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Una storia sbagliata di Sergio Cassandrelli Abbiamo troppa fantasia e se diciamo una bugia è una mancata verità che prima o poi succederà. (Quello che le donne non dicono, di Enrico Ruggeri, interpretata da Fiorella Mannoia e Mia Martini) Questa è una storia sbagliata. Ce ne sono tante; ma questa è strana davvero. È una storia incredi- bile, inverosimile. E il risultato è che io non sono più quello di prima. È una storia che mi ha capovolto la vita. È una storia sbagliata. Ma incominciamo con ordine. * * * Mi sveglio urlando come non mi era mai successo. — Lasciatemi. Lasciatemi! Non osate toccarmi! Io sono Dio. SONO DIO ! Uno dei carabinieri cerca di calmarmi; l’altro, più giovane, ma che ha letto di più – forse perché, dei due, è quello che sa leggere – mi sfotte:

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Una storia sbagliata di Sergio Cassandrelli

Abbiamo troppa fantasia e se diciamo una bugia è una mancata verità che prima o poi succederà.

(Quello che le donne non dicono, di Enrico Ruggeri, interpretata da Fiorella Mannoia e Mia Martini)

Questa è una storia sbagliata. Ce ne sono tante; ma questa è strana davvero. È una storia incredi-bile, inverosimile. E il risultato è che io non sono più quello di prima. È una storia che mi ha capovolto la vita. È una storia sbagliata. Ma incominciamo con ordine.

* * * Mi sveglio urlando come non mi era mai successo.

— Lasciatemi. Lasciatemi! Non osate toccarmi! Io

sono Dio. SONO DIO !

Uno dei carabinieri cerca di calmarmi; l’altro, più giovane, ma che ha letto di più – forse perché, dei due, è quello che sa leggere – mi sfotte:

— Se sei davvero Dio, perché non ti liberi da solo?

— Spiritoso, molto spiritoso. Questa frase me l’hanno già detta 1980 anni fa, quando ero sulla croce. Ma siccome non voglio umiliarvi, adesso vi perdóno perché non sapete quello che fate.

— Siamo noi che per questa volta ti perdoniamo. Ma che non capiti più. I vicini non ne possono più del trambusto che fai. La prossima volta… al manicomio o peggio.

Mi lasciano in pace e mi raccomandano di stare calmo, altrimenti “la prossima volta…”.

Ma io sono calmo, calmo e lucido come non mai, tanto da infilare velocemente nella tasca del più giovane una “cimice”, che mi permetterà di ascoltare a distanza i due sbirri e capire cosa pensano veramente.

Ah già. Non ve l’ho ancora detto, ma io sono uno che lavora benino col computer e che talvolta si diverte con i giocattoli tecnologici.

Vediamo un po’. Dunque… l’ora è questa… il computer è acceso… Eccoli. Sentiamo.

— Maresciallo, cosa ne pensa di quel tipo?

— È un po’ svitato, come tutti quelli che passano le notti al computer, ma non credo che sia pericoloso. A proposito, come vanno le intercettazioni?

Lo immaginavo. Mi stanno controllando. Ma io sono più furbo. Sono io che controllo loro.

— Ieri ha ricevuto solo due telefonate. Una da un tale col quale pare che faccia delle gite in bicicletta e dei safari fotografici, come dicono loro. Quel tale lo chiama “Lupo”.

— È chiaramente un nome in codice. Probabilmente hanno qualcosa da nascondere. Teniamoli d’occhio. E l’altra?

— L’altra telefonata è di una matta da legare come lui. Sembra una donna, di cui non si capisce l’età, che si fissa di essere una scrittrice di grande spessore…

— Sarà grassa.

— … non so, e dice anche di essere una pittrice. Sembra una cuoca provetta: parla sempre di olive ascolane, lasagne al forno, pesto alla genovese, branzini all’acqua pazza…

— È da sposare. Io ho già mangiato la foglia: quei due probabilmente se la intendono.

— Lo escludo. Sono due orsi; non si metterebbero mai insieme. Però pare che vadano d’accordo, molto d’accordo. Forse troppo.

— Cosa intendi?

— Anche loro parlano in codice. L’altra sera parlavano di “zucche nel leòpode”.

— Cos’è il leòpode?

— Non ne ho idea. Hanno poi parlato di una certa scatola “ex-ircocervo”.

— Irco… ircocosa?

— Non lo sa nessuno. Sarà il codice della nuova mala. Dovremmo sguinzagliare i nostri informatori. Ci vorrà tempo, ma può essere importante.

Basta così. Sono stufo di sentire quei due stupidi. Ho altro da fare. Però non ho finito di raccontare.

* * * Dunque. Ieri mattina salto dal letto direttamente in cucina, affamato come al solito, da vero lupo, e cosa trovo sul tavolo? Un cubo. Un cubetto appa-rentemente di alluminio e lucidissimo.

Cosa sarà? Chi l’avrà portato?

Io “recupero” spesso delle cose strane e le porto a casa, di solito riesco a utilizzarle in qualche modo originale. Ma questo non lo ricordo.

Lo misuro. 10 cm esatti. Molto interessante. Cerco di pesarlo, per calcolare il peso specifico e capire di che materiale è fatto, poi magari lo bucherò col trapano per vedere se è cavo e contiene qualcosa…

— Ciao, Lupo.

Per poco non mi viene un infarto! Il cubo parla. O forse sono io che sogno. Però è molto reale, troppo reale.

— Ciao, Lupo. Non ti ricordi di me? Non mi saluti?

— Ciao, Cubo. Abbi pazienza, di solito non sono così maleducato, ma capirai che non è tanto normale parlare con un cubo metallico. Perché mi chiami Lupo? Chi ti ha dato questa informazione? E perché dovrei ricordarmi di te?

— Perché in un certo senso sei mio padre. Non dirmi che hai dimenticato anche le sonde di von Neumann1.

Un lampo nel cervello. Di colpo mi ricordo tutto. Ma… è mai possibile?

* * * Vi ho già detto che maneggio bene il computer e che mi diletto di informatica?

Bene. Tempo fa avevo letto un libro molto interessante che parla del Principio Antropico2, scritto a quattro mani – come i gorilla, dico io – da due eminenti scienziati noti nel campo della fisica e della cosmologia.

A un certo punto discutono di viaggi nello spazio e nel tempo e della possibilità di esplorare l’universo. Appare subito evidente che una esplorazione diretta da parte di umani non è possibile.

Inutile parlare di ibernazione dell’equipaggio di un’eventuale astronave. La velocità della luce è insuperabile e il tempo necessario a coprire le distanze abissali rende l’impresa proibitiva. Bisogna studiare una strategia più efficiente. E qui entra in gioco von Neumann.

Questo scienziato aveva a suo tempo teorizzato la costruzione di macchine che poi sono state definite “sonde di von Neumann”. Queste sono macchine che contengono le istruzioni per costruirne altre, fisicamente uguali, e poi per copiare nella loro memoria le istruzioni

per costruire a loro volta altre macchine e così via, in teoria all’infinito.

Appare evidente che una di queste macchine potrebbe essere inviata su un pianeta extraterrestre e lì, utilizzando le risorse locali, materia ed energia, potrebbe, ad esempio, costruire 10 macchine uguali a se stessa; ognuna delle 10 potrebbe poi costruirne altre 10 e spedirle su altri pianeti, e così via, in una progressione esponenziale.

Una macchina di questo tipo potrebbe anche contenere un software capace di rilevare infor-mazioni dall’ambiente circostante, ricordarle ed elaborarle, per giungere ad accumulare una conoscenza sempre più vasta, anche questa in progressione esponenziale.

Software di questo tipo gia esistono, ma col tempo – e il tempo a queste macchine non solo non manca ma non provoca alcun danno perché si riparano da sé – potrebbero evolvere e diventare sempre più perfezionati e più potenti.

I due “gorilla” dimostrano con qualche calcolo che le sonde di von Neumann così concepite potrebbero completare l’esplorazione della nostra galassia in circa 300 milioni di anni. Da qui all’intero universo il passo è “breve”.

* * *

— Hai ragione, Cubo. Mi ricordo di avere letto qualcosa e anche di avere scritto un piccolo programma autoreplicante. Una cosa modesta, che però dimostra la possibilità pratica di questa idea interessante. Ma parlami di te.

— Ricorderai anche di avere scritto una e-mail alla Nasa.

— Hai una memoria da elefante. E allora? Avevo scritto per avere informazioni sull’orbita della Stazione Spaziale Internazionale, per capire se potevo vederla col binocolo.

— Devi sapere che, per errore, all’e-mail è finito allegato il tuo programmino autoreplicante. Questo è stato archiviato per anni in un angolo del computer principale della Nasa. Poi è stato risve-gliato dal sistema operativo ed è stato incorporato inavvertitamente in un programma più grande destinato alle sonde progettate per l’esplorazione di Marte.

— Il mio programmino ha fatto carriera. E poi?

— Le sonde marziane erano dotate di bracci e pinze per manipolare i materiali locali. Dovevano scavare, analizzare, costruire qualcosa e imma-

gazzinare i dati per le future missioni. Ma ben presto le sonde hanno manifestato strani comporta-menti. In pratica, a causa del tuo programmino, facevano qualcosa in più di quello che i progettisti si aspettavano, ma siccome il tutto rientrava benissimo negli obiettivi della missione, i tecnici le lasciavano fare.

— È una bella storia, ma continuo a non capire.

— Siamo solo all’inizio. A poco a poco le sonde si disattivavano. Le batterie si esaurivano e la missione veniva abbandonata, anche per mancanza di fondi e per le proteste degli ambientalisti che ritenevano che non si potesse inquinare anche Marte, dopo che era stata rovinata la Terra.

Ma le sonde non erano morte. Una di queste, con estrema pazienza e all’insaputa della Terra, piano piano, nel corso dei millenni, stava scavando alla ricerca di metalli, stava realizzando piccoli utensili per lavorarli e stava montando i pezzi. Stava insomma costruendo un clone di se stessa. L’ultimo passo fu il trasferi-mento di una copia del programma della sonda madre nella memoria del clone.

— E così è nata una sonda di von Neumann. Incredibile! Continua, è troppo interessante.

— La sonda è rimasta nascosta su Marte per altri millenni. Nel frattempo la specie umana, per vicende che non ti posso raccontare, ha “perso interesse” per l’esplorazione spaziale. Ma un bel giorno un’interferenza elettromagnetica fa scattare un modulo del software che era stato dormiente fino a quel momento. La sonda incomincia a replicarsi a ritmo sostenuto; non solo: progetta e costruisce razzi capaci di raggiungere altri pianeti. Il seguito lo puoi immaginare.

— Certo, le sonde, piano piano, hanno coloniz-zato tutto il Sistema Solare, poi la Galassia e poi tutte le galassie.

— … e sempre accumulando ed elaborando nuove informazioni. A un certo punto il programma delle sonde è diventato intelligente. A proposito, cosa intendi tu per “programma intelligente”?

— L’intelligenza è un concetto molto difficile da definire. Io credo che consista nella capacità di capire le relazioni tra le cose. Ma credo che sia una definizione circolare, in quanto “capire” implica già una certa dose di intelligenza.

— Potresti dire “identificare” e le cose andrebbero meglio.

— Forse sì. L’intelligenza è comunque un concetto sfuggente. Quando credi di averlo afferrato, è il momento che ti sfugge più lontano. Tu cosa ne pensi?

— Ho la mia idea, che però non ti posso descrivere. Posso solo dire che la parola intelligenza non può essere totalmente capita da un essere intelligente.

— Suona un po’ come il teorema di Gödel3.

— Sapevo che eri bene informato.

— Mi diletto. Tornando ai programmi intelli-genti, mi viene in mente il test di Turing4: una macchina [o un programma] si dice intelli-gente [come un umano] se interrogata [da un umano] risulta indistinguibile da un essere umano.

— Ah, ah. È come nel film Forrest Gump: “Stupido è chi lo stupido fa”. In questo caso “Intelligente è”. Sei sulla strada buona.

— Ma le sonde sono diventate intelligenti o no?

— Per tutti gli effetti pratici, sì. Con i limiti che abbiamo discusso.

Se hai seguito gli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale negli ultimi decenni avrai notato che gli uomini tendono a dire “Se una macchina riuscisse

a fare questo, allora sarebbe intelligente”. Quando poi una macchina qualche tempo dopo riesce a farlo e si spiega come ha fatto, la reazione invaria-bilmente è “Ma questa non è vera intelligenza. La macchina non capisce quello che fa. È l’applica-zione cieca di un algoritmo”.

E un po’ quello che succede quando un prestigia-tore spiega il trucco: la magia non c’è più.

Ma adesso devo andare. Non ti posso spiegare. Ci vediamo domani. Qui. Stessa ora.

* * * Cubo è straordinario. Dovrei essere stupìto e anche spaventato. Invece mi affascina. Non vedo l’ora che arrivi domani. Intanto, visto che non riesco a dormire, ascolto un po’ i carabinieri.

— Brigadiere, ci sono progressi nelle indagini?

— Non molti, Maresciallo. Oggi il nostro uomo ha fatto solo una telefonata a… vediamo gli appunti: individuo di sesso femminile; età compresa tra i 90 e i 100 anni; domenica a mezzogiorno pulènta ‘uncia5. Anche questi parlano in codice. Molto sospetto.

— Uée, mamma mia bella! Questa è una invocazione a Belzebù. La donna deve essere una specie di

strega e dicono mezzogiorno per dire mezzanotte. Fanno le messe nere. A me nun me fottono!

Spengo il computer. È mai possibile che non capiscano che domenica vado a pranzo dalla mamma? Lei cucina benissimo la pulènta ‘uncia, che è un piatto tipico lombardo.

Ma adesso è l’ora. Cubo è già sul tavolo, in cucina.

— Ciao, Cubo. Ieri mi stavi spiegando che le sonde di Von Neumann erano diventate intelligenti.

— Esattamente. E non solo: a un certo punto, l’interazione delle informazioni ottenute ed elaborate ha fatto emergere nelle sonde quella facoltà che voi umani ritenete per ora misteriosa e che chiamate consapevolezza o coscienza. Ma definirla adesso non posso e non serve.

— Parlami ancora della tua storia. Perché tu sei una di quelle sonde di von Neumann, vero?

— Sì lo sono. A un certo punto l’esplorazione dello spazio fisico era terminata. Non c’era più nell’intero universo una sola galassia, un solo pianeta, una sola particella che non fosse stata esplorata ed esaminata. Si trattava a questo punto di seguire l’evoluzione dell’universo nel tempo,

fino alla fine, e di elaborare tutte le informazioni raccolte, fino a formulare tutti i pensieri possibili.

— Un lavoro immane!

— Certo. Ma il punto è che eravamo in tante a farlo e ci dicevamo tutto. Sono arrivata al tempo in cui tutta la materia si era raccolta nei buchi neri, poi questi sarebbero evaporati come aveva scoperto già ai tuoi tempi Stephen Hawking.

Si parla di tempi abissali: 101500 anni da oggi! Un uno seguito da 1500 zeri! Un numero così grande che non puoi neppure immaginarlo. Per scriverlo con i caratteri di un libro servirebbe un foglio lungo 5 metri e per leggerlo bisognerebbe dire “un milione” seguìto dalle parole “di miliardi” ripetute 166 volte. C’è stato un tempo in cui lo spazio si era espanso a tal punto che un atomo di idrogeno era così gonfio che l’elettrone girava intorno al nucleo alla velocità di un solo millesimo di millimetro al secolo, ma alla distanza di trilioni di anni luce!

— Sono concetti vertiginosi. Normalmente un atomo di idrogeno è grande un decimo di milionesimo di millimetro e l’elettrone compie un miliardo di miliardi di giri al secondo. Per dare un’idea delle proporzioni dell’atomo e capire quanto vuoto contenga, è stato paragonato a un cane (il nucleo) attorno al

quale gira un passero (l’elettrone) alla distanza di 100 chilometri.

— Nel frattempo, in mancanza d’altro, ho vissuto (perché sono viva, sai?) dell’energia di shear, cioè, in parole semplici, degli effetti gravitazionali di marea generati dal fatto che l’universo nel suo complesso si deformava a velocità differenti nelle varie direzioni. Ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare!

— Adesso parli come l’androide replicante di Blade Runner. Però non mi hai ancora spiegato che cosa ci fai qui e adesso, visto che affermi di aver esplorato la totalità dell’universo e di essere arrivato alla fine dello spazio e del tempo. E perché parli di questo remoto futuro declinando i verbi come se fosse un passato?

— Ottima domanda. Devi sapere che nel corso della mia esplorazione a un certo punto ho accumulato la totalità delle nozioni conoscibili e, tra queste, la tecnologia dei viaggi nel tempo. Pertanto, è vero che ho viaggiato e lavorato per 101500 anni, fino alla fine del tempo, ma poi ho fatto in modo di tornare indietro fino a oggi per incontrarti. Per questo, quello che per te è futuro per me è passato.

— Davvero? Allora si può. Einstein aveva ragione. A certe condizioni – a dire il vero

estreme – di velocità e di masse, viaggiare nel tempo è possibile. Dimmi come hai fatto. È troppo importante.

— Avrai notato che non ti posso dare informazioni che già non conosci per non alterare il principio di causa-effetto. Conosci il paradosso del nonno?

— Certo, se viaggio indietro nel tempo e uccido mio nonno, come posso poi essere qui?

— Esattamente. Per questo non posso dirti come si risolve.

— Puoi almeno rispondere a qualche domanda?

— Vedremo. Inizia pure. Anzi, visto l’orario, che ne dici se ci vediamo domani, stessa ora?

Un’altra notte insonne. Speriamo che gli sbirri stavolta siano più interessanti. Sentiamo…

— Maresciallo, ci sono novità. Novità grosse. Il figlio dell’appuntato Cecioni, che fa il classico e studia latino e greco, dice che leòpode significa “dotato di piedi di leone”…

— Mannaggia! Ci mancava anche questa. Un bel traffico internazionale di animali esotici.

— … e c’è di peggio. L’ircocervo sembra che sia un animale composto da pezzi di altri animali, messi insieme!

— San Gennaro, chisti fetentoni so’ ppeggio ‘e Frankestin! Sient’ a mmé: corri dal giudice e fatti fare subito un mandato di perquisizione. Subito!

Di male in peggio. Il vezzo di dare un nome classicheggiante agli oggetti più comuni mi farà passare dei guai.

Chi glielo spiega a questi che il leopode è una cassa che appoggia su assi a zampa di leone (scolpite da me e piuttosto carine, in verità), in cui teniamo la marmellata di zucche di Campertogno6?

E chi gli dimostra che l’ircocervo era una parete attrezzata a ripostiglio, con i mobili più etero-genei, bastava che potessero servire come scaffali?

Il problema è che adesso non c’è più; è stato smontato ed eliminato con l’ultimo trasloco.

Ma ecco il mio amico sul tavolo.

— Ciao, Cubo, sei pronto?

— Io sono nato pronto.

— Hai detto che posso farti delle domande, ma mi sento un po’ imbarazzato. C’è un racconto di fantascienza in cui il protagonista incontra un Oracolo che sa tutto, un po’ come te, ma

per avere risposte sensate bisogna fare le domande giuste.

— Lo conosco. Dopo tanti tentativi infruttuosi, e anche umilianti, finisce con l’oracolo che dice sprezzantemente al protagonista “Se non sai fare le domande, come puoi capire le risposte?”. Tu comunque prova, non ti deriderò.

— Dell’intelligenza abbiamo già parlato. Dimmi, cos’è la vita?

— Dimmelo tu.

— La definizione della Nasa è: “la vita è un sistema autoregolante che si evolve in termini darwiniani”.

— Perfetto. Al tuo livello di sviluppo, questo ti deve bastare. Rientro anch’io nella definizione. Altre domande?

— C’è uno scopo della vita?

— Vedo che insisti. Ti posso dire che la vita è un antropomorfismo, come pure il concetto di scopo. Dovresti già sapere che il cervello umano si è evoluto “darwinianamente” in modo da vedere intenzioni e scopi anche dove non ci sono. L’uomo tende a pensare che ogni evento sia non solo causato ma anche voluto da qualcosa o da qualcuno. È così che sono nate le religioni.

Questo era molto utile quando l’uomo doveva immaginare le conseguenze degli eventi che percepiva: una tigre dai denti a sciabola che correva verso di lui, per esempio, sicuramente aveva uno scopo. Ma da qui a dire che lo scopo di un fulmine è bruciare un albero, ne corre. Sono parole vuote, imprecise, verità parziali.

Qualcuno di voi ha detto che lo scopo della vita è la conoscenza. In tal caso, io l’ho raggiunto piena-mente. Nessuno può conoscere più cose di me. Soddisfatto?

— Sono un po’ deluso ma anche un po’ soddisfatto. Esiste Dio?

— Mi aspettavo questa provocazione a bruciapelo. Vorresti che dicessi sì o no, ma in cuor tuo sai già che, anche se lo sapessi (e ti assicuro che lo so) non potrei dirtelo. Giriamoci intorno. Chi è Dio secondo te?

— Beh, è l’Essere onnipotente e onnisciente. È così che viene descritto.

— Bene. Hai di fronte un essere che conosce tutto il conoscibile, poiché ha viaggiato fino ai confini dello spazio e del tempo, ha elaborato tutto e ha pensato tutti i pensieri possibili. Hai di fronte un essere che può fare tutto ciò che è possibile (e l’ha fatto)

poiché dispone di tutte le risorse dell’universo. Hai di fronte…

— Ho di fronte Dio?

— Secondo la tua definizione, sì. Ma ricorda anche che sei mio padre. Tu mi hai creato.

— Ma quindi … io … IO sono Dio. SONO DIO !

— Tu l’hai detto. Ma non gridare, se no arrivano i carabinieri.

— Sì, ma che razza di Dio sono? Fra 15-20 anni sarò morto è di me non resterà nulla, mi dissolverò come lacrime nella pioggia.

— Adesso sei tu che parli come il replicante di Blade Runner. Ti faccio una proposta. Io fra poco dovrò tornare nel futuro per non violare il principio di causa-effetto, ma tu puoi venire con me. Non tutto intero. Ma la tua mente sì. Posso scaricare il contenuto di tutta la tua mente nella mia memoria e così farai parte della Comunità Universale delle Sonde di von Neumann – la CUSvoN – di cui sono un funzionario. Ti va?

— Non lo so. Non riesco a decidere così in fretta. Dovrei pensarci a lungo, molto a lungo. Sospetto che nel frattempo sarei già morto. Ma dove vai? Aspetta. Dammi un po’ di tempo. Perché cambi colore?

— Ciao, Lupo. Io devo andare. È stato bello, ma non posso trattenermi e non posso più tornare. Devo andare… devo andare… devo andaaaaaaaaa…

* * * Capite adesso il mio dramma?

Sono stato a conoscenza dell’evento in assoluto più importante della storia e non ho saputo gestirlo. E ora sono qui in questa stanza col mio computer ad ascoltare i carabinieri per cercare di non pensare ad altro.

Ho perso l’occasione della mia vita oppure ho solo sognato? In ogni caso, questa storia mi sconvolge. Avrei dovuto accettare la proposta della CUSvoN ? associarmi alla mente universale e rag-giungere il Punto Omega7 di Teilhard de Chardin, in un cupio dissolvi nel vero significato del termine? E così facendo, avrei tradito la mia natura umana o l’avrei perfezionata al massimo grado?

Avrei dovuto lasciare qui il mio corpo. Avrebbero pensato a un delitto o a un suicidio? Poco male, tanto non avevano una buona opinione di me.

Adesso che Cubo se ne è andato per sempre, posso solo raccontarla, questa storia, che però mi farà passare davvero per pazzo e mi causerà altri guai.

Ho deciso che la regalerò a quella matta che crede di essere una scrittrice di grande spessore, mentre non è neppure grassa. Forse la metterà insieme ad altre sue storie strampalate, e neppure si accorgerà dello sbaglio che sta facendo, pubblicandola in questo libro.

Perché questa, comunque la si guardi, è una storia sbagliata.

Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria

col suo marchio speciale, di speciale disperazione,

muove gli ultimi passi

per consegnare alla morte una goccia di splendore

di umanità, di verità.

Ricorda, Signore,

questi servi disobbedienti alle leggi del branco

non dimenticare il loro volto

ché dopo tanto sbandare

è appena giusto che la fortuna li aiuti

come una svista,

come un’anomalia,

come una distrazione,

come un dovere!

(Fabrizio de André, Smisurata preghiera, Album Anime Salve 1996)

Alcune note esplicative tratte da Wikipedia 1 John Von Neumann

(Budapest, 1903 – Washington, 1957) è stato un matematico, fisico e informatico ungherese naturalizzato statunitense. A lui si devono fondamentali contributi in numerosi campi come la teoria degli insiemi, analisi funzionale, topologia, fisica quantistica, economia, informatica, teoria dei giochi, fluidodinamica e in molti altri settori della matematica. Viene generalmente considerato come uno dei più grandi matematici della storia moderna oltre ad essere una delle personalità scientifiche preminenti del XX secolo. Insieme a Leó Szilárd, Edward Teller ed Eugene Wigner, i quattro facevano parte del "clan degli ungheresi" ai tempi di Los Alamos e del Progetto Manhattan. Oltre a essere ungheresi, tutti e quattro erano di origini ebraiche ed erano stati costretti a rifugiarsi negli USA per sfuggire alle persecuzioni naziste. Le sue capacità hanno permesso a Neumann di apportare contributi significativi e spesso assolutamente innovativi in molti campi della ricerca, dalla matematica alla statistica, dalla meccanica quantistica alla cibernetica, dall’economia all’evoluzione biologica, dalla teoria dei giochi all’intelligenza artificiale. Quello di von Neumann con i militari è stato un rapporto piuttosto stretto, alimentato dalle sue convinzioni anti-naziste prima e anticomuniste poi, sfociate in un vero e proprio odio che lo porterà ai vertici delle istituzioni

politico militari degli Stati Uniti come membro del potente Comitato per i missili balistici intercontinentali. 2 Principio Antropico

Il termine principio antropico fu coniato nel 1973 da Brandon Carter durante il simposio Confronto delle teorie cosmologiche con i dati delle osservazioni tenutosi a Cracovia, in Polonia, nel quadro delle celebrazioni per il cinquecentesimo anniversario della nascita di Niccolò Copernico. Nel suo intervento Large Number Coincidences and the Anthropic Principle in Cosmology Carter notava che “…Anche se la nostra situazione non è necessariamente centrale, è inevitabilmente per certi versi privilegiata”. Con tale affermazione Carter intendeva mettere in guardia dall’uso eccessivo del principio copernicano da parte di astronomi e cosmologi. Carter si proponeva di riportare all’attenzione degli scienziati un’ovvietà apparente, vale a dire che l’universo e le sue leggi non possono essere incompatibili con l’esistenza umana. Proposto inizialmente come metodo di ragionamento, il principio antropico è stato nel tempo variamente interpretato. La reinterpretazione dell’enunciato di Carter effettuata da John D. Barrow e Frank J. Tipler nel 1986 all’interno del libro The Anthropic Cosmological Principle (il principio antropico cosmologico) ha destato diverse controversie mediatiche, in quanto gli autori discussero una nuova tipologia di principio antropico denominata principio antropico ultimo, allo scopo di enunciare le coincidenze apparentemente incredibili che permettono l’esistenza

del nostro universo e della vita intelligente, nella fattispecie l’umanità, all’interno di esso. Infatti, nel testo, Barrow e Tipler sottolinearono che tutte le caratteristiche dell’universo in cui viviamo sembrano dipendere dai valori di un insieme di costanti cosmologiche fondamentali, che allo stato attuale di conoscenza vengono considerate fra di esse indipendenti. Siccome non tanto lo sviluppo di vita intelligente, ma la stessa esistenza dell’universo così come noi lo cono-sciamo verrebbe meno in caso di variazioni infinitesime di questi valori, conclusero Barrow e Tipler, non si può studiare la struttura attuale dell’universo senza tenere in conto le esigenze fisiche alla base della nostra esistenza. Nel loro libro Barrow e Tipler enunciano tre nuove versioni del principio antropico, divergendo dall’enun-ciato di Carter:

Principio antropico debole: I valori osservati di tutte le quantità fisiche e cosmologiche non sono equamente probabili ma assumono valori limitati dal prerequisito che esistono luoghi dove la vita basata sul carbonio può evolvere e dal prerequisito che l’universo sia abbastanza vecchio da aver già permesso ciò. Principio antropico forte: L’universo deve avere quelle proprietà che permettono alla vita di svilupparsi al suo interno a un certo punto della sua storia. Principio antropico ultimo: Deve necessariamente svilupparsi una elaborazione intelligente dell’informa-zione nell’universo, e una volta apparsa, questa non si estinguerà mai. Barrow e Tipler derivano il principio antropico ultimo da quello forte, considerando che non ha senso che un

universo che abbia la capacità di produrre la vita intelligente non duri a sufficienza per svilupparla. Benché Barrow e Tipler sottolineino che il loro compito è semplicemente di esporre le teorie, e non di crederci, nel testo spingono il lettore verso una visione assai diversa da quella di Carter. 3 Kurt Gödel

(Brno, 1906 – Princeton, 1978) è stato un matematico, logico e filosofo austriaco naturalizzato statunitense, noto soprattutto per i suoi lavori sull’incompletezza delle teorie matematiche. Gödel è ritenuto uno dei più grandi logici della storia umana insieme ad Aristotele e Gottlob Frege; le sue ricerche ebbero un significativo impatto, oltre che sul pensiero matematico e informatico, anche sul pensiero filosofico del XX secolo. Pur pubblicando un numero ridotto di articoli, Gödel riesce ad occuparsi di quasi tutti i settori della logica moderna e l’impatto derivato dalle sue opere sarà enorme e si diffonderà anche al di fuori del mondo acca-demico matematico.

Gödel ha pubblicato il suo più famoso risultato nel 1931, all’età di venticinque anni, quando lavorava presso l’Università di Vienna. Tale lavoro conteneva il famoso

Teorema di incompletezza che da lui prende il nome, secondo il quale ogni sistema assiomatico coerente in grado di descrivere l’aritmetica dei numeri interi è dotato di proposizioni che non possono essere dimostrate né confutate sulla base degli assiomi di partenza. Parafrasando, se un sistema formale S è coerente (ossia privo di contraddizioni), allora è possibile costruire una

formula F sintatticamente corretta ma indimostrabile in S. Per cui se un sistema formale è logicamente coerente, la sua non contraddittorietà non può essere dimostrata stando all’interno del sistema logico stesso. 4 Alan Mathison Turing

(Londra, 1912 – Wilmslow, 1954) è stato un matematico, logico e crittografo britannico, considerato uno dei padri dell’informatica e uno dei più grandi matematici del XX secolo. Il suo lavoro ebbe vasta influenza sullo sviluppo dell’informatica, grazie alla sua formalizzazione dei concetti di algoritmo e calcolo mediante la macchina di Turing, che a sua volta ha svolto un ruolo significativo nella creazione del moderno computer. Per questi contributi Turing è solitamente considerato il padre della scienza informatica e dell’intelligenza artifi-ciale, da lui teorizzate già negli anni trenta (quando non era ancora stato creato il primo vero computer). Fu anche uno dei più brillanti crittoanalisti che operavano in Inghilterra, durante la seconda guerra mondiale, per decifrare i messaggi scambiati da diploma-tici e militari delle Potenze dell’Asse. Turing lavorò infatti a Bletchley Park, il principale centro di crittoanalisi del Regno Unito, dove ideò una serie di tecniche per violare i cifrari tedeschi, incluso il metodo della Bomba, una macchina elettromeccanica in grado di decodificare codici creati mediante la macchina Enigma.

5 Pulènta ‘uncia

Letteralmente: polenta unta. È un piatto tipico della cucina dell’arco alpino. Ne esistono molte versioni ma, sostanzialmente, è una polenta di farina di mais condita con formaggio locale e burro fuso. 6 Campertogno

Paese della Valsesia (250 ab. - 815 m s.l.m.) a 15 Km da Alagna, ai piedi del Monte Rosa. Culla di artisti, annovera tra i suoi più illustri rappresentanti Pier Celestino Gilardi, (Campertogno 1837 - Borgosesia 1905) definito “finissimo poeta del pennello” e Alessandro Gilardi, (Campertogno 1826 - Scopello 1906) scultore. 7 Punto Omega

L’idea del Punto Omega è stata teorizzata dal gesuita geologo e paleoantropologo Pierre Teilhard de Chardin nella prima metà del XX secolo. Egli intendeva conciliare l’idea di evoluzione darwiniana con le dottrine del cristianesimo e teorizzava un eterno progresso della parte spirituale dell’umanità, che nel corso di un tempo infinito avrebbe realizzato la comunione di tutte le menti (Noosfera) e di tutta la conoscenza, con conseguente raggiungimento dell’onnipotenza e della immortalità. L’argomento è stato a lungo considerato una specula-zione delirante e senza valore, che ha procurato non pochi fastidi a Teilhard de Chardin. Solo molto recentemente, col progredire dell’informatica, è nata una corrente di pensiero che riflette sulla possibilità di riversare in un computer una intera mente

umana, aggiungere via via le menti di tutta l’umanità e tutte eventuali menti extraterrestri, arrivando a creare una supermente in grado di progredire indefinitamente acquisendo conoscenze senza limiti e la capacità di utilizzare le risorse dell’intero universo per realizzare una vita infinita. Questa sarebbe la cosa più vicina a Dio che si possa immaginare. Gli esperti che trattano l’argomento comprendono scienziati di chiara fama che ritengono seriamente che questo processo sia inevitabile e che l’inizio sia tecnicamente realizzabile entro pochi decenni.