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UNA SOLA È LA CITTÀ: LA RESPONSABILITÀ ECCLESIALE E CIVILE DI VITTORIO BACHELET Tolentino 10 aprile 2007 Relazione di ERNESTO PREZIOSI ʺChi ci separerà dallʹamore di Cristo? Forse la tribolazione, lʹangoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha salvati. (Rm 8,35.37) Testimone credibile ʺLʹeloquenza di questa morte - disse Giovanni Paolo II nella omelia della Messa celebrata in San Pietro il 23 febbraio 1980 - consiste nella testimonianzaʺ 1 . Sulla vita di Bachelet sono comparse varie raccolte di scritti 2 e qualche testo biografico 3 e siamo in attesa di una biografia completa. Ciò che stupisce positivamente è che la sua morte, la sua testimonianza ha fatto scuola, ha suscitato domande profonde sul senso stesso della vita, ben oltre i confini del solo mondo cattolico; a volte la morte getta più luce 1 “Noi tutti, oggi, abbiamo sentito il bisogno di questo incontro, che è incontro al cospetto di Cristo, col nostro caro Fratello, la cui separazione da noi – umanamente così tragica e crudele – ha una sua eloquenza particolare, insolita. L’eloquenza di questa morte consiste nella testimonianza. Il morto può dare ancora una testimonianza? Sì, la dà mediante ciò che egli era, il modo in cui è vissuto, il come ha operato. La dà anche mediante i vivi: mediante coloro che facevano parte della sua vita. Mediante coloro che ha lasciato orfani. Mediante la Famiglia. Ed ancora, mediante l’ambiente al quale apparteneva. Mediante tutti noi”. Cfr. "L'Osservatore Romano" del 23 febbraio 1980. 2 Si v. M. Casella, Vittorio Bachelet, Ave, Roma 1980. Si v. anche la collana in 5 volumetti degli Istituti dell'Azione Cattolica Italiana «Vittorio Bachelet» per lo studio dei problemi sociali e politici e «Paolo VI» per la storia dell'Azione Cattolica e del movimento cattolico in Italia: Vita e scritti di Vittorio Bachelet: V. Bachelet, Gli ideali che non tramontano. Scritti giovanili, a cura di A. e P. Bachelet, AVE, Roma 1992; V. Bachelet, Il servizio è la gioia. Scritti associativi ed ecclesiali (1959-1973), a cura di M. Casella, Ave, Roma 1992; V. Bachelet, Costituzione e amministrazione. Scritti giuridici, a cura di G. Marongiu e C. Riviello, Ave, Roma 1992; V. Bachelet, La responsabilità della politica. Scritti politici, a cura di R. Bindi e P. Nepi, Ave, Roma 1992; A. Bertani - L. Diliberto, Vittorio Bachelet. Un uomo uscì a seminare, Ave, Roma 1994. 3 Cenni biografici in Vittorio Bachelet: servire, curato da G. Martina e A. Monticone, Studium, 1981. Un tentativo è anche quello di Bertani e Diliberto citato nella nota precedente.

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UNA SOLA È LA CITTÀ: LA RESPONSABILITÀ ECCLESIALE E CIVILE DI VITTORIO

BACHELET

Tolentino 10 aprile 2007

Relazione di ERNESTO PREZIOSI

ʺChi ci separerà dallʹamore di Cristo? Forse la tribolazione, lʹangoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha salvati.

(Rm 8,35.37)

Testimone credibile

ʺLʹeloquenza di questa morte - disse Giovanni Paolo II nella omelia della Messa celebrata

in San Pietro il 23 febbraio 1980 - consiste nella testimonianzaʺ1.

Sulla vita di Bachelet sono comparse varie raccolte di scritti2 e qualche testo biografico3 e

siamo in attesa di una biografia completa. Ciò che stupisce positivamente è che la sua

morte, la sua testimonianza ha fatto scuola, ha suscitato domande profonde sul senso

stesso della vita, ben oltre i confini del solo mondo cattolico; a volte la morte getta più luce

1“Noi tutti, oggi, abbiamo sentito il bisogno di questo incontro, che è incontro al cospetto di Cristo, col nostro caro Fratello, la cui separazione da noi – umanamente così tragica e crudele – ha una sua eloquenza particolare, insolita. L’eloquenza di questa morte consiste nella testimonianza. Il morto può dare ancora una testimonianza? Sì, la dà mediante ciò che egli era, il modo in cui è vissuto, il come ha operato. La dà anche mediante i vivi: mediante coloro che facevano parte della sua vita. Mediante coloro che ha lasciato orfani. Mediante la Famiglia. Ed ancora, mediante l’ambiente al quale apparteneva. Mediante tutti noi”. Cfr. "L'Osservatore Romano" del 23 febbraio 1980. 2 Si v. M. Casella, Vittorio Bachelet, Ave, Roma 1980. Si v. anche la collana in 5 volumetti degli Istituti dell'Azione Cattolica Italiana «Vittorio Bachelet» per lo studio dei problemi sociali e politici e «Paolo VI» per la storia dell'Azione Cattolica e del movimento cattolico in Italia: Vita e scritti di Vittorio Bachelet: V. Bachelet, Gli ideali che non tramontano. Scritti giovanili, a cura di A. e P. Bachelet, AVE, Roma 1992; V. Bachelet, Il servizio è la gioia. Scritti associativi ed ecclesiali (1959-1973), a cura di M. Casella, Ave, Roma 1992; V. Bachelet, Costituzione e amministrazione. Scritti giuridici, a cura di G. Marongiu e C. Riviello, Ave, Roma 1992; V. Bachelet, La responsabilità della politica. Scritti politici, a cura di R. Bindi e P. Nepi, Ave, Roma 1992; A. Bertani - L. Diliberto, Vittorio Bachelet. Un uomo uscì a seminare, Ave, Roma 1994. 3 Cenni biografici in Vittorio Bachelet: servire, curato da G. Martina e A. Monticone, Studium, 1981. Un tentativo è anche quello di Bertani e Diliberto citato nella nota precedente.

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nella testimonianza di un uomo di tante stagioni della vita4. Per questo la vita e la morte di

Vittorio Bachelet si pongono davanti al laicato cristiano come una singolare, luminosa

testimonianza laicale.

Un riconoscimento alto alla natura laicale cristiana della vita di Vittorio Bachelet venne

reso, allʹindomani della morte, da Giovanni Paolo II nella consueta udienza del mercoledì.

Il Papa lo ricorda come persona con cui “ha collaborato”5 quando, come vescovo di

Cracovia, veniva a Roma per partecipare al Pontificium Consilium Pro Laicis di cui Bachelet

faceva parte: “Non può passare sotto silenzio l’orribile, indegno attentato, che è venuto ad

aggiungersi alla tragica catena di delitti efferati, che stanno da troppo tempo

insanguinando l’Italia (…). Ho avuto occasione di conoscere personalmente il professore

Bachelet collaborando con lui nel Pontificio Consiglio per i laici dell’anno 1967. Ho avuto

modo di fare la conoscenza, in tale periodo, della sua famiglia: la Consorte e i figli. Di

fronte alla terribile sofferenza che li ha colpiti, depongo oggi nelle loro mani, l’espressione

della mia viva partecipazione e delle mie sentite condoglianze. In pari tempo esprimo il

mio profondo dolore a tutta la Nazione italiana. So infatti di quale statura era questo

uomo, che ora è caduto sotto la violenza di mani assassine. Egli è stato vittima dell’azione

distruttrice del terrorismo: ne sono consapevole”7.

E della ʺfecondità della morte di Vittorio Bachelet, nellʹeco dei valori umani e cristiani che

si è diffusa, in maniera imprevedibile, attorno alla sua memoriaʺ ha parlato lʹarcivescovo

di Milano, Carlo Maria Martini. Una fecondità che ha confermato il profondo radicamento

della vita e della morte del discepolo nella vita e nella morte del Signore. Sono bastate

poche parole del figlio, grandi nella loro disarmata lineare semplicità e nella loro assenza

di retorica, a far conoscere a tutta la nazione il cristiano Bachelet e lʹimmagine del suo

4 Si v. in proposito, anche le osservazioni di C. Trebeschi, Riflessioni sulla spiritualità di Vittorio Bachelet in Aa.Vv., Vittorio Bachelet uomo della riconciliazione. Atti del seminario tenutosi a Roma il 9 febbraio 1985, AVE, Roma 1986, p. 11 ss: “Non meno riduttivo d’altra parte sarebbe il rifarsi al suo martirio, inteso come l’ultima sua giornata: non tanto perchè l’umano rigetto della morte aumenta sì l’ammirazione e la venerazione, ma in certo qual modo ne allontana e circoscrive l’oggetto, quanto perchè se martire è il testimone, non si può circoscrivere la testimonianza al mero sigillo, nemmeno quando si tratti di un sigillo di sangue, oltre tutto il meno congeniale per la serenità e la mitezza di Vittorio. Singoli atti di eroismo, lo stesso martirio, possono far conseguire una decorazione, possono tutt’al più vincere una battaglia: per vincere una guerra ci vuole ben altro”. 5 Come è noto la “collaborazione con la gerarchia" era la nota distintiva sotto il Pontificato di Pio XI e Pio XII per il laicato di AC. 7 Cit. Il dolore del Papa per l’Italia insanguinata, “L’Osservatore romano”, 14 febbraio 1980, p. 1.

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Signore, realizzata in lui, più di quanto non lo avessero fatto dieci anni di presidenza

nazionale della maggior associazione di apostolato laicaleʺ8.

Lʹalbero e il frutto: la forza di amare genera perdono

Il riferimento alle parole del figlio di Bachelet è interessante perché ci offre una strada per

conoscere la figura di Vittorio Bachelet: gli alberi infatti si riconoscono anche dai loro

frutti.

La testimonianza offerta dal figlio Giovanni rimane significativa di una inversione di

tendenza nel clima di quegli anni.

Durante il rito funebre, alla preghiera dei fedeli Giovanni va al microfono: ʺPreghiamo per

i nostri governanti, per il presidente Pertini, per Francesco Cossiga, per i giudici, i

poliziotti, i carabinieri, gli agenti di custodia, per quanti oggi, nelle diverse responsabilità,

nella società, nel Parlamento, nelle strade continuano a combattere in prima fila per la

democrazia con coraggio e con amore; ma preghiamo ancora per coloro che hanno colpito

il mio papà, perché senza togliere nulla alla giustizia, sulle nostre bocche ci sia sempre il

perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altriʺ9.

Parole semplici, ma che rivelano un sentire forte, un senso della vita personale e sociale

ʹcentratoʹ in una chiara visione umana e cristiana. Parole che furono anche occasione di

confronto fra diverse culture10. E Vittorio Bachelet si presenta all’opinione pubblica come

8 Parole pronunciate a Roma il 12 febbraio 1982 nel secondo anniversario della morte durante una giornata commemorativa promossa dall'Azione Cattolica. Il testo, tratto dal registratore, fu dapprima pubblicato su "Segno nel mondo" del 25 febbraio 1982 e poi nel volume "La spiritualità dei laici" edito dall'AVE con testi di Agnes, Casella, Costanzo, Di Rovasenda, Monticone, Sassudelli. 9 Su "Avvenire" del giorno 15 febbraio 1980 Giuseppe Lazzati firmava alcune righe dal titolo "Grazie Giovanni", affermando tra l'altro "Ci hai insegnato a pregare per gli assassini di tuo papà, applicando alla lettera l’insegnamento evangelico, mentre nelle tue, nelle nostre carni vive si approfondisce la ferita di una separazione che ci impedirà di vedere più il suo servizio, di udire la sua voce ricca di insegnamento per la nostra vita… Dire grazie a te è rendere testimonianza a tuo padre di quello che ha significato la sua vita per tutti noi, è manifestare la certezza che egli rimarrà vivo in mezzo a noi". Cfr.r. G. Lazzati, Grazie, Giovanni, "Avvenire", 15 febbraio 1980, p. 1. 10 Nel dibattito intervenne anche Franco Rodano, confrontandosi con alcune delle posizioni emerse: “il vero motivo dell’eco vastissima di commozione e di singolare letizia, suscitata dalle parole umili e spontenee di Giovanni Bachelet. Dinanzi alle spoglie del padre, egli, nel vivo della storia, è venuto rivestendo religiosamente la fede. Ha detto, nel rispettoso riconoscimento della necessaria affermazione di tutte le istanze laiche e statuali, che oltre non contro di esse vi può essere la letizia di fronte alla morte, nella speranza della risurrezione. Rinnovando l’antico gesto di Paolo, cittadino romano, ha saputo presentare – nello spessore storico della sua vicenda e di quella di tutti – soltanto Gesù di Nazareth, crocifisso e risorto. E nei nostri cuori di laici è fiorita contemporaneamente un’altra speranza: quella che, forse si poteva finalmente cominciare a liberare la rivoluzione – come è indispensabile nell’occidente e insomma nei paesi capitalisticamente avanzati – da tutti i pesanti residui prettamente fideistici, di ogni possibile utopismo”. Cfr. F. Rodano, Logica laica fede e utopia, in “Paese sera” del 12 marzo 1980.

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un segno di riconciliazione possibile. Di questa percezione, che va ben oltre il solo mondo

cattolico, si fece interprete la stampa11.

Dʹaltra parte nessun albero, e quindi nessun frutto, si improvvisa.

La formazione cristiana ricevuta in famiglia e nellʹassociazionismo sono le basi di un

cammino esemplare per la sua globalità.

L’Infanzia

Vittorio Bachelet, ultimo di nove fratelli, nasce a Roma il 20 febbraio 1926. Il ventennio è da

poco iniziato; vive così lʹinfanzia e lʹadolescenza in un’Italia dove via via le prime violenze

fasciste lasciano il passo al nuovo ordine: Mussolini, dopo la marcia su Roma e

lʹinvestitura governativa, prende il potere e, a partire proprio dal 1925, va trasformando il

fascismo in regime.

Vive dunque nell’Italia delle grandi manifestazioni ginniche, che si arma e punta a

mobilitare gli otto milioni di baionette, che irregimenta i fanciulli e i ragazzi facendo loro

indossare una divisa e facendoli marciare con il fucile di legno nel sabato dedicato alla

premilitare.

Ma è anche l’Italia dei dopolavoro, del lento conseguimento di un certo benessere per quel

ceto popolare (che aspira ad avere le ʺmille lire al meseʺ, traguardo sicuro della piccola

borghesia impiegatizia) che plaude alle grandi bonifiche e alle opere pubbliche; è lʹItalia

del conformismo e del sostanziale consenso di gran parte della popolazione al nuovo

regime.

Qual è la formazione di Vittorio Bachelet? Quale formazione aveva ricevuto in famiglia?

Nato a Roma da genitori piemontesi, ultimo di nove fratelli. Il padre Giovanni, era

ufficiale e divenne poi generale del genio, ma Vittorio ricordava che nella sua educazione

non cʹera stato quasi nulla di militare; e quel ʹquasiʹ veniva semmai dalla sua mamma,

Maria Bosio.

Nel progetto di Dio, lo sappiamo, la famiglia è la sorgente della vita fisica e spirituale, è il

segno dell’amore di Dio che accompagna ogni persona. La famiglia è allora la base del suo

11 Si v. la lettera di M. Boffa, Il perdono di Bachelet, “La Repubblica”, 20 febbraio 1980, p. 8; U. Ronfani, Parlava così Luther King, “Il Giorno”, 16 febbraio 1980, p. 3; O. D. Trombadori, Il perdono di Bachelet e la risposta al terrorismo, “L’Unità”, 21 febbraio 1980, p. 3.

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essere credente: l’inizio di un cammino che sarebbe continuato lungo gli anni con l’ausilio

dell’associazionismo e che sarebbe tornato alla dimensione familiare con la sua famiglia

iniziata nel 1951. Tanto che vi è come un intreccio, in Bachelet come in tanti altri

protagonisti del mondo cattolico, tra famiglia vista come realtà aperta al mondo e

associazione vista anche come prosieguo dello stile familiare, fraterno, amicale.

Negli anni trascorsi a Roma, prima del trasferimento provvisorio a Bologna nel 1932, la

vita di Vittorio si svolse nella normalità dei giochi, dei primi apprendimenti, nell’ambiente

di per sé già socializzante di una famiglia numerosa. La prima formazione religiosa è

quindi quella ricevuta nell’ambiente familiare anche se non manca nella sua esperienza,

prima del compimento dei sei anni, il classico servizio quotidiano alla messa mattutina in

un convento di suore vicino casa.

Nel 1934 entra a far parte dei fanciulli di ACI nell’associazione parrocchiale di S. Antonio

di Savena a Bologna: si apre la sua esperienza associativa – forse non solo casualmente -

nella città di uno dei primi fondatori della Società della Gioventù Cattolica - Giovanni

Acquaderni - ed entra nel percorso formativo popolare dell’associazionismo cattolico che

dedicava allora apposite “sezioni” ai fanciulli e ai ragazzi.

Attento e sensibile, scopre già nei primi anni di vita lʹimportanza della Parola di Dio. È lui

stesso a raccontarlo in un articolo scritto molti anni più tardi, quando è presidente dellʹAC,

per una rivista rivolta ai ragazzi. In un articolo del 197112 su ʺIl nuovo impegnoʺ13 ricorda

la sua infanzia.

ʺDa bambino, quando ero malato - ricordava Vittorio Bachelet - i giorni non erano tutti uguali. La domenica, tornando da Messa, la mia mamma si tratteneva un poʹ più a lungo con me per raccontarmi il Vangelo che era stato letto. Mi piacevano soprattutto le parabole. Prima le raccontava e poi me le spiegava con parole semplici e chiare. Una domenica dʹinverno fu la volta della parabola del seminatore: il seminatore uscì a seminare... Quella volta la

12 La data è importante perché ci dice che è un articolo scritto nel momento in cui l’ACI rinnovata si dava una nuova struttura per i ragazzi; l’ACR nasceva come continuazione di una attenzione educativa costante anche nei rami pre-unitari dell’AC e che si era espressa nelle “sezioni minori”. Fu importante il contributo di Bachelet alla nascita dell'ACR. 13 "Il nuovo impegno", 1° gennaio 1971, ora in V. Bachelet, Il nuovo cammino dell'Azione Cattolica, a pag. 133. Il volumetto, del 1973, raccoglie brani di articoli e discorsi di Bachelet durante la sua presidenza di ACI, adatti ad illustrare le ragioni e la linea del rinnovamento e dell’impegno dell'ACI.

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spiegazione mi piacque moltissimo: il seme è la parola di Dio. Cʹè chi non la intende e la Parola viene dispersa. Chi non le consente di mettere radici e si dissecca. Chi lʹaccoglie e la fa crescere un poco in sé, ma poi la lascia soffocare dalle preoccupazioni, dal denaro e dalle altre passioni. E infine chi la custodisce e la fa fruttificare in un cuore buono e con sovrabbondanza di frutti. Mi ricordo - come se fosse ora - di avere detto: ʹcome è bella questa spiegazione!ʹ La mamma mi aveva risposto: ʹsfido io! Eʹ la spiegazione che ha dato proprio Gesù!ʺ.

Nel 1938 la famiglia si trasferisce di nuovo a Roma; Vittorio entra a far parte della

Congregazione Eucaristica nella Chiesa di S. Claudio, sotto la guida del Cardinale

Massimo Massimi. La sua vita spirituale cresce grazie anche alla direzione spirituale e alla

frequenza annuale ad un corso di esercizi spirituali14. E’ una ricerca spirituale intensa che

si confronta spesso con quella dei due fratelli - Adolfo e Paolo - che ormai da qualche

tempo hanno scelto di entrare tra i gesuiti15.

Negli anni ʹ30/40

Come molti cattolici resta estraneo all’entusiasmo che il regime fascista ha saputo creare

negli anni del consenso grazie alla sua naturale mitezza e lʹimpianto intellettuale già

precocemente riflessivo nell’età della scuola superiore. Sono gli anni che vanno dal 1938 al

1943: lʹItalia, che si è conquistata un impero, è alla vigilia dellʹentrata in guerra: le truppe

italiane invadono lʹAlbania il 7 aprile 1939.

Con l’iscrizione nel 1943, dopo la maturità classica, alla facoltà di Giurisprudenza di

Roma, il percorso formativo di Vittorio ha una nuova sollecitazione.

E’ l’incontro con la FUCI, con l’esperienza di una riflessione teologica che affianca gli studi

universitari secondo il modello messo a punto da Montini e da Righetti16.

L’iscrizione al gruppo FUCI avviene attraverso la sorella Francesca. Il fratello di Vittorio,

Giorgio, è redattore di “Azione Fucina”17 e ben presto anche lui si troverà coinvolto

nell’attività fucina stringendo un fitto rapporto amicale con il gruppo romano; nella FUCI

14 Cfr. P. Bachelet, Io pongo sempre innanzi a me il Signore, in G. Martina – A. Monticone (a cura), Bachelet, cit., p. 168. 15 Cfr. C. Lubich, Bachelet, la serenità, cit., p. 28. 16 Si v. M.C. Giuntella, Influenze culturali nella riflessione dei movimenti intellettuali negli anni trenta in AA.VV., La FUCI negli anni '30 verso la nuova democrazia, AVE, Roma 1991, pp. 9 ss..

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conoscerà anche la futura moglie Maria Teresa de Januario, che sposerà il 26 giugno 195118.

Sull’attività del gruppo romano della FUCI sul finire di quegli anni ’40 non mancano le

testimonianze19 tra cui ha particolare rilievo quella di Alfredo Carlo Moro (fratello di Aldo

che era stato presidente della federazione dal ’39 al ’42) e che con Bachelet condividerà non

poco lavoro nella capitale dichiarata “città aperta” prima e “liberata” poi.

L’attività spesa con passione e capacità nel giornale della FUCI - che nel frattempo ha

cambiato testata e si chiama “Ricerca” - lo porta ad esserne direttore nel 1947.

Negli scritti di quegli anni20 e nelle testimonianze si riconosce un giovane che, accanto

all’attività intellettuale cui si apre, vive “una religiosità intesa con semplicità estrema, un

senso della bontà quotidiana, un saper vedere tali le cose piccole e relative, che mi fecero

comprendere la bellezza e la necessità di una fede vissuta accanto alla fede pensata, cui ero

molto, troppo incline”21.

Fare sintesi tra fede e ragione secondo quanto già Montini, assistente degli universitari

cattolici dal 1925 al 1933, aveva proposto, dilatando i confini della coscienza universitaria22

e favorendo una corretta ʺprassi culturaleʺ23 che rifuggiva dal privilegiare i temi della

ʺriconquista cristianaʺ cara, ad esempio, a padre Gemelli.

E’ lʹintonazione spirituale che sa imprimere don Emilio Guano24, assistente del Movimento

Laureati di AC dal 1955 al 1970, e grande amico di mons. Montini e di mons. Franco Costa,

che guiderà le coscienze dei giovani intellettuali cattolici.

Per Bachelet poi vi è tutto il filone della spiritualità ignaziana cui si avvicina attraverso i

due fratelli e dove ha modo di conoscere e frequentare il famoso Padre Riccardo

Lombardi25 che lo accompagnerà nella scelta del discernimento vocazionale della

“elezione” come chiamerà qualche anno dopo, in una lettera il fratello, la chiamata ad una

17 In questa veste manderà anche una corrispondenza della campagna di Russia che porterà al sequestro del numero del giornale; sull’episodio e per il testo dell’ articolo si veda V. Bachelet, Gli ideali che non tramontano, cit., pp. 139-144. 18 Dal matrimonio nasceranno due figli: Maria Grazia, nata il 13 aprile 1952 e Giovanni, nato il3 maggio 1955. 19 Cfr. V. Cappelletti, Il messaggio di una vita, “Studium”, 76 (1980), n. 1, p. 5; ora in Vittorio Bachelet, cit., p. 182. 20 V. Bachelet, , I maestri, i giovani e la storia, cit., pp. 131-132; V. Bachelet, Non si entra, "Azione Fucina", 18 (1944), n. 4, p. 3; ora anche in V. Bachelet Gli ideali che non tramontano, cit., pp. 85-86. 21 Cfr. V. Cappelletti, Il messaggio di una vita, “Studium”, 76 (1980), n. 1, p. 6. 22 Cfr. G.B. Montini, Coscienza universitaria, Studium, Roma 1982. 23 Si v. R. Moro, Il movimento laureati nella storia della cultura in Aa.Vv., In ascolto della storia. L'itinerario dei "laureati cattolici" 1932-1982, Studium, Roma 1984, pp. 24 ss. 24 Si v. AA.VV., Emilio Guano, Ed. Studium, Roma 1977; AA.VV., Don Guano vescovo teologo, Ed. Studium, Roma 1992.

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vocazione laicale consapevole: “Quando, dopo non poca incertezza ho fatto, con l’aiuto e

la guida di P. Lombardi la famosa “elezione”, P. Lombardi mi ha detto che la scelta fatta

non diminuiva in niente il mio impegno. E ora che, dopo qualche anno, la mia strada va

concretandosi, questi esercizi a Galloro (dove sarei certamente finito in caso diverso….)

hanno avuto per me un particolare valore: e spero di non venire meno a quell’impegno.

Anzi, ti prego di ricordarmelo tutte le volte che sia necessario, e di pregare per me”26.

L’impegno culturale e politico

Negli anni ’40, prima su “Ricerca” e poi su “Studium”, compaiono articoli occasionali -

note, cronache di congressi, commenti ad avvenimenti – in cui appare in filigrana lo stile

di Bachelet: un approccio ai problemi razionale, logico più ancora che intellettuale; una

sensibilità religiosa che sa riportare all’essenziale della dinamica interpersonale e del

rapporto tra lʹuomo e Dio anche le tematiche più complesse; la disponibilità, verrebbe da

dire la naturale propensione al dialogo: “con nessuno dei nostri simili – scrive nel 1946 in

un bell’articolo che merita di essere letto per intero – abbiamo il diritto di rifiutarci o di

essere pigri nel gettare il ponte”27.

Come hanno notato nella prefazione ai suoi scritti i fratelli, gli articoli di quegli anni

“risultano esempi significativi del suo modo di far polemica: chiarezza e fermezza di idee,

fortezza di espressione sino all’ironia, ma sempre con linguaggio rispettoso, che non

scende mai ad insulti, e porta alla verità con la logica stringente degli argomenti”28.

A maggior motivo, se si pensa al clima acceso di polemiche di quegli anni. Scriverà ad

esempio Bachelet su “Ricerca” nel maggio 1948, dopo le elezioni di aprile: “Non è

improbabile che singoli uomini o singole organizzazioni cattoliche - dimentichi che se la

separazione dello spirituale dal temporale è un assurdo, la distinzione tra i due campi è

basata invece sulla natura umana e come tale non solo è accattata, ma difesa e propugnata

dalla Chiesa – ritengano per santo zelo, doveroso, dopo la potente affermazione dei

cattolici italiani, intervenire direttamente in campi e materie che una elementare prudenza

25 Si veda G. Zizola, Il microfono di Dio, Mondadori, Milano 1990; si v. anche R. Sani, Da De Gasperi a Fanfani. La “Civiltà Cattolica” e il mondo cattolico italiano nel secondo dopoguerra (1945-1962), Brescia 1986. 26 Testo riportato in P. Bachelet, Io pongo sempre innanzi a me il Signore, cit., p. 169. 27 V. Bachelet, Il piacere è tutto mio, “Ricerca”, 15 dicembre 1946, p. 2; per il testo integrale si v. V. Bachelet, Gli ideali che non tramontano, cit., p. 52.

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riserva alle organizzazioni politiche. Ebbene noi riteniamo che anche verso di loro sia

doverosa un’opera di chiarificazione, al servizio anch’essa della Chiesa e della città29.

Anche Bachelet ha chiaro il pericolo comunista, di cui ha avuto una prova quando si è

recato a Praga per un congresso internazionale di universitari30 ma non per questo ritiene

che si debba disperare senza tentare una strada di riconciliazione e di pace31. Ciò è

particolarmente riconoscibile in un articolo del 1947 dal titolo paradigmatico “Amici di

tutti”. Scrive: “In un momento in cui i fronti, i blocchi, lo stato d’animo di guerra

insomma, sono all’ordine del giorno, noi siamo senza dubbio portati dal corso stesso delle

cose, a concepire il cristianesimo, la Chiesa cattolica, come un gigantesco fronte di

combattimento che – come tutti i fronti – divide gli uomini in due schiere: quelli che

stanno al di qua e quelli che stanno al di là, gli amici e i nemici.

Ora bisogna intendersi: la Chiesa e i fedeli avranno sempre dei nemici, secondo la

predizione di Gesù. Ma i nemici dei cattolici hanno senza dubbio una posizione singolare.

Nemici in genere sono individui che reciprocamente si vogliono male e si combattono: in

sostanza normalmente coincidono la posizione attiva con la posizione passiva di nemico.

Per i cattolici, no. Se nemico è colui che non ama, allora è vero senz’altro che i cattolici

hanno molti tenaci nemici: ma se nemico è colui che non si ama, allora è più vero ancora

che i cattolici non hanno nemici. I cattolici combattono, devono combattere il male che è

l’unica cosa che non possono amare; ma non possono combattere, essere nemici degli

uomini, anche quando questi sono al servizio del male, anche quando combattono la

verità, la giustizia, la carità, la Chiesa”32.

Vittorio Bachelet era uomo ʺpacificoʺ per eccellenza, e cioè un uomo che credeva

profondamente nella pace, nelle soluzioni negoziate, con pazienza, in un confronto senza

riserve mentali. Riteneva che le contrapposte rigidezze potessero alla lunga sciogliersi in

una comprensione fraterna, dopo un contatto umano e uno scambio di franche parole. Le

28 A. e P. Bachelet, Introduzione, cit., p. 20. 29 V. Bachelet, Dopo le elezioni, “Ricerca”, I maggio 1948, p. 1. 30 Cfr. A. e P. Bachelet, Introduzione, cit., p. 9. 31 Cfr. V. Bachelet, Primavera liberatrice, “Ricerca”, I aprile 1948, p. 2; ora anche in V. Bachelet, Gli ideale che non tramontano, cit., pp. 71-73. 32 Cfr. V. Bachelet, Amici di tutti, “Ricerca”, 1 agosto 1947, p. 1; ora anche in ID., Gli ideali che non tramontano, cit., pp. 55-57.

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soluzioni di forza gli erano estranee e soleva lamentarsi di chi poneva i problemi in

maniera ʺmanicheaʺ, con tutto il bene da una parte e il male dallʹaltra.

Con la stessa logica non amava le soluzioni di forza, anzi, tutto quello che sapeva di forza

era completamente estraneo al proprio spirito. Credeva invece ai ʺmezzi umaniʺ, come

amava chiamare tutto quel potenziale di incontri, di franche parole, di sincere confessioni

che costituiva la ricchezza, spesso trascurata, dellʹAzione Cattolica. ʺCome cristiani e come

associazione ecclesiale non possediamo né sicurezza né privilegi, ma solo quella libertà

che è propria dellʹuomo amato da Dio e lʹimpegno perciò di collaborare a costruire il

mondoʺ. Ma fondamento di questa libertà è la carità. Per questo nel discorso con il quale

chiudeva, nel settembre del 1973, il suo lungo e oneroso servizio allʹAzione Cattolica,

riempie numerose cartelle sul tema della carità, cercando di rendere ragione di questa sua

predilezione per il metodo della carità che non è, sembra voler avvertire con insistenza,

una piega del suo carattere pieno di dolcezza e di benevolenza: ʺIo penso che questo

amore non debba essere un nascondere le differenze, che la correzione fraterna è più piena

di carità che non il silenzio sprezzante o il mugugno… so che, accedendo a ormai vecchie

tesi idealiste si pensa che la conflittualità sia regola di vita di ogni comunità.

Personalmente non ne sono convintoʺ. Questo è il problema educativo e formativo -

spiegava - che è fondamentale per lʹAzione Cattolica e cioè rendere le persone capaci di

ʺdare dimensione umana e fraterna anche alle più ardite concezioni socialiʺ33.

Il suo impegno fu quindi in generale più culturale che politico, o meglio, anche il sentirsi

partecipe per le sorti del Paese, amico e solidale con tanti uomini che nella politica

svolgevano la loro militanza, si risolveva in un contributo di studio.

È tra i relatori nel 1951 al Convegno dei giuristi cattolici34 che tratta delle funzioni

dellʹordinamento dello stato moderno. Gli stava a cuore che lʹamministrazione dello stato

risultasse libera dagli incapaci e dalle incrostazioni storiche. Sosteneva che: ʺè soltanto

buttando a mare i pesi inutili e deformanti, accumulati per vicende storiche le più varie,

che si poteva pensare di aiutare la barca dellʹamministrazione a prendere il largoʺ35.

33 Cfr. G. Fallani, Credeva con tutto se stesso nella pace e nella giustizia, Avvenire, 14 febbraio 1980 34 G. Marongiu, Il pensiero politico di Vittorio Bachelet, in G. Martina - A. Monticone (a cura), Bachelet, cit., p. 126. 35 Ibidem, p. 144.

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Fedele al progetto della prima classe dirigente cattolica del dopoguerra, ʺfu lo studioso di

diritto amministrativo che più di ogni altro tentò di legare indissolubilmente

lʹamministrazione alla Costituzioneʺ36.

Per questi suoi studi, e per la sua competenza, sarà utilizzato a lungo anche per corsi di

formazione. Tina Anselmi ad esempio lo ricorda come preparato relatore ai corsi

organizzati alla Camilluccia dal Movimento femminile della DC37.

In questa prospettiva di studio che prepara lʹazione politica, Bachelet si segnala anche per

una breve esperienza attraverso il ʺCentro di preparazione politico-amministrativaʺ38.

Uomo di sintesi tra dimensione religiosa, civile e politica

Il 24 novembre 1947 Bachelet si laurea in Giurisprudenza con la votazione di 110 e lode,

con una tesi discussa con il prof. Levi Sandri (più tardi Presidente del Consiglio di Stato),

su I rapporti fra lo Stato e le organizzazioni sindacali.

Il suo legame con il mondo universitario prosegue. Durante lʹanno accademico 1947-48 è

assistente volontario presso la cattedra di Diritto Amministrativo della facoltà di

Giurisprudenza dellʹUniversità di Roma; dal 1949 al ʹ59 viene quindi confermato

nellʹincarico di assistente e svolge attività di ricerca alla scuola del prof. Guido Zanobini.

Dal 1956 al 1959 Bachelet è incaricato dellʹinsegnamento di istituzioni di diritto

amministrativo presso lʹAccademia e Scuola di applicazione della Guardia di Finanza,

nonché incaricato dellʹinsegnamento di Pubblica Amministrazione presso la Scuola di

Roma dellʹEnte Nazionale Scuola Istruzione Servizio Sociale (dal 1956 al 1958).

Nella sessione indetta con ordinanza ministeriale del 16-4-1957, egli ottiene la libera

docenza in Diritto Amministrativo e in Istituzioni di Diritto Pubblico; si iscrive per

lʹesercizio presso lʹUniversità di Roma. Dopo aver conseguito la libera docenza, viene

chiamato alla cattedra di Diritto amministrativo allʹUniversità di Pavia su proposta del

professor Biscaretti, dove rimane dall’anno accademico 1958-59 all’anno accademico 1960-

61.

36 Ibidem, p. 129. Si v. anche L. Elia, Servire lo Stato attuando la Costituzione, in "Coscienza", n. 4, 1980, p. 18. 37 In una testimonianza da me raccolta il 28 novembre 1999. 38 C. Marongiu, Vittorio Bachelet e il suo tempo, in Gli anni della frattura e della riconciliazione 1980-1990. A dieci anni dalla morte di Vittorio Bachelet, Roma 1990, p. 24.

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È del 1957 un lavoro dedicato allʹamministrazione pubblica dellʹeconomia39; in quello

stesso periodo una serie di studi e di interventi sulle problematiche inerenti la nascita di

aziende a partecipazione statale40.

Nel 1961 diviene professore incaricato a Trieste, incaricato di Istituzioni di Diritto Pubblico

nella facoltà di Scienze Politiche; nel 1962 risulta ternato nel concorso per la cattedra di

Diritto Amministrativo dellʹUniversità di Ferrara ed è chiamato come straordinario di

Diritto Amministrativo nellʹUniversità di Trieste, dove diventa professore ordinario nel

novembre 1965. Tre anni dopo, nel novembre 1968, sarà quindi Ordinario di Scienze

dellʹAmministrazione nella facoltà di Scienze Politiche della Libera Università

Internazionale di Studi Pro Deo di Roma.

Unʹattività dedicata in larghissima parte allo studio e allʹinsegnamento, senza entrare nel

fitto reticolo di consulenze e collaborazioni, anche perché il suo tempo andava sempre

distribuito con la famiglia e gli impegni associativi.

Parallelamente alla sua professione era proseguito il suo impegno associativo. Nel 1954 era

diventato vicepresidente nazionale del Movimento Laureati di AC e, nel giugno 1959,

vicepresidente generale dellʹACI, accanto al Presidente Agostino Mattarello. Sono gli anni

in cui si respira l’attesa dell’evento conciliare che è stato indetto e in Aci si inizia a

riflettere sulla necessità di “unificare” ed essenzializzare i vari rami e strutture.

Collabora anche a “Civitas”, la rivista fondata da Filippo Meda nel 1919 e riedita da Paolo

Emilio Taviani nel 1949.

Durante questa collaborazione alla rivista dal 1950 al 1959 - di cui diviene anche

caporedattore e poi vicedirettore responsabile - ha modo di trattare tematiche civili e

sociali. Di notevole rilievo l’articolo scritto per la scomparsa di Alcide De Gasperi41

Allʹimpegno civile e politico Bachelet ha dedicato, come abbiamo visto, una attenzione

costante che data dagli anni universitari, come dimostra la ricca produzione di articoli

scritti già tra il ʹ44 e il ʹ68 su ʺAzione fucinaʺ e ʺRicercaʺ.

39 V. Bachelet, L'attività di coordinamento nell'amministrazione pubblica dell'economia, Milano 1957. 40 Cfr. L. Elia, Servire lo Stato attuando la Costituzione, cit., p. 18. 41 V. Bachelet, Quidam de populo, “Civitas”, 5 (1954) n. 12, pp. 83-887; ora anche in ID., La responsabilità della politica. Scritti politici, a cura di R. Bindi e P. Nepi, Roma 1992, pp. 141-146. La rivista ha ripubblicato i testi di Bachelet in un numero monografico: Cfr. “Civitas”, 33 (1982) n. 6.

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Accanto a scritti pastorali e culturali possiamo trovare scritti più propriamente politici

come quelli su “Civitas” apparsi tra il 1950 e il 1960, per non parlare della produzione

strettamente giuridica. Lʹimpegno culturale per Bachelet, come è stato notato, privilegiava

la ʺfatica intellettuale della comprensione delle posizioni altrui, prima di esprimere giudizi

negativi, di opposizione o di condannaʺ, fatica a cui ʺsi sottopose prestissimo, discepolo di

una pedagogia dellʹascolto, di una politica dellʹintelligenza, piuttosto che attore di un

volontariato attivistico e spesso polemico per una conquista superficiale e di breve

respiroʺ42. Questo certo fu per scelta, ma anche per una sua naturale predisposizione di

carattere.

Tutta lʹopera intellettuale di Bachelet pare tenere conto di un valore di libertà e di

democrazia (non a caso nel 1948 scrive un quaderno di “Ricerca” su La democrazia

universitaria); una posizione che passava per il rispetto e la volontà di comprendere gli

altrui punti di vista: ʺin fondo la curiosità di comprendere ogni altro gruppo e ogni altra

persona - diceva Karl Mannheim, - è il fondamento scientifico della libertàʺ.

Ecco perché ʺnello stile di Bachelet studente universitario e giovane docente già si esprime

lʹapplicazione di un metodo che risponde alle ispirazioni della scuola montiniana e che a

lui e ai gruppi della Fuci e del Movimento laureati venivano trasmesse nellʹincontro

quotidiano con educatori del livello spirituale di Guano e Costa, per non citare che due

nomi eminenti tra gli altriʺ43.

Volendo dare uno sguardo dʹinsieme che ci fornisca il significato della vasta produzione e

delle scelte culturali di questʹuomo, potremmo dire con Leopoldo Elia: ʺIl senso di queste

scelte sta in una risposta allʹinvito che emergeva dalla Costituente e dal periodo successivo

alla Costituzione ai cattolici democratici impegnati, cioè lʹinvito, sottolineato soprattutto

da Dossetti e poi da Moro, a non avere paura dello Stato, a servire lo Stato con la coscienza

che ormai non bastava, come dice Vittorio in un suo scritto, la cospirazione delle

autonomie degli operatori economici di per sé a creare gli equilibri, ma che questi equilibri

dovevano essere in qualche modo indirizzati, guidati dallʹintervento politico dello Stato. E,

allora, è per rispondere a questa chiamata che appunto Vittorio ha studiato

42 R. Pietrobelli, Vittorio Bachelet, un uomo di Dio che ha creduto nelle istituzioni, in 'Vita e Pensiero', n. 6, VI, 1980, p. 9. 43Cit. in ibidem, p. 11.

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particolarmente lʹintervento dello Stato nellʹeconomia, i modi di questo intervento e i

mezzi più idonei per realizzarlo. Il suo lavoro molto importante: Lʹattività di coordinamento

nellʹamministrazione pubblica dellʹeconomia, vuole essere una prima risposta a questo invito a

superare il timore agostiniano, per lo Stato terreno, per la dimensione statuale, per non

temere che lo Stato soffochi la società come era nel timore storico dei cattolici, perché

ormai lo Stato era comunque un operatore, un creatore e un modellatore di rapporti sociali

e quindi lʹimportante era che questo intervento avvenisse bene, avvenisse efficacemente,

avvenisse senza soffocare le autonomie. Eʹ un lavoro di grande impegno, che ha meritato

recensioni e riconoscimenti di alto valoreʺ.

Sullo sfondo vi è la consapevolezza di appartenere a tutte e due le città: quella celeste e

quella terrena.

Cesare Trebeschi, durante una commemorazione nel 198544, per rivendicare il valore civile

della parresia di Bachelet, applicando alla vita di Vittorio il commento alla pagina

evangelica, quando il sinedrio processa Pietro e Giovanni dopo il miracolo della

guarigione dello storpio, afferma: “Ebbene, come si difendono gli apostoli” C’era, dietro,

quasi un’assicurazione: Non affannatevi a pensare cosa direte o in quale modo parlerete quando vi

prenderanno e vi processeranno: non siete voi che parlate, ma lo Spirito del Padre vostro che parla

in voi. Gli uomini del sinedrio allibiscono stupefatti, non tanto per la difesa del merito,

quanto per la parresia di Pietro e Giovanni”45.

Trebeschi ricorda come, proprio perché carica di significati, la parola greca non è

facilmente traducibile in italiano, e in effetti mentre in latino è resa come constantia e in

altro passo come fiducia, i traduttori italiani parlano di volta in volta di ardire, di coraggio,

di franchezza, termini che non sono del tutto sinonimi. ʺNel suo nascere, parresia ha una

precisa valenza politica: la libertà del privato cittadinoʺ; in altri termini era intesa con

riferimento alle facoltà connesse con il diritto di cittadinanza, ma aveva bisogno di una

libertà assoluta per esercitare i suoi diritti, assurgendo a dignità di grande virtù morale,

ma a patto di mettersi al servizio della verità. “Per la sua formazione familiare e culturale e

per la sua spiritualità - concludeva Trebeschi - Vittorio era e si sentiva cittadino delle due

44 C. Trebeschi, La spiritualità di Vittorio Bachelet in Aa.Vv., Vittorio Bachelet uomo della riconciliazione, Atti del seminario tenutosi a Roma il 9 febbraio 1985, AVE, Roma 1986, pp. 11 ss. 45 Ibidem.

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città, del tempo e dell’eterno”46. Vittorio Bachelet, con la sua semplicità, ma anche con la

sua consapevole parresia, vivendo la duplice cittadinanza, il proprio duplice servizio, ha

saputo portare una credibile, e perciò efficace testimonianza.

Ciò che Bachelet intende per impegno politico ci viene chiarito da una intervista a ʺCittà

nuovaʺ (10 gennaio 1969) che può esser illuminante: ʺSe per impegno politico si intende

fare il galoppino elettorale di qualcuno o di qualche gruppo, lʹAzione Cattolica non pensa

davvero che questo sia il suo compito. Se invece è lʹaiuto e lʹinvito rispettoso a riferire il

proprio impegno e la propria azione alle grandi matrici della ispirazione cristiana, a

realizzare lʹunità tra fede, vita e azione e ad assumere con coerenza le proprie

responsabilità, allora si tratta di quel compito di formazione delle coscienze che ci è

proprioʺ.

Quando Benigno Zaccagnini47, posto alla guida della DC in una stagione già segnata da

una crisi di notevole portata, gli offrì, non senza insistenze, la possibilità di essere eletto

dal parlamento come membro del Consiglio superiore della magistratura, Bachelet veniva

da una breve esperienza politica amministrativa: era stato per pochi mesi consigliere

comunale a Roma48, nella Giunta Argan. Per candidarsi al Consiglio comunale si era

dimesso dalla Commissione preparatoria del primo Convegno ecclesiale su

“Evangelizzazione e promozione umana” nel quale era stato coinvolto con Giuseppe

Lazzati, padre Sorge ed altri, sotto la regia di mons. Bartoletti.

Si trovò a presiedere il delicato organismo di autogoverno della magistratura in una fase

delicata e segnata da tensioni politiche ed ideologiche che attraversavano il Consiglio

stesso49.

All’interno del Consiglio Bachelet svolse una riconosciuta opera di tessitura fra le varie

anime che lo componevano50 per mantenere lo spirito unitario e garantire, allo stesso

tempo, l’autorevolezza. Ciò si vide in particolare in occasione del processo di Torino alle

46 Ibidem, p. 17. 47 Si v. C. Belci, Zaccagnini, Morcelliana, Brescia 1990; Aa.Vv., "Speciale Zac", in "Settantasei", mensile di politica e cultura, a. I, n. 2, dicembre 1989. 48 La presenza di Bachelet nella città di Roma era sempre stata attenta alla situazione sociale; in molti lo ricordano attivo nella preparazione del famoso convegno sui mali di Roma. 49 F. Mastropaolo, Vittorio Bachelet vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura, in G. Martina - A. Monticone, Vittorio Bachelet, cit., pp. 55 ss. 50Si v. L. Scotti, La capacità di dialogo come virtù civile, p. 21.

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BR51 e in occasione del rapimento, prima, e dell’uccisione, poi, di Aldo Moro. Ha scritto

Pietro Barcellona: ʺricordo i giorni tremendi della lunga prigionia di Aldo Moro, e la

sofferenza partecipe di Vittorio Bachelet, il suo tragico timore di un esito mortale; e

tuttavia la sua sicurezza: bisognava difendere ad ogni costo i principi dello Stato di

dirittoʺ52.

Di Moro, Bachelet terrà una sentita commemorazione durante la seduta del Consiglio del

17 maggio ’78, richiamando i valori che ne avevano ispirato l’azione in un disegno capace

di tessere ʺuna convivenza civile più umana e più serena che sappia accogliere e ordinare

in un disegno di giustizia la tumultuosa crescita della nostra societàʺ53. Di fronte a voci che

si alzavano per chiedere misure eccezionali e la stessa pena di morte, Bachelet preferì

sempre rifarsi alla certezza del diritto e alla valorizzazione piena di tutti gli istituti della

democrazia capaci di motivare e garantire una pacifica convivenza54.

All’indomani della morte di Bachelet, Vittore Branca ne aveva ricordato le ultime

dichiarazioni alla stampa: solo le forze morali possono avere la meglio sulla violenza, la tirannia,

il fanatismo, il terrore. E ci sono tante forze morali a tutti i livelli, che oggi operano e si impegnano:

è questa la nostra speranza”55.

Uomo stimato

Una chiave di lettura di Bachelet è nella stima, nel riconoscimento unanime che gli veniva

rivolto.

Come nel caso della testimonianza offerta alla presidenza dellʹACI, ricevuta allʹindomani

del rito funebre, da Sandro Pertini, quando il Presidente della Repubblica, confidò che

ʺVittorio Bachelet nel Consiglio superiore della magistratura aveva sempre cercato

lʹunione, ma non attraverso dei compromessi ma secondo veritàʺ56.

Oppure nella testimonianza resa da un magistrato ad un mese dalla morte di Bachelet per

il quale ʺla sua professione era tanta parte della sua vita e dei suoi pensieri era la strada

attraverso cui era arrivato ad essere uomo di istruzione e di umanitàʺ continua Beria

51 F. Mastropaolo, Vittorio Bachelet vicepresidente…, cit., pp. 116-117. 52 P. Barcellona, Come sapeva dirigere il Consiglio, "L'Unità", 13 febbraio 1980, p. 3. 53 In memoria di Aldo Moro, in V. Bachelet, La responsabilità della politica, cit., p. 147. 54 F. Mastropaolo, Vittorio Bachelet vicepresidente…, cit., p. 117. 55Cit. in ibidem, pp. 18-19.

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dʹArgentine, ʺcontrariamente alla tradizionale propensione cattolica, a dare primazia alla

società civile rispetto al sistema politico-statuale, Bachelet riteneva che i due termini non

potessero essere ritenuti distinti; non per motivi ideologici, ma perché ʺprofessionalmenteʺ

vedeva che nelle società moderne, società civile e sistema politico, economia ed intervento

dello Stato, affari e politica, realtà quotidiana e istituzioni, sono sempre continuamente

intrecciati e vanno quindi unitariamente capiti e gestiti57.

In questo senso rappresentava un carisma nuovo, rispetto ai consueti schemi contrapposti

del primato della politica e/o della società civile: il carisma di una nuova sintesi, capace di

uscire da tali antichi e presunti primati per governare insieme, nelle istituzioni, la politica

e la realtà sociale. In questo senso- ha scritto ancora Pietrobelli - il suo notevole successo

come pacificatore ed unificatore dellʹordine giudiziario è stato la prova del grande livello

della sua cultura istituzionale e politicaʺ. In sintesi, la testimonianza resa da questʹuomo è

frutto di una ʺdimensione spirituale unitaria della sua persona, maturata in un lungo

tirocinioʺ, che ʺha costruito una testimonianza, mai riduttiva mai sopraffatoria, una

testimonianza insieme religiosa e civile, ecclesiale e politica, che egli ha fatto esprimere in

ogni ambiente una ininterrotta fedeltà a Cristo e contestualmente un servizio libero alle

istituzioni civili-democratiche perché fossero giuste e operassero giustiziaʺ58.

Non va infatti dimenticato, che per accostare il credente ad un servizio vero della città

dellʹuomo, esistono e sono necessari anni di formazione, momenti di fatica, di sofferenza,

tanto studio - di cui adesso diremo - e, perché no? “aiuto” fondamentale della famiglia e

delle altre “agenzie educative” come la scuola e l’associazionismo. I testimoni non si

improvvisano, ma sono il risultato di scelte personali, forti e radicali, e di un ʺambienteʺ

favorevole.

Bachelet: quale cultura

Per questo, anche se brevemente, dobbiamo accennare allʹimportanza che nella vita di

questʹuomo ha avuto la dimensione culturale. Possiamo affrontare l’argomento sotto più

di un aspetto.

R. Pietrobelli, Vittorio Bachelet..., cit., p. 13. 57 Ibidem, p. 12. 58 Ibidem, p. 14.

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Nella sua biografia, lo abbiamo sentito, emerge più volte ed è legato alle scelte della vita.

Vi è in lui un ricerca prima, e la scelta poi di una prospettiva vocazionale, anche a

proposito dello studio, dellʹattività intellettuale verso cui si sente portato; lo studio allora è

un modo per rispondere alla domanda di Dio, per mettere a frutto i talenti che da lui

abbiamo ricevuto.

Questa dimensione vocazionale è propria dei credenti consapevoli

ed è una caratteristica costante, fin dal suo sorgere, dellʹassociazionismo cattolico che,

attraverso le sue proposte formative, punta a rendere attivo e protagonista il laicato, come

le pietre vive del tempio spirituale di cui parla la lettera di Pietro. Questa dimensione

vocazionale la si ritrova anche nella fede che percorre la strada della ragione, della

riflessione, dell’approfondimento catechistico e teologico.

Un secondo aspetto è quello della cultura e dello studio legato alla professione: una

professione intellettuale per cui la cultura non è qualcosa di necessario che si acquisisce

una volta per tutte, ma un continuum che “qualifica” (dà la qualità) la professionalità

appunto. Nella professione Bachelet è stimato unanimamente; non smette di studiare; dà

sempre del tempo agli studenti per ascoltarli e guidarli. E allo stesso tempo coltiva una

fede pensata attraverso la partecipazione alla dimensione dell’associazionismo

intellettuale: Fuci e Movimento Laureati di Ac.

Un terzo aspetto, infine, è quello per cui la cultura, lo studio, sono visti come opportunità e

strumenti per leggere i segni dei tempi ed essere in modo diverso nel mondo, attento a

leggere e a proporre soluzioni ai problemi. Come non vedere aderente alla figura di

Bachelet il bel brano che Paolo VI mette sullʹEvangelii Nuntiandi: «Questi “segni dei tempi”

dovrebbero trovarci all’erta. Tacitamente o con grida, ma sempre con forza, ci domandano:

Credete veramente a quello che annunziate? Vivete quello che credete? Predicate

veramente quello che vivete? La testimonianza della vita è divenuta più che mai una

condizione essenziale per l’efficacia profonda della predicazione. Per questo motivo, eccoci

responsabili, fino ad un certo punto, della riuscita del Vangelo che proclamiamo» (Evangelii

Nuntiandi, n. 76). Ecco, questi tre aspetti sono presenti nella vita di Bachelet e si può dire

che fonda su di essi la strada della politica come carità e servizio.

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La spiritualità

Vi è poi la cultura che incarna i valori che la fede ispira, e qui è quasi obbligato parlare, per

la sua vita e la sua morte, di cultura di pace, di Bachelet uomo mite, mansueto, capace di

contagiare l’ambiente che lo circondava.

Gesù, nel discorso sulle beatitudini, dice: “Beati i mansueti, perchè possederanno la terra”

(Mt 5,4; Cfr.r. anche Sal 36,11) e propone se stesso come esempio: “Imparate da me che

sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). La violenza va respinta sempre.Non c’è neppure

lecita difesa; ricordate ciò che dice nel Getsemani a chi colpisce un servo del sommo

sacerdote venuto a catturarlo: “Riponi la tua spada al suo posto” (Mt 26,51-54; Lc 22,49-

51). Cristo si presenta, secondo la parola del profeta, come “la pecorella condotta al

macello, l’agnello che sotto la mano del tosatore non emette lamento e non apre bocca”,

colui che “dall’oppressione e da un iniquo giudizio è tolto di mezzo” (Is 53,7-8).

A queste parole s’ispira la spiritualità di Bachelet: “Una spiritualità essenziale, centrata

sulla fede in Dio, nutrita di Scrittura, materiata di speranza... una spiritualità che spingeva

Bachelet anzitutto ad ascoltare, ad essere disponibile a Dio e ad essere attento alle sorgenti

nascoste delle cose, a movimenti profondi e quasi impercettibili dell’umanità”59, una

spiritualità che si esprimeva “nel sereno e totale abbandono alla volontà del Padre, nella

vita semplice e ricca di affetti non solo per la famiglia e gli amici, ma per chiunque

incontrasse, nella noncuranza di ogni interesse mondano e tuttavia nell’impegno costante

e sempre discreto a servire gli uomini nel nome di Dio, dovunque fosse chiamato”60.

Fulvio Mastropaolo in una personale testimonianza scrive che “Nel Consiglio Superiore,

nel periodo in cui ho potuto collaborare alla sua opera, rarissime erano in pubblico le

parole che facessero esplicito riferimento alla sua fede. Non era rispetto umano! Quante

volte chiedeva preghiere persino a me, anche in presenza di persone non praticanti! Era la

scelta, invece, di una testimonianza discreta, spoglia da esplicitazioni che potessero

sembrare tentativo di proselitismo e riuscissero perciò urtati. Una testimonianza coerente

alle sue più intime convinzioni, che si esprimeva nella lealtà, nella disponibilità agli altri,

nelle opere e che veniva così almeno rispettata e capita, se non accolta. Ricordo che

59 M. Ivaldo, Spiritualità essenziale, in “Avvenire”, 14 febbraio 1980. 60 S. Cotta, Nella mansuetudine era la sua forza, in “Avvenire”, 14 febbraio 1980.

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durante un convegno, indetto dalla Facoltà di scienze politiche “Cesare Alfieri”

dell’Università di Firenze, il 16 aprile 1978, nel parlare a me e ad alcuni colleghi della sua

esperienza nel Consiglio superiore della magistratura, il prof. Antonio La Pergola, ora

giudice costituzionale, osservò: “Lo stile di Bachelet traduce nei fatti e nei comportamenti

il più puro spirito evangelico”61.

Una spiritualità che dalla forza interiore sapeva trasfondersi nei comportamenti,

nellʹatteggiamento, nello stile di fondo: lasciar trasparire il Vangelo.

Famiglia esemplare

Nel venticinquesimo anniversario di nozze dei genitori Giovanni scelse, come lettura per

la celebrazione eucaristica lo Shemà Israel, il brano del Deuteronomio che offre la sintesi

della fede ebraica ed è allo stesso tempo il mandato a trasmetterla alle generazioni future62.

È il segno di quella capacità immediata, naturale si direbbe, di trasmettere la fede di

generazione in generazione, che iniziava e si confermava già a partire dalla famiglia, che

anche per questo diventava ricchezza.

Le testimonianze sono unanimi nel dire che, insieme alla moglie, seppe costruire passo

dopo passo, mattone dopo mattone, la sua famiglia. Don Pino Scabini, che con Bachelet ha

avuto una lunga consuetudine negli anni dell’Azione Cattolica, parla di una “pace

costruita sul mutuo rispetto e sulla reciproca dedizione”64.

È il caso di riandare con la mente ad una delle risposte offerte dal figlio Giovanni nella

famosa intervista di Bruno Vespa il quale gli chiese: ʺChe tipo di educazione ha dato tuo

padre a te, a tua sorella, una educazione soltanto di tipo religioso, di tipo etico, o anche

una educazione di tipo civile?

ʺDirei - fu la risposta di Giovanni - che è stata unʹeducazione integrale. Eʹ difficile dire

quale sia stato anche il contributo di papà e quello di mamma, perché era proprio una

unione perfetta, tanto che per noi figli a volte è difficile la scelta del nostro futuro di fronte

61 F. Mastropaolo, Vittorio Bachelet vicepresidente del CSM, in G. Martina - A. Monticone (a cura di), Vittorio Bachelet. Servire, Roma 1981, p. 55. 62 Cfr. P. Bachelet, Io pongo sempre innanzi a me il Signore, cit., p. 173. 64 P. Scabini, Vittorio Bachelet, Un Vangelo per noi, in N. Ciola (a cura), Temi di pastorale e catechesi, Roma 1984, p. 312.

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a questo esempio. Trovare unʹaltra persona con cui essere così una sola persona in due, è

possibile? E quindi direi che da tutti e due è venuto un insegnamento di umanità cristiana,

in particolare da papà direi: la testimonianza più importante, per uno che aveva sempre

molto da fare in tutti i diversi periodi e impegni della sua vita, è stata quella di avere

tempo da perdere con me. Io ricordo discussioni dopo mezzanotte, in cui lui

pazientemente mi stava a sentire, poi si discuteva di politica, oppure della Chiesa, oppure

di problemi miei esistenziali. Di tutto, e non mi ha mai dato lʹimpressione di uno che

aveva altro da fare. Invece da fare ne aveva tantoʺ.

Cristiano comune

La dimensione familiare, il culto potremmo dire della famiglia, occupa un grande posto

nella formazione e nella vita di Bachelet. Nato in una famiglia numerosa - ultimo di nove

figli – Vittorio si ricorderà sempre con sollecitudine delle necessità e dei suoi momenti –

lieti e tristi – legati alla vita dei fratelli e non mancavano in proposito grandi episodi di vita

familiare significativi65.

Ma la testimonianza più luminosa è quella della sua “normalissima” famiglia cristiana

dove si viveva sereni e carichi di speranza. “Non ho mai visto nessuno arrabbiato” ebbe a

dire il fratello Paolo; “anche quando c’era da fare qualche osservazione ai figli, notavo con

quanta delicatezza gli si dicevano le cose, senza irritazione, senza farle pesare, senza

urtare, sia quando Maria Grazia e Giovanni erano piccoli, sia dopo quando furono

grandi”66.

Sul legame che univa marito e moglie è importante lasciare ancora la parola a chi ne è

stato testimone in prima persona.

Lʹimmagine più bella su questo legame ci è offerta dal fratello Paolo: ʺInsieme crebbero

dentro percorsi di spiritualità profonda, nella partecipazione dell’Eucarestia quotidiana,

nella recita del rosario, nella lettura progressiva dei testi biblici fatta ogni domenica,

nell’aiuto ai più bisognosi”67.

65 Sono quelli raccontati in C. Lubich, Bachelet, la serenità, in “Città Nuova”, n. ???, 10 marzo 1980, p. 31. 66 Testimonianza resa in C. Lubich, Bachelet, la serenità, p. 29 . 67 Cfr. P. Bachelet, Io pongo sempre innanzi a me il Signore, cit., pp. 171-173.

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Non è facile offrire un quadro della sensibilità religiosa che naturaliter veniva espressa nel

legame matrimoniale e per esso, giovi a continuare il ruolo ministeriale che i coniugi nel

matrimonio cristiano sono chiamati ad avere verso i figli; basti dire dell’essenziale vita di

ascolto e di preghiera che si esprimeva anche nella forma tradizionale ma non per questo

meno essenziale della recita del rosario; la partecipazione quotidiana all’Eucarestia, la

sollecitudine per i poveri, la passione educativa68. Dirà il figlio nella già citata intervista

televisiva che era difficile stabilire quale fosse69.

Lo stile essenziale e sobrio della vita familiare di Bachelet era percepibile a chiunque lo

avvicinasse, a partire dal modo di vestire sino alla semplicità dell’abitazione. Un

magistrato, Vincenzo Summa, rievocando il giorno dell’uccisione di Bachelet, ha

raccontato di quando andò con altri colleghi del CSM a fare le condoglianze alla famiglia

Bachelet: “A nessuno di noi tre sfuggì – come poi ci confidammo – la singolare semplicità,

la dignitosa modestia, ma meglio sarebbe dire la francescana povertà dell’arredamentoʺ70.

Abbiamo così la testimonianza di un uomo vero, di un cristiano, che ha cercato di vivere

appieno il proprio battesimo, nella famiglia, nella professione, nell’impegno educativo

attraverso lʹassociazionismo, nellʹanimazione della città terrena.

La fatica del rinnovamento: la nuova AC

La vicenda di Bachelet che, come abbiamo visto, incontra fin da bambino lʹAC, si è svolta

poi per lunghi anni nei cosiddetti movimenti intellettuali dellʹAC, la Fuci e i Laureati, ma

nel disegno misterioso della provvidenza, questʹuomo sarebbe stato chiamato a guidare la

difficile stagione del rinnovamento della più grande associazione del laicato cattolico.

Nel 1959, infatti, accettò da Giovanni XXIII la nomina a vicepresidente dellʹAzione

Cattolica Italiana. Viene chiamato a ricoprire questo incarico in un momento delicato della

storia dellʹAC71.

Nel 1959 Luigi Gedda ha terminato il suo mandato di presidente, e proprio in quellʹanno,

lo stesso dellʹindizione del Concilio, Giovanni XXIII si apprestava a ʺpreparare le

68 Cfr. ivi, p. 172. Vittorio Bachelet sarà anche dal vicepresidente del Comitato Pontificio per la Famiglia. 69 B. Vespa (a cura), Il padre di famiglia. Intervista a Giovanni Bachelet, in G. Martina – A. Monticone, Vittorio Bachelet, cit., p. 162. 70 V. Summa, Cronaca di un giorno da non dimenticare…, cit. p. 70. 71 Si v. E. Preziosi, Obbedienti in piedi. La vicenda dell'Azione Cattolica Italiana¸ SEI, Torino 1996, pp. 255 ss.

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innovazioni e i mutamenti nellʹinvolucro di una formale continuità. Pur ponendo fine

allʹepoca geddiana e avviandone in qualche modo, appunto attraverso la nomina di

Bachelet, il superamento, papa Giovanni metteva infatti a capo dellʹassociazione il più

fedele amico e collaboratore di Gedda, Agostino Maltarelloʺ72.

Costante, lungo il decennio, è lʹattenzione del mondo cattolico al crescere del fenomeno

della secolarizzazione. Intorno alla metà degli anni ʹ50 più di un segnale rende manifesta

una crisi che va maturando sotto la coltre dellʹespansione organizzativa

dellʹassociazionismo, e nonostante la leadership politica del partito di ispirazione cristiana.

Sono segnali che aumentano il disagio del cattolicesimo italiano nel confronto con la

nuova stagione73.

Il confronto con la secolarizzazione in atto nel nostro Paese assume spesso i toni e le tinte

della mobilitazione, pur con sfumature diverse (non sempre le iniziative di padre

Lombardi, ad esempio, trovano consensi e vedono coinvolta la dirigenza nazionale

dellʹAC), anche se la mobilitazione si propone in quel momento come il clima dominante.74

Sotto il profilo ecclesiale, questi anni sono caratterizzati ancora da un prolungamento

dellʹatteggiamento di confronto e di lotta con i regimi totalitari sostenuto dalla Santa Sede

nellʹimmediato dopoguerra. Un atteggiamento già presente alla vigilia dellʹultimo conflitto

mondiale,75 quando alle schermaglie con il regime fascista, alla denuncia del paganesimo

nazional-socialista, si affianca e subentra lo scontro aperto e la denuncia del totalitarismo

marxista. Tutto ciò ha un ritorno intraecclesiale: la fede va pertanto approfondita, anche in

vista della ʺbattagliaʺ che il singolo cristiano - considerato pertanto ʺmilitanteʺ - dovrà

sostenere.

La battaglia della Chiesa non è più solo religiosa, ma diventa vero e proprio confronto di

civiltà. Anche per questo gli interventi della Chiesa nella società si fanno più marcati.

72 G. Maggi, Il presidente della «nuova» Azione Cattolica, in G. Martina - A. Monticone (a cura), Vittorio Bachelet.., cit., p. 26. 73 Per le distinzioni all'interno della storiografia di questo periodo vedi Introduzione alla storia del movimento cattolico in Italia, a cura di B. Gariglio e E. Passerin d'Entrèves, Bologna 1979, pp. 10 ss.. 74 R. Sani, Da De Gasperi a Fanfani..., cit., pp. 163-196. Cfr. anche A. Riccardi, Governo e "profezia" nel pontificato di Pio XII, in AA.VV. Pio XII, a cura di A. Riccardi, Bari 1985, p. 60; cfr. anche G. Martina, La Chiesa in Italia negli ultimi trent'anni, Roma 1977, p. 63. 75 Cfr. G. Miccoli, La S. Sede nella II Guerra Mondiale: il problema dei "silenzi" di Pio XII, in Id., Fra mito della cristianità e secolarizzazione, Genova 1985, pp. 141-337.

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Lʹazione della gerarchia e della stessa Santa Sede si trova negli anni ʹ50 ad interpretare il

ruolo di ʺargineʺ verso la diffusione del materialismo ateo76.

In definitiva ciò che poi emergerà con chiarezza nel Concilio Vaticano II si è già

manifestato nel laicato più cosciente e in taluni esponenti della gerarchia e della teologia

cattolica77. Al di là della soluzione data al ʺcaso Rossiʺ78 lʹavvertita conflittualità offre tutti i

segnali di un necessario, profondo rinnovamento79, segnali che fanno parte della storia

dellʹACI degli anni ʹ50.

Un rinnovamento che, anche sul piano strutturale, comincerà ad affacciarsi sulla scena

associativa quando nel 1959 Giovanni XXIII nominerà presidente generale dellʹAC

Agostino Maltarello, stretto collaboratore di Gedda, affiancandogli come vice presidente

Vittorio Bachelet. Eʹ un momento di particolare attenzione e fiducia da parte della

gerarchia, espresso anche dalla Conferenza dei vescovi italiani nelle periodiche riunioni.

In una di queste, conclusasi il 14 dicembre 1958, la CEI si sofferma con particolare

attenzione sullʹAC: ʺconstatate con soddisfazione - si legge nella dichiarazione finale - la

vitalità, le benemerenze e le possibilità dellʹAzione Cattolica, la conferenza ne conferma le

necessità, lʹobbligatorietà e lʹurgenza di essa in ciascuna diocesi e parrocchia.80 La CEI

confida che lʹassociazione ʺchiamata a prestare diretta e speciale collaborazione

allʹapostolato gerarchicoʺ (Statuto, art. 2), continuerà la sua opera ʺcon filiale docilità ed

assoluta dedizioneʺ.81

La scelta di affiancare a Maltarello due vicepresidenti - Vittorio Bachelet e Carmela Rossi -

segna già una svolta rispetto alla pura continuità. Lo stesso carattere mite del presidente

contribuisce ad affrontare in maniera meno traumatica i problemi interni dellʹassociazione

che in quel momento si presenta come una struttura davvero complessa. Agostino

76 Cfr. E. Preziosi, Obbedienti in piedi…, cit., p. 281; si v. anche A. Giovagnoli, L'Azione Cattolica Italiana dal 1948 al 1958 in AA.VV., Chiesa e progetto educativo nell'Italia del secondo dopoguerra (1945-1958), Brescia 1988, p. 140. 77 Ad esempio, scrive F.X. Arnold nel 1959 che "il nostro tempo è tutt'altro che un tempo della fede evidente. Esso reca piuttosto il contrassegno della più seria crisi di fede e dei più pesanti addebiti ad essa... In tali condizioni non sono più opportuni i metodi pastorali e di pedagogia religiosa di un'opera di 'fede evidente', ma occorrono quelli propri di un'epoca di lavoro missionario che inizia dalle fondamenta". Cfr. F.X. Arnold, Il ministero della fede, Alba 1959. 78 Cfr. De Antonellis, Storia dell'Azione Cattolica dal 1867 a oggi, Milano 1987, pp. 264-265. 79 Cfr. A. Giovagnoli, L'Azione Cattolica Italiana dal 1948 al 1958, cit., p. 140. 80 Cfr. Discorso di Papa Pio XII del 25 gennaio 1950. 81 Sicura interprete dei vescovi d'Italia, la Conferenza esprime alla Commissione episcopale per l'alta direzione dell'Azione Cattolica la sua viva gratitudine e ringrazia tutti coloro, assistenti ecclesiastici, dirigenti e soci, che, in fedele ossequio alle direttive della Santa Sede e dell'episcopato italiano, lavorano per il trionfo della Chiesa". V.

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Maltarello ebbe Bachelet al suo fiancoper cinque anni: anni difficili che costituirono un

vero e proprio preludio al rinnovamento conciliare dell’associazione.

“Diversi di temperamento e di carattere –riconoscerà lo stesso Maltarello – la vicinanza di

Bachelet fu per me di grandissimo aiuto”82.

Era un uomo ʺmite e buono, credeva ed operava per la giustizia e per la pace. Ci lascia

lʹesempio di come il cristiano debba vivere la sua fede, operando nel mondo senza

compromessi, con grande spirito di tolleranza verso chi segue altri idealiʺ83.

Maltarello, nello stesso articolo su Avvenire, ebbe modo di riconoscere due aspetti del

contributo al rinnovamento dell’AC offerto da Bachelet che in genere non sono troppo

considerati in sede storiografica:

ʺCome esponente della Fuci e dei laureati, egli svolse un ruolo prezioso per un maggiore

inserimento di quei movimenti nel quadro generale dellʹAzione Cattolica, che aveva

iniziato il cammino verso la semplificazione delle sue strutture e una unità organica,

quale si sarebbe realizzata qualche anno più tardi. Più giovane di me, Vittorio attese

inoltre al compito di seguire da vicino i movimenti giovanili, specialmente la gioventù

maschile, ovviamente più portata alle frizioni dʹavanguardia e quindi insofferente dei

tempi lunghi, suggeriti dalla maturità e dallʹesperienza. Vittorio sapeva ascoltare, con

molta tolleranza e rispetto per le opinioni dellʹinterlocutore, svolgendo così unʹopera

preziosa di mediazione, in situazioni non sempre faciliʺ84.

Eʹ interessante ritrovare la traccia, proprio negli anni della presidenza Maltarello, di un

maggiore affiatamento tra i vari Rami a livello di presidenza e di un iniziale lavoro

unitario: si unifica la stampa per dirigenti e nasce il mensile ʺIniziativaʺ.85

La tensione unitaria dellʹassociazione, sotto la presidenza Maltarello, è stimolata dalle

raccomandazioni di Papa Giovanni:

Conferenza Episcopale Italiana, dichiarazione finale dopo la V riunione, 14 dicembre 1958: "L'Osservatore Romano", 31 dicembre 1958. Ora in Enchiridion..., cit., , p. 67. 82 A. Maltarello, Ci lascia l'esempio di come vivere la fede da cristiani" in “Avvenire”, 14 febbraio 1980. 83 Ibidem. 84 Ibidem. 85 La stessa campagna annuale, studiata insieme dai vari rami, imprime un carattere unitario al lavoro periferico e gli enti e i segretariati vengono considerati in un collegamento più stretto con la presidenza.

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ʺLʹAzione Cattolica deve essere ed apparire una; una nellʹordine metodico del suo procedere; una nella disciplina ben compresa e volentieri accettata da tutti; una nella concordia che riesca a mettere insieme le buone idee e ad assommare le ricchezze comuni...ʺ.86

Bachelet si dedica con passione allʹimpegno di rinnovamento dellʹAC. In una relazione ad

un convegno di presidenti diocesani nel luglio 1963 su ʺLe tre condizioni di vita

dellʹAzione Cattolicaʺ87, Bachelet traccia un quadro esauriente del percorso che aspetta

lʹAC, oltre a chiarificare i termini di un legame tra AC e politica.

Quando, nel 1964, Paolo VI lo nomina presidente di quella che allora si chiama la Giunta

centrale dellʹAC (da un anno mons. Franco Costa ha sostituito come assistente mons. Carlo

Maccari), il cammino del rinnovamento è già iniziato e la funzione dellʹAC si va

essenzializzando. Se ne ha eco nella prima dichiarazione fatta da Bachelet al momento

della sua nomina: ʺLʹAzione Cattolica vorrebbe aiutare gli italiani ad amare Dio e ad

amare gli uomini. Essa vorrebbe essere un semplice strumento attraverso il quale i cattolici

italiani siano aiutati a vivere integralmente e responsabilmente la vita della Chiesa; e

insieme a vivere con pieno rispettoso impegno cristiano la vita della comunità temporale e

della convivenza civile. LʹAzione Cattolica, nel clima del Concilio ecumenico Vaticano

secondo, e sotto la guida di Paolo VI, che ad essa ha rinnovato la fiducia del supremo

magistero della Chiesa, cercherà la forza più pura delle sue tradizioni per rinnovare se

stessa e per servire sempre meglio la Chiesa e la societàʺ89.

Lʹobiettivo, chiaro da subito, è quello di Rigenerare la comunità cristiana90, in modo che la

più grande associazione del laicato italiano sia pronta a favorire, grazie alla sua

capillarità91, lʹattenzione del Concilio.

86 A. Maltarello, Il dono di Papa Giovanni, in "Iniziativa", n. 7 del 1963, a. XVI, pp. 3-4, ora in Id., Giorno dopo giorno, Milano 1980, p. 170. Si anticipano qui alcuni riferimenti al magistero di Giovanni XXIII sull'ACI, argomento trattato nel capitolo seguente. Si v. il discorso di Giovanni XXIII in "L'Osservatore Romano", 11-12 dicembre 1961. 87 V. Bachelet, Le tre condizioni di vita dell'Azione Cattolica, "Iniziativa", 16, 1963, n. 12, pp. 8-10. La rivista ne riporta la sola prima parte; ora anche in ID. Il servizio è la gioia. Scritti associativi ed ecclesiali 1959-1973, a cura di M. Casella, Roma 1992, pp. 32-37. 89 Per il testo si v. V. Bachelet, Il servizio è la gioia, cit., p. 38. 90 Cfr. V. Bachelet, Rigenerare la comunità cristiana, relazione al Convegno nazionale dei presidenti diocesani, Roma 16-19 luglio 1964, in ID., Vittorio Bachelet Discorsi (1964-1973), a cura di M. Casella, AVE, Roma 1980; ora anche in ID., Il servizio è la gioia, cit., pp. 39-63. 91 Lo nota Bachelet stesso che rilegge, in una intervista del '79 l'esigenza di rinnovamento sentita dall'AC negli anni Sessanta non derivava principalmente e solo dalle novità portate dal Concilio ma era anche l'esito delle "trasformazioni più profonde della società italiana". Cfr. R. Bindi - E. Preziosi (a cura), 1969: il nuovo Statuto. Chi ha detto che

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Nel convegno dei presidenti del 1965, lʹinvito è quello di attuare il Concilio nel nostro

tempo, e in questo consiste il ʺprogramma dellʹAzione Cattolica per gli anni che

vengonoʺ92.

Le trasformazioni della società, che ormai percepisce di essere in un passaggio epocale, e il

rinnovamento della Chiesa che si snoda alla scuola del Concilio93 chiedono un radicale

cambiamento allʹAC94.

Man mano che entra nel servizio intrapreso a livello nazionale nell’AC, Bachelet sente con

sempre maggiore chiarezza che l’associazione ha la necessità di intraprendere un “nuovo

cammino”95. Si trattava di convincere un’associazione di grandi dimensioni e di notevole

impianto associativo a mettersi in moto, ad avvertire la necessità di non “sedersi sugli

allori” di una gloriosa militanza, ma di attraversare il cambiamento nell’unico modo

possibile; facendosi trovare pronti, in cammino.

E il mettersi in cammino comporta un’incertezza su come si svolgerà il viaggio e chiede

anche di non portarsi pesi superflui: questa è la sottolineatura che l’AC dei primi anni ’70

sviluppò sul tronco di una natura costante dell’associazione: un andare all’essenziale

operando una scelta religiosa.

Più volte Bachelet dovette tornare a spiegare come “scelta religiosa” non fosse “fuga dalla

realtà”, ma un modo di perseguire con la carità, la perfezione della legge96.

ʺÈ, se mai, un impegno più rigoroso a ritrovare le radici della fede ed a viverla con

coerenza; a riscoprire la carità non come abolizione della legge, ma come suo

superamento, cioè nella consapevolezza che la carità è per il cristiano è per il cristiano non

certo lassismo, ma regola assai più impegnativa e rigorosa della legge (e solo allora verso

gli altri ispiratrice di ogni misericordia); a ritrovare quei punti di riferimento per la propria

vita e per il proprio impegno civile e politico, così radicalmente contrastanti con i criteri

rinnovarsi non costa fatica? in "Responsabilità giovani", a. 5 (1979), n. 16, p. 20; ora in E. Preziosi, Il tempo ritrovato, cit., p. 261. 92 Cfr. V. Bachelet, Attuare il Concilio nel nostro tempo, in ID., Discorsi…, cit., p. 2; cfr. anche p. 24. 93 Cfr. G. Alberigo - J.P. Jossua (a cura), Il Vaticano II e la Chiesa, Brescia 1985. 94 Cfr. V. Bachelet, Linee di rinnovamento dell'Azione Cattolica Italiana, in "L'assistente ecclesiastico", a. 39 (1966), n. 2, p. 154. 95 Significativamente proprio con questo titolo verranno pubblicati nel 1973 alcuni stralci di articoli e di relazioni svolte in varie occasioni. Si v. V. Bachelet, Il nuovo cammino dell’Azione Cattolica, Roma 1973. 96 Proprio in quegli anni, Stanislao Lyonnet venne invitato a trattare questo tema ad un convegno dell'associazione; uscì anche un volumetto dell'AVE minima: S. Lyonnet, La carità pienezza della legge secondo san Paolo, AVE, Roma 1969.

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mondani da costituire un richiamo continuo ad operare per una società meno ingiusta.

Scelta religiosa è anche, allora, capacità di aiutare i cristiani a vivere la loro vita di fede in

una concreta situazione storica, ad essere ʺanima del mondoʺ, cioè fermento, seme positivo

per la salvezza ultima, ma anche servizio di carità non solo nei rapporti personali, ma nella

costruzione di una città comune in cui ci siamo meno poveri, meno oppressi, meno gente

che ha fame. Allora la scelta religiosa insegna al cristiano che la testimonianza di carità si

fa per lui anche impegno civile e politico che non può delegare al gruppo e alla comunità

ecclesiale, ma alla cui coscienza e responsabilità il gruppo e la comunità ecclesiale

debbono formarloʺ97.

“Uno studio storico attento sugli anni complessi e travagliati in cui avvenne la scelta

religiosa dell’Aci farà senza dubbio balzare in piena evidenza quanto antiveggente,

saldamente ancorata all’essenziale e, nel contempo, sicuramente innovatrice, fosse quella

scelta. Essa era la scelta della profondità e dell’essenzialità: della ricezione della corrente

centrale del Concilio, della reintegrazione delle fonti della fede nella vita quotidiana del

cristiano, dell’impegno nella dimensione feriale, comune, anche nascosta e intima delle

comunità ecclesiali. Una cordiale, non acritica, ma amorosa ed evangelica simpatia per

l’uomo si coniugava con la fiducia sincera in Dio e con la fedeltà alla Chiesa concreta”98.

Vi è una pagina molto bella del 1965 in cui Bachelet, ricordando che la Croce è “lo

strumento della nostra partecipazione alla vita e all’azione di Cristo e della Chiesa”, coglie

l’occasione per un riconoscimento alla maturità conquistata dai laici via via che si

sviluppava il disegno storico dell’Azione Cattolica”99.

Gli anni del rinnovamento e della scelta religiosa vennero a coincidere con gli anni dei

fermenti contestativi e di una più generale turbolenza del quadro sociale e politico. Si

inserirono così letture che non contribuirono a chiarificare la vera natura del

rinnovamento associativo.

Una pagina alquanto delicata fu ad esempio la vicenda del referendum abrogativo sulla

legge del divorzio, dove la linea tenuta da Bachelet per l’Azione Cattolica, linea corretta

che non comportò mai alcun scadimento nell’atteggiamento personale del presidente, così

97 V. Bachelet, Azione cattolica ed impegno politico, in "Segno nel mondo", 21 febbraio 1973, p. 4. 98 M. Ivaldo, Spiritualità essenziale, in Avvenire, 14 febbraio 1980. 99 V. Bachelet, Linee di rinnovamento dell'Azione Cattolica Italiana, cit., p. 162.

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come concordano numerose testimonianze100 anche se non impedè che non ingenerassero

critiche, specie sul versante di coloro che intendevano strumentalizzare il responso

referendario101. In realtà vi era solo una preoccupazione di carattere religioso.

Antonio Amore, che fu vicino a Bachelet in quegli anni, ricorda il desiderio di “rendere

l’Azione Cattolica più religiosa”102.

Spiega opportunamente Amore: “La sfumatura era saggia; nel dibattito andò

semplificandosi e radicalizzandosi. La formula rendere l’Azione Cattolica più religiosa evitava

un confronto offensivo con l’Azione Cattolica preconciliare (anch’essa aveva avuto un

denominatore religioso), ma stabiliva una ferma inversione di tendenza all’espansione

dell’ACI in campo sociale e politico”103.

In sostanza, spiega ancora Antonio Amore, si trattava di mettere in atto una eccezionale

pedagogia associativa che facesse capire come la scelta religiosa non fosse solo una strategia,

ma una qualificazione imposta all’AC da una svolta storica dell’umanità. Una pedagogia

necessaria anche per coloro che allora vivevano la condizione giovanile104.

Parlando a Roma ai presidenti diocesani nel giugno 1965, Bachelet ricordava come la

“responsabilità” e la “maturità” della Chiesa non si raggiunge solo per decreto conciliare,

per quanto ricco di carità e di grazia, ma si conquista “pagando di persona; anche

economicamente, certo, ma soprattutto in generosità e in sacrificio”105.

100 Ivo Pini fu testimone di una insolita presa di posizione personale di Bachelet sul tema del referendum, nel contesto di una riunione organizzata dalla diocesi di Roma dopo il febbraio 1974; in tale incontro vi fu un incontro diretto da parte di alcuni esponenti di gruppi o associazioni laicali alle posizioni pro-referendum attribuite al Vicariato. Domandato anche a Bachelet un parere egli "con atteggiamento di grande semplicità, quasi sorridendo (e ciò in contrasto con certa carica polemica dei primi interventi, e certo imbarazzo di altri) diede su per giù questa risposta: «Che devo dirvi? Vi confesserò che io sono uno di quei cristiani retrogradi e sottosviluppati che, in occasione del referendum sul divorzio, hanno seguito alle indicazioni dei Vescovi della Chiesa italiana…» (ricordo raccolto da padre Adolfo Bachelet)". Cfr. L. Elia, La lezione di Vittorio Bachelet per l'oggi in Gli anni della frattura…, cit., p. 103. 101 Cfr. G. Maggi, Il presidente della «nuova» Azione Cattolica..., cit., pp. 40 ss. 102 A. Amore, Una eccezionale pedagogia associativa, in “Coscienza”, aprile 1980, p. 21. 103 Ibidem. 104 “Appartengo alla generazione che nel 1968 aveva circa trent’anni. Non eravamo, quindi, giovanissimi ed eravamo sospettati, a torto, di essere piuttosto razionalisti. Da parte mia ritenevo che diventare adulti fosse questione di decisione, di tempestività d’intervento nei confronti degli altri. Pur avendo letto innumerevoli volte le “beatitudini”, in esse andavo alla ricerca di un significato, non della promessa. Vittorio Bachelet, con semplicità, mi fece comprendere che diventare adulti è questione di misericordia verso gli altri e che nessun credente è più immaturo del peccatore che si crede giusto. Di qui ad intuire che scelta religiosa era sinonimo di veridicità e di povertà non c’era che un passo. Per incarnarsi storicamente l’AC doveva riconoscersi povera di primogeniture, di coperture, di mezzi; la sua capacità di essere ancora feconda non sarebbe risultata dalla forza di incidere nelle decisioni ecclesiali, ma dalla disponibilità ad essere missionaria nelle condizioni più umili della cristianità italiana. Ho descritto questo vicenda personale perché ritengo che il caso non sia raro fra i miei coetanei”. Ibidem, pp. 21-22. 105 V. Bachelet, Attuare il Concilio…, cit., pp. 40-41.

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Bachelet approfitta per tracciare come un itinerario formativo verso la maturità cristiana

“dove si fortifica la libertà e responsabilità dei figli di Dio”, come la strada “attraverso la

quale passa ancora oggi l’attuazione del disegno di Dio nella storia degli uomini, e quindi

l’attuazione del Concilio nel nostro tempo: è ancora e sempre la via della Croce. E’ questa

la via gioiosa e regale del cristiano, la nostra forza e la nostra bandiera”106.

La stessa unificazione dellʹAC si rende necessaria di fronte al mutamento dellʹazione

pastorale della Chiesa che proponeva una pianificazione.

ʺSe finora in un certo senso lʹAzione Cattolica aveva svolto una certa funzione di

supplenza ad un piano pastorale nazionale - e poteva quindi permettersi il lusso di fare ciò

anche in modo differenziato e relativamente disarticolato - oggi la sua collaborazione - se

non vuole essere intralcio anziché servizio, non può che porsi in una prospettiva unitaria,

a livello nazionale come a livello diocesano e a livello parrocchialeʺ107.

LʹAC, riconosce Bachelet, è un organismo vivo, dunque può rinnovarsi: ʺOra mi sembra

evidente che se qualche incertezza vi è stata, questa è risolta proprio dallʹinsegnamento e

dal programma del Concilio. Esso offre ai laici un impegno globale nella vita della Chiesa

che non si limita alla testimonianza nella società e nella vita temporale, ma che partecipa

alla costruzione stessa della vita della Chiesa nella sua santità e nella sua unità, è

corresponsabile della sua missione di evangelizzazione e santificazione e ha una

caratterizzazione particolare, ma non esclusiva nella animazione cristiana della società. E

lo straordinario impegno di studio, assimilazione, diffusione, spiegazione, attuazione

infine dei decreti e degli indirizzi del Concilio per una crescita nuova della vita delle

Chiese è un compito tale e così globale da offrire allʹAzione Cattolica un alimento nuovo

nella propria prospettiva, che le consente di compiere la sua grande missione senza

rimpianti o gelosie di ciò che altri fa nel proprio campoʺ108.

A più riprese Bachelet torna, in quegli anni, su questi temi109. Vi è la consapevolezza che

lʹAC non doveva prendere le distanze dalla sua storia110, di quel carisma che lʹaveva fatta

106 Ibidem, pp. 41-42. 107 V. Bachelet, Attuare il Concilio, cit., pp. 29-30. 108 Cfr. V. Bachelet, Linee di rinnovamento…, cit., p. 158; a riprova dell'importanza di questo articolo, e di questo brano in particolare, è interessante notare che nella relazione di Bachelet fatta al Convegno del marzo 1966, di cui si parlerà poco più avanti, si trovano citate questa e altre parti; le pagine dell'«Assistente ecclesiastico» vennero diffuse anche in estratto. 109 Si v. la relazione di V. Bachelet, Rinnovare l'Azione Cattolica per attuare il Concilio.

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sorgere e radicare nel popolo di Dio; ma che alla luce della storia, sulla spinta morale111 che

da quella storia veniva, il carisma andava ʺsviluppato secondo lʹinsegnamento del Concilio

che nelle sue prospettive di slancio pastorale offre lʹoccasione per ridare ai nostri laici un

effettivo senso ed esercizio di responsabilità che negli ultimi anni erano andati un poʹ

perdendo, quanto meno a livello parrocchiale. Ciò richiede uno sforzo di formazione più

solido, adeguato a questa responsabilità, ma richiederà anche nellʹAssistente ecclesiastico e

nel Parroco la capacità di sapere riconoscere e affidare effettivamente questa responsabilità

ai laici, perché la responsabilità come virtù si acquista anche con lʹesercizio, e perché

altrimenti i laici continueranno a sentirsi responsabili nella vita civile, politica, sindacale,

professionale, e turisti o spettatori nella vita della parrocchia e della stessa Azione

Cattolica. E ciò sarebbe esattamente il contrario di quello che ha voluto il Concilioʺ112.

Nella festa di Ognissanti del 1969, lʹACI ha un nuovo Statuto approvato ad experimentum;

uno statuto frutto di un lungo travaglio di un faticoso rinnovamento che aveva

comportato non pochi dibattiti interni e non poche incomprensioni esterne113.

È un rinnovamento che - come riconoscerà in tono severo Bachelet nella citata intervista

del 1979 - aveva comportato una grande fatica: ma chi ha detto che il rinnovamento non

costa fatica?

ʺLa grande idea che sta nello statuto nuovo è la partecipazione dei laici alla vita della

Chiesa, come loro diritto-dovere. Lʹaltro fondamento della riforma sarà poi lʹunità

dellʹassociazione, finora composta da quattro associazioni autonome e tre movimenti.

Lʹunità doveva essere segno di quella comunione ecclesiale per la quale lʹAzione Cattolica

aveva da sempre, ma specialmente dopo il Concilio, la specifica vocazione. Lʹaltra

conquista fu la democraticità, con il ripristino delle libere elezioni a tutti i livelli

dellʹassociazioneʺ114. Il tutto andava sostenuto da una nuova stagione di fraternità

cristiana, di amicizia vissuta nellʹorizzonte dellʹunica, esigente vocazione cristiana.

“Che cosa è l’Azione Cattolica? Ne abbiamo parlato molto, ma mi pare che sia soprattutto

una realtà di cristiani che si conoscono, che si vogliono bene, che lavorano assieme nel

110 Si v. il volume che la Presidenza commissionò per celebrare il primo centenario, Studi per il centenario dell'Azione Cattolica (1868-1968), Padova 1969, 2 voll. 111 È un'espressione di Paolo VI. 112 Cfr. V. Bachelet, Linee di rinnovamento dell'Azione Cattolica Italiana, cit., p. 162. 113 Si v. M. Casella (a cura), Lo Statuto della nuova Azione Cattolica, Roma 1990.

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nome del Signore, che sono amici: e questa rete di uomini e donne che lavorano in tutte le

diocesi, e di giovani, e di adulti, e di ragazzi e di fanciulli, che in tutta la Chiesa italiana

con concordia, con uno spirito comune, senza troppe ormai sovrastrutture organizzative,

ma veramente essendo sempre più un cuor solo e un’anima sola cercano di servire la

Chiesa. E questa è la grande cosa. Perchè noi serviamo l’AC non poi perchè c’interessa di

fare grande l’AC, noi serviamo l’AC perchè c’interessa di rendere nella Chiesa il servizio

che ci è chiesto per tutti i fratelli. E questa credo sia la cosa veramente importante”115.

La nascita dellʹAzione Cattolica Ragazzi

La gestazione dellʹunificazione strutturale dellʹAC ha avuto - come si è detto - tempi

lunghi. Se negli ultimi anni ʹ60 si snoda il lavoro preparatorio e consultivo per il nuovo

Statuto, i primi anni ʹ70 sono quelli in cui lʹunificazione dei Rami e delle strutture

precedenti trova un esito non sempre scontato e comunque ricco di elementi di dibattito.

Eʹ il caso della scelta di unificare le quattro sezioni minori nellʹunica Azione Cattolica

Ragazzi.

Durante la I Assemblea nazionale nel settembre 1970, lʹassociazione prende in

considerazione lʹattenzione verso il mondo dei ragazzi.

ʺPer quanto riguarda lʹimpegno educativo verso lʹinfanzia e la preadolescenza, lʹACI riafferma che esso non può essere considerato compito esclusivo di un gruppo di educatori, ma va posto al centro delle preoccupazioni pastorali dellʹintera Azione Cattolica Italiana. Lʹeducazione religiosa dei ragazzi obbliga ad una autentica riscoperta del contenuto stesso dellʹannuncio, in modo da presentarlo nella sua semplicità essenziale. Un impegno fondamentale deve essere quello della ricerca e della formazione degli educatori sia giovani che adulti. Si sottolinea inoltre lʹesigenza di una collaborazione organica e stabile tra educatori dellʹACR, genitori, scuola ed operatori della pastorale.ʺ116

114 G. Fallani, Credeva con tutto se stesso nella pace e nella giustizia¸ in "Avvenire", 14 febbraio 1980. 115 Si v. Riscoprire che il servizio è la gioia. II Assemblea nazionale ACI in Atti II Assemblea nazionale ACI, 23 settembre 1973, Presidenza nazionale ACI; Roma 1974, pp. 125-131. Ora in V: Bachelet, Il servizio è la gioia, cit., p. 167. 116 Cfr. Le assemblee nazionali ACI, collana "Pagine", Roma 1988, p.34.

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Fin qui la dichiarazione dʹintenti del documento finale della I Assemblea. La realtà intanto

registra una forte flessione anche in questo settore. Tre i motivi principali: la crisi più

generale dellʹassociazione, lʹabbandono di figure adulte di educatrici ed educatori che si

sentono superati e comunque legati al modo precedente di stare con i ragazzi si fanno da

parte, infine la convinzione diffusa nei primi anni ʹ70 che non vale la pena spendere

energie nellʹazione educativa, e che lʹetà focale della crisi e della scelta per la fede, è lʹetà

giovanile-adolescenziale.

LʹAC rinnovando lʹattenzione per i ragazzi fa così una scommessa controcorrente.

ʺI prossimi anni, - scrive in un articolo la vice-presidente nazionale per il settore adulti

Sitia Sassudelli117, fra i collaboratori più vicini a Bachelet - saranno decisivi per la

rifondazione dellʹAzione Cattolica tra le nuove generazioniʺ. Il progetto di trasformare le

tradizionali ʺsezioni minoriʺ secondo le caratteristiche della nuova ACR è di grande

portata ed impegna tutta lʹAC in uno sforzo di natura straordinaria. In primo luogo viene

notato che i fanciulli ed i ragazzi, sono troppo poco considerati nelle loro esigenze

educative anche in campo ecclesiale. Secondariamente questo sforzo educativo si collega

alle più generali esigenze di rinnovamento e di continuità dellʹAC, che soprattutto con le

nuove generazioni può e deve impostare con libertà le basi di quella educazione alla

maturità cristiana e alla partecipazione responsabile alla vita della Chiesa che

rappresentano la linea di azione scelta per attuare il proprio servizio religioso a lungo

raggio nella società italiana. Si è consapevoli che

ʺlʹAzione Cattolica è messa alla prova principalmente sul terreno dellʹACR: sia perché‚ a quel livello viene messa a nudo la linea formativa dellʹAC nella sua essenzialità - essa risulterà chiaramente efficace solo se apparirà approfondita e lucida - sia perché‚ queste associazioni richiedono da parte di coloro che se ne prendono cura il massimo di dedizione, serietà e amoreʺ118.

Il problema dei ragazzi viene affrontato, per così dire, alle sue radici. Vi è un aspetto che si

colloca a monte della stessa ACR e riguarda la formazione religiosa dei bambini in età

117 S. Sassudelli, L'impegno per l'ACR, in "Il Nuovo Impegno", suppl. al n. 25 di "Segno nel mondo" del 6 settembre 1970, p. 29. 118 Ibidem.

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prescolare. Si coglie il rinnovato ruolo - indispensabile - della famiglia: in una prospettiva

di coeducazione è necessaria unʹazione che interessi i genitori. Eʹ infatti in famiglia, ed a

cominciare dai primissimi anni di vita, che si impostano le basi della vita di fede. E qui i

principali educatori sono il padre e la madre. Si pongono nuovi interrogativi. Come

instaurare un contatto con i giovani genitori - si chiede Sitia Sassudelli nellʹarticolo citato -

a cominciare dal battesimo del figlio, e, come compiere con essi unʹopera di

sensibilizzazione e di orientamento nel loro compito di maestri della fede?

Come indirizzare la loro azione educativa su quella linea fondamentale che domani sarà

sviluppata e portata avanti in collaborazione con essi nelle sezioni dellʹACR? Molte sono le

proposte119:

ʺUna buona relazione tra la Azione Cattolica e queste famiglie, con un contenuto di servizio. In un campo così vitale, sarà la migliore premessa per la continuazione della collaborazione nellʹACR, quando il bambino avrà raggiunto lʹetà scolareʺ120.

La vicepresidente nazionale proseguiva mettendo in guardia da due rischi, poi largamente

verificatisi.

ʺVenendo alla vita dellʹACR si presenta lʹobiettivo di rendere effettiva la corresponsabilità di tutta lʹAC. Cʹè il rischio che le donne, le quali hanno avuto cura finora dei fanciulli, se ne considerino esonerate dal momento che anche altri sono chiamati ora ad occuparsene; e che i giovani, che con sacrificio hanno provveduto sinora alle sezioni minori, colgano lʹoccasione del cambiamento di struttura per dismettere lʹimpegno verso le generazioni seguentiʺ121.

Si tratta invece di investire del problema gli adulti - uomini e donne, in particolare le

famiglie, i maestri, gli insegnanti in genere - ed insieme i giovani per i quali il servizio ai

bambini e ai preadolescenti costituisce una insostituibile occasione per verificare

119 Vi è, tra le altre, la proposta di riunire le giovani coppie con bambini piccoli in gruppi che siano luogo di confronto e di sostegno nella responsabilità educativa; non manca l'idea di pubblicare un giornalino - sulla linea di quello precedentemente dedicato alle sezioni dei piccolissimi - che sia uno strumento nelle mani dei genitori e contenga una guida ad essi direttamente dedicata. In questo campo sono ugualmente coinvolti coloro che nell'AC si occupano della famiglia e dell'ACR.- 120 S. Sassudelli, L'impegno per l'ACR, cit., p. 29.

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lʹautenticità della loro formazione, e un campo particolarmente ricco di stimoli e di apporti

per la loro crescita personale.

Ma in questa direzione si incontrano due delle maggiori difficoltà: per la crisi del

momento è difficile trovare adulti che si sentano capaci di azioni educative (le stesse

famiglie iniziano a vivere lʹesperienza del sentirsi inadeguati verso il nuovo e

conseguentemente rinunciano). Lʹuniverso giovanile offre un servizio alquanto

occasionale poiché‚ i giovani vivono una stagione di protagonismo che si esprime in campi

più legati alle tematiche sociali, politiche e terzomondiali che educative.

Le strutture (rapporti dellʹACR con i Settori - presenza dellʹACR negli organi unitari, ecc.),

pensate anche a misura di adulti e di coppie educanti finiscono per essere gestite da

educatori giovanissimi con evidenti difficoltà, mentre un obiettivo primario allora

dichiarato è la scelta e la formazione di educatori allʹaltezza delle esigenze

dellʹassociazione. Bambini e ragazzi possono essere affidati infatti solo a persone dotate di

maturità cristiana, di capacità educativa seria, di abnegazione duratura.

Lʹassociazione fa allora i conti con le difficoltà di vocazioni educative. Come suscitare

vocazioni di questo genere? Che ambiente scegliere per una ricerca e un invito (famiglie -

ex delegati delle sezioni minori - insegnanti - ex scout o guide, ecc.)? Quali iniziative

attuare per un primo orientamento dei nuovi educatori e per un aggiornamento di chi

avesse già fatto precedentemente esperienza?

Rinnovare la metodologia con cui lʹAC si pone tra i ragazzi presta il fianco anche ad

unʹaltra difficoltà: dove trovare sacerdoti disponibili e capaci? Il futuro dellʹACR fida

soprattutto sullʹapporto di questi ultimi e di una valida generazione di educatori. Intanto

si moltiplicano le esperienze e i tentativi in varie diocesi tra resistenze e difficoltà di vario

genere. Quale politica seguire? Quale criterio adottare nel presentare la proposta dellʹACR

ai fanciulli e ai ragazzi di una parrocchia? A chi rivolgersi? Cosa richiedere?

A questi interrogativi si somma il problema di raccogliere adesioni. Ci si chiede se è giusto

puntare su un largo seguito, non per tendenza monopolistica, ma in considerazione della

scarsità di opere educative analoghe.

121 Ibidem.

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Un aspetto del problema è quello, prima accennato, ʺdei rapporti da stabilire con le

famiglie, essendo molto importante, soprattutto per i più giovani, che la famiglia sostenga

la scelta del fanciullo, collabori concretamente con lʹassociazione, considerandola un suo

prezioso alleatoʺ.

Altro aspetto importante è costituito dalla vita di gruppo e di sezione da realizzare

secondo la natura della Azione Cattolica e la valorizzazione delle caratteristiche diverse

che sono proprie dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze. Ma per vedere

quale può essere lʹeffettiva incidenza e validità formativa dellʹACR è necessario uno sforzo

organizzativo che la situazione contingente (connotata da forti spinte antistrutturali) non

consente. Il contenuto ed il metodo risultano a quel punto definiti sufficientemente.

ʺCiò che ora va decisamente intrapreso - scriverà ancora la Sassudelli - è lʹorganizzazione concreta delle sezioni, ed un loro coordinamento che garantisca la continuità di una linea che deve favorire la crescita di personalità cristianeʺ.

Già in questo periodo si pongono le problematiche di una partecipazione alla vita

parrocchiale. Che significato può avere in concreto operare nel quadro di una organica

pastorale dei ragazzi? Nella crisi delle strutture dellʹAC infatti si è intanto andata

configurando una vita pastorale specifica, estremamente variegata, ma di una certa

consistenza, connotata qua e là da un carattere critico nei confronti dellʹAC.

Come valorizzare allora i doni propri dei ragazzi, nella vita della comunità parrocchiale a

vantaggio di tutti, come portarli a partecipare effettivamente, nel modo loro proprio,

allʹazione missionaria della Chiesa locale se si parte da posizioni di incomprensione e di

isolamento?

Vi è infine il problema del raccordo tra ACR e AC. LʹAzione Cattolica Ragazzi ha una sua

autonomia ma è necessario che tutta lʹAC operi scelte di grande respiro a partire da quella

prima Assemblea nazionale del settembre 1970. LʹACR si incontrerà nellʹaprile successivo

per una propria Assemblea.

In seguito allʹappuntamento del settembre 1970, in una delle sue prime riunioni, il

Consiglio nazionale dellʹAzione Cattolica esprime il desiderio di trovare enucleate in un

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ʺdocumentoʺ da sottoporre allʹapprovazione del Consiglio stesso le linee fondamentali che

definiscono il volto dellʹACR, sul modello dei pochi e generici articoli dello Statuto

dellʹAC122.

Dopo lungo lavoro e varie modifiche, il 12 febbraio, Lucio Capoccia, rappresentante

dellʹACR nella presidenza dellʹAC, presenta al Consiglio una bozza di ʺdocumentoʺ123.

Il ʺdocumentoʺ viene consegnato a tutti i partecipanti alla prima Assemblea nazionale

dellʹACR124 che si tiene nella primavera 1971: vi partecipano oltre 500 responsabili

diocesani e numerosi assistenti e consiglieri nazionali. Vi emerge, come nota in un

editoriale Bachelet,

ʺuna realtà estremamente interessante di unʹAzione Cattolica dei Ragazzi in cui confluiscono antiche tradizioni e maturate dedizioni allʹinfanzia, e nuove generose vocazioni ad un riscoperto impegno educativo, intese - le prime e le seconde - più ancora che come un dono offerto, come un dono ricevuto da chi aiuta, sì, i piccoli a maturare il loro cristianesimo, ma soprattutto, vivendo con loro, si avvicini di più al modello che il Maestro di tutti ha posto per ogni cristiano. Eʹ unʹAzione Cattolica dei Ragazzi allo stato nascente, vitale, anche se ancora alla ricerca di un metodo di lavoro più organico, ma fortemente impegnata a livello diocesano e - si ha lʹimpressione - con esperienze che cominciano ad essere interessanti per un nuovo avvio a livello parrocchiale, ove lʹACR diviene stimolo e servizio anche per una più ampia pastorale dei ragazziʺ125.

I ragazzi diventano così nella vita dellʹAC, almeno in teoria, maggiormente protagonisti. Si

passa da unʹattenzione educativa che vede i fanciulli come ʺoggettoʺ di educazione, ad un

122 In un primo tempo fu incaricata dal Consiglio, per la stesura del documento, una Commissione formata da tre consiglieri e due responsabili dell'Ufficio centrale dell'ACR. Tale Commissione stese una prima bozza che il Consiglio, dopo ampio dibattito, decise di sottoporre ad altra elaborazione, affidandola ai responsabili dell'Ufficio centrale dell'ACR, in collaborazione con la Presidenza. 123 Il dibattito in seno al Consiglio è positivo. Sono presentate diverse interrogazioni ed alcune correzioni al testo. Il Consiglio delega poi la Presidenza per la messa a punto delle une e delle altre, approvando la bozza del documento in linea di massima. La Presidenza prende nota delle interrogazioni e delle correzioni apportate dai responsabili dell'ACR, e secondo il desiderio del Consiglio, dà l'approvazione definitiva. 124 Per il testo degli Atti si v. il Numero speciale de "Il Nuovo Impegno", a. VI, n. 8, del 15-30 aprile 1971, pp. 7 ss. 125 Ib. p. 2. Noterà inoltre Bachelet: "Le discussioni, gli incontri, la elaborazione delle linee di lavoro, se hanno mostrato la fatica di questo momento di confluenza e di partenza per una esperienza nuova, mi sono sembrati carichi di responsabilità, di generosità, di speranza, e persino di un entusiasmo che è esploso, nell'udienza del Papa in S. Pietro, in un fortissimo "Alleluja!" che, per quanto poco ortodosso in tempo quaresimale, è stato accolto con un grande sorriso da Paolo VI ("i ragazzi possono cantare l'Alleluja anche in Quaresima" ha detto facendo un gioioso cenno con la mano). Nei gruppi si è lavorato seriamente e le linee di lavoro approvate costituiranno un punto di riferimento per il lavoro di tutti".

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protagonismo dei ragazzi. Scrive ancora Bachelet che lʹavere fortemente richiamato la

dignità di cristiani dei ragazzi e la ricchezza del dono che essi fanno alla comunità:

ʺè un grande servizio che lʹAzione Cattolica rende non solo ai piccoli ma allʹintera comunità cristiana. Lʹaver sottolineato questo dono, questa corresponsabilità attiva anche attraverso la forma dellʹimpegno associativo dei fanciulli e dei preadolescenti (pur essendo di per sé‚ questʹultimo ovviamente uno strumento organizzativo, e come tale opinabile e non necessario per la salvezza eterna!) sottolinea infatti che anche essi sono non solo oggetti dellʹazione pastorale ma soggetti della costruzione della Chiesa partecipi a pieno titolo - e certamente a loro misura - della sua missione apostolica; e questa consapevolezza arricchisce tutta la Chiesaʺ126.

Si tratta di una visione innovativa che ancora oggi stenta ad essere attuata nella comunità

cristiana; una visione che non promuoveva solo il protagonismo dei ragazzi, ma, in un

quadro unitario, vedeva la capacità, attraverso i ragazzi, di rinnovare lʹassociazione.

ʺSe riusciremo a capire bene questo, non avremo reso un servizio solo ai più piccoli; infatti la presenza dei piccoli nellʹAC aiuterà lʹassociazione stessa a capirsi e ad attuare meglio il suo compito. Se noi capiremo come i ragazzi possono essere ʺsoggetti attiviʺ nella Chiesa, capiremo anche come gli adulti possono essere soggetti attivi nella Chiesa. Perché‚ io credo che noi qualche volta abbiamo le idee confuse su che cosa significhi ʺessere adultiʺ, o ʺmaturiʺ, nella Chiesa. Quasi che questa maturità sia una sorta di acquisizione, di accumulo di esperienza, di capacità culturale, o di semplice progresso di età. Mentre è la misura della corrispondenza della risposta di ciascuno alla chiamata e alle possibilità concrete che il Signore offre. E sono spesso non solo i più piccoli, ma anche i più semplici quelli che, nella Chiesa, hanno ʺstaturaʺ più grande; sono essi che hanno voce più attiva nella Chiesa, che è mistero di grazia. Per questo lʹACR può diventare una pagina di speranza non solo nella vita dellʹAzione Cattolica ma nella vita della Chiesaʺ127

Un cristiano in cammino

126 Ibidem. 127 Ibidem.

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La strada percorsa da Bachelet, la sua testimonianza offerta con la morte e con lo stile di

vita, sono il frutto di una crescita costante nella difficile ma possibile strada della santità

cristiana. Una crescita voluta, scelta in maniera consapevole; ma anche sostenuta da un

costante accorgimento formativo che lʹassociazionismo cattolico era stato in grado di

mettere in atto.

E dellʹassociazionismo Bachelet, con umiltà, si sentirà parte offrendo nei lunghi anni di

presidenza della principale associazione laicale - lʹAzione Cattolica Italiana - la

testimonianza di un coinvolgimento in prima persona. Dietro i suoi interventi scritti o a

voce - non era certo un trascinatore - si aveva sempre la sensazione di avere a che fare con

un credente che rifletteva ad alta voce, si percepiva che era egli stesso un cristiano in

cammino sulla strada di questo tempo. E ci si sentiva coinvolti, incoraggiati a proseguire

una impresa grande, sì, ma che ci riguardava in prima persona; una impresa che

valorizzava il nostro essere laici cristiani.

Vittorio Bachelet, davanti a Paolo VI, il 26 settembre 1970, in occasione dellʹAssemblea

nazionale dellʹAzione Cattolica, pronunciò delle parole che ben riassumono lo stile del

laicato cristiano. In quel testo si riconosce lo stile del cristiano Bachelet, che anche con il

Papa sceglie il tono della familiarità: ʺNoi desideriamo dire a voi Padre Santo - disse

Bachelet nellʹindirizzo di saluto - il nostro affetto gioioso e fedele. È vero che se qualcuno

tra noi per avventura, volesse seguire lʹesempio di alcuni dei primi soci della nostra

associazione che cento anni fa, per dimostrare tale affettuosa fedeltà si arruolarono degli

zuavi pontifici, non troverebbe più presso di Voi corpi armati nei quali dare questo tipo di

testimonianza. Ma non è meno sicuro lʹaffetto dei figli che oggi vi sono vicini e sono pronti

a dare il loro contributo nel modo nel quale Voi volete che sia aiutato il vostro spirituale

servizio apostolico. Noi vi siamo vicini, Padre Santo, con lʹaffettuosa e sola fiducia di cui

parlava Don Mazzolari quando diceva: il Papa ha bisogno di figlioli che gli vogliano bene

alla buona, lʹunica maniera per volere bene veramente; che gli obbediscano in piedi e che

in piedi gli diano una mano a portare la grossa croce che ha sul cuore e sulle spalleʺ128.

Sono parole, dirà in unʹaltra occasione, cui pensava da molto e che riassumevano secondo

Bachelet il lungo cammino storico dellʹAC: ʺLo andavo pensando qualche tempo fa. Avevo

128 Si v. Atti dell'Assemblea nazionale dell'AC, 12-27 settembre 1970, Roma 1971, p. 21.

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trovato, in occasione della commemorazione di Camillo Corsanego che lʹAzione Cattolica

ha tenuto qualche tempo fa insieme ad altre istituzioni che egli ebbe care, una frase

vigorosa di un suo indirizzo presentato nel novembre 1925 dal Presidente Generale della

Gioventù Cattolica Italiana a Pio XI in cui offriva al Papa la fedeltà dei suoi giovani, non

quasi «trepida ansia di servi ma libera confidenza di figli». E andavo pensando alla

ricchezza e alla maturità raggiunta dallʹAzione Cattolica sotto il grande pontificato di Pio

XI e ne cercavo le dimensioni profonde. Quasi a risposta, mi capitò in quei giorni

sottʹocchio un passo di Santa Caterina da Siena che parla della libertà dei figli di Dio e

dellʹamore di Dio per i suoi figli che da figli lo amano: «Amore di figliuoli ha a coloro che

in verità Lo servono senza alcuno timore servile, i quali hanno annegata e morta la propria

loro volontà e sono obbedienti per Dio infino alla morte, a ogni creatura che ha in sé

ragione; e non sono mercenari che Lo servono per propria utilità ma sono figliuoli e le

consolazioni dispregiano, e delle tribolazioni si dilettano e cercano pure in che modo si

possano conformare con Cristo Crocifisso e nutricare degli obbrobri e delle fatiche e pene

Sue»ʺ129.

La morte: una pagina che sa di mistero e di luce

Nel 1980 lʹItalia è ancora in quel tunnel che unʹefficace espressione giornalistica definì

ʺanni di piomboʺ.

La nota di un’agenzia giornalistica martedì 12 febbraio, poco dopo le dodici dava notizia

di una sparatoria avvenuta a Roma all’interno della città universitaria: “Il professore

colpito nell’attentato è morto. E’ Vittorio Bachelet, Vicepresidente del Consiglio Superiore

della Magistratura”.

A cinquantaquattro anni si concludeva così con un tragico delitto, la vita di un uomo mite

che, anche nella morte, come noterà lo stesso Pertini allora Presidente della Repubblica,

riuscirà ad rimanere serena: “Molte volte mi è capitato di vedere, pochi istanti dopo la

morte, uomini colpiti in maniera tragica, vittime della guerra, della resistenza, del

129 V. Bachelet, Attuare il Concilio…, cit., p. 41. 131 Cit. in P. Bachelet, Io pongo sempre innanzi a me il Signore, in G. Martina – A. Monticone (a cura), Vittorio Bachelet. Servire, Roma 1981, p. 167.

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terrorismo. Spesso si trattava di visi sconvolti dal dolore, dalla paura, forse dalla rabbia.

Ma nessuno mi si è mai presentato con un volto così sereno come quello di tuo padre131”.

Una morte non facilmente comprensibile all’opinione pubblica perché in fondo Bachelet

era figura poco nota al di fuori degli addetti ai lavori dei mondi in cui aveva operato: il

mondo cattolico, quello universitario e quello delle istituzioni.

In realtà la sua era una morte che trovava una “giustificazione” nel suo ben operare

all’interno di quel ruolo di vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, che

ricopriva dal 1976, nel consiglio superiore, dove in tanti gli riconoscevano di essere “uomo

di unità”.

Un “martirio laico”, dirà Martini nel secondo anniversario della sua morte132.

Una morte non attesa, certamente non temuta. Aveva detto ad un giornalista il giorno

prima di essere ucciso: “per conto mio vivo nella fiducia che piccoli segnali possano

diventare una grande luce”133. Circa dieci anni dopo un brigatista, dal suo ergastolo così

scriveva alla famiglia di Bachelet tramite padre Adolfo - il fratello di Vittorio - che per anni

si dedicò ad incontrare i carcerati per terrorismo: “La testimonianza che a noi tutti diede la

famiglia di Vittorio Bachelet ci interpellò, forse per la prima volta, nel senso etico della

nostra azione e della lotta armata. Per la prima volta ci sentimmo interpellati eticamente e

la cosa ci turbò assai; le nostre certezze cominciarono a scricchiolare come il colosso di

Rodi. All’ora d’aria del giorno dopo nessuno di noi voleva ricordare quel fatto. poi uno dei

nostri capi storici ci provocò sull’episodio, e capimmo che tutti, dico tutti, ne eravamo stati

profondamente colpiti. Credo che quell’episodio segnò le nostre azioni da quel momento

in poi.”134.

Non poteva immaginare, ma la frase, proprio per questo, assume un carattere ancora più

profetico: perché è la profezia di speranza espressa, potremmo dire, con l’intera vita e non

in un frangente particolarmente drammatico.

132 Cfr. in C.M. Martini, La spiritualità laicale nella prospettiva biblica e teologica in La spiritualità dei laici. Riflessioni nel secondo anniversario della morte di Vittorio Bachelet (12 febbraio 1982), Roma 1982, p. 36. 133 Cfr. C. Benedetti, Io sono tranquillo e vivo nella fiducia, “Paese sera”, 13 febbraio 1980, p. 2. 134 Forse un piccolo segno eloquente di una morte che, deposta nella terra, sapeva far rifiorire la speranza e la vita. Marco Boato, su “Lotta continua”, ha scritto in quegli anni che "la logica della morte" durerà ancora a lungo, ma se forse un giorno non prevarrà, se forse un giorno sarà sconfitta, dovremo ricordarci di questa lezione di umanità che hanno saputo trarne coloro che ne sono stati più direttamente colpiti". Cfr. C. Boato, Il perdono e non la vendetta, la vita e non la morte degli altri, “Lotta Continua”, febbraio 1980, p. 20.

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Ed è forse quella vita normale e per questo senza ombre né intrighi che diviene bersaglio

per un terrorismo ormai impazzito nella sterile spirale in cui si è avvolta. Scriveva un

amico, Leopoldo Elia: “Il terrorismo spegne le persone di vita più pura, quelle sul cui

passato non può sollevarsi né un’ombra di sospetto né un sussurro di calunnia. Purtroppo

la perdita di Vittorio Bachelet si inscrive in questo disegno di eliminazione dei migliori, in

modo che il gruppo dirigente del Paese appaia sempre più impoverito e privato delle

persone sulle quali non è lecito discutere”135.

Pian piano, specie dopo il solenne rito delle esequie e con gli unanimi commenti della

stampa di quei giorni, anche l’opinione pubblica capisce la portata di quel bersaglio, cosa

ha fatto scegliere la nuova vittima: “La gente ha capito che, questa volta, c’era una perfetta

corrispondenza tra la giustizia personale dell’uomo e la funzione pubblica di testimone ed

emblema di giustizia che egli era chiamato a svolgere al vertice della magistratura; anzi ha

capito che pur nella piena conformità alle istituzioni e alle leggi, la sua giustizia superava

quella di una pura attuazione della legge. E per questo i nuovi barbari interessati a

dimostrare l’iniquità e l’inattendibilità della legge, non potevano colpire che lui, che della

legge offriva un’immagine di giustizia che superava la stessa lettera della legge”136.

Non ne facciamo un ʺsantinoʺ, e neppure un modello troppo distinto dal resto del popolo

do Dio, ma certo da lui, dalla sua vita, abbiamo tante cose da imparare, magari proprio per

la sua ʹnormalitàʹ e semplicità.

La fedeltà al Vangelo è ricca di testimonianze credibili, che debbono invitarci e invogliarci

a metterci in cammino, anziché spaventarci per la difficoltà della strada.

La sua fede vissuta in maniera articolata tanto da non poter distinguere, più di tanto,

lʹaspetto religioso, quello civile e quello politico, ci offrono un modello di cristiano

particolare, e non per questo integrista, convinto della forza del Vangelo, posta al centro

della propria vita.

Per questo la scelta religiosa, che contribuì a rinnovare la Chiesa e in essa lʹAzione

cattolica, in una stagione difficile del nostro Paese, spiega non una strada ma un modo di

essere.

135 Cfr. L. Elia, Solo la fede può illuminare questa giornata, “Il Popolo”, 13 febbraio 1980, p. 3. 136 Cfr. R. La Valle, Capire la morte di Bachelet, “Paese Sera”, 16 febbraio 1980, p. 1.

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In unʹintervista che ebbi la fortuna di fargli, nel 1979, così spiegava la scelta religiosa, non

già come disimpegno, ma come fondamento del più radicale e impegnativo servizio alla

persona umana. ʺLa scelta religiosa - diceva - è stata una scelta fondamentale. Di fronte a

questo mondo che cambia, di fronte alla crisi dei valori, nel cambiamento del quadro

sociale e culturale, forse con unʹintuizione, o comunque con una nuova consapevolezza

lʹAC si chiese su che cosa puntare. Valeva la pena di correre dietro a singoli problemi,

importanti e consequenziali, o puntare invece alle radici?

Nel momento in cui lʹaratro della storia scavava a fondo rivoltando profondamente le zolle

della realtà sociale italiana, che cosa era importante? Era importante gettare seme buono,

seme valido. La scelta religiosa - buona o cattiva che sia lʹespressione - è questo: riscoprire

la centralità dellʹannuncio di Cristo, lʹannuncio della fede da cui tutto il resto prende

significatoʺ.

ʺQuando ho riflettuto su queste cose - continuava - e ho tentato di esprimerle, ho fatto

riferimento a San Benedetto che in un altro momento di trapasso culturale, trovò nella

centralità della liturgia, della preghiera, della cultura il seme per cambiare il mondo o - per

meglio dire - per conservare quello che cʹera di valido dellʹantica civiltà e innestarlo come

seme di speranza nella nuova. Questa è la scelta religiosaʺ137.

Vittorio Bachelet rimarrà legato a questa ʺsceltaʺ che, in fondo, esprime uno sguardo di

fede, positivo, sul mondo. Così come Bachelet a ventʹanni dalla sua morte, ci appare come

uomo semplice e buono, capace di fare sintesi, capace di costruire, con il sorriso sulle

labbra un pezzetto di mondo riconciliato. E non è poco.

137 Intervista rilasciata a Rosy Bindi ed Ernesto Preziosi, pubblicata su "Responsabilità" del 6 maggio 1979. Ora in Il tempo ritrovato, Edizioni Dehoniane, Bologna 1987.