UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI...

93
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA FACOLTÀ DI AGRARIA Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari Dottorato di Ricerca in “Produttività delle piante coltivate” – XXIV Ciclo SERGIO CURRÒ Contributi per il miglioramento genetico del ficodindia (Opuntia ficus indica (L.) Mill.) DISSERTAZIONE FINALE Tutor: Prof.ssa Alessandra Gentile Co-tutor: Prof. Stefano La Malfa Coordinatore: Prof.ssa Daniela Romano

Transcript of UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI...

Page 1: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA

FACOLTÀ DI AGRARIA

Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari

Dottorato di Ricerca in “Produttività delle piante coltivate” – XXIV Ciclo

SERGIO CURRÒ

Contributi per il miglioramento genetico del ficodindia

(Opuntia ficus indica (L.) Mill.)

DISSERTAZIONE FINALE

Tutor: Prof.ssa Alessandra Gentile

Co-tutor: Prof. Stefano La Malfa

Coordinatore: Prof.ssa Daniela Romano

Page 2: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

I

INDICE

INTRODUZIONE Pag. 01

1. IL FICODINDIA ” 01

1.1. Inquadramento sistematico ” 01

1.2. Origine e diffusione ” 02

1.3. Descrizione botanica e fisiologia ” 03

1.4. Importanza economica nel mondo ed in Italia ” 05

1.5. Patrimonio varietale ” 07

1.6. Gli usi del ficodindia ” 09

1.7. Obiettivi del miglioramento genetico e delle biotecnologie applicate

al ficodindia ” 10

2. COLTURE IN VITRO ” 14

2.1. Micropropagazione ” 14

2.1.1. Fasi della tecnica di micropropagazione ” 15

2.2. Applicazioni delle colture in vitro per il miglioramento genetico ” 17

2.3. Applicazione delle colture in vitro in Opuntia ” 23

3. MARCATORI MOLECOLARI ” 25

3.1. Classificazione dei marcatori molecolari ” 27

3.2. Principali tipologie di marcatori molecolari ” 29

3.2.1. Restriction Fragment Length Polymorphism (RFLP) ” 29

3.2.2. Variable Number of Tandem Repeats (VNTR) ” 29

3.2.3. Random Amplified Polymorphic DNA (RAPD) ” 30

3.2.4. Amplified Fragment Length Polymorphism (AFLP) ” 30

3.2.5. Simple Sequence Repeats (SSR) ” 31

3.2.6. Inter-microsatelliti (I-SSR) ” 33

Page 3: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

II

3.2.7. Single Nucleotide Polymorphism (SNP) Pag. 34

3.2.8. Sequence-Specific Amplification Polymorphism (S-SAP) ” 34

3.3. Impiego dei marcatori molecolari su ficodindia e specie affini ” 35

OBIETTIVI ” 37

MATERIALI E METODI ” 39

1. COSTITUZIONE DI IBRIDI INTRA- ED INTERSPECIFICI ” 39

1.1. Impollinazione incrociata ” 39

1.2. Analisi istologica ” 39

1.3. Estrazione e germinazione dei semi ” 41

1.4. Accrescimento, acclimatazione e messa a dimora delle piantine ” 43

2. REPERIMENTO E CARATTERIZZAZIONE DI GERMOPLASMA DI

OPUNTIA ” 45

2.1. Reperimento di germoplasma autoctono ed alloctono e costituzione

di un campo collezione ” 45

2.2. Caratterizzazione con marcatori microsatelliti ” 49

2.2.1. Materiale vegetale genotipizzato con marcatori microsatelliti ” 49

2.2.2. Estrazione del DNA ” 49

2.2.3. Analisi SSR ” 49

2.2.4. Analisi dei polimorfismi ” 52

3. PROPAGAZIONE IN VITRO E VERIFICA DELLA TRUE TO

TYPENESS CON MARCATORI AFLP ” 55

3.1. Micropropagazione ” 55

3.2. Analisi con AFLP delle piante micropropagate ” 57

3.2.1. Estrazione del DNA ” 57

3.2.2. Reazione di restrizione - ligazione ” 58

Page 4: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

III

3.2.3. Amplificazione pre-selettiva Pag. 58

3.2.4. Amplificazione selettiva ” 59

3.2.5. Visualizzazione del prodotto di amplificazione ” 60

RISULTATI E DISCUSSIONE ” 61

1. COSTITUZIONE DI IBRIDI INTRA- ED INTERSPECIFICI ” 61

2. CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI GERMOPLASMA DI

OPUNTIA CON MARCATORI MICROSATELLITI ” 63

3. PROPAGAZIONE IN VITRO E VERIFICA DELLA TRUE TO

TYPENESS CON MARCATORI AFLP ” 72

3.1. Micropropagazione ” 72

3.2. Analisi con AFLP ” 73

CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE ” 76

BIBLIOGRAFIA ” 79

Page 5: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

1

INTRODUZIONE

1. IL FICODINDIA

1.1. Inquadramento sistematico

Il ficodindia (Opuntia ficus indica (L.) Miller, 1768) è un arbusto succulento originario

del Messico ma presente in tutto il bacino del Mediterraneo e nelle zone temperate di

America, Africa, Asia ed Oceania. Appartiene all‟ordine Opuntiales, famiglia Cactaceae,

sottofamiglia Opuntioideae, genere Opuntia. Il numero di specie incluse in tale genere non è

noto (Chavez-Moreno et al., 2009) e varia a seconda degli autori passando da 160 per Gibson

e Nobel (1986), a 250 per Britton e Rose (1963) fino a 360 secondo Segura et al. (2007). La

mancata definizione univoca del numero di specie è dovuta principalmente a problemi nella

nomenclatura che si registrano non solo nel genere Opuntia, ma anche all'interno di altri

generi della famiglia delle Opuntioideae. I motivi di tale confusione tassonomica

principalmente sono dovuti al basso numero di caratteri morfologici, all'alto livello di

plasticità fenotipica presente all'interno di molti taxa, alla frequente ibridazione intra- ed inter-

generica (Wallace e Gibson, 2002), ai diversi livelli di ploidia (con specie da diploidi ad

ottaploidi) (Felker, 2006) ed all‟elevata incidenza della poliploidia che raggiunge valori del

64% sul totale delle specie (Pinkava, 1998).

Secondo alcuni autori, le specie di Opuntia sono divise in tre sottogeneri:

Cylindropuntia, in cui troviamo specie arbustive con ramificazioni cilindriche (o

articolazioni); Platyopuntia, le cui piante sono caratterizzate da ramificazioni appiattite

chiamate cladodi (Gibson e Nobel, 1986); Tephrocactus, a cui appartengono specie di piccole

dimensioni con articoli brevi e globulari. Altri autori, invece, sostengono che quest‟ultimo

sottogenere debba considerarsi come un genere a sé, distinto dal genere Opuntia. Il

sottogenere Platyopuntia è senza dubbio il più importante perché comprende specie che

assumono importanza economica essendo coltivate per la produzione di frutti, destinati

all‟alimentazione umana, e per la produzione dei cladodi impiegati sia per l‟alimentazione del

bestiame ma anche per quella umana oltre che per l‟estrazione di particolari sostanze

chimiche.

Page 6: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

2

1.2. Origine e diffusione

Opuntia ficus indica è originaria dell‟altopiano messicano come testimoniato dal

ritrovamento di reperti fossili (semi) in insediamenti umani localizzati in quell‟area e datati

intorno al VII millennio a.C. (Kiesling, 1998; Griffith, 2004). Da qui si diffuse in tutto il

Mesoamerica, Cuba, Hispaniola e nelle altre isole dei Caraibi (Figura 1), dove fu rinvenuta

dai primi esploratori europei della spedizione di Cristoforo Colombo. E‟ verosimile inoltre

che la pianta fosse stata introdotta anche in Sud America in epoca pre-colombiana da parte

della civiltà peruviana dei Nazca (Sejuro, 1990). Secondo altri autori invece questa specie era

sconosciuta nell‟America del sud precolombiana (Towle, 1961; Baker, 2002).

Probabilmente la pianta venne introdotta nel vecchio continente già con il primo viaggio di

ritorno di Colombo nel 1493 verso il Portogallo (Russell e Felker, 1987; Anderson, 2001). Il

ficodindia però iniziò a diffondersi in Europa a partire dagli inizi del XVI secolo (Donkin,

1977; Casas e Barbera, 2002) grazie ai “conquistadores” spagnoli, i quali si accorsero per

primi dei benefici di tale pianta nei confronti dello scorbuto, terribile malattia che colpiva

principalmente i marinai e che era causata dalla carenza di vitamina C. La pianta fu così

trasportata nelle navi durante i lunghi viaggi e questo ne permise una rapida diffusione in tutta

l‟area del Mediterraneo e nelle varie regioni aride e semiaride del mondo (Anderson, 2001;

Casas e Barbera, 2002; Sàenz-Hernandez et al., 2002).

Figura 1. Centro di orig ine e diffusione primario del ficodindia

Page 7: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

3

Giunto in Europa, il ficodindia, al pari di molte altre piante provenienti dal nuovo

continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti una specie

molto strana per i botanici del tempo che vi riscontrarono caratteristiche morfologiche

sconosciute all‟epoca. Il ficodindia si diffuse rapidamente nei giardini delle ville e negli orti

botanici perché era particolarmente apprezzato per il suo aspetto strano ed esotico, per il suo

veloce accrescimento e per le sgargianti fioriture. La pianta si adattò ben presto all‟ambiente

mediterraneo diffondendosi velocemente e naturalizzandosi al punto da divenire uno degli

elementi più comuni del paesaggio.

1.3. Descrizione botanica e fisiologia

Opuntia ficus indica è una pianta succulenta, perenne e spinosa, dal portamento che può

essere prostrato, cespuglioso o anche arborescente, a crescita molto rapida, che può

raggiungere un'altezza di 3-5 metri. Le ramificazioni sono composte da articoli sublegnosi,

succulenti, ellittici, larghi e compressi, lunghi da pochi centrimetri fino anche a 50, che

prendono il nome di cladodi ma che comunemente vengono chiamati “pale”. I cladodi

inserendosi l'uno sull'altro danno vita alla caratteristica forma ad albero senza tronco e senza

rami. Sulla superficie dei cladodi sono presenti numerose gemme protette da setole aghiformi;

tali strutture prendono il nome di areole. Nelle areole si trovano due punti di vegetazione, uno

che darà origine ad un fiore o un germoglio, l‟altro che darà luogo alle spine. Inoltre sulle

areole si formano i glochidi, spine sottilissime, di pochi millimetri, di colore giallo-bruno; per

la loro caratteristica di essere spine non sclerificate alla base, sono caduche e si presentano

come valida difesa contro molti animali, che attratti dalle pale ricche di acqua

danneggerebbero la pianta.

I cladodi sono preposti contemporaneamente alla funzione di assimilazione

(fotosintesi), di riserva e di sostegno. Su di essi le vere foglie si presentano di piccole

dimensioni e sono visibili solo nel primo mese di età perché cadono precocemente.

La fioritura avviene a maggio-giugno e procede in modo scalare. I fiori si formano

principalmente sugli orli apicali dei cladodi; sono sessili, solitari, ermafroditi, con ovario

infero circondato da un ampio ricettacolo che a maturità costituirà l‟epicarpo del frutto. Il

calice dialisepalo protegge la corolla dialipetala di colore giallo intenso o giallo-arancio. Gli

Page 8: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

4

stami sono numerosi, di dimensioni macroscopiche e ricchi di polline. L‟impollinazione è

autogama e cleistogama dovuta alla recettività dello stimma prima dell‟antesi che rende tale

specie dotata di scarsa variabilità genetica. I fiori si formano in gran parte sui cladodi di un

anno di età; non è raro, però, poter osservare delle fioriture su cladodi di due anni o più,

specialmente a condizioni climatiche favorevoli. Un cladodo fertile può produrre fino a 20

fiori per fioritura (Nerd e Mizrahi, 1994).

Ai fini di una produzione di maggiore pregio e con una maturazione tardiva, si è diffusa

la tecnica colturale della “scozzolatura”. Consiste nell‟asportare i fiori ed i cladodi prodotti in

primavera; effettuata nel periodo compreso tra la fine di maggio e la me tà di giugno, induce

nella pianta una seconda fioritura tardiva nel mese di agosto. Questa pratica se ben

programmata, permette di differenziare l‟epoca di raccolta in modo da realizzare delle

raccolte scalari che vanno dalla fine di settembre fino ai primi di dicembre (Barbera e Inglese,

1993). I frutti ottenuti in estate che derivano dalla prima fioritura prendono il nome di

“Agostani” o “Primofiore”, mentre quelli che maturano in autunno in seguito alla scozzolatura

ed alla conseguente seconda fioritura, vengono chiamati “Scozzolati” o “Bastardoni”.

Normalmente gli agostani sono di qualità più scadente, infatti sono di piccole dimensioni e la

loro polpa tende a sfarinare quando giungono a maturazione; al contrario i frutti autunnali,

sono mediamente più grossi e la loro polpa è più turgida e croccante. Questa caratteristica

rende i frutti tardivi più apprezzati dal mercato oltreché più idonei al trasporto ed alla

conservazione.

Il frutto è una bacca uniloculare che ha forma ovoidale o piriforme, ombelicata all'apice,

con polpa carnosa e commestibile. La buccia (epicarpo) a maturità assume un colore variabile

dal giallo-arancione al rosso, a seconda della varietà. L'esterno dell'epicarpo è anch'esso ricco

di glochidi, isolati o in ciuffi, pungenti e fastidiosi al momento della raccolta. Il mesocarpo e

l'endocarpo costituiscono la polpa, molto dolce e succosa, di colore variabile dal bianco, al

giallo-arancio, al rosso. La polpa avvolge i numerosi e piccoli semi legnosi.

Il fusto si forma dall‟invecchiamento dei cladodi basali. Col passare degli anni essi

assumono un colore scuro screziato e scaglioso di consistenza sub- legnosa. L'apparato

radicale, quando la pianta proviene da seme, è costituito da una radice principale fittonante

che penetra in profondita nel terreno e da radici secondarie che si sviluppano superficialmente

ma che hanno la capacità di approfondirsi in caso di carenze idriche. Nel caso in cui la pianta

sia originata da propagazione vegetativa l‟apparato radicale si presenta superficiale e

fascicolato con la capacità di approfondirsi fino ad 80 centrimetri (Fernandez e Sayz, 1990).

Page 9: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

5

La funzione di fotosintesi in questo tipo di piante è assunta dal tessuto parenchimatico

dei cladodi in quanto le foglie, come già detto, sono lunghe appena pochi millimetri ed

effimere in quanto cadono molto facilmente dopo circa 30 giorni.

Dal punto di vista fisiologico, una particolarità che contraddistingue il ficodindia, e tutta

la famiglia delle cactaceae, è il fatto di avere un metabolismo CAM (Crassulacean Acid

Metabolism); nelle piante CAM gli stomi si aprono di notte restando chiusi di giorno (il

contrario di ciò che avviene nella maggior parte delle piante) riducendo quindi sensibilmente

la perdita di liquidi per traspirazione. Questa particolarità non cambia anche se le piante

dovessero vivere in condizioni ottimali di coltivazione, vale a dire di acqua e nutrimento.

L'importanza del ciclo CAM si evidenzia nell'elevata efficienza d'uso dell'acqua, cioè nel

ridotto "costo" in termini di acqua necessaria per fissare una molecola di carbonio. Questa

caratteristica fa si che la pianta sia capace di svilupparsi ottimamente anche in condizioni di

carenza idrica e che quindi riesca a diffondersi in aree poco ospitali per le altre piante.

1.4. Importanza economica nel mondo ed in Italia

Il ficodindia rappresenta una specie minore nel panorama internazionale, per tale motivo

manca di fonti statistiche precise e recenti relative alle superfici investite a livello mondiale e

le rispettive produzioni ottenute. Secondo quanto riportato da Inglese et al. (2002), il

principale Paese produttore a livello mondiale è il Messico, con una superficie coltivata di

circa 70.000 ettari ed una produzione di 345.000 tonnellate; altri Paesi produttori nel mondo

sono il Sudafrica con 1.000 ettari, che danno una produzione di circa 8.000 tonnellate, ed il

Cile con 1.100 ettari e più di 8.000 tonnellate (Basile, 2001). Aree minori di coltivazione sono

presenti in Argentina (800 ettari e 7.500 tonnellate), in Israele (300 ettari e 6.000 tonnellate) e

negli Stati Uniti (200 ettari per una produzione di 3.600 tonnellate). Tra le altre nazioni in cui

viene coltivato il ficodindia, anche se con superfici poco rilevanti, abbiamo: il Brasile, il Perù,

la Colombia, l‟Algeria, la Tunisia, il Marocco, la Turchia e l‟Egitto. In Europa oltre all'Italia

troviamo la Spagna, il Portogallo e la Grecia (Basile, 2001).

L‟Italia rappresenta il maggior produttore europeo ed il secondo a livello mondiale. La

pianta è coltivata quasi esclusivamente in Sicilia dove copre una superficie di 8.328 ettari,

pari al 96 % della superficie nazionale (ISTAT, 2009). Per quanto riguarda l‟offerta del

prodotto siciliano, questa negli ultimi 3 decenni ha subito un notevole incremento; la

Page 10: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

6

produzione totale, infatti, è passata da 35.000 tonnellate, nel quadriennio 1975-78, a 48.000

tonnellate, nel quadriennio 1987-90, fino a 63.000 tonnellate nel triennio 1997-98 (Inglese et

al. 2002). Attualmente la produzione siciliana ammonta a circa 86.000 tonnellate (ISTAT,

2009), pari a circa il 97 % della produzione nazionale. Questa evoluzione positiva dell‟offerta

è stata accompagnata da diversi fattori come l'ampliamento del calendario di raccolta,

l'adozione di superfici più vaste, tecniche di coltivazione eco-compatibili e un miglioramento

della qualità del prodotto.

La coltivazione del ficodindia in Sicilia è essenzialmente concentrata in tre areali ben

distinti (Figura 2):

- “Colline di San Cono”: comprende il territorio di tre province e ricade nei comuni di

San Cono (Catania), San Michele di Ganzaria (Catania), Piazza Armerina (Enna) e

Mazzarino (Caltanissetta);

- “Sud Ovest Etneo”: rientra interamente nella provincia di Catania interessando

principalmente i comuni di Belpasso, Biancavilla, Paternò, Adrano e Bronte ;

- “Valle del Belice”: nonostante sul panorama siciliano non rivesta grande importanza,

rappresenta l‟areale di produzione più importante della Sicilia occidentale; la

produzione del ficodindia interessa quasi esclusivamente il comune di Santa Margherita

di Belice.

Un notevole passo in avanti nella valorizzazione del prodotto siciliano è stato fatto

grazie al riconoscimento della DOP “Ficodindia dell‟Etna” nel 2003 e alle attività del

consorzio di tutela del ficodindia dell‟Etna che è particolarmente attivo nella promozione di

tale prodotto.

Page 11: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

7

Figura 2. Principali aree di colt ivazione in Sicilia: in rosso le “Colline di San Cono”, in verde il “Sud Ovest

Etneo” ed in blu la “Valle del Belice”

1.5. Patrimonio varietale

In Messico circa il 90% dei frutti commercializzati sono prodotti da sei cultivar, vale a

dire „Reyna‟ (la cultivar più diffusa), „Cristalina‟, „Chapeada‟, „Naranjona‟, „Montesa

Amarilla‟ e „Roja pelona‟ (Pimienta-Barrios, 1994; Mondragon-Jacobo e Perez-Gonzalez,

1996). Tra le principali varietà coltivate negli altri Paesi troviamo: „Ofer‟ in Israele; „Malta‟,

„Gymnocarpo‟, „Direkteur‟ e „Algerian‟ in Sudafrica; „Amarilla sin espinas‟ in Argentina;

„Verde‟ e „Blanca‟ in Cile; „Andy Boy‟ negli Stati Uniti (Inglese et al., 2002).

Per quanto riguarda l‟Italia, la nostra produzione si basa esclusivamente su tre cultivar

(Basile, 2001):

- la „Gialla‟, detta anche „Surfina‟, che gode di altissima rusticità e che rappresenta circa

l‟80% della produzione totale siciliana;

- la „Rossa‟ o „Sanguigna‟ che incide per circa il 15%;

- la „Bianca‟ o „Muscaredda‟ che occupa il restante 5% del totale.

I nomi delle cultivar sono esclusivamente basate sulle caratteristiche dei frutti (colore della

buccia e della polpa) (Figura 3).

Page 12: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

8

La cultivar „Gialla‟ è ampiamente coltivata per la sua buona produttività, per l‟alta

capacità di resistenza alla manipolazione post-raccolta e per le qualità organolettiche superiori

alle altre due varietà (Basile, 2001). A questa varietà fanno capo diverse varianti già descritte

negli anni ‟50 tra le quali la “Gialla a frutto peduncolato”, la “Gialla trunzara” e la “Gialla

femminella”; quest‟ultima si distingue per una minore rusticità (Damigella, 1958).

La cultivar „Rossa‟, tipica per la sua colorazione rosso-violetto, presenta una

produttività nettamente minore oltre ad una elevata sensibilità alla spaccatura; inoltre è stata

dimostrata una tendenza all‟alternanza produttiva (Alberghina, 1994; Barbera et al., 1991). La

cultivar dimostra comunque una buona resistenza alle manipolazioni ed al trasporto e produce

dei frutti di dimensioni superiori rispetto alle altre (Basile, 2001). La polpa si presenta con una

consistenza mucillaginosa più spiccata rispetto alle altre varietà. Anche per la ‟Rossa‟

distinguiamo piante con frutti sessili e peduncolati oltre alla variante trunzara. Il suo colore la

rende particolarmente gradita al consumatore.

La „Bianca‟ è la meno diffusa; ha la polpa di colore giallo paglierino e gode di ottima

produttività. La buccia si presenta più sottile rispetto a quella delle altre due cultivar (Barbera

et al., 1992) il che rende i frutti più sensibili alle manipolazioni post-raccolta e suscettibili alla

mosca della frutta (Ceratitis capitata) (Inglese et al., 1995). Anche in questo caso troviamo

delle varianti a frutti peduncolati ed il clone trunzara.

I cloni “trunzari” si distinguono per la produzione di frutti con una polpa più croccante,

caratteristica molto apprezzata dal consumatore (Barbera e Inglese, 1993).

Figura 3. Frutti sbucciati delle varietà „Bianca‟, „Gialla‟ e „Rossa‟

Page 13: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

9

1.6. Gli usi del ficodindia

Senza dubbio, dal punto di vista economico il principale l‟utilizzo del ficodindia è

rappresentato dal consumo alimentare dei frutti a llo stato fresco. Uno dei limiti della

diffusione di tale frutto nei mercati stranieri è rappresentato dalla difficoltà di consumo dovuta

alla naturale presenza si spine. Accanto alle tecniche di despinatura che i magazzini di

lavorazione realizzano, da alcuni anni sta crescendo l‟offerta di un prodotto di IV gamma,

vale a dire del frutto già sbucciato, confezionato e pronto all‟uso. Sebbene la tecnologia sia

abbastanza matura, la ricerca sta proseguendo la sua attività nel ritardare e ridurre i fenomeni

ossidativi che si verificano sui frutti sbucciati anche attraverso lo studio dei più idonei film

per il confezionamento. Il frutto però può subire anche numerose lavorazioni per ottenere

prodotti quali canditi, succo, conserve, gelatine, liquori, alcool, ecc.

In Messico esistono diversi prodotti tradizionali ottenuti dalla trasformazione dei frutti:

- “Melcocha”, sciroppo ottenuto dalla concentrazione del succo per ebollizione;

- “Queso de tuna”, pasta dolce, compatta e molto nutriente ricavata a partire dalla

Melcocha;

- “Miel de tuna”, prodotto attraverso la concentrazione dalla polpa;

- “Colonche”, bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione del succo.

Nella tradizione siciliana invece troviamo il “mostacciolo”, ottenuto dal succo ristretto

per ebollizione a cui si aggiungono farina di semola ed aromi, e la "mostarda", preparata in

modo analogo ma addizionata di succo d'uva e che può essere conservata anche sottoforma di

canditi.

Oltre ai frutti, anche i giovani cladodi sono commestibili, opportunamente ripuliti dalle

spine. L'uso alimentare, però, sembra essere presente solo nella cultura messicana, dove i

cladodi vengono impiegati con successo in vari piatti locali, o per la preparazione di conserve

in salamoia o sott‟aceto; non si ha notizia di un uso alimentare umano negli altri paesi del

mondo, tranne qualche traccia storica nell'agrigentino.

Riguardo all‟uso per l‟alimentazione animale, anche in questo caso vengono utilizzati

sia i frutti che i cladodi. Possono venire somministrati sia freschi che essiccati ma anche

sottoforma di farine. Non indifferente è la quantità di acqua che gli animali possono assumere

con un pasto a base di cladodi freschi; questo consente un considerevole risparmio di acqua

per le abbeverate, particolare rilevante nelle zone aride (Barbera e Inglese, 2001).

Page 14: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

10

Nella medicina popolare l‟utilizzo del ficodindia assume grande importanza: per la cura

di malattie come il diabete mellico, grazie alla sua azione ipoglicemizzante; per le

infiammazioni delle vie urinarie e per favorire l‟espulsione dei calcoli renali grazie alle

proprietà diuretiche dei fiori essiccati e delle radici; per la ricchezza di fibre; per le proprietà

anticongestionanti e cicatrizzanti sull‟epidermide e sulle mucose intestinali.

Il ficodindia viene inoltre utilizzato, fin dai tempi degli Aztechi, per l‟allevamento del

Dactylopius coccus, comunemente detto “cocciniglia del carminio”; questo insetto,

dell‟ordine dei Rincoti, è un parassita che vive sulle cactaceae del genere Opuntia. Dalla

cocciniglia viene estratto l‟acido carminico, una sostanza dall‟intenso colore rosso, che

attraverso un processo industriale viene trasformato in un colorante che prende il nome di

carminio e che corrisponde alla sigla E 120. Questo colorante è molto richiesto dall'industria

cosmetica, farmaceutica, tessile ed alimentare.

1.7. Obiettivi del miglioramento genetico e delle biotecnologie applicate al ficodindia

Gli obiettivi del miglioramento genetico del ficodindia sono piuttosto ampi e, come per

tutti gli altri fruttiferi, riguardano in primo luogo la conoscenza dei meccanismi molecolari

sottesi all‟espressione di caratteri interessanti e in secondo luogo all‟utilizzo di tali

conoscenze per lo sviluppo di varietà che meglio rispondano alle esigenze del frutticoltore,

del trasformatore e del consumatore.

Poiché il ficodindia non ha una lunga storia di miglioramento genetico diversamente da

ciò che si riscontra in altre colture (agrumi, vite, olivo, ecc), le priorità da sviluppare sono

molteplici e sono funzione delle aree di coltivazione e degli utilizzi della coltura. Tra queste,

certamente, accanto al miglioramento della qualità e dell‟entità della produzione (ivi

compresa la riduzione del numero di semi nel frutto e delle spine nella pianta e nel frutto),

vanno annoverate l‟ampliamento del calendario di maturazione, la resistenza alla mosca della

frutta, l‟attitudine all‟utilizzo innovativo del prodotto (IV gamma, ad esempio).

La presenza dei semi nella polpa rappresenta un grosso limite per l‟ampliamento dei

mercati potenzialmente interessati al ficodindia; il numero di semi, infatti, in un singolo frutto

può variare da 80 fino ad oltre 300 (pari a 3 - 8 grammi) in funzione della dimensione del

frutto e della cultivar (Mondragon-Jacobo e Perez-Gonzalez, 1996). Inoltre a causa della

poliploidia, insorta per la formazione di gameti non ridotti, frutti di ficodindia possono

Page 15: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

11

presentare semi abortiti; è stato valutato che il rapporto tra semi abortiti e semi normali in

cultivar italiane è 4 volte superiore (0.44) rispetto a quello delle cultivar messicane (0.11)

(Pimienta-Barrios e Mauricio, 1987; Barbera et al., 1994). Il numero di semi è correlato

positivamente alla dimensione del frutto e il frutto ideale dovrebbe essere, pertanto, di grandi

dimensioni ma con un elevato rapporto di semi abortiti rispetto ai semi normali.

La partenocarpia, cioè la produzione di frutti senza semi per la mancanza di

impollinazione o fecondazione (ovvero di fecondazione seguita da aborto dell‟embrione) è

certamente il meccanismo biologico che assicura l‟assenza di semi nei frutti. Anche per il

ficodindia, è stata identificata in Israele una accessione a polpa gialla, denominata BS1, che

non necessita di impollinazione per la formazione e ingrossamento del frutto; tuttavia i semi

degenerati contengono ancora un rudimento interno piuttosto consistente e la qualità generale

del frutto è piuttosto scadente (Weiss et al., 1993; Nerd e Mizrahi, 1994). Altre strategie

utilizzate hanno riguardato l‟applicazione di gibberelline ma con limitati risultati (Arguilar,

1987; Ortiz, 1988).

Altro problema importante è rappresentato dalle spine la cui densità e dimensione nei

cladodi varia molto tra le accessioni. Genotipi senza spine non sono presenti nelle forme

selvatiche e pertanto tale carattere è stato acquisito durante il processo di domesticazione. Le

varietà italiane a differenza di quelle messicane, hanno un numero e una dimensione delle

spine piuttosto contenuto anche se lo sviluppo di cultivar senza spine è un obiettivo prioritario

non solo per l‟accettabilità del frutto da parte del consumatore ma anche per il miglioramento

dell‟efficienza delle operazioni colturali (potatura, raccolta).

Il miglioramento genetico del ficodindia è stato realizzato, al pari di quanto è avvenuto

negli altri fruttiferi, utilizzando tutti i metodi tradizionali, quali la selezione, l‟introduzione di

germoplasma da altri Paesi, la selezione e la caratterizzazione del germoplasma autoctono,

nonché l‟ibridazione. Le cultivar presenti, in Italia ma anche in altri Paesi, tuttavia sono

ancora principalmente il risultato di un lungo, informale processo di selezione eseguito dagli

agricoltori sulla base di criteri specifici quali le dimensioni e la qualità dei frutti, la

produttività e la tolleranza agli stress. Il panorama varietale, pertanto, nei diversi Paesi che

producono ficodindia è strettamente correlato al germoplasma originario presente e, pertanto,

la massima diversità genetica si riscontra in Messico, così come d‟altronde è dimostrato dal

numero di entità che sono raccolte nei centri di conservazione del germoplasma in questo

Paese. Nel mondo risultano censiti 7 campi principali di raccolta del germoplasma

ficodindicolo (Chapman et al., 2002); tuttavia la conservazione ex situ delle risorse genetiche

Page 16: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

12

di questa specie è complessa e onerosa sia nella fase del mantenimento, che nella gestione.

Tali difficoltà sono dovute sia ad alcune caratteristiche genetiche de lla specie ma anche alle

notevoli dimensioni che la pianta raggiunge nonché alle ridotte informazioni disponibili sulle

accessioni in collezione e all‟assenza di idonei descrittori sia morfologici che molecolari. Tale

situazione determina la frequenza di accessioni duplicate e incertezza nella classificazione che

rendono poi di fatto complicata la valutazione e l‟utilizzazione delle risorse genetiche

(Weniger, 1984).

Per poter realizzare un efficiente programma di miglioramento genetico del ficodindia è

necessario disporre di biodiversità che, al tempo stesso, deve essere classificata secondo

criteri certi. Nel tempo sono stati utilizzati diversi sistemi di classificazione della variabilità

genetica esistente, tra i quali l‟analisi delle principali component i (PCA) sulla base di

numerosi caratteri morfologici che ha consentito di trovare alcune correlazioni positive tra

alcuni parametri (larghezza del cladodo e peso del frutto, ad es.) (Mondragon-Jacobo, 1999).

La possibilità di disporre di marcatori molecolari in grado di discriminare l‟ampio

germoplasma disponibile anche per il ficodindia sarebbe di grande ausilio per la scelta di

parentali per l‟esecuzione di specifici programmi di incrocio.

L‟incrocio quale metodo di miglioramento genetico nel ficodindia è reso complesso da

alcuni aspetti della biologia fiorale della specie. I fiori di ficodindia sono generalmente

ermafroditi, con numerosi stami, un singolo stilo e un perianzio molto vistoso. La specie è

autocompatibile ed è caratterizzata da un meccanismo di proterandria che rende possibile

l‟autofecondazione prima che il fiore si apra (cleistogamia). Pertanto, i programmi di

impollinazione incrociata devono prevedere diversi passaggi a carico del genitore maschile e

del genitore femminile nonchè diverse difficoltà per superare la dormienza fisiologica che i

semi presentano.

La possibilità di disporre di un metodo di propagazione rapido ed efficiente per poter

avere grandi quantitativi di nuovi genotipi ottenuti da specifici programmi di incrocio ovvero

selezionati in campo rappresenta un‟altra opportunità che le biotecnologie possono offrire per

velocizzare i programmi di miglioramento genetico del ficodindia. La valutazione

complessiva delle accessioni di nuova costituzione passa attraverso una verifica della

performance bioagronomica in ambienti diversi e, sebbene la propagazione per parti di

cladodo rappresenti un metodo efficace per la specie, l‟utilizzo delle colture in vitro può,

quando i materiali sono preziosi e scarsi in quantità, rappresentare un sistema di grande

ausilio almeno in una fase precoce del processo di valutazione. Poiché la specie è

Page 17: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

13

caratterizzata anche da apomissia (fino al 50% di semi poliembrionici), la verifica dei

presunti semenzali ibridi rappresenta un passaggio fondamentale per evitare di portare in

valutazione semenzali somatici. A tale proposito, l‟utilizzo di specifici marcatori molecolari

può rappresentare uno strumento importante per la selezione degli ibridi già in fase di

germinazione dei semi.

Page 18: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

14

2. COLTURE IN VITRO

Con il termine di “colture in vitro” si intendono diverse tecniche, sviluppate negli ultimi

50 anni, che consentono la crescita in vitro, su specifici terreni di coltura, di cellule, tessuti ed

organi al fine di rigenerare nuove piante complete. Tali metodologie si basano sul concetto di

totipotenza, cioè sulla capacità che hanno le cellule vegetali di originare un nuovo individuo.

Le colture in vitro trovano svariate applicazioni nei programmi di miglioramento genetico e

consentono di ottenere variabilità somaclonale, di realizzare la fecondazione in vitro, di

produrre ibridi somatici mediante fusione di protoplasti, di recuperare embrioni di ibridi

interspecifici o intergenerici, di ottenere linee aploidi via androgenesi e ginogenesi e di

produrre piante transgeniche. Altri campi di applicazione delle colture in vitro riguardano il

risanamento delle piante dai virus, la conservazione del germoplasma e la produzione di

metaboliti secondari.

2.1. Micropropagazione

La micropropagazione è una tecnica di propagazione clonale che consiste nella

produzione di piante attraverso la coltura di espianti (organi, tessuti o cellule) in specifici

substrati artificiali in condizioni di sterilità e in ambiente controllato. Tale tecnica presenta

alcuni vantaggi rispetto alle tecniche di propagazione tradizionali tra cui una notevole

riduzione dei tempi e degli spazi richiesti, la possibilità di ottenere un gran numero di piante

partendo da pochi espianti e la produzione di individui tutti identici fra di loro e alla pianta

madre. Il presupposto allo sviluppo delle tecniche di micropropagazione è la caratteristica

della totipotenza delle cellule vegetali, cioè la capacità, sotto l‟influenza di specifici stimoli

chimico-fisici, di dare origine ad un intero individuo.

La propagazione in vitro può avvenire secondo tre principali processi:

- proliferazione ascellare: i germogli si ottengono dalle gemme presenti nell‟espianto

messo in coltura; essa pur essendo più lenta, perché origina pochi germogli per singolo

espianto ad ogni ciclo di subcoltura, fornisce maggiori garanzie di uniformità ed è

comunque più rapida dei metodi tradizionali di propagazione;

Page 19: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

15

- organogenesi: formazione di germogli (caulogenesi) o di radici (rizogenesi) da cellule

somatiche dei tessuti messi in coltura (organogenesi diretta) o da cellule

indifferenziate del callo (organogenesi indiretta) prodotto dagli espianti;

- embriogenesi: ottenimento di embrioni somatici, a partire da singole cellule, che

accrescendosi daranno origine ad una piantina completa; può essere diretta, quando

l‟embrione si forma da una cellula differenziata dell‟espianto, oppure indiretta, quando

esso si origina da un cellula indifferenziata del callo.

Sebbene siano numerosi i vantaggi che la tecnica offre, esistono dei problemi che ne

limitano l‟utilizzo, tra questi ricordiamo la difficile applicazione su colture importanti

(leguminose e cereali ad esempio), gli elevati costi iniziali per le attrezzature richieste, la

necessità di personale specializzato e la possibilità che si generi variabilità non desiderata con

conseguente perdita di uniformità del materiale propagato.

2.1.1. Fasi della tecnica di micropropagazione

Scelta del materiale di partenza. Una volta decisa la specie o la varietà da

micropropagare, risulta necessario scegliere la pianta da cui prelevare l‟espianto, la cosiddetta

“pianta madre”. Tale scelta è d i fondamentale importanza perché la micropropagazione

consente di ottenere, a partire da un singolo espianto, centinaia di piante, quindi un‟errata

valutazione iniziale delle caratteristiche genetiche e sanitarie della pianta madre si

ripercuoterebbe in maniere disastrosa sull‟intero materiale micropropagato.

Prelievo degli espianti e messa in coltura. La pianta madre anche se allevata in

condizioni igieniche controllate ospita un‟ampia gamma di microrganismi. Quindi si rende

necessario, prima del prelievo dell‟espianto, effettuare delle sterilizzazio ni utilizzando

prodotti chimici quali ipoclorito di sodio e cloruro di mercurio. Una volta sterilizzato il

tessuto vegetale, gli espianti vengono prelevati e posti nei contenitori con i terreni di coltura

opportunamente preparati.

Moltiplicazione. Il materiale ottenuto nella fase precedente viene trasferito i nuovi

substrati di coltura per favorirne un rapido accrescimento e un‟intensa attività di

moltiplicazione. I nuovi germogli possono essere:

- inviati direttamente alla fase successiva di radicazione;

- sottoposti ad una fase di allungamento per ottenere una maggiore uniformità prima

della fase di radicazione su substrati opportunamente modificati;

Page 20: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

16

- nuovamente moltiplicati ponendoli su un substrato fresco della medesima

composizione (subcoltura).

Il rapporto tra il numero di germogli ottenuti al termine di una subcoltura ed il numero di

quelli posti a proliferare prende il nome di coefficiente d i moltiplicazione.

Radicazione. Come precedentemente accennato, la fase di radicazione può essere

preceduta da un periodo di 15-20 giorni, detto periodo di allungamento, in modo da ottenere

germogli ben sviluppati. Nel processo rizogeno si possono distinguere tre fasi:

- induzione, durante la quale non si osservano variazioni istologiche;

- differenziazione, in cui le cellule parenchimatiche cominciano a modificarsi

aumentando il proprio volume;

- attività meristematica.

Tale fase si conclude con lo sviluppo di un apparato radicale completo ed efficiente.

Acclimatazione. L‟ultima fase della micropropagazione è l‟acclimatazione delle piante

ottenute, un processo di graduale adattamento alle condizioni ex vitro. L‟acclimatazione è resa

necessaria per le caratteristiche delle piante ottenute in vitro, cresciute in un ambiente

caratterizzato da temperatura uniforme ed umidità elevata. Queste piante, infatti, presentano

foglie sottili con scarsa formazione di mesofillo, poche cere epicuticolari e stomi con ridotta

funzionalità (Al-Ahmad et al., 1998) ed hanno inoltre un apparato radicale poco sviluppato e

caratterizzato da una bassa conducibilità idrica (Fila et al., 1998); tali caratteristiche, in

seguito al trasferimento ex vitro, comportano un‟eccessiva perdita di acqua per

evapotraspirazione che non viene adeguatamente compensata dall‟assorbimento radicale e che

può portare alla morte delle piantine.

L‟acclimatazione si distingue in due stadi:

- attecchimento delle piantine nel nuovo substrato di trapianto;

- ambientamento vero e proprio alle condizioni della serra.

Il primo stadio si favorisce mantenendo un‟umidità relativa simile a quella propria delle

condizioni in vitro. Quando gli apici vegetativi mostrano attività di crescita, inizia il secondo

stadio durante il quale l‟umidità viene portata in modo graduale alle condizioni naturali. Il

livello di umidità del substrato di trapianto rappresenta un fattore importante sia per

l‟accrescimento delle radici che per un eventuale attacco di patogeni; devono essere impiegati

substrati capaci di assicurare una sufficiente permeabilità ed areazione del mezzo e

contemporaneamente trattenere una quantità sufficiente di acqua. I componenti del terriccio

Page 21: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

17

più comunemente utilizzati sono torba, sabbia e perlite in rapporti diversi a seconda delle

esigenze delle specie.

2.2. Applicazioni delle colture in vitro per il miglioramento genetico

Induzione di variabilità somaclonale. La coltura in vitro è anche uno strumento che

può essere utilizzato nei programmi di miglioramento genetico col fine di indurre nuova

variabilità. La comparsa, nelle piante propagate in vitro, di mutazioni genetiche solitamente

irreversibili ed ereditabili o di variazioni epigenetiche, cioè reversibili e non ereditabili, viene

definita variabilità somaclonale. Questo tipo di variabilità, benché in molte applicazioni delle

colture in vitro rappresenti un aspetto negativo, come ad esempio nel caso della

micropropagazione, può rivelarsi molto utile se sfruttata come fonte di nuova variabilità ai

fini del miglioramento genetico vegetale. La maggior parte delle mutazioni non risultano

vantaggiose, tuttavia alcune di loro possono manifestare caratteristiche favorevoli (Barcaccia

e Falcinelli, 2006). La variabilità somaclonale può pertanto consentire l‟isolamento di nuovi

genotipi potenzialmente utili sia per la ricerca genetica di base che per il miglioramento

genetico.

L‟insorgenza della variabilità somaclonale può essere indotta da particolari condizioni

di coltura: una prolungata fase allo stato di callo (maggiore è il numero delle subcolture e più

elevata sarà l‟insorgenza delle mutazioni), la concentrazione dei regolatori di crescita (2,4-D,

NAA ed IBA ad alte concentrazioni sono agenti mutageni), la velocità di proliferazione

cellulare (rapide divisioni cellulari favoriscono l‟insorgere delle mutazioni). Anche il livello

di ploidia della pianta madre ed il tipo di espianto influenzano la comparsa di variabilità

somaclonale. Le mutazioni sono infatti più frequenti nelle specie poliploidi ed in quelle con

elevato numero di cromosomi. Gli espianti di tessuti meristematici danno origine a bassa

variabilità nelle piante rigenerate, questa aumenta nel caso in cui si utilizzano tessuti

differenziati per la micropropagazione (Barcaccia e Falcinelli, 2006).

La modificazione più frequente che può manifestarsi è la poliploidizzazione; essa si

verifica in seguito ad endoreduplicazione seguita da mitosi, a duplicazione cromosomica non

seguita da divisione cellulare o a fusione di nuclei in cellule multinucleate. Un'altra

modificazione consiste nella formazione di cellule aploidi a causa di eventi di meiosi

Page 22: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

18

somatica. In seguito a segregazioni anormali durante la mitosi si possono avere fenomeni di

aneuploidia.

Allo scopo di promuovere ulteriormente la comparsa di mutazioni si possono utilizzare

anche sostanze mutagene che aggiunte al substrato di coltura stimolano fortemente la

comparsa di nuova variabilità.

Per aumentare la possibilità di individuare mutazioni utili può essere realizzata una

pressione selettiva durante la coltura introducendo specifici fattori di stress e favorendo così

l‟isolamento del mutante che presenta la variazione oggetto di interesse. La mutagenesi in

vitro è divenuta così un sistema alternativo a completamento dell‟attività di miglioramento

genetico delle specie di interesse alimentare ed ornamentale.

Fecondazione in vitro. Nei programmi di miglioramento genetico, al fine di costituire

nuovi genotipi, spesso è necessario ottenere ibridi derivanti da fecondazioni che in natura

avvengono difficilmente o non avvengono affatto (incompatibilità). La coltura in vitro può

quindi intervenire per superare gli ostacoli naturali delle ibridazioni interspecifiche.

Per effettuare una fecondazione in vitro è necessario mettere a contatto gametofiti

maschili e femminili perfettamente funzionanti e definire le condizioni di coltura ottimali per

assicurare la fusione dei gameti. Inoltre, bisogna mettere a punto il substrato di coltura che

permetterà lo sviluppo del gametofito femminile dopo la fecondazione fino alla maturità

dell‟embrione o alla germinazione del seme (Devreux e Damiano, 1988).

Una tecnica di fecondazione in vitro prevede di coltivare l‟intero gineceo che poi viene

impollinato; in tal modo si consente lo sviluppo dei semi all‟interno dell‟ovar io, dove essi,

arrivati a maturità, germinano producendo piantine che emergono dall‟ovario. Tuttavia, con

tale tecnica di fecondazione le barriere naturali alle ibridazioni interspecifiche esistenti a

livello di stigma e stilo non possono essere superate (Devreux e Damiano, 1988). Tale limite

può essere superato ricorrendo all‟impollinazione diretta degli ovuli in vitro; questa tecnica

prevede la rimozione della parete dell‟ovario in modo da mettere a nudo gli ovuli sui quali

viene posto il polline.

Coltura di embrioni immaturi. L‟embrione, com‟è noto, rappresenta il primo stadio di

sviluppo di un nuovo individuo diploide risultante dalla fusione del gamete femminile e di

quello maschile.

Page 23: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

19

La coltura in vitro di embrioni separati dal seme è stata intrapresa per diverse ragioni.

La prima vera applicazione di questa tecnica per il miglioramento genetico è stata effettuata

da Laibach il quale, nel 1925, riuscì a recuperare ibridi tra Lilium perenne e L. austriacum.

Un‟altra applicazione importante dell‟embrioco ltura è certamente il superamento della

dormienza dei semi di alcune specie oppure la possibilità di ottenere lo sviluppo di embrioni

che normalmente non riuscirebbero a raggiungerlo nel seme. Ma l‟applicazione più

significativa per il miglioramento genetico delle piante arboree da frutto è certamente legata

alla possibilità di recuperare embrioni provenienti dal processo di incrocio tra cultivar assai

precoci (es. pesco) ovvero tra varietà apirene come è il caso dell‟uva da tavola. Per

quest‟ultima specie, infatti, molte delle varietà internazionali di nuova costituzione, ottenute

tra parentali apireni, sono state prodotte mediante il processo dell‟”embryo rescue” o

salvataggio dell‟embrione che prevede il recupero, dopo alcuni mesi dall‟impollinazione,

dell‟embrione formato e il completamento del suo sviluppo su substrato agarizzato (Valdez

J.G., 2005).

Ottenimento di piante aploidi. Al fine di ottenere piante con un corredo cromosomico

aploide è possibile allevare in vitro cellule gametiche (polline ed ovuli); sono stati Guha e

Maheshwari, nel 1964, a portare concretamente l‟attenzione sulla possibilità di ottenere

sperimentalmente piante aploidi con un lavoro sull' induzione in vitro di embrioni da antere

di Datura (androgenesi). Da allora, le ricerche tendenti a mettere a punto metodi per la

produzione di piante aploidi in vitro si sono moltiplicate, cosicchè oggi, soprattutto mediante

coltura di antere, si ottengono piante aploidi in diverse specie sia erbacee (tabacco, asparago,

peperone, patata, riso, grano, orzo, triticale) che arboree (pioppo, ippocastano, Poncirus

trifoliata, vite, ecc.).

Per l'ottenimento di piante aploidi in vitro la tecnica utilizzata é relativamente semplice:

le antere o il polline, previa sterilizzazione dei boccioli fiorali, vengono prelevate in ambiente

sterile e coltivate su un apposito terreno di coltura, agarizzato o liquido e da questi, per

embriogenesi ed organogenesi indiretta, si otterranno delle piantine aploidi. Le piante con

corredo genetico aploide possono essere ottenute anche partendo dal gametofito femminile

(ginogenesi) ma l'androgenesi, anche a causa del numero elevato di cellule aploidi con cui si

opera, resta il metodo più efficiente.

Uno dei principali vantaggi delle piante aploidi consiste nel poter ottenere individui

omozigoti a tutti i loci in modo relativamente semplice ed in tempi abbastanza brevi. La

Page 24: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

20

condizione diploide viene ristabilita trattando gli individui aploidi con colchicina oppure può

essere promossa dalla coltura in vitro stessa. Con l‟uso di tecniche tradizionali, invece,

ottenere piante omozigoti a tutti i loci comporterebbe l‟effettuazione di vari cicli di

autofecondazione che richiederebbero molti anni per le colture erbacee e che sarebbero

difficilmente perseguibili per le piante arboree, caratterizzate da fasi giovanili molto lunghe.

Ibridazione somatica. Le cellule vegetali, a differenza di quelle animali, possiedono

una parete cellulare all'interno della quale é contenuto il protoplasto. Nel 1960 Cocking

dimostrò per la prima volta che si potevano isolare protoplasti da cellule vegetali, mediante la

digestione enzimatica della parete cellulare. Da allora, la tecnica di isolamento dei protoplasti,

la loro coltura in vitro e la successiva rigenerazione di piante, è stata messa a punto per

diverse specie.

Due protoplasti, anche appartenenti a specie o generi diversi, possono essere fusi per

dare origine ad un ibrido somatico, utilizzando metodi diversi. I più usati sono il trattamento

con il PEG (glicole polietilenico) e l'elettrofusione. Q uesti trattamenti determinano un

progressivo avvicinamento dei protoplasti le cui membrane cellulari vengono a contatto e si

fondono. Per ottenere poi la rigenerazione della parete, i protoplasti vengono piastrati su

substrato liquido o semisolido. I protoplasti originano cosi colonie cellulari in grado di

formare callo dal quale, modificando la composizione del mezzo e le condizioni ambientali, si

formeranno dei germogli.

La fusione somatica é stata applicata per ottenere ibridi somatici tra piante appartenenti

a specie e/o generi incompatibili nelle quali l'ibridazione per via sessuata era estremamente

difficile o impossibile.

Trasformazione genetica. Nel settore vegetale, per “trasformazione genetica” si intende

l‟integrazione stabile di un frammento di DNA “estraneo” nel genoma della cellula vegetale

(Bains, 1993). Questa trasformazione può indurre nelle piante rigenerate, definite

transgeniche, specifici cambiamenti fenotipici senza alterare ulteriori caratteri; il DNA

introdotto viene detto transgene. La trasformazione richiede l‟utilizzo di tecniche di

ingegneria genetica, per l‟isolamento dei geni di interesse, la loro clonazione in vettori di

trasformazione (generalmente di origine plasmidica o virale) e l‟utilizzo di tecniche di

manipolazione in vitro che rendono possibile l‟introduzione del gene isolato e la sua

integrazione stabile nel genoma vegetale. L‟obiettivo è ottenere un‟intera pianta trasformata e

Page 25: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

21

fertile che conservi i caratteri dell‟individuo di partenza e presenti il carattere d‟interesse

espresso dal transgene.

Esistono diverse metodologie di trasformazione che possono essere raggruppate in due

categorie principali:

- trasformazione indiretta: è mediata da un vettore il quale trasferisce il transgene nelle

cellule vegetali; generalmente si usano due agrobatteri gram negativi responsabili

delle malattie note come “tumore del colletto” e “sindrome delle radici aeree” e

precisamente l‟ Agrobacterium tumefaciens e l‟ A. rhizogenes;

- trasformazione diretta: consiste nell‟inserimento del transgene come DNA “nudo”

nella cellula vegetale; le tecniche più usate sono il metodo biolistico (bombardamento

delle cellule da trasformare con microproiettili ricoperti di DNA) e l‟elettroporazione

(formazione, attraverso impulsi elettrici, di aperture revers ibili nella membrana

cellulare per consentire l‟ingresso del DNA).

Dagli espianti utilizzati per la trasformazione si otterranno, attraverso processi di

embriogenesi od organogenesi, delle piantine complete. Tra i nuovi individui, quelli

originatisi dalle cellule nelle quali il transgene è stato effettivamente integrato nel DNA,

saranno in grado di esprimere il nuovo carattere in maniera stabile.

Conservazione del germoplasma. In un‟ottica di conservazione delle risorse genetiche

vegetali è di rilevante importanza la messa a punto di tecniche che consentano la

conservazione di specie a propagazione vegetativa e di specie che presentano semi

recalcitranti (cioè non conservabili a seguito di disidratazione).

Le colture in vitro offrono delle alternative ai tradizionali metodi di conservazione del

germoplasma quali i campi collezione; è infatti possibile conservare il materiale vegetale di

specie per le quali si dispone di un efficace sistema di micropropagazione in vitro su terreni di

coltura artificiali attraverso l‟utilizzo di varie tecniche: uso di substrati contenenti sostanze

che rallentano la crescita dei tessuti, frigoconservazione e crioconservazione. Nel primo caso,

l‟aggiunta nel terreno di coltura, di particolari sostanze, come ad esempio il mannitolo,

determina un rallentamento dello sviluppo dei tessuti vegetali con un conseguente

allungamento degli intervalli di trasferimento su terreni freschi dei materiali conservati in

vitro. Nel secondo caso, il rallentamento dei ritmi di crescita si ottiene conservando le colture

in vitro a temperature comprese tra 0 e 10 °C. Le condizioni ottimali di frigoconservazione

devono considerare le naturali capacità di resistenza al freddo della specie oggetto della

Page 26: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

22

conservazione. La crioconservazione, invece, si basa sull‟arresto delle funzioni metaboliche

del materiale vegetale, attraverso l‟esposizione a bassissime temperature, e consente quindi di

conservare il materiale vegetale per lunghi periodi; in questo caso si fa ricorso all‟uso

dell‟azoto liquido per conservare meristemi, cellule e tessuti che, pretrattati con sostanze

crioprotettrici (dimetilsulfossido, glicole polietilenico, sorbitolo, glicerolo, ecc.), una volta

riportati a temperatura ambiente possono originare nuovamente plantule complete attraverso

la coltura in vitro (Engelmann, 1997).

Risanamento di piante da virus. Le colture in vitro possono essere utilmente sfruttate

per ottenere materiale virus-esente. La tecnica consiste nel prelevare dalle piante virosate gli

apici meristematici con i primi due abbozzi fogliari; tali espianti vengono allevati su substrato

artificiale oppure vengono microinnestati su semenzali ottenuti in vitro (Murashige et al.,

1972). Attraverso l‟espianto degli apici, si effettua di fatto una selezione, nella pianta malata,

dei tessuti non raggiunti dal virus che, grazie alla loro caratteristica di totipotenza, ne

rigenerano un‟altra sana. Il risanamento può essere facilitato dall‟uso di alcune pratiche come

ad esempio l‟aggiunta nei terreni di coltura di inibitori della moltiplicazione dei virus (ad

esempio gli interferoni) oppure l‟allevamento degli espianti a temperature relativamente

elevate che ostacolano la replicazione virale (termoterapia). Quando si procede al risanamento

è sempre necessario effettuare poi la verifica della sanità acquisita attraverso accertamenti

diagnostici sperimentali (saggi biologici e sierologici).

Tra le diverse specie per le quali è stato ottenuto risanamento mediante la coltura di

apici meristematici sono certamente da ricordare gli agrumi. Per tali specie, infatti, esiste un

consolidato sistema per ottenere piante risanate da tutti patogeni trasmissibili per innesto e al

tempo stesso non in fase giovanile. Infatti, la coltura di apici meristematici, ovvero la coltura

di embrioni nucellari, tipici degli agrumi, che consentono di risanare le varietà porterebbero

ad avere piante in fase giovanile per la valutazione delle quali sarebbero necessari diversi

anni. Nel 1975, Navarro et al. misero a punto una tecnica denominata “shoot-tip grafting”

(STG) che ha consentito nei diversi paesi agrumicoli del mondo non solo di risanare il

materiale autoctono e di ottenere produzioni di migliore qualità, ma anche di controllare e

verificare il materiale genetico introdotto dall‟estero.

Page 27: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

23

2.3. Applicazione delle colture in vitro in Opuntia

I lavori effettuati con tecniche di colture in vitro sul genere Opuntia, e sulle Cactaceae

più in generale, non sono particolarmente numerosi. Fra tutti spicca quello di King che nel

1957 applicò la coltura di tessuti a più di mille specie appartenenti alla famiglia delle

Cactaceae. Nel 1962 Steinhart applicò la propagazione in vitro col fine di produrre alcaloidi.

Ancora Minoicha e Menhra nel 1974, applicarono la coltura in vitro per i loro studi sulla

fisiologia e la morfologia vegetale; in particolare approfondirono gli aspetti nutrizionali e

morfogenetici sulle colture di callo. Mauseth nel 1976 studiò l‟effetto delle citochinine e

dell‟acido giberellico sui meristemi apicali di una cactacea. Da non sottovalutare sono gli

studi mirati alla propagazione ottenuta con questa tecnica effettuati da Corona e Yanez nel

1984; Havel e Kolar nel 1983 pubblicarono un articolo riguardante l‟isolamento dei

microespianti dalle cactaceae; Mauseth nel 1977 analizzò le potezialità del metodo e nel 1975,

insieme ad Halperin, approfondì gli aspetti del controllo ormonale dell‟organogenesi nelle

cactaceae; Vyscot e Jara nel 1984 fecero uno studio sull‟utilizzo delle gemme ascellari ai fini

della propagazione clonale; Ault e Blackmon nel 1987 pubblicarono sulla propagazione in

vitro del ferocactus; nel 1992 Infante scrisse della propagazione da gemme ascellari e

dell‟embriogenesi somatica. Gli studi effettuati da Escobar e collaboratori nel 1986

consentirono di mettere a punto un protocollo di micropropagazione su Opuntia amyclaea

che permetteva di ottenere 2500 piante in 100 giorni partendo da un giovane cladodo di 5 cm .

Questo altissimo livello di moltiplicazione è stato ottenuto grazie alle diverse concentrazioni

di Benzyl Adenina (BA) applicate agli espianti portanti germogli differenziati. La BA svolge

un azione inibitrice sull‟accrescimento dei germogli a favore della formazione di nuovi

germogli. Inoltre i loro studi portarono alla conclusione che l‟aggiunta di acido Indolbutirrico

(IBA) e la diminuzione della concentrazione di sali, portano alla formazione di radici in 10

giorni piuttosto che in 2 o 3 settimane.

La coltura del ficodindia e la sua propagazione si sono avvalse, fino a tempi recenti,

delle tecniche tradizionali. La sua notevole attitudine alla propagazione vegetativa ha favorito

la diffusione di questo sistema lasciando ai genetisti lo studio della propagazione da semi.

Seppure altamente efficiente ed economica, la propagazione vegetativa non garantisce gli

standard qualitativi che oggi il mercato richiede. Le piante ottenute da seme, per contro,

richiedono una lunga fase improduttiva per l‟accrescimento giovanile, oltre che problemi

derivanti dai naturali processi di segregazione. Cosi, alla necessità di disporre di materiale di

Page 28: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

24

propagazione certificato e a quella dell‟ottenimento di materiale di propagazione, soprattutto

quando raro e nuovo, in breve tempo, si può far fronte grazie all‟impiego della

micropropagazione in vitro. Certamente la possibilità di rigenerare piante in vitro rappresenta

una condizione indispensabile per poter sviluppare programmi di miglioramento genetico

basati sull‟adozione delle biotecnologie.

Page 29: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

25

3. MARCATORI MOLECOLARI

Un settore di notevole interesse e grandi potenzialità, nell‟ambito delle biotecnologie, è

quello dell‟analisi del genoma basata sulla rilevazione di marcatori molecolari; un settore in

continua e rapida crescita al quale contribuiscono, da un lato, la disponibilità di

strumentazioni sempre più affidabili e, dall‟altro, la sempre maggiore conoscenza della

struttura, dell‟organizzazione e delle funzioni degli acidi nucleici.

Un marcatore molecolare può essere definito come un locus genomico, rilevabile con

sonde o inneschi specifici che, in virtù della sua presenza, contraddistingue in modo

caratteristico ed inequivocabile il tratto cromosomico con il quale si identifica e le regioni che

lo circondano alle estremità 5‟ e 3‟ (Barcaccia e Falcinelli, 2006). Essi generalmente non si

riferiscono all‟attività di specifici geni, ma si basano sulla rilevazione di differenze

(polimorfismi) nella sequenza nucleotidica del DNA; tali differenze sono dovute ad

inserzioni, delezioni, traslocazioni, duplicazioni, mutazioni puntiformi, ecc.

I marcatori molecolari consentono quindi di identificare specifiche sequenze

nucleotidiche e di analizzare polimorfismi, ovvero mutazioni, di particolari geni o regioni

cromosomiche. Gli individui appartenenti ad una determinata specie si diversificano tra di

loro per un numero più o meno elevato di caratteri (alleli) e ciò mette in condizione di poter

rilevare i polimorfismi nelle regioni di DNA omologhe (loci). Dal punto di vista molecolare si

possono classificare i polimorfismi in tre categorie:

a) polimorfismi di sequenza, dovuti a differenze nelle sequenze fra basi;

b) polimorfismi d‟inserzione e delezione, causati da mutazioni puntiformi (inserzioni o

delezioni di basi);

c) polimorfismi del numero d‟unità di ripetizione, conseguenze nel numero di ripetizioni

di sequenze del DNA.

Tra le varie applicazione dei marcatori molecolari negli studi di genetica e

miglioramento genetico, vi è lo sviluppo di dettagliate mappe di associazione ( linkage maps),

le quali permettono la comparazione tra genomi di gruppi tassonomici diversi e la rivelazione

di correlazioni e omologie genetiche. Anche il fingerprinting del DNA, termine che in italiano

potrebbe essere assimilato all‟impronta digitale genomica, per l‟identificazione varietale e la

selezione assistita hanno trovato largo impiego nel miglioramento genetico ; esso è usato per

evidenziare le differenze presenti nella sequenza di DNA tra due o più campioni a confronto,

al fine di determinarne l‟identità o accertarne le correlazioni esistenti

Page 30: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

26

Interesse notevole sta suscitando l‟uso dei marcatori molecolari nella “selezione

assistita” (MAS, Marker Assisted Selection), cioè nella selezione precoce per il carattere

d‟interesse non più a livello del fenotipo bensì a livello del genotipo. La selezione per

marcatori strettamente associati al gene da selezionare, relativamente più semplici da rilevare,

può facilitare l‟individuazione di caratteri di interesse e consente di eseguire uno screening

direttamente sul DNA di piantine in fase precoce di sviluppo, senza aspettare la fase

fenologica specifica in cui tale carattere si esprime, accelerando quindi i tempi e riducendo gli

spazi necessari al lavoro di selezione.

I marcatori molecolari presentano numerosi vantaggi rispetto agli altri marcatori

genetici:

- non subiscono interferenze dall‟ambiente, trattandosi di differenze a livello di DNA;

- coprono qualsiasi parte del genoma, sia quella codificante che quella non codificante

(introni e regioni di regolazione);

- non presentano effetti pleiotropici ed epistatici e in molti casi hanno espressione

codominante, che è un requisito essenziale per discriminare la condizione di

omozigosi da quella di eterozigosi;

- nella maggior parte dei casi i polimorfismi molecolari sono neutri: una variazione

allelica nel locus marcatore, cioè, non ha altri effetti a livello fenotipico se non quello

di permettere di determinare il genotipo.

Il numero di marcatori molecolari attualmente disponibili è molto elevato e in costante

aumento, grazie alla continua messa a punto di strumentazioni e tecniche d‟analisi sempre più

affidabili. Le caratteristiche di un marcatore molecolare ideale sono:

- alto livello di polimorfismo;

- stabilità;

- estesa distribuzione nel genoma;

- semplicità di analisi;

- ridotti costi di applicazione;

- ereditabilità mendeliana;

- codominanza;

- riproducibilità entro e tra laboratori.

È difficile trovare un marcatore che soddisfi tutte queste caratteristiche; la scelta del

marcatore va fatta “caso per caso” sulla base delle esigenze del progetto di ricerca e della

Page 31: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

27

disponibilità del marcatore conosciuto per le specie prese in esame; sviluppare “ex-novo”

marcatori in specie poco studiate comporta infatti notevoli costi e investimenti.

3.1. Classificazione dei marcatori molecolari

Una prima distinzione tra i marcatori molecolari può essere fatta considerando le

tecniche utilizzate per la loro analisi: sono infatti disponibili tecniche basate sulla digestione

enzimatica ed ibridazione di acidi nucleici e quelle basate sulla PCR (Polymerase Chain

Reaction).

I marcatori molecolari basati su restrizione e ibridazione sono stati i primi ad essere

utilizzati nell‟analisi dei genomi vegetali. Sfruttano l‟attività di endonucleasi di restrizione

che vengono abbinate con il processo di ibridazione (SBH, Southern blot hybridization)

messo a punto da Southern nel 1975. Le endonucleasi di restrizione sono enzimi di origine

batterica in grado di legarsi a particolari sequenze di basi (siti di taglio) e di tagliare la

molecola producendo frammenti di dimensioni variabili. Il cambiamento in questi siti anche

di una sola base (mutazione puntiforme) o mutazioni tra due siti successivi (per delezione,

traslocazione, inserzione o inversione) portano a variazioni nella lunghezza dei frammenti di

restrizione generati dopo la digestione enzimatica. Il saggio di ibridazione richiede invece una

sonda specifica, marcata radioattivamente o con fluorofori, che sia in grado di legarsi a una

molecola di DNA a singola elica. La reazione di complementazione si osserva tramite

l‟emissione di luce rilevabile da un‟autoradiografia o tramite fotometria (nel caso di sonde

marcate con fluorofori). Se la temperatura e le condizioni di astringenza sono ottimali, la

reazione di ibridazione è da considerarsi altamente specifica (Sambrook e Russel, 2001). Le

principali tecniche di questa prima categoria di marcatori sono: RFLP (Restriction Fragment

Length Polymorphisms) e VNTR (Variable Number of Tandem Repeat).

I marcatori molecolari basati sulla PCR (Polymerase Chain Reaction) sono stati

sviluppati in seguito alla messa a punto, da parte di Mullis et al. (1986), della reazione a

catena della DNA polimerasi (PCR). Tale tecnica è un sistema di analisi molecolare basato

sull‟amplificazione in vitro di DNA situato tra due sequenze nucleotidiche, utilizzando una

DNA polimerasi, stabile alle alte temperature (anche 95°C), estratta dal batterio Thermus

aquaticus. Questo enzima, noto come Taq polimerasi, utilizza DNA a singola elica come

stampo per la sintesi dell‟elica complementare (in direzione 5‟-3‟). Per iniziare

Page 32: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

28

l‟amplificazione è necessario un frammento di DNA a singola catena (primer) omologo

all‟estremità 3‟ della catena nucleotidica da duplicare e che funziona come innesco della

reazione. Tale metodo prevede l‟utilizzo di un ciclizzatore termico (Thermal Cycler) cioè di

uno strumento in grado di realizzare ripetuti cicli termici e schematicamente la reazione

procede attraverso le fasi seguenti:

- all‟inizio di ogni ciclo il DNA è soggetto a denaturazione mediante riscaldamento a

93-95°C: questa temperatura determina la rottura dei legami idrogeno tra le basi

azotate con conseguente separazione dei filamenti della doppia elica;

- il miscuglio di reazione è successivamente sottoposto a raffreddamento fino ad una

temperatura variabile tra 37-65°C in funzione della lunghezza degli inneschi che

permette l‟ibridazione di questi nei siti di DNA stampo aventi sequenze

complementari;

- alla fine di ogni ciclo l‟enzima DNA polimerasi, in presenza di deossiribonucleosidi

trifosfato e alla temperatura di 72°C, catalizza la sintesi di un nuovo filamento di

DNA, complementare a quello stampo, a partire dagli inneschi.

Dato che i prodotti di un ciclo di amplificazione servono da stampo per quello successivo, alla

fine di ogni serie di reazioni viene duplicato l‟ammontare di DNA sintetizzato e quindi il

numero di copie aumenta in maniera esponenziale. In generale si ottengono da milioni ad

alcuni miliardi di copie del segmento di DNA prescelto, ognuna lunga da qualche decina a

qualche migliaio di coppie di basi. Tra le principali tecniche che appartengono a questa

categoria troviamo: RAPD (Random Amplified Polymorphic DNA), AFLP (Amplified

Fragment Length Polymorphism), SSR (Simple Sequence Repeats), I-SSR (Inter-

microsatelliti), SNP (Single Nucleotide Polymorphism), S-SAP (Sequence-Specific

Amplification Polymorphism).

Un'altra distinzione, non meno importante, può essere fatta in base al numero di loci

analizzati durante la prova e distingue da i marcatori multi- locus e dai marcatori singolo-

locus. I marcatori multi-locus si basano sull‟analisi simultanea di molti loci genomici e

implicano l‟amplificazione di tratti cromosomici casuali mediante l‟impiego di primer

oligonucleotidici a sequenza nota arbitraria (ad esempio: RAPD, I-SSR e AFLP). Si possono

definire marcatori dominanti perché ad ogni locus si può osservare la presenza o l‟assenza

della banda ma non si può distinguere la situazione eterozigote da quella omozigote. I

marcatori singolo-locus prevedono l‟ibridazione e l‟amplificazione di tratti cromosomici a

sequenza nota mediante l‟utilizzo di sonde o primer specifici per determinati loci genomici

Page 33: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

29

(ad esempio: RFLP e SSR). I marcatori appartenenti a questa tipologia sono di tipo

codominante poiché permettono di distinguere i loci omozigoti da quelli eterozigoti

rappresentati rispettivamente da una sola banda (o l‟uno o l‟altro allele) o da 2 bande

(entrambi gli alleli).

3.2. Principali tipologie di marcatori molecolari

3.2.1. Restriction Fragment Length Polymorphism (RFLP)

I primi marcatori molecolari impiegati sono stati i Restriction Fragment Length

Polymorphism (RFLP, polimorfismi della lunghezza dei frammenti di restrizione). Botstein ed

i suoi collaboratori nel 1980 suggerirono che le variazioni nelle sequenze nucleotidiche, in

grado di modificare il sito di taglio specifico delle endonucleasi di restrizione, fossero

sufficientemente presenti nel genoma, in misura tale da poter essere utilizzati come marcatori

nel mappaggio cromosomico. Queste variazioni portano all‟ottenimento, in seguito alla

digestione del DNA genomico con enzimi di restrizione, di frammenti di restrizione di diverso

peso molecolare tra gli individui analizzati che possono essere visualizzati mediante

ibridazione con sonde specifiche marcate con sostanze radioattive o fluorescenti. Questi

marcatori sono codominanti e danno risultati affidabili e riproducibili; tuttavia, gli elevati

costi, l‟utilizzo di sonde radioattive, la non facile automazione e la necessità di disporre DNA

in grosse quantità e di buona qualità, ne hanno limitato gli usi (Law et al., 1998).

3.2.2. Variable Number of Tandem Repeats (VNTR)

I marcatori VNTR, acronimo che stà per Variable Number of Tandem Repeats (numero

variabile di sequenze ripetute), sono comunemente noti come Minisatelliti. Questa tecnica si

basa sull‟ analisi del DNA per l‟individuazione di ripetizioni a tandem di una corta sequenza

di DNA comprese tra due siti riconosciuti da enzimi di restrizione; il polimorfismo è dovuto

all‟elevato numero di volte che l‟elemento può essere ripetuto nel genoma (Soller e

Beekmann, 1983). La lunghezza del singolo elemento ripetuto è variabile e generalmente si

tratta di unità oligonucleotidiche lunghe da 10 a 60 pb. La procedura è analoga a quella

descritta precedentemente per gli RFLP. I minisatelliti, dopo digestione del DNA con enzimi

di restrizione (taglio al di fuori del minisatellite), sono riconosciuti tramite ibridazione con

sonde costituite da sequenze di elementi ripetuti. La variazione delle sequenze dei minisatelliti

Page 34: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

30

fornisce un‟impronta genetica stabile del DNA e specifica per ogni individuo (Deumling,

1981). La tecnica è abbastanza al apri degli RFLP (Bartolini e Petruccelli, 1994).

3.2.3. Random Amplified Polymorphic DNA (RAPD)

La seconda tecnica sviluppata, in ordine di tempo, nel campo dei marcatori molecolari è

stata quella dei RAPD Random Amplified Polymorphic DNA (RAPD, DNA polimorfico

amplificato a caso) (Williams et al., 1990; Welsh e McClelland, 1990). Prevede l‟impiego di

un solo primer, un oligonucleotide decamerico con sequenza casuale, avente generalmente un

contenuto di G+C superiore al 60% in modo da massimizzare la specificità di appaiamento e

in grado di trovare molti siti di appaiamento essendo così breve. I prodotti di amplificazione

sono generalmente separati mediante elettroforesi su gel di agarosio e colorati con bromuro di

etidio; in alcuni casi, per una migliore risoluzione elettroforetica, si impiega il gel d i

poliacrilammide in combinazione con una colorazione a base di nitrato d‟argento.

I marcatori RAPD, hanno avuto un notevole sviluppo grazie alla facilità d‟uso, alla

rapidità e alla capacità di evidenziare un numero elevato di loci (2-10) per esperimento;

tuttavia, il fatto di essere dominanti e la loro scarsa riproducibilità rappresentano dei grossi

limiti che ne limitano l‟uso a favore di nuove metodiche.

3.2.4. Amplified Fragment Length Polymorphism (AFLP)

Una tecnica molto usata per generare marcatori molecolari è quella degli Amplified

Fragment Length Polymorphism (AFLP, polimorfismo della lunghezza dei frammenti

amplificati) messa a punto nel 1995 da Vos e colleghi. Questa tecnica combina la possibilità

di ottenere frammenti di restrizione del DNA e di amplificarli tramite la PCR. Rispetto ad

altre, la tecnica AFLP si presenta più impegnativa, tuttavia l‟utilizzo di kit disponibili per le

varie fasi del protocollo l‟ha resa più accessibile (Karp et al., 1997). Le principali fasi sono

cinque:

a) taglio del DNA con due differenti enzimi di restrizione di cui uno riconosce una

sequenza di 6 nucleotidi (EcoRI) e l‟altro una di 4 (MseI);

b) ligazione di adattatori ai frammenti di restrizione;

c) pre-amplificazione mediante due primer, complementari alle sequenze dei siti di

restrizione e degli adattatori, ed aventi una base selettiva;

d) amplificazione selettiva con 2 primer complementari ai siti di restrizione e agli

adattatori ma con 3 basi selettive;

Page 35: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

31

e) visualizzazione delle bande (separazione su gel di acrilamide) o dei picchi (separazione

tramite elettroforesi capillare) polimorfici.

Generalmente ad ogni esperimento si genera un numero di frammenti compreso tra 50 e

100. La ricerca della variabilità con questo tipo di marcatori viene condotta saggiando

combinazioni diverse di enzimi di restrizione e di primer. La variabilità rilevabile dipende da

diversi fattori: mutazioni a carico dei siti di taglio riconosciuti dagli enzimi di restrizione,

mutazioni nei punti in cui agiscono le basi selettive e variazioni della lunghezza del

frammento amplificato. Generalmente poche combinazioni di primer sono sufficienti per

poter generare un numero adeguato di marcatori polimorfici e, al contrario dei RAPD per i

quali vengono utilizzati molti primer che molto spesso non danno risultati riproducibili, gli

AFLP offrono buone garanzie di riproduzione dei risultati (Jones et al., 1997).

Sebbene gli AFLP posseggano una serie di caratteristiche di pregio come l‟elevato

polimorfismo, la riproducibilità, la possibilità di utilizzo senza la conoscenza a priori del

genoma studiato, essi presentano anche una serie di limiti. In primo luogo sono dei marcatori

dominanti, quindi meno informativi degli RLFP o degli SSR. Talvolta alcuni frammenti si

possono considerare codominanti sulla base della loro intensità che viene correlata con il

numero di copie alleliche ad un determinato locus (Meudt e Clarke, 2007) mediante l‟impiego

di specifici software. Un‟altro problema è dato dalla possibile co-migrazione di frammenti

non omologhi che porta ad una sottostima del grado di diversità esistente tra i genotipi

analizzati. È stato dimostrato che questo fenomeno è inversamente correlato all‟ampiezza dei

frammenti amplificati (Vekemans et al., 2002), per cui evitare l‟analisi di piccoli frammenti

riduce la possibilità di errore.

Una delle peculiarità degli AFLP è data dal fatto che è possibile analizzare

contemporaneamente molte regioni differenti di DNA distribuite in modo casuale nel genoma.

Per questo trovano diverse applicazioni in studi di identificazione varietale o per verificare il

livello di similarità tra diversi individui e tra popolazioni, oltre che per studiare le linee

evolutive o l‟individuazione di marcatori legati al sesso (Tracey et al., 2004).

3.2.5. Simple Sequence Repeats (SSR)

I marcatori Simple Sequence Repeats (SSR, sequenze ripetute semplici), detti anche

microsatelliti, rappresentano una recente tipologia di marcatori molecolari. Questi si basano

sulla presenza nel genoma di sequenze di lunghezza variabile costituite da ripetizioni in serie

di mono-, di-, tri-, tetra-, penta- ed esa-nucleotidi; il numero di queste ripetizioni è

Page 36: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

32

estremamente variabile e ciò rende gli SSR dei marcatori altamente polimorfici. Il loro

utilizzo prevede la conoscenza del genoma oggetto di studio, i primer vengono infatti

disegnati nelle zone fiancheggianti il microsatellite; tali zone sono altamente conservate

all‟interno di una specie e tra specie affini, ciò significa che è possibile costruire dei primer

comuni per tutti gli individui di una specie e capaci di amplificare le zone microsatelliti dei

singoli individui. Il loro funzionamento prevede l‟amplificazione delle regioni ripetute. Si

otterranno cosi delle sequenze che non differiscono per il motivo di base ma per il numero di

volte che questo motivo è ripetuto. In base ai diversi pesi molecolari dei microsatelliti,

mediante elettroforesi, è possibile visualizzare le differenze tra i genotipi studiati (Powell et

al., 1996). Si distinguono microsatelliti genici e genomici, a seconda che le sequenze ripetute

siano presenti in regioni codificanti o meno.

Gli SSR sono da due decenni i marcatori maggiormente utilizzati per studi di

caratterizzazione varietale in molte specie frutticole (Wunsch e Hormaza, 2002), per la

costruzione di mappe di linkage, per lo studio di caratteri quantitativi (Dondini et al., 2004) e

per studi di genetica delle popolazioni (Stoeckel et al., 2006), grazie alla loro affidabilità e

all‟elevato livello di informazioni fornite. Inoltre, i microsatelliti, sono semplici da utilizzare e

forniscono informazioni migliori e più specifiche rispetto a marcatori casuali come RAPD o

AFLP, ma il loro sviluppo richiede un lavoro preliminare di identificazione dei microsatelliti

e delle regioni fiancheggianti. L‟identificazione dei microsatelliti genomici avviene tramite la

costruzione di specifiche librerie genomiche ad inserti corti arricchite per sequenze specifiche

di microsatelliti (Powell et al., 1996), mentre quelli genici possono essere identificati con più

facilità tramite ricerche in database di sequenze geniche EST (Expressed Sequence Tags)

(Varshney et al., 2005). Nel caso di specie vegetali importanti (riso, soia, vite, agrumi, ecc.),

le migliaia di sequenze EST depositate permettono l‟identificazione di microsatelliti ed il

primer design a costi praticamente nulli. Nel caso di specie minori è invece necessario

costruire librerie geniche e sequenziare i cloni della libreria per identificare i microsatelliti.

Negli ultimi anni i microsatelliti genici, anche denominati EST-SSR, sono stati isolati

da numerose specie frutticole e forestali (Rungis et al., 2004; Chen et al., 2006; Silfverberg-

Dilworth et al., 2006) e utilizzati per la costruzione di mappe geniche (Chen et al., 2008), per

studi di diversità genetica (Bouck e Vision, 2007) e per il f ingerprinting (Xie et al., 2006). La

presenza di microsatelliti in regioni espresse indica un loro possibile ruolo nella regolazione

dell‟espressione genica. E‟ stato ipotizzato che la presenza di ripetizioni nelle regioni 3‟UTR

e 5‟UTR (UnTranslated Regions) delle sequenze geniche possa causare errori nella

Page 37: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

33

trascrizione e silenziamento, mentre SSR nelle regioni trascritte (ORF – Open Reading

Frame) possono inattivare geni. Uno studio su larga scala dei microsatelliti genici in

Arabidopsis, orzo e mais ha dimostrato una maggiore presenza di SSR nelle regioni UTR

rispetto alle ORF (Morgante et al., 2002).

I microsatelliti genici hanno delle caratteristiche peculiari rispetto a quelli genomici,

generalmente sono più corti essendo le regioni codificanti più conservate rispetto a quelle non

codificanti; gli EST-SSR inoltre presentano un maggior grado di trasferibilità e applicazione

su diverse specie o generi affini (Varshney et al., 2005). In numerosi studi i microsatelliti

genici sono risultati però meno polimorfici rispetto a quelli genomici, visto che in generale le

sequenze trascritte sono molto conservate. Tuttavia, uno studio su asparago, basato su un

limitato numero di loci, ha permesso di discriminare 35 cultivar aventi un pool genetico molto

ristretto (Caruso et al., 2008).

3.2.6. Inter-microsatelliti (I-SSR)

I marcatori Inter-Simple Sequence Repeat (I-SSR), noti più semplicemente come Inter-

microsatelliti, vengono rilevati utilizzano inneschi oligonucleotidici disegnati in modo tale

che, unitamente alla ripetizione di monomeri molto semplici con due, tre o quattro nucleotidi

come unità di base, presentino anche basi selettive all‟estremità 3‟ oppure 5‟. In questo modo,

mediante PCR vengono amplificate le regioni comprese fra due microsatelliti adiacenti

(Zietkiewicz et al., 1994). Tuttavia, è necessario specificare che soltanto con primer ancorati

in 5‟ è possibile amplificare interamente anche i due microsatelliti che delimitano il

marcatore. Nel caso di primer ancorati in 3‟ il tratto amplificato comprende soltanto la regione

interna terminale dei due microsatelliti. I polimorfismi dipendono dalla lunghezza del tratto di

DNA compreso tra due regioni microsatelliti aventi lo stesso motivo ripetuto, dal numero di

ripetizioni presenti nei singoli microsatelliti e dalle sequenze delle regioni fiancheggianti i siti

di attacco dei primer. Oltre al vantaggio di essere riproducibili, rapidi e poco costosi, l‟elevata

variabilità delle regioni di DNA inter-microsatellite rende tali marcatori particolarmente

efficaci nella caratterizzazione genomica. Uno degli svantaggi più evidenti risiede nella natura

dominante di tali marcatori che non consentono di distinguere la situazione allelica ad un

dato locus.

Page 38: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

34

3.2.7. Single Nucleotide Polymorphism (SNP)

La classe di marcatori Single Nucleotide Polymorphism (SNP, polimorfismo di singoli

nucleotidi) permette di identificare polimorfismi riconducibili a differenze di singoli

nucleotidi dovute a sostituzioni, inserzioni o delezioni. La rilevazione di tali marcatori

prevede la disponibilità di primer oligonucleotidici che fiancheggiano una particolare regione

cromosomica, nella quale sussistono polimorfismi dovuti a singoli nucleotidi.

A differenza di tutte le altre tipologie di marcatori molecolari PCR-derivati, i

polimorfismi SNP non sono visualizzati mediante separazione elettroforetica dei prodotti

amplificati ma attraverso il loro sequenziamento. La tecnica quindi prevede l‟amplificazione

tramite PCR del DNA genomico, il sequenziamento dei prodotti di amplificazione ottenuti e

l‟allineamento delle sequenze in modo da mettere in evidenza le differenze.

La natura codominante rende i marcatori SNP particolarmente appropriati per la

costruzione di mappe geniche e per il mappaggio di QLT (Quantitative Trait Locus). Al

momento sono ancora in corso di valutazione le potenzialità applicative di questi marcatori

per la tipizzazione di genotipi, ai fini del loro impiego nella selezione assistita e

nell‟identificazione di germoplasma (Barcaccia e Falcinelli, 2006)

3.2.8. Sequence-Specific Amplification Polymorphism (S-SAP)

La tecnica Sequence-Specific Amplification Polymorphism (S-SAP, polimorfismo di

amplificazione di sequenze specifiche), sviluppata da Waugh ed i suoi collaboratori nel 1997,

deriva dalla tecnica AFLP. È stata messa a punto per analizzare delle particolari sequenze di

DNA mobili, i retrotrasposoni, e permette di analizzare la variabilità connessa alla loro

posizione nel genoma e quella dovuta alle regioni fiancheggianti i siti di inserzione.

I retrotrasposoni rappresentano la classe più comune di elementi genetici mobili. Sono

caratterizzati dalla capacità di muoversi nel genoma attraverso un intermedio di RNA che

viene convertito in DNA prima della reinserzione. I retrotrasposoni presentano alle estremità

due sequenze dirette ripetute, lunghe poche centinaia di basi, che costituiscono le Long

Terminal Repeats (LTR, lunghe ripetizioni terminali).

I passaggi iniziali per la rilevazione dei polimorfismi a carico di queste regioni sono

uguali a quelli utilizzati per gli AFLP. L'amplificazione selettiva è invece realizzata

impiegando un primer AFLP (ad esempio MseI) in combinazione con un primer omologo ad

un tratto della regione terminale LTR, altamente conservata, del retrotrasposone.

Page 39: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

35

Una parte dei polimorfismi rilevabili con questa tecnica deriva da variazioni a carico dei

siti di restrizione o delle sequenze ad essi fiancheggianti dove discriminano le basi selettive

dei primer AFLP; altri polimorfismi possono essere dati da variazioni a carico della sequenza

nella regione 5' in corrispondenza delle LTR o da modificazioni riconducibili a duplicazioni

inserzionali a carico del retrotrasposone.

I vantaggi e gli svantaggi di questa tecnica sono analoghi a quelli degli AFLP. Questa

classe di marcatori è molto utile in analisi filogenetiche al fine di ricavare informazioni

sull'evoluzione del genoma di una specie.

3.3. Utilizzo di marcatori molecolari in ficodindia e nelle specie affini

Il concetto tassonomico del ficodindia è alquanto incerto. A volte viene descritto come

tassonomicamente distinto da altre specie coltivate, come O. megacantha, O. streptacantha e

O. amyclaea (Britton e Rose, 1963; Scheinvar, 1995; Reyes-Aguero et al., 2005). In altri casi

(Gibson e Nobel, 1986; Pimienta-Barrios, 1994; Felker et al., 2005), questi genotipi

spinescenti coltivati sono stati classificati come O. ficus indica. In realtà, la presenza di spine

nei cladodi è un elemento inadeguato per discriminare il ficodindia dalle altre specie affini

(Chessa e Nieddu, 1997; Kiesling, 1998; Felker et al., 2005). All'interno del genere, infatti, i

principali caratteri morfologici come l'habitus vegetativo, la presenza di spine, il numero di

spine per areola, e la quantità di areole, può variare notevolmente a seconda dell‟ambiente

pedoclimatico in cui le piante crescono (Rebman e Pinkava, 2001).

Oggi, le cultivar commerciali di ficodindia sono ottaploidi (Felker et al., 2006) ma la loro

ascendenza non è nota. Inoltre, diversi autori riportano che è difficile assegnare in modo

corretto i genotipi coltivati ad un taxon definito (Kiesling, 1998; Felker et al., 2006;

Mondragon-Jacobo, 2001; Labra et al., 2003). La continua variazione morfologica all'interno

del genere, la mancanza di descrittori chiari per ogni specie, e la relativa facilità di ibridazione

incrociata, con la presenza di individui con caratteristiche intermedie, hanno portato ad una

erronea designazione della specie. A seguito di queste errate assegnazioni, le stesse varietà

sono spesso classificate come appartenenti a specie diverse, e in altri casi sono considerate

ibridi tra parentali sconosciuti. Per superare questi problemi, i marcatori molecolari, che sono

riproducibili e stabili, possono essere strumenti utili per contribuire a svelare le incertezze

nella classificazione che non possono essere risolte tramite la caratterizzazione morfologica.

Page 40: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

36

Negli ultimi due decenni, pochi studi sono stati effettuati per caratterizzare le collezioni di

germoplasma esistenti utilizzando marcatori molecolari casuali (Wang et al., 1998;

Mondragon-Jacobo, 2003; Zoghlami et al., 2007; Luna-Paez et al., 2007; García-Zambrano et

al., 2009; Souto Alves et al., 2009). Due importanti studi (Labra et al., 2003; Griffith, 2004)

hanno sfruttato diversi strumenti molecolari per chiarire gli aspetti tassonomici del genere, in

particolare l'origine di O. ficus indica. Labra e collaboratori nel 2003 hanno usato i marcatori

AFLP per verificare la mancanza di differenziazione genetica tra il ficodindia ed alcune

popolazioni di O. megacantha ed hanno suggerito che O. ficus indica dovrebbe essere

considerata una forma addomesticata di O. megacantha. D'altra parte, Griffith (2004)

considera il ficodindia come una specie costituita da un gruppo di diversi cloni selezionati per

il loro basso numero di spine ed i loro frutti carnosi e che sono stati ottenuti da diversi

parentali, molto probabilmente provenienti da varie specie di Opuntia originarie del Messico

centrale e meridionale. La maggior parte di queste analisi basate sull‟uso di marcatori

molecolari hanno rivelato discrepanze tra la caratterizzazione molecolare e la classificazione

tassonomica classica. Recentemente, altre ambiguità nella classificazione tassonomica delle

specie di Opuntia sono emerse in un studio che ha utilizzato marcatori microsatelliti per

cercare di discriminare due varietà botaniche di Opuntia echios, morfologicamente distinte

(echios e gigantea), native delle isole Galapagos (Helsen et al., 2009). Ancora una volta, gli

autori hanno evidenziato che l'attuale distinzione tassonomica tra questi taxa non è supportata

da dati molecolari. Sebbene questi studi abbiano chiarito alcuni aspetti tassonomici del genere

e siano stati utili per il fingerprinting delle cultivar, c'è ancora una mancanza di conoscenza

circa il livello di diversità genetica tra i genotipi coltivati più diffusi in tutto il mondo e la

diversità tra cultivar, genotipi selvatici e specie affini di O. ficus indica.

Page 41: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

37

OBIETTIVI

Negli ultimi decenni, la disponibilità di conoscenze approfondite nei settori delle colture

in vitro e delle biotecnologie molecolari ha reso possibile la messa a punto e l‟adozione di

numerose tecniche innovative. Tali tecniche, insieme a metodi tradizionali, possono essere

applicate con successo al miglioramento genetico delle piante coltivate. La propagazione in

vitro, le tecniche innovative di miglioramento genetico e l‟utilizzo di marcatori molecolari per

la selezione assistita e per la caratterizzazione varietale, sono sempre più utilizzate per le

specie arboree più importanti, ma è fuori di dubbio che anche le specie frutticole di

importanza minore possano trarre vantaggio dalla loro applicazione. Tra le specie che

potrebbero beneficiare in maniera consistente dell‟applicazione di tali tecniche vi è

certamente il ficodindia, una specie che nella nostra isola ha trovato ottime condizioni

pedoclimatiche tanto da aver colonizzato numerosi ambienti e da divenirne uno dei principali

simboli. Nonostante l‟ampia diffusione il ficodindia in Sicilia è però caratterizzato da un

patrimonio varietale molto ristretto, rappresentato quasi esclusivamente dalle cultivar

„Bianca‟, „Gialla‟ e „Rossa‟ e dalle loro varianti “trunzare”, così definite per una maggiore

croccantezza della polpa.

L‟obiettivo che ci si è posti nel corso del triennio del Dottorato di Ricerca è stato quello

di gettare le basi per l‟ampliamento della ristretta base genetica del ficodindia servendosi di

tecniche tradizionali di miglioramento genetico associate a metodologie quali la

micropropagazione e l‟utilizzo di marcatori molecolari. Il lavoro è stato articolato in tre

differenti linee di ricerca.

Una prima linea ha previsto la realizzazione di impollinazioni incrociate tra le cultivar

„Bianca‟ e „Rossa‟ di Opuntia ficus indica e tra „Bianca‟ ed Opuntia amyclaea. L‟obiettivo di

tale ricerca è stato quello di ottenere ibridi con migliori caratteristiche tra le quali,

auspicabilmente, una maggior presenza di semi abortiti, una migliore resistenza alle

manipolazioni post-raccolta, per la varietà „Bianca‟, e la diminuzione dell‟alternanza

produttiva che caratterizza la cultivar „Rossa‟.

Una seconda linea di ricerca è stata finalizzata al reperimento di germoplasma

alloctono, proveniente da diverse aree del mondo, che è stato introdotto, insieme ad accessioni

autoctone, in un apposito campo collezione realizzato presso l‟Azienda Sperimentale

dell‟Università Catania. Onde procedere ad una univoca identificazione, tale materiale è stato

caratterizzato con marcatori molecolari. Ciò ha permesso fra l‟altro di comprendere il livello

Page 42: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

38

di variabilità genetica esistente tra le principali cultivar coltivate nel mondo, le accessioni

spontanee e le specie affini al ficodindia.

Infine, per far fronte alla necessità di dover moltiplicare in elevate quantità ed in modo

rapido il germoplasma introdotto dall‟estero ed i genotipi ottenuti in seguito ai programmi di

incrocio, un'altra linea di ricerca è stata indirizzata alla definizione di un protocollo di

propagazione in vitro che permettesse di ottenere cloni con patrimonio genetico identico alla

pianta madre (true to type).

Page 43: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

39

MATERIALI E METODI

1. COSTITUZIONE DI IBRIDI INTRA- ED INTERSPECIFICI

1.1. Impollinazione incrociata

Al fine di ottenere nuova variabilità e quindi di allargare il patrimonio varietale, nel

mese di luglio del 2009, presso un‟azienda commerciale sita nel territorio di Biancavilla (CT)

sono stati realizzati degli incroci intraspecifici tra le varietà siciliane „Bianca‟ e „Rossa‟ ed

incroci interspecifici tra la cultivar „Bianca‟ e Opuntia amyclaea var. leucosarca. Per

l‟ottenimento di tali incroci è stato seguito il protocollo descritto da Mondragon-Jacobo et al.

(1996). Nello specifico 25 fiori della varietà „Bianca‟, utilizzata come genitore femminile,

sono stati demasculati in fase di pre-antesi (Figura 4a); si è ricorso all‟uso di piccole forbici

per l‟eliminazione dei sepali e degli stami (Figura 4b), facendo attenzione a non danneggiare

il pistillo. I fiori poi sono stati sciacquati con acqua per eliminare residui di antere e polline.

Una volta demasculati, i fiori sono stati coperti con dei sacchetti di car ta (Figura 4d) per

qualche giorno affinché lo stigma potesse maturare senza che vi giungesse polline

indesiderato. Contemporaneamente sono stati raccolti i fiori delle piante da utilizzare come

parentale maschile (varietà „Rossa‟ e Opuntia amyclaea var. leucosarca); gli stami ricavati

sono stati conservati in un luogo fresco ed ombreggiato per favorire la maturazione del

polline. Trascorsi 4 giorni dalla demasculazione, gli stigmi dei fiori demasculati sono stati

impollinati, per mezzo di un pennellino, con il polline raccolto in precedenza (Figura 4e). 10

fiori sono stati impollinati con polline di „Rossa‟ e 15 con polline di O. amyclaea; di questi

ultimi, 5 sono stati utilizzati per le analisi istologiche. Subito dopo l‟impollinazione, i fiori

sono stati nuovamente coperti con sacchetti di carta per qualche giorno per impedire la

deposizione sullo stigma di polline indesiderato prima che fosse avvenuta la fecondazione.

1.2. Analisi istologica

Con il fine di verificare l‟effettiva compatibilità tra la varietà „Bianca‟ ed Opuntia

amyclaea var. leucosarca, dopo l‟impollinazione controllata è stata effettuata un‟analisi

istologica del processo di fecondazione. Per realizzare tale analisi 48, ore dopo

Page 44: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

40

l‟impollinazione, tempo necessario affinchè il polline possa germinare ed i tubetti pollinici

possano raggiungere la base dello stilo (Reyes-Aguero et al., 2006), sono stati prelevati i

pistilli (Figura 5) da 5 fiori e sono stati conservati in FAA (90 ml etanolo 70%, 5 ml

formalina, 5 ml acido acetico glaciale) a 4°C fino al momento delle osservazioni in vivo.

Figura 4. a) fiore in fase di pre-antesi; b) demasculazione con l‟utilizzo di forb ici; c) fiore demasculato; d) fiori

demasculati coperti con sacchetti in attesa dell‟impollinazione; e) impollinazione con l‟utilizzo di un pennellino;

f) fiore impollinato

a b

c d

fe

Page 45: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

41

Figura 5. Pistilli d i ficodindia della varietà „Bianca‟ destinati all‟analisi istologica

Tali campioni sono stati sottoposti a tre lavaggi di un‟ora con acqua distillata e quindi

ammorbiditi per immersione in solfito di sodio (Na2SO3) che è stato portato ad ebollizione per

pochi secondi. Successivamente i pistilli sono stati privati dell‟ovario e la restante parte,

ovvero stigma e stilo, è stata tagliata longitudinalmente ottenendo 3 o 4 sezioni (a seconda

delle dimensioni del pistillo). Queste, poste su di un vetrino con alcune gocce di blu di anilina

(0,1% in 0.1 N PO4K3), sono state pressate con il copri-vetrino in modo da schiacciarne i

tessuti aumentando così la superficie visibile. Le sezioni sono state osservate utilizzando un

microscopio a fluorescenza (Leica DM 2500, Leica Microsystems GmbH, Germania). È stata

verificata l‟attività di germinazione dei granuli pollinici e l‟allungamento dei tubetti pollinici

fino alla base dello stilo.

1.3. Estrazione e germinazione dei semi

Dei 20 fiori sottoposti ad impollinazione controllata, e destinati all‟ottenimento dei

frutti, 17 hanno completato regolarmente il ciclo di fruttificazione. I semi sono stati estratti da

frutti sani e completamente maturi; questi sono stati sbucciati e posti in un frullatore che a

bassa velocità e per pochi secondi ne ha permesso lo spappolamento senza provocare danni ai

semi. I semi estratti (Figura 6) sono stati sciacquati più volte per eliminare ogni traccia di

polpa e successivamente posti ad asciugare in forno per 2-3 ore ad una temperatura di 55-60

°C (Mondragon-Jacobo et al., 1996) (Figura 7).

Page 46: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

42

I semi di ficodindia presentano delle notevoli difficoltà di germinazione dovute al fatto

che presentano tre tegumenti, il più interno dei quali avvolge completamente l‟ovulo (Eames,

1961), mentre il più esterno è fortemente lignificato ed impedisce la fuoriuscita della

radichetta (Werker, 1997). Per superare tali ostacoli vari studi, tra i quali quello di Altare et

al. del 2006, hanno individuato e saggiato diversi metodi di scarificazione specifici per i semi

di ficodindia.

Figura 6. Semi appena estratti dalla polpa

Figura 7. Semi lavati, asciugati e d ivisi in abortiti (a sinistra) e normali (a destra)

Page 47: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

43

Per favorire la germinazione dei semi, dopo una serie di prove preliminari in cui è stato

impiegato acido solforico (H2SO4) a diverse concentrazioni (5%, 15%, 30%) e che non sono

andate a buon fine a causa della necrosi dei semi trattati, è stato utilizzato un protocollo basato

sull‟utilizzo di perossido di idrogeno (H2O2) descritto da Altare et al. (2006). I semi sono stati

sterilizzati attraverso un‟immersione in una soluzione di ipoclorito di sodio (NaClO) al 7% e

sciacquati 3 volte con acqua distillata sterile, successivamente sono stati posti in piastre Petri

contenenti uno strato di cotone imbibito con perossido di idrogeno al 3.5% (Figura 8). Per

ogni combinazione di incrocio sono stati utilizzati 200 semi suddivisi in 10 piastre Petri;

queste sono state poste per 30 giorni in camera di crescita ad una temperatura di 25 °C ed un

fotoperiodo di 16 ore di luce e 8 di buio.

Figura 8. Semi di ficodindia posti su cotone imbibito con perossido di idrogeno

1.4. Accrescimento, acclimatazione e messa a dimora delle piantine

Subito dopo la germinazione, le piccole piantine ottenute sono state trasferite su

panetti di torba (Figura 9), previamente sterilizzati in autoclave a 120°C per 20 minuti, e poste

in camera climatica all‟interno di contenitori chiusi al fine di mantenerle in condizioni di

sterilità ed a livelli di umidità relativa prossimi alla saturazione. Appena le piantine hanno

raggiunto una dimensione di circa 10 cm di altezza ed un apparato radicale abbastanza

sviluppato è stato eseguito il trapianto, con il panetto di torba, in vasetti di 15 cm di diametro

Page 48: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

44

contenenti terriccio, costituito da torba e terra in parti uguali. Le piante sono state quindi

lasciate acclimatare per circa un mese in camera climatica. L‟acclimatazione è stata eseguita

coprendo la piante con dei sacchetti di plastica sui quali, via via, sono state realizzate delle

aperture in modo da esporre gradualmente le piante a condizioni di umidità relativa

decrescenti. Terminata la fase di acclimatazione (Figura 10), della durata di circa un mese, le

piantine sono state trasferite in serra. Trascorsi circa 6 mesi, i semenzali sono stati trapiantati

in vasi di maggiori dimensioni in attesa della messa a dimora in un apposito campo

dell‟Azienda Sperimentale di Agraria dell‟Università di Catania che è stata eseguita nel mese

di Aprile del 2011.

Figura 9. Piantine ottenute dalla germinazione dei semi e trasferite in panetti di torba

Figura 10. Semenzali di „Bianca‟ x „Rossa‟ acclimatati

Page 49: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

45

2. REPERIMENTO E CARATTERIZZAZIONE DI GERMOPLASMA DI OPUNTIA

2.1. Reperimento di germoplasma autoctono ed alloctono e costituzione di un campo

collezione

Sessantadue genotipi (Tabella 1) appartenenti a 16 specie di Opuntia (Tabella 2) sono

stati reperiti in diverse aree geografiche ed introdotti in un campo collezione della Facoltà di

Agraria di Catania. Le accessioni recuperate sono rappresentate da varietà coltivate in diverse

Paesi (Italia, Messico, Argentina, Sudafrica, ecc.), genotipi selvatici, e specie affini.

Un primo gruppo di accessioni, comprendente le tre varietà coltivate siciliane e le

rispettive varianti “trunzare”, è stato reperito in diverse aree della nostra regione. Un altro

gruppo, fornito dal Dr. Mondragon-Jacobo (Università di Queretario, Messico), è costituito

dalle varietà messicane più diffuse, classificate con diversi b inomi o genericamente come

Opuntia sp. (Pimienta-Barrios, 1994; Mondragon-Jacobo e Perez-Gonzalez, 1996; Fernandez-

Montes et al., 2000), e da piante di origine sconosciuta. Il terzo ed ultimo gruppo di genotipi,

fornito dal Dr. Yaron Sitrit, è costituito da varietà di Opuntia ficus indica provenienti da

diversi paesi (Kenya, Sud Africa, Stati Uniti e Messico), da ibridi artificiali e specie affini al

ficodindia appartenenti ad una collezione di germoplasma dell‟Hebrew University of

Jerusalem (Rehovot, Israele).

Il materiale vegetale reperito, spesso costituito da un solo cladodo, è stato inizialmente

posto a dimora in vasi contenenti un substrato costituito da torba e terra in parti uguali ed è

stato mantenuto in serra. Una volta che le piante hanno raggiunto uno sviluppo adeguato, cioè

prodotto almeno 3 o 4 cladodi completamente sviluppati, sono state trasferite nell‟Azienda

Sperimentale della Facoltà di Agraria. Il campo collezione è stato realizzato dispo nendo le

piante con un sesto d‟impianto 3x2 m.

Page 50: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

46

Tabella 1. Lista delle accessioni di Opuntia reperite ed introdotte nel campo collezione

Genotipo Classificazione tassonomica Reperimento* Spinescenza

1251 O. ficus indica Israele Assente

Texas O. ficus indica Israele Assente

O. megacantha O. megacantha Israele Bassa

Niagra O. ficus indica Israele Assente

Castillo O. ficus indica Israele Assente

Gymno carpo O. ficus indica Israele Assente

Skinners court O. ficus indica Israele Assente

Hybrid O. ficus indica Israele Assente

Japie O. ficus indica Israele Assente

Kenya1 O. ficus indica Israele Assente

Kenya2 O. ficus indica Israele Assente

O. streptacanta O. streptacanta Israele Assente

Jerico O. ficus indica Israele Assente

O. joconostle O. joconostle Israele Media

93-034 O. ficus indica Israele Bassa

93-037 O. ficus indica Israele Assente

O. vulgaris O. vulgaris Israele Assente

93-042 O. ficus indica Israele Assente

O. subulata O. subulata (sin. Austrocylindropuntia

subulata) Israele Assente

O. spinulifera O. spinulifera Israele Assente

O. oligacantha O. oligacantha Israele Elevata

O. elizondoana 29 O. elizondoana Israele Elevata

O. leucotricha O. leucotricha Israele Media

O. elizondoana 31 O. elizondoana Israele Media

O. cochenillifera O. cochenillifera (sin. Nopalea

cochenillifera) Israele Bassa

O. quimilo' O. quimilo' Israele Bassa

O. amiclea mexican O. amyclaea Israele Bassa

Fusicaulis O. fusicaulis Israele Assente

Reyna (sin.

Alfajayucan) Opuntia sp; O. albicarpa; O. amyclaea Messico Elevata

R6 Opuntia sp. Messico Media

Cristalina Opuntia sp.

a; O. albicarpa;

O. megacantha Messico Media

Amarilla O. ficus indica; O. streptacantha;

O. megacantha Messico Media

2.03.01 Opuntia sp. Messico Media

Naranjona (sin. Pico

chulo) O. megacantha Messico Media

Rosalito (sin. Roja

lisa, Roja pelona) O. ficus indica Messico Assente

Burrona Opuntia sp.a; O. albicarpa Messico Elevata

Copadeoro Opuntia sp. Messico Media

Apastillada O. streptacantha; Opuntia sp. Messico Bassa

AV Opuntia sp. Messico Elevata

ARL Opuntia sp. Messico Assente

Roja CNF O. ficus indica Messico Assente

Page 51: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

47

Tabella 1. Segue

Genotipo Classificazione tassonomica Reperimento* Spinescenza

Centenario (sin.

Amarilla montesa o

Amarilla huesuda)

O. megacantha Messico Media

2.10.58 Opuntia sp. Messico Media

Liria Opuntia sp. Messico Media

Fafajuco (sin. Blanca

de san jose, Blanca

de castilla)

Opuntia sp.a; O. megacantha Messico Media

24 Opuntia sp. Messico Elevata

Amarilla grande Opuntia sp. Messico Assente

Rossa trunzara1 O. ficus indica Italia Assente

Bianca trunzara1 O. ficus indica Italia Assente

O. amyclaea 23 O. amyclaea Italia Media

Inerme O. ficus indica Italia Assente

Linosa O. ficus indica Italia Assente

Militello O. ficus indica Italia Assente

O. amyclaea 27 O. amyclaea Italia Assente

Cuore O. ficus indica Italia Assente

Bianca sorba O. ficus indica Italia Assente

Bianca trunzara2 O. ficus indica Italia Assente

Gialla trunzara O. ficus indica Italia Assente

Gialla O. ficus indica Italia Assente

Rossa O. ficus indica Italia Assente

Rossa trunzara2 O. ficus indica Italia Assente

O. robusta O. robusta Italia Assente a Considerata un ibrido tra O. ficus indica e O. streptacantha (Pimienta-Barrios, 1994)

* Il reperimento si riferisce al luogo in cui i genotipi sono stati reperiti e non al loro luogo di orig ine

Page 52: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

48

Tabella 2. Elenco delle specie a cu i appartengono i genotipi collezionati

Specie Origine e distribuzione* Livello di

ploidia#

O. ficus indica (L.) Mill. Mexico, USA, Mediterranean, Australia,

South Africa, South America 8X

a, b

O. megacantha Salm-Dyck Mexico 6X f / 8X

a, c

O. streptacantha Lemaire Mexico 2X f /8X d

a

O. albicarpa Scheinvar Mexico 8X a

O. joconostle F.A.C. Weber ex Diguet Mexico 8X a

O. vulgaris Mill. - 2X b /3X

b /6X

f

O. robusta Wendland Mexico 2X e /4X

a /8X

a

O. spinulifera Salm-Dyck Mexico 4X a / 6X

f

O. oligacantha Forster Mexico 6X a

O. elizondoana E. Sánchez et

Villaseñor Mexico 4X

a

O. leucotricha DC. Mexico 4X b

O. cochenillifiera Mill. (sin. Nopalea

cochenillifera (L.) Salm-Dick) Mexico 2X

b

O. quimilo' Schum. Northern Argentina and Bolivia 2X f

O amyclaea Tenore Unclear, described as cultivated 8X c

O. fusicaulis Griff. Unclear, described as cultivated -

O. subulata (Muehl.) Engelm. Peru, Argentina, Bolivia 6X b

* Le informazioni sull‟orig ine e la distribuzione sono state tratte da Britton e Rose (1963) e Anderson (2001) #

Le informazioni relat ive al livello di p loidia sono state tratte da: a

Segura et al. (2007); b Fedorov (1969);

c

Goldblatt e Johnson (1990); d

Goldblatt e Johnson (2006); e Goldblatt (1981);

f Moore (1977)

Page 53: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

49

2.2. Caratterizzazione con marcatori microsatelliti

2.2.1. Materiale vegetale

I sessantadue genotipi introdotti nel campo collezione, sono stati utilizzati per un‟analisi

della diversità genetica attraverso marcatori microsatelliti. Inoltre, 20 semenzali ottenuti

dall‟incrocio tra „Bianca‟ ed O. amyclaea (vedi Materiali e Metodi, capitolo 1) sono stati

genotipizzati per favorire l‟identificazione degli alleli.

2.2.2. Estrazione del DNA

Il DNA è stato isolato utilizzando il metodo di estrazione basato sull‟impiego del

tampone CTAB. Nello specifico il protocollo di estrazione prevede i seguenti passaggi:

- porre 0,1 g di tessuto vegetale in un tubo eppendorf da 1,5 ml, aggiungere 350 µl di

tampone CTAB, pestare il campione con un pestello di plastica fino a quando non si

ottiene la completa disgregazione dei tessuti ed incubare a 65 °C per circa 1 ora;

- aggiungere 150 µl di Cloroformio, vortexare per 10 secondi e centrifugare a 5000 rpm

per 10 minuti;

- trasferire il supernatante ottenuto in un nuovo tubo da 1,5 ml, aggiungere 500 µl di

etanolo al 96%, mescolare leggermente per inversione e lasciare incubare per 10

minuti;

- centrifugare per 10 minuti a 10000 rpm ed eliminare l‟etanolo facendo attenzione a

non perdere il pellet presente nel fondo del tubo;

- aggiungere 1 ml di etanolo al 70%, mescolare per inversione e centrifugare come nel

punto precedente;

- eliminare l‟etanolo e sciogliere il pellet con H2O.

La quantità e la qualità del DNA estratto è stata determinata tramite l‟utilizzo di uno

spettrofotometro NanoDrop 2000c (Thermo Scientific).

2.2.3. Analisi SSR

Per l‟analisi molecolare sono stati utilizzati 19 microsatelliti specifici per Opuntia

(Tabella 3), 16 dei quali isolati dalla specie Opuntia echios da Helsen et al. (2007); gli altri 3

sono stati ottenuti analizzando una serie di 122 Expressed Sequence Tags (accession number

da EX720493 a EX720614) depositate nel database dbEST, utilizzando il software Msatfinder

(Thurston e Field, 2005) per la ricerca di sequenze contenenti microsatelliti di 20 o più basi.

Page 54: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

50

Tabella 3. Elenco dei 19 marcatori SSR testati

Marcatore Ripetizione Sequenza primer Accessin

number

Opuntia6 (TC)14 (CA)10(CT)5 F: ATCTCATTGTATCATCTATTTCCTG

R: AGCACAAAGACACTTCATCG DQ914853

Opuntia2 (AG)14(CG)4 F: CACATACGCAAATACATGG

R:GCTTCATTTTCCAGGTTACT DQ914848

Opuntia4 (GA)12 F: GATGATTCCGCCATTCACC

R: CGTCGATCTGACTCACACC DQ914850

Opuntia14 (TA)17(GA)13 F: TCAGGATTCAAGAAGATTTGC

R: CGATTCAATTGATGATGGGC DQ914860

Opuntia11 (CT)13TT(CT)2 F: CCTACACCTGCTGCCAATC

R: CGAGACAAACATCAGAGGAG DQ914857

Opuntia13 (AG)12 F: CCAAATACCCAGCCCATAC

R: CGAGAACCTAACTTCCGATG DQ914859

Opuntia15 (TC)10 F: GCGGTGGAAGCAGTTAGG

R: TCAGTCGATCATACCCAAGG DQ914861

Opuntia8 (CT)5(TC)12GC(TC)5 F: ACCGCCATCACCAGCTATC

R: CTCACCCACAATTCCAAACC DQ914854

Opuntia12 (TC)4C(TC)12 F: TAATCTTATTCTCAGGTCAGTTAC

R: GGTATCTTGTTATTCGTTCG DQ914858

Opuntia9 (AG)15 F: CTAGGCTTCATCCCACATTAGG

R: TCCAAATTCACCTCCTCTGC DQ914855

Opuntia16 (GA)8 F: GTCAATCCCGAGCAATTTAGG

R: CTCATTAGTGAGGCCCAACG DQ914862

Opuntia21 (TC)14 F: AAAGGGAAGACCTTGCTCTC

R: TCTATTCTCAGCCCTCCTCTC DQ914852

Opuntia10 (CT)9 F: ACCAACATCAAACCTTCAATACC

R: CATGCTTCATCTTGTTCATTGG DQ914856

Opuntia3 (AG)19 F: GTGAGTGCCCAGATGAAACT

R: TCCTCAACTTTATTGTAGCAAGAG DQ914849

Opuntia1 (CT)13(AC)3 F: CCATCTACTTCCCACTTTGC

R: CTCCTGTGTTTCTCTGTGCTC DQ914847

Opuntia5 (TAC)5 F: TATGCACAAAGCACCATGC

R: CCAACCATACCAACTGTACTGAC DQ914851

Ops.24 (CT)24 F: TCCTTCCATTTCCACCACAC

R: CAAGACCCCTCATTCCAAAG EX720605

Ops.19 (TGA)9 F: AACTGCCTCACACGAGTTCC

R: GCTACGAAATCTGCCGAGTC EX720594

Ops.14 (GA)14 F: AGAGGCAGCAAGTGGTGAAC

R: ACTCAAGGGCGTAGAAGCTG EX720574

Page 55: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

51

Tre sequenze contenenti SSR (Accession number: EX720574, EX720594 e EX720605)

sono stati identificate. Le coppie di primer EST-SSR sono state progettate tramite l‟uso del

software Primer 3 (Rozen e Skaletsky, 2000). Tutte i primer impiegati sono stati sintetizzati

dalla Eurofins MWG Operon (Ebersberg, Germania); il primer forward d i ogni coppia è stato

marcato con l‟aggiunta di una coda M13F (Oetting et al., 1995). Le 19 coppie di primer SSR

sono state testate su 6 genotipi appartenenti a diverse specie (O. robusta, O. subulata, O.

fusicaulis, O. streptacanta, O. quimilò ed O. ficus indica) al fine di scartare quelle non idonee

per l‟analisi e di stabilire al contempo le migliori condizioni di PCR per quelle che invece

sarebbero state impiegate. Nello specifico, per ogni coppia di primer, sono state effettuate

delle amplificazioni di DNA a diverse temperature di annealing (53 o 55 °C) e con un diverso

numero di cicli (35-40); ogni prova è stata condotta con due repliche al fine di verificare la

riproducibilità del risultato. Per la caratterizzazione molecolare sono stati utilizzati soltanto i

loci SSR che non hanno dato problemi di amplificazione e che hanno permesso di ottenere dei

profili elettroforetici di chiara interpretazione. L‟interpretazione dei polimorfismi di tali loci è

stata favorita dall‟analisi dei profili di segregazione di 20 semenzali ottenuti dall‟incrocio tra

„Bianca‟ ed O. amyclaea (Figura11).

Il DNA è stato amplificato su termociclatori GeneAmp 9700 e 2700 (App lied

Biosystems, Foster City, USA) utilizzando i seguenti parametri: denaturazione a 95 °C per 12

minuti, 35-40 cicli di denaturazione a 94 °C per 1 minuto, annealing a 53-55 °C per 1 minuto,

estensione a 72 °C per 1,5 minuti, ed un estensione finale di 30 minuti a 72 °C. La miscela di

reazione per l‟amplificazione comprendeva: i due primer specifici (0,3 mM), un primer

marcato con M13F (0,13 mM), circa 50 ng di DNA, 0,2 mM dNTPs, 1X PCR buffer II, 2 mM

di cloruro di magnesio, 1 unità di DNA polimerasi AmpliTaq Gold (Applied Biosystems) e

8,5 µl di H2O per un volume totale di 15 µl.

Il prodotto di amplificazione è stato analizzato con il sequenziatore ABI PRISM 310

Genetic Analyzer (Applied Biosistems). 0,5-2 μl di prodotto di PCR (a seconda delle

prestazioni di amplificazione di ciascuna coppia di primer) sono stati miscelati con 13,5 μl di

Formamide e 0,5 μl di LIZ-500 size standard (Applied Biosistems), denaturati a 95 °C per 5

minuti e subito dopo trasferiti in ghiaccio per un paio di minuti in modo da consentire un

immediato raffreddamento della miscela. Successivamente i tubi contenenti il DNA

amplificato sono stati posti all‟interno del sequenziatore. Dopo l‟elettroforesi capillare i dati

in uscita dal sequenziatore sono stati convertiti dal software GENESCAN 3.1.2. in

elettroferogrammi, permettendo cosi una comparazione tra i profili dei diversi campioni.

Page 56: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

52

Figura 11. Segregazione di due loci SSR in alcuni ibridi di „Bianca‟ x O. amyclaea. A) parentale femminile

(„Bianca‟); B) parentale maschile (O. amyclaea); C) individuo apomittico, con un pattern allelico identico al

genitore femminile; D, E, F) p iante zigotiche

2.2.4. Analisi dei polimorfismi

Per l‟analisi statistica, i picchi SSR visualizzati in seguito ad elettroforesi capillare su

sequenziatore sono stati considerati come marcatori dominanti; questa strategia, pur riducendo

l'informazione generata da ogni coppia di primer, rappresenta il miglior modo per poter

elaborare i dati relativi a genotipi altamente poliploidi, con un livello di ploidia incerto ed

appartenenti a specie diverse.

A partire dagli alleli individuati è stata costruita una matrice binaria basata sulla

presenza o l'assenza di ogni singolo picco. Il software PowerMarker Versione 3.25 (Liu e

Muse, 2005) è stato utilizzato per generare, a partire dalla matrice binaria, dapprima una

matrice delle distanze, utilizzando il coefficiente shared alleles, e poi per costruire un albero

filogenetico utilizzando l‟algoritmo Neighbor-joining (Saitou e Nei, 1987); questa tipologia di

analisi è stata già impiegata da altri autori per la valutazione genetica di collezioni di

germoplasma (Dangl et al., 2001; Barkley et al., 2006). Per la costruzione dell‟albero, è stata

considerata come outgroup la specie Opuntia subulata (Figura 12), spesso definita

Austrocylindropuntia subulata (Muehlenpfordt) Backeberg. Questa specie presenta delle

Page 57: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

53

caratteristiche morfologiche molto particolari ed assai distinte dal ficodindia: possiede

articolazioni cilindriche lunghe fino a 50-60 cm con rilievi longitudinali mammillonari al cui

apice si trovano delle areole sprovviste di glochidi e dalle quali partono foglioline cilindriche

carnose e 2-3 spine robuste.

Figura 12. Opuntia subulata, utilizzata come outgroup per l‟analisi Neighbor-joining

Per verificare il grado di correttezza delle ramificazioni dell‟albero filogenetico

ottenuto, è stata eseguita un‟analisi bootstrap con 1.000 repliche mediante il software PAUP

versione 4.0b10 (Swofford, 1998). Il software ricampiona i dati di input mischiando l‟ordine

di alcune colonne ed effettuando delle duplicazioni/delezioni in modo da ottenere un gran

numero di alberi che vengono confrontati con quello originale. Alla fine della procedura di

bootstrapping si ottengono dei valori relativi ad ogni ramificazione che indicano in quale

percentuale tale ramificazione è presente nelle repliche ottenute.

Il programma PowerMarker è stato utilizzato anche per la determinazione, per ogni

coppia di primer, del Polymorphism Information Content (PIC), valore che indica il livello di

polimorfismo di un dato marcatore e quindi il suo contenuto di informazione.

Per rendere ancora più chiara la rappresentazione grafica della diversità genetica

presente all‟interno della collezione, la matrice delle distanze è stata utilizzata per eseguire

un‟analisi con il metodo NeighborNet (Bryant e Moulton, 2004); nello specifico, il software

SplitsTree versione 4.11.3 (Huson e Bryant, 2006) è stato impiegato per la costruzione di un

Page 58: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

54

particolare albero filogenetico detto network. I network sono ricostruzioni filogenetiche che

risultano particolarmente adatte per rappresentare processi evolutivi in cui i vari taxa non si

siano sempre e solo separati gli uni dagli altri ma si siano anche mescolati tra loro; questo può

succedere nel caso di ricombinazione genica o di flusso genico tra popolazioni. Queste

interazioni vengono rappresentate negli alberi da reticoli più o meno complessi, riuscendo

così ad esprimere una quantità maggiore d‟informazione.

Per superare i limiti degli alberi filogenetici, dovuti alla presenza di ibridi intra- ed

interspecifici, e per valutare la struttura genetica del germoplasma caratterizzato, è stata

condotta un‟analisi di inferenza Bayesiana utilizzando il software Structure versione 2.3.2

(Pritchard et al., 2000). Il programma è in grado di ripartire gli individui (X) di un campione

in popolazioni (K), offrendo inoltre la possibilità di stimare il numero di popolazioni più

probabile e la probabilità di ogni singolo individuo di appartenere a ciascuna di esse. Il

numero di raggruppamenti (K) più probabile è stato dedotto dal calcolo della probabilità a

posteriori di K [Pr (X | K)] come suggerito da Pritchard et al. (2000). Poiché i genotipi

analizzati sono probabilmente il risultato di una ibridazione naturale ed artificiale, è stata

calcolata la probabilità a posteriori per valori di K compresi tra 1 e 14.

Page 59: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

55

3. PROPAGAZIONE IN VITRO E VERIFICA DELLA TRUE TO TYPENESS CON

MARCATORI AFLP

3.1. Micropropagazione

La tecnica di micropropagazione è stata applicata per l‟ottenimento di cloni a partire

dalle 3 cultivar siciliane („Bianca‟, „Gialla‟ e „Rossa‟) e da Opuntia amyclaea. Per tale lavoro

è stato seguito il protocollo descritto da Estrada-Luna et al. (2008). Il materiale vegetale

utilizzato, rappresentato da giovani cladodi, è stato trattato per 5 minuti con etanolo al 70% e

successivamente immerso per 30 minuti in una soluzione di ipoclorito di sodio (NaOCl) al 6

% addizionata di Tween20 (0.1%); infine i cladodi sono stati sciacquati 3 volte con acqua

distillata sterile per eliminare ogni traccia di ipoclorito di sodio. I cladodi sterilizzati sono stati

tagliati in piccole porzioni di circa 1 cm di lato contenenti ciascuna una o due areole (Figura

13). Gli espianti sono stati posti su substrato di coltura MS (Murashige e Skoog, 1962)

addizionato di saccarosio (50g/l), 6-benzilaminopurina (BAP) (2,5 mg/l) ed agar (7 g/l), e con

pH corretto ad un valore di 5.7. La fase di induzione, della durata di 6 settimane, è stata

eseguita mantenendo gli espianti in camera climatica ad una temperatura di 25 °C, un

fotoperiodo di 16 ore di luce e 8 ore di buio ed un‟intensità luminosa di 3000 lux.

Figura 13. Porzioni d i cladodo della varietà „Gialla‟ poste su substrato di induzione

Page 60: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

56

I germogli ottenuti dopo la fase di induzione (Figura 14) sono stati separati dall‟espianto

e posti su substrato di coltura fresco della medesima composizione per la fase di

moltiplicazione della durata anch‟essa di 6 settimane e condotta alle stesse condizioni di

temperatura e fotoperiodo della fase precedente. Dopo la moltiplicazione (Figura 15) i

germogli sono stati trasferiti singolarmente su un terreno di coltura MS addizionato di solo

saccarosio (50 g/l) per la fase di radicazione. Dopo circa 4 settimane le piantine, complete di

apparato radicale, sono state trapiantate in vasetti contenenti torba e terra dopo aver eliminato

ogni traccia di terreno di coltura dalle radici. I vasi sono stati posti dapprima in camera

climatica, per consentire una graduale acclimatazione delle piantine, e successiva mente

trasferiti in serra.

Figura 14. Germogli della varietà „Rossa‟ ottenuti dopo la fase di induzione

Figura 15. Germogli della varietà „Rossa‟ in fase di molt iplicazione

Page 61: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

57

3.2. Analisi con AFLP delle piante micropropagate

A causa della possibile insorgenza di nuova variabilità che può verificarsi in seguito a

mutazioni indotte dalle colture in vitro (Larkin e Scowcroft, 1981), un‟analisi con marcatori

AFLP è stata condotta sulle piante ottenute attraverso la tecnica di micropropagazione.

L‟obiettivo dell‟analisi è stata quello di verificare la bontà del protocollo utilizzato per

l‟ottenimento di piante true to type, cioè identiche alla pianta madre.

3.2.1. Estrazione del DNA

Il DNA è stato isolato utilizzando il kit di estrazione ISOLATE Plant DNA Mini Kit

(Bioline, Londra, UK). Tale metodo di estrazione si basa sulla proprietà che hanno gli acidi

nucleici di legarsi ad una matrice silicea in presenza di sali caotropici, composti organici che

possiedono la capacità di rompere i legami idrofobici o idrogeno di acidi nucleici e proteine e

conseguentemente denaturarli. Dopo avere lavato la matrice silicea, gli acidi nucleici vengono

eluiti in tamponi a basso contenuto di sali e sono pronti per le successive reazioni (clonaggio,

digestione con enzimi di restrizione, blotting, sequenziamento manuale ed automatico,

amplificazione, ecc.). Nello specifico il protocollo di estrazione prevede i seguenti passaggi:

- porre 0,1 g di tessuto vegetale in un tubo eppendorf da 1,5 ml, aggiungere 400 µl di

Lysis Buffer PD, pestare il campione con un pestello di plastica fino a quando non si

ottiene la completa disgregazione dei tessuti ed incubare a 65 °C per circa 30 minuti;

- aggiungere 100 µl di Precipitation Buffer, vortexare per 5 secondi, incubare in

ghiaccio per 5 minuti e centrifugare alla massima velocità per 5 minuti;

- trasferire il supernatante ottenuto nella Spin Column PD1 posizionata all‟interno di un

tubo da 2 ml e centrifugare a 12000 rpm per 1 minuto;

- eliminare la Spin Column PD1, aggiungere al filtrato un quantitativo di Binding

Buffer PD pari alla metà del volume del filtrato stesso, mescolare accuratamente

pipettando più volte, porre il tutto nella Spin Column PD2 e centrifugare a 12000 rpm

per 2 minuti;

- posizionare la Spin Column PD2 in un nuovo tubo, aggiungere 700 µl di Wash Buffer

PD e centrifugare a 12000 rpm per 1 minuto;

- eliminare il filtrato, fare un altro lavaggio e centrifugare a 12 rpm per 2 minuti;

Page 62: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

58

- porre la Spin Column PD2 in un nuovo tubo da 1,5 ml, versare 100 µl di elution buffer

direttamente sulla membrana filtrante, lasciare incubare per 1 minuto a temperatura

ambiente e centrifugare per 1 minuto ad 8000 rpm per eluire il DNA.

La quantità e la qualità del DNA estratto sono state determinate tramite l‟utilizzo di uno

spettrofotometro NanoDrop 2000c (Thermo Scientific).

3.2.2. Reazione di restrizione - ligazione

La restrizione del DNA e la ligazione degli adattatori ai frammenti sono state condotte

in un‟unica reazione e sono state precedute dalla preparazione della enzyme master mix e

dell‟annealing degli adattatori. L‟enzyme master mix è stata preparata utilizzando per ciascun

campione 0,06 µl di enzima EcoRI, 0,03 µl di enzima MseI, 0,05 µl di T4 DNA ligasi, 0,1 µl

di T4 DNA ligasi buffer con ATP 10X, 0,1 µl di NaCl (0,5 M), 0,05 µl di BSA (Bovin Serum

Albumin) e 0.6 µl di H2O distillata sterile. Per l‟annealing degli adattatori, due tubi

eppendorf, contenenti un‟aliquota sufficiente di EcoRI adaptor ed MseI adaptor, sono stati

posti in un bagno termostatico alla temperature di 95 °C per 5 minuti; successivamente sono

stati trasferiti in un recipiente contenente acqua calda e mantenuti al suo interno fin quando

l‟acqua non ha raggiunto la temperatura ambiente. Le sequenze degli adattatori sono riportate

di seguito:

- adattatore EcoRI: 5‟-CTCGTAGACTGCGTACC-3‟

3‟-CTGACGCATGGTTAA-5‟

- adattatore MseI: 5‟-GACGATGAGTCCTGAG-3‟

3‟-TACTCAGGACTCAT-5‟

La reazione di restrizione/ligazione è avvenuta incubando a 37 °C per 2 ore 500 ng di DNA

genomico con i seguenti reagenti: 1 µl di T4 DNA ligasi buffer con ATP 10X, 1 µl di NaCl

(0,5 M), 0,05 µl di BSA, 1 µl di adattatore EcoRI, 1 µl di adattatore MseI e 1 µl di enzyme

master mix. Dopo l‟incubazione la miscela è stata diluita con 189 µl di TE0,1 (Tris-HCl 20

mM, EDTA 0,1 mM, pH 8.0).

3.2.3. Amplificazione pre-selettiva

Il DNA ligato e diluito (1:20), è stato pre-amplificato in una reazione con volume finale

di 21 µl contenente 5 µl di DNA ligato e diluito 1:10, 2.1 µl di buffer PCR 10X, 0,2 µl di

Page 63: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

59

DNA polimerasi BioTaq (Bioline), 2 µl di dNTPs (µM), 0,7 µl di MgCl2, 1 µl di AFLP

preamplification primer (10 µM) e 10 µl di H2O. I primer di pre-amplificazione presentano

una singola base selettiva all‟estremità 3‟ e riconoscono le estremità generate nella

precedente reazione di ligazione; è stata sempre usata come base la A per il primer EcoRI e la

C per il primer MseI. I parametri utilizzati per l‟amplificazione preselettiva sono stati i

seguenti: uno step a 94 °C per 2 minuti, seguito da 20 cicli a 94 °C per 30 secondi, 56 °C per

30 secondi e 72 °C per 2 minuti, e da una estensione finale a 60°C per 30 minuti. Una parte

del prodotto di amplificazione è stata fatta correre su gel di agarosio per verificarne l‟effettiva

amplificazione; la restante parte (10 µl) è stata diluita con 190 µl di TE0.1 e conservata a 4 °C.

3.2.4. Amplificazione selettiva

Per l‟amplificazione selettiva, sono stati miscelati: 2.1 µl di buffer PCR 10X, 0,2 µl di

DNA polimerasi BioTaq (Bioline), 2 µl di dNTPs (µM), 0,7 µl di MgCl2, 10 µl di H2O, 1 µl di

primer EcoRI (marcato con marcatore fluorescente) a 3 basi selettive, 1 µl di primer MseRI

anch‟esso a 3 basi selettive e 5 µl di prodotto della pre-amplificazione diluito 1:10 per un

volume totale di 22 µl. La reazione di amplificazione è stata condotta utilizzando i parametri

elencati di seguito:

- denaturazione iniziale a 94 °C per 2 minuti;

- 10 cicli touch down: 94 °C per 20 secondi, 66-57 °C per 30 secondi (decremento di

1°C della temperatura di annealing ad ogni ciclo di amplificazione), 72 °C per 2

minuti;

- 20 cicli: 94 °C per 20 secondi, 56 °C per 30 secondi, 72 °C per 2 minuti;

- estensione finale a 60 °C per 30 minuti.

Per l‟analisi dei somacloni sono state utilizzate 15 combinazioni di primer:

- 5 marcate con FAM: E-AGC/M-CAA, E-AGC/M-CAC, E-AGC/M-CAG, E-AGC/M-

CCT, E-AGC/M-CTG;

- 5 marcate con NED: E-ACC/M-CAA, E-ACC/M-CAC, E-ACC/M-CAG, E-ACC/M-

CCT, E-ACC/M-CTG;

- 5 marcate con PET: E-ACT/M-CAA, E-ACT/M-CAC, E-ACT/M-CAG, E-ACT/M-

CCT, E-ACT/M-CTG.

La sequenze di base dei primer utilizzati sono state le seguenti:

- EcoRI: 5‟-GACTGCGTACCAATTC-xxx- 3‟

- MseI: 5‟-GATGAGTCCTGAGTAA-xxx- 3‟

Page 64: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

60

3.2.5. Visualizzazione del prodotto di amplificazione

Il prodotto dell‟amplificazione selettiva è stato analizzato per mezzo del sequenziatore

ABI Prism 310 Genetic Analyzer (Applied Biosystems). In ciascun tubo da caricare sul

sequenziatore per l‟elettroforesi capillare sono stati messi 23 µl di loading buffer (22,5 µl di

formamide e 0,5 µl di GS500 LIZ size standard) e 3 µl di DNA amplificato (1 µl per ogni tipo

di fluoroforo). Dopo una denaturazione a 95 °C per 5 minuti i tubi contenenti i campioni sono

stati trasferiti in ghiaccio per 2 minuti e poi sono stati inseriti nel sequenziatore per l‟analisi.

Dopo l‟elettroforesi capillare, il software GENESCAN 3.1.2. ha elaborato i dati in uscita dal

sequenziatore convertendoli in elettroferogrammi, permettendo cosi una comparazione tra i

profili dei cloni analizzati.

Page 65: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

61

RISULTATI E DISCUSSIONE

1. COSTITUZIONE DI IBRIDI INTRA- ED INTERSPECIFICI

L‟analisi istologia condotta sui pistilli della varietà „Bianca‟ impollinati con polline di

Opuntia amyclaea var. leucosarca ha consentito di verificare l‟effettiva compatibilità tra le

due specie. Dalle osservazioni eseguite al microscopio a fluorescenza su sezioni longitudinali

dei pistilli (Figura 16) è stato possibile osservare la germinazione del polline e lo sviluppo dei

tubetti pollinici lungo lo stilo fino al raggiungimento della base di quest‟ultimo senza che si

sia manifestata alcuna reazione di incompatibilità.

Figura 16. a) Granuli di polline germinati sulla superficie dello stigma; b) sviluppo dei tubetti pollinic i lungo lo

stilo; c) arrivo dei tubetti pollin ici alla base dello stilo

Per favorire la germinazione dei semi estratti da frutti sani e a completa maturazione, è

stato utilizzato il protocollo basato sull‟impiego di perossido di idrogeno, descritto da Altare e

collaboratori (2006). Tale metodo ha permesso di ottenere, a distanza di un mese dall‟inizio

del trattamento, una percentuale di germinazione superiore al 20%. Nello specifico, per

quanto riguarda l‟incrocio tra „Bianca‟ e „Rossa‟ sono germinati 48 semi su 200, pari al 24%;

nell‟incrocio „Bianca‟ x O. amyclaea su 200 semi trattati la germinazione ha riguardato il

21.5% di essi, cioè 43 semi. I risultati ottenuti con questa tecnica possono essere considerati

soddisfacenti perché di poco inferiori a quelli ottenuti dagli stessi autori che hanno descritto il

protocollo.

La fase di accrescimento dei giovani semenzali nei panetti di torba non ha riscontrato

alcun problema; infatti tutte le giovani piantine ottenute dalla germinazione dei semi sono

andate in contro ad un regolare sviluppo ed in un arco di tempo variabile da 2 a 3 mesi hanno

raggiunto le dimensioni di circa 10 cm di altezza e prodotto un apparato radicale ben

sviluppato.

a b c

Page 66: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

62

Durante la fase di acclimatazione, a causa dell‟insorgere di marciumi radicali, si è

verificata la morte di quattro semenzali di „Bianca‟ x „Rossa‟ e due di „Bianca‟ x O.

amyclaea.

Gli 85 semenzali ottenuti dai due incroci dopo una prima fase di accrescimento in serra,

sono stati messi a dimora in un campo collezione dell‟azienda Sperimentale dell‟ Università

di Catania e saranno valutati nel momento in cui entreranno nella fase produttiva.

Page 67: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

63

2. CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI GERMOPLASMA DI OPUNTIA

CON MARCATORI MICROSATELLITI

19 coppie di primer SSR (Tabella 3) sono state saggiate su un campione di 6 genotipi

appartenenti a differenti specie (O. robusta, O. subulata, O. fusicaulis, O. streptacanta, O.

quimilò ed O. ficus indica). Tale screening ha permesso di selezionare 8 loci microsatelliti

(Tabella 4) che sono stati utilizzati per le successive analisi di diversità genetica. 11 loci sono

stati scartati perché non hanno generato prodotti di amplificazione o perché hanno fornito

degli elettroferogrammi di difficile interpretazione; tali problemi di interpretazione sono stati

dovuti alla presenza di numerosi alleli in un range di poche paia di basi e ad un numero

eccessivo di stutter bands, cioè frammenti di DNA di poche paia di basi piu piccoli rispetto

all‟allele reale dovuti a “slittamento” della Taq polimerasi durante le reazioni amplificazione.

Tabella 4. Lista delle 8 coppie di primer SSR (6 SSR e 2 EST-SSR) utilizzate per l‟analisi

Marcatore Ripetizione Primer forward e reverse* N° alleli

totali PIC

#

N° alleli unici

Opuntia9 (AG)15 F: CTAGGCTTCATCCCACATTAGG

R: TCCAAATTCACCTCCTCTGC 22 0.23 2

Opuntia12 (TC)4C(TC)12 F: TAATCTTATTCTCAGGTCAGTTAC

R: GGTATCTTGTTATTCGTTCG 33 0.17 12

Opuntia5 (TA)5 F: TATGCACAAAGCACCATGC

R: CCAACCATACCAACTGTACTGAC 11 0.11 6

Opuntia11 (CT)13TT(CT)2 F: CCTACACCTGCTGCCAATC

R: CGAGACAAACATCAGAGGAG 9 0.17 1

Opuntia13 (AG)12 F: CCAAATACCCAGCCCATAC

R: CGAGAACCTAACTTCCGATG 16 0.21 5

Opuntia3 (AG)19 F: GTGAGTGCCCAGATGAAACT

R: TCCTCAACTTTATTGTAGCAAGAG 7 0.17 2

Ops.9 (TGA)9 F: AACTGCCTCACACGAGTTCC

R: GCTACGAAATCTGCCGAGTC 17 0.22 1

Ops.24 (CT)24 F: TCCTTCCATTTCCACCACAC

R: CAAGACCCCTCATTCCAAAG 18 0.25 2

* La sequenza M13F (CACGACGTTGTAAAACGAC) è stata aggiunta all‟estremita 5‟ dei primer fo rward #

Polymorphic in formation content

Gli 8 loci SSR, di cui 6 isolati da O. echios (Helsen et al. 2007) e 2 ricavati da

Expressed Sequence Tags (EST) di O. streptacantha, hanno permesso di ottenere

elettroferogrammi chiari e riproducibili in entrambe le repliche (Figura 17) e sono stati

Page 68: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

64

utilizzati per il fingerprinting dell‟intera collezione di germoplasma costituita da 62 genotipi

appartenenti a 16 diverse specie di Opuntia. L‟analisi dei 20 semenzali di „Bianca‟ x O.

amyclaea è stata effettuata per facilitare la distinzione tra i profili allelici e le stutter bands.

Degli 8 loci SSR, Opuntia3 non è riuscito a generare prodotti di amplificazione in un

piccolo gruppo costituito da 7 genotipi (O. quimilò, O. cochenillifera, O. streptacantha, „93-

042‟, „R6‟,‟ 2.10.58‟, „24‟). La mancata amplificazione potrebbe essere stata causata da

mutazioni a livello del locus microsatellite o del sito di appaiamento dei primer. Le altre

coppie di primer hanno generato ampliconi in tutti i genotipi analizzati.

Dall‟osservazione degli elettroferogrammi ottenuti in seguito ad amplificazione ed

elettroforesi capillare, è stato riscontrato un numero di alleli variabile da 1 a 8 e

corrispondente al livello di ploidia dei singoli campioni (Tabella 5); il minor numero di alleli

è stato mostrato dalle specie certamente diploidi (O. cochenillifera ed O. quimilò) ed il più

alto è stato ottenuto dalle varietà coltivate, generalmente ottaploidi. Inoltre, 48 tra i 62

genotipi analizzati hanno mostrato una media di alleli per locus superiore a 4 (Tabella 5)

confermando l‟elevato livello di ploidia della gran parte degli individui analizzati.

OPs24OPs9 OP12 OP9

Hyb

rid

Ro

ssa

Figura 17. Amplificazioni ripetute di 4 loci in due genotipi („Hybrid ‟ e „Rossa‟)

Page 69: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

65

Tabella 5. Numero di alleli ottenuti ed eterozigosi osservata per ogni genotipo analizzato

Genotipo N° di alleli N° medio

di alleli

N° di alleli

unici H*

1251 2-8 4,25 - 100,0

Texas 1-8 4,75 - 87,5

O. megacantha 1-7 4,25 - 87,5

Niagra 1-7 4,50 - 100,0

Castillo 2-7 4,50 - 100,0

Gymno carpo 2-8 4,88 - 100,0

Skinners court 1-6 4,00 1 87,5

Hybrid 1-8 4,75 - 87,5

Japie 2-8 4,88 - 100,0

Kenya-I 2-8 4,88 - 100,0

Kenya-II 2-7 4,75 - 100,0

O. streptacanta 2-8 4,86 - 100,0

Jerico 2-8 5,13 - 100,0

O. joconostle 1-7 4,13 2 87,5

93-034 1-8 3,88 - 75,0

93-037 2-7 3,75 - 100,0

O. vulgaris 1-6 2,75 2 75,0

93-042 0-7 4,43 - 100,0

O. subulata 1-4 2,50 5 62,5

O. spinulifera 1-6 3,25 7 87,5

O. oligacantha 1-6 3,38 - 87,5

O. elizondoana 29 1-5 2,50 - 50,0

O. leucotricha 2-7 4,38 5 100,0

O. elizondoana 31 1-3 1,88 1 62,5

O. cochenillifera 0-2 1,29 1 28,6

O. quimilo' 0-2 1,43 1 42,9

O. amiclea mexican 1-5 3,88 - 87,5

Fusicaulis 1-7 4,13 - 87,5

Reyna (sin. Alfajayucan) 1-5 3,88 - 75,0

R6 0-8 4,75 1 100,0

Cristalina 1-8 4,63 - 87,5

Amarilla 1-8 4,88 - 87,5

2.03.01 1-7 4,25 - 87,5

Naranjona (sin. Pico chulo) 1-7 4,25 - 75,0

Rosalito (sin. Roja lisa, Roja pelona) 2-5 3,63 - 100,0

Burrona 1-7 4,50 - 87,5

Copadeoro 1-8 4,63 - 75,0

Apastillada 3-6 4,75 - 100,0

AV 1-7 4,50 - 87,5

ARL 1-7 4,38 1 87,5

Roja CNF 1-6 4,00 - 87,5

Centenario (sin. Amarilla montesa o

Amarilla huesuda) 1-7 4,63 - 87,5

2.10.58 0-8 5,14 - 100,0

Page 70: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

66

Tabella 5. Segue

Genotipo N° di alleli N° medio

di alleli

N° di alleli

unici H*

Liria 1-6 4,13 - 75,0

Fafajuco (sin. Blanca de san jose, Blanca

de castilla) 2-7 4,00 - 100,0

24 0-7 4,86 1 100,0

Amarilla grande 2-6 4,38 - 100,0

Rossa trunzara1 2-8 4,75 - 100,0

Bianca trunzara1 2-8 4,75 - 100,0

O. amyclaea 23 2-7 4,38 - 100,0

Inerme 1-8 4,13 - 87,5

Linosa 2-8 4,88 - 100,0

Militello 2-8 5,00 - 87,5

O. amyclaea 27 2-7 4,38 - 100,0

Cuore 2-8 4,88 - 100,0

Bianca sorba 2-7 4,75 - 100,0

Bianca trunzara2 2-8 4,75 - 100,0

Gialla trunzara 2-8 4,75 - 100,0

Gialla 2-8 4,88 - 100,0

Rossa 2-8 4,88 - 100,0

Rossa trunzara2 2-8 4,88 - 100,0

O. robusta 1-5 2,88 3 87,5 * eterozigosi osservata (percentuale di loci eterozigoti)

I loci SSR hanno manifestato un elevato livello di polimorfismo, con un numero medio

di 16,9 alleli per ogni locus (Tabella 4). Prendendo in esame l‟indice PIC (Polymorphism

Information Content), che indica il livello di polimorfismo di un dato marcatore e quindi la

sua capacità di discriminazione, risulta che i loci SSR più informativi siano stati Ops24

(0,25), Opuntia9 (0,23), Ops9 (0,22) e Opuntia13 (0,21) (Tabella 4). Sebbene i microsatelliti

siano marcatori codominanti, l‟analisi di diversità genetica si è basata sulla presenza/assenza

degli alleli e non sul calcolo delle frequenze alleliche. Tale scelta, sebbene riduca il livello di

informazioni ottenute dall‟analisi di ciascun locus, si è resa necessaria a causa del diverso

grado di ploidia delle specie di Opuntia e dell‟elevata ploidia della maggioranza dei genotipi

coltivati, che non ha consentito una stima accurata della frequenza allelica.

Com‟è possibile osservare dal dendrogramma Neighbor joining (Figura 18), costruito a

partire da una matrice di similarità basata sul coefficiente “shared alleles”, l'analisi svolta ha

permesso di generare un numero di marcatori polimorfici tali da permettere la discriminazione

della maggior parte dei genotipi analizzati. Alcune eccezioni sono rappresentate da un gruppo

costituito da 5 genotipi siciliani („Rossa‟, „Rossa trunzara2‟, „Gialla‟, „Cuore‟, „Linosa‟) e 3

Page 71: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

67

provenienti dalla collezione israeliana („Gymnocarpo‟, „Japie‟ e „Kenia1‟). Inoltre, non è stato

possibile distinguere i due cloni di „Bianca trunzara‟ da „Gialla trunzara‟, l‟accessione

siciliana „Bianca sorba‟ dall‟accessione „Kenia2‟ ed i due cloni di Opuntia amyclaea („O.

amyclaea 23‟ ed „O. amyclaea 27‟).

L‟analisi boostrap eseguita con il software PAUP versione 4.0b10 per stimare il grado

di correttezza delle ramificazione, ha evidenziato i limiti del dendrogramma Neighbor joining

ottenuto. Solo una parte delle ramificazioni è stata supportata dall‟analisi ottenendo dei valori

di bootstrap superiori al 50% (Figura 18); questo probabilmente è dovuto alla presenza di

diversi ibridi che potrebbero far parte di cluster differenti.

Per superare i limiti del dendrogramma e per rendere ancora più chiara la

rappresentazione grafica della diversità genetica presente all‟interno della nostra collezione, è

stata eseguita un‟analisi con il metodo NeighborNet (Bryant e Moulton, 2004). Il network

filogenetico (Figura 19), basato sul coefficiente di Dice, conferma che la maggior parte delle

specie affini ad O. ficus indica (O. robusta, O. elizondoana, O. spinulifera, O. vulgaris, O.

quimilò, O. oligacantha, O. joconostle, O. cochenillifera, O. leucotrica ed O. subulata) sono

nettamente separate dalle varietà coltivate. Nel caso dei genotipi coltivati, è evidente la

presenza di linee perpendicolari alle ramificazioni che vanno a formare delle reti, che, rispetto

all‟albero filogenetico, indicano con migliore risoluzione le relazioni esistenti tra la varietà.

In entrambi i casi, le accessioni classificate come O. ficus indica, O. amyclaea, O.

megacantha, O. streptacantha ed O. fusicaulis, formano un cluster principale diviso in

sottogruppi che non coincidono con l‟attuale classificazione tassonomica. Inoltre, i

raggruppamenti non suddividono i genotipi in base alla spinescenza, che è stata considerata

come una caratteristica distintiva ai fini della classificazione tassonomica (Britton e Rose,

1963; Scheinvar, 1995; Reyes-Aguero et al., 2005). Le varietà messicane mostrato un elevato

livello di diversificazione e si vanno a collocare in diversi cluster. Per quanto riguarda le

varietà senza spine siciliane, esse manifestano una base genetica molto ristretta e sono

strettamente correlate ad altre accessioni senza spine come „Jerico‟, „Kenya1‟, „Kenia2‟,

„Gymnocarpo‟ e „Texas‟ ed ai due cloni di O. amyclaea; ciò risulta particolarmente evidente

nell‟analisi NeighborNet. Altri genotipi senza spine, tra cui „Inerme‟, „Skinners court‟,

„Castillo‟ e „Rosalito‟, divergono dal principale gruppo di cultivar inermi; questo conferma

l'ipotesi di Griffith (2004) secondo la quale le varietà senza spine potrebbero derivare da pool

genetici differenti.

Page 72: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

68

Figura 18. Dendrogramma Neighbor join ing. I numeri in corrispondenza delle ramificazioni rappresentano

valori di bootstrap superiori al 50%. I colori indicano le d ifferenti aree di campionamento (verde = Italia, rosso =

Messico, blu = Israele). I nomi sottolineati rappresentano le varietà coltivate. La presenza delle spine è indicata

dagli asterischi (* = bassa; ** = media, *** = alta)

0.1

Kenya-IJapieGymno carpoGiallaRossaLinosaRossa trunzara 2Cuore

Kenya-IIBianca sorba

Jerico

Bianca trunzara 1Bianca trunzara 2Gialla trunzara

Rossa trunzara 1Texas

MilitelloO. amyclaea 27**O. amyclaea 23**

HybridR6**

1251ARL

Niagra

Centenario**Amarilla**

Burrona***AV***

93-034*Naranjona**

Copadeoro**Fafajuco**

Cristalina**2.3.1**

Roja CNF24***

Liria**Amarilla grande

ApastilladaReyna***

O. amyclaea mexican*O. megacantha*2.10.58**

Skinners courtO. fusicaulis

InermeRosalito

93-037O. streptacantha

Castillo93-042

O. leucotricha**O. oligacantha***

O. joconostle**O. quimilò*

O. cochenillifera*O. elizondoana 31

O. spinulifera***O. elizondoana 29***

O. vulgarisO. robustaO. subulata**

96

96

78

7999

100

50

78

9162

87

99

90

69

61

Specie affini

al ficodindia

Accessioni

coltivate ed altri

genotipi di

origine non

conosciuta

Page 73: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

69

Kenya-I

Gymno carpo

Rossa

LinosaRossa trunzara 2CuoreKenya-IIBianca sorbaJericoBianca trunzara 1Bianca trunzara 2Gialla trunzaraRossa trunzara 1TexasMilitelloO. amyclaea 27O. amyclaea 23

Hybrid

R6

1251ARL

Niagra

CentenarioAmarilla

BurronaAV

93-034NaranjonaCopadeoro

Fafajuco

Cristalina

2.3.1

Roja CNF

Liria

Amarilla grande Apastillada

ReynaO. amyclaea mexican

O. megacantha2.10.58

Skinners courtO. Fusicaulis

Inerme

Rosalito93-037

O. streptacantha

Castillo93-042

O. leucotricha

O . oligacanthaO. joconostle

O. quimilòO. cochenillifera

O. elizondoana 31O. spinulifera

O. elizondoana 29

O. vulgaris

O. robusta

O. subulata 24

0,1

Gialla

Japie

Figura 19. Albero ottenuto con l‟analisi NeighborNet

Page 74: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

70

A causa di eventi di ibridazione, sia di origine naturale che artificiale, all‟interno del

genere Opuntia, come riportato da vari autori (Wang et al., 1996; Griffith, 2004; Reyes-

Aguero et al., 2006), la costruzione del dendrogramma e del network, entrambi basati su

indici di similarità genetica, non è bastata per rivelare pienamente le relazioni tra i genotipi

presi in esame. È stata condotta quindi un‟analisi di inferenza Bayesiana attraverso il software

Structure, per assegnare probabilisticamente le accessioni analizzate a diverse popolazioni e

per mettere in evidenza eventuali fenomeni di ibridazione intra- ed inter-specifca. Anche se

non è possibile conoscere il numero di popolazioni (K) a cui attribuire le diverse accessioni,

Pritchard et al. (2000) hanno suggerito di calcolare la probabilità a posteriori di K [Pr (X | K)]

come guida per scegliere il più appropriato valore di K, cioè quello che assume il valore della

probabilità a posteriori più alto. Nella nostra stima della probabilità a posteriori per valori di

K compresi tra 1 e 14, il valore maggiore (0.768525) è stato ottenuto per K = 8 (Tabella 6).

Quindi, un numero di popolazioni pari ad 8 è stato considerato come il più appropriato per

costruire un modello di struttura delle popolazioni del germoplasma preso in esame.

Tabella 6. Valori della probabilità a posteriori [(Pr (X | K)] per K da 1 a 14

K Pr (X|K)

1 ~0.0 2 1,1E-210

3 3E-162 4 2,1E-111 5 1E-158

6 1E-158 7 2,52E-68

8 0,768525 9 0,231475 10 2,8E-199

11 1,1E-145 12 ~0.0

13 ~0.0 14 ~0.0

Nel bar plot (Figura 20) ottenuto mediante Structure, è possibile notare che le specie

affini al ficodindia ricadono in 3 popolazioni chiaramente separate dalle accessioni coltivate.

Nello specifico, la popolazione numero 6 include 7 specie affini (O. quimilò, O.

cochenillifera, O. elizondoana, O. robusta, O. subulata, O. spinulifera e O. vulgaris), il

raggruppamento numero 7 include solo O. leucotricha ed il numero 8 comprende O.

Page 75: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

71

joconostle ed O. oligacantha. Queste specie hanno mostrato un diverso grado di commistione,

che può essere dovuto al basso numero di genotipi inclusi nell‟analisi (uno o due genotipi per

ogni specie). Tuttavia, va notato che la maggior parte di questi genotipi ha generato degli

alleli unici che li hanno distinti nettamente dalle accessioni coltivate (Tabella 5). Le restanti 5

popolazioni includono le accessioni di ficodindia e le specie O. amyclaea, O. megacantha, O.

streptacantha e O. fusicaulis (Figura 20). Come nel caso delle analisi basate sulle distanze

genetiche, l‟analisi Bayeasiana non distingue nettamente le accessioni di O. ficus indica da

quelle delle altre specie coltivate, confermando ancora una volta l‟inconsistenza di alcune

classificazioni tassonomiche che distinguono le accessioni coltivate in specie distinte. Inoltre,

l‟analisi con il software Structure ha evidenziato con maggiore efficacia la possibile presenza

di eventi di ibridazione sia naturale che artificiale; é chiaro l‟esempio delle accessioni

„Hybrid‟ e „2.10.58‟, provenienti rispettivamente dal campo collezione israeliano e

messicano, probabilmente derivanti da programmi di breeding.

Figura 20. Bar p lot che assegna i 62 genotipi ad 8 differenti popolazioni

Accessioni coltivate ed altri genotipi di origine non conosciuta

Ke

nya

-I

Jeri

co

O. s

ub

ula

ta

O. e

lizo

nd

oa

na 3

1

Ke

nya

-II

Gim

no

carp

o

O. q

uim

ilò

O. c

och

enil

lifer

a

Jap

ie

Texa

s

O. e

lizo

nd

oa

na 2

9

O. s

pin

uli

fera

O. v

ulg

ari

s

Hyb

rid

12

51

Skin

ne

rs c

ou

rt

O. j

oco

no

stle

O. o

lig

aca

nth

a

O. a

myc

laea

mex

ican

93

-03

4

93

-04

2C

asti

llo

O. s

trep

taca

ntha

O. m

ega

can

tha

O. l

euco

tric

ha

Nia

gra

93

-03

7

O. f

usi

cau

lis

Re

yna

R6

Cri

stal

ina

Am

aril

la

2.3

.1

Nar

anjo

na

Ro

sali

to

Bu

rro

na

Co

pad

eo

ro

Ap

asti

llad

a

AV

AR

L

Ro

ja C

NF

Ce

nte

nar

io

2.1

0.5

8

Liri

a

Fafa

juco

24

Am

aril

la g

ran

de

Ro

ssa

tru

nza

ra 1

Bia

nca

tru

nza

ra 1

O. a

myc

laea

23

Ine

rme

Lin

osa

Mil

ite

lloO

. am

ycla

ea 2

7

Cu

ore

Bia

nca

so

rba

Bia

nca

tru

nza

ra 2

Gia

lla

tru

nza

raG

iall

a

Ro

ssa

Ro

ssa

tru

nza

ra 2

O. r

ob

ust

aSpecie affini al

f icodindia

1 2 3 4 5 6 7 8

Page 76: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

72

3. PROPAGAZIONE IN VITRO E VERIFICA DELLA TRUE TO TYPENESS CON

MARCATORI AFLP

3.1. Micropropagazione

Il protocollo utilizzato per la sterilizzazione dei cladodi si è dimostrato adeguato, infatti

sono il 5% circa degli espianti messi in coltura è andato perso a causa di inquinamento del

mezzo di coltura.

Dopo circa 3 settimane dalla messa in coltura degli espianti, sono apparsi i primi

germogli emessi dalle areole. Al termine delle 6 settimane della fase di induzione, circa il

90% degli espianti messi in coltura hanno prodotto uno o più germogli. Per ciascuna delle 4

piante madri (varietà „Bianca‟, „Gialla‟, „Rossa‟ ed Opuntia amyclaea) sono stati selezionati

50 germogli; essi una volta separati dall‟espianto di partenza, sono stati posti su terreno di

coltura fresco delle medesime condizioni. Tali espianti hanno manifestato una buona

attitudine alla morfogenesi ed alla moltiplicazione originando nuovi germogli. Sono state

riscontrate differenze sia per il numero di germogli che hanno accestito che per il numero di

nuovi germogli ottenuti (Tabella 7). In particolare, la varietà „Rossa‟ è stata quella che ha

ottenuto il più alto indice di accestimento con l‟82% dei germogli accestiti, seguita dalla

„Gialla‟ con il 78%, O. amyclaea con il 70% e „Bianca‟ con il 68%. Per quanto concerne il

numero di nuovi germogli ottenuti per singolo espianto, la cultivar „Gialla‟ si è dimostrata la

più prolifica con una media di 3,54 germogli, seguita da O. amyclaea (3,15), „Rossa‟ (2,9) e

„Bianca‟ (2,75).

Tabella 7. Risposta delle varietà „Bianca‟, „Gialla‟ e „Rossa‟ e di O. amyclaea alla fase di molt iplicazione

Bianca Gialla Rossa O. amyclaea

Numero di germogli subcolturati 50 50 50 50

Numero germogli accestiti 34 39 41 35

Percentuale germogli accestiti 68 78 82 70

Numero medio di germogli per ogni

accestimento 2,74 3,54 2,9 3.23

Totale nuovi germogli ottenuti 93 138 119 113

Tutti i germogli ottenuti nella fase di propagazione sono stati trasferiti su substrato di

radicazione dove in 4 settimane hanno originato un soddisfacente apparato radicale (Figura

Page 77: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

73

21). Nell‟arco di 4 mesi si è quindi giunti all‟ottenimento di un elevato numero di piantine

complete di apparato radicale e pronte per essere trasferite in vaso e sottoposte alla fase di

acclimatazione. Quest‟ultima, che si è svolta in camera coprendo la pianta con un apposito

sacchetto di plastica che è stato aperto in modo graduale al fine di abituare la pianta alle

condizioni di umidità relativa esterne, non ha presentato particolari difficoltà permettendo di

acclimatare il 90% delle piante provenienti dalla fase di radicazione.

Figura 21. Piantine con un buon apparato radicale pronte per essere trasferite in vaso

3.2. Analisi con AFLP

L‟analisi molecolare, rivolta all‟accertamento della true to typeness, condotta con la

tecnica AFLP, ha riguardato i cloni ottenuti attraverso propagazione in vitro da piante madri

di „Bianca‟, „Gialla‟, „Rossa‟ ed Opuntia amyclaea; l‟obiettivo è stato quello di verificare la

presenza o meno di eventuale variabilità genetica insorta in seguito a fenomeni di mutazione

che possono essere indotti dalla coltura in vitro. I marcatori AFLP, soprattutto negli ultimi 10

anni, sono stati ampiamente utilizzati per la verifica della true to typeness in varie specie

coltivate (Hornero et al., 2001; Chuang et al., 2009; Gagliardi et al., 2007); in Opuntia l‟unico

lavoro per valutare la stabilità genetica di piantine propagate in vitro è stato eseguito con

marcatori RAPD (Zoghlami et al., 2011).

Page 78: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

74

Le 15 combinazioni di primer utilizzate (Tabella 8) hanno generato prodotti di

amplificazione in tutti i campioni analizzati ed inoltre hanno fornito elettroferogrammi di

facile interpretazione. È stata presa in considerazione la presenza/assenza dei picchi

chiaramente distinguibili presenti in un range compreso tra 50 e 500 paia di basi. La tecnica

AFLP ha permesso di generare un numero totale di 952 marcatori (Tabella 8) con una media

di 63,5 marcatori per ogni combinazione di primer.

Tra i 952 alleli identificati, nessuno è risultato polimorfico nella comparazione tra i

cloni e le piante madri. L‟elevato numero di marcatori generati, dovrebbe escludere con buona

probabilità l‟eventuale comparsa di variabilità somaclonale indotta dal protocollo di

micropropagazione.

Sulla base dei risultati ottenuti, si ritiene quindi che il protocollo utilizzato per la

micropropagazione in vitro possa essere impiegato per l‟ottenimento di piante true to type. Ad

ogni modo non è possibile affermare con assoluta certezza che le piante clonate posseggano lo

stesso patrimonio genetico delle piante madri, visto che l‟analisi AFLP non ha analizzato il

genoma completo ma solo una porzione di esso, e che tale analisi non permette di identificare

variazioni epigenetiche che sono solite manifestarsi nelle colture in vitro (Miguel e Marum,

2011).

Tabella 8. Elenco delle 15 combinazioni di primer utilizzate e numero di marcatori generati

Combinazioni di primer Numero di marcatori

E-AGC/M-CAA 89

E-AGC/M-CAC 73

E-AGC/M-CAG 65

E-AGC/M-CCT 72

E-AGC/M-CTG 71

E-ACC/M-CAA 54

E-ACC/M-CAC 61

E-ACC/M-CAG 46

E-ACC/M-CCT 63

E-ACC/M-CTG 52

E-ACT/M-CAA 59

E-ACT/M-CAC 56

E-ACT/M-CAG 68

E-ACT/M-CCT 60

E-ACT/M-CTG 63

Totale 952

Media 63,5

Page 79: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

75

Facendo un confronto tra i cloni ottenuti dalle piante madri di „Bianca‟, „Gialla‟ e

„Rossa‟ non è stato possibile riscontrare polimorfismi il ché conferma la ristretta base genetica

esistente tra le 3 cultivar siciliane già evidenziata dalla caratterizzazione molecolare effettuata

con marcatori SSR. Differenze sono state individuate invece tra le piantine clonali delle

varietà siciliane e quelle ottenute da O. amyclaea; queste ultime, sono distinguibili per

l‟assenza di 7 marcatori (Tabella 9) (Figura 22).

Tabella 9. Marcatori polimorfici presenti nelle tre cult ivar siciliane ed assenti in Opuntia amyclaea

Combinazioni di primer Marcatori polimorfici (bp)

E-AGC/M-CAG 248

E-AGC/M-CAG 488

E-AGC/M-CTG 317

E-ACT/M-CCT 277

E-ACT/M-CCT 279

E-ACT/M-CTG 92

Figura 22. Porzioni d i elettroferogrammi d i „Bianca‟, „Gialla‟, „Rossa‟ ed O. amyclaea a confronto. La freccia

indica il marcatore polimorfico E-AGC/M-CTG 317 presente nelle 3 cult ivar siciliane ed assente in O.

amyclaea

Page 80: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

76

CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE

Durante i tre anni di dottorato di ricerca sono state intraprese varie linee di ricerca, in

parte basate sull‟utilizzo di biotecnologie innovative, per lo studio del ficodindia (Opuntia

ficus indica (L.) Mill.), una specie considerata minore ma che per la nostra regione possiede

un elevato valore non solo dal punto di vista economico ma anche sotto l‟aspetto

paesaggistico e culturale.

La prima linea di ricerca ha permesso di ottenere ibridi tra le varietà siciliane „Bianca‟ e

„Rossa‟ e tra „Bianca‟ ed O. amyclaea. I protocolli utilizzati per le operazioni di

impollinazione incrociata e germinazione dei semi, rispettivamente descritti da Mondragon-

Jacobo et al. (1996) e Altare et al. (2006), hanno dato soddisfacenti risultati permettendo di

ottenere 85 ibridi che, dopo una fase di acclimatazione e crescita iniziale in serra, sono stati

messi a dimora in un apposito campo dell‟Azienda Sperimentale dell‟ Università di Catania.

Tali semenzali saranno in seguito valutati per le caratteristiche qualitative dei loro frutti.

Un‟altra linea di ricerca ha avuto come obiettivo la costituzione di un campo collezione

tramite il reperimento e l‟introduzione di germoplasma autoctono ed alloctono rappresentato

da varietà coltivate, accessioni selvatiche e specie affini al ficodindia. Il campo, realizzato

presso l‟azienda sperimentale dell‟Università di Catania, risulta costituito da 62 accessioni

appartenenti a 16 specie differenti. Per indagare e comprendere il livello di diversità genetica

esistente all‟interno del germoplasma reperito, che può rivelarsi utile al fine di impostare

futuri programmi di incrocio, è stata eseguita un‟analisi con marcatori microsatelliti SSR ed

EST-SSR. Le differenze tra i profili SSR ottenuti sono state analizzate con due metodi basati

su indici di similarità, Neighbor joining e NeighborNet, che hanno fornito una panoramica

delle variazioni genetiche, esistenti tra i genotipi analizzati e con un‟analisi Bayesiana che ha

rivelato ulteriori informazioni per quanto riguarda la diversificazione e il grado di

commistione tra diversi pool genici. I raggruppamenti ottenuti dalle tre analisi si discostano

chiaramente dall‟attuale classificazione tassonomica che suddivide le diverse specie di

Opuntia sulla base di parametri morfologici. In particolare, la spinescenza è stata considerata

una caratteristica distintiva per l‟assegnazione dei genotipi a delle determinate specie sia nelle

prime classificazioni tassonomiche (Britton e Rose, 1963) che in quelle più recenti

(Scheinvar, 1995; Reyes-Aguero et al., 2005). In realtà, alcuni caratteri fenotipici, tra cui

proprio la presenza/assenza delle spine, mostrano una grande variabilità nelle progenie e

possono essere diversi da quelli delle piante madri (Nieddu et al., 2006). In accordo con

Page 81: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

77

Chessa e Nieddu (1997), la variabilità di alcuni caratteri morfologici potrebbe essere dovuta a

differenti livelli di espressione dei geni codificanti per tali caratteri, così come a fattori

epigenetici ed ambientali (Labra et al., 2003). Sebbene la maggior parte delle specie

selvatiche di Opuntia (O. robusta, O. elizondoana, O. spinulifera, O. vulgaris, O. quimilò, O.

oligacantha, O. joconostle, O. cochenillifera, O. leucotrica ed O. subulata) siano raggruppate

in cluster nettamente distinti da Opuntia ficus indica, i genotipi classificati come O.

amyclaea, O. megacantha, O. fusicaulis, O. albicarpa ed O. streptacantha, risultano

strettamente correlati con le varietà di ficodindia coltivate. L‟analisi condotta, in accordo con i

risultati di lavori precedenti basati su marcatori molecolari (Wang et al., 1998; Labra et al.,

2003; Griffith et al., 2004), dimostra chiaramente che l‟attuale classificazione tassonomica sia

in parte inesatta. Un‟esempio emblematico dell‟erronea classificazione tassonomica è

rappresentato dalle accessioni di O. amyclaea. Sulla base delle analisi effettuate, sembra

chiaro che tali genotipi non siano altro che semenzali di varietà coltivate. Di conseguenza, le

tecniche molecolari sono sicuramente gli strumenti più appropriati per valutare il reale livello

di diversità genetica esistente in collezioni di germoplasma di Opuntia e per superare i limiti

delle classificazioni tassonomiche basate unicamente su caratteri fenotipici Tali analisi

dovrebbero rappresentare un prerequisito per la pianificazione di programmi di incrocio al

fine di sfruttare nel miglior modo possibile la variabilità esistente.

La maggior parte dei genotipi senza spine inclusi in questa analisi hanno mostrato una

ristretta base genetica ed alcuni di loro non sono stati discriminati. Nonostante essi producano

frutti che presentano una colorazione differente, i profili SSR di questi genotipi sono simili

non solo in termini di presenza/assenza di picchi, ma anche in termini di dosaggio allelico

osservato ad ogni picco, che dovrebbe variare in caso di avvenuta ricombinazione. Si può

quindi ipotizzare che tali differenze fenotipiche siano il risultato di mutazioni somatiche

verificatesi in diverse regioni di coltivazione. Altre accessioni inermi sembrano essere

chiaramente separate dal gruppo precedente, indicando che il carattere della spinescenza si sia

probabilmente manifestato più volte durante l'evoluzione del genere e che potrebbe essere

stato selezionato da diverse popolazioni. Di fatto, l'ipotesi di Griffith (2004), che considera la

specie O. ficus indica come un gruppo di cloni indipendenti ottenuti da diversi ancestrali e

selezionati sulla base di caratteristiche agronomiche favorevoli, sembra essere supportata

dall‟analisi condotta con SSR.

Oltre alla stima della variabilità genetica, il genotyping attraverso SSR si presta come

uno strumento rapido ed efficace per la distinzione tra genotipi apomittici, che presentano

Page 82: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

78

profili allelici identici alla pianta madre in termini di peso molecolare e dosaggio allelico, e

genotipi zigotici, che presentano profili segreganti; gli SSR potranno quindi essere utili in

futuri programmi di incrocio al fine di selezionare gli individui ibridi e scartare quelli

apomittici.

La terza linea di ricerca ha avuto come obiettivo la propagazione in vitro di piante a

partire dalle tre principali varietà siciliane, „Bianca‟, „Rossa‟ e „Gialla‟, e da Opuntia

amyclaea. Il protocollo impiegato, messo a punto da Estrada-Luna et al. (2008), si è rivelato

idoneo a tale scopo permettendo in breve tempo di ottenere un buon numero di cloni dalle

piante madri. Tali cloni sono stati poi valutati con la tecnica AFLP per verificarne la true to

typeness. Le 15 combinazioni di primer, pur generando un elevato numero di marcatori, non

hanno evidenziato differenze tra il materiale micropropagato e le piante madri; il materiale

micropropagato dimostrerebbe quindi un discreto livello di stabilità genetica. Tuttavia, non si

può affermare con certezza che i cloni ottenuti siano geneticamente identici alle piante madri

poiché è stata indagata solo una porzione dell‟intero genoma. Inoltre, è noto che le colture in

vitro inducano variabilità a livello dell‟epigenoma, dovuta soprattutto ad eventi di metilazione

del DNA (Miguel e Marum, 2011). Tali modificazioni non possono essere individuate

attraverso la tecnica AFLP. Sarà opportuno, quindi, eseguire ulteriori analisi con tipologie

diverse di marcatori, quali gli MSAP (Methylation Sensitive Amplified Polymorphism) (Xiong

et al., 1999), capaci di identificare polimorfismi dovuti a metilazione a livello della citosina,

al fine di stabilire con certezza la true to typeness delle piante micropropagazione. Il

protocollo di micropropagazione utilizzato, associato all‟impiego di tecniche molecolari

innovative per l‟individuazione di eventuali mutazioni, potrà essere impiegato per la

moltiplicazione rapida di germoplasma reperito in varie aree del mondo e di piante ottenute in

seguito a programmi di miglioramento genetico.

Page 83: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

79

BIBLIOGRAFIA

Al-Ahmad M., Hughes H. e Safadi F. (1998). Studies on stomatal function, epicuticular wax

and stem-root transition region of polyethylene glycoltreated and non treated in vitro

grape plantlets. In vitro Cell Dev. Biol. 34: 1-7

Alberghina O. (1994). La configurazione tecnico colturale della fichindicoltura siciliana.

Informatore agrario32: 37-44

Altare M., Trione S., Guevara J.C., e Cony M. (2006). Stimulation and Promotion of

Germination in Opuntia ficus-indica Seeds. Journal of the Professional Association for

Cactus Development 8: 91-100

Anderson E.F. (2001).The cactus family. Timber, Portland, Oregon, USA

Arguilar B.A. (1987). Efecto de la aplicacion de acido giberelico (GA3) y urea en el fruto del

nopal (Opuntia amychlaea Tenore). Master‟s Thesis, Colegio de Postgraduados,

Chapingo, Messico

Ault J.R. e Blackmon W.J. (1987). In vitro propagation of Ferocactus acanthodes (cactaceae).

Horticultural Science 22: 126-127

Baker M.A. (2002). Chromosome numbers and their significance in some Opuntioideae and

Cactoideae (Cactaceae) of mainland Ecuador and Peru. Haseltonia 9: 69-77

Barbera G., Carimi F. e Inglese P., (1991). The reflowering of prickly pear Opuntia ficus-

indica (L.) Miller: influence of removal time and cladode load on yield and fruit

ripening. Advances in Horticultural Science 2:77-80

Barbera G. e Inglese P. (1993). La Coltura del Ficodindia. Calderini, Bologna: Edagricole, pp.

219

Barbera G. e Inglese P. (2001). Ficodindia, Parma, L'Epos, 2001, pp. 220

Barbera G., Inglese P. e La Mantia T. (1994). Influence of seed content on some

characteristics of the fruit of cactus pear (Opuntia ficus indica Mill.). Scientia

Horticulturae 58: 161-165

Barcaccia G. e Falcinelli M., (2006). Genetica e genomica – Vol. III Genetica e Genomica,

Liguori Editore, Napoli

Page 84: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

80

Barkley N.A., Roose M.L., Krueger R.R. e Federici C.T. (2006). Assessing genetic diversity

and population structure in a citrus germplasm collection utilizing simple sequence repeat

markers (SSRs). Theoretical and Applied Genetics 112:1519-1531

Basile F. (2001). Economic Aspects of Italian Cactus Pear Production and Market. Journal of

the Professional Association for Cactus Development 4: 31-46

Botstein D., White R.L., Skolnick M. e Davis R.W. (1980). Construction of a genetic linkage

map in man using restriction fragment length polymorphism. American Journal of

Human Genetics 32: 314-331

Bouck A. e Vision T. (2007). The molecular ecologist's guide to expressed sequence tags.

Molecular Ecology 16: 907-924

Britton N.L. e Rose J.N. (1963). The Cactaceae. Vol. 1. Dover Publications Inc., New York

Bryant D. e Moulton V. (2004). Neighbor-Net: an agglomerative method for the construction

of phylogenetic networks. Moleular Biologi and Evolution 21: 255-265

Caruso M., Federici C.T. e Roose M.L. (2008). EST–SSR markers for asparagus genetic

diversity evaluation and cultivar identification. Molecular Breeding 21: 195-204

Casas A. e Barbera G. (2002). Mesoamerican domestication and diffusion. In: Cacti: biology

and uses (Nobel P.S., ed), University of California Press, Berkeley, pp.143-162

Chapman B., Mondragon-Jacobo C., Bunch R.A. e Paterson A.H. (2002). Breeding and

Biotechnology. In: Cacti, Biology and use (Nobel P.S, ed), University of California

Press, Berkeley, pp. 255-272

Chavez-Moreno C.K., Tecante E.A. e Casas E.A. (2009). The Opuntia (Cactaceae) and

Dactylopius (Hemiptera:Dactylopiidae) in Mexico: a historical perspective of use,

interaction and distribution. Biodiversity and Conservation 18: 3337-3355

Chen C., Zhou P., Choi Y.A., Huang S. e Gmitter F.G. (2006). Mining and characterizing

microsatellites from citrus ESTs. Theoretical and Applied Genetics 112: 1248-1257

Chen C., Bowman K.D, Choi Y.A., Dang P.M., Rao M.N., Huang S., Soneji J.R., McCollum

T.G. e Gmitter F.G. (2008). EST-SSR genetic maps for Citrus sinensis and Poncirus

trifoliata. Tree Genetics & Genomes 4: 1-10

Chessa I. e Nieddu G. (1997). Descriptors for cactus pear (Opuntia spp). CACTUSNET – FAO

Newsletter Special Issue, pp. 39

Page 85: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

81

Chuang S.J., Chen C.L., Chen J.J., Chou W.Y. e Sung J.M. (2009). Detection of somaclonal

variation in micro-propagated Echinacea purpurea using AFLP marker. Scientia

Horticulturae 120: 121-126

Cocking E.C. (1960). A method for the isolation of plant protoplast and vacuoles nature 187:

962-963

Damigella P. (1957). Il ficodindia e le cultivar della sicilia orientale. Tecnica agricola, Anno

X, 3: 474-502

Dangl G.S., Mendum M.L., Prins B.H., Walker M.A., Meredith C.P. e Simon C.J. (2001).

Simple sequence repeat analysis of a clonally propagated species: a tool for managing a

grape germplasm collection. Genome 44: 432-438

Deumling, (1981). Sequence arrangement of a highly methylated satellite DNA of a plant

Scilla: a tandemly repeated inverted repeat. Proceedings of the National Academy of

Sciences of the USA 78: 338-342

Devreux M. e Damiano C., (1998). Fecondazione in vitro e coltura di embrioni immaturi.

Agricoltura e Ricerca 151: 69-76

Dondini L., Pierantoni L., Gaiotti F., Chiodini R., Tartarini S., Bazzi C. e Sansavini S. (2004).

Identifying QTLs for fireblight resistance via a European pear (Pyrus communis L.)

genetic linkage map. Molecular Breeding 14: 407-418

Donkin R. (1977). Spanish red: an ethnogeographical study of cochineal and the Opuntia

cactus. Transactions of the American Philosophical Society 67: 1-77

Eames A.J. (1961). Morphology of the Angiosperm. McGraw-Hill, New York

Engelmann F. (1997). In vitro conservation methods. In: Biotechnology and plant genetic

resources (Callow J.A., Ford-Lloyd B.V., Newbury H.J., eds). CAB International,

Oxford, pp. 119-161

Escobar H.A., Villalobos V.M. e Villegas A. (1986). Opuntia micropropagation by axillary

proliferation. Plant Cell, Tissue and Organ Culture 7: 269-277

Estrada-Luna A.A., Martinez-Hernandez J., Torres-Torres M.E. e Chablé-Moreno F. (2008).

In vitro micropropagation of the ornamental prickly pear cactus Opuntia lanigera Salm–

Dyck and effects of sprayed GA3 after transplantation to ex vitro conditions. Scientia

Horticulturae 117: 378-385

Page 86: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

82

Fedorov A. (1969). Chromosome numbers of flowering plants. Komarov Botanical Institute,

Leningrad

Felker P., Rodriguez S.C., Casoliba R.M., Filippini R., Medina D. e Zapata R. (2005).

Comparison of Opuntia ficus indica varieties of Mexican and Argentine origin for fruit

yield and quality in Argentina. Journal of Arid Environments 60: 405-422

Felker P., Paterson A. e Jenderek M.M. (2006). Forage potential of Opuntia clones

maintained by the USDA National Plant Germplasm System (NPGS) collection. Crop

Science 46: 2161-2168

Fernandes J. e Saiz M.M. (1990). La chumbera como cultivo de zonas aridas. Hojas

Divulgadoras: N° 1/90, MAPA, Madrid, p. 24

Fernandez-Montes M.R., Mondragon-Jacobo C., Luna-Vazquez J., Gutierrez-Acosta F.,

Saenz-Quintero L.A., Zegbe-Dominguez J.A., Mendez-Gallegos S.D.J.e Martinez-

Gonzalez J.C. (2000). Principales Cultivares Mexicanos de Nopal Tunero. INIFAP.

CIRCE. Campo Experimental Norte de Guanajuato. Publicación Técnica Núm. 1.

Guanajuato, Messico

Fila G., Ghashghaie J., Hoarau J. e Cornic G. (1998). Photosynthesis, leaf conductance and

water relations of in vitro cultured grapevine rootstock in relation to acclimatisation.

Physiologia Plantarum 102: 411-418

Gagliardi R.F., Hanai L.R., Pacheco G., Oliveira C.A., Carneiro L.A., Montenegro Valls J.F.,

Mansur E. e Carneiro Vieira M.L. (2007). Assessment of Genetic Stability Among In

Vitro Plants of Arachis retusa Using RAPD and AFLP Markers for Germplasm

Preservation. Journal of Integrative Plant Biology, 49: 307-312

García-Zambrano E.A., Zavala-García F., Gutiérrez-Diez A., Ojeda-Zacarías M.C. e Cerda-

Hurtado I. (2009). Estimation of the genetic diversity of Opuntia spp. using molecular

markers AFLP. Phyton 78: 117-120

Gibson A.C. e Nobel P.S. (1986). The Cactus Primer. Harvard University Press, Cambridge,

Massachusetts

Goldblatt P. (1981). Index to plant chromosome numbers 1975-1978. Monographs in

Systematic Botany from the Missouri Botanical Garden 5: 1-553

Goldblatt P., Johnson D.E. (1990). Index to plant chromosome numbers 1986-1987.

Monographs in Systematic Botany from the Missouri Botanical Garden 30: 1-243

Page 87: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

83

Goldblatt P., Johnson D.E. (2006). Index to plant chromosome numbers. 2001-2003.

Monographs in Systematic Botany from the Missouri Botanical Garden 106: 106-107

Griffith M.P. (2004). The origins of an important cactus crop, Opuntia ficus-indica

(Cactaceae): New molecular evidence. American Journal of Botany 91:1915-1921

Guha S. e Maheshwari S.C. (1964). In vitro production of embryos from anthers of Datura.

Nature 204: 497

Havel L. e Kolar Z. (1983). Microexplant isolation from Cactaceae. Plant Cell, Tissue and

Organ Culture 2: 349-353

Helsen P., Verdyck P., Tye A., Desender K., Van Houtte N. e Van Dongen S. (2007).

Isolation and characterization of polymorphic microsatellite markers in Galapagos

prickly pear (Opuntia) cactus species. Molecular Ecology Notes 7:454-456

Helsen P., Verdyck P., Tye A. e Van Dongen S. (2009). Low levels of genetic differentiation

between Opuntia echios varieties on Santa Cruz (Galápagos). Plant Systematics

andEvolution 279: 1-10

Hornero J., Martınez I., Celestino C., Gallego F.J., Torres V. e Toribio M. (2001). Early

checking of genetic stability of cork oak somatic embryos by AFLP analysis.

International Journal of Plant Sciences 162:827-833

Huson D.H. e Bryant D. (2006). Application of phylogenetic networks in evolutionary

studies. Moleular Biologi and Evolution 23: 254-267

Infante R. (1992). In vitro axillary shoot proliferation and somatic embryogenesis of yellow

pitaya Mediocactus coccineus (Salm-Dyck). Plant Cell, Tissue and Organ Culture 31:

155-159

Inglese P., Barbera G., La Mantia T. e Portolano S. (1995). Crop production, growth, and

ultimate size of catus pear fruits following fruit thinning. HORTSCIENCE 30: 227-230

Inglese P., Basile F. e Schirra M. (2002). Cactus pear fruit production. In: Cacti: biology and

uses (Nobel P.S., ed.), University of California Press, Berkeley, pp. 163-183

ISTAT (2009). Tav. C23 - Superficie (ettari) e produzione (quintali): fichi d'india, nespolo

comune, sorbe.

Page 88: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

84

Jones C.J., Edwards K.J., Castaglione S., Winfield M.O., Sala F., Van de Wiel C.,

Bredemeijer G., Vosman B., Matthes M. e Daly A. (1997). Reproducibility testing of

RAPD, AFLP and SSR markers in plants by a network of European laboratories.

Molecular Breeding 3: 381-390

Kiesling R. (1998). Origen, domesticación y distribución de Opuntia ficus-indica. Journal of

the Professional Association for Cactus Development 3: 50-59

Labra M., Grassi F., Bardini M., Imazio S., Guiggi A., Citterio S., Banfi E. e Sgorbati S.

(2003). Relationships in Opuntia Mill. genus (Cactaceae) detected by molecular marker.

Plant Science 165: 1129-1136

Larkin P.J. e Scowcroft W.R. (1981). Somaclonal variation - a novel source of variability

from cell cultures for plant improvement. Theoretical and Applied Genetics 60: 197-214

Law J.R., Donini P., Koebner R.M.D., Reeves J.C. e Cooke R.J. (1998). DNA profiling and

plant variety registration. III: The statistical assessment of distinctness in wheat using

amplified fragment length polymorphisms. Euphitica 102: 335-342

Liu K. e Muse S.V. (2005). PowerMarker: an integrated analysis environment for genetic

marker analysis. Bioinformatics 21: 2128-2129

Luna-Paez A., Valadez-Moctezuma E., Barrientos-Priego A.F. e Gallegos-Vázquez C. (2007).

Characterization of Opuntia spp. by means of seed with RAPD and ISSR markers and

its possible use for differentiation. Journal of the Professional Association for Cactus

Development 9: 43-59

Meudt H.M. e Clarke A.C. (2007). Almost Forgotten or Latest Practice? AFLP applications,

analyses and advances. Trends in Plant Science 12: 106-117

Mauseth J. D. (1976). A new method for the propagation of cacti: sterile culture of axillary

buds. Cactus Succulent Journal 51: 186-187

Mauseth J.D. (1977). Cactus tissue culture: a potencial method of propagation. Cactus

Succulent Journal 49: 80-81

Miguel C. e Marum L. (2011). An epigenetic view of plant cells cultured in vitro: somaclonal

variation and beyond. Journal of Experimental Botany, 62: 3713-3725

Mondragon-Jacobo C. e Bordelon B.B. (1996). Cactus pear (Opuntia spp. Cactaceae)

Breeding for Fruit Production. Journal of the Professional Association for Cactus

Development 1: 19-35

Page 89: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

85

Mondragon-Jacobo C. e Perez-Gonzales S. (1996). Native cultivars of cactus pear in Mexico.

In: Progress in New Crops (Janick J. e Simon E., eds.). AHSS Press, Alexandria,

Virginia, pp. 446-450

Mondragon-Jacobo C. (1999). Preliminary genetic studies on cactus pear (Opuntia ssp.

Cactaceae) germplasm from Central Mexico. Ph.D Thesis, Purdue University, West

Lafayete, Indiana

Mondragon-Jacobo C. (2001). Cactus pear breeding and domestication. Plant Breeding

Reviews 20: 135-166

Mondragon-Jacobo C. (2003). Caracterización molecular mediante RAPDs de una colección

de nopal de (Opuntia spp. Cactaceae) del centro de México, como base del

mejoramiento genético. Revista Chapingo 9: 97-114

Moore R.J. (1977). Index to plant chromosome number 1967-1971. Regnum Vegetable 96: 1-

157

Morgante M., Hanafey M. e Powell W. (2002). Microsatellites are preferentially associated

with nonrepetitive DNA in plant genomes. Nature Genetics 30: 194-200

Mullis K.B., Faloona F.A., Scharf S.J., Saiki K., Horn G.T. e Herlich H.A. (1986). Specific

enzymatic amplification of DNA in vitro: The Polymerase Chain Reaction. Cold Spring

Harbor Symposia on Quantitative Biology 51: 263-273

Murashige T., Bitters W.P., Rangan T.S., Nauer E.M., Roistachek C.N. e Holliday P.B.

(1972). A technique of shoot apex grafting and its utilization towards recovering virus-

free citrus clones. Hortscience 7: 118-19

Murashige T. e Skoog F. (1962). A revised medium for rapid growth and bioassays with

tobacco cultures. Physiol. Plant 15: 473-497

Navarro L., Roistacher C.N., e Murashige T. (1975). Improvement of shoot-tip grafting in

vitro for virus-free citrus. Journal of the American society for Horticultural Science 100:

471-479

Nerd A. e Mizrahi Y. (1994). Toward seedless prickly pear. In: Proceeding of the Fifth

Annual Texas Prickly Pear Council (Felker P. e Moss J.R., eds). Kingsville, Texas, pp.

5-6

Nieddu G., Chessa I. e Barberis A. (2006). Characterization of Seedlings Obtained from Open

Pollinated „Gialla‟ Cactus Pear (Opuntia ficus-indica). Acta Horticulturae 728: 105-110

Page 90: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

86

Oetting W.S., Lee H.K., Flanders D.J. e Wiesner G.L. (1995). Linkage analysis with

multiplexed short tandem repeat polymorphisms using infrared fluorescence and M13

tailed primers. Genomics 30: 450-458

Ortiz H.Y. (1988). Efecto del acido giberelico y auxina en el fruto del nopal tunero (Opuntia

amychlaea T). Master‟s Thesis, Colegio de Postgraduados, Chapingo, Messico

Pimienta-Barrios E. e Mauricio L. (1987). Variacion en los componentes del fruto maduro

entre formas de nopal (Opuntia spp) tunero. Revista de Fitotecnica Mexicana 12: 183-

196

Pimienta-Barrios E. (1994). Prickly pear (Opuntia spp) a valuable fruit crop for the semi-arid

lands of Mexico. Journal of Arid Environments 28: 1-12

Pinkava D.J., Rebman J. e Baker M. (1998). Chromosome numbers in some cacti of western

North America-VII. Haseltonia 6: 32-41

Powell W., Morgante M., Andre C., Hanafey M., Vogel J., Tingey S. e Rafalski A. (1996).

The comparison of RFLP, RAPD, AFLP and SSR (microsatellite) markers for

germplasm analysis. Molecular Breeding 2: 225-238

Pritchard J.K., Stephens M. e Donnelly P. (2000). Inference of population structure using

multilocus genotype data. Genetics 155: 945-959

Rebman J.P. e Pinkava D.J. (2001). Opuntia cacti of North America - an overview. Fla

Entomol 84: 474-483

Reyes-Aguero J.A., Aguirre J.R. e Hernandez H.M. (2005). Systematic notes and a detailed

description of Opuntia ficus-indica (L.) Mill. (Cactaceae). Agrociencia 39: 395-408

Reyes-Aguero J.A., Aguirre R.J.R. e Valiente-Banuet A. (2006). Reproductive biology of

Opuntia: a review. Journal of Arid Environments 64: 549-585

Rozen S. e Skaletsky H. (2000). Primer3 on the WWW for general users and for biologist

programmers. Methods in Molecular Biology 132: 365-386

Rungis D., Berube Y., Zhang J., Ralph S., Ritland C.E. e Ellis B.E. (2004). Robust simple

sequence repeat markers for spruce (Picea spp.) from expressed sequence tags.

Theoretical and Applied Genetics 09: 1283-1294.

Russell C.E. e Felker P. (1987). The prickly pears (Opuntia spp., Cactaceae): a source of

human and animal food in semiarid regions. Economic Botany 41: 433-445

Page 91: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

87

Saenz-Hernandez C., Corrales-Garcia J. e Aquino-Perez G. (2002). Nopalitos, mucilage,

fiber, and cochineal. In: Cacti: biology and uses (Nobel P.S., ed.), University of

California Press, Berkeley, pp. 211-234

Saitou N. e Nei M. (1987). The neighbor-joining method: a new method for reconstructing

phylogenetic trees. Molecular Biology and Evolution 4: 406-425

Scheinvar L. (1995). Taxonomy of utilized Opuntias. In: Agroecology, Cultivation and Uses

of Cactus Pear (Barbera G., Inglese P., Pimienta-Barrios E., eds). FAO Plant Production

and Protection, Paper 132, Roma, pp. 20-27

Segura S., Scheinvar L., Olalde G., Leblanc O., Filardo S., Muratalla A., Gallegos C. e Flores

C. (2007). Genome sizes and ploidy levels in Mexican cactus pear species Opuntia

(Tourn.) Mill. Series Streptacanthae Britton et Rose, Leucotrichae DC., Heliabravoanae

Scheinvar and Robustae Britton et Rose. Genetic Resources and Crop Evolution 54:

1033-1041

Sejuro, N.O. (1990). Plantas Medicinals Utilizadas por los Curanderos de Nasca. 2nd ed.

Boletin de Investigacion en Tecnologias Nativas 5

Silfverberg-Dilworth E., Matasci C.L., Van de Weg W.E., Van Kaauwen M.P.W., Walser M.,

Kodde L.P., Soglio V., Gianfranceschi L., Durel C.E., Costa F., Yamamoto T., Koller

B., Gessler C. e Patocchi A. (2006). Microsatellite markers spanning the apple (Malus x

domestica Borkh.) genome. Tree Genetics & Genomes 2: 202-224

Southern E.M. (1975). Detection of specific sequences among DNA fragments separated by

gel electrophoresis. Journal of Molecular Biology 98: 509-517

Souto-Alves T., Vanusa Da Silva M., Alves De Almeida C.M., Oliveira Jordão Do Amaral

D., Cordeiro Dos Santos D., Farias I., Tenório Sabino Donato V.M. e Da Costa A.F.

(2009). Genetic diversity in cactus clones using ISSR markers. Acta Horticulturae 811:

55-58

Steinhart, C. E. (1962). Tissue culture of a cactus. Science 137: 545-546

Stoeckel S., Grange J., Fernández-Manjarres J.F., Bilger I., Frascaria-Lacoste N. e Mariette S.

(2006). Heterozygote excess in a self- incompatible and partially clonal forest tree

species -Prunus avium L.. Molecular Ecology 15: 2109-2118

Swofford D.L. (1998). PAUP*: phylogenetic analysis using parsimony (* and other methods),

version 4. Sinauer, Sunderland, Massachusetts

Thurston M.I. e Field D. (2005). Msatfinder: Detection and Characterisation of

Microsatellites. CEH Oxford, Oxford, UK

Page 92: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

88

Towle M.A. (1961). The ethnobotany of pre-Columbian Peru. Aldine, Chicago, Illinois, USA

Valdez J.G. (2005). Immature embryo rescue of grapevine (Vitis vinifera L) after an extended

period of seed trace culture. Vitis 44: 17-23

Varshney R.K, Graner A. e Sorrells M.E. (2005). Genic microsatellite markers in plants:

features and applications. Trends in Biotechnology 23: 48-55

Vekemans X., Beauwens T., Lemaire M. e Roldán-Ruiz I. (2002). Data from amplified

fragment length polymorphism (AFLP) markers show indication of size homoplasy and

of a relationship between degree of homoplasy and fragment size. Molecular Ecology

11: 139-151

Vos P., Hogers R., Bleeker M., Reijans M., Van de Lee T., Hornes M., Adrie Friters A., Pot

J., Paleman J., Kuiper M. e Zabeau M. (1995). AFLP: a new technique for DNA

fingerprinting. Nucleic Acids Research 23: 4407-4415

Wallace R.S. e Gibson A.C. (2002). Evolution and systematics. In: Nobel PS (ed) Cacti:

biology and uses. University of California Press, Berkeley, pp. 1-22

Wang X., Felker P., Paterson A.H., Mizrahi Y., Nerd A. e Mondragon-Jacobo C. (1996).

Cross hybridization and seed germination in Opuntia species. Journal of the

Professional Association for Cactus Development, 1: 49-60

Wang X., Felker P., Burrow M.D. e Paterson A.H. (1998). Comparison of RAPD marker

patterns to morphological and physiological data in the classification of Opuntia

accessions. Journal of the Professional Association for Cactus Development 3: 3-14

Waugh R., McLean K., Flavell A.J., Pearce S.R., Kumar A., Thomas B.T. e Powell W.

(1997). Genetic distribution of BARE-1 retrotransposable elements in the barley

genome revealed by sequence-specific amplification polymorphisms (S-SAP).

Molecular and General Genetics 253: 687-694

Weiss J., Nerd A. e Mizrahi Y. (1993). Vegetative parthenocarpy in the cactus pear Opuntia

ficus-indica (L.) Mill. Annals of Botany 72: 521-526

Welsh J. e McClelland M. (1990). Fingerprinting genomes using PCR with arbitrary primers.

Nucleic Acids Research 18: 7213-7218

Weniger D. (1984). Cacti of Texas and Neighboring States: A Field Guide. University of

Texas, Austin

Page 93: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIAarchivia.unict.it/bitstream/10761/1033/1/CRRSRG84P09I199R-Tesi... · continente, venne utilizzato esclusivamente come pianta ornamentale; era infatti

89

Werker E. (1997). Seed anatomy. Gebrüder Borntraeger, Stuttgart, pp. 424

Williams J.G.K., Kubelik A.R., Livak K.J., Rafalski J.A. e Tingey S.V. (1990). DNA

polymorphisms amplified by arbitrary primers are useful as genetic markers. Nucleic

Acids Research 18: 6531-6535

Wunsch A. e Hormaza J.I. (2002). Cultivar identification and genetic fingerprint of temperate

fruit tree species using DNA markers. Euphytica 125: 59-67

Xie H., Sui Y., Chang F.Q., Xu Y. e Ma R.C. (2006). SSR allelic variation in almond (Prunus

dulcis Mill.). Theoretical and Applied Genetics 112: 2366-372

Xiong L.Z., Xu C.G., Saghai Maroof M.A. e Zhang Q. (1999). patterns of cytosine

methylation in an elite rice hybrid and its parental lines, detected by a methylation-

sensitive amplification polymorphism technique. Molecular and General Genetics 261:

439-446

Zietkiewicz E., Rafalski A. e Labuda D. (1994). Genome fingerprinting by simple sequence

repeat (SSR) – anchored polymerase chain reaction amplification. Genomics 20: 176-

183

Zoghlami N, Chrita I, Bouamama B, Gargouri M, Zemni H, Ghorbel A, Mliki A (2007)

Molecular based assessment of genetic diversity within Barbary fig (Opuntia ficus

indica (L.) Mill.) in Tunisia. Scientia Horticulturae 113: 134-141

Zoghlami N., Bouamama B., Khammassi M. e Ghorbel A. (2011). Genetic stability of long-

term micropropagated Opuntia ficus-indica (L.) Mill. plantlets as assessed by molecular

tools: Perspectives for in vitro conservation. Industrial Crops and Products 36: 59-64