Una vita da cronista Gianni Minà -...

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Una vita da cronista 50 anni fuori dal coro Gianni Minà Casa del Cinema | Palazzo delle Esposizioni | 8/14 giugno 2008 Auditorium Parco della Musica | Assessorato alle Politiche Culturali

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Una vita da cronista50 anni fuori dal coroGianni Minà Casa del Cinema | Palazzo delle Esposizioni | 8/14 giugno 2008 Auditorium Parco della Musica |

Assessorato alle Politiche Culturali

A cura di Loredana Macchietti

Segreteria G.M.E. Produzioni srl

tel/fax 0635072557

Foto di Paolo Ranzani, Daniel Mordzinski, Italo Tonni

progetto grafico Giulio Fermetti per Studio EsseGi

stampa: Atena srl, Roma

Una vita da cronista

50 anni fuori dal coroGianni Minà Casa del Cinema | Palazzo delle Esposizioni | 8/14 giugno 2008 Auditorium Parco della Musica |

Assessorato alle Politiche Culturali

Presentazione Regione

PPerché nasconderlo? Non è senza qualche imbarazzo che l’as-sessore alla Cultura della prima giunta di centro-destra del Campidoglio al proprio esordio si imbatte nella partecipazio-ne del Comune alla rassegna che celebra i cinquant’anni di carriera di Gianni Minà. Minà non è un giornalista qualsiasi, Minà è un’icona, per una parte della sua vita, per certe sue specializzazioni, è un’icona della sinistra.

Uno se la potrebbe cavare dicendo che la decisione l’ha ereditata, bell’e pronta, dal suo predecessore e che non può che prenderne atto, tutt’al più far finta di niente. Potrebbe perfino essere l’occasione per prendere le distanze, per “dire qualcosa di destra”, in fondo qualcuno, legittimamente, se lo aspetta.

E invece l’assessore sceglie e si prende una responsabilità: quella di non glissare, quella di non negare, quella di accet-tare l’invito e confermare, al di là del vincolo burocratico, la partecipazione.

Per più di un motivo. Perché quella del giornalista - torine-se di nascita ma romano di adozione - è una carriera esem-plare, un caso emblematico di dedizione alla professione che segna un’intera epoca dell’informazione italiana. Perché la voce, lo sguardo furbo, la curiosità indagatrice, la paffuta bonomia del personaggio sono parte indelebile del bagaglio formativo di chi è cresciuto in questo squarcio di vita nazio-nale: ci piacesse o meno, nei momenti significativi, in alcuni passaggi della storia lui c’era.

Perché Minà non è stato soltanto il confidente di Fidel, l’at-tento biografo del Che e uno dei pochi ammessi alla presen-za del subcomandante Marcos ma anche l’amico di Muham-med Alì, che accompagnò all’udienza con Giovanni Paolo II, l’intervistatore del Dalai Lama, di De Niro, di Ray Charles e decine di altre personalità di fama universale.

Perché la storia del giornalismo sportivo non sarebbe la stessa senza la sua penna e la sua passione, come pure la co-noscenza del jazz nel nostro Paese.

Perché quando la sua stella pareva offuscata in patria è stato insignito di prestigiosi riconoscimenti internazionali.

Perché infine questa conferma, richiesta con la serenità di chi è consapevole che un tempo nuovo si prepara, può esse-re un piccolo segno di ricomposizione del pensiero e di una vita civile per troppo tempo solcata da fratture ormai prive di senso.

Umberto CroppiAssessore alla Cultura del Comune di Roma

PresentazioneComune

NNell’universo del giornalismo esistono tanti modi diversi di raccontare fatti e uomini. Io ho sempre preferito i giornalisti con un’anima: quelli che si appassionano per una vicenda, per uno snodo nella storia di una comunità, per l’unicità di un’esperienza umana. Insomma, chi condivide un pezzo di vita prima di raccontarlo.

Gianni Minà appartiene a questa schiera di narratori. Un osservatore entusiasta e partecipe, quindi un grande croni-sta. In 50 anni di carriera, Gianni ci ha portato in giro per il mondo, facendoci conoscere da vicino le idee, le speranze e le lotte di grandi scrittori, politici e sportivi. Oppure la tenacia e l’integrità di uomini dello Stato come Antonino Caponnetto.

Questo eterogeneo mosaico di interviste e reportage co-stituisce quella che un altro grande giornalista come Ryszard Kapuscinski chiamava “una veritiera immagine del mondo”.

C’è un filo conduttore nella lunga storia professionale di Gianni: la ferrea convinzione della responsabilità morale di chi fa il mestiere del cronista e l’ambizione di dare, attraverso il proprio lavoro, un contributo per rendere più giusto il mon-do in cui viviamo.

Un esempio, in una società sempre più cinica, che va oltre il giornalismo.

Piero MarrazzoPresidente della Regione Lazio

DDell’uomo, si sa: affabile, intelligente, generoso, talvolta anche al di là del necessario, sempre (o quasi) sorridente e gioviale. Dal giornalista, si sarebbe voluto di più. Più inchie-ste televisive, più interviste, più documentari con quelle sue letture intessute di fatti e attente ai più variegati fenomeni connessi alla cultura, alla società, alla politica, allo sport, allo spettacolo, al mondo, insomma.

Si sarebbe voluto più di quanto Gianni Minà non abbia già dato e fatto nei suoi lunghi, intensi 50 anni di carriera giornalistica, ampiamente documentata dai materiali che la Casa del Cinema ha il privilegio di ospitare per 6 giornate cariche di proiezioni e di incontri.

Ma Minà è un giornalista, un documentarista, un cronista fuori dal coro. Dalla casta, si direbbe oggi. E dunque è stato messo (costretto) nelle condizioni di non poter dare di più. Troppo anticonformista e dunque troppo scomodo. Troppo acuto e dunque troppo ingombrante.

Troppo coraggioso e dunque troppo rompiscatole. Da fer-mare. E l’hanno fermato. Impedendogli di continuare a gira-re il mondo per raccontarci con le immagini le sue cronache, le sue scoperte, i suoi incontri profondi e spesso sorpren-denti, mai occasionali, con personaggi celebri e non, le sue inchieste sui fenomeni e i movimenti che stanno cambiando il mondo e soprattutto il Terzo e il Quarto mondo, dei quali da sempre è uno specialista.

Ci voleva il festival di Berlino, nel febbraio 2007, per “sdo-ganare” a livello internazionale il talento di un uomo, di un giornalista che all’informazione ha dedicato la propria vita, e non solo quella professionale.

E ci voleva un anniversario, 70 anni, per indurre Minà a far-ci rivedere, sommessamente come è nel suo stile, una parte importante del suo lavoro di cronista realizzato con le imma-gini nel corso di 50 anni. Quelle in programma alla Casa del Cinema.

Tanti auguri, Gianni.

Felice Laudadio Direttore artistico della Casa del Cinema

Presentazione Laudadio

LLa consolidata collaborazione fra la direzione Teche della RAI e la Casa del Cinema, avviata nel 2005, si realizza in modo si-gnificativo anche per la rassegna dedicata al lavoro di Gianni Minà “Una vita da cronista”.

La Direzione Teche, infatti, fornirà per l’evento numerosi materiali di archivio relativi ai tantissimi programmi realiz-zati per la Rai da Minà nel corso degli anni, molti dei quali restaurati,come ad esempio le puntate di Sprint, per un to-tale di 31 ore. Fra i tanti titoli, selezionati dallo stesso Minà, ci sono programmi storici alcuni non replicati da tempo e altri mai ritrasmessi, come le grandi inchieste sulla musica del nostro tempo, fra cui la puntata sul concerto all’Isola di Wight, e la puntata di Sestante dedicata ai Rolling Stones, per non citare che due titoli.

Sono particolarmente soddisfatta della collaborazione alla rassegna sui documentari di Gianni Minà, perché si ripropo-ne al pubblico l’importanza del lavoro di uno dei migliori au-tori della televisione italiana. Sono felice anche che Rai Tre abbia deciso di utilizzare lo straordinario programma Blitz, del quale verrà proposta in estate una riedizione curata dallo stesso Minà.

La collaborazione della Direzione Teche a questa importan-te rassegna si inquadra nell’ambito della sempre maggiore attività di valorizzazione degli archivi aziendali per eventi culturali e didattici: attualmente, infatti, è possibile consul-tare il catalogo completo delle Teche Rai in tutte le sedi della Rai sul territorio nazionale, e a Roma anche presso la Discote-ca di Stato e nella bibliomediateca di S. Cecilia all’Auditorium Parco della Musica.

Barbara Scaramucci Direttore Rai Teche

Scuole, atenei, istituzioni e associazioni senza scopo di lucro possono richiedere i materiali alla Direzione Teche Rai. Per acquistare materiali e diritti a fini commerciali occorre invece rivolgersi alla società Rai Trade.

L’impegno di RaiTechecustodi della memoria

N Parigi, 1992

Nel vedere che il mio libro di ricordi volge al termine, Zélia mi fa notare:”Avevi detto di voler parlare di Minà, ma non l’hai ancora citato”. Zélia ha ragione, ha sempre ragione, io invece non ho mai ragione, sono uno smemorato.

Le rispondo che lo faccio subito. Prima che sia troppo tardi, voglio esprimere la mia stima a Gianni Minà, italiano di grande esuberanza, persona dalle varie attività e dalle molteplici com-petenze, giornalista, uomo di televisione, autore di libri, esperto di calcio, di belle donne e di cucina, compagno di avventure.

Scrivo il suo nome e fine del discorso, se dovessi raccontare tutte le sue imprese il numero di pagine di questo libro, già ab-bastanza voluminoso, raddoppierebbe.

Voglio citare soltanto la sua ultima iniziativa, che riguarda Cuba e Fidel. Minà mi ha chiesto di scrivere la prefazione al suo secondo libro di conversazioni con il dirigente dei “barbudos”, e accettare mi è costato molto. E’ stato difficile scrivere tutto il bene che penso della rivoluzione cubana e le critiche che sento di dover muovere al regime, alla mancanza di libertà che è di tutte le dittature marxiste. Ho sudato sangue, non so se sono riuscito a spiegarmi come dovevo.

Jorge Amadotratto dal libro “Navigazione di cabotaggio”,

Garzanti, 1994

S[...] Siamo amici da molti anni e ognuno dei nostri incontri è sempre scandi-to dalle sue inquietudini giornalistiche; dalla sua preoccupazione per la mancanza di credibilità del giornalismo contem-poraneo, per il crescente potere delle grandi im-prese multinazionali, di-vulgatrici non tanto della comunicazione quanto del pensiero unico, unidi-mensionale, unilaterale e negatore delle diversità. Lo vedo intristirsi per la pessima for-mazione dei giovani giornalisti, condannati al lavoro precario e convinti che investigare significa cercare su Google. E tra le sue tante preoccupazioni è sempre presente il suo amore per l’Ame-rica latina, questo continente di cui sa e conosce a livello quasi enciclopedico.

Dalle pagine di Latinoamerica, la rivista che, insieme ad Ales-sandra e Loredana continua ad editare, (faro di informazione di fronte all’impero di disinformazione stile Cnn) fino ai suoi articoli su il manifesto, Gianni Minà ci impartisce continuamente lezioni di giornalismo in un valoroso sforzo didattico che ci permette di comprendere la ricca complessità della vita contemporanea.

Questo libro che la lettrice e il lettore ha tra le mani è molto più di una raccolta di cronache e saggi. Come nei suoi documen-tari o reportage televisivi, anche nei suoi articoli Minà ci fa cono-scere, con impeccabile qualità letteraria, la sua opinione rispetto alla gamma di problemi e particolari che gravano sulla grande maggioranza dell’umanità sulle spalle di quelli che non hanno voce ma sono chiamati però ad essere protagonisti della storia, e infine rispetto ai cambiamenti sociali urgenti che l’esistenza reclama.

Come sempre, e in ognuno dei suoi lavori, Gianni Minà ci offre una lezione di giornalismo e umanità. Nella rivista uruguayana Brecha è stato scritto che “ci sono uomini che lottano un giorno e sono molto bravi, però ci sono uomini che lottano tutta la vita. Questi sono indispensabili.”

Il mio amico Gianni Minà è uno di questi, che lottano tutta la vita per sostenere il valore, ogni giorno più fragile, della libertà d’espressione e del diritto ad essere informati.

Luis Sepúlvedatratto dalla prefazione del libro di Gianni Minà

“Politicamente scorretto” , Sperling & Kupfer, 2007

“Per raccontarlo non mi basterebbero le pagine”

Gianni Miná, o l’etica del resistente

QQuando Dieter Kosslick, da sei anni direttore del Festival di Ber-lino, è venuto a Roma, armato di pazienza e curiosità, per vede-re i documentari su Cuba che ho realizzato negli ultimi venti anni, partendo dall’intervista storica con Fidel Castro, e dopo cinque ore di visione ha deciso di dedicare una rassegna a quel-li che ha definito “documenti, ancor prima che documentari”, ho pensato quanto era buffo il destino, che mi escludeva da tempo dalla possibilità di fare il mio lavoro in Italia, ma, dopo la vittoria, nel 2004 al Festival di Montreal, con il lungometrag-gio In viaggio con Che Guevara, mi proponeva quest’altra sfida professionale.

La mia sorpresa è cresciuta quando, da Berlino, mi hanno an-nunciato che la mia rassegna meritava anche il premio Berlina-le Kamera alla carriera, un premio nato trent’anni fa, e che oltre a segnalare i documentaristi degni di attenzione, ha insignito grandi attori e, per la sezione cinema, registi come Francis Ford Coppola o Sidney Pollak.

Lo ammetto, a quel punto ero diviso fra due sentimenti op-posti: la soddisfazione e la diffidenza. Che la Germania attuale fosse più laica e aperta dell’Italia di oggi, lo sapevo, ma, a quel punto, avevo il dubbio di essermi sbagliato, con la sensazione di andare a ritirare un premio in una realtà fuori dal mondo, vicina ai circoli culturali di una volta, quelli dove Fantozzi, il personaggio inventato da Paolo Villaggio, andava a vedere per l’ennesima volta La Corazzata Potemkin, di Eisenstein, anche se munito della famosa apparecchiatura anti-abbiocco.

Che realtà era questo Festival di Berlino, così ardito e così diverso, rispetto a quello che la televisione privata e pubblica, radio e giornali nazionali, ci assicurano essere la modernità, o un film al passo con i tempi?

Sono andato così a Berlino pieno di curiosità, e il fatto che ItaliaCine, l’agenzia che deve far conoscere e pubblicizzare l’industria degli audiovisivi italiani all’estero, avesse deciso di programmare il suo party nella capitale tedesca, proprio nello stesso giorno e alla stessa ora nel quale io avrei ricevuto il mio premio da Walter Salles, il regista di Central do Brasil (Orso d’oro a Berlino dieci anni fa) e dei Diari della Motocicletta, ha raffor-zato il mio dubbio che il Festival tedesco fosse fuori dal mondo, rispetto ai nostri ostentati esempi di Venezia o Roma. E invece non era proprio così.

Quando si dice un Festival. Quello cinematografico di Berli-no lo è, infatti, sotto tutti i punti di vista, e tutti gli aspetti che una manifestazione dedicata all’arte e all’industria degli au-diovisivi deve avere e coltivare. Dalle migliaia di spettatori che frequentano le proiezioni, con biglietti acquisiti in prevendita, al rispetto e all’attenzione per tutte le nuove proposte che la rivoluzione digitale nel mondo dell’immagine ha suggerito e favorito. E nulla era fine a se stesso.

Robert De Niro, Clint Eastwood, e molti altri artisti parteci-panti al festival nel 2007, erano disponibili non solo per presen-tare le loro opere, ma anche per tenere seminari all’università. E i divi non erano solo quelli di sempre, anzi, il più braccato, ri-cercato dal pubblico dei più giovani, perfino costretto ad essere registrato in albergo con un nome falso, era Gael García Bernal, il talento messicano interprete di Amores perros, Y tu mama tambien, La Malaeducación, e ultimamente Babel. Lo avevo co-nosciuto nel ruolo del giovane Che Guevara sul set di I diari della

motocicletta, e solo quattro anni dopo, me lo ritrovavo membro influente della giuria del Festival, che segnalava un salto di ge-nerazione, ma anche l’attenzione, purtroppo sconosciuta da noi, verso i nuovi protagonisti del cinema mondiale, che non sono necessariamente quelli imposti dal cinema nordamericano.

Una rivoluzione di costume, oltre che culturale, marcata non solo dalla qualità delle opere proposte nella programmazione ufficiale, (dove poi ha vinto Il matrimonio di Tuya, del regista cinese Wang Quan’an), ma anche nello splendore delle “opere povere”, segnalate nelle altre sezioni, specie quelle dei docu-mentari, dei cortometraggi, dei film per l’infanzia, dei video, fino all’assegnazione di un premio ufficiale per il cinema gay.

Tutta Berlino, la città oggi culturalmente più giovane d’Euro-pa, la città che ha cambiato anima e aspetto negli ultimi quin-dici anni, con un’architettura ardita ma non volgare, ha vissuto i giorni del Festival con una totalità e intensità impensabili dal-le nostre parti.

Forse i nostri manager del cinema e degli audiovisivi, i nostri amministratori pubblici, avrebbero dovuto trovare il tempo per non venire solo a presentare i loro progetti, ancora inadeguati, ma spendere qualche giorno in più, magari per studiare.

Per questo sono orgoglioso di essere stato premiato a Berlino.

I perché di questa rassegna

A sinistra: Gianni Minà vincitore, con In viaggio con Che Guevara, del Festival di Montreal 2004. Sotto: Dieter Kosslick [a sinistra] e Walter Salles [a destra] consegnano a Gianni Minà il premio alla carriera “Berlinale Kamera” al Festival di Berlino del 2007

di Gianni Minà | tratto dalla rivista VivaVerdi [2007]

HHa raccontato per immagini realtà sociali e di costume degli Sta-ti uniti e dellAmerica latina. Per quarant’anni Gianni Minà è sta-to uno degli inviati più prestigiosi della Rai. Per questo è uno dei giornalisti italiani più conosciuti all’estero con i suoi reportages, spesso realizzati in collaborazione con network internazionali.

Nato a Torino il 17 maggio 1938, ha iniziato la carriera come giornalista sportivo nel 1958-59 a Tuttosport (di cui sarebbe stato, successivamente, direttore dal ’96 al ’98). Nel 1960 ha esordito alla Rai come collaboratore dei servizi sportivi per le Olimpiadi di Roma.

Nel 1965, dopo aver esordito al rotocalco sportivo Sprint diretto da Maurizio Barendson, ha incominciato a realizzare reportages e documentari per tutte le rubriche che hanno evoluto il lin-guaggio giornalistico della televisione, Tv7, AZ, i Servizi speciali del TG e poi Dribbling, Odeon, Gulliver. Ha così seguito sette mondiali di calcio e otto olimpiadi oltre a decine di campionati mondiali di pugilato, fra cui quelli storici dell’epoca di Muhammad Alì.

Ha anche realizzato, in più di trent’anni, una Storia del Jazz in quattro puntate e programmi sulla musica popolare centro e su-damericana, oltre a una storia sociologica e tecnica della boxe in 14 puntate intitolata Facce piene di pugni.

E’ stato, al fianco di Maurizio Barendson e Renzo Arbore fra i fondatori de L’altra domenica, un programma che ha fatto epo-ca. Nel 1976, anno in cui, dopo 17 anni di precariato, Minà è sta-to assunto al Tg2 diretto da Andrea Barbato, ha incominciato a raccontare la grande boxe e l’America dello show-business, ma anche dei conflitti sociali delle minoranze. Sono iniziati in quegli anni anche i reportage dall’America latina che hanno caratteriz-zato la sua carriera.

Nel 1981 il Presidente Pertini gli consegnò il Premio Saint Vin-cent come miglior giornalista televisivo dell’anno. Nello stesso periodo, dopo aver collaborato a due cicli di Mixer di Giovanni Minoli, ha esordito come autore e conduttore di Blitz, il program-ma innovativo di Rai Due che occupava tutta la domenica pome-riggio e nel quale sono intervenuti protagonisti come Federico Fellini, Eduardo De Filippo, Muhammad Alì, Robert De Niro, Jane Fonda, Gabriel García Márquez, Enzo Ferrari, ecc..

Nel 1987 Minà ha intervistato una prima volta per 16 ore il presidente cubano Fidel Castro in un documentario diventato storico e dal quale è stato tratto un libro pubblicato in tutto il mondo. Dallo stesso incontro è stato tratto Fidel racconta il Che, un reportage nel quale il leader cubano per la prima ed unica volta racconta l’epopea di Ernesto Guevara.

Nel 1991 il giornalista ha ripetuto l’intervista, dopo il tramon-to del comunismo. I due incontri sono stati riuniti in un libro edi-to da Sperling & Kupfer intitolato Fidel, con i prologhi di Gabriel García Márquez e Jorge Amado.

Nel l991 Minà ha realizzato il programma Alta Classe, una serie di profili di grandi artisti come Ray Charles, Pino Daniele, Massi-mo Troisi, Chico Buarque de Hollanda e altri. Nello stesso anno, ha presentato la Domenica sportiva e ideato il programma di ap-profondimento Zona Cesarini che seguiva la tradizionale rubrica riservata agli eventi agonistici.

Fra i documentari di maggior successo, alcuni di carattere sportivo su Nereo Rocco, Diego Maradona e Michel Platini, Carlos Monzon, Edwin Moses, Pietro Mennea e Cassius Clay-Muham-mad Alì, che Minà ha seguito in tutta la sua carriera e al quale ha

dedicato un lungometraggio intitolato Una storia americana. Nel 2001, in particolare, Minà ha realizzato Maradona: non sarò

mai un uomo comune un reportage-confessione con Diego Mara-dona alla fine dell’anno più sofferto per la vita dell’ex calciatore

Nel 1992 il giornalista ha iniziato un ciclo di opere rivolte al continente latinoamericano: Storia di Rigoberta sul Nobel per la pace Rigoberta Menchú (premiato a Vienna in occasione del summit per i diritti umani organizzato dall’Onu), Immagini dal Chiapas (Marcos e l’insurrezione zapatista) presentato al Festival di Venezia del 1996, Marcos: aquí estamos (un reportage in due puntate sulla marcia degli indigeni Maya dal Chiapas a Città del Messico con una intervista esclusiva al Subcomandante realiz-zata insieme allo scrittore Manuel Vazquez Montalban) e Il Che quarant’anni dopo ispirato alla vicenda umana e politica di Er-nesto Che Guevara.

Nel 2004 Minà è riuscito a dar corpo a un progetto inseguito per undici anni e basato sui diari giovanili di Ernesto Guevara e del suo amico Alberto Granado quando, nel 1952, attraversa-rono in motocicletta e poi, con tutti i mezzi possibili, l’America latina, partendo dall’Argentina e proseguendo per il Sud del Cile, il deserto di Atacama, le miniere di Chuquicamata, l’Amazzonia peruviana, la Colombia e il Venezuela. Dopo aver collaborato alla costruzione del film tratto da questa avventura e intitolato I diari della motocicletta, prodotto da Robert Redford e Michael Nozik e diretto da Walter Salles (il regista che vinse l’Orso d’oro a Berlino con Central do Brasil) Minà ha realizzato il lungometraggio In viaggio con Che Guevara, ripercorrendo con Alberto Granado, ora ultraottantenne, quell’avventura mitica che cambiò la sua vita e quella del suo amico Ernesto. L’opera invitata al Sundance Festi-val, alla Berlinale e ai Festival di Annecy, di Morelia (Messico), di Valladolid e di Belgrado, ha vinto il Festival di Montreal e in Italia il Nastro d’Argento, il premio della critica.

Nel 2007 il Festival di Berlino, dove era stata dedicata una ras-segna ai documentari dell’autore su Cuba e l’America latina, ha assegnato a Minà il premio alla carriera Berlinale Kamera.

Collaboratore per anni di Repubblica, Unità, Corriere della Sera e Manifesto, Minà ha realizzato dal ’96 al ’98 il programma tele-visivo Storie, dove sono intervenuti alcuni dei protagonisti del no-stro tempo (Dalai Lama, Luis Sepúlveda, Martin Scorsese, Naomi Campbell, John John Kennedy, Pietro Ingrao, ecc.) e dal quale sono stati tratti due libri. Un suo saggio Continente desaparecido, re-alizzato con interviste a Gabriel García Márquez, Jorge Amado, Eduardo Galeano, Rigoberta Menchù, mons. Samuel Ruiz, Frei Betto e Pombo e Urbano, compagni sopravvissuti a Che Guevara in Bolivia, ha dato il titolo a una collana di saggi sull’America Lati-na edita dalla Sperling & Kupfer, tuttora da lui diretta.

Nel 2003 Minà ha scritto Un mondo migliore è possibile, un saggio sulle idee germogliate al Forum sociale mondiale di Porto Alegre che stanno cambiando l’America latina e nel 2005 è uscito Il continente desaparecido è ricomparso, sempre sul nuovo vento politico di riscatto che spira in America latina. L’ultimo suo libro è Politicamente scorretto-Riflessioni di un giornalista fuori dal coro, che riunisce articoli e saggi scritti negli ultimi dieci anni.

Da otto anni il giornalista edita e dirige Latinoamerica e tutti i sud del mondo [www.giannimina-latinoamerica.it], un trime-strale di geopolitica dove scrivono gli intellettuali più prestigiosi del continente americano.

Giornalista,nonostante tutto

lo sport8 giugno i temi della rassegnalo sportil cinemal’america latinala musicamemorie cubanel’intrattenimento in tvl’impegno civile

Sopra: Tommie Smith fra l’australiano Norman e John Carlos sul podio dei 200 mt a Messico ’68

e a San José di California dove, 40 anni dopo, a lui e Carlos hanno dedicato un monumento

MMinà aveva un padre arbitro di calcio e più avanti dirigente della Fe-derazione. Fu lui a trasmettergli la passione per lo sport. Due intellet-tuali napoletani, Antonio Ghirelli e Maurizio Barendson, che avevano lasciato il cinema e la radio, primi amori, per il piacere di raccontare l’agonismo e gli eroi degli stadi, lo formarono come giornalista con certe curiosità, un culto rigoroso della ricerca delle fonti e il piacere di raccontare il gesto atletico per immagini, un magistero appreso da Barendson al Centro Sperimentale di Cinematografia.

Nel ’60, meno di due anni dopo i suoi inizi da cronista, Minà, con altri giovani di belle speranze come Beppe Viola, ebbe un contrattino di tre mesi alla Rai per scrivere i testi dei servizi filmati sulle Olimpia-di di Roma. Non avendo padrini nella politica, il contratto di assun-zione lo avrebbe avuto solo 17 anni dopo, nella stagione della riforma Rai, per l’ingiunzione all’azienda di un pretore del lavoro.

Maurizio Barendson, e più avanti anche Sergio Zavoli, lo iniziarono comunque al giornalismo televisivo. In particolare il primo che, nel 1965 inventò Sprint, il primo rotocalco sportivo della tv. In quel programma del lunedì sera registi di valore come Nanni Loy, Gianni Puccini, Raffaele Andreassi e perfino Francesco Rosi, realizzavano piccoli film di 8/10 mi-nuti su particolari aspetti dello sport e della personalità dei campioni e nello stesso tempo, oltre a educare il pubblico a leggere la fatica, la morale del gesto agonistico e a goderne lo spettacolo, educavano nuo-ve generazioni di comunicatori e di raccontatori per immagini. Come Minà, più giornalista, o come Gianni Amelio, cineasta poliedrico.

Barendson, che ha inventato tutte le rubriche sportive della tv di Stato prima di andarsene immaturamente nel 1978, puntò su Minà per raccontare, a partire dai match di boxe fra Benvenuti e Griffith e dallo spettacolo sportivo e mediatico di un fuoriclasse come Cassius Clay-Muhammad Alì, il grande sport nella società nordamericana.

Minà, oltre alle storiche telecronache di Paolo Rosi, scelse le impre-se e le vicissitudini di Alì, che seguì in tutto il mondo, per spiegare le contraddizioni della società nordamericana di quel tempo. Andò a trovare Tommie Smith, che scontava con l’esclusione il suo gesto di protesta a Città del Messico, ma anche Edwin Moses, l’ingegnere che, nei 400 ostacoli, scandiva il passaggio da un ostacolo all’altro sem-

pre con 16 passi. L’aspetto politico e quello tecnico, sempre con immagini accattivanti. Come quando cercava di correre dietro a Pietro Mennea.

È normale che con questa formazione e abitudine al racconto filmato Minà, anche quando i suoi interessi culturali lo hanno

Seguendo Muhammad in tutto il mondo

domenica 8 giugno • Programma della giornata

casa del cinema, Sala deluxe[ore 15:30] Quattro servizi d’epoca su Benvenuti e griffith e sulle loro storiche

sfide al Madison Square Garden e allo Shea Stadium di New York (40’). Segue[ore 16:10] moses e i sedici passi, storia del più grande ostacolista dell’atletica

moderna, imbattuto per un decennio (15’). Segue[ore 16.25] l’addio di carlos monzon, un reportage nel giorno in cui, 30 luglio

del ‘77, il campione mondiale dei medi di Santa Fé annuncia, dopo il secondo match con Valdes, il ritiro dalla boxe (30’).

[ore 17:30] “non sarò mai un uomo comune”, Maradona e il suo mito (68’)[ore 19:00] Tre servizi d’epoca: Pietro mennea e il suo record del mondo dei

200. L’incontro con il leggendario Tommie Smith, che deteneva quel record prima di lui e infine l’improvviso annuncio del ritiro dallo sport di Pietro (45’).Segue

[ore 19:45] Un intervista a Roma con lee evans, per venti anni primatista mondiale dei 400 metri, stabilito con 43”86 alle Olimpiadi del ‘68, e salutato anche da lui, sul podio, con un pugno nero alzato che ha fatto storia (5’)

ore 20:30 teatro all’aperto della casa del cinemaincontro di gianni minà con tommie Smith e lee evans, protagonisti, sul

podio nell’Olimpiade del ‘68, di un gesto di protesta civile che è passato alla storia. Con loro Pietro mennea

ore 21:30 teatro all’aperto della casa del cinemaProiezione: muhammad alì, una storia americana (100’)

portato ai reportages sulla musica, il cinema o la vita di un continen-te come l’America latina, abbia marcato la sua carriera anche con le storie, di genio e sregolatezza, di campioni controversi come il pugile argentino Carlos Monzon, Diego Armando Maradona o Marco Pan-tani. Muhammad Alì rimane comunque il campione che meglio ha ispirato il suo estro di giornalista per immagini.

1982: Gianni Minà accompagna Muhammad Alì a un’udienza da Giovanni Paolo II

Il programma è soggetto a variazioni fino all’ultimo momento

il cinema9 giugno

lunedì 9 giugno • Programma della giornata

casa del cinema, Sala deluxe[ore 15:00] Storie: dino risi con ospite Vittorio gassman (90’).[ore 16:45] Storie: Francesco rosi con ospiti giuseppe Patroni griffi,

raffaele la capria, antonio ghirelli (90’).

ore 18:30, Sala deluxe incontro di gianni minà, Francesco rosi, raffaele la capria e antonio

ghirelli sul tema “Il cinema italiano visto da vicino”

ore 20.45, casa del cinema, Sala deluxeProiezione: c’era una volta il cinema: Sergio leone e i suoi film,

documentario su e con il regista stesso, e con Clint Eastwood, Robert De Niro, Claudia Cardinale, Ennio Morricone (75’).

ore 22.00, , Sala deluxeProiezione: Storie: ettore Scola (75’)

GGianni Minà ha sempre dedicato molta attenzione, nella sua profes-sione di reporter, al mondo del cinema, non solo italiano. Ha frequen-tato e raccontato, fra gli altri, Martin Scorsese, Robert De Niro, Harvey Keitel, Jennifer Beals e anche l’universo poliedrico del cinema latino-americano. In particolare Julio García Espinosa, Fernando Birri, Titón Gutierrez Alea [regista di Fragola e cioccolato e Guantanamera] e il Nobel della letteratuar Gabriel García Marquez, fondatori della scuo-la di cinema di San Antonio de los Baños a Cuba dedicata proprio a Cesare Zavattini. E, oltre a loro, gli argentini Fernando Solanas e Luis Puenzo e il brasiliano Walter Salles.

Nel suo programma domenicale Blitz sul secondo canale Rai, nel 1983 Minà riuscì perfino, una volta, a raccontare il grande cinema in diretta da Cinecittà, facendo la spola fra Federico Fellini e Sergio Le-one, che in due set attigui dirigevano, rispettivamente, E la nave va e C’era una volta in America. Le testimonianze di volta in volta erano di Giulietta Masina, Ennio Morricone e Robert De Niro, che dopo aver sopportato una sessione di trucco di 4 ore per invecchiarlo, recitò pure in diretta.

Con Sergio Leone Minà realizzò anche il più completo documenta-rio sul creatore degli spaghetti western, al quale diedero il loro contri-buto Clint Eastwood, Claudia Cardinale, Ennio Morricone e che viene proiettato in chiusura di questa serata.

Ad alcuni dei maestri del nostro cinema Minà ha dedicato, inoltre, nel 1997/98 alcune puntate di Storie, che sono quelle con Francesco Rosi, Dino Risi ed Ettore Scola, base della programmazione odierna.

Per il seminario che precede l’ultima proiezione della serata, que-sta volta si riuniscono nuovamente, come dieci anni fa nella puntata di Storie, Francesco Rosi, Raffaele La Capria e Antonio Ghirelli, tutti compagni di scuola al Liceo Umberto di Napoli, insieme anche a Maurizio Barendson, Peppino Patroni Griffi e Giorgio Napolitano, at-tuale Presidente della Repubblica.

Anche se qualcuno di loro manca oggi all’appello, è indiscutibile che quella generazione di liceali napoletani che scoprirono ben pre-

sto il cinema facendo la fronda all’Università, hanno dato un contributo irripetibile alla cultura italiana del dopoguerra.

“Furono Barendson e Ghirelli a lasciarmi la responsabilità del cinema nella struttura universitaria. Io ho cercato di non disperderla” ha affermato una volta Francesco Rosi, il regista di Le mani sulla città e Salvatore Giuliano, il regista dell’impegno civile del nostro cinema.

García Márquez, Leone, De Niroe i ricordi napoletani di Rosi

i temi della rassegnalo sportil cinemal’america latinala musicamemorie cubanel’intrattenimento in tvl’impegno civile

Con tre dei fondatori della Scuola di Cinema de l’Avana. Da sinistra: Julio García Espinosa, Fernando Birri, e Gabriel García Márquez

Sopra: con Sergio Leone ed Ennio Morricone. Sotto: con Martin Scorsese, Robert De Niro e il padre di Scorsese

Il programma è soggetto a variazioni fino all’ultimo momento

il cinemaDall’esilio di Chico Buarque al racconto di un continente ferito

i temi della rassegnalo sportil cinemal’america latinala musicamemorie cubanel’intrattenimento in tvl’impegno civile

LL’America latina è entrata nel cuore di Gianni Minà quando aveva poco più di trent’anni e, per la rubrica televisiva della Rai Cordialmente, andò all’aeroporto ad accogliere e filmare il giovane cantautore e poeta bra-siliano Chico Buarque de Hollanda, che con la giovane moglie Marieta incinta, veniva in esilio in Italia dopo che la dittatura militare che si era impossessata del potere in Brasile lo aveva tartassato e minacciato per il contenuto sociale delle sue canzoni.

Chico raggiugeva il suo maestro, il grande poeta Vinicius de Moraes che, lavorando con Tom Jobim e Joâo Gilberto, aveva contribuito a fare del samba e della bossa nova un linguaggio universale e, dopo gli ecces-si del regime, si era autoesiliato nel nostro paese. La sera i brasiliani si riunivano al ristorante il Moro, dietro al teatro Quirino, e parlavano non solo di poesia ma, come si usa dire, di donne e motori, cioè di tutto. Spes-so li raggiungeva Giuseppe Ungaretti, traduttore dei versi di de Moraes in italiano e a sua volta tradotto da Vinicius in portoghese. In sottofon-do, non cessava di accompagnare le parole la chitarra di un “capellone” molto amato dalle ragazze, che sarebbe diventato Toquinho.

Quando la dittatura, messe le radici, attenuò la portata della sua re-pressione, i brasiliani poterono tornare a casa e Minà, a un certo mo-mento, da loro invitato, raggiunse a Bahia Vinicius e Toquinho, che aveva iniziato a scrivere canzoni col grande maestro. Lì conobbe subito Dorival Caimi, l’anima musicale di Bahia, e lo scrittore Jorge Amado, che ha rac-contato, come nessun altro, lo spirito del Brasile, dolente e insieme gau-dente. Dalla casetta di Vinicius e Toquinho sul mare di Itapuà transitava-no già artisti in fuga dalle dittature argentina, uruguayana e cilena che, riunite nel Piano Condor, riuscivano a essere più crudeli dei militari bra-siliani. Minà incominciò a raccontare questi incontri e queste atmosfere, insieme a Ruggero Miti, in documentari come quelli della serie America latina pop e folk o quelli riuniti sotto il titolo Que viva musica!. Vera con-troinformazione su un continente allora più che desaparecido.

L’entusiasmo aumentò dopo aver gustato la raffinatezza dei concerti di Chico Buarque, feroce e ironico con la dittatura che voleva censurarlo ma spesso non era attrezzata a cogliere la sottigliezza delle sue allusio-ni. Ma anche dopo avere assistito, nel 1976 all’indimenticabile spettacolo Doces bárbaros [Dolci barbari], dove quattro ragazzi di Bahia, uno nero, Gilberto Gil [che trent’anni dopo sarebbe stato ministro della Cultura del suo paese tornato alla democrazia] e tre bianchi, Caetano Veloso, Maria Bethânia [anche fratelli] e Gal Costa, resuscitando l’antropologia della loro terra, rilanciarono un movimento culturale fondamentale nell’interpretazione dell’orgoglioso Brasile moderno, il Tropicalismo.

Poi, nel tempo, questi artisti, questi intellettuali hanno aiutato Minà a leggere correttamente la realtà di un continente che cercava sopravvi-venza e riscatto. Anche quelli più contraddittori, come il geniale murali-sta messicano David Alfaro Siqueiros, che al termine del documentario a lui dedicato, schizzò i ritratti di tutti i componenti della troupe.

Fondamentale per capire il continente fu comunque l’incontro con la Rivoluzione cubana e la sua resistenza che, nel bene e nel male, hanno fatto epoca e prodotto il vento di rinnovamento che soffia oggi in Ameri-ca latina. Ma questo argomento sarà approfondito meglio nella giornata di giovedì, dedicata ai documentari che l’autore ha realizzato a Cuba e su Cuba dopo le due interviste storiche con Fidel Castro.

Dopo quell’esperienza vennero fra gli altri, Storia di Rigoberta, una donna Maya per la pace, due puntate realizzate seguendo la giovane Maya che nel ’92 aveva appena vinto il premio Nobel per la Pace, nei campi profughi allestiti negli stati messicani di Campeche, Quintana Ro e Chiapas per le centinaia di migliaia di suoi fratelli indigeni fuggiti dal genocidio messo in atto in Guatemala negli anni Ottanta.

Qualche anno dopo, la lunga intervista con il subcomandante Marcos, portavoce e stratega delle popolazioni Maya sollevatesi in Chiapas nel nome di Zapata, e poi il documentario Marcos: “Aquí estamos”, realizzato insieme allo scrittore Manuel Vázquez Mon-tálban seguendo la lunga marcia degli zapatisti dalla Selva Lacan-dona fino a Città del Messico, hanno ribadito l’impegno di Minà di raccontare questi che fino a ieri erano altri mondi e oggi, invece, la globalizzazione propone quotidianamente, ci piaccia o no, alla nostra sensibilità, anche se vorremmo dimenticarcene.

Partners di questo lungo racconto di un continente sono stati spes-so scrittori come Eduardo Galeano o religiosi come Frei Betto, oltre che artisti o cosiddetta gente comune. Uno dei più vicini alle ricerche di Minà è stato ed è lo scrittore cileno Luis Sepúlveda, insieme a sua moglie Carmen Yanez, poetessa di profonda interiorità, sopravvissu-ta per miracolo alla ferocia del regime di Pinochet nell’inferno di Villa Grimaldi. Sepúlveda ha raccontato quegli anni, crudeli e formidabili a Minà in due puntate, dure e senza mediazioni, di Storie, oggi in pro-gramma, e sarà con la moglie anche il testimone dell’incontro serale.

In viaggio con Che Guevara, il documentario nel quale Alberto Gra-nado ripete la storica traversata dell’America latina compiuta 50 anni prima con il suo amico Ernesto, e che ha vinto il festival di Montreal nel 2004, conclude questo affresco del continente.

l’america latina10 giugno

martedì 10 giugno • Programma della giornata

casa del cinema, Sala deluxe [ore 14:30] Storia di rigoberta, una donna maya per la pace

(documentario premiato a Vienna al summit dell’Onu per i Diritti umani) (60’). Segue

[ore 15:30] Que viva musica! argentina: il tango al tempo della dittatura, realizzato insieme a Ruggero Miti (60’).

[ore 16.45] marcos: “aqui estamos”, documentario di 75’ sulla marcia zapatista del 2001, scandito da un’intervista col subcomandante Marcos, e realizzato insieme allo scrittore manuel Vázquez montálban.

[ore 18:30] Storie: luis Sepúlveda (prima puntata, 90’)

ore 20:30, Sala deluxe incontro di gianni minà con luis Sepúlveda e carmen Yanez con

presentazione della rivista latinoamerica insieme ad alessandra riccio

ore 21:30, teatro all’aperto della casa del cinemaProiezione: in viaggio con che guevara (Alberto Granado a 80 anni

ripercorre, cinquant’anni dopo, le terre e i luoghi di un’esperienza condivisa con il suo amico Ernesto che ha cambiato le loro vite e influenzato il destino dell’America latina) (120’)

Una sera, a un festival de l’Unità

di Modena, da sinistra: Dante

Liano [scrittore guatemalteco],

Frei Betto [teologo della liberazione

brasiliano], Eduardo Galeano

[scrittore uruguayano],

Ignacio Lula da Silva [allora

non ancora presidente del

Brasile], Rigoberta Menchú [Nobel per

la Pace 1992] e Gianni Minà

Il programma è soggetto a variazioni fino all’ultimo momento

II grandi reportages per raccontare la nascente importanza della musica rock e pop come incontro, occasione di aggregazione delle generazioni più giovani e anche come nuovo linguaggio, modo di comunicare di chi si sentiva escluso dalle nuove logiche della so-cietà industriale, sono stati fra le scelte di Minà, insieme allo sport, fin dai primi passi della sua cinquantennale carriera.

A dodici anni dai suoi inizi di cronista, Minà già era all’isola di Wight, l’anno dopo del mitico festival di Woodstock, e affitta-va insiema al collega Fabrizio Zampa, con chiara incoscienza, un elicottero per filmare e fotografare dall’alto quella marea umana di oltre 600mila ragazzi in un meeting dove Joan Baez spiegò in inglese e cantò in italiano C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones di Mauro Lusini e dove Jimi Hendrix si esibì, cavalcando la sua chitarra, per l’ultima volta prima di morire e Jim Morrison cantò con i Doors per l’ultima volta in Europa.

La Rai mandò in onda il documentario di pomeriggio, perché l’argomento veniva reputato solo di interesse giovanile, anche se ci fu qualche perplessità nel trasmetterlo perché gli Who si esibi-rono, scandalosamente, a torso nudo.

Qualche mese dopo Minà, ormai travolto dalla nuova musica, era con Giampiero Ricci a Detroit negli studi della Tamla Motown, la prima casa discografica votata esclusivamente ad artisti neri, per incontrare e raccontare i Temptation uno Stevie Wonder poco più che adolescente e un Michael Jackson dodicenne, ancora com-ponente del gruppo familiare dei Jackson Five.

La Motown era nata un anno prima ed era il segnale di un in-cipiente emancipazione e affermazione, dopo tante lotte, dei neri d’America, sospinti dalle idee di Malcolm X e dall’esempio anche di campioni dello sport come Cassius Clay, Tommie Smith, John Carlos e Lee Evans.

Queste esperienze fanno parte della programmazione odierna dei documentari realizzati da Minà nella sua carriera così come quelli sui ritmi dell’America latina e dei Caraibi o l’indagine, mai interrotta, sulla musica pop italiana, a cominciare da Ritorno a via Gluck, tren-tacinque minuti di pellegrinaggio di Adriano Celentano nei luoghi della sua infanzia e della sua ispirazione nella casa di ringhiera a Milano, realizzati per lo storico rotocalco tv Odeon, e dove Adriano lasciò sfogare tutta la sua creatività, come negli altri lavori condivisi da Minà con Celentano, Paura di un trionfo [realizzato con Ruggero Miti] e Un po’ artista, un po’ no [realizzato con Chicco Agnese]

C’è pure, nella programmazione odierna, una puntata delle do-dici realizzate da Minà nel 1992 con i grandi della musica [da Ray Charles a Chico Buarque] intitolate Alta classe. È quella con Pino Daniele con il memorabile intervento di Massimo Troisi. Diciasset-te minuti di televisione irripetibile.

D’altronde Minà, che ha realizzato con Giampiero Ricci l’uni-ca Storia del jazz in quattro puntate presente nella cineteca Rai, aveva cominciato come cronista della nuova musica seguendo i Beatles nel 1965 negli studi di Twickenham a Londra, e poi nella loro tournée italiana, e aveva proseguito affrontando anche i Rol-ling Stones per un documentario realizzato per la rubrica Sestante, che chiuderà il viaggio nella musica di questo mercoledì.

Una giornata clou di questa rassegna che si concluderà nella Cavea dell’aditorium Parco della Musica con il concerto di Augusto Enriquez y su Mambo Band, basato sul periodo d’oro della musica cubana, riproposto recentemente da un film di successo e prossi-mamente da un documentario dello stesso Minà.

la musica11 giugno

mercoledì 11 giugno • Programma della giornata

casa del cinema, Sala deluxe[ore 14:30] europa Pop e Folk - dai Beatles all’isola di Wight, (1970, 60’).

Segue[ore 15:30] america Pop e Folk, Viaggio nella canzone di protesta

americana gli artisti della tamla motown: Stevie Wonder, temptations, Jackson Five (1970, 60’).

[ore 17:00] la caccia al bisonte viaggio nell’america dello show business e delle contraddizioni insieme a gianni morandi – 1° puntata (1975, 60’). Segue

[ore 18:00] ritorno a Via gluck speciale di 35’ di e con adriano celentano (tratto da Odeon).

[ore 19:00] alta classe, puntata con Pino daniele e massimo troisi (prima parte, 60’)

ore 20:30, teatro all’aperto della casa del cinema incontro di gianni minà con Pino daniele e altri protagonisti e testimoni

del rock e del pop internazionale

ore 21:30, teatro all’aperto della casa del cinemaProiezione: Speciale rolling Stones, da Sestante (60’)

ore 21:30, cavea dell’auditorium – Parco della musicaconcerto: augusto enriquez y su mambo band

Dall’isola di Wight al mambo, passando per Napoli e via Gluck

i temi della rassegnalo sportil cinemal’america latinala musicamemorie cubanel’intrattenimento in tvl’impegno civile

Sopra: Pino Daniele e Massimo Troisi durante “Alta classe”; sotto, Minà con Adriano Celentano

Il programma è soggetto a variazioni fino all’ultimo momento

il cinemaDocumenti, prima che documentari

i temi della rassegnalo sportil cinemal’america latinala musicamemorie cubanel’intrattenimento in tvl’impegno civile

LLunedì 29 giugno 1987, alle sei della mattina, Gianni Minà ter-minava un’intervista di sedici ore, che è diventata storica, con Fidel Castro. Il leader cubano, che per decenni aveva avuto più di duemila richieste di interviste ogni anno, ed aveva incontra-to, per reportages televisivi, solo alcuni “guru” del giornalismo nordamericano, come Barbara Walther e Dan Rather, non si era mai aperto così tanto ai ricordi, alle confidenze e ai giudizi po-litici come in quell’occasione con il giornalista italiano. Avrebbe ripetuto l’esperienza, anni dopo, solo con Oliver Stone (che citò l’exploit di Minà nel film Assassini nati) e, più recentemente, con Ignacio Ramonet, direttore di Le Monde Diplomatique.

Quella notte Castro arrivò perfino a raccontare, con ruvida te-nerezza, la sua amicizia con Che Guevara. Non l’aveva mai fatto prima e non lo avrebbe mai più fatto in seguito.

Tre anni dopo il presidente cubano riincontrò Minà per riflet-tere sul tramonto del comunismo in Unione sovietica e nei paesi

dell’Est europeo, e aggiornare i temi dell’incontro precedente.

Quelle interviste, che sono state pubblicate anche in due libri con prefazione degli scrittori Gabriel García Márquez e Jorge Amado, sono patrimonio di molte facoltà di scien-ze politiche, anche nordamericane, e sono state la base di alcune opere che, insieme ad altri documentari sull’America latina, venti anni dopo, Minà ha rimontato e attualizzato, e ora ripropone in digitale col titolo Memorie Cubane, una collana distri-buita nel mondo da Adriana Chiesa Enterprises, in Italia reperibile nelle librerie Feltrinelli.

Il progetto, che ha valso al giorna-lista, al Festival di Berlino del 2007,

il premio alla carriera Berlinale Kamera (il più prestigioso rico-noscimento internazionale nel mondo dei documentari), è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma e premiato anche al Siviglia Festival del Cine Europeo.

I documentari proiettati nella giornata odierna sono quelli in-vitati alla rassegna berlinese, e sono:

Un giorno con Fidel [1987]: Il leader cubano, fuori da ogni uf-ficialità, racconta la storia della Rivoluzione, il rapporto difficile e mai risolto con gli Stati Uniti, gli incontri con molti dei prota-gonisti del mondo degli ultimi cinquanta anni, le sconfitte e i successi politici.

Fidel racconta il Che [1987]: Un inedito e inaspettato ricordo di un’amicizia nata in Messico, proseguita nella Rivoluzione cuba-na e raccontata nei particolari, fino alla partenza di Che Guevara per la sua ultima avventura in Bolivia, nell’ottobre di 40 anni fa.

Cuba 30 anni dopo [1990]: L’isola nella stagione di Gorbaciov, quando, oltre all’embargo degli Stati Uniti, Cuba stava per affron-tare il cambiamento dei rapporti economici con i paesi ex comu-nisti d’Europa. Una condizione che spiega la vicenda del generale Ochoa, un eroe della Rivoluzione, fucilato per narcotraffico.

12 giugno

gioVedì 12 giugno • Programma della giornata

casa del cinema, Sala deluxe[ore 11:00] il Papa e Fidel (1° parte, 75’). Segue[ore 12:15] il Papa e Fidel (2° parte, 95’)[ore 15:30] un giorno con Fidel (90’). Segue[ore 17:00] cuba 30 anni dopo (75’)[ore 19:00] Fidel racconta il che (75’)

ore 20:30, teatro all’aperto della casa del cinemaincontro di gianni minà con lo scrittore cileno luis Sepúlveda e con Wayne

Smith, il diplomatico nordamericano (ora docente universitario) che più ha lavorato a Cuba, e che per il Presidente Jimmy Carter, alla fine degli anni ‘70, trattò la pace con la Rivoluzione.

ore 21:30 teatro all’aperto della casa del cinemaProiezione: il che 40 anni dopo (90’)

memorie cubane

Il Papa e Fidel [1998]: Un reportage in due puntate sulla visita di Giovanni Paolo II, il pontefice che ha contribuito al tramon-to del comunismo, nella terra della Rivoluzione, sopravvissuta a questo destino.

Il Che 40 anni dopo [2008]: La ricostruzione dell’epopea di Er-nesto Guevara nelle parole di Pombo e Urbano, che il Che scelse e formò alla rivoluzione fin da ragazzi, e che gli sopravvissero nell’ultima battaglia in Bolivia. Due veri testimoni della Storia che, forse, senza questo documentario, la stessa Storia avrebbe ignorato.

Scrive Minà nelle note che accompagnano la raccolta Memorie cubane:

“Ho sempre cercato di avvicinare e raccontare uomini e si-tuazioni complesse, che magari, per pregiudizio, non erano stati onestamente spiegati alla gente. Così ho realizzato alcuni scoop giornalistici di risonanza internazionale, e sono riuscito ad entra-re, qualche volta, nel profondo di uomini e vicende.

Per questo Dieter Kosslick, direttore del Festival di Berlino, ha de-finito i miei lavori ‘documenti’, prima che documentari”.

Il programma è soggetto a variazioni fino all’ultimo momento

Il bello della diretta, quando la tv sapeva osare

i temi della rassegnalo sportil cinemal’america latinala musicamemorie cubanel’intrattenimento in tvl’impegno civile

LLa passione per il jazz, il rock, il samba e i ritmi afrocubani, oltre che per la canzone popolare italiana, avevano favorito molte incursioni di Minà nel mondo dell’intrattenimento, finché il direttore di Rai2, Massimo Fichera, che già lo aveva apprezzato come coordinatore delle due anime de L’altra domenica, quella sportiva di Barendson e quella spettacolare di Renzo Arbore, non gli fece conoscere Giovan-ni Minoli, che aveva in testa un programma come Mixer.

Minoli voleva impegnarsi nei faccia a faccia e nell’universo della politica e cercava un partner che si occupasse, con stile, del mondo dell’intrattenimento. Detto, fatto. Minà, pur essendo an-cora impegnato come inviato del Tg2 di Barbato, mise in piedi una storia di costume del nostro paese scandita dalle mode im-poste dalla televisione, che pure aveva, in quel momento, in Ita-lia, solo venticinque anni, e una serie di incontri con i cantautori, ormai assurti al ruolo di portavoce delle istanze dei più giovani.

L’esperienza fu positiva e così, quando Maurizio Costanzo, dopo molti dubbi, rinunciò a condurre il progetto sul pomeriggio do-menicale di Rai2 che doveva fare concorrenza “laica” alla Domeni-ca in di Pippo Baudo, bandiera di Rai1, Minoli lo propose a Minà.

Nacque una trasmissione a tema, Blitz, che durò tre stagioni, dal novembre del 1981 al giugno dell’84, che trattava ogni argo-mento scelto con tutti i linguaggi che lo spettacolo offriva: im-magini da film e da programmi tv, musica popolare e musica col-ta, teatro, cabaret, archivio dell’Istituto Luce, spettacoli in diretta da teatri europei e perfino dagli Stati uniti.

Insomma, un progetto veramente innovativo che tolse un terzo dell’ascolto alla concorrenza. Una volta, per trattare la danza classi-ca e il ballo moderno, c’erano in studio la Fracci, la Savignano e la Te-rabust, le tre etoiles del balletto in quell’epoca, e poi Antonio Gades e il suo flamenco collegato da un teatro parigino, e Luis Falco e la sua compagnia, reduci dal successo del film Fame - Saranno famosi, da un grattacielo della Fifth avenue di New York. E poi un gruppo dell’appena nata breakdance, e in studio Franco Miseria con le nuo-ve soliste che stava preparando per il varietà del sabato sera Rai.

Un gusto ad osare che incappava qualche volta in disservizi tec-nici nei collegamenti e che Minà giustificava con la frase, ormai entrata nel linguaggio televisivo: “Questo è il bello della diretta”.

Blitz iniziò con una puntata storica dedicata a Vittorio Gas-sman e al suo mondo, alla quale parteciparono anche Gigi Pro-ietti e Adriano Celentano. Memorabile, come detto, la puntata sul grande cinema, quando la trasmissione uscì dal suo studio per vivere in diretta da Cinecittà l’atmosfera dei set di Fellini e Leone. E poi quella su Modugno, quella con Eduardo De Filippo, quella su Muhammad Alì e Tommie Smith, i campioni americani dell’or-goglio nero, quella in cui Giorgio Strehler raccontò il suo teatro, o quelle, esilaranti, in cui Benigni e Troisi insieme tenevano Minà in allarme per tutta la trasmissione.

Questo rapporto instaurato col mondo artistico permise a Minà anche una serie come Alta classe, prodotta da Sergio Ber-nardini, dove si costruirono monografie di e con Ray Charles, Pino Daniele, Zucchero, Chico Buarque de Hollanda, Toquinho o Ste-fania Sandrelli e più avanti aiutò il giornalista nel programma Storie del ’98 [l’ultimo che gli è stato permesso in tv] a incontri sinceri e talvolta impensabili con stelle come Naomi Campbell, Isabella Rossellini, Martin Scorsese, Bernardo Bertolucci, Dario Fo, Gabriella Ferri e anche con protagonisti del nostro tempo come il Dalai Lama e il compianto John-John Kennedy.

l’intrattenimento in tv13 giugno

Venerdì 13 giugno • Programma della giornata

casa del cinema, Sala deluxe[ore 15:30] Blitz, puntata con Vittorio gassman, cyd charisse, gigi Proietti

e adriano celentano (120’)[ore 18:00] Blitz, puntata con domenico modugno e delia Scala (120’)

ore 20:30, teatro all’aperto della casa del cinemaincontro di gianni minà con gigi Proietti, Stefania Sandrelli e milly

carlucci

ore 21:30 teatro all’aperto della casa del cinemaProiezione: alta classe, puntata con Stefania Sandrelli e gino Paoli,

gilberto gil e toquinho (120’)

Sopra, con Gigi Proietti.Sotto, con Stefania Sandrelli e Milly Carlucci, che affiancava Minà nella presentazione di Blitz

Il programma è soggetto a variazioni fino all’ultimo momento

Quali diritti rimangono nel mondo in cui viviamo?

Scatti non autorizzati:le foto di Livio Senigalliesi

i temi della rassegnalo sportil cinemal’america latinala musicamemorie cubanel’intrattenimento in tvl’impegno civile

I NIn cinquant’anni di professione, spesso controcorrente, non sono mancati, per Minà, battaglie di impegno civile, specie da quando “l’altra America” e le sofferenze del continente latinoamericano sono diventate argomenti ricorrenti delle sue inchieste e dei suoi reportages. Dall’Argentina del dramma dei desaparecidos, che de-nunciò fra i primi, tanto da aver dovuto rinunciare al Mondiale di calcio del 1978, alla partecipazione nelle iniziative di Frei Betto, teologo della Liberazione, teso a combattere l’inaccettabile condi-zione umana dei meninhos de rua brasiliani, all’impegno nel ren-der pubblico, anche in Italia, il racconto del genocidio perpetrato in Guatemala negli anni ’80 contro le popolazioni Maya. Un im-pegno portato avanti collaborando con Rigoberta Menchú [Nobel della Pace 1992] e pubblicando il libro Guatemala, nunca más.

Più recentemente questo coinvolgimento è stato espresso in alcune delle puntate del programma Storie, dove Minà, oltre a dar spazio ai ricordi di John-John Kennedy o del Dalai Lama o alle denunce di Luis Sepúlveda sui crimini commessi in Cile durante la dittatura di Pinochet, ha dedicato due puntate dure e toccanti a storie italiane come quella di Nino Caponnetto, nel 1983 capo dell’ufficio istruzione della Procura di Palermo e creatore del pool antimafia di Falcone e Borsellino, e quella di Luciana e Giorgio Alpi, genitori di Ilaria, l’inviata del Tg3 assassinata a Mogadiscio insieme alll’operatore Miran Hrovatin per aver indagato sulla mala cooperazione italiana in Somalia.

Nino Caponnetto, col quale Minà ha condiviso, nel ’94 una campagna elettorale in Sicilia di contrapposizione ai metodi sfuggenti e omertosi di una parte della cittadinanza di fronte alla mafia, durante il suo viaggio nei ricordi dolenti di una vita, ha rivelato, pianto, spiegato e denunciato il lassismo nella lotta alla “piovra”, un esercizio che sembra sparito dalla televisione, pubblica e privata, da quando non c’è più a tenerlo vivo un croni-sta come Giò Marrazzo, del quale Minà fu collega e amico al Tg2 di Andrea Barbato e del quale stasera, al Palazzo delle Esposizoini si proietta una delle inchieste più incalzanti.

Un incontro storico, quello con Caponnetto, così come quello con i coniugi Alpi, dove mamma Luciana, in diretta si rese conto che i bagagli che contenevano i taccuini di sua figlia e le video-cassette di Hrovatin, erano stati manomessi durante il volo che portava a casa le salme degli uccisi, nel tratto fra Luxor in Egitto e l’aeroporto di Ciampino. Le immagini che smentivano tutte le tesi fino ad allora maldestramente sostenute dale fonti istituzio-nali del nostro paese, Minà le aveva ottenute dalla tv svizzera.

Nell’epoca attuale, quella di internet e dei satelliti (che avrebbero dovuto sempre più liberare lo scambio delle comunicazioni) non solo è negata, tergiversata, nascosta l’informazione scritta sugli argomenti più delicati e controversi dell’epoca che viviamo. Di questi tempi, viene elusa, condizionata e spesso proibita anche l’informazione per immagini, sia fotografica che televisiva, per-ché è quasi sempre più insmentibile delle parole.

Il mondo che si autodefinisce civile e democratico, non ama la chiarezza sulle sue politiche e sulle sue strategie, spesso spe-ricolate, immorali o ipocrite. Le foto o i reportages sconvenienti per l’immagine di queste nazioni supponenti e spesso di doppia morale, vanno evitate e sostituite da quelle fornite dagli stessi apparti militari che sovrintendono al conflitto.

Livio Senigalliesi si è negato a questa truffa dell’informazione.Così, nel 5° anno della guerra in Iraq [che sta per durare più

della 2a guerra mondiale] e nella stagione di tanti conflitti di-menticati, è andato, per esempio, a verificare i nefasti effetti delle armi usate per guerre dichiarate “in nome della democrazia”.

Come quella in Vietnam, dove tra il 1961 e il ’71, milioni di litri di un diserbante ad alto potenziale, l’’Agente Arancio, sono stati get-tati lungo il “sentiero di Ho Chi Min”, sui rifugi dei vietcong, per distruggere la coltre verde della foresta, individuare il nemico e colpirlo con bombe al napalm sganciate dai B52 dell’esercito de-gli Stati uniti. Il principale componente di quel diserbante ha im-pregnato il terreno e le falde acquifere di un’area vastissima, tan-to estesa da rendere semplicemente impensabile la sua bonifica. A più di trent’anni di distanza quell’elemento chimico continua ad essere rilevato in concentrazioni altissime nella popolazione, negli animali e nelle falde. Assunto attraverso il cibo o l’acqua o il latte materno, l’Agente Arancio entra in circolo, raggiunge gli or-gani bersaglio e provoca tumori e mutazioni del Dna: una catena infinita di sofferenze dal devastante impatto sociale. In Vietnam ben 4 milioni di persone subiscono tuttora gli effetti dell’Agente Arancio e molti bambini nascono ancora dementi o deformi.

Livio Senigalliesi, collaboratore di molti numeri della rivista Latinoamerica, diretta da Gianni Minà e Alessandra RIccio, lo ha documentato con una mostra che sta girando l’Europa e che ora arriva alla Casa del Cinema.

Senigalliesi, 52 anni, giornalista dall’81, lavora da anni come re-porter di guerra per i settimanali più prestigiosi, italiani e stranieri. La passione per la fotografia intesa come testimonianza l’hanno portato in terre ferite e fronti d’operazione come il Medio Orien-te, il Kurdistan, nella Berlino della divisione e della riunificazione, a Mosca durante i giorni del golpe che sancirono la fine dell’Unione sovietica, nella ex Jugoslavia, il cui processo di disgregazione ha se-guito in tutte le fasi dal ‘91 ad oggi, nelle repubbliche caucasiche, in Sudan, in Cambogia, in Guatemala e a Beirut. Un impegno civile premiato con vari riconoscimenti internazionali.

I suoi lavori si trovano sul sito www.liviosenigalliesi.com

l’impegno civile14 giugno

SaBato 14 giugno • Programma della giornata

a partire dalle ore 17,30, Palazzo delle esposizioni ingresso: via milano 9/a

[ore 17:00] Storie: antonino caponnetto, creatore del pool antimafia di Palermo. Ospite il Procuratore generale di Torino gian carlo caselli (90’).

ore 19.00 incontro di gianni minà con il teologo della liberazione brasiliano

Frei Betto, il frate comboniano alex Zanotelli e il Presidente dell’associazione “Libera” don luigi ciotti sul tema: “Quali diritti ci rimangono nel mondo in cui viviamo?”

ore 20:30Proiezione: un diario dal palazzo [rocco chinnici] di giò marrazzo, da

tg2 dossier (120’)

Il programma è soggetto a variazioni fino all’ultimo momento

augusto enriquez y su mambo band

IIndividuare nove mambi e cinque boleri della storia, dopo aver-ne selezionati già ventotto nei due precedenti cd -Carambola e La Bolita- di questa antologia, segnala da parte di Augusto Enriquez e di noi produttori una fede incrollabile nella musi-ca cubana degli anni ‘50, che conquistò il mondo per la sua in-ventiva e la sua raffinatezza, pur essendo un genere popolare, che ha eguali solo nella stagione del samba e della bossa nova brasiliani.

Ma quell’epoca, scandita dall’incontro fra la tradizione carai-bica e le jazz band nordamericane, fu veramente magica, come quella della grande canzone napoletana o addirittura quella ricchissima degli anni ‘60 e ‘70 per la musica popolare di tut-to il mondo, quella, per intenderci, del rock e del rifiorire delle canzoni popolari.

Fare quest’ultimo sforzo artistico e produttivo, dal titolo Ma-racaibo Oriental, era quindi per noi un obbligo, non solo per

ringraziare il pubblico che ha dimostrato di gradire le nostre scelte apparentemente in con-trotendenza, quanto per il ri-spetto che si deve ai ritmi afro-cubani, uno dei fiumi, insieme al samba e al jazz-rock, di cui si è nutrito ampiamente il mare della musica popolare offer-ta in questi ultimi cinquanta anni nel mondo.

Cuba non ha avuto una cassa di risonanza adeguata ai suoi meriti creativi perché gli Stati uniti, per bassi motivi politici ed economici, avevano

deciso, dagli anni ‘60 in poi, di escluderla. Ma non c’è possibilità di ingabbiare l’inventiva e così, mal-

grado la resistenza predisposta dalle logiche del mercato, le canzoni di cantautori ispirati come Silvio Rodríguez e Pablo Milanés, il jazz di Chucho Valdes con e senza Irakere, o l’energia di gruppi come i Van Van, e perfino i ritmi della tradizione con-tadina di Compay Segundo, hanno affermato, in questi anni, la musica dell’isola della Revolución, e continuano a farlo con gli artisti delle nuove generazioni.

Dalle candidature per i Grammy degli artisti appena citati, dal recente trionfo nel mercato dei vecchietti indomabili del progetto Buena Vista Social Club fino alla riscoperta, attraverso questa antologia, del mambo e del bolero, grazie all’intuizione di Augusto Enriquez, la forza sempre innovativa dei ritmi cuba-ni non ha mai avuto interruzioni.

E le esperienze si incrociano. Non a caso l’arrangiatore di Maracaibo Oriental, come di Carambola e La Bolita, è Demetrio Muñiz, responsabile musicale del progetto di Ry Cooder Buena Vista Social Club che, cinque o sei anni fa, sbancò a sorpresa il mercato declinante del rock, e perfino quello di moda del rap.

Bisogna poi sottolineare che è difficile per produttori im-provvisati come il sottoscritto, il professor D’Alessandro e per-fino per Joan Manuel Serrat, cantautore di tre generazioni di

spagnoli, trovare un artista non solo dotato, ma così colto come Augusto Enriquez, che nella musica popolare può giocare tutti i ruoli, cantante, compositore, musicista, produttore in sala, e sa quindi dare corpo a qualunque nostra presunzione o azzardata idea.

In questo Maracaibo Oriental, che completa dopo otto anni il viaggio nel mambo e nel bolero, ci sono così tre perle, prodotto della poliedricità proprio di Augusto Enriquez:

un duetto memorabile nella canzone 1) A mi manera con Oma-ra Portuondo, voce inimitabile della tradizione cubana, alla quale è stato dedicato il terzo cd di Buena Vista Social Club. Un altro duetto, questa volta proprio con Benny Moré, il sim-2) bolo stesso del mambo. Un duetto possibile grazie alla peri-zia dell’ingegnere del suono Alfonso Peña che ha ricavato la voce di Benny Moré in Devuelveme el coco, da un disco della Rca Victor inciso dal “barbaro del ritmo” la sera dell’11 novem-bre 1953. Infine la registrazione inedita di 3) Chitarra romana arrangiata a danzon cubano che Augusto Enriquez eseguì in duetto con Luciano Pavarotti nel Pavarotti & Friends del 2002.Di questa generosa concessione siamo grati a Nicoletta Pava-

rotti e a tutto lo staff che collaborava con il grande maestro, a cominciare da Michele Centonze.

Quella sera, dopo l’applauso che l’Orchestra sinfonica del Pavarotti & Friends aveva decretato nelle prove alla band di mambo di Augusto, il grande tenore decise di far aprire l’even-to proprio a loro, con una frenetica esecuzione di Carambola. Il ringraziamento per quell’atto di rispetto è postumo, ma pro-fondo ed emozionato.

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Perché una trilogia del mambo di Gianni Minà

gme produzioniLo stile e l’ambizione dei progetti della G.M.E. Produzioni

GG.M.E. Produzioni srl è una società di produzioni audiovisive indipendente, fondata nel 1984 da Gianni Minà, giornalista e scrittore, con l’intento di produrre documentari e reportage di alta qualità riguardanti argomenti di attualità, politica, cultura, società, sport, oltre che realizzare ritratti e ricostrui-re storie.

In questa prospettiva la G.M.E. ha realizzato negli anni una serie di opere con alcuni protagonisti del nostro tempo.

Storici gli incontri con Fidel Castro: due lunghe ed affasci-nanti interviste filmate, realizzate nel 1987 e nel 1990 in cui il leader cubano, dal suo punto di vista, narra la sua storia, quella della rivoluzione, le relazioni di Cuba con l’Unione so-vietica prima e dopo il tramonto del comunismo nell’Est eu-ropeo, la storica inimicizia con gli Stati Uniti e il particolare rapporto stabilito con Papa Giovanni Paolo II. Un capitolo a parte, assolutamente inedito, è rappresentato dal racconto della fraterna amicizia con Ernesto Che Guevara. Un ricordo toccante, mai affrontato in precedenza e mai più riproposto da Fidel Castro. Queste interviste sono state anche oggetto di due libri, pubblicati in più di dieci paesi, con le prefazioni di

Gabriel García Marquez, Premio Nobel per la letteratura e di Jorge Amado, lo scrittore patriarca della letteratura brasiliana.

Nel corso del tempo, la G.M.E si è specializzata nella rea-lizzazione di documentari riguardanti il mondo latinoamericano e la vitalità innova-tiva che lo caratterizza. Così la società ha prodotto reportage su Rigoberta Menchú (Premio Nobel per la pace), Pombo e Urbano (due dei sopravvissu-ti a Che Guevara nella sua drammati-ca avventura in Bolivia, protagonisti del recente Il Che quarant’anni dopo) Alberto Granado (biologo argentino e compagno del Che nel 1952 nello storico viaggio in motocicletta attra-verso l’America Latina) e il Subcoman-

dante Marcos (portavoce delle popolazioni maya del Chiapas messicano e leader della rivoluzione zapatista). La società ha collaborato anche a progetti su campioni dello sport come: Muhammad Alì, Alberto Juantorena (olimpionico a Montreal nei 400 e 800 m e primatista mondiale, ora vice ministro del-lo Sport cubano), Nino Benvenuti, Pietro Mennea, Ana Fidelia Quirot (campionessa mondiale e olimpica degli 800 m), il pugile messicano Julio Cesar Chávez, l’ultimo fuoriclasse di una disciplina in declino, e su stelle del calcio come Diego Armando Maradona, George Weah, Michel Platini, Roberto Baggio.

Una delle produzione più premiate della G.M.E. (in copro-duzione con la Surf Film) è stata In viaggio con Che Guevara (2004). In questo film-documentario l’ottantenne Alberto Granado ripercorre, cinquant’anni dopo, le tappe del viaggio iniziatico compiuto con il Che e che cambiò la vita di tutte

e due. In alcuni momenti il documentario va di pari passo con le riprese del film I diari della motocicletta di Walter Sal-les, prodotto da Robert Redford. In viaggio con Che Guevara è stato presentato in anteprima al Festival di Berlino e ha vinto il Festival di Montreal e il Nastro d’argento dei critici italiani. È stato anche invitato, fuori concorso, ai Festival di Brasilia, Morelia, Valladolid, Belgrado e San Francisco.

È appena uscita la riedizione attualizzata de Il Che qua-rant’anni dopo, dove l’epopea di Guevara è raccontata da Pombo e Urbano, a lui sopravvisuti in Bolivia.

I reportage della G.M.E. sono pezzi rari di giornalismo, che illustrano, nel caso dell’America Latina, le speranze e le utopie perdute e ritrovate di un continente e, nel caso dello sport, l’aspetto più nascosto, le ansie, le grandezze, le miserie e le rivincite degli eroi degli stadi.

Nel 2007 la G.M.E. ha prodotto, con la Gazzetta della Sport e Rai Trade, Maradona, non sarò mai un uomo comune, la storia in dieci dvd del famoso calciatore argentino, che ha stabilito il record di vendite in Italia. Amministratore unico e produttore esecutivo della società è Loredana Macchietti.

Quest’anno la società ha messo sul mercato, distribuito da Rai Trade, il 3° cd [in otto anni] della Trilogia del Mambo rea-lizzata da Augusto Enriquez y su mambo band, Maracaibo Oriental. Quest’opera sull’epoca d’oro della musica cubana, arrangiata da Demetrio Muñiz, viene dopo Carambola e La bolita, che sono stati distribuiti da RCA Victor - BMG.

Dal 2000 la G.M.E. è attiva nel campo editoriale con la ri-vista trimestrale di geopolitica Latinoamerica, fondata dallo storico Enzo Santarelli e da Bruna Gobbi, e dove scrivono al-cuni fra i più prestigiosi scrittori e saggisti del continente.

Sopra, da sinistra: Loredana Macchietti,

della G.M.E. Produzioni

Muhammad Alì, Gianni Minà e

Lona Alì, moglie del campione

In IV di copertina, dall’alto: Minà con i Beatles; al centro: da sinistra Gabriel

García Márquez, Sergio Leone,

Muhammad Alì, Robert De Niro e

Gianni Minà; sotto, con Diego Armando

MaradonaG.M.E. Produzioni Srl · Via Angelina Marsciano 7

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