

Mediante tubi di acciaio riscaldati (per evitare possibili condense dell’umidità presente) la miscela è portata all’interno dell’ATLAS PIT, presso i rack di distribuzione dedicati ai vari settori (Figura 82 (c)). Nei rack sono presenti dei “bubbolatori” di sicurezza che funzionano da “trappole” di pressione: un livello d’olio di paraffina assicura lo sfiato di gas in atmosfera nel caso di superamento del livello di guardia prefissato.

Dalla linea principale si dipartono diverse linee secondarie, come illustrato dalla Tabella 10 consideriamo come esempio il Settore 5 (Large): le BOL sono servite da quattro linee di gas, una per ogni strato di gap e una per lato, A e C; le BML sono servite anch’esse da quattro linee di gas: una per ogni strato di gap per il piano di Confirm ed una per ogni strato di gap per quello di Pivot, mancando la divisione tra lato A e lato C. Al termine di queste dorsali in acciaio il gas viene distribuito da tubi in Poliuretano16 ed ogni ingresso della gap è collegato alla rispettiva linea tramite un capillare in TEFLON®.

Tabella 10: Linee di gas e relativi flussi per le camere del Settore 5

Una serie di dispositivi di controllo, presenti nei rack, assicura che le camere operino ad una pressione di circa 0.2-0.5 mbar sopra quella atmosferica. Il gas d’uscita è raccolto da tubi in Poliuretano connessi ai tubi di ritorno in acciaio. Il vantaggio garantito dalla connessione in parallelo è quello di non bloccare l’intera catena di circolazione del flusso di gas qualora una o più gap siano sconnesse dal sistema. Inoltre ogni gap riceve una frazione fresca della miscela non contaminata da precedenti attraversamenti di altre camere.

La pompa di ritorno del gas è sita nella sala di controllo USA15: essa fa acquistare alla miscela un pressione di circa 1 bar permettendone la risalita in superficie e tutti i successivi processi. Mentre nel regime di Open Mode viene disperso in atmosfera il gas di ritorno, come precedentemente accennato, in quello di Closed 16 La scelta del Poliuretano è stata definita in base alla sperimentata resistenza alla miscela ed all’HF eventualmente prodotto nelle gap; quella del TEFLON® per le medesima considerazioni unite alla necessità di elevata resistenza meccanica e flessibilità offerte da questo materiale. Entrambi i materiali sono, inoltre, risultati ai test non infiammabili.

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Loop, viene inviato al sistema di purificazione. Durante il passaggio attraverso quest’ultimo la miscela viene filtrata mediante una successione di materiali diversi, ovvero un doppio setaccio molecolare da 3 e 5 Å e degli stadi di metalli ed ossidi di metalli17. Infine viene reinserita in circolo con l’aggiunta della miscela fresca, come accennato sopra.

Figura 82: Sala gas (a) e (b); nel PIT: (c) rack di distribuzione (vista interna)

Il sistema di distribuzione si basa sul principio della pressione costante nel tubo di distribuzione; per mantenere costante la caduta di pressione (differenza tra la pressione nel tubo e quella nella camera, ove si assume che la pressione nella camera sia poco superiore a quella atmosferica) a parità di flusso, sono state previste diverse lunghezze di capillari, conformemente ai diversi volumi delle camere, inseriti sui connettori di ingresso del gas.

L’alimentazione delle gap di gas è realizzata mediante capillari e tubi di RILSAN del diametro di 3 mm, secondo lo schema illustrato in Figura 83.

17 Per la precisione una mescola di grani Rame-Zinco tipo R12 e solo Rame di tipo R3-11G entrambi della BASF, seguito da un Nichel-Ossido di Alluminio di tipo 6525 della Leuna.

(a) (b) (c)

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Figura 83: Schema (non in scala) dell’alimentazione delle gap di gas, in cui i tubi sono colorati di nero ed in grigio sono rappresentati i capillari di ingresso e i tubi connettori tra gap e gap; le frecce evidenziano la direzione di flussaggio del gas

Il sistema di alimentazione rende possibile il funzionamento degli RPC sia in regime di flusso continuo a pressione costante (immissione ed emissione continua della miscela) che di flusso a pressione variabile (la valvola di uscita viene bloccata e viene introdotto un volume di gas tale che consenta di raggiungere un valore di pressione prefissato): quest’ultimo regime viene utilizzato per eseguire i test di tenuta dei volumi di gas.

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Figura 84: Schema molto semplificato della miscelazione, distribuzione e purificazione del gas negli RPC

In primo luogo sono state condotte analisi cromatografiche sulla miscela di gas, mediante il gascromatografo “Clarus 500” prodotto dalla Perkin Elmer.

Gli studi GC successivamente descritti sono mirati al controllo della qualità del gas ed in particolare ai seguenti intenti:

• Effettivo controllo della composizione primaria (del gas immesso nel volume sensibile) a conferma o verifica di quanto indicato dai mass flow controller. • Verifica della stabilità nel tempo della composizione primaria ed indipendenza da altri fattori (quali, ad esempio, la temperatura ambiente). • Verifica dell’ammontare di vapore acqueo immesso in circolo mediante evaporazione in forno a 50°C e successivo raffreddamento del gas. • Ricerca di componenti inquinanti che possano essere prodotti nella miscela durante il funzionamento degli RPC.

Figura 85: Schema a blocchi del gascromatografo

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La gascromatografia [4] permette la separazione di una miscela di sostanze gassose o gassificabili, sfruttando la diversa attitudine che ogni molecola o ione possiede nel distribuirsi tra due differenti fasi (una stazionaria ed una mobile). Una fase viene immobilizzata (fase stazionaria) e l’altra viene fatta scorrere sopra di essa (“fase mobile o eluente” che, nel cromatografo da noi impiegato, è costituita da Elio). La fase stazionaria è una sostanza depositata come una pellicola sottile all’interno di un tubo cilindrico (denominato “colonna”) caratterizzata da siti attivi in grado di stabilire legami secondari. Indicando con Cm e Cs le due concentrazioni dell’analita che vogliamo separare nella fase mobile e nella fase stazionaria rispettivamente, e supponendo che le condizioni sperimentali siano tali da conseguire il raggiungimento di equilibri successivi il coefficiente di distribuzione K è dato dalla corrispondente costante di equilibrio: K = Cs / Cm. Dal valore di K dipende il tempo di ritenzione, ovvero il tempo necessario all’analita per percorrere l’intera fase stazionaria; di conseguenza i diversi analiti fuoriescono dall’altro capo della colonna in tempi diversi a seconda della loro affinità con la fase stazionaria. Se si misura la concentrazione delle sostanze in uscita dalla colonna in funzione del tempo si ottiene il cosiddetto cromatogramma indicativo della composizione della miscela e sul quale è possibile effettuare misure quantitative.

Il rivelatore a termoconducibilità (TCD) si basa sulla variazione di capacità termica della sostanza che lo sta attraversando: si accorge, cioè, di quanto la sostanza sia in grado di raffreddare un filamento resistivo di Tungsteno-Renio caldo attraversato da corrente, facendo il confronto con la variazione di resistenza registrata da un altro filamento in prossimità del quale viene fatto circolare il solo Elio.

Figura 86: Schema del Ponte di Wheatstone contenuto nel rivelatore a termoconducibilità

I diversi analiti, a seconda della loro capacità termica, provocano una variazione della temperatura e pertanto del valore della resistenza. Finché i filamenti sono alla stessa temperatura, le resistenze sono di pari valore, il ponte risulta bilanciato e non passa corrente; la variazione della resistenza, invece, sbilancia il ponte e provoca il passaggio di corrente. Quindi viene eseguito l’integrale della tensione misurata nel tempo di ritenzione: l’area è proporzionale alla concentrazione dell’analita in Elio.

L’interpretazione dei cromatogrammi rappresenta l’operazione più lunga. Poiché le incognite del problema sono due, cioè la quantità di un certo tipo di gas all’interno della miscela ed il tipo di gas stesso, è necessario

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innanzitutto avere la più completa serie di informazioni sulla natura e l’origine della miscela da analizzare. Per esempio si possono effettuare confronti con dati di letteratura oppure tra i tempi di ritenzione della miscela in esame e quelli di sostanze pure o miscele di composizione nota.

L'analisi quantitativa è basata sul confronto delle aree dei picchi; bisogna però tenere conto di una serie di possibili complicazioni:

• non è detto che tutte le sostanze presenti nel campione si vedano nel cromatogramma (ad esempio per quantità inferiori ad alcune decine di parti per milione); • i rivelatori presentano diverse risposte per le diverse sostanze (quindi necessitano di calibrazioni individuali); • non tutti i picchi potrebbero essere ben separati (ad esempio a causa di un’affinità simile degli eluenti con la fase stazionaria); • non è facile conoscere accuratamente la quantità di miscuglio effettivamente immesso in colonna, essendo la misura di quest’ultimo effettuata in volume, pertanto tale da risentire delle variazioni dei parametri ambientali.

Figura 87: Esempio di schermata del software di gestione del gascromatografo

Il controllo che viene effettuato per la ricognizione di eventuali perdite di gas è il leak test, una verifica della “tenuta” della sovrappressione.

L’eventuale presenza di perdite comporta problemi legati all’erroneo regime di funzionamento e a cali dell’efficienza, contaminazione della miscela (dovuta all’aria che entrerebbe all’interno dei volumi), non osservanza delle norme di sicurezza, mancato contenimento dei costi dell’esperimento.

Mediante un semplice modello, è possibile definire il leak rate mediante la seguente espressione:

tnRT

tPV

tPV

ΔΔ

=ΔΔ

Δ0

)(, con volume dell’RPC costante e pari a V0, n numero di moli del gas e P

pressione all’interno della gap. Tale modello si avvale delle seguenti approssimazioni:

• il foro responsabile della perdita di gas è schematizzato come un cilindretto di volume A molto minore di quello dell’RPC e dell’ambiente esterno;

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• la miscela di gas si comporta come gas perfetto; • la temperatura ambiente è costante; • la pressione ambiente è costante. Per effettuare il test si riempie una gap alla volta, tappandone l’uscita, fino al raggiungimento di una certa sovrappressione P0Ass (non più di 4-5 mbar), si isola e si monitora la pressione per un determinato intervallo di tempo. Il comportamento della pressione del gas, durante l’esecuzione di un leak test, è governato dalla seguente espressione:

( ) Atm

t

AtmAssAss PePPtP +−=−

τ0)(

dove P0Ass e PAss rappresentano rispettivamente la pressione assoluta iniziale e quella assoluta dell’RPC.

La perdita media tollerabile per camera è stata stabilita in base alla richiesta che, sul volume di tutto il sistema gas degli RPC (per un totale di circa 15 m3 ed un flusso scelto pari a 10 m3/h) le perdite risultino inferiori al 5% (limite imposto da scelte anche economiche sulla miscela fresca da immettere). Sul volume medio di camera di circa 15 l tale perdita si traduce in un massimo tollerato di 0.5 l/h, che, nell’approssimazione di gas ideali, equivale a 0.01 hPa/s di decadimento di pressione durante il leak test e che risulta largamente superiore a quanto misurato (i valori tipici sono di almeno un ordine di grandezza inferiori).

La stessa procedura viene seguita per testare un’intera linea di gas: tappandone il ritorno, si immette in essa un gas di prova, nello specifico CO2, ad una pressione controllata e, dopo aver isolata la linea, si controlla la tenuta della pressione. Esiste anche una modalità dinamica di esecuzione di tale test che prevede la misura del flusso di gas necessario a mantenere costante la tipica sovra-pressione di funzionamento delle camere [5].

In caso di perdite gravi, superiori a certi limiti, sono previste specifiche procedure di intervento per la riparazione.

Da Maggio 2008 il sistema del gas è completo e funzionante stabilmente in modalità di ricircolo. Circa l’1% degli ingressi del gas incollati internamente alle gap sono stati trovati incrinati o rotti in fase di istallazione; all’atto di consegna della presente tesi si sta ultimando la fase di riparazione.

4.5. La distribuzione dell’alta tensione ed il monitoraggio della corrente

L’erogazione dell’alta tensione (HV) e delle tensioni di alimentazione (LV) è assicurata dalla strumentazione elettronica modulare standardizzata fornita dall’azienda italiana C.A.E.N.. La C.A.E.N. ha progettato un sistema di alimentazione di potenza apposito per operare in presenza di forti campi magnetici e di radiazioni. L’EASY 3000 (Embedded Assembly System) è una famiglia di strumentazione che consta di un apposito crate, dei moduli addetti a diverse funzioni e di un apparato di controllo.

Nell’area dei servizi sono stati disposti tre mainframe 1527 CAEN che, mediante 17 moduli branch controller, controllano tutte le schede elettroniche (circa 300 per il solo sistema di potenza degli RPC e del trigger di I livello) installate nei numerosi crate con cui sono attrezzati 29 appositi rack all’interno dell’ATLAS PIT. Gli eventuali spegnimenti generali del sistema sono gestiti e controllati mediante il sistema Uninterruptible Power Supply (UPS).

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Per ogni settore le linee di alta tensione si dipartono dai moduli CAEN A3512 contenuti nei crate EASY 3000. Ogni modulo dispone di 6 canali floating di 12 kV / 1 mA, con un ripple inferiore a 50 mV picco-picco e controllati per aumenti improvvisi di tensione, corrente e temperatura. L’accuratezza per la tensione è stimata pari a ± 0.3% di lettura/impostazione ± 5 V e per la corrente pari a ± 2% di lettura/impostazione ± 1μA.

Figura 88: (a) il crate EASY 3000 può ospitare fino a 10 moduli ed operare in presenza di campi magnetici fino a 2 kGauss ed in presenza di radiazione; (b) il modulo A3485 è un convertitore 400VAC – 48 V DC a due canali, con una corrente massima di uscita pari a 40 A ed una potenza di 2.5kW; (c) moduli di alimentazione relativi ai Settori 5 e 6; (d) crate EASY 3000 ospitante i moduli A3512 per la distribuzione dell’HV ai Settori 5 e 6.

Per la distribuzione dell’HV è stato realizzato lo schema illustrato in Figura 89 sono state predisposte 18 linee di HV che portano la tensione sui due lati, HV e RO, per tre livelli (BO, BM Confirm e BM Pivot), ognuno dei quali è diviso in tre gruppi: A (che raccoglie le camere 6A, 5A, 4A e 3A), B (che raccoglie le camere 2A, 1A, 1C, 2C) e C (che raccoglie le camere 6C, 5C, 4C, 3C). Su ogni camera sono presenti due splitter, uno per lato, che distribuiscono la tensione alle diverse gap.

(a) (b)

(c) (d)

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Figura 89: Schema di distribuzione dell’alta tensione per il Settore 5

Il medesimo schema è stato implementato all’interno del DCS dedicato agli RPC18.

I rack vengono consegnati, generalmente a coppie, al test con i cavi stesi, connessi dal lato rack e sconnessi dal lato camera. In primo luogo, mediante un apposito lettore di codice a barre vengono rilevate le indicazioni topologiche contenute nelle etichette assegnate ai singoli cavi per individuarli all’interno del database del DCS e verificarne la corretta connessione.

18 Va infatti osservato che il Commissioning del DCS è proceduto in parallelo con quello hardware del sistema, favorendo l’uno l’evoluzione ed il progresso dell’altro. È stato impiegato per le operazioni di monitoraggio “online” sin dal primo periodo di “run combinato”, grazie alle implementazioni “user friendly” della sua Graphical User Interface (GUI), che permette di gestire, in via remota, l’intera catena di servizio, dai parametri ambientali al gas all’elettronica, direttamente dalla sala di controllo dell’esperimento.

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Figura 90: Principale interfaccia utente del DCS; in particolare, è visualizzata la schermata relativa ai canali di alta tensione

Quindi, attraverso un apposito pannello-utente del DCS, illustrato in Figura 90 la tensione viene fatta salire gradualmente, fino a circa 4 kV, per controllare che le correnti assorbite dai cavi in aria si mantengano basse (< 2 μA), se non nulle. Un eventuale aumento di corrente è segnale della presenza di un cortocircuito, dovuto, ad esempio, a cattivo isolamento e schermaggio dei cavi. I cavi che passano il test vengono definitivamente connessi o sottoposti a riparazione altrimenti.

Per poter confrontare dati presi in condizioni ambientali diverse è, quindi, necessario riferirsi a valori di temperatura e pressione atmosferica precisi, adottati come standard ed impiegati per correggere il valore della tensione in modo coerente e tale da rendere il punto di lavoro costante.

La correzione della tensione di lavoro applicata è generalmente attuata [6][7][8] mediante la seguente relazione:

TT

ppVVa

0

0

= , ove p0 e T0 sono i valori standard rispettivamente di pressione e temperatura e Va la tensione

da applicare. La relazione, basata su una correzione lineare, è valida solo per piccole variazioni dei parametri ambientali19.

19 L’effetto di più ampie variazioni di pressione, ad esempio, risulta equivalente ad una variazione proporzionale allo spessore della gap e, quindi, una corrispondente correzione risulta non lineare [9]. Nel caso generale possiamo assumere che a tensione di lavoro è una funzione del parametro X, espresso come segue, in funzione dello spessore g della gap:

TpgX =

. Tale parametro rappresenta lo spessore della massa di gas in approssimazione di gas ideale. Per fissati valori di p e T, la tensione va corretta secondo la seguente relazione:

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La correzione summenzionata riflette il fatto che il fenomeno della moltiplicazione di carica nei gas dipende dal rapporto tra il campo elettrico applicato e la densità del gas. A temperature più basse (o a pressioni più alte) la densità del gas è maggiore e questo è equivalente ad avere una gap di spessore maggiore, che quindi richiede una tensione più alta.

In base ad una successiva esperienza, condotta su modelli semplificati di RPC [10], è stato studiato un comportamento che si è rivelato valido anche nell’applicazione al caso degli RPC ATLAS [11]: una correzione più efficace per la tensione applicata è ottenuta mediante un coefficiente moltiplicativo derivato da un fit lineare tra la tensione e la differenza tra la temperatura misurata e quella standard20. Nel caso degli RPC ATLAS è stato verificato che tale correzione risulta ancora più efficace se la medesima operazione viene effettuata anche con la dipendenza della tensione dalla pressione. Nella pratica è stato sperimentato, comunque, che ogni gap ha un comportamento suo proprio, per cui qualsiasi tipo di generalizzazione va sempre incontro a margini di errore relativamente ampi.

La caratterizzazione delle proprietà elettriche è effettuata mediante il rilevamento delle caratteristiche voltamperometriche, cioè lo studio della dipendenza della corrente in funzione della tensione applicata ai suoi capi.

Il monitoraggio della corrente di gap

Un parametro critico per il corretto funzionamento degli RPC è la corrente di gap, misurata attraverso la caduta di tensione su una resistenza di 100 kΩ posta in serie verso massa, come illustrato in Figura 91 Essa rappresenta un buon estimatore del numero di valanghe prodotte nel gas e quindi del livello di rumore se esse non risultano prodotte dall’effettivo passaggio di particelle ionizzanti. Questo è ciò che si intende per “conteggi di singola” o “noise rate”.

Il costante monitoraggio della corrente di gap equivale al costante controllo delle corrette condizioni di funzionamento e delle buone prestazioni di un rivelatore a gas, in quanto essa influenza, in ultima analisi, la scelta del punto di lavoro. Su di essa si ripercuote qualsiasi variazione avvenga nella composizione della miscela o nella percentuale di umidità relativa o nel flusso del gas, la possibile presenza di aria ed agenti inquinanti all’interno della gap, l’eventuale deposito di essi a formare micro-punte (sedi di scariche spurie). Risulta, dunque, chiaro che ad essa sia legato il livello di noise e che può essere condizionata dallo stato di invecchiamento del rivelatore.

V=CXγ, dove C e 0 < γ < 1 sono parametri che dipendono dalla composizione della miscela del gas e dal regime operativo dell’RPC.

20 Sono state acquisite numerose curve di efficienza per singole gap al variare della temperatura; da queste sono stati ricavati, mediante fit eseguiti con una funzione di tipo sigmoidale, i valori delle tensioni al 50% dell’efficienza. Tali valori sono stati utilizzati come variabili dipendenti per un fit lineare con la variazione della temperatura rispetto ad un riferimento. Il coefficiente angolare della retta di best fit è stato utilizzato per correggere la tensione applicata in funzione della temperatura. Le curve di efficienza, in assenza di correzione, presentano un andamento simile ma traslate, l’una rispetto all’altra, sull’asse delle tensioni; tale traslazione risulta annullarsi a seguito dell’applicazione della correzione. La correzione così effettuata risulta più efficace rispetto a quella summenzionata, ma inevitabilmente legata alla gap sotto esame.

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Figura 91: Schema elettrico della misura della corrente di gap

Consideriamo brevemente l’errore che affligge tale misura: esso dipende dall’errore di misura sulla tensione, determinato dalla risoluzione dell’ADC, e l’errore di misura della resistenza di shunt. La risoluzione dell’ADC A3801 della CAEN è definita come segue:

152FSR =

, ove FS è il fondo scala e 15 è il numero di bit; alla risoluzione va poi aggiunto almeno un digit dovuto al rumore inevitabilmente presente. L’errore di misura per la resistenza vale circa il 2% del valore.

Si è, però, preferito valutare l’errore sulla corrente di gap attorno al 2.5%, sulla base delle fluttuazioni della corrente su tutto l’intervallo di tempo in cui è stato mantenuto costante il corrispondente valore della tensione.

Contributo ohmico e contributo esponenziale della corrente di gap

In Figura 92 sono rappresentati, per alcuni volumi di gas, gli andamenti della corrente in funzione dell’alta tensione, le cosiddette caratteristiche voltamperometriche; in esse è possibile individuare due diversi andamenti che la corrente di gap assume in dipendenza dall’intervallo di tensione considerato. Per valori “bassi” di tensione prevale, infatti, un andamento lineare, mentre per valori “alti” l’andamento risulta esponenziale.

La corrente ohmica, definita come la corrente di gap per valori sufficientemente bassi di tensione, quando non sono possibili fenomeni di moltiplicazione nel gas, rappresenta la parte lineare delle curve. La sua definizione operativa è la seguente:

RHVV =)(IOhm

e costituisce un offset ineliminabile per ogni valore di corrente, in quanto è legata [12], per un RPC ideale, alla conducibilità elettrica delle cornici e degli spaziatori in Policarbonato che mettono in contatto i piatti di bachelite. Inoltre essa è un’importante indicazione della presenza di agenti contaminanti sulla superficie

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interna dei piatti e degli spaziatori [13]: pellicola di qualche μm di olio di lino od impurità od umidità residua od attaccamento chimico. Tenendo conto della presenza, spesso inevitabile, degli agenti inquinanti suddetti è facile prevedere per il sistema comportamenti che dipendono dalla storia del singolo RPC: ogni rivelatore, come ho già avuto modo di esperire in altra circostanza [10] e citando le parole del Dott. G. Chiodini dell’Università degli Studi del Salento, è un apparato che “respira, vive, soffre ed invecchia”.

Aumentando la tensione la ionizzazione e la moltiplicazione nel gas diventano sempre più rilevanti e

determinano un andamento crescente molto più ripido, di tipo esponenziale: 00Exp )(I V

V

eIV =

Pertanto, per tensioni sufficientemente elevate, sono presenti entrambi i contributi e la corrente assume una

forma funzionale del seguente tipo: 00)(I V

V

eIRVV += , ove R e I0 sono, rispettivamente, la resistenza ohmica

e la corrente media in assenza di moltiplicazione, mentre V0 è un parametro relativo all’effettiva amplificazione del gas.

La relazione funzionale risulta chiaramente riprodotta dai dati sperimentali in Figura 92.

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Figura 92: caratteristiche voltamperometriche per alcune gap tra le BMS e le BML in cui si evidenziano chiaramente un contributo ohmico per le basse tensioni ed uno esponenziale per le alte tensioni. Il set di dati del grafico in figura in

alto è stato acquisito nel Novembre 2008, mentre quello in basso nel Marzo 2009

Per valori al di sotto della soglia di 4000 V, è stato eseguito sui dati un fit lineare, in quanto il contributo esponenziale dovuto alla moltiplicazione del gas, risulta trascurabile.

Si è calcolata la resistenza R dall’inverso del valore della pendenza, ottenuta come parametro delle regressione lineare.

Alcuni esempi di contributi ohmici sui quali è stato eseguito il fit lineare sono illustrati in Figura 93 per due diversi set di dati.

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Figura 93: nel grafici illustrati in figura in alto sono stati messi a confronto i soli contributi ohmici della corrente per alcuni campioni di gap. Il grafico in alto riporta il set di dati acquisito nel Novembre 2008, mentre quello in basso il set

acquisito nel Marzo 2009

In Figura 94 è illustrata la distribuzione della resistenza per tutte le gap, senza distinzione per tipi, limitando il set di valori sulla base del test chiquadro effettuato su tutti i fit.

Figura 94: grafico della distribuzione delle resistenze calcolate mediante i parametri della regressione lineare condotta sul contributo ohmico della corrente di gap

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A causa della diversità delle loro dimensioni, ho suddiviso i dati per tipologie di camere, ottenendo distribuzioni separate, come illustrato in Figura 95. Ogni tipologia di camere, come appare evidente, è caratterizzata da una diversa distribuzione dei valori della resistenza.

Figura 95: nei grafici illustrati in figura sono state messe a confronto le distribuzioni dei valori della resistenza ricavata dal fit lineare del contributo ohmico della corrente di gap per le varie tipologie di camera.

Si può ipotizzare che la resistenza calcolata dal fit quale il risultato del parallelo delle serie costituite dagli spaziatori e dai due contributi delle aree dei piani di bakelite a contatto con questi ultimi; all’interno di ognuna di queste serie, la resistenza, tra le tre, il cui contributo è più rilevante è quella dello spaziatore. Il contributo della bachelite si può stimare considerando che la resistività media21 è pari a 2 -5 · 1010 Ω cm, il che comporta una resistenza pari a 4 – 10 GΩ in corrispondenza del singolo spaziatore, come modellizzato nella Figura 96. È necessario precisare che la “corrente di spaziatore” fluisce sulla superficie dello stesso a causa dell’umidità o di impurità e punte ivi depositate, piuttosto che attraverso il volume. essendo questo un ottimo isolante.

21Per far fronte al diverso valore della resistività delle lastre di bachelite, il protocollo di costruzione ha previsto l’accoppiamento di esse in modo da ottenere un valore medio pari a quello indicato nel testo [13].

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Figura 96: schema del parallelo, esteso a tutta la camera, delle serie costituite dalla resistenza dello spaziatore ed i piccoli contributi resistivi dati dalla bakelite che lo ricopre ai due estremi

In Tabella 11 ho quindi ho cercato di mettere in relazione il valore della resistenza di ogni gap con il numero di spaziatori in essa contenuti, ma non ho ottenuto risultati di particolare rilievo, in quanto l’ampio intervallo di valori ottenuti, dovuto ad altre cause, maschera le possibili correlazioni.

Tipo Valore medio della Resistenza (GigaOhm)

Deviazione standard

della Resistenza (GigaOhm)

Numero di gap

Superficie(m2)

Numero di spaziatori per gap

BML tutte 130 30 1056 BML_A 100 20 259 2,208 221 BML_D 80 20 537 1,601 160 BML_E 270 60 260 1,380 138

BOL tutte 240 50 610 BOL _B 220 50 332 2,825 282 BOL _D 260 60 210 2,214 221 BOL _E 280 70 68 1,909 191

BMS tutte 140 30 414 BMS _B* 140 30 23 3,456 352 BMS _D 120 30 96 3,168 346 BMS _E 150 40 295 3,072 317

BOS tutte 250 50 442 BOS _B 230 50 339 2,164 216 BOS _D 310 60 27 1,930 193 BOS _E 410 70 16 1,696 170

Tabella 11: per ogni tipologia di camera sono riportati i valori di resistenza mediati su tutte le gap con le rispettive deviazioni standard, il numero di gap, la superficie ed il numero di spaziatori contenuti in esse. I valori si riferiscono al set di dati acquisiti nel Novembre 2008

Infatti è necessario tenere presente che, all’interno dell’ATLAS PIT, soprattutto durante la contemporanea accensione di tutti i settori dell’apparato, non è possibile garantire uniformità e costanza, per quanto riguarda le condizioni locali, dei parametri ambientali, pertanto le misure sono condotte in condizioni non omogenee. Tale rettifica è necessaria, tenuto conto della forte dipendenza del comportamento degli RPC dalla temperatura e dall’umidità, come è chiarito più avanti nel capitolo. In particolare l’umidità è responsabile delle variazioni della resistività della bakelite, inficiando fortemente i valori di resistenza calcolati dalle misure di corrente.

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Quindi sono passata all’esame del contributo esponenziale della corrente di gap. Estrapolati dal fit lineare i valori di corrente dovuti alla componente ohmica per valori di tensione superiori, essi sono stati sottratti alle correnti effettivamente misurate, in modo da isolare il secondo contributo. Su quest’ultimo è stato, quindi, eseguito un fit esponenziale.

Figura 97: nei grafici illustrati in figura sono stati messi a confronto i soli contributi esponenziali della corrente per sei campioni di gap. Le curve indicate con le lettere a1, b1 e c1 sono le curve ottenute con i dati sperimentali, mentre a2,

b2 e c2 sono state ottenute sottraendo dai punti sperimentali il contributo ohmico (i cui valori sono ottenuti per estrapolazione dal best fit condotto sui dati del contributo ohmico). l set di dati utilizzato per l’analisi è stato acquisito

nel Novembre 2008

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In Figura 97 ho riportato i soli contributi esponenziali della corrente per sei differenti gap dello stesso tipo (BML D), confrontandoli con le curve ottenute sottraendo alle misure sperimentali i punti estrapolati dal fit eseguito sul contributo ohmico della corrente. La crescita esponenziale è dovuta alla moltiplicazione nella miscela di gas, al numero di valanghe che, nell’unità di tempo, si generano, si moltiplicano e raggiungono l’anodo. La moltiplicazione, a sua volta, è legata, non solo al valore dell’alta tensione ed alla composizione della miscela, ma anche alle impurità in essa presenti (o che si liberano dalla superficie dei piani), all’intensità di flusso del gas, allo spessore della gap, ai parametri ambientali. Inoltre la dipendenza è tale che basta una piccola variazione di uno dei fattori elencati per cambiare l’inverso del fattore di crescita, V0. Per dare un’interpretazione a V0, possiamo considerare il rapporto , dove g è lo spessore del gas

attraversato, il coefficiente di Townsend ed il coefficiente di cattura elettronica.

Il valore medio della distribuzione del parametro V0 calcolato dal fit esponenziale, come illustrata per tutte le camere in Figura 98 è risultato pari a 890 V, mentre la deviazione standard pari a 100 V.

Il coefficiente I0 è legato al contributo della corrente di ionizzazione primaria ed al numero di elettroni che lasciano spontaneamente il catodo, sia per emissione di campo che per effetto termico. Tali emissioni sono in particolare accentuate dalla presenza di irregolarità ed impurità sulla superficie.

Come nel caso delle resistenze, l’ampiezza delle distribuzioni dei parametri ricavati dal fit esponenziale può essere giustificata dall’estrema sensibilità del rivelatore alla presenza di tali irregolarità ed impurità, nonché delle variazioni dei parametri ambientali.

Figura 98: distribuzione per tutte le camere dei valori del parametro V0 ottenuti dall’applicazione del best fit esponenziale sui dati del contributo esponenziale della corrente di gap

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Analisi dell’andamento di corrente di gap e resistenza in funzione della temperatura

Come si è detto, l’andamento della corrente è estremamente influenzato dalle variazioni dei parametri ambientali.

Figura 99: Andamento della corrente di gap in funzione della temperatura per quattro diverse gap in un ciclo di 15 ore (effettuato, presso la Stazione a Raggi Cosmici della Sezione INFN di Lecce [14], portando gradualmente la

temperatura da 20°C a 30°C e viceversa): nell’andamento delle correnti si evidenzia una isteresi, che scompare dopo diversi giorni. Risulta evidente la forte dipendenza dalla temperatura: una variazione di circa 10 gradi di temperatura

comporta un aumento della corrente di gap di circa un fattore 4

Ad esempio una variazione della temperatura produce due effetti: il cambiamento del contributo esponenziale della corrente è dovuto alla variazione dei parametri di stato della miscela gassosa e quindi al diverso guadagno, che influenza lo sviluppo della valanga, ed al diverso valore della resistività della bakelite; il cambiamento del contributo ohmico dovuto ad una variazione della resistenza introdotta da spaziatori e cornici.

Le misure di temperatura, impiegate per valutare il comportamento delle correnti di gap e delle resistenze in relazione ad essa, ci sono state fornite dal gruppo che ha curato la realizzazione del sistema DCS degli MDT. In particolare, i valori utilizzati sono ottenuti dalla media delle misure dei sensori disposti uniformemente in numero di otto per faccia per ogni strato di MDT e caratterizzati da una precisione non superiore a 0,2 gradi.

Per l’analisi sono state prese in considerazione soltanto le camere del cilindro più esterno, le BO, meno soggette al riscaldamento provocato dall’elettronica circostante, site in settori sovrapposti, scegliendo questi ultimi tra quelli sulla sommità e quelli afferenti alla parte bassa, in modo da beneficiare della massima differenza di temperatura esistente sull’apparato. Sono state, quindi, effettuate misure di corrente al variare dell’alta tensione erogata, ottenendo le curve voltamperometriche riportate in Figura 100.

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In rosso sono riportate le curve relative alle gap dei settori della parte alta di ATLAS, in blu quelle relative alle gap dei settori della parte bassa che occupano posizioni, nell’ambito di questi ultimi, equivalenti alle precedenti. Sulla base della distribuzione del calore, infatti, i settori situati più in alto sono soggetti a temperature maggiori rispetto a quelli più bassi.

Il confronto, in generale, verifica le ipotesi per cui la temperatura condiziona fortemente il comportamento degli RPC: come atteso ed illustrato dalla Figura, le curve relative alle gap operanti a temperatura superiore presentano, a parità di tensione, una corrente più elevata.

Figura 100: Esempi di confronto tra curve voltamperometriche di gap site sulla sommità (curve rosse) dell’apparato con quelle corrispondenti nella parte bassa (curve blu). Le curve relative alle gap sottoposte a temperatura di poco più

alta delle altre registrano correnti di valore più elevato

Un’aggiuntiva verifica dell’influenza della temperatura sulle prestazioni degli RPC ci è data dal confronto delle resistenze, calcolate dai fit condotti sul contributo ohmico, come illustrato in Figura 101. Mediante un grafico a barre i cui colori identificano le medesime gap precedentemente utilizzate per il confronto delle curve voltamperometriche, è evidente che, in prima approssimazione, una gap presenta una resistenza minore, concordemente con una corrente di gap più elevata.

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Figura 101: Confronto, in forma di grafico a barre, tra le Resistenze delle gap di cui si sono precedentemente illustrate le curve voltamperometriche. A temperature più alte, in corrispondenza di correnti di gap più elevate, le resistenze

calcolate presentano valori più bassi

Un’ulteriore acquisizione dei dati di tensione-corrente è stata effettuata a seguito dello spegnimento invernale del sistema. È stato, dunque, possibile operare un confronto tra il set di misure, risalente al 17 Novembre 2008, sin qui analizzato con quello acquisito in data 27 Marzo 2009, in condizioni ambientali, considerevolmente mutate.

Durante il periodo invernale tutte le camere sono state sottoposte ad un trattamento in Argon. Infatti, sfruttando lo spegnimento dovuto alla manutenzione ed a motivi economici e di sicurezza, le camere sono state tenute sotto un flusso di Argon, correttamente umidificato, circa tre volte superiore a quello ordinario. Sono state, quindi, periodicamente accese ad una tensione di circa 1900-2000 V [15], ovvero compresa nella zona del ginocchio di passaggio dalla parte ohmica a quella esponenziale della curva voltamperometrica ottenuta da misure in Argon. In queste condizioni, le scariche si verificano soprattutto in corrispondenza delle irregolarità degli elettrodi, delle punte e degli accumuli di sostanze inquinanti. Il trattamento in Argon, condotto per alcune settimane ed a flusso elevato, permette di consumare tali depositi, ripulendo la gap e migliorando la risposta e le prestazioni delle camere in condizioni ordinarie. Gli effetti immediatamente riconoscibili ed efficacemente utili per la prevenzione dell’invecchiamento si possono riscontrare, appunto, nella riduzione delle correnti complessive e nell’abbattimento del noise, tra misure precedenti e posteriori al trattamento.

Pertanto abbiamo verificato il decremento delle correnti a seguito del trattamento.

Si è proceduto, in primo luogo, ad un raffronto gap per gap, come illustrato nei grafici a barre delle distribuzioni spaziali delle correnti in Figura 102, relativi a due interi settori logici. Risulta evidente che le correnti misurate a tensione di lavoro a Marzo siano sempre di valore inferiore a quelle di Novembre.

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Figura 102: Confronto gap per gap, mediante grafici a barre, delle correnti di gap a tensione di lavoro relative a due interi settori logici suddivisi per pannelli, camere, piani e livelli. Risulta evidente che le correnti registrate in Marzo

siano di valore inferiore a quelle di Novembre

Il medesimo andamento è possibile ravvisarlo nel grafico riportato in Figura 103 che raccoglie un campione di curve voltamperometriche estratte per le medesime gap dai due set di misura temporalmente distanti e scelte con il criterio si settori alti e settori bassi precedentemente impiegato. Infatti le curve voltamperometriche relative al set di Novembre ed accomunate dal colore rosso risultano caratterizzate da valori di corrente mediamente più alti di quelle in verde che risalgono, invece, a Marzo.

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Figura 103: Confronto delle curve voltamperometriche relative alle medesime gap ma a set di dati temporalmente distanti. Appare chiaro che le curve relative al set di Novembre ed accomunate dal colore rosso siano caratterizzate da

valori mediamente più alti della corrente

Infine abbiamo operato il confronto tra le distribuzioni delle correnti di gap, misurate a tensione di lavoro, suddividendo le camere per tipi e modelli, come illustrato in Figura 104, i cui valori medi sono riportati nella Tabella 12. Considerando la forma delle distribuzioni, quelle relative al mese di Marzo presentano picchi più definiti e centrati verso valori di corrente più bassi. Dal valore medio, appare, invece, molto marcata la differenza di corrente media tra le camere BM e le BO.

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Figura 104: Confronto tra le distribuzioni della corrente di gap, misurata a tensione di lavoro, per due diversi tipi e modelli di camere per i set di Novembre e Marzo

Modello e tipo di camera

Dataset 17 Novembre 2008 Media e Deviazione standard

Igap in microA

Dataset del 27 Marzo 2009 Media e Deviazione standard

Igap in microA

Variazione percentuale

Numero di gap

BML_A 0,43 ± 0,15 0,37 ± 0,14 13,95% 200 BML_D 0,52 ± 0,16 0,37 ± 0,12 28,85% 451 BML_E 0,25 ± 0,18 0,20 ± 0,13 20,00% 212 BOL_A 0,10 ± 0,08 0,06 ± 0,03 40,00% 278 BOL_D 0,09 ± 0,05 0,06 ± 0,02 33,33% 185 BOL_E 0,08 ± 0,06 0,05 ± 0,03 37,50% 16

BMS_B* 0,28 ± 0,16 0,20 ± 0,15 28,57% 34 BMS_D 0,21 ± 0,15 0,13 ± 0,08 38,10% 80 BMS_E 0,22 ± 0,17 0,14 ± 0,08 36,36% 261 BOS_B 0,12 ± 0,08 0,10 ± 0,05 16,67% 357 BOS_D 0,07 ± 0,03 0,05 ± 0,02 28,57% 33 BOS_E 0,04 ± 0,03 0,03 ± 0,02 25,00% 15

Tabella 12: Confronto tra i valori medi di corrente di gap, corredati delle deviazioni standard, per ogni modello e tipo di camera per i set acquisiti il 17 Novembre ed il 27 Marzo

Come atteso, le correnti misurate a Marzo, a seguito del trattamento in Argon, risultano notevolmente più basse rispetto a quelle misurate in Novembre: la Tabella 12 riporta le percentuali di tale decremento, comprese tra una variazione media del 14% circa per la tipologia BML di modello A ed il 40% delle BOL modello A.

Il buon esito del trattamento ha suggerito la sua effettuazione periodica, all’atto dello spegnimento a lungo termine (di circa tre mesi l’anno durante il periodo invernale) dell’apparato.

Nella Figura 105, mediante un grafico a barre e potendo usufruire di un terzo set di misure effettuato il 31 Marzo, sono state messe a confronto le resistenze, calcolate dal fit condotto sul contributo ohmico della corrente di gap, per alcuni campioni relativi alla medesima linea di distribuzione dell’alta tensione.

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Figura 105: Confronto, in forma di grafico, a barre tra le Resistenze delle gap per tre diverse acquisizioni a temperature diverse. Anche in questo grafico si evidenzia come a temperature più alte, in corrispondenza di correnti di

gap più elevate, le resistenze calcolate presentano valori più bassi

Come appare dalla Tabella 13 la resistenza, calcolata sui fit condotti sulla parte ohmica della corrente, è fortemente aumentata rispetto ai valori di Novembre.

Modelli e tipi di camere

Valore medio della Resistenza (GigaOhm)

Deviazione standard

della Resistenza (GigaOhm)

Aumento percentuale rispetto a

Novembre2008

Numero di camere

BML_A 190 50 47,37% 179 BML_D 120 30 33,33% 424 BML_E 280 60 3,57% 178 BOL_B 310 70 29,03% 206 BOL_D 410 70 36,59% 63

BMS_B* 150 40 6,67% 35 BMS_D 150 40 20,00% 74 BMS_E 180 50 16,67% 160 BOS_B 360 70 36,11% 183

Tabella 13: Valori medi e deviazioni standard di ogni tipo di camera per le resistenze, calcolate sui fit condotti sulla parte ohmica della corrente, per il set del 27 Marzo

Le correnti di dispersione

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Alla corrente di gap va affiancata anche quella di dispersione ILEAK: esse sono i contributi additivi che costituiscono la corrente complessivamente misurata dall’alimentatore CAEN.

Le correnti di dispersione si propagano, seguendo percorsi diversi da quelli di misura della corrente di gap ed incontrollati, attraverso i cavi, i connettori (sia dal lato delle camere che da quello dell’alimentatore), i distributori di alta tensione, ma soprattutto i bordi e le cornici (dal lato dell’elettrodo connesso all’alta tensione. Per avere una misura di tali dispersioni su ogni canale dell’alimentatore si è proceduto alla sottrazione dal valore di corrente totale erogata della somma delle correnti di gap connesse all’intera linea di distribuzione dell’alta tensione relativa al canale di volta in volta d’interesse. Le suddette correnti dipendono dalla tensione applicata e manifestano un comportamento puramente resistivo. È importante precisare che esse non hanno impatto sulle prestazioni del rivelatore; possono tuttavia produrre rumore elevato in prossimità dei bordi dei pannelli di lettura.

In Figura 106 sono illustrate le curve voltamperometriche per quattro diverse linee di distribuzione dell’alta tensione relative al Settore 5 per due diverse date. I valori di corrente di dispersioni sono complessivi per l’intera linea di distribuzione, la quale alimenta 16 unità.

La forte riduzione del maggior contributo delle correnti di dispersione, cioè quello verso i bordi e le cornici, è stato ottenuta grazie all’isolamento delle unità con profili di PET dello spessore di 190 μm.

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Figura 106: Esempi di curve voltamperometriche per la corrente di dispersione di quattro diverse linee di distribuzione dell’alta tensione relative al Settore 5 e distinte in due date diverse

Una volta che tutte le gap di una linea di alta tensione siano state correttamente connesse, a seguito dell’autorizzazione del DCS in base alle condizioni del gas, viene, quindi, effettuato uno scanning della tensione nominale di lavoro, facendola salire gradualmente da 2 a 9.6 kV, per verificare che gli assorbimenti di corrente si mantengano dell’ordine di 1-2 μA. Le correnti di tutte le gap vengono registrate in un file assieme al valore di tensione e di corrente totali letti dall’alimentatore CAEN, nonché dalle rispettive etichette. Mediante la procedura ivi descritta si è resa possibile la ricognizione dei seguenti problemi:

• eventuale scambio di canali nella mappatura software del DCS; • gap estremamente rumorose, che si distinguono per assorbimenti di corrente molto alti; • eventuale errata o mancata connessione dei canali di alta tensione alle gap. La correzione di tali tipi di errori è stata possibile grazie ai risultati dell’analisi sui dati acquisiti condotta mediante l’utilizzo di programmi software appositamente sviluppati, illustrati nel Capitolo 5.

4.6. La distribuzione ed i test di bassa tensione

Come nel caso dell’HV, anche per la bassa tensione (LV) i rack vengono consegnati al test con i cavi connessi ai moduli e sconnessi dal lato camera. Si procede ad un’accensione preliminare di tutti i moduli ad una tensione convenzionale (2V) per assicurare l’assenza di cortocircuiti e la funzionalità minima degli alimentatori. La seconda fase del test si effettua dal lato della camera su tutti i tipi di cavi (Vpad, Vpd, Vee, Vth, Igap) e consiste nella verifica della consistenza tra il database di connessione su cui è costruito il DCS, l’etichetta identificativa del cavo e la sua collocazione fisica, mediante un apposito software ed un lettore di codici a barre.

Lo schema di un crate completamente attrezzato è illustrato in Figura 107.

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Il crate è alimentato da due moduli CAEN da 48 V, i moduli A3485 trifase da 5 kW e A3486 da 2 x 4 kW, l’uno impiegato per “la potenza” e l’altro per “i servizi”, ovvero per le comunicazioni interne del crate. Le basse tensioni Vee e Vpd sono erogate da moduli CAEN A3009 (dotati di 12 canali che possono erogare una tensione di 8 V /9 A) ed il fan out viene opportunamente aumentato da un apposito splitter.

La corrente di gap Igap e la tensione di soglia Vth sono lette da un modulo ADC CAEN A3801 (ha 128 canali d’ingresso con una risoluzione di 15 bit e 1 kHz di massimo tasso di campionamento) i cui ingressi (cavi piatti tipo 3M), provenienti dalle camere, sono raccolte da un modulo che le riunisce in un’unica piattina da 64 canali.

Figura 107: Schema esemplificativo di un crate completamente attrezzato ed adibito all’erogazione delle LV per le BO

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Figura 108: Foto del crate attrezzato ed adibito per l’erogazione delle LV per le BOL e le BML del Settore 5

Una volta connesso un intero semi-settore (A o C) viene eseguita l’accensione di tutti i canali LV in base ad una sequenza prefissata e la verifica dei corretti assorbimenti di corrente.

Per ogni camera, le schede di distribuzione dell’alta tensione sono due e sono site sui due lati di minore lunghezza22.

22

Schema dei connettori di una scheda di distribuzione delle basse tensioni

A) Connettore a piattina per la corrente di gap Igap letta dal lato della camera su cui è situata la scheda; B) Connettore a piattina per la corrente di gap Igap letta dal lato opposto rispetto a quello su cui è situata la scheda; C) Connettore a piattina per la tensione di soglia Vth letta dal lato della camera su cui è situata la scheda;

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Le basse tensioni, dunque, sono le seguenti:

• Vth: è la tensione delle soglie dei discriminatori delle schede di front end che producono un segnale soltanto se quello d’ingresso ha superato il valore impostato; è negativa, il suo intervallo di variazione è compreso tra 0 e -2 V e viene impostata separatamente per ogni layer e per le due viste η e φ; • Vee : è la tensione di alimentazione delle schede di front end; essa è negativa, pari a -6.1V e viene impostata separatamente per ogni camera (BO, BM Pivot, BM Confirm); • Vpad: è la tensione di alimentazione delle PAD; essa è positiva, pari a 4 V e viene impostata separatamente per ogni camera dotata di PAD (BO e BM Pivot); • Vpd: è la tensione di polarizzazione del chip receiver ECL presente sulle PAD; è negativa, pari a -2 V e viene impostata separatamente per ogni mezza camera (HV e RO); la corrente di pull down (di cui si è discusso a proposito dell’omonimo test) è generalmente molto bassa e si alza notevolmente in presenza di segnali provenienti dalle schede di front end.

Tutte le basse tensioni possono essere gestite tramite il DCS per impostarne il valore e leggerne l’assorbimento di corrente.

Anche in questo caso, il test si compone di due fasi: la prima consiste nel verificare la correttezza del cablaggio, la seconda la stabilità e la limitatezza dell’assorbimento di corrente.

Un apposito pannello del DCS riconosce il posizionamento del cavo, con l’ausilio di un lettore di codice a barre, e permette l’erogazione di una tensione di prova di 4V. Tale tensione è sufficiente ad accendere un led su una scatoletta di controllo appositamente costruita per il test.

Grazie a siffatto controllo è possibile verificare che l’etichetta del cavo sia correttamente archiviata nel database del DCS e ad essa corrisponda un’esatta collocazione topologica; inoltre è possibile verificare la correttezza del cablaggio e l’eventuale presenza di inversioni, cortocircuiti, etc.

Una volta effettuato il controllo dei cavi, viene eseguita la connessione, stabilito un valore di tensione e controllato il corrispondente assorbimento di corrente.

Nel caso della Vth per individuare un valore ragionevole di tensione di soglia da impostare, in mancanza dell’assorbimento di corrente (un eventuale assorbimento sarebbe, infatti, indice di malfunzionamento), il controllo viene effettuato sulla variazione del conteggio di ogni piano di lettura in corrispondenza della variazione del valore impostato. Come atteso, infatti, una riduzione (in valore assoluto) della soglia di discriminazione comporta un più ampio intervallo di accettazione dei segnali indotti sui pannelli di lettura e, poiché l’ampiezza del segnale indotto è proporzionale alla quantità di carica prodotta dalla valanga, ciò comporta l’acquisizione di un gran numero di segnali di rumore che danno luogo ad un maggior tasso di conteggio.

A questo proposito, per ottenere un controllo qualitativo dell’efficienza e del rumore dei singoli pannelli di lettura, ho effettuato un attento monitoraggio del rate di singola. Per ottenere tale misura, tramite il DCS, scelti gli opportuni valori di tensione di soglia, viene accesa l’alta tensione ed impostata al valore nominale di lavoro soltanto sulla linea cui appartiene il pannello di volta in volta sottoposto a verifica. Pertanto vengono spente anche tutte le tensioni di pull down, tranne quella del pannello d’interesse, in modo da rendere non operative tutte le altre PAD. La PAD relativa al pannello d’interesse comunica i dati ad un’apposita interfaccia utente realizzata all’interno del software di trigger e permette il monitoraggio continuo dei conteggi dei piani di lettura ηij e φij (con il layer indicato da i = 0, 1 ed il lato indicato da j = A,

D) Connettore a piattina per la tensione di soglia Vth letta dal lato della opposto rispetto a quello su cui è situata la scheda;

E) Connettore a piattina per la tensione di alimentazione Vee; F) e G) Connettori “fast-on” rispettivamente delle tensioni di PAD Vpad e di pull down Vpd.

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C). La Tabella 14 illustra, come esempio, alcuni risultati ottenuti nell’Agosto 2007, per il Settore 5, a tensione di lavoro di 9.6 kV.

Tabella 14: Esempio di risultati delle misure di rate di singola eseguite a tensione di lavoro pari a 9.6 kV: la dizione “MANCA TUTTO” indica che tutti i pannelli di lettura di un layer della semicamera sono risultati completamente spenti; la dizione “debole” relativa ad un singolo pannello od il riempimento di colore verde indicano che tutti i pannelli di lettura di un layer della semicamera hanno riscontrato conteggi inferiori a 0.6 kHz; la dizione “alto” od il riempimento di colore rosa indicano che tutti i pannelli di lettura di un layer della semicamera hanno riscontrato conteggi superiori a 5 kHz; il colore viola del layer 1 della BOL4A indica che la camera è disconnessa dalle linee di HV a causa di gravi perdite di gas

Siffatta misura ha permesso la diagnostica – e successiva risoluzione - dei seguenti problemi:

• pannelli di lettura notevolmente rumorosi; • pannelli di lettura poco sensibili; • eventuali inversioni di cablaggio; • mancata connessione di alcuni pannelli di lettura o PAD.

4.6.1. Un esempio di evento di overcurrent

A sottolineare la fondamentale importanza delle procedure di test e controllo descritte nei paragrafi precedenti, consideriamo come esempio un evento critico verificatosi il 25 Agosto 2007, durante uno dei miei periodi iniziali di permanenza al CERN.

Come illustrato in Figura 36, nella quale è riportato l’andamento temporale della corrente per alcune gap, in corrispondenza della zona cerchiata in rosso si è verificato un improvviso overcurrent, ovvero un aumento del valore di corrente di gran lunga superiore ai limiti imposti dal DCS, in particolare della gap BML3A05.PI.RO.L3 (per oltre il 50%) che ha provocato lo spegnimento dei canali di HV che alimentano le camere.

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A seguito di tale evento si è verificato un complessivo gravoso incremento delle correnti di gap di tutte le camere, che ha reso indispensabile operare a tensioni di gran lunga più basse di quella stabilita per il punto di lavoro, pari, come precedentemente rammentato, a 9.6 kV. Pertanto si precisa che i dati, dei quali a seguito è brevemente illustrata l’analisi, sono stati acquisiti in regime di 9.0 kV di tensione.

Nella medesima Figura 36 è importante considerare, oltre al succitato evento di overcurrent, il valore costante a cui si sono mantenute le correnti, per alcuni giorni, nonostante la riduzione dell’alta tensione applicata.

Le ipotesi che sono state avanzate riguardo all’accaduto sono brevemente elencate come segue:

• Forte aumento della temperatura ambientale esterna. • Inserimento – peraltro ritardato dal cattivo funzionamento del sistema di commutazione – del nuovo

set di bombole di Isobutano; • Inquinamento del nuovo set di bombole di Tetrafluoretano.

Tale evento ha esortato ad intraprendere un monitoraggio ancora più attento delle correnti di gap ed un’accurata analisi della qualità del gas mediante il gascromatografo.

Prendiamo quindi in considerazione le analisi condotte sulle correnti di gap.

Tensione di lavoro pari a 9600V

Tensione di lavoro pari a 9000V

Figura 109: Andamento temporale delle correnti di gap (misurate in μA) relative alla linea di HVBML3A05.PI.RP.Ly0: il cerchio e la freccia evidenziano la clamorosa impennata di Igap della gap L3. Da notare,inoltre, il valore costante cui si sono mantenute le correnti, nonostante la riduzione della tensione di lavoro

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Figura 110: Statistica delle correnti di gap(misurate in μA) per le camere BOL e BML del Settore 5 per i giorni compresi dal 26 al 29 Agosto 2007. I colori diversi degli istogrammi si riferiscono a giorni diversi. I dati sono stati registrati relativamente alla tensione di lavoro, stabilita in quei giorni a 9 kV, proprio a causa dell’incremento delle

correnti suddette

Figura 111: Statistica delle correnti di gap (misurate in μA) per le sole camere BML del Settore 5 per i giorni compresi dal 26 al 29 Agosto 2007, avendo distinto i Pivot dai Confirm

In Figura 110 sono illustrati gli istogrammi relativi all’analisi statistica delle correnti di gap delle camere BOL e BML del Settore 5 per i giorni compresi dal 26 al 29 Agosto 2007. In generale le camere BOL hanno fatto registrare dei valori di corrente di gap sensibilmente più bassi a confronto di quelli fatti registrare dalle BML, tra le quali, in alcuni casi, si raggiunge e supera il valore di guardia di 4 μA. In particolare, si riscontra, nel gruppo delle BML, una sensibile differenza tra il comportamento dei Pivot rispetto ai Confirm (come illustrato in Figura 111) ed, infine, le correnti più alte sono state registrate da alcune gap delle camere BML3A05 e BML2A05.

Dal raffronto delle misure di corrente di gap condotte in Agosto con quelle condotte in Settembre (ed illustrate in Figura 112 risulta considerevole il complessivo abbassamento dei valori nel secondo periodo, tale da rendere possibile operare a tensione di lavoro più alta, pari a 9.6 kV.

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pivot & confirm & all BML 9.6kV

0102030405060708090

100

0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5

pivot confirm all pivot & confirm & all BML 9kV

0

20

40

60

80

100

120

0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5

pivot confirm all

In primo luogo si è investigata una correlazione tra i dati di corrente di gap e quelli della temperatura interna dell’ATLAS PIT. A tal fine si è scelto di operare l’analisi proprio sulla gap “incriminata” e su di un’altra appartenente alla stessa camera (rispettivamente le gap BML3A05.PI.RO.L3 e L4) ed i dati relativi alla temperatura sono stati forniti dal database del DCS degli MDT, relativamente ai multistrato della stazione 3A05. Ricordiamo che le suddette due gap, in quanto relative a layer diversi, sono alimentate da linee di HV e di gas diverse.

(a) (b)

Figura 112: Statistica delle correnti di gap (misurate in μA) per le BOL a tensione di lavoro pari a 9.6 kV (a) e 9.0 kV(b), per le BML a tensione di lavoro pari a 9.6 kV (c) e 9.0 kV (d) per l’intero insieme (riempimento di colore azzurro) eseparando i contributi di Pivot (rosso) e Confirm (giallo). Tali misure sono state effettuate il 4 Settembre 2007

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Figura 114: Esempi delle analisi svolte, giorno per giorno, sulle gap per cercare una relazione tra la corrente di gap e la temperatura (locale). In alto due grafici di analisi della BML3A05.PI.RO.L3 relativi alla giornata del 25 Agosto

illustrano la correlazione tra i valori della corrente ed i relativi valori della temperatura (media dei valori registrati dai dieci sensori) rispettivamente per le prime ore del mattino e per le ore del pomeriggio in cui si è verificato l’evento di overcurrent (cerchiato in rosso): l’andamento evidenzia la repentina e brusca variazione di pendenza della curva. In basso un grafico di analisi della BML3A05.PI.RO.L4 relativo alla giornata del 25 Agosto illustra la correlazione tra i

valori della corrente ed i relativi valori della temperatura che risulta rientrare negli standard degli RPC.

Figura 113: Andamento della temperatura registrata da 10 sensori posti sui multistrato MDT della stazione 3A05 per igiorni compresi tra il 23 Agosto ed il 3 Settembre 2007.

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A seguito dell’analisi, oltre alla sperimentata dipendenza della corrente di gap dalla temperatura, non è stato, in effetti, rinvenuto alcun dato particolare relativo alla temperatura che possa aver generato un evento tanto eclatante.

Un altro tipo di analisi è stato effettuato sulla qualità della miscela gassosa, mediante le misure di gascromatografia.

Riguardo alla citata ipotesi relativa al cambio di bombole dell’Isobutano, nulla si può dire. Infatti non è possibile effettuare un’analisi dell’Isobutano allo stato puro per questioni di sicurezza; è possibile analizzare tale gas soltanto nella percentuale presente in miscela, pertanto la presenza di eventuali agenti inquinanti presenti nella bombola che lo contiene, risulta mascherata. Non è, però, da escludere che la causa dell’accaduto possa risiedere in siffatta circostanza poiché la carica prodotta nella valanga è sensibilmente dipendente dalla quantità di Isobutano presente in miscela ed anche una piccola variazione della percentuale di gas implica una forte variazione del valore di corrente di gap registrato.

Per quanto riguarda le analisi condotte sulla bombola del Tetrafluoretano appare evidente dalla Figura 42 la presenza di due picchi inattesi nel cromatogramma, probabilmente dovuti alla presenza di agenti inquinanti, che, all’atto dell’evento, si è pensato fossero Idrocarburi o Clorofluorocarburi. A seguito dell’accaduto è stata fatta richiesta alle case produttrici una maggiore purezza nelle bombole ed agenti inquinanti di tal sorta non sono stati ulteriormente ravvisati nell’analisi.

Figura 115: Cromatogrammi relativi alla miscela di gas operante nel giorno dell’evento “critico” e registrati in data 27 Agosto 2007

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Figura 116: Ingrandimento del precedente cromatogramma relativo a tre piccoli picchi, tra i quali il centrale è stato identificato con l’acqua e gli altri due sono relativi a sostanze inquinanti presenti nella bombola di Tetrafluoretano in

uso non identificabili tramite la sola analisi gascromatografica.

4.7. La situazione del sistema RPC In conclusione del capitolo facciamo una breve panoramica sullo stato del sistema relativamente agli RPC dello Spettrometro muonico, all’atto di presentazione della presente tesi di laurea. Per quanto riguarda il sistema del gas, ulteriori analisi hanno portato alla conclusione che gli agenti inquinanti, di cui si è trattato nel precedente paragrafo, erano riconducibili per la gran parte alla presenza di aria nelle bombole nuove di TFE appena immesse nel circuito. Sostituendo le bombole precedentemente usate con altre da 650 Kg (garantite prive di aria), la miscela fresca è risultata alle analisi essere assolutamente pura entro i limiti di sensibilità del sistema cromatografico. Il sistema gas viene normalmente usato in modalità di ricircolo con i suoi 15 m3 di gas in circolo per un flusso pari a 10 m3/h, dei quali meno del 5% è costituito dalla miscela fresca (circa 350 l/h). La perdita totale del sistema si misura inferiore a 50 l/h. La stabilità nel tempo della qualità della miscela fresca, opportunamente testata a lungo termine, ha fatto si che la stessa fosse utilizzata come base di calibrazione per le analisi al gascromatografo. Per effettuare questa importante fase delle analisi GC, si analizzano ripetutamente un numero di campioni tra i 30 ed i 50 di miscela fresca, e si compone una statistica dei risultati. I parametri di calibrazione per TFE, isobutano e SF6 sono così stabiliti forzando l’ottenimento di un risultato per la miscela pari a esattamente il 94,7/5.0/0.3 % rispettivamente. L’elettronica, l’installazione ed il cablaggio degli RPC, all’interno dell’ATLAS PIT, sono da considerarsi completati.

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Figura 117: illustrazione dello stato della connessione degli RPC dello Spettrometro, ove si evidenzia la copertura quasi totale del sistema

Il gruppo di schede di lettura e processamento del trigger in acquisizione sono 32 e la loro installazione è stata completata nel Marzo 2008. Nei mesi successivi si è proceduto alla messa a punto della temporizzazione e della sincronizzazione del sistema RPC con gli altri rivelatori del trigger LV1, attività attualmente ancora in corso.

L’ingente impegno profuso nel completamento del Commissioning dell’apparato è culminato nella rivelazione del primo evento di beam gas LHC, generato dalla circolazione di un solo fascio nell’anello del collider il 10 Settembre 2009.

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Figura 118: illustrazione della registrazione da parte dell’esperimento ATLAS del primo evento di LHC, generato dalla circolazione di un solo fascio nell’anello del collider il 10 Settembre 2009

Sotto gli occhi emozionati del consesso dei fisici delle particelle elementari e l’attenzione dell’intera comunità mondiale i protoni sono state iniettati con energia di 450 GeV nell'acceleratore in senso orario alle 10:28 locali; un secondo è stato iniettato in senso antiorario alle 14:59. Il fascio è stato fermato in molti punti, come in un viaggio a tappe, ed in capo ad un’ora l’intero anello è stato reso operativo. Dapprima i collimatori terziari a 140 m di distanza da ATLAS sono stati chiusi per ragioni di sicurezza, pertanto uno spray di particelle ha attraversato il rivelatore producendo un evento del tipo cosiddetto splash, caratterizzato da un enorme numero di segnali ed una gran quantità di energia depositata all’interno dei calorimetri. Quindi i collimatori sono stati aperti e il fascio ha circolato attraverso il rivelatore, pertanto gli eventi fisici attesi sono stati quelli dovuti al rumore di fondo della macchina ed alle interazioni del fascio con le pareti del condotto o con il gas residuo all’interno di esso.

Grazie al periodo di Commissioning con i Raggi Cosmici, l’apparato si è dimostrato pronto per l’acquisizione e la ricostruzione.

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A seguito dell’incidente23 avvenuto a LHC il 19 Settembre, l’apparato è stato impegnato in una lunga e globale acquisizione di dati da Raggi Cosmici al fine di ottenere una statistica sufficiente a garantire studi dettagliati delle prestazioni del rivelatore.

23 L’origine dell’incidente risiede in una connessione elettrica difettosa tra due magneti che ha prodotto un guasto meccanico nel sistema ed una fuga di elio nel tunnel

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Capitolo 5 Il Software di Analisi per il Commissioning

5.1. Il Software sviluppato per il Commissioning

L’intero apparato sperimentale di ATLAS si compone di circa 140 milioni di canali di elettronica operanti ad un tasso di attività previsto di circa 100 Hz come frequenza finale di acquisizione.

Un accurato controllo dei dati effettuato sia online che offline è essenziale, in particolare, alla partenza di un esperimento, il cui ambiente ed ambito sono ancora nuovi e non completamente e dettagliatamente conosciuti. Le informazioni ottenute in siffatto modo sono necessarie per ravvisare i canali rumorosi e quelli non funzionanti, valutare le costanti di allineamento spaziale e di calibrazione, allertare gli addetti ai turni di acquisizione e controllo nell’evitare l’accumulazione di dati erronei o fallaci, monitorare le variazioni del setup, spesso correlate a quelle dei parametri ambientali, verificare la stabilità del punto di lavoro e correggere i problemi riscontrati nell’apparato; mentre nel trattamento offline, permettono di effettuare ulteriori e maggiormente complesse verifiche della qualità dei dati da fornire alla successiva analisi di fisica.

Tutte le informazioni così raccolte riguardo allo stato dell’apparato vengono archiviate in una serie di database, suddivisi in base alle tecnologie dei rivelatori ed alle fasi temporali a cui si riferiscono.

In particolare, per la fase di certificazione e poi di Commissioning al sito di ATLAS, è stato creato un apposito database (Commissioning Database) usando la tecnologia ORACLE (http://www.oracle.com/global/it/index.html).

Per l’analisi dei dati del Commissioning ho lavorato a due programmi, scritti in linguaggio C++ e sviluppati in ambiente ROOT (http://root.cern.ch/).

ROOT è un potente pacchetto software object oriented sviluppato dal CERN per l’analisi dei dati. Sono incluse tra le funzionalità di ROOT l’analisi di distribuzioni e funzioni tramite istogrammi e grafici, il fitting e la minimizzazione di funzioni, numerosi strumenti statistici per l'analisi dei dati, la persistenza e serializzazione degli oggetti, i quali possono far fronte ai cambiamenti nelle definizioni delle classi dei dati. Una caratteristica chiave di ROOT è il contenitore di dati chiamato “tree”, una sorta di finestra scorrevole di accesso ai dati grezzi, ad un insieme di eventi, ognuno caratterizzato da un numero fissato di variabili. Siffatta struttura risolve anche i problemi di allocazione della memoria concernenti la creazione di oggetti. Una rootpla di ROOT è una struttura di dati simile ad una matrice costituita da un numero di righe, ad esempio, pari al numero di eventi e da un numero di colonne, ad esempio, pari al numero dei parametri dell’evento.

I dati prodotti dall’acquisizione vengono accumulati in file all’interno del sistema di immagazzinamento gerarchico CASTOR, acronimo di CERN Advanced STORage manager.

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5.1.1. La struttura della “rootpla” per il controllo qualità dei dati

Mediante un apposito programma, sviluppato in seno al gruppo di ATLAS Napoli, i dati vengono organizzati in una rootpla, tra le cui variabili possiamo soffermarci sulle seguenti, di maggiore interesse per i nostri scopi:

• Nevt : è la variabile contenente il numero di eventi raccolti durante l’acquisizione; • Nhit : è la variabile contenente il numero di hit di ogni evento. Con il termine hit si intende

“un’andata a segno” ovvero la rivelazione di una particella e la conseguente generazione del segnale. • Sector: è il numero identificativo del settore di trigger ed è associato ad ogni hit; • Side: è una variabile che assume valore 0 o 1 rispettivamente per il lato A o C dell’esperimento; • PAD, CMid, ijk: identificano l’unità RPC che ha registrato l’evento, mediante PAD, CMA, piano e

livello (Pivot, Confirm di Low Pt e Confirm di High Pt); • MuonStation: identifica la stazione RPC che ha registrato l’evento; • IsEtaView: è una variabile che può assumere valore 0 o 1 per discriminare se l’evento è stato

registrato da un pannello di strip disposte secondo la coordinata eta o quella phi; • SectorStrip, StationStrip, LocalStrip: sono variabili che danno l’informazione di quali strip abbiano

registrato hit, essendo queste numerate secondo la convenzione di Settore o di Stazione o di Unità; nella Figura 119 sono messe a confronto per via grafica le tre variabili;

• Channel: è una variabile che dà l’informazione degli hit registrati da ogni canale; • IsTriggerHit: è un binario che discrimina se l’evento è stato registrato mediante applicazione o meno

di una logica di trigger.

Figura 119: è illustrata, per un settore esemplificativo, la differenza tra i tre diversi indici di strip: Local, Station e Sector Strip.

Si vuole sottolineare la differenza tra l’indice di canale e quello di strip; il primo identifica il canale di lettura all’interno di ogni CMA di ogni PAD ed il suo intervallo di variazione va da 0 a 32, essendo questa la modularità delle CMA; il secondo, invece, identifica la striscia di lettura nell’ambito della sua collocazione spaziale nel pannello di lettura, nella stazione o nell’unità.

Le procedure di acquisizione dei dati, in fase di Commissioning, sono state di due tipi: Random e Cosmici; la prima è stata utilizzata per valutare il rumore complessivo presente sul sistema, la seconda è essenziale alla

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verifica della correttezza del tracciamento dell’intero apparato di rivelazione ed in particolare dello Spettrometro. Per rumore complessivo si intende l’intero comportamento della catena elettronica di lettura (amplificatori, discriminatori, cavi e connettori) relativamente ai segnali spuri che inevitabilmente si presentano ad un apparato di acquisizione.

La procedura di tipo “Random” consiste nell’acquisizione di dati “in singola”, cioè senza che sia applicata all’apparato alcuno schema di trigger, in modo da poter valutare il succitato rumore, indipendente dalla effettiva rivelazione di particelle, che si sovrappone al segnale utile. Per ottenere tale tipo di dati, vengono acquisiti tutti i segnali provenienti dai singoli rivelatori durante una fissata finestra temporale che, tenendo conto della frequenza di lavoro di LHC, è pari a 200 ns (corrispondenti a 8 bunch di eventi distanti 25 ns l’uno dall’altro). Pertanto il rate di rumore per ogni strip si calcola dividendo il numero n di hit sulla strip per il numero N complessivo di eventi acquisiti e per la finestra di acquisizione, come segue:

R[GHz] = 2001

Nn

.

Inoltre, allo scopo di ottenere una misura standardizzata, risulta utile esprimere il rate in funzione dell’area delle strip, in modo da affrancare la misura dalle dimensioni e fornendo un valore “normalizzato” alla superficie, una sorta di densità di rumore per unità di superficie. I canali relativi alle strip, che risultano “rumorose” oltre una certa soglia stabilita, vengono mascherati all’interno del trigger in fase di acquisizione dati.

La procedura di tipo Cosmici consiste nell’acquisizione dei dati mediante l’applicazione di opportune configurazioni di trigger che permettono di correlare gli hit rilevati su un fissato numero di piani di rivelazione e confacenti alle traiettorie dei raggi cosmici.

Si vuole sottolineare che il sistema di trigger dello Spettrometro è stato progettato ed ottimizzato per selezionare tracce provenienti dal centro di interazione e non è congeniale per i muoni cosmici, che provengono, invece, principalmente dalla parte alta dell’apparato. Non è possibile eseguire alcuna modifica della geometria o del cablaggio del rivelatore; è stato possibile, invece, applicare una configurazione speciale del trigger di LVL1 per l’acquisizione e la selezione dei cosmici, mediante l’apertura delle road di trigger al massimo consentito dal cablaggio24.

I due programmi sono accomunati dallo scopo di fornire all’utente degli strumenti, utili soprattutto in fase di Commissioning, che consentano la veloce analisi dei dati acquisiti in modo che essi possano essere immediatamente comunicati per la correzione di errori e l’eliminazione delle sorgenti di cattivo funzionamento.

Le rootple ottenute dall’acquisizione Random sono state analizzate mediante un programma da me appositamente sviluppato in linguaggio C++ in ambiente ROOT, denominato RandomStudy; mentre le rootple ottenute dall’acquisizione Cosmici sono state analizzate mediante un programma, al cui sviluppo ho partecipato, in linguaggio C++ in ambiente ROOT, denominato RPC.

La struttura del presente capitolo è configurata in modo da presentare in primo luogo una breve panoramica delle caratteristiche essenziali dei programmi software sviluppati, successivamente l’analisi dei dati acquisiti. 24Per ogni strip che abbia generato segnale sul piano di Pivot, si cerca una qualunque strip che abbia generato segnale sul piano di conferma corrispondente, per dare luogo al trigger.

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5.2. Il programma di analisi per il rumore

Il rumore è un segnale di andamento casuale nel tempo che si sovrappone al segnale utile e pertanto ne influenza l’intelligibilità.

Al pari di tutti gli apparati ed i circuiti elettronici anche la catena di front end, trigger ed acquisizione dello Spettrometro è soggetta ad una quota di rumore, costituito dai segnali prodotti dal rivelatore che non corrispondono ad alcun evento fisico.

Le possibili sorgenti di rumore, per come sono realizzati ed assemblati gli RPC, sono riconducibili a due tipi, il rumore elettronico e quello dovuto al principio di funzionamento del rivelatore.

Al primo gruppo, appartengono i seguenti fenomeni:

• crosstalk (o diafonia), fenomeno di reciproca induzione di segnale tra strip contigue, tra canali di amplificazione appartenenti allo stesso chip o a chip adiacenti. Esso è la causa maggiore della molteplicità di segnali generalmente prodotta al passaggio di una particella;

• effetto antenna e conseguente interferenza elettromagnetica, riscontrabili tra le strisce di lettura, i cavi di trasporto ed il front end;

• presenza di elementi reattivi parassiti (induttanza e capacità), dovuta ai cavi di trasporto dei segnali da una camera all’altra, difficilmente stimabile e possibile causa di auto-oscillazioni dell’elettronica e conseguente generazione di segnali parassiti ad alta frequenza;

• ground bounce e loop di massa, che si manifestano come un’oscillazione smorzata del segnale sul livello basso e causano uno spostamento delle soglie di ingresso o glitch.

La maggiore fonte di rumore caratteristica del principio di funzionamento di un rivelatore a Resistive Plate Chamber è costituita dalle scariche spurie o secondarie nel gas alla tensione di lavoro, incrementate da impurità nella gap od irregolarità della superficie degli elettrodi e particolarmente sensibili alle variazioni di temperatura.

Su ognuna di queste sorgenti si può intervenire con opportuni accorgimenti, già applicati in fase di progetto e realizzazione. Ad esempio per prevenire il cross-talk, è stato inserito tra le strip un filo di massa di separazione; contro l’effetto antenna sono presenti schermature e gabbie di Faraday, mentre gli accoppiamenti induttivo-capacitivi parassiti sono stati ridotti minimizzando le lunghezze ed i percorsi dei cavi. Le scariche spurie e secondarie nel gas rappresentano una sorgente di rumore riducibile mediante particolari trattamenti delle gap, quale ad esempio quello in Argon, di cui si è trattato nel capitolo precedente.

Una misura immediata dell’insieme di queste sorgenti di rumore è data dalla cosiddetta misura “in singola” dei segnali del rivelatore: vengono letti tutti i canali in una determinata finestra temporale in maniera scorrelata indipendentemente da qualsiasi sorgente di trigger. La frequenza così misurata su ogni canale è la misura diretta della sua rumorosità soprattutto se rapportata alla frequenza che ci si aspetta sotto le normali condizioni di funzionamento.

Allo scopo di valutare il rumore dell’elettronica di lettura degli RPC dello Spettrometro è stato sviluppato un semplice software apposito di analisi dei dati ottenuti mediante la procedura di acquisizione Random descritta in precedenza.

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Il software RandomStudy è un eseguibile ed utilizza librerie e funzioni di ROOT; è composto da più moduli sorgenti di compilazione (con estensione ".c") e file di intestazione applicativi (con estensione ".h"). I file di intestazione contengono le dichiarazioni delle variabili, delle costanti, i prototipi delle funzioni, i tipi globali, mentre i moduli di compilazione le definizioni delle variabili e funzioni globali, nonché dichiarazioni e definizioni di variabili, costanti, funzioni e tipi locali al modulo.

Sono state utilizzate le funzionalità caratteristiche della “programmazione orientata ad oggetti”, sviluppando una classe, i cui metodi permettono la creazione di vari tipi di istogrammi e lo svolgimento di numerose operazioni sui dati.

Il programma è stato sviluppato in modo da risultare il più possibile “user friendly”, cioè tale da poter essere impiegato anche da un utente esterno inesperto, al quale è demandato solo il compito di riempire i file di Input mediante le informazioni riguardanti la rootpla di interesse.

Sono esaminate di seguito, in maggiore dettaglio, le caratteristiche del programma RandomStudy.

File in ingresso al programma

I file in cui inserire i dati di Input sono denominati “OptionInput.card” e “FilesInput.card”.

OptionInput.card è un file demandato al controllo della scelta delle funzionalità da attivarsi nel programma. Esso contiene un array binario con cui istruire la funzione main, da cui inizia l’esecuzione, in merito alla scelta dei metodi che la classe deve o meno eseguire a discrezione dell'utente. È possibile, ad esempio, scegliere il tipo di istogrammi da generare, alcuni attributi di questi (quali ad esempio la fruizione della legenda, l’indicazione della scala logaritmica sull’asse delle ordinate, etc), il tipo di calcolo da eseguire sul rate (semplice conteggio, calcolo del rate in Hz, calcolo del rate in Hz/cm2), abilitare/disabilitare la scrittura su file di Output.

FilesInput.card contiene una serie di righe di informazione, in formato ASCII secondo un protocollo stabilito, che all’utente è affidato riempire con le seguenti indicazioni:

1. Nome della cartella di destinazione dei file di Output; 2. Numero di settori ATLAS i cui dati sono contenuti nella rootpla di interesse; 3. Numero identificativo del run di acquisizione; 4. Numero di ROD interessati dall’acquisizione, in comune o non tra i settori suddetti; 5. Lista delle (arbitrarie) soglie di rumore delle quali si è interessati a verificare il superamento; 6. Nome completo della rootpla contenente i dati da analizzare; 7. Lista dei settori ATLAS, tra quelli inerenti alla rootpla, i cui dati si è interessati a far analizzare dal

programma.

Tra i file di Input di estrema importanza risulta il “limit.h”: in esso sono contenute, codificate in array, le indicazioni che correlano il numero di strip ad ogni CMA e PAD, ad ogni livello, stazione ed unità, che differenziano i pannelli di lettura in eta da quelli di lettura in phi, infine che individuano quali strip sono lette da più di una CMA. Quest’ultima condizione - detta “sovrapposizione di strip” la cui necessità verrà spiegata più avanti – comporta, all’atto della stima del rumore, un contributo maggiorato per il solo fatto che una stessa strip venga letta due volte; allo scopo di compensare questa situazione, nel calcolo si considera per intero il contributo di una strip letta da un’unica CMA, mentre si dimezza, in prima approssimazione, quello delle strip lette da due diverse CMA.

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Figura 120: è riportato un esempio di sovrapposizione dei canali delle CMA.

Nella Figura 120 è schematizzata, a titolo di esempio, la logica della sovrapposizione della lettura di strip: infatti, nel gruppo di PAD riportato, alcune strip sono lette da più CMA. L’istogramma indica i conteggi visti dalle CMA, differenziando quelle lette dalla prima (linea in rosso), dalla seconda (linea in nero) o da entrambe (linea mista rosso/nero). In quest’ultimo caso, in particolare, in verde è riportata la differenza di conteggi tra le due letture.

Classe HistoRandom

Nella programmazione orientata ad oggetti la "classe" è il concetto fondamentale utilizzato per descrivere le entità del dominio, cioè dell’ambito del sistema da sviluppare. Una classe rappresenta una categoria di entità descritta in termini di due aspetti:

• lo stato delle entità di quella categoria, descritto in termini di un insieme di “attributi”; • il comportamento descritto in termini delle operazioni, i cosiddetti “metodi”, che tali entità possono

eseguire o che possono essere eseguite su di esse. Le operazioni vengono analizzate stabilendo anche in quale modo la loro applicazione modifica lo stato.

Il file di intestazione contiene la definizione della classe e quindi le dichiarazioni delle variabili della rootpla, delle costanti (in particolare ricordiamo le dimensioni delle camere, diverse da tipo a tipo, utili per il calcolo del rate per unità di superficie), degli istogrammi, dei metodi della classe.

Il modulo sorgente di compilazione HistoRandom.C si compone di più parti di codice con l’implementazione dei metodi della classe omonima.

A seguito della creazione, all’interno della destinazione indicata dall’utente nel “FilesInput.card”, delle cartelle in cui vengono salvati i file di output prodotti, si susseguono tre blocchi di codice:

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• Istogrammi di rumore relativi alle strip e suddivisi per PAD e CMA, distinti per vista eta e phi e per piano di ogni intero settore di trigger;

• Istogrammi di rumore relativi ai canali e suddivisi per PAD e CMA, distinti per vista eta e phi e per piano di ogni intero settore di trigger;

• Istogrammi di rumore relativi alle strip e suddivisi solo per CMA, distinti per vista eta e phi e per piano di ogni intero settore di trigger; scelte tre soglie arbitrarie di rumore, gli istogrammi relativi ad ognuna di esse sono riempiti soltanto con i dati che hanno superato tale soglia.

È stata curata nei dettagli la veste grafica degli istogrammi, in modo da ottenere una rappresentazione dei dati utile ad un’analisi immediata ed all’archiviazione in un database.

In ognuno dei suddetti blocchi gli istogrammi vengono creati, riempiti, viene applicato il calcolo del rate o del rate per unità di superficie ed infine essi vendono salvati sul file in formato grafico “.gif”.

In particolare, all’interno del primo blocco di codice è stato applicato un algoritmo che, mediante la valutazione degli integrali degli istogrammi, procede al calcolo del valore medio del rumore per PAD e CMA, per stazione, per unità ed infine per l’intero settore, rispettando sempre la suddivisione per vista eta e phi, per piano e per livello.

In riferimento a quanto detto relativamente alla “sovrapposizione”, un apposito algoritmo consente di eliminare la duplicazione dei dati dovuta alla presenza di letture multiple nel sistema di acquisizione: a causa infatti della topologia ricercata nelle tracce che il sistema RPC deve individuare come provenienti dal vertice di interazione, alcune strip debbono essere lette da più CMA, appartenenti a settori o a torri di trigger diverse. Ai fini della misura del rumore pertanto, le strisce di lettura acquisite da più CMA si presenterebbero in maniera moltiplicata, fornendo risultati erronei da tale punto di vista (es. quanto meno un brutale raddoppio del tasso misurato).

Il secondo blocco di codice genera, tra l’altro, un file di output contenente le indicazioni, in esadecimale ed in ottale, delle maschere da applicare ai canali rumorosi, valutati come tali se il rate da essi registrato è superiore alle soglie impostate dall’utente. Le maschere siffatte sono poi caricate in un database per essere utilizzate come parametri di set-up da parte del sistema di trigger: all’occorrenza, i canali rumorosi possono essere soggetti a soglie più dure o al limite mascherati completamente.

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Figura 121: è riportato il diagramma di flusso illustrativo del programma.

La Figura 121 illustra, sul modello di un diagramma di flusso, quanto fin qui presentato in merito alla struttura del programma RandomStudy. Sono messe in evidenza le informazioni di controllo poste in ingresso al programma, assieme ai dati e a quelle relative alla struttura dell’apparato (come limits.h). Al centro è evidenziata la classe HistoRandom assieme ai suoi metodi e sotto i risultati in uscita con indicazione del contenuto e dei formati in gioco.

File di Output

I file di Output generati dal codice sono dunque di due tipi, testo ed immagini. I file di immagini contengono tutti gli istogrammi prodotti, mentre i file di testo i risultati dei calcoli statistici applicati. Tutti i file di Output riportano nel nome l’indicazione del settore di ATLAS del quale raccolgono l’elaborazione dei dati.

I file di testo prodotti sono i seguenti:

1. Random_Histos: contiene i valori medi ed i valori massimi di rumore calcolati per CMA, per stazione, per unità, per intero settore, sempre distinti per vista eta e phi, per livello e per piano. Ogni valore è accompagnato dall’indicazione completa di settore, livello, piano, PAD e CMA o stazione ed unità.

2. Channels: contiene l’elenco dei canali rumorosi, distinti in eta e phi per ogni piano di ogni livello (Pivot, Confirm di Low Pt e Confirm di High Pt), che hanno superato per conteggio le tre soglie impostate dall’utente mediante il “FilesInput.card”. In questo procedimento si tiene conto di una soglia indicativa espressa in Hz, non normalizzata alla superficie della strip. Questo accorgimento, di

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puro carattere pratico, tiene conto del fatto che, all’atto della funzionalità del trigger, è la frequenza di hit che conta e che, qualora eccessiva, può portare a trigger anomali e come tali da mascherare.

3. Masks: contiene le indicazioni necessarie al sistema di trigger per mascherare i canali considerati rumorosi. Per esigenze del database in cui tali maschere vengono archiviate, il file è scritto in codice esadecimale ed ottale.

4. Dead: contiene l’elenco dei canali “morti” , distinti in eta e phi per ogni piano di ogni livello (Pivot, Confirm di Low Pt e Confirm di High Pt), cioè dei canali che non presentano, all’atto della presa dati, alcun segnale.

I file di tipo immagine, invece, sono i seguenti:

• Rate_vs_channels: gli istogrammi, contenuti in tali file, sono del tutto simili a quelli Rate_vs_strips, tranne nella variabile indipendente, non essendo essa costituita dalle strip bensì dai canali.

Figura 122: è riportato un esempio di istogrammi di rumore per canale.

In Figura 122 è illustrato un esempio di file di output, in formato grafico, costituito da istogrammi di rumore, espresso in Hz, in funzione dei canali. I due istogrammi in alto sono relativi ai pannelli di lettura phi, quelli in basso ai pannelli di lettura eta. Nel titolo di ogni istogramma è riportato il settore di trigger, la PAD, il livello, la CMA ed il piano cui gli istogrammi si riferiscono. Ai fini del sistema di trigger l’indicazione dei canali è molto più funzionale di quella delle strip, in quanto rappresentano la diretta dipendenza dall’architettura del sistema di lettura (PAD-CMA); inoltre la mascheratura in caso di alta rumorosità in fase

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di acquisizione, avviene proprio sul riferimento del canale. Gli istogrammi sopra illustrati sono stati prodotti con la scelta di riportare la scala logaritmica sull’asse delle ordinate, per avere una indicazione sintetica e veloce dell’ordine di grandezza del rate misurato. I canali che non hanno registrato hit sono non connessi o non funzionanti. Proprio perché queste informazioni si riferiscono al canale fisico di lettura e più indirettamente alla strip (e quindi alla suddivisione logica nel rivelatore), i rate sono riportati in frequenza propria e non normalizzati ad altre grandezze geometriche.

• Rate_vs_strips/ Ratecm2_vs_strips: i file sono prodotti per ogni settore di trigger, per ogni piano di ogni livello (Pivot, Confirm di Low Pt e Confirm di High Pt) ed in ognuno di essi sono riportati quattro istogrammi, corrispondenti alle quattro CM relative in eta e phi. Gli istogrammi consistono nel “profilo di strip”, ottenuto accumulando per ogni strip il rate/rate a unità di superficie (è usato il centimetro quadro).

Figura 123: è riportato un esempio di istogrammi di rumore per strip.

In Figura 123 è illustrato un esempio di una pagina di file di output, in formato grafico, costituito da istogrammi di rumore, espresso in Hz per unità di superficie, in funzione delle strip. Istogrammi siffatti sono chiamati “profili di strip” in quanto chiaramente e direttamente indicativi dello stato di funzionamento delle strip di lettura e dell’eventuale rumore dal quale sono afflitte. I due istogrammi in alto sono relativi ai pannelli di lettura phi, quelli in basso ai pannelli di lettura eta. Nel titolo di ogni istogramma è riportato il settore di trigger, la PAD, il livello, la CMA ed il piano cui gli istogrammi si riferiscono. Negli istogrammi superiori la variabile utilizzata è “StationStrip”, ovvero l’enumerazione delle strip procede da zero fino all’indice massimo esistente sulla stazione (una

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coppia di unità RPC o una singola unità a seconda del tipo). I due istogrammi inferiori, viceversa, sono enumerati per un intero settore, utilizzando così la variabile “SectorStrip”, per la quale l’enumerazione procede da 0 fino al massimo indice esistente sul settore. Questa differenza è ulteriormente chiarita osservando la Figura 124 ed è dettata da motivi legati alla diversa enumerazione delle strip nell’apparato a seconda che si tratti della vista eta o phi.

Poiché la tipologia di acquisizione “Random” non prevede l’uso del trigger, si suppone che i segnali acquisiti, completamente indipendenti e scorrelati, rappresentino il background di rumore dal quale distinguere il segnale utile. In Figura 124 è da notare il picco estremamente più elevato del rumore medio del settore. Negli istogrammi relativi ad alcune CMA, infatti, si evidenziano talvolta picchi di gran lunga superiori al rate medio della medesima. Tali picchi sono destinati ad essere mascherati all’interno del sistema di trigger.

Figura 124: è riportato un esempio di istogrammi di rumore per strip lungo l’intero settore con scala logaritmica. Si evidenzia la presenza di un picco di rumore estremamente elevato.

• Ratesector: i file sono prodotti per ogni settore logico di trigger, per ogni piano di ogni livello (Pivot, Confirm di Low Pt e Confirm di High Pt), sempre distinti in eta e phi. Come nel caso precedente, gli istogrammi consistono nel “profilo di strip” per ogni intero settore, in cui si è usata l’accortezza di eliminare la duplicazione dei dati dovuta all’utilizzo delle letture multiple. Notiamo che per mezzo di barre di diverso colore, sono segnalati i confini di ogni stazione (rosso), camera speciale (blu tratteggiato), unità (verde tratteggiato). In Figura 125 è illustrato un esempio di file di output, in formato grafico, costituito dagli istogrammi di rumore, espresso in Hz per unità di superficie, in funzione delle strip lungo tutto il settore di trigger per i due piani.

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Figura 125: è riportato un esempio di istogrammi di rumore per strip lungo l’intero settore.

I Condition e Configuration Database

I due “clienti” principali dei file contenenti le indicazioni dei canali rumorosi e le maschere relative sono il Condition Database ed il Configuration Database.

Il Condition ed il Configuration Database [1] sono i due sistemi di archiviazione previsti dell’esperimento ATLAS per immagazzinare tutti i dati accessori all’evento e necessari sia in fase di acquisizione, che ricostruzione, che successivo processamento.

Il Configuration Database archivierà tutti i parametri necessari per l’avviamento di un’acquisizione dati, inclusi quelli relativi alla configurazione dell’hardware e del software dei sottorivelatori. Il trigger utilizzerà le maschere ricavate per ogni presa dati, onde applicarle alle acquisizioni immediatamente successive.

Il Condition Database archivierà, invece, i parametri descrittivi delle condizioni operative di acquisizione e tutti i dati ai quali sarà possibile l’accesso offline (informazioni del DCS, calibrazioni, allineamento, configurazione geometrica, etc: si tratta di tutte le variabili caratterizzate da tempi di evoluzione lenti che affiancano i dati relativi alla fisica dell’esperimento). L’archiviazione delle informazioni di monitoraggio effettuata in fase di acquisizione costituisce un utile strumento per la calibrazione e la diagnosi dell’intero apparato.

Il concetto chiave dell’architettura del database è “l’intervallo di validità” (IOV): tutti i parametri seguono un’evoluzione temporale e vengono letti secondo un criterio di campionamento, quindi ogni set di valori

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risulta descrittivo delle condizioni dell’apparato durante un lasso di tempo limitato, il cui limite è variabile a seconda delle caratteristiche dal parametro stesso. Ad esempio l’intervallo di variazione delle variabili di monitoraggio ambientale e di DCS può spaziare da secondi a minuti; un altro indice di variazione, di fondamentale importanza, è quello del “luminosity block”, ovvero un riferimento alla luminosità istantanea di LHC, che ne registra l’evoluzione durante una presa dati.

5.3. Il programma di analisi per i Cosmici

I raggi cosmici primari sono costituiti da particelle provenienti dallo spazio esterno, principalmente da protoni (in percentuale nettamente inferiore anche da elettroni, particelle α ed altri nuclei leggeri, fotoni, neutrini), le cui natura ed origine sono molto varie. La maggior parte di essi viene fermata dall'atmosfera, con interazioni che tipicamente producono una cascata di particelle secondarie a partire da una singola particella energetica. Tali particelle possono arrivare fino alla superficie terrestre ed essere osservate con speciali apparecchiature. Nella parte bassa dell’atmosfera, a partire da un’altitudine di circa 5 km, i raggi cosmici secondari sono prevalentemente costituiti da muoni, che riesconoa raggiungere l’apparato ATLAS, sito nel sottosuolo a circa 100 m di profondità dalla superficie, prevalentemente attraverso i due pozzi di accesso, creati per l’inserzione e l’istallazione dell’esperimento. Il flusso dei muoni cosmici al livello del mare è stato stimato [2] pari a circa 130 Hz/m2, assumendo che la loro energia sia ≥ 225 MeV. L’energia media dei muoni a livello del mare è pari a circa 4 GeV.

Durante la fase di Commissioning i cosmici sono impiegati come sorgente di tracce, pertanto è necessario utilizzare uno schema di trigger apposito che permetta la selezione di tracce con il maggior numero possibile di orientazioni, al fine di incrementare il rate di muoni ed assicurare la presa dati a tutti i sottorivelatori in qualsiasi posizione essi siano collocati. Pertanto le ‘‘trigger roads’’, le finestre di coincidenza spaziale del trigger sono state fissate al massimo valore consentito dal cablaggio nelle CMA [3], [4], [5]. Inoltre, è stata applicata soltanto la logica di “trigger di Low-Pt”, pertanto il criterio utilizzato è stato quello di leggere tutti i canali, al di sopra della soglia fissata, tutte le volte che tre piani su quattro dei livelli Pivot e Low-Pt risultassero in coincidenza (200 ns di finestra temporale) nella vista eta o phi. In queste condizioni il rate di trigger atteso nel Barrel è dell’ordine di 1 kHz: circa 10 Hz/m2 per il Settore 5 nella parte sottostante al pozzo di accesso di diametro maggiore; circa 1 Hz/m2 per i settori orizzontali nella parte lontano dal pozzo di accesso di diametro maggiore; infine circa 0.1 Hz/m2 per i settori verticali.

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Figura 126: è riportato uno schema illustrativo dell’ATLAS PIT, della profondità cui è collocato l’esperimento sotterraneo e delle due aperture verso la superficie (“the big shaft” PX14 corrispondente al lato A e “the small shaft”

PX16 corrispondente al lato C dell’apparto)

Il software RPC, un eseguibile che utilizza librerie e funzioni di ROOT, è di notevole complessità e ramificazione ed utilizza in modo rigoroso la programmazione orientata ad oggetti. Il programma fa uso, infatti, di una serie di classi, vettori, dotati di metodi relativi alle caratteristiche di oggetti reali. Ogni vettore è costituito da un’unità di compilazione (con estensione ".c") e un file di intestazione applicativo (con estensione ".h").

Diamo ora una descrizione sommaria degli oggetti di base, senza entrare nei dettagli strutturali:

• RpcHit: è un tipo25 privato che svolge la funzione di un segnale indicante, quindi, l’avvenuta andata a segno in un rivelatore da parte di una particella; pertanto ad avvenuto hit, il compito di tale classe è quello di associare alle coordinate spaziali dell’hit le informazioni di settore di trigger, stazione, livello, piano, strip (nelle sue diverse numerazioni: di settore, di stazione, di unità), vista di lettura eta o phi.

• RpcCluster: le strip contigue che hanno segnalato un hit vengono associate in un’unica entità, un cluster; pertanto tale classe si costruisce sulla base della RpcHit, di cui utilizza i vettori e di cui eredita anche i metodi di associazioni delle informazioni identificative di ogni hit. La costruzione del

25 In O.O. un “tipo di dato” è un nome che indica l'insieme di valori che una variabile o il risultato di un'espressione possono assumere e le operazioni che su tali valori si possono effettuare. Ogni linguaggio di programmazione consente di usare un certo numero di tipi di dati predefiniti di uso generale, inoltre, di solito, anche un certo insieme di strumenti per definire nuovi tipi, “privati”, sulla base delle necessità specifiche di un programma.

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vettore è eseguita mediante il template26 di classe "vettore", presente nella libreria standard di C++, che è un'array dinamico che permette di immagazzinare oggetti dello stesso tipo ed accedervi in un secondo momento.

• ClusterCollection: il vettore così denominato si costruisce a partire dai vettori della classe RpcCluster e li raccoglie ulteriormente in gruppi distinti per vista eta o phi, livello e piano. Tale operazione è eseguita, come la precedente, mediante il template di classe "vettore".

• RpcTrack: il vettore così denominato rappresenta una traccia ricostruita dal programma a partire dagli hit.

• Point3D: un tipo privato che costruisce, a partire dall’intersezione di due vettori di tipo ClusterCollection alla volta, caratterizzati uno dalla vista eta e l’altro dalla vista phi, un vettore di punti tridimensionali.

Classe RPC

La classe così denominata svolge le mansioni essenziali del programma mediante una serie di funzioni che agiscono sui tipi privati e le classi elencati in precedenza.

La prima operazione sostanziale del programma è la “clusterizzazione” cioè la costruzione, mediante la specifica funzione MakeCluster di oggetti di tipo ClusterCollection.

La costruzione dei cluster sarà illustrata più avanti nel presente capitolo.

I cluster vengono, quindi, raggruppati assieme relativamente alla stessa camera, lo stesso livello e lo stesso piano, in modo da identificare un punto tridimensionale, il punto nello spazio in cui è passata l’eventuale particella.

La seconda operazione sostanziale è quella di ricostruzione delle tracce, che viene effettuata mediante un’operazione di “pattern recognition” locale e basata sullo studio di cluster topologici di hit in istogrammi unidimensionali. Le variabili utilizzate per definire la topologia sono le direzioni delle tracce nelle due

proiezioni zy e xy. La funzione che svolge tale operazione si occupa anche di risolvere le ambiguità originate dal wired OR e dal logical OR. Consideriamo, ad esempio, la vista in phi, due strip contigue, appartenenti alla stessa camera, danno sempre origine ad un segnale contemporaneamente a causa della connessione wired tra di esse; lo stesso fenomeno si verifica per due coppie di strip phi su due camere diverse, a causa del logical OR, impiegato dal sistema di trigger.

Il passaggio di un’ipotetica particella lascia sei hit reali, uno su ogni piano di ogni livello incontrato, disposti, in assenza di campo magnetico, pressoché lungo una retta. Lo scopo che si prefiggono le tecniche di pattern recognition è proprio quello di riconoscere gli hit realmente dovuti al passaggio di una particella. Il procedimento è il seguente:

• presi due hit per volta, si costruisce la retta che li interseca e si calcola l’angolo che essa forma rispetto all’orizzontale;

• si ripete la costruzione della retta ed il calcolo dell’angolo per tutte le possibili combinazioni degli hit;

• con gli angoli calcolati si costruisce un istogramma e se ne ottiene una distribuzione; • si assegna una soglia per ottenere un taglio sugli istogrammi; in prima approssimazione la soglia si è

posta uguale a due, cioè vengono eliminati i cluster che contengono meno di due hit; 26Il termine inglese template (traducibile in italiano come "modello", "schema") indica in informatica un documento o programma dove, come in un foglio semicompilato cartaceo, su una struttura generica o standard esistono spazi temporaneamente "bianchi" da riempire successivamente. Esso è il mezzo con cui il C++ permette di scrivere codice funzionante a prescindere dal tipo di dato che verrà effettivamente usato in esecuzione.

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• per ogni cluster di hit viene effettuato un fit lineare e in caso di successo, si costruisce una traccia. L’apposita funzione “MakeTracks”, che, risolvendo le possibili ambiguità, restituisce un vettore di tracce;

• la “best track” risulta essere quella che contiene il maggior numero di punti allineati e, a parità del numero di punti, quella cui corrisponde il valore più piccolo di χ2.

Figura 127: nello schema in figura è illustrato un esempio degli hit generati dal passaggio di un raggio cosmico.

Classe BASIChist

La classe così denominata si occupa di raccogliere tutti gli istogrammi prodotti dal programma: essi vengono creati, riempiti e salvati su file di tipo grafico.

• hNCluster: siffatti istogrammi sono rappresentativi del numero di cluster trovati.

• hClusterS: gli istogrammi di “cluster size” rappresentano il numero di cluster in funzione della loro dimensione;

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Figura 128: sono illustrati un esempio di distribuzione della “cluster size” ed un esempio della distribuzione spaziale dei cluster (per una camera del Settore 13 nella vista phi).

• hClusterPosZ e hClusterPosX: rappresentano il numero di cluster in funzione della posizione nella vista eta e nella vista phi;

• hStripPosZ e hStripPosX: rappresentano la correlazione tra il numero identificativo di ogni strip e la posizione fisica del suo baricentro nel sistema di riferimento del rivelatore, nella vista eta e nella vista phi; siffatti grafici sono utili per la verifica, in fase di Commissioning, dell’esattezza dei file contenenti la geometria del rivelatore o della correttezza dei collegamenti fisici dei connettori dei canali di lettura. Nei grafici sottostanti son riportati un esempio nella vista eta, il primo, ed un esempio nella vista phi, il secondo. In particolare, riguardo al secondo, sono presenti due rette parallele, in quanto lo stesso canale CMA legge due strip poste in OR e geometricamente opposte l’una all’altra. Pertanto ad ogni canale CMA devono corrispondere due diverse posizioni.

Figura 129: sono illustrati due esempi di grafici che rappresentano la correlazione tra le strip e la loro posizione fisica nel sistema di riferimento del rivelatore..

• hNumPoint3D: sono istogrammi relativi al numero di punti 3D trovati, la cui procedura di ricerca è stata precedentemente citata;

• hImpactPoints e StripImpactPoints: sono i grafici x-y (cosiddetti scatter plot) dei punti di impatto, rappresentati da un puntino nero. In generale dalle zone vuote del grafico è possibile distinguere due eventuali casi di inefficienza: gli eventi che non presentano dati sui pannelli di lettura eta né su quelli phi segnalano un’inefficienza legata, in genere, alla fisica del rivelatore; gli eventi che non

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presentano dati sui pannelli di lettura eta o su quelli phi, singolarmente, segnalano un’inefficienza legata all’elettronica relativa. Considerando, come esempio, i grafici riportati in Figura 130 e relativi ad una presa dati risalente alla prima fase del Commissioning, distinguiamo le strisce vuote verticali, che identificano canali o gruppi di otto di questi, cioè interi connettori e schedine di front-end, che non danno segnale relativamente ai pannelli di lettura eta; le strisce vuote orizzontali, invece, identificano canali o gruppi di otto di questi, cioè interi connettori e schedine di front-end, che non danno segnale relativamente ai pannelli di lettura phi; infine le aree rettangolari identificano canali o gruppi di otto di questi, ove mancano segnali sia in eta che in phi. Riguardo a quest’ultimo caso, nel grafico a destra, l’ampia striscia vuota segnala la disconnessione di una intera camera: nel caso particolare le relative gap erano state disconnesse dalla linea di distribuzione del gas a causa di un problema di perdite, successivamente risolto. Dall’esperienza delle stazioni di test di Napoli, Lecce e CERN, che sono state illustrate nel Capitolo 4, è stato stimato che l’inefficienza media dovuta alle gap è pari a circa il 2% e pertanto compatibile con il valore di quella intrinseca, cioè del rapporto tra superficie occupata da spaziatori e bordi e superficie totale dell’unità. Per quanto riguarda, invece, le inefficienze dovute all’elettronica di lettura, si è misurato che, in assenza di canali spenti o disconnessi, generalmente esse ammontano a valori inferiori all’1%.

Figura 130: sono illustrati due esempi di “tomografie” di unità per una presa dati relativa ad una delle prime fasi del Commissioning.

• hStripProfile: i profili di strip, cui si è già in precedenza fatto riferimento, rappresentano la distribuzione dei segnali tra le strip, evidenziando quelle più rumorose, per le quali il numero degli hit che han prodotto segnale è di gran lunga superiore a quello delle altre. Si tenga presente che al segnale ineliminabile di rumore di fondo, si sovrappone, nel caso del programma in questione, il segnale generato dal reale passaggio dei cosmici attraverso il rivelatore.

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Figura 131: sono illustrati due esempi di “profili di strip” per entrambe le viste, eta e phi, della medesima unità.

Come appare evidente, quasi tutte le strip registrano hit, mentre laddove l’istogramma risulta vuoto le strip corrispondenti sono inefficienti o relative a canali spenti. È utile sottolineare ancora una volta che, assieme alle “radiografie”, i “profili di strip” sono essenziali ad avere un’immagine immediata del funzionamento e del comportamento di ogni parte del rivelatore.

• RpcTracks e Best Track: sono istogrammi utilizzati per la “pattern recognition” che raccolgono, i primi, le tracce calcolate dall’algoritmo apposito e, i secondi, le tracce che, per numero di hit, concorrono alla designazione di “miglior traccia”, secondo i criteri precedentemente esposti.

• hStripCorrelation: sono istogrammi che verificano la correlazione tra i dati dei due pannelli sovrapposti di una stessa unità, “layer L0” e “layer L1”, dei quali nella sottostante Figura 132 sono riportati alcuni esempi. È attesa, naturalmente, una correlazione diretta tra le due letture, essendo i due piani indipendenti dal punto di vista del read out, ma del tutto equivalenti in termini geometrici. In breve, se un piano riporta un hit anche il piano compagno deve fare lo stesso. Essi si sono rivelati utili per la ricognizione di errori e problemi nella fase di descrizione del cablaggio (la corretta associazione tra i connettori ed i numeri strip); ad esempio, nei grafici illustrati in Figura 132 è possibile notare, attorno alla retta di correlazione attesa, aree dense di dati in forma di rettangoli o rette parallele.

Figura 132: sono illustrati quattro esempi di correlazioni tra piani per entrambe le viste, eta e phi

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• TTheta e TPhi: sono le distribuzioni angolari, in theta (angolo polare) e phi (angolo azimutale) (relativamente alla convenzione indicata nel Cap.1), delle tracce ricostruite. In particolare, nella distribuzione relativa all’angolo theta è interessante sottolineare la presenza evidente di due picchi di dati in corrispondenza delle due aperture dell’ATLAS PIT verso la superficie (utilizzate per l’inserzione delle varie parti del rivelatore in caverna), attraverso le quali, grazie all’assenza di strati schermanti, passa un maggior numero di raggi cosmici.

5.4. I risultati dell’analisi dei dati acquisiti

L’analisi dei dati acquisiti è stata volta al raggiungimento di diversi obiettivi. L’utilizzo più immediato del software sviluppato, in particolare del consistente set di risultati in formato grafico, è consistito nel verificare il corretto funzionamento del DCS e del sistema di acquisizione degli RPC, sia per quanto riguarda i collegamenti e la mappatura del sistema hardware che per l’archiviazione dei dati acquisiti.

Quindi, per controllare l’uniformità ed omogeneità della risposta ai raggi cosmici di interi settori prima e del complesso dell’apparato poi, si è passati alla dettagliata disamina dei risultati ottenuti dalla riorganizzazione dei dati dei run di cosmici.

5.4.1. Il programma di transcodifica e correlazione

L’organizzazione e la coordinazione dei dati acquisiti è stata ottenuta mediante un software che ho appositamente sviluppato con linguaggio di programmazione Visual Basic for Application in ambiente combinato Microsoft Office Access 2007 ed Microsoft Office Excel 2007.

L’utilizzo di un database relazionale si è dimostrato particolarmente utile nella gestione di un numero poderoso di dati (le gap di gas degli RPC dello Spettrometro ammontano in totale a circa 4000) relazionati tra loro sulla base di diversi criteri (quali ad esempio l’appartenenza ad una stessa tipologia costruttiva od alla medesima collocazione topologica sebbene per prese dati e quindi tempi diversi) e sui quali è stato possibile agire, in modo interattivo e con immediata visualizzazione dei risultati, con i seguenti strumenti:

• query per ordinare e filtrare i dati, • numerosi e complessi algoritmi di calcolo, • tabelle pivot per la gestione interattiva, • rapporti sui dati per la visualizzazione in più formati. • maschere per aggiungere, cambiare, eliminare e consultare i dati con facilità, • connessione a dati esterni per la di essi visualizzazione, interrogazione e modifica.

I file accumulati per l’analisi sono tutti di formato “testo” ma prodotti da sistemi di acquisizione e rielaborazione diversi. Il primo tipo è costituito dai file di dump prodotti dal sistema DCS degli RPC. Con il termine dump si intende una procedura di salvataggio dei valori istantanei dei parametri controllati dal DCS: i file redatti da siffatta procedura raccolgono le indicazioni di corrente, tensione, corrente di leackage, così come sono lette dall’apparato di acquisizione del sistema, e le etichette di identificazione dei singoli canali e delle linee di alta tensione che li alimentano.

Gli altri dati accumulati per l’analisi derivano dalla rielaborazione dei dati dell’acquisizione da parte del software da me sviluppato e descritto nei paragrafi precedenti: si tratta, quindi, dei valori medi del noise o delle indicazioni dei canali rumorosi.

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È, inoltre, necessario corredare i dati con le informazioni legate alle condizioni di acquisizione, quali la data, il numero del run, la tensione nominale, la tensione di soglia dell’elettronica di lettura.

Pertanto la parte del programma gestita in ambiente Access che si occupa della transcodifica e della correlazione effettua le seguenti operazioni:

• transcodifica del formato del dump in quello previsto dai programmi da me sviluppati; • correlazione dei dati di noise con quelli di corrente; • correlazione dei dati con le indicazioni delle condizioni di acquisizione; • produzione di una sorta di database che archivia le suddette informazioni; • stampa di un tabellone riassuntivo con chiara indicazione del modello e della tipologia costruttiva

nonché della collocazione topologica, all’interno del Barrel, delle unità di volta in volta interessate. La parte del programma gestita in ambiente Excel, servendosi dello strumento della “Tabella Pivot27”, permettendo in tal modo una scelta dinamica e flessibile delle proiezioni dalla ennupla di partenza, si occupa, in particolare, di produrre i grafici delle correlazioni e calcolare i parametri delle curve di best fit con cui tali correlazioni sono descritte. I parametri dei fit vengono salvati in file di testo e i grafici vengono stampati automaticamente in serie in formato .”pdf”.

27 In linea di massima una tabella pivot ha origine da una tabella che ospita i dati da analizzare ed è in grado di trasformare successivamente la loro architettura, in modo che l’utilizzatore possa interpretare, con opportune manipolazioni tali dati che vi sono ospitati, secondo ottiche che non apparirebbero evidenti così come essi sono tradizionalmente presentati.

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Figura 133: diagramma di flusso del programma di transcodifica per la correlazione di dati di differente formato acquisiti mediante sistemi diversi

Nel diagramma di flusso in Figura 133 è illustrato un esempio di transcodifica per la stringa “BML6C01.CO.Igap.CO.HV.L1” tratta da un file generato dalla procedura di dump di corrente del DCS. Il Settore Logico 31 viene calcolato a partire dai caratteri “C01HV” che corrispondono al lato C del Settore ATLAS 1 con lettura della corrente sul lato HV. Il livello LOWPT è desunto dai caratteri “BML CO” che localizzano il pannello nel Barrel, cilindro Middle, in un settore Large, livello di Confirm LowPt della stazione. Una volta “tradotta” la stringa, il programma esegue una ricerca del pannello corrispondente all’interno del file prodotto dal software RandomStudy. Trovato il pannello corrispondente, viene stabilita la correlazione con il valore di corrente; quindi si passa alla stringa successiva.

Mediante il meccanismo di ricerca descritto, è stato anche possibile scoprire alcuni errori commessi in fase di archiviazione dei dati da parte del DCS, quali errori di denominazione o duplicazione delle stringhe identificative di ogni pannello o l’accumulazione dei dati oltre le dimensioni dei buffer di memoria.

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Figura 134: interfaccia utente del programma di transcodifica e correlazione: sono presenti menù a tendina e controlli per permettere la gestione dei file di input ed indicatori di controllo dei dati in ingresso ed di verifica della presenza di

eventuali errori

Mediante il software sopra descritto è possibile operare sui dati, ottenendo i seguenti oggetti di analisi:

• distribuzione statistica delle correnti; • distribuzione statistica del noise; • distribuzione del noise medio per settore con suddivisione in pannelli (o camera o CMA); • distribuzione della corrente per settore con suddivisione in pannelli; • distribuzione dei canali rumorosi per settore, raggruppati secondo le diverse tensioni di soglia

dell’elettronica di lettura e divisi secondo diverse soglie di noise oltrepassate; • correlazione tra noise e corrente e calcolo della carica prodotta all’interno della gap; • correlazione tra noise e tensione di soglia dell’elettronica di lettura; • curve voltamperometriche per valori bassi e valori alti di tensione di lavoro, calcolo della resistenza

caratteristica dei materiali ohmici delle gap, distinzione dei contributi ohmico ed esponenziale alla corrente di gap;

• confronto di dati e parametri dei fit provenienti da diverse prese dati.

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Figura 135: esempi dei grafici prodotti dal programma: in alto a sinistra, correlazione tra noise e tensione di soglia dell’elettronica di lettura per tutti i pannelli di uno strato di un settore logico; in alto a destra, distribuzione del noise medio lungo l’intero settore diviso per pannelli, strati e livelli; in basso a sinistra, distribuzione dei canali rumorosi

oltre la soglia dei 7 Hz/cmq su tutti i settori logici dell’apparato e con la suddivisione nei tre livelli; in basso a destra, alcuni esempi di curve voltamperometriche delle gap del Settore 9

La struttura del programma consente un suo ulteriore upgrade nella direzione di configurarlo come un vero e proprio archivio, attraverso il quale sia possibile ricostruire la “storia” delle correnti e del noise di ogni pannello del sistema degli RPC. Al fine di curare un servizio locale, quale quello della manutenzione e dei test di verifica di buon funzionamento, riveste infatti una fondamentale importanza la possibilità di monitorare l’andamento di tali parametri nel tempo, in modo semplice, immediato ed individuale.

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Figura 136: esempio, per il Settore Logico 12, delle possibilità di controllo offerte dal programma. Un pannello significativamente rumoroso può essere individuato grazie alla panoramica del profilo di strip dell’intero settore (zona

cerchiata in rosso della prima immagine) oppure grazie alla distribuzione del rumore medio per pannello (che evidenzia un bin che spicca sopra tutti gli altri). A tale elevato valore del noise non corrisponde però, in questo caso,

un ugualmente elevato valore di corrente di gap, come si evidenzia dalla distribuzione delle correnti di gap per pannello lungo il settore e dal grafico di correlazione noise-corrente (zona cerchiata in rosso in alto dell’immagine a

destra: relativamente al pannello in esame, a ragionevoli valori di corrente di gap corrispondono valori di noise medio più elevati di quelli degli altri pannelli). Infine, anche la correlazione Noise-Vth (in forma di grafico a barre nella

figura in basso a destra) evidenzia un aumento del noise i quel pannello a bassa soglia.

5.4.2. L’analisi dei dati di Random

I dati utilizzati per l’analisi di eventi Random sono stati acquisiti durante le ultime fasi del Commissioning ed, in particolare, ai mesi di Novembre 2008 e Gennaio 2009 risalgono i set che si sono rivelati maggiormente completi ed attendibili. Per ottenere tale tipo di dati, come si è detto, sono stati acquisiti tutti i segnali provenienti dai singoli rivelatori durante una fissata finestra temporale, pari a 200 ns.

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Figura 137: visualizzazione schematica della distribuzione degli hit di Random delle camere dell’intero apparato, suddivise per livelli, piani e settori: le zone prive di colore sono quelle relative alle camere spente o disconnesse; la

differente densità e colorazione dei punti è proporzionale al numero di hit. I grafici si riferiscono ad un run di Random del Novembre 2008 con parte dell’apparato ancora in fase di Commissioning

Come ho anticipato, il rate di noise è stato stimato dai dati acquisiti con la procedura “Random” e, per ogni strip, è stato calcolato dividendo il numero n di hit sulla strip per il numero N complessivo di eventi acquisiti per la finestra temporale di acquisizione e “normalizzato” alla superficie. Dalle misure condotte sui circa 4000 pannelli dell’apparato il programma RandomStudy ha calcolato i valori medi, di cui è stata quindi fatta la distribuzione al variare della tensione di soglia dell’elettronica di lettura.

Al fine di prevenire segnali spuri nel sistema di trigger è necessario mantenere un livello di noise il più basso possibile nelle camere e dalle richieste della collaborazione ATLAS il suo valore massimo ammesso è fissato a pochi Hz/cm2. Come era lecito attendersi, il noise dipende dall’alta tensione applicata e dal valore della tensione di soglia dell’elettronica.

Nella Figura 138 sono riportati, con valore esemplificativo, le distribuzioni, separate per ogni modello di camera, del noise medio acquisito alla tensione di lavoro di 9600 V e tensione di soglia di 1000 mV, mentre nella Tabella 15 sono riportati i valori medi di tutte le distribuzioni. Sebbene si noti un lieve aumento del noise all’alleggerirsi della soglia, entro i limiti del proprio errore i valori sono pienamente confrontabili tra loro. Più evidente appare, invece, la differenza di noise tra un modello e l’altro; in particolare, è evidente che

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le BML siano caratterizzate da un noise superiore alle altre. La differenza di noise, presa in ordine decrescente, rispecchia l’ordine cronologico di produzione delle gap.

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Figura 138: distribuzioni per le camere suddivise per modelli del noise medio per pannello di lettura nella vista ETA, misurato a tensione di lavoro di 9600V e per tensione di soglia dell’elettronica pari a 1000 mV

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Figura 139

HV 9600 V

Valore medio e deviazione standard del Rate medio per pannello (Hz/cm2)

per Vth 1000mV

Valore medio e deviazione standard del Rate medio per pannello (Hz/cm2)

per Vth 900mV

Valore medio e deviazione standard del Rate medio per pannello (Hz/cm2)

per Vth 800mV pannelli

BML 0,22 ± 0,11 0,20 ± 0,11 0,18 ± 0,09 624

BOL 0,04 ± 0,02 0,03 ± 0,02 0,02 ± 0,02 440

BMS 0,08 ± 0,03 0,07 ± 0,03 0,06 ± 0,02 167

BOS 0,05 ± 0,02 0,05 ± 0,02 0,04 ± 0,02 243

Tabella 15: tabella riassuntiva dei valori medi28, corredati dalla deviazione standard, delle distribuzioni di rumore medio per pannello per tutti i modelli di camera e per i tre diversi valori di tensione di soglia dell’elettronica. Il valore medio delle distribuzioni tiene conto anche delle code per i valori più alti (che risultano, però, al di sotto delle soglie impostate). I valori medi della tabella sono visualizzati dal grafico soprastante che evidenzia come il noise medio sia crescente con l’alleggerirsi della tensione di soglia dell’elettronica. In particolare il noise delle BML risulta superiore in media rispetto agli altri, concordemente al fatto che questo modello sia stato cronologicamente il primo ad essere prodotto

Mediante il programma di transcodifica è possibile ottenere una correlazione tra rate medio e tensione di soglia per ogni singolo pannello. Come è illustrato dalla Figura 140 che rappresenta una schermata (in cui sono sono visualizzati alcuni pannelli afferenti al piano 1 del lato C del livello di Pivot del Settore 7 nella vista RO per le strip eta) del suddetto programma, singolarmente risulta molto più evidente lo smorzamento del rate all’irrigidirsi della soglia, sia per i pannelli più rumorosi che per quelli dal conteggio più basso.

28 Nel calcolo del valor medio e della deviazione standard si è tenuto conto delle code a bassa statistica per valori di noise più alti, ma che risultassero comunque al di sotto delle soglie imposte in fase di elebaorazione.

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Figura 140: correlazione, rappresentata con un grafico a barre, tra il noise medio per pannello e la tensione di soglia dell’elettronica di lettura per alcuni pannelli afferenti al piano 1 del lato C del livello di Pivot del Settore 7 nella vista

RO per le strip ETA

Nella Figura 141 sono riportati i profili di strip per i dati di Random nella vista eta per i due piani di un livello, quello di LowPt, per un intero settore logico. Conviene notare immediatamente alcuni comportamenti peculiari: appare chiaro che in corrispondenza delle estremità dei pannelli, in numerosi casi, si segnalano strip che hanno registrato un rumore maggiore che in altre parti dell’unità. Questo fenomeno si può spiegare in base ad almeno due diversi contributi. Il primo può essere dovuto alla presenza della connessione di alta tensione su quel lato del pannello di lettura. L’alta tensione, nonostante uno specifico filtraggio, trasporta con sé del rumore elettromagnetico che induce segnale più facilmente sulle strip di lettura presenti nella zona ove giunge la terminazione HV. Il secondo può essere dovuto ad effetti della lavorazione: si consideri che la bachelite è soggetta a taglio e incollaggio onde costruire la gap di gas stessa. Lievi residui, seppure in una lavorazione molto curata, vanno a perturbare la superficie introducendo ruvidità o micro punte.

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Figura 141: esempi di profili di strip eta di una presa dati di Random per i due piani del livello LowPt del Settore ATLAS 3 lato C vista RO.Le linee continue in rosso indicano la separazione delle camere mentre quelle tratteggiate in

verde i limiti dei singoli pannelli di lettura

Nella Figura 142 sono illustrate due schermate di risultati del programma di transcodifica e correlazione per confrontare, per il medesimo settore logico, le medie su tutti i pannelli dei due piani dei tre livelli del rate di Random con le relative correnti di gap.

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Figura 142: due schermate prodotte dal programma di transcodifica e correlazione che illustrano la distribuzione su un intero settore logico del noise medio e della corrente di gap per tutti i pannelli.

Proprio il confronto dei suddetti due monitor per settore logico ci ha suggerito di approfondire l’indagine sulla relazione che lega la corrente di gap al rate medio per pannello. A questo scopo, mediante il programma di transcodifica e correlazione, sono stati eseguite regressioni lineari sui set di dati di noise medio per pannello e relativa corrente di gap, considerata quale variabile indipendente. Della corrente di gap è stata utilizzata la parte esponenziale, ovvero quella che domina durante l’uso standard del rivelatore;

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inoltre, come si è detto, le misure di rate sono state normalizzate alla superficie in modo da renderle indipendenti dalle dimensioni delle camere. In un modello semplificato del comportamento della gap (peraltro già descritto nel Capitolo 2) si assume che il passaggio di corrente nella gap sensibile sia indotto unicamente dall’innesco della ionizzazione e conseguente moltiplicazione a valanga degli elettroni primari liberatisi: ciò giustifica l’affermazione che tutta la corrente di gap sia dovuta alla formazione di valanghe. Con queste assunzioni, è lecito ipotizzare che essa sia, dunque, la somma delle innumerevoli valanghe che si generano con continuità all’interno della gap, dovute sia all’effettivo passaggio di particelle ionizzanti sia innescate da irregolarità della superficie della gap, impurità o altre cause di rumore. In tale ottica, la corrente esponenziale è proprio il risultato della carica mediamente coinvolta nell’evoluzione della valanga moltiplicata per la frequenza del verificarsi di tali eventi. In formula:

RateQI elemgap ⋅= , dove con Qelem indichiamo la carica in gioco ad ogni evento di valanga e con rate la frequenza di tali eventi. Si noti che, in termini di unità di misura, il rate è in realtà espresso come Hz/cm2, compensato correttamente dalla corrente anch’essa normalizzata ed espressa in µA/cm2 in tutti i calcoli. Pertanto, dalle correlazioni rate-correnti di gap ottenute dal programma di transcodifica e correlazione, effettuando una regressione lineare, si calcola direttamente, dal reciproco della pendenza delle rette di fit, il valore della carica media generata durante la valanga. Detto calcolo è stato svolto per tutti i tipi di camera, ottenendo i risultati elencati nella Tabella 16 nella Figura 143 è illustrata la distribuzione dei valori di carica media, calcolata dai suddetti fit, per le camere di tipo BML a scopo esemplificativo.

tipo Carica media (pC) BML 12 ± 4 BOL 17 ± 2 BMS 22 ± 2 BOS 20 ± 3

Tabella 16: valori medi corredati da deviazione standard della carica media delle scariche all’interno degli RPC, calcolati, per ogni tipo di camera separatamente, dalle regressioni lineari sui set di dati di noise e corrente esponenziale di gap

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Figura 143: distribuzione della carica media, calcolata dal fit lineare condotto sui dati di rate e di corrente, per tutti i

tipi di camere

Trattamento dati dei canali rumorosi Uno strumento di grande utilità per il sistema di trigger ed il Condition Database è rappresentato dai file Channels e Masks, prodotti dal programma RandomStudy. Come si è detto essi contengono una lista completa dei canali rumorosi con tutte le indicazioni topologiche necessarie a rintracciarli nell’apparato e mascherarli nel trigger. I canali sono considerati rumorosi qualora, durante le prese dati di Random, abbiano superato le soglie di rate definite dall’utente sulla base delle richieste della collaborazione. In particolare le soglie da me impostate durante l’ultima fase di Commissionig sono pari a 7, 49 e 100 Hz/cm2. Attraverso i risultati così raccolti abbiamo avuto ulteriore evidenza del fenomeno per cui alcuni canali estremamente rumorosi entrano in auto-oscillazione per poi spegnersi. In talune condizioni le uscite dei canali di front end presentano un'oscillazione anomala ad elevata frequenza (ordine dei MHz), generata da fenomeni di induzione elettromagnetica tra strip e cavi e da eventuali anelli di massa che si creano nei circuiti. Le oscillazioni provocano un aumento di assorbimento della linea di alimentazione della "pull down" a -2 V, che può valere da indicatore di questo tipo di condizione. Qualora la frequenza di oscillazione ecceda certi limiti, l’innalzamento, dovuto all’oscillazione, del valore quadratico medio della tensione in ingresso al receiver della CMA (il cui standard di ricezione è pari ad un impulso da -0.8 V della durata di 10 ns a partire da -1.6 V in condizioni di riposo, secondo lo standard ECL single ended) fa sì che i segnali non vengano più riconosciuti come tali e la strip di provenienza appaia spenta. Sui canali che presentano tale fenomeno palesato dai profili di strip è stato possibile intervenire, provando ad irrigidire la soglia dell’elettronica di lettura o mascherandoli in fase di acquisizione, nonché eliminandoli dal conteggio del rate medio del corrispondente pannello. Nella Figura 144 sono riportati due grafici esemplificativi del comportamento di alcuni canali rumorosi, afferenti al lato C dell’apparato, al variare della tensione di soglia dell’elettronica di lettura. Per prese dati effettuate a due diversi valori di tensione (a tensione di lavoro di 9400 e 9600V), sono stati scelti i canali che hanno oltrepassato la soglia dei 100 Hz/cm2 e sull’asse orizzontale sono stati indicati con un codice contenente le informazioni utili ad individuare la loro collocazione topologica all’interno dell’apparato. Sull’asse verticale sono, invece, riportate le diverse soglie di tensione, pari a 700, 800, 900 e 1000 mV. Ricordiamo che i valori più bassi della tensione corrispondono ad una soglia più rigida e quindi più selettiva. Nella griglia risultante è posto un punto in corrispondenza di ogni canale per ogni valore di soglia per il quale esso si è rivelato rumoroso. Ravvisiamo per i canali tre comportamenti diversi: alcuni canali risultano rumorosi per tutte le tensioni di soglia, altri soltanto per le soglie meno stringenti e sembrano raggiungere un

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conteggio non “patologico” all’irrigidirsi della soglia, altri infine mostrano un comportamento singolare in quanto risultano rumorosi in corrispondenza di soglie più rigide e non per quella meno stringente. Come si è potuto verificare, la gran parte di questi ultimi canali è costituita da quelli che presentano, appunto, il fenomeno dell’auto-oscillazione.

Figura 144: grafici esemplificativi del comportamento di alcuni canali rumorosi, afferenti al lato C dell’apparato, al variare della tensione di soglia dell’elettronica di lettura, per prese dati effettuate a due diversi valori di tensione (a 9400V e a tensione di lavoro di 9600V). Sono stati scelti i canali che hanno oltrepassato la soglia dei 100 Hz/cm2 e

sull’asse orizzontale sono stati indicati con un codice contenente le informazioni utili ad individuare la loro collocazione topologica all’interno dell’apparato. Nella griglia risultante è posto un punto in corrispondenza di ogni canale per ogni valore di soglia per il quale esso si è rivelato rumoroso. La legenda dei simboli grafici posta a destra

riporta il numero di run da cui provengono i dati

I risultati ottenuti sono stati utilizzati per effettuare un’analisi statistica, anche al fine di selezionare il valore di soglia di tensione maggiormente efficace alla risoluzione del noise, ma che, allo stesso tempo, non risulti eccessivamente selettivo. In Figura 145 è illustrato un grafico che riporta il numero di canali rumorosi in funzione della soglia di rumore in Hz/cm2 impostata dall’utente per i diversi run effettuati a tensione di lavoro ed a tensione di soglia dell’elettronica di volta in volta differenti. Rammentiamo nuovamente che le prese dati sono state effettuate a tensioni di lavoro pari a 9400 e 9600 V e tensioni di soglia di 700, 800, 900 e 1000 mV. Per distinguere i due set di dati sono stati utilizzati due intervalli di colore diversi: i colori dall’azzurro al blu per il set con tensione di lavoro pari a 9400V ed i colori dal rosa all’amaranto per il set con tensione di lavoro pari a 9600 V. Come è lecito aspettarsi i canali che hanno oltrepassato le soglie di rumore più alte sono in numero di gran lunga inferiore a quelli che hanno oltrepassato la soglia di 7 Hz/cm2.

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Su un totale di 400 mila canali di lettura, dei quali circa 275 mila in acquisizione nella presa dati che si è analizzata, a tensione di lavoro di 9600 V e per una tensione di soglia dell’elettronica di lettura pari a 1000 mV, sono risultati rumorosi i canali riportati in Figura: oltre i 7 Hz/cm2 la percentuale di canali rumorosi risulta pari allo 0,16%, suddivisa nello 0,09% per eta e 0,07% per phi.

Figura 145: grafico che riporta il numero di canali rumorosi in funzione della soglia di rumore in Hz/cm2 per i diversi run effettuati a tensione di lavoro ed a tensione di soglia dell’elettronica differenti. Le prese dati si sono svolte a

tensioni di lavoro pari a 9400 e 9600 V e tensioni di soglia di 700, 800, 900 e 1000 mV.

Nella Figura 146 sono riportate le distribuzioni di canali rumorosi oltre i 7 ed i 100 Hz/cm2 per tutti i settori logici dell’apparato per le prese dati effettuate a 9600V. Nel primo grafico ho messo a confronto le distribuzioni dei canali rumorosi oltre i 7 Hz/cm2 ottenute per diversi valori di tensione di soglia; nel secondo è riportata la distribuzione inerente alla soglia di tensione di 1000 mV; nel terzo, infine, è illustrata la distribuzione per canali rumorosi oltre i 100 Hz/cm2 e sono evidenziati, con colori diversi, i settori logici per i quali si è registrato il maggior numero di canali rumorosi.

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Figura 146: sono riportate le distribuzioni di canali rumorosi oltre i 7 ed i 100 Hz/cm2 per tutti i settori logici dell’apparato per le prese dati effettuate a 9600V. Nella prima distribuzione (oltre i 7 Hz/cm2) sono messe a confronto le distribuzioni ottenute per diversi valori di tensione di soglia; nella seconda è riportata la distribuzione inerente alla

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soglia di tensione di 1V; nella terza è riportata la distribuzione per canali rumorosi oltre i 100 Hz/cm2 e sono evidenziati i settori logici per i quali si è registrato il maggior numero di canali rumorosi.

5.4.3. L’analisi dei dati dell’acquisizione di muoni cosmici

L’analisi dei dati di cosmici è stata condotta sui dati acquisiti nel run dedicato di numero identificativo 100917 del 22 febbraio 2009, del quale si è preso in considerazione circa un milione di eventi. La tensione di lavoro degli RPC dello Spettrometro è stata impostata pari a 9600 V, mentre quella di soglia dell’elettronica di front-end pari a 1000 mV. Per quanto riguarda il trigger, è stata richiesta una majority standard di 3/4 per le coincidenze spaziali relative al LowPt; inoltre tale condizione è richiesta solo nella lettura PHI, lasciando completamente libera quella in eta.

Tutti i grafici e le distribuzioni presentati nei prossimi paragrafi sono stati ricavati dall’analisi dati del run summenzionato.

Le maggiori differenze rilevabili tra l’acquisizione di raggi cosmici ed i dati derivanti dalle collisioni dei fasci accelerati da LHC risultano essere le seguenti:

• la molteplicità risulta modesta, per lo più stimabile in una traccia per evento; • esiguo è il tasso di conteggio ~50Hz; • il flusso di particelle costituito dai soli muoni; • la finestra temporale della coincidenza utilizzata dal trigger risulta pari a 200 ns, ma, all’accensione

dei fasci, sarà ridotta a 25 ns; • i muoni hanno origine prevalentemente dall’alto e non dal centro del’apparato, pertanto le traiettorie

non puntano verso quest’ultimo; • la distribuzione temporale dei punti di impatto è differente per settori diametralmente opposti, in

quanto i muoni provenienti dall’alto colpiscono per primi i settori superiori dell’apparato; l’illuminazione è diversa a seconda della posizione occupata da ogni camera;

• i muoni cosmici non colpiscono l’apparato con una cadenza propria né tantomeno ad intervalli di 25 ns, ma in modo casuale.

Inoltre la caverna sotterranea in cui è alloggiato l’esperimento ATLAS è provvista di due pozzi di accesso di grandi dimensioni che non filtrano i muoni come lo spessore (di circa 107 m) del terreno circostante. Dal momento che la gran parte della struttura dello spettrometro è posizionata in corrispondenza del pozzo di maggiori dimensioni (con un diametro di circa 18 m, centrato orizzontalmente attorno alle coordinate z = 13,5 m e x = 1,7 m), la distribuzione dei punti di impatto registrati dalle camere site nel lato A, relativamente alla direzione crescente dell’asse z, presenta un numero di eventi maggiore rispetto a quella delle camere site nel lato C. La Figura 148, mediante le proiezioni sul piano zx delle distribuzioni, ottenuta dai dati sperimentali in mio possesso, illustra il suddetto fenomeno di disuniformità delle tracce osservate.

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Figura 147: a sinistra: proiezione al livello della superficie e sul piano zx della distribuzione dei punti di impatto delle tracce ricostruite sul piano 0 del livello Pivot, affiancata allo strip profile su eta e phi dei soli settori logici 39 e 40, per un’acquisizione dati ad alta statistica; a destra: in alto, schema delle coordinate locali delle stazioni RPC+MDT per le strip phi (a) e quelle eta (b); in basso, schema delle coordinate generali degli esperimenti di LHC LHC (si veda anche

il paragrafo relativo nel capitolo 2).

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Figura 148: è illustrata, in scala cromatica variabile relativamente al numero dei punti di impatto delle tracce ricostruite, la proiezione al livello della superficie e sul piano zx della distribuzione sullo strato 0 del livello Pivot

Il rate di trigger è stato misurato essere pari in media a circa 50 Hz, ma si constata una riduzione per le camere collocate in zone dell’apparato lontane dai pozzi di accesso.

Distribuzioni di cluster size

Non physical cluster

Physical clusterμ

Figura 149: nello schema in figura è illustrato un esempio di cluster; i cluster “fisici” sono quelli attraversati da unaparticella di cui è stata ricostruita la traccia, mentre quelli “non fisici” sono relativi alle strip che hanno dato segnale pur nonessendo attraversate da alcuna particella. Una stima dei cluster “non fisici” consente di ottenere una misura del rumore.

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Un cluster di dimensione n è un insieme di n strip contigue che hanno prodotto un segnale al passaggio di una particella nella gap di gas. Il punto di impatto sulla larghezza di una strip influenza le dimensioni del cluster: una particella che attraversa la gap in una regione prossima al centro di una strip più probabilmente darà luogo ad un cluster di dimensione unitaria; se invece la particella impatta in una zona prossima a due strip adiacenti, la dimensione del cluster generato avrà con più probabilità dimensione doppia.

Pertanto a causa dell’induzione sulle strip adiacenti, la dimensione dei cluster può essere maggiore di uno. È stato introdotto un algoritmo di clusterizzazione che raggruppa le strip in cluster in base alle seguenti regole:

• un cluster è definito come un gruppo di strip adiacenti accese allo stesso tempo o entro una finestra di 15 ns;

• per una stessa strip solo il primo segnale indotto viene preso in considerazione, in modo da tagliare via gli impulsi secondari indotti a tempi superiori;

• il tempo associato al cluster viene scelto come il tempo associato al primo impulso;

• a ciascun cluster viene associata una dimensione, definita come il numero di strisce utilizzate per costruire il cluster (cluster size);

• la posizione associata al cluster è fornita dal baricentro delle strip che lo costituiscono.

Per le richieste della Collaborazione ATLAS [6], la cluster size media dovrebbe essere preferibilmente minore di 1,5.

Al pari dell’efficienza, la cluster size è fortemente dipendente dall’alta tensione applicata e dalla soglia dell’elettronica di front-end. Oltre al valor medio anche la forma della distribuzione della cluster size può essere indicativa, per la presenza di code anomale, di alti valori di molteplicità dovuti generalmente a problemi nell’elettronica di front-end (ad esempio il cross-talk). Ho ottenuto le distribuzioni illustrate nella Figura 151 , suddividendo il set di dati, costituito dai valori di cluster size ottenuti dall’analisi dei settori 4, 5 e 6, in base alla vista eta ed alla vista phi, ai tre livelli di Pivot, LowPt ed HighPt, ed ai due lati A e C. Per confrontare la cluster size per i differenti tipi e modelli di camere corredate di strip di diversa larghezza, è stato utilizzato come fattore di normalizzazione il rapporto delle larghezze delle strip relative.

La probabilità in media di avere una cluster size pari a 1 è stata calcolata essere dell’85,7%, pari a 2 dell 12,3%, pari a 3 dell’1,4% ed infine pari a 4 dello 0,6%; relativamente alla cluster size di 1 e 2, quando la scarica nel gas avviene in corrispondenza del centro di una strip, la carica indotta sarà concentrata su di essa, se, invece, avviene in corrispondenza della zona intermedia tra due strip, allora la carica indotta si distribuirà tra le due.

Alcuni esempi di distribuzioni di cluster size per un singolo pannello, relativamente al settore 5, sono illustrati in Figura 150. Appare immediatamente evidente che la richiesta avanzata in fase di progettazione dalla collaborazione ATLAS è generalmente soddisfatta.

La distribuzione della cluster size relativa alle strip eta risulta generalmente più uniforme di quella relativa alle strip phi; come riassunto nella Tabella 17 il valor medio della distribuzione risulta crescente passando dal livello di Pivot a quello di HighPt; infine non si palesa alcuna apprezzabile differenza tra le distribuzioni dei due lati dell’apparato.

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Clustersize Strip ETA Strip PHI

tutte 1,49 ± 0,16 1,51 ± 0,16

Lato A 1,49 ± 0,14 1,50 ± 0,13

Lato C 1,49 ± 0,15 1,52 ± 0,14

Pivot 1,48 ± 0,15 1,50 ± 0,13

LowPT 1,47 ± 0,15 1,52 ± 0,17

HighPT 1,54 ± 0,16 1,51 ± 0,17

Tabella 17: tabella illustrativa del valor medio delle distribuzioni di clustesize, corredato della deviazione standard, nelle viste eta e phi, totali, suddivise per lato o per livello. Il set di dati è costituito da un campione di 280 pannelli di lettura appartenenti ai Settori ATLAS 4, 5 e 6

Figura 150: in alto: esempi di distribuzioni di cluster size relative alle strip eta per il piano 0 del livello Pivot dei settori logici 7 e 39 (Settore ATLAS 5 lato C e lato A rispettivamente entrambi nella vista HV); in basso: esempi di

distribuzioni di cluster size relative alle strip eta per il piano 0 del livello Pivot dei settori logici 8 e 40 (Settore ATLAS 5 lato C e lato A rispettivamente entrambi nella vista RO).

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Figura 151: in alto: distribuzioni totali della cluster size di tutti i pannelli di lettura nelle viste eta e phi del set di dati esaminato; in basso: distribuzioni della cluster size dei pannelli di lettura distinti nelle viste eta e phi e relativamente

ai due lati dell’apparato. Il set di dati è costituito da un campione di 280 pannelli di lettura appartenenti ai Settori ATLAS 4, 5 e 6.

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Figura 152: in alto: distribuzioni della cluster size dei pannelli di lettura nella vista eta distinti nei livelli Pivot, LowPt e HighPt; in basso: distribuzioni della cluster size dei pannelli di lettura nella vista phi distinti nei livelli Pivot, LowPt e

HighPt. Il set di dati è costituito da un campione di 140 pannelli di lettura appartenenti ai Settori ATLAS 4, 5 e 6.

Attraverso la posizione dei cluster lungo le coordinate x e y, ho ottenuto la proiezione nel piano xy dei tre livelli, Pivot, LowPt e HighPt, per i settori in esame, come illustrato in Figura 153 in alto. Trattandosi di una proiezione, i quattro settori logici che costituiscono ogni settore ATLAS sono visualizzati due a due attraverso la somma logica dell’OR. La Figura 153 in basso è la proiezione sul piano zy del Settore ATLAS 5 (anche qui i settori logici coinvolti sono visualizzati due a due attraverso la somma logica dell’OR) ed evidenzia, mediante i vuoti del grafico, l’assenza di intere stazioni, non connesse a causa i problemi di distribuzione di gas e/o alta tensione o perché hanno fatto registrare correnti di gap troppo alte.

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Figura 153: in alto: proiezione sul piano xy di Pivot, LowPt e HighPt dei settori 4, 5 e 6; in basso: a sinistra, proiezione sul piano zy del Settore ATLAS 5, a destra il medesimo grafico in cui una scala cromatica evidenzia la differente illuminazione dei due lati del settore

La diversa illuminazione dello Spettrometro a muoni è ulteriormente testimoniata anche dalla proiezione dei punti di impatto nel piano zy nel caso del Settore ATLAS 5, fortementa asimmetrica tra il lato A, più densamente popolato, essendo questo maggiormente illuminato dai raggi cosmici in quanto sito direttamente sotto il pozzo di accesso di maggiori dimensioni, ed il lato C.

I settori inclinati, quali ad esempio il 4 ed il 6, sono illuminati dai raggi cosmici che attraversano piccoli spessori di terreno ai lati dei pozzi ed incidono in maniera pressochè ortogonale ad essi. La geometria dello Spettrometro è stata studiata per ricostruire tracce di particelle provenienti dal centro dell’apparato e quindi favorisce cosmici che puntano in tale direzione rispetto a quelli che giungono con un’inclinazione diversa.

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Le radiografie degli interi settori

La distribuzione spaziale dei punti di impatto permette di ottenere la “tomografia” di ogni singola gap, come già precedentemente accennato. Al fine di ottenere dei risultati significativi è necessario un set statisticamente rilevante di eventi che hanno dato luogo ad una traccia per le camere stabili al punto di lavoro. I dati a mia disposizione all’atto dell’analisi, purtroppo, non sono caratterizzati da un’alta statistica; inoltre, poiché acquisiti ancora in fase di pieno Commissioning, la disuniformità risultante è dovuta alle seguenti cause:

• le camere operavano ad una tensione inferiore (9200-9600 V) rispetto a quella prevista per la loro piena efficienza (9800 V);

• le soglie dell’elettronica di lettura non erano state ancora ottimizzate in funzione dell’efficienza della singola camera;

• la messa in tempo delle PAD e dei ROD non è del tutto completata, implicando la perdita di coincidenze da un piano all’altro.

Nella Figura 154 sono riportate le tomografie dei quattro settori logici appartenenti ai Settori ATLAS 4, 5 e 6, costituite dai punti di impatto della presa dati in analisi. A causa della bassa statistica del set di dati, i settori risultano soltanto mediamente riempiti, ma in quella del Settore 5 risulta evidente la suddivisione in camere, di cui sono peraltro rispettate le dimensioni, come è illustrato nello schema sottostante la tomografia. La scelta di rappresentare i dati mediante intervalli di valori dell’ampiezza della strip, mi ha consentito, nonostante la bassa statistica, di riconoscere alcuni canali spenti o disconnessi.

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Figura 154: esempi di tomografie per il piano 0 del livello di Pivot degli interi settori ATLAS 4, 5 e 6: nel settore 5è evidente la suddivisione tra camere

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Nella Figura 155 sono illustrati tre esempi di tomografie dell’intero Spettrometro: ognuna di esse rappresenta un piano, 0 od 1, di un livello, tra Pivot, LowPt e HighPt, e riporta la suddivisione grafica in settori ATLAS, settori logici, camere e pannelli. Mediante una scala cromatica, sono dettagliatamente evidenziate le zone di maggiore o minore efficienza di rivelazione e segnalate le camere che non danno segnale o quelle affette da alto rumore. Infatti il grafico è ottenuto tracciando tutti i segnali pervenuti all’acquisizione in corrispondenza di una traccia riconosciuta di raggio cosmico; pertanto le tracce “fisiche” sono sovrapposte ai segnali spuri verificatisi in sincrono con le stesse.

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Figura 155: esempi di tomografie dell’intero apparato ATLAS, relative alla presa dati utilizzata per l’analisi e suddivise per piani e livelli; dall’alto in successione, il piano 0 dei livelli Pivot, LowPt e HighPt; è riportata anche la

suddivisione grafica in settori ATLAS, settori logici, camere e pannelli.

I profili di strip rappresentano il conteggio realizzato da ogni singola strip all’interno del run e consentono la verifica da una parte della corretta connessione della camera al sistema di acquisizione, dall’altra il monitoraggio del comportamento dei singoli canali e la ricognizione di quelli disconnessi, non funzionanti od eccessivamente rumorosi.

Assieme ai profili di strip, i programmi da me sviluppati consentono di ottenere anche i profili dei canali per ogni singola CMA, relativa alla vista phi ed alla vista eta. Questo tipo di grafico si è rivelato particolarmente utile per la diagnostica a vista di errori di cablaggio o di funzionamento dell’elettronica di trigger ed acquisizione ed è stato utilizzato nella prima fase di messa a punto delle camere per l’intervento immediato di riparazione e correzione.

Nei grafici della Figura 156 invece, sono illustrati i profili di strip di interi settori, relativi alla vista eta, in cui è stata risolta la sovrapposizione dovuta alla lettura da parte di due distinte CMA contigue delle stesse strip. Una visione d’insieme di questo tipo è fondamentale per dare un’immagine immediata della risposta di un intero settore fisico.

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Figura 156: alcuni esempi di profili di strip per i due piani e per diversi livelli di alcuni settori logici dei Settori ATLAS 4, 5 e 6

Infine ho ottenuto le distribuzioni degli angoli polare θ e azimuthale φ (misurati in radianti). Come esposto nel del Capitolo 2, l’angolo azimuthale φ è definito come angolo di rotazione attorno all’asse Oz, con l’origine (φ=0) individuata sull’asse Ox e crescente in senso orario guardando nella direzione positiva dell’asse Oz; mentre l’angolo polare θ è definito come angolo di rotazione attorno all’asse Ox, si annulla in corrispondenza dell’asse Oz positivo e cresce in senso orario a partire da esso.

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Figura 157: sono illustrate le distribuzioni angolari in theta e phi: in particolare, nella prima, si evidenziano i pozzi di accesso all’ATLAS pit

In Figura 157 sono illustrate le distribuzioni angolari in theta e phi affiancate dalla distribuzione dei medesimi angoli in funzione del settore di appartenenza (sono stati presi in considerazione soltanto i settori afferenti alla sommità dell’esperimento).

A titolo di esempio è stata ottenuta la distribuzione delle misure dell’angolo polare θ delle tracce ricostruite dai dati del lato A del Settore 5 (settori logici 39 e 40). Essa è caratterizzata da un picco, per theta compreso tra 1.1 e 1.4 radianti, in corrispondenza degli angoli sotto cui il centro di interazione e, quindi, i due settori logici, vede il pozzo di accesso di diametro maggiore (che, ricordiamo, non è simmetrico rispetto al punto di interazione). Per angoli maggiori, cioè per theta pari a 2.4 – 2.5 radianti, la distribuzione presenta una struttura scarsamente popolata, relativa alle tracce dei muoni che, venendo dalla direzione negativa dell’asse z, hanno attraversato un abbondante spessore di roccia. Infine la struttura della distribuzione ottenuta in corrispondenza di piccoli valori di theta è relativa alle tracce di muoni che, provenienti dalla direzione positiva dell’asse z, hanno attraversato uno strato di roccia più sottile. In particolare la diminuzione ditracce registrate in corrispondenza di valori di theta compresi tra 0,4 e 0,8 radianti, è dovuta all’assenza di alcune camere disconnesse al momento del run.

Quanto detto è confermato dal grafico bidimensionale, da cui si evince una popolazione elevata in corrispondenza dei settori del lato A per tracce verticali (area in alto a sinistra). Ad angoli molto piccoli (inferiori a 0.5 radianti) o grandi (superiori a 2.7 – 2.8 radianti) si rilevano tracce la cui traiettoria, essendo molto inclinata, fa ipotizzare l’attraversamento di terreno e strati di cemento di spessore ridotto nel primo caso e più abbondante nel secondo.

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La distribuzione dell’angolo azimutale φ, invece, è centrata attorno a 1.5 radianti, confermando che sono favoriti i muoni che provengono dall’alto con direzione quasi perpendicolare a quella dell’asse dell’acceleratore LHC.

Considerazioni sull’efficienza in fase di Commissioning

Per valutare l’efficienza dei rivelatori una volta installati sull’apparato, occorre poter usufruire di informazioni indipendenti relative alla traccia, in modo da verificare se in corrispondenza di ogni punto di impatto, ricostruito mediante i dati delle camere traccianti MDT, si sia effettivamente presentato un hit sull’RPC di interesse. Il rapporto tra il numero di hit trovato per ogni gap e quello atteso, in base alla traccia ricostruita, costituisce una misura di efficienza evento per evento. In particolare un pannello è considerato efficiente se esiste un cluster il cui centro è distante meno di 70 mm dal punto estrapolato dalla traccia ricostruita con gli MDT.

Sono stati così ottenuti la distribuzione e l’istogramma riportati in Figura 158 per le camere BM dell’intero apparato. A sinistra è riportata la distribuzione dell’efficienza media dei pannelli BM così ottenuta. Il numero totale di entries, pari al numero di pannelli BM coinvolti nella presa dati, è stato usato come fattore di normalizzazione onde ottenere una scala verticale confrontabile con quella delle distribuzioni analoghe per gli altri tipi di camera. A destra la stessa distribuzione, separata settore per settore, è rappresentata in forma bidimensionale in un grafico in cui la grandezza dell’indicatore rettangolare è proporzionale al numero di pannelli caratterizzati da un determinato valore medio dell’efficienza.

I dati presentati sono ottenuti da un run combinato di RPC ed MDT contemporaneo a quello utilizzato per l’analisi dei Cosmici sopra discussa.

Figura 158: a sinistra: distribuzione dell’efficienza media per pannello misurata per le camere BM dell’intero apparato; a destra: grafico dell’efficienza registrata per ogni settore dell’apparato, in cui la grandezza dell’indicatore

rettangolare è proporzionale al numero di pannelli caratterizzati da un determinato valore medio dell’efficienza.

5.5. Considerazioni conclusive

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Lo scopo finale della presente tesi è stato quello di prospettare una panoramica delle caratteristiche e delle prestazioni del sistema di RPC dello Spettrometro muonico.

In base al lavoro svolto possiamo ivi riassumere i seguenti risultati:

Corrente di gap: le correnti medie alla tensione di lavoro di 9600 V sono risultate comprese tra 0.06 e 0.5 μA (con deviazioni standard rispettivamente di 0.02 e 0.2 μA) per la tipologia di camere BM (site nei livelli di Pivot e LowPt) e 0.05 e 0.16 μA (con deviazioni standard rispettivamente di 0.03 e 0.11 μA) per la tipologia di camere BO (site nel livello di HighPt).

Resistenza: la resistenza di gap, dovuta alla sola struttura del rivelatore e ricavata dalla regressione lineare condotta sul contributo ohmico della corrente di gap, è stata trovata appartenere all’intervallo tra 120 e 410 GΩ (con deviazioni standard rispettivamente di 30 e 70 GΩ), rispettivamente per i tipi BML_D e BOL_D.

Carica media: la carica media prodotta per ogni evento di ionizzazione, ottenuta dal rapporto tra correnti di gap e noise, è stata trovata compresa tra 12 e 22 pC (con deviazioni standard rispettivamente di 4 e 2 pC), rispettivamente per le camere di tipo BML e quelle di tipo BMS.

Noise: il noise medio per pannello di lettura, misurato a tensione di lavoro di 9600 V e con tensione di soglia dell’elettronica di lettura pari a 1000 mV, è risultato compreso nell’intervallo tra 0.06 e 0.33 Hz/cm2, rispettivamente per i Settori 8 e 14 e il Settore 1 per le camere site sui livelli di Pivot e LowPt; tra 0.026 e 0.06 Hz/cm2, rispettivamente per i Settori 7 e 9 e i Settori 11 e 13 per le camere site sul livello di HighPt.

Canali Rumorosi: su un totale di 400 mila canali di lettura, dei quali circa 275 mila in acquisizione nella presa dati che si è analizzata, a tensione di lavoro di 9600 V e per una tensione di soglia dell’elettronica di lettura pari a 1000 mV, ne è risultato rumoroso, oltre i 7 Hz/cm2, soltanto l’1.6%, suddiviso nello 0.9% per i canali di lettura eta e 0.7% per quelli phi.

Cluster Size: la cluster size media, ovvero il numero medio di strip che hanno dato segnale al passare della particella, è risultata compresa tra 1.47 e 1.54 (con deviazioni standard rispettivamente di 0.15 e 0.16) per la lettura in eta, rispettivamente sui livelli di LowPt e HighPt, mentre di 1.50 e 1.52 (con deviazioni standard rispettivamente di 0.13 e 0.17) per quella in phi, rispettivamente per i livelli di Pivot e LowPt.

Rate di Cosmici: l’acquisizione di Raggi Cosmici, mediante l’applicazione della logica di “trigger di Low-Pt”, ha fatto registrare, nel Barrel, un rate dell’ordine di 1 kHz: circa 10 Hz/m2 per il Settore 5 nella parte sottostante al pozzo di accesso di diametro maggiore; circa 1 Hz/m2 per i settori orizzontali nella parte lontano dal pozzo di accesso di diametro maggiore; infine circa 0.1 Hz/m2 per i settori verticali.

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Nella prossima Figura e Tabella annessa sono riportati schematicamente per tutti i settori dell’apparato i valori della corrente media di gap e del noise medio per pannello al fine di ottenere una distribuzione geografica esemplificativa di essi.

ALTO Corrente (microA) 1 2 3 4 5 6 7 8

Pivot+LowPt Media 0,4 0.18 0,20 0,14 0,31 0,11 0,31 0,27 Dev.St. 0,2 0,11 0,10 0,04 0,15 0,05 0,17 0,18

HighPt Media 0,08 0,10 0,07 0,08 0,06 0,05 0,06 0,16 Dev.St. 0,03 0,08 0,02 0,04 0,03 0,03 0,02 0,11 Noise

(Hz/cm2)

3 4 5 7 8 Pivot+LowPt Media 0,18 0,08 0,15 0,14 0,06

Dev.St. 0,10 0,03 0,11 0,10 0,02 HighPt Media 0,037 0,05 0,027 0,026 0,04

Dev.St. 0,011 0,03 0,011 0,018 0,02

BASSO Corrente (microA) 9 10 11 12 13 14 15 16

Pivot+LowPt Media 0,5 0,09 0,3 0,07 0,33 0,06 0,27 0,3 Dev.St. 0,2 0,05 0,15 0,03 0,16 0,03 0,16 0,2

HighPt Media 0,05 0,06 0,07 0,06 0,07 0,05 0,07 0,07 Dev.St. 0,03 0,02 0,02 0,03 0,03 0,03 0,02 0,03

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Noise

(Hz/cm2) 9 10 11 13 15 Pivot+LowPt Media 0,20 0,10 0,33 0,20 0,29

Dev.St. 0,12 0,08 0,12 0,08 0,12 HighPt Media 0,026 0,05 0,06 0,06 0,045

Dev.St. 0,017 0,03 0,03 0,02 0,018