Una Piccola Libreria Di San Francisco

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una piccola libreria di san francisco libro completo.

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Robin Sloan

Una piccola libReRiadi San FRanciSco

Un racconto inedito ispirato a Il segreto della libreria sempre aperta

Traduzione di Giovanni arduino

contiene un estratto di Il segreto della libreria sempre aperta

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Titolo originale: Ajax Penumbra 1969

Traduzione dall’originale americanodi Giovanni Arduino

Per essere informato sulle novitàdel Gruppo editoriale Mauri Spagnol visita:

www.illibraio.itwww.infinitestorie.it

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

Copyright © 2013 by Robin SloanAll rights reserved

Casa Editrice Corbaccio è un marchio di Garzanti libri S.r.l.Gruppo editoriale Mauri Spagnol

© 2013 Garzanti Libri S.r.l.

www.corbaccio.it

ISBN 978-88-6380-773-8

Prima edizione digitale 2013

Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata

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La Libreria Sempre Aperta

Un forestiero cammina per la città a caccia di qualcosa. Con lui ha un elenco: biblioteche e librerie, musei e archivi. Scende nelle vi-scere del San Francisco Chronicle, seguendo un impiegato immu-sonito fino ai più vecchi schedari degli arretrati. Là sotto i giornali rischiano di sbriciolarsi sotto le dita. Li sfoglia con delicatezza ma senza esitare, le mani allenate a quel genere di compito, ma il Chronicle è troppo recente. Non trova il nome che sta cercando.

Il forestiero passa al setaccio Chinatown, imparando a chiedere libreria? in cantonese: shū diàn? Sfida l’atmosfera fumosa di Haight Street, intrattenendosi con un capellone che vende volumi sopra una stuoia al Golden Gate Park. Raggiunge Cody’s Books e Cal sul l’al tro lato della baia, spingendosi verso sud alla volta di Ke-pler’s e Stanford. Prosegue la sua indagine da City Lights, ma Shig, il commesso dietro la cassa, scuote la testa. « Mai sentito parlare di lui, fratello », gli risponde, sbolognandogli una copia dell’Urlo.

Siamo nel 1969 e San Francisco è in pieno restauro. La gigante-sca arteria centrale di Market Street si è trasformata in una trincea. A sud, interi isolati sono stati abbattuti e ricostruiti dalle fonda-menta; una rete metallica è addobbata di cartelli che proclamano enfatici YERBA BUENA GARDENS, anche se nei paraggi non c’è

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traccia d’erba o di alberi. A nord, il forestiero supera un cantiere dove un’imponente ziggurat si staglia contro il cielo e un manife-sto annuncia IL FUTURO SITO DEL TRANSAMERICA PYRA-MID sopra il disegno stilizzato di una picca luccicante.

Girovaga deluso per la città. Non gli resta più nessun posto do-ve andare, l’elenco piegato in tasca e ormai inutile. S’incammina fino al Golden Gate Bridge, perché sa che i suoi genitori gli chiede-ranno se l’ha visitato. A tre quarti, fa dietrofront. Sperava in uno scorcio di San Francisco, ma la baia è immersa nella nebbia e il vento gelido gli sferza la camicia a maniche corte.

Riparte in direzione dell’albergo, senza fretta, rimuginando sul proprio fallimento. Il mattino dopo comprerà un biglietto del tre-no per casa. Per un po’ costeggia l’oceano e poi taglia verso il cuore della città. Segue il confine tra North Beach e Chinatown e lì, incu-neata tra un ristorante italiano e una farmacia cinese, spunta una libreria.

Dentro il ristorante tutte le sedie sono appoggiate a gambe al-l’aria sopra le tovaglie a scacchi rossi. La farmacia è avvolta nel-l’om bra, le porte serrate con giri scuri di catene. L’intera strada sta dormendo; è quasi mezzanotte. La libreria, invece, è bella sveglia.

Sente il negozio prima di vederlo: un parlottare diffuso, le note metalliche e ipnotiche di una canzone. Il rumore cresce non appe-na si spalanca la porta e una piccola folla si riversa in strada. Sono giovani, in un alone colorato di capelli lunghi e vestiti abbondanti. Il forestiero percepisce lo scatto di un accendino e scorge il guizzo di una fiammella. I ragazzi fanno girare qualcosa di mano in ma-no, esalando con un sospiro lunghi sbuffi di fumo che si mischia-no con la nebbia. Lui resta in disparte a osservarli. Si passano di nuovo quel qualcosa, per poi gettarlo in strada e tornare dentro.

Si avvicina. La parte anteriore del negozio è di vetro, da cima a fondo, lastre quadrate in una griglia di ferro, completamente ap-pannate. All’interno impazza una festa. Facce e mani, chiome scu-

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re, i contorni resi vaghi dalla vetrina offuscata. Ha già ascoltato la canzone altrove in città; deve essere un pezzo di successo.

Spinge la porta e viene travolto da una vampata di afrore suda-ticcio. Sopra di lui, una campanella tintinna per annunciare il suo arrivo, ma nessuno se ne accorge. Non riesce ad aprire del tutto la porta, che sbatacchia contro la schiena di qualcuno con addosso un ampio giubbotto costellato di toppe. Il forestiero si infila den-tro di sguincio, bofonchiando le sue timide scuse, ma quello con il giubbotto manco lo nota; è troppo preso dalla conversazione con una ragazza che regge una radio portatile, fonte della musica ipno-tica.

La libreria è piccina, alta e stretta. Il forestiero si guarda attorno dalla sua postazione sull’angolo, decidendo che ci sono meno clienti rispetto a City Lights, forse appena una ventina, solo che sono stipati in uno spazio infinitamente più piccolo.

La folla sparuta-ma-compressa è raccolta attorno a parecchi ta-volinetti bassi, ognuno sormontato da un cartellino scritto a ma-no: POESIA e FANTASCIENZA e RECENSITO SULL’WHOLE EARTH CATALOG. Alcuni stanno curiosando tra i libri: due omoni dalla barba cespugliosa frugano sul tavolino del CINEMA, argomentando e gesticolando. Altri non si fanno problemi ad aprirli e leggerli: una donna con un vestito verde è immobile, ip-notizzata da un fumetto dei Fantastici Quattro. Però, l’attenzione dei presenti è concentrata essenzialmente su se stessi: chiacchiere, cenni del capo, tentativi di rimorchio, capelli scostati dagli occhi e ripiegati dietro le orecchie. Tutti sfoggiano lunghe criniere e al-l’im prov vi so il forestiero si rende conto del suo taglio a spazzola.

Sguscia tra la folla, diretto alla cassa, cercando di non sfiorare nessuno. Il livello di igiene personale è molto variegato. Le voci rimbombano lungo il nudo pavimento di legno e lui intercetta scampoli di dialoghi:

« ... un viaggione che non ti dico... »

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« ... su a Marin... »« ... al concerto dei Led Zep... »« ... tipo, cibo per cani... »La libreria non finisce lì. Dopo i tavolini bassi, a dominare la

metà sul retro una serie di scaffali che si ergono alti e scompaiono nelle tenebre sovrastanti. Schiere di scale si allungano incerte nel buio. I ponderosi abitanti di quelle scansie sembrano decisamente più seri che i volumi sul davanti, e la massa festante pare lasciarli stare... anche se è possibile, azzarda il forestiero, che qualche atti-vità sospetta abbia luogo nei recessi più oscuri.

Si sente profondamente a disagio. Viene assalito dalla tentazio-ne di alzare i tacchi e svignarsela. Però... quella è una libreria. Po-trebbe contenere qualche indizio.

Raggiunge la cassa mentre il commesso sta litigando con un cliente. Non potrebbero assomigliarsi di meno: due decadi diffe-renti a confronto lungo una scrivania massiccia e pesante. Il clien-te è un magrolino dinoccolato con i capelli unticci raccolti in una coda di cavallo; il commesso è una quercia d’uomo con braccia muscolose che gli stirano le coste del maglione. Ha un paio di baf-fi curati e capelli neri lisciati all’indietro che gli lasciano scoperta la fronte. Più che un impiegato, pare un marinaio.

« Il bagno è riservato ai clienti », ribadisce il commesso.« Fratello, ho comperato un libro la scorsa settimana », protesta

l’altro.« Sul serio? Di sicuro ne hai letto uno, ti ho visto di persona, ma

in quanto ad acquistarlo... » L’impiegato tira fuori uno spesso vo-lume rilegato in pelle, sfogliandone con destrezza le pagine. « No, temo che qui non sia segnato niente... Come hai detto che ti chia-mi? »

« Coyote », risponde il cliente con un sorrisone accattivante.« Ma certo, Coyote. No, qui non ci sei. C’è un Figlio delle Stel-

le... un Frodo... ma nessun Coyote. »

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« Sì, Figlio delle Stelle! È il mio cognome! Dai, fratello. Mi scap-pa da morire. » Il tipo (Coyote... Figlio delle Stelle?) si mette a bal-lonzolare sui calcagni.

A denti stretti, il commesso fa comparire un passepartout con una lunga nappa grigia. « Sbrigati. » Coyote agguanta la chiave e si dilegua tra le scaffalature, seguito a ruota da altri due.

« Non metteteci più del dovuto! » l’impiegato urla dietro al trio. « Non... » Dopo un sospiro si volta di scatto verso il forestiero. « Be’? Che vuoi? »

« Ah. Salve. » Un sorriso. « Sto cercando un libro. »L’altro tace per un attimo, ricomponendosi. « Davvero? » La

mascella sembra allentarsi.« Sì. O meglio, un libro speciale. »« Marcus! » urla qualcuno. Il commesso alza lo sguardo. La

donna con la radio portatile sta sollevando un volume sopra la fol-la, indicandone la copertina: Nuda venne la straniera. « Mar-cus! Mi sbaglio o te lo leggi quando non hai nessuno attorno? »

L’impiegato aggrotta la fronte senza degnarla di una risposta, sbattendo il pugno sulla scrivania e bofonchiando tra sé e sé: « Non capisco perché tenga qui dentro simili porcherie... »

« Un libro speciale », insiste timidamente il forestiero.L’altro ritorna su di lui, la bocca a fessura: la pallida imitazione

di un sorriso. « Ma certo. Come si intitola? »Il forestiero risponde lentamente, scandendo bene le parole. « Il

Techne Tycheon. T-E-C-H... »« Sì, techne, d’accordo. E unito a tycheon... “l’arte del fato”, esat-

to? »« Precisamente! »« Mar-cus! » strilla di nuovo la donna.Il commesso la ignora del tutto. « Al di là di qualsiasi apparen-

za, questo è un luogo di ricerca ed erudizione », continua con un tono piatto recuperando un tomo rettangolare, più largo che lun-

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go. « Non ricordo il titolo, ma lasciami ricontrollare. » Ne sfoglia le pagine, rivelando la griglia di un libro mastro... una specie di cata-logo, forse. « Niente sotto la T... Come si chiama l’autore? »

Il forestiero scuote il capo. « È un volume antico. Ne conosco solo il titolo. Ma so che si trovava qui a San Francisco, nella libre-ria diretta da un certo... Be’, è una storia abbastanza complicata. »

L’impiegato strizza gli occhi, non in preda al sospetto ma a un forte interesse. Mette da parte il catalogo. « Racconta. »

« È... ah. » Il forestiero si gira, aspettandosi di trovarsi dietro una fila di clienti, ma non c’è nessuno. Torna a fissare l’altro. « Ci vorrà un po’. »

« La libreria resta aperta ventiquattr’ore su ventiquattro. » Un sorriso di traverso. « Il tempo non ci manca. »

« Dovrei cominciare dall’inizio. »« O dal minimo indispensabile. » Il commesso si allunga sullo

sgabello, incrociando le braccia. « Come ti chiami, amico? »« Oh. Sì. Naturalmente. Sono Ajax Penumbra. »

Ajax Penumbra!

Come ci si ritrova con un nome tipo Ajax Penumbra? Così: vieni concepito da Pablo e Maria Penumbra, che fuggono dalla Spagna pochi mesi prima dello scoppio di una sanguinosa guerra civile. Tuo padre si porta dietro un baule zeppo di libri; tua madre ha te in grembo.

Nasci in Inghilterra. Da Maria, un’insegnante di scuola, ricevi in eredità la risata contagiosa, il ghigno sornione. Da Pablo, un poeta perennemente squattrinato, l’altezza e il nome da eroe gre-co. Come indole, sembri più simile a Odysseus, il rivale di Ajax Telamonius, e naturalmente tuo padre ha valutato anche quel no-

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me, ma tua madre ha posto il suo veto. Un ragazzino battezzato Odysseus Penumbra, secondo la donna, non arriverebbe indenne alla prima media.

Passi i tuoi primi anni spostandoti di qua e di là: dall’Inghilter-ra al Canada all’America. Più precisamente a Galesburg, Illinois, dove Maria si aggiudica un impiego al liceo, arrivando poi a rico-prire la carica di preside. Pablo fonda un giornale letterario, Mi-graciones, che riesce a racimolare un totale di settantatré abbonati nel corso della tua intera fanciullezza.

I tuoi genitori sono molto stravaganti, nel senso migliore del termine. Non festeggiano i compleanni; mai, in vita tua, hai rice-vuto un dono il dieci di dicembre. Invece, ti vengono regalati libri il giorno della nascita dei loro autori. Il ventisette gennaio un pac-chetto ti aspetta ai piedi delle scale, confezionato con carta sbril-luccicante. Sul bigliettino: « Al mio caro figliolo, in occasione del novantatreesimo compleanno di Lewis Carroll ». Dentro, Attra-verso lo specchio e quel che Alice vi trovò.

Ajax Penumbra. Al minuscolo Galvanic College, ovvero l’Harvard dell’Illinois nordoccidentale, sul tesserino da studente il tuo nome scritto a macchina in maiuscolo e di fianco la tua fototessera: il ri-tratto di una creatura tutta collo, orecchie e denti. E il tuo sorriso-ne stralunato. Forse avresti dovuto trattenerti, sforzandoti di ap-parire più serio.

In piedi davanti a te e al resto delle matricole appena arrivate, il preside del Galvanic annuncia orgoglioso che per la prima volta i posti del dormitorio sono stati assegnati in base a un processo com-puterizzato.

Almeno all’inizio, il computer pare aver preso un abbaglio ma-dornale. Il tuo compagno di stanza, Claude Novak, viene da Chi-cago e ha la parlantina sciolta; tu sei un provinciale introverso. Lui è basso ed espansivo, tu alto e riservato. Lui fuma disinvolto, tu te

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ne resti in disparte. Claude sembra fuori posto in quel college per-so tra i campi, mentre tu sei a tuo perfetto agio in mezzo ai pallidi steli di granturco.

Però, mentre disfi le valigie, la logica del computer si fa eviden-te: entrambi avete stipato i bagagli quasi solo di libri, relegando in-dumenti indispensabili come pantaloni e scarpe negli spiragli tra i volumi. Quel primo giorno fatidico rimanete spalla contro spalla, le teste inclinate di lato, a passare in rassegna le vostre collezioni sulla scaffalatura pericolante del dormitorio. Il tuo contributo ha il suo punto di forza in Shakespeare, Dante, Omero, grazie all’in-fluenza di papà. Invece Claude ha portato solo romanzi di fanta-scienza. Sulle copertine, astronavi affusolate tirate a lucido, robot umanoidi che sprizzano scintille e bellezze marziane dalla pelle verde.

Passate l’intera notte a leggere.

Claude si è iscritto lì per il computer. Il Galvanic dispone del più potente elaboratore del Midwest, un regalo recente e abbastanza inusuale di un ricco ex allievo, considerando che i membri della facoltà più gli studenti non raggiungono le tremila unità. Un cal-colo di Claude, che dopo aver diviso i cicli del processore per la popolazione del campus, ha deciso che al Galvanic avrebbe potuto dedicarsi al computer quanto voleva.

Lui passa la maggior parte dei giorni, e parecchie notti, giù nel sottoscantinato della McDonald Hall, la mitica tana di quella mac-china pachidermica. Ti invita a fargli visita. Scendi due rampe di scale e ti intrufoli dentro la sala fresca e ombreggiata. La porta è te-nuta aperta e dall’interno proviene un gelo glaciale. Sulla targa di fianco è indicato B3 ma un cartello appiccicato sotto, scritto nella grafia confusa di Claude, ha ribattezzato quel posto LA FONDA-ZIONE.

Una volta dentro, ti trovi per la prima volta faccia a faccia con

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un computer. Non è l’aggeggio mastodontico che ti aspettavi, ma un gruppo di scatoloni con l’aspetto di ipermoderni elettrodome-stici da cucina, ricoperti da pannelli levigati che sprigionano ba-gliori rosso fuoco e argento vivo. Bobine di nastro magnetico lar-ghe come piatti da portata girano lente dietro partizioni di vetro. Tutto è contrassegnato dallo stesso logo massiccio: IBM.

Qualcosa, forse uno degli elettrodomestici, tiene la stanza a una temperatura molto, molto bassa. Claude è seduto a un tavolinetto in mezzo agli scatoloni; è infagottato in un passamontagna e un giaccone invernale.

« Ehi, amico! » ti grida, scoprendosi la testa. È una scena surrea-le, ma non più dell’idea che il tuo compagno di stanza se ne stia lì a usare un computer.

Non è un hobby da persone normali.Claude gira una sedia di plastica, accostandola al tavolo di fian-

co alla sua. « Sei arrivato appena in tempo. » Sta impilando un nu-trito mazzetto di schede perforate, cerose e giallastre, su cui spicca una dicitura in neretto: NON PIEGARE, BUCARE O TAGLIA-RE. Ti siedi, sfregandoti le braccia per riscaldarti.

Claude infila le schede in un piccolo contenitore, componendo con sicurezza una breve sequenza numerica su tasti cicciottelli. I cartoncini cominciano a sparire; il computer li inghiotte uno per uno, ronzando e schioccando.

« Che... che sta facendo per la precisione? » chiedi.« Equazioni di Navier-Stokes, soprattutto. Oh, scusa, tu inten-

devi... sì, certo. La macchina legge le schede, segue le istruzioni e mi fornisce le risposte... laggiù. » Indica una stampante caricata con un grosso rotolo di carta. Ha già sputato fuori parecchi metri di soluzioni, raccolte sull’impiantito di cemento.

« E che cosa... riveleranno? »« Mi sto occupando del tempo. È il tema del momento in cam-

po informatico... modelli climatici, conseguenze della pioggia ra-

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dioattiva, eccetera eccetera. E allooora, gli infilo dentro le tempe-rature stimate per oggi, la velocità del vento, eccetera eccetera... e poi gli metto a disposizione il mio modello predittivo. Qui entra-no in gioco le equazioni di Navier-Stokes... » Sta parlando a raffica, concitato. « ... E cooosì vengo a sapere se domani pioverà. » Pic-chietta le dita contro il tavolo: tap, tap tap tap. « A Mosca, per esempio. »

Ritorni parecchie altre volte nella stanza B3, sempre con il tuo giaccone imbottito. Il computer ti mette a disagio. Quando Claude ti invita a premere i tasti cicciottelli, preferisci declinare. Però ti guardi in giro e lo ascolti mentre parla (frettoloso, eccitato) dei problemi che un elaboratore ancora più potente sarà capace di ri-solvere.

« Proiezioni economiche », elenca lui. « Simulazioni del traffico. Partite a scacchi! »

Arrivi al Galvanic con l’intenzione di laurearti in letteratura ingle-se ma durante il primo semestre scopri che l’università offre un piano di studi più specializzato per allievi dagli interessi... partico-lari. I suoi corsi non sono elencati nel programma, almeno non nero su bianco. Vengono invece camuffati tra le proposte del di-partimento di anglistica: distinti da numeri primi, con denomina-zioni così poco attraenti (tipo Inglese 103, Alberi sintattici) che nessun studente sano di mente ci si iscriverebbe senza un ottimo motivo.

Il corso si tiene all’ultimo piano dell’enorme e grigia biblioteca del college, affollata di gargoyle, dove finestre a feritoia si affaccia-no sui campi di granturco senza lasciar penetrare troppa luce. Il tuo insegnante è un uomo tarchiato con la voce da rospo che si chiama Langston Armitage. Annuncia di essere a capo del diparti-mento di Letteratura Occulta. I tuoi compagni annuiscono impa-

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zienti, ma tu ti senti confuso. Ti sei iscritto perché ti piacciono davvero gli alberi sintattici.

Il primo giorno del tuo secondo semestre, passi in segreteria per cambiare indirizzo di studi.

Quella primavera, durante la prima sessione di Inglese 211, Sto-ria dell’Indice (in realtà Letteratura Occulta 211, Tomi pericolosi) Armitage spiega che la biblioteca del Galvanic contiene più testi unici, intraducibili e/o inspiegabili di qualsiasi altra raccolta sulla terra. Tempo della seconda sessione e ti spedisce giù a perlustrar-ne le pile. Ci sono libri di argento e osso. Scritti con sangue e sudo-re e lacrime, metaforicamente e letteralmente. Di piume; tempe-stati di giada; che tintinnano come campanelle quando li sfili dagli scaffali. O che brillano al buio.

Claude Novak si laurea in appena tre anni. Una fresca mattina estiva lo accompagni alla microscopica stazione ferroviaria del Galvanic, aiutandolo a trasportare il pesante bagaglio stipato di romanzi fantascientifici. È diretto in California per il corso di spe-cializzazione in scienze informatiche a Stanford: uno dei primi d’America. In attesa dell’arrivo del treno, pesca un libro dalla vali-gia e te lo porge. In copertina, una pallida galassia turbinosa. È il primo volume della Trilogia della Fondazione di Isaac Asimov; Claude te ne ha parlato spesso.

E tu te lo ricordi: « Scienziati che predicono il futuro? »« Psicostorici », sussurra lui. « Ma non si tratta di fantascienza,

amico mio. Non più. Sta per avverarsi. »Quando arriva il treno, gli stringi la mano per poi farti serio.

« Sono grato al processo computerizzato che ci ha appaiati », con-fessi al tuo ex compagno di stanza. « Spero riuscirai a scrivere al-goritmi che daranno esiti altrettanto felici. »

Claude scoppia a ridere. « Oh, an ch’io, an ch’io. Buona fortuna con la tua biblioteca. »

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Libri di argento e osso, eppure la cosa più strana del periodo al Galvanic è un ragazzo con un passamontagna, seduto in uno scan-tinato davanti a un computer.

Un anno dopo, prossimo alla laurea, Langston Armitage ti invita nella sua roccaforte all’ultimo piano della biblioteca. L’unica fine-stra a fessura è coperta da una striscia di carta da parati cachemire ma la luce filtra ugualmente, bagnando l’intero ufficio di tinte ver-dastre. Armitage compreso.

« Mi piacerebbe che ti unissi al personale della biblioteca », gra-cida.

Hai lavorato lì dentro per tre estati, infilando e sfilando volumi dagli scaffali, controllando e aggiornando gli schedari, e anche se ami quel posto, l’idea del tuo insegnante non ti sembra un gran passo in avanti. Ti si deve leggere in faccia, perché l’uomo si affret-ta ad aggiungere:

« No, ragazzo mio. Intendo il personale addetto alle acquisi-zioni ».

Quattro anni di Letteratura Occulta sono stati una pubblicità martellante degli addetti alle acquisizioni del Galvanic. Rappre-sentano la longa manus della biblioteca e la fonte della sua ricchez-za di titoli. Ogni tanto li adocchi ai piani superiori mentre discuto-no tra loro ammantati dall’ombra, bisbigliando in strane lingue e sfregandosi pensosi strane cicatrici.

Quell’estate, diventi Apprendista Addetto alle Acquisizioni, iniziando un corso di specializzazione... ma senza diploma. Vieni pagato per leggere i classici, e anche i libri che potrebbero esserlo, se li possedesse qualche altra biblioteca al di fuori di quella. E per imparare le lingue, aramaico e sanscrito e proto-cananeo, che for-se veniva parlato ad Atlantide.

Su a Galesburg, tua madre va in pensione e la banda municipa-le suona un concerto d’addio sul tuo vecchio prato davanti a casa.

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Tuo padre si ammala, passa un mese in ospedale, si ristabilisce, anche se la sua voce non sarà mai più quella di prima. Bassa, roca. Fonda un nuovo giornale letterario, Interrupciones.

Le cose non procedono alla velocità che forse avevi sperato. Passano anni prima che Langston Armitage ti giudichi pronto per il primo incarico. Quel giorno ti convoca in ufficio, ti promuove Vice Addetto alle Acquisizioni e ti affida un compito: un volume conosciuto come il Techne Tycheon.

Traduci lesto dal greco: « L’arte, o il mestiere, del fato ».« Molto bene. La sua è una lunga storia. Ecco qui. » Sfila una

cartellina stracolma dalla metà inferiore della pila sulla scrivania; parecchie altre scivolano via, sparpagliando il loro contenuto sul pavimento. L’uomo ci picchietta contro un dito. « Questo è il lavo-ro di un tuo ex collega, Jack Brindle. Ti accorgerai che la pista si fa sempre più esile, fino a scomparire intorno al 1657. »

« E Brindle? »« Morto a Macao. In circostanze poco chiare. Comunque: 1657.

Ripartirai da lì. »Scopri che il Tycheon (come lo chiamano familiarmente il paio

di persone ancora vive che danno peso alla sua esistenza) non ha goduto di una vasta tiratura, ma le poche copie in circolazione hanno lasciato un certo segno. A quanto pare si tratta di una rac-colta di profezie e il dossier di Brindle è ricco di bocconi allettanti. Nel 1511, un commerciante di Liverpool decanta le virtù del volu-me. Quasi un secolo dopo, nel 1601, un indovino londinese non può farne a meno per il proprio lavoro. Il suo aiutante si profonde nelle stesse lodi sul Tycheon, ma probabilmente si lascia sfuggire una profezia essenziale e viene assassinato nel 1657. La pista si fa rosso sangue, poi esile e alla fine scompare.

La tua missione ha inizio. Viaggi in treno a Urbana, Chicago, East Lansing e Ann Harbor. Nelle biblioteche universitarie e nelle li-

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brerie d’antiquariato raccogli frammenti, ti aggrappi a dettagli di poco conto e, col tempo, metti insieme una tua cartellina sul pun-to di scoppiare. Non ti è molto più utile di quella di Brindle. Spe-disci in lungo e in largo lettere zeppe di punti interrogativi, rice-vendo solo risposte rammaricate e dispiaciute.

Cominci a sospettare che il Tycheon sia semplicemente andato perduto. Lo riferisci a Langston Armitage e lui ti ricorda che la tua collega Carol Janssen ha da poco recuperato il Libro dei sogni degli Inca, vecchio di seicento anni. « Ragazzo mio, era fatto interamen-te di filo annodato », gracida, « e lo avevano srotolato per cucirsi dei maglioni. » Lo ripete per amore di enfasi. « Era... nei maglioni... degli abitanti di un villaggio. »

Non ti dai per vinto. Rintracci ricevute e scovi bollettini di cari-co. E poi, una svolta.

Nelle carte di Floyd Deckle, un chirurgo e bibliofilo newyorke-se, la lettera di un amico, il dottor Victor Potente, inviata da San Francisco e con la data del settembre 1861. Potente scrive:

Qui nessuna libreria supera la fantastica William Gray, che sfoggia in catalogo prime edizioni di Galeno e Vesalio, nonché un altro volume meno scientifico ma di pari interesse: una rac-colta di profezie! Non dubitare, Floyd, che ho spronato il com-messo a rivelarmene il contenuto, ma lui si è rifiutato, sostenen-do che uno speciale tirocinio è indispensabile per interpretarne gli infausti presagi. In cambio gli ho offerto la mia esperienza di chirurgo, sottolineandogli che ho imparato a riconoscere certi se-gni luttuosi, ma l’uomo, il signor Fang, si è limitato a scuotere il capo e a riporre in luogo sicuro il volume che recava il titolo di...

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L’arte del fato

Sgrani gli occhi. Trascrivi il nome. William Gray. Lo trascrivi due volte. Schizzi lungo gli scaffali, ti arrampichi su per le scale, ince-spichi e cadi sulle mani. All’ultimo piano tempesti di pugni la por-ta di Langston Armitage, ansimante e con i palmi dolenti, in attesa del suo gracidio di risposta: « Avanti! »

Armitage ti ascolta attento mentre gli riveli la tua scoperta: una nuova fonte, la più recente degli ultimi due secoli! Il nome del li-braio: William Gray di San Francisco! L’elemento mancante!

L’insegnante serra le labbra a fessura. « San Francisco », gracida. Tu annuisci. L’altro ti segue a ruota. Poi inarca un braccio tozzo in un gesto magniloquente e gorgheggia con tono baritonale: « Se state andaaando... a Saan Fraaan-cisco... infilatevi dei fiori tra i ca-peeelli ». Si interrompe di colpo. Lancia un’occhiata al tuo taglio a spazzola, indicandolo. « Mi sembra che là in cima non ci sia molto spazio, Ajax. »

Sospiri. Ti ricomponi. « Quindi andrò a ovest? »« Ragazzo mio! Dovresti essere già partito. »

Friedrich & Fang

Penumbra non spiffera tutta la storia al commesso, ma gli rivela più dello stretto necessario per descrivere l’oggetto della sua ricer-ca. L’altro lo ascolta senza perdersi una sillaba, aggrottando l’am-pia fronte, le sopracciglia abbassate nello sforzo di concentrarsi. Altri capelloni si avvicinano alla scrivania per chiedergli la chiave del bagno e lui gliela consegna in silenzio, senza protestare, quasi senza guardarli.

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Ajax termina il racconto con il nome del libraio di San Franci-sco. L’impiegato continua a tacere, assorto nei propri pensieri.

« Be’ », dice alla fine. « Mai sentito di nessun William Gray. »« Una risposta alla quale sono abituato. Il punto è che... »L’altro lo zittisce con un cenno della mano. « Aspetta. Lo chie-

deremo a Mo. »« Mo? »La porta d’ingresso si spalanca di schianto e la campanella in al-

to sbatacchia rumorosa. Penumbra si volta, notando un’ombra in-distinta precipitarsi attraverso la folla, il suo passaggio segnato da un coro di saluti.

« Ehi, Mo. »« Mo! »« Come ti butta, Mo? »« Mo, il mio uomo preferito! »Il mare di capelloni si divide a metà e ne esce, con la pelata tira-

ta a specchio e alto meno di uno e cinquanta, nient’altri che Mo-hammed Al-Asmari. Occhiali rotondi sul naso adunco. Cappotti-no attillato, nero e lucido, con un elegante colletto alla coreana. Si gira, rivolgendosi alla folla:

« Fuori! Tutti voi! » Con un rapido gesto, ordina ai presenti di sparire. « Tornatevene a casa! Filate a dormire! »

Nessuna reazione. La canzone non si ferma, il gruppo continua a ridere civettuolo senza darsi problemi. Quando il proprietario del negozio ritorna a fissare l’ampia scrivania, un sorriso gli attra-versa il volto, illuminandone l’intrico di rughe profonde. « Una bella calca stanotte, Corvina. »

Il commesso, Marcus Corvina, ha un’espressione accigliata. « Avranno acquistato sì e no due libri. »

« Oh, non importa », risponde Mo sventagliando le dita. « La nostra piccola azienda si basa sui rapporti umani. Basta aspettare il momento adatto. Osserva attentamente. »

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Si volta, alzando di nuovo la voce: « Ehi, tu! Felix, giusto? Sono tre notti di fila che stai leggendo quel romanzo: deciditi a compe-rarlo! » L’altro protesta con un’aria mite, facendogli capire di avere le tasche vuote. Mo rincara la dose: « Sciocchezze! Organizza una colletta. Non raccontarmi che non puoi cavare fuori tre dollari da questa banda di teppisti ».

Segue un vago coro di scherno. Mo si rigira, sempre sorridente. « E chi abbiamo qui? » Solleva lo sguardo verso Penumbra. « Un nuovo arrivato? »

« Un cliente più serio degli altri », replica compiaciuto Corvina. « Mohammed Al-Asmari, ti presento Ajax Penumbra. »

« Ajax! » ripete Mo, squadrandolo incuriosito. « I tuoi genitori dovevano nutrire altissime aspettative nei tuoi confronti. »

« I miei... be’, insomma. Papà è un poeta. » Gli tende la destra. « Piacere di conoscerla, signor Al-Asmari. »

« Per favore, te lo chiedo in ginocchio, chiamami Mo. » Stringe la mano di Penumbra tra le sue. « Benvenuto. Benvenuto alla Li-breria Sempre Aperta. Forse hai letto di noi su Rolling Stone... ? »

« Ah. No. Non... »« Sta cercando un volume molto speciale », si intromette Mar-

cus.« E molto vecchio », continua Ajax. « Le notizie più recenti in

materia mi hanno portato in questa città, sulle tracce di un nego-zio che non esiste più. Sono arrivato qui con la speranza che qual-che voce del passaggio del libro circolasse ancora tra i commer-cianti come voi. »

Mo trotterella dietro la scrivania, caccia via Corvina dallo sga-bello e ci si arrampica sopra per prendere il posto che gli spetta. « Noto una copia dell’Urlo nella tasca posteriore dei tuoi calzoni. » La indica, appollaiato sul suo trespolo. « Ne deduco che hai fatto visita al nostro concorrente più alla moda prima di avventurarti qui. Mi sbaglio o non sono riusciti ad aiutarti? No, naturalmente

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no. Là hanno la memoria corta. Ma dimmi, dimmi un po’: che co-sa stai cercando? »

Penumbra ripete la sua storia. A metà, un giovane con la bar-betta ispida si appropinqua alla scrivania con una copia sgualcita di Dune e una manciata di monetine alla rinfusa. Mo lo allontana con un gesto. « Oh, prendilo e basta, Felix. Usa i soldi per tagliarti i capelli. »

Penumbra finisce il racconto. Lui e Corvina fissano Mo speran-zosi, in attesa di una reazione.

« William Gray », scandisce lentamente l’uomo. « Però. Davve-ro curioso. »

Ajax si illumina. « Ne hai mai sentito parlare? »« È un nome che conosco. » Cinque semplici parole capaci di

scatenare un brivido lungo la spina dorsale di Penumbra. « E te ne spiegherò il motivo. » Si gira verso il suo impiegato. « Ascolta at-tentamente, Marcus. Potrà interessare anche te. »

Il negozio si è fatto più tranquillo; la donna con la radio porta-tile ha alzato i tacchi. Mo intreccia le dita, appoggiandoci sopra il mento. « Tanto per iniziare, ci hai quasi azzeccato. »

Ajax inarca un sopracciglio. « Quasi... in che senso, per l’esat-tezza? »

Mo tace. Tenendolo sulle spine. Alla fine sussurra: « William Gray non è un uomo, ma una nave. La William Gray ».

« Impossibile. Possiedo uno specifico riferimento a una libre-ria. » Una scossa del capo.

Il proprietario del negozio lo fissa da dietro la gobba delle noc-che. « Quanto sai del suolo che stai calpestando? »

« Intendi la città? Ammetto di non essere originario di qui, ma ho trovato i lavori di Herb Caen estremamente... »

L’uomo soffoca un risolino. « Seguitemi. Entrambi. » Salta giù dallo sgabello, affrettandosi alla porta e gridando all’appassionato di Dune con la barbetta: « Felix! Resta a sorvegliare il negozio! »

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Fuori, sottili volute di nebbia avanzano lungo la strada. Mo rab-brividisce, alzandosi e stringendosi il colletto. « Venitemi dietro. » Scende lesto dal marciapiede, seguendo il pendio verso la baia. La sua ombra piroetta sotto i lampioni. Penumbra e Corvina gli ob-bediscono e il gruppetto cammina in silenzio per parecchi isolati. La nebbia li avvolge: alle loro spalle, la libreria è solo un bagliore spettrale.

« Qui. » Mo si blocca di colpo. « Questa è San Francisco. »Ajax lo guarda perplesso.« E questa è la baia », continua, dopo aver spiccato un balzo in

avanti. « O lo era, prima che venisse riempita. Adesso mi trovo sul-la nuova San Francisco. Una discarica. »

Corvina si piega in due, intenzionato a cogliere ogni minima differenza. Il cemento è freddo e liscio.

« Sono soprattutto macerie del grande terremoto del 1906 e dell’incendio che ne seguì », spiega Mo. « Ma qui sotto c’è anche del l’al tro. Barche, per esempio. »

« Barche », gli fa eco Penumbra.« Nel 1849, decine di navi raggiungevano la città ogni giorno,

cariche di aspiranti milionari. Sbarcavano (anzi, alcuni si tuffavano direttamente nell’oceano per partire in vantaggio) e correvano ai giacimenti d’oro. Bene, gli equipaggi avevano sentito i vaneggia-menti di quei folli lungo l’intera traversata e non volevano essere messi da parte. Pure loro credevano che la ricchezza fosse lì ad aspettarli! Così, capitani inclusi, abbandonavano le imbarcazioni. »

Marcus aggrotta la fronte. « Le abbandonavano completa-mente? »

« Completamente e senza esitare. Erano convinti che avrebbero raccolto pepite d’oro come tante mele cadute dal ramo! A ogni modo, senza ciurma e senza comandante, le navi venivano vendu-te al miglior offerente. In genere non le spostavano ed erano tra-sformate in qualcos’altro... senza escludere davvero nulla. Aveva-

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no normali numeri civici! Diventavano magazzini. Pensioni. Bor-delli. Prigioni. »

Un’intuizione improvvisa sboccia sul volto di Penumbra. « Li-brerie. »

« Soltanto una. La William Gray. »« Ho preso un granchio pazzesco », si lamenta Ajax, colpendosi

la fronte con il palmo della mano, tormentandosi i capelli corti. « Stavo cercando qualcosa di completamente sbagliato. »

Mo studia la distesa d’acqua con un’espressione assorta. « Sì, la William Gray diventò la prima libreria in assoluto della città. Ven-ne fondata da due uomini, il signor Friedrich e il signor Fang. » Il secondo nome fa sobbalzare Marcus, che sembra pronto ad ag-giungere qualcosa, ma il principale continua imperterrito. « Erano amici per la pelle. Friedrich arrivava dalla Germania. Fang era na-to qui a San Francisco. Oh, sì, Corvina... » Fissa l’impiegato dritto negli occhi. « ... Fang ha avuto un socio, ma giusto per un po’. »

Penumbra guarda Corvina, disorientato. Anche l’altro pare confuso. Mo prosegue:

« Per dieci anni la loro, uhm, joint venture beccheggiò tranquil-la nella baia, un faro di cultura a rischiarare un mondo altrimenti depravato. Purtroppo col tempo Friedrich venne a perdere ogni... interesse. Allora il mercato immobiliare di San Francisco era spie-tato quanto ai giorni nostri e un’innovazione stava spopolando in città. Gruppi di speculatori si accaparravano lembi di oceano (pez-zettini di baia, capite?) e li riempivano con quello che capitava a tiro. Una vera magia alchemica! Proprietà costiere istantanee! E un metodo particolarmente sbrigativo, quasi divertente se non fosse stato così triste, consisteva nel... colare a picco una nave ».

« No! » piagnucola Ajax. « No, ti prego, non la William Gray! »« Un mattino... A immaginarlo mi si spezza il cuore. Un tradi-

mento senza pari, non solo nei confronti di Fang, ma di tutti quel-li che... ah! » Mo scuote il capo. Il lampione sopra di lui lo illumina

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impietoso, proiettando ombre sottili, trasformandogli le guance rugose in un garbuglio di ragnatele. « Un mattino, il signor Fang arrivò alla meravigliosa libreria galleggiante su Beale Street, giusto per scoprire che non galleggiava più. Friedrich l’aveva affondata. Solo la punta dell’albero maestro sporgeva dal l’ac qua. »

Penumbra lo fissa a bocca aperta. « E che cosa fece Fang? »« Be’, quello che avrebbe fatto qualsiasi libraio degno di questo

nome! » Una scintilla beffarda attraversa lo sguardo di Mo. « Si tuf-fò all’istante! »

« Ah! Stai scherzando? » Una grassa risata.« Dico sul serio! E continuò per parecchie volte, recuperando il

recuperabile. Alla fine fu possibile asciugare e ricopiare solo pochi volumi, che ancora oggi costituiscono il nucleo vitale del nostro catalogo », chiarisce l’uomo, lanciando di nuovo un’occhiata a Corvina.

« Non avevo idea che Fang fosse stato il primo », afferma il commesso.

« Oh, certo. Ha rimesso insieme il negozio dove ora ci troviamo noi. Dobbiamo prendercela con lui per le sue bizzarre dimensioni e ringraziarlo per la campanella sopra la porta. »

« È riuscito a portare in salvo il Techne Tycheon? » gli domanda frenetico Penumbra. Davanti agli occhi gli balena la sua missione. « Avete ancora un libro con quel titolo? »

« Cioè... “l’arte del fato”, esatto? »Un cenno del capo. A quanto pare, tutti masticano il greco an-

tico a San Francisco.Mo resta in silenzio per un attimo, impegnato a consultare il

proprio inventario mentale. E poi: « Mi dispiace, ma credo proprio di no ».

« Ma era a bordo della William Gray. Ne ho le prove. »« Allora è scomparso per sempre. Insieme alla nave. » Mo solle-

va le mani, come a racchiudere il marciapiede, la strada, le facciate

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dei negozi, l’intero affresco color pece che sembra scivolare giù verso la baia. « E adesso ci hanno costruito sopra una grande me-tropoli. »

Psicostorico

Ajax Penumbra si aggira sconsolato per la città. Si ripete che è già qualcosa avere scoperto il destino della William Gray e del volume che andava cercando. Però si tratta comunque di un fallimento. Il suo primo incarico come Vice Addetto alle Acquisizioni si è risol-to in un nulla di fatto.

Carol Janssen ha recuperato il Libro dei sogni in uno sperduto villaggio peruviano. Un altro collega, Julian Lemire, ha ripescato il diario di Nabucodonosor II da un vulcano in piena attività. Langs-ton Armitage in persona ha viaggiato due volte in Antartide. Pe-nombra è arrivato così vicino al suo traguardo, che però resta fuo-ri portata. A sbarrargli la strada, un’intera città.

Decide di dedicarsi a un altro compito, come ultimo tentativo prima della partenza. In biblioteca, dentro lo spesso elenco telefo-nico di Palo Alto, scova NOVAK, CLAUDE CASIMIR. Il suo vec-chio compagno di stanza non si è mai allontanato da Stanford.

Il trenino dei pendolari lo porta scoppiettante attraverso un ghirigoro di città: San Mateo, Hillsdale, San Carlos, Redwood Ci-ty, Menlo Park e, finalmente, Palo Alto.

Percorrendo in lungo e in largo l’intera penisola, Ajax è giunto alla conclusione che San Francisco non fa davvero parte della Ca-lifornia. Quella città è incolore e battuta dal vento; Palo Alto è ver-de, senza folate improvvise, con il profumo di eucalipto denso nel-l’aria. Il cielo è azzurro perla, non grigio platino. Alza la faccia ver-

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so il sole cocente, chiedendosi: perché ho aspettato così tanto per venire a trovare il mio vecchio amico?

Claude Novak abita in una villetta intonacata con un tetto di te-gole rosse, il prato marrone e rinsecchito sotto un albero gigante-sco che sovrasta la casa. Una sequoia, si dice Penumbra. Ebbene sì, Claude vive all’ombra di una pianta di sequoia.

Dentro non ci sono mobili. Tutto è appoggiato sopra il tappeto verde lanuginoso steso sul pavimento. Risme di carta millimetrata sono impilate in piccole torri; penne e matite sono infilate dentro tazzone da caffè o spuntano disordinate dal tappeto. Non manca-no cumuli di libri dai titoli minacciosi: Automi a stati finiti, Alge-bra lineare moderna, Inversioni e spazi di Hilbert. Anche l’altra bi-blioteca di Claude è cresciuta. Disposta su una lunga fila, forma una specie di muretto intorno alla cucina di piastrelle marroni. Sui dorsi logori dei tascabili, i nomi degli autori in lettere maiuscole e compatte: ASIMOV BRADBURY CLARKE DEL REY... Un gatto dal folto pelo grigio, acquattato dietro i romanzi di fantascienza, miagola rauco all’intruso.

« Mettiti comodo », dice Claude accucciandosi a terra, dove ci sono anche un cartone della pizza, un San Jose Mercury News, una sola pianta avvizzita e, nel centro della stanza al posto del tavolo da pranzo, tra due mucchi traballanti di libri e raccoglitori...

« Claude, quello è un computer? »Lui annuisce. « L’ho costruito con le mie mani. » Se la macchina

del Galvanic era stilosa ed elegante, quella è grezza e pratica: una scatola di compensato dal vago aspetto di un go-kart artigianale. È anche molto più piccola, delle dimensioni di una valigia, non di un gigantesco elettrodomestico da cucina. Ha il coperchio solleva-to e le sue viscere fanno capolino all’esterno: lunghe schede tem-pestate di componenti elettronici che scintillano come minuscole gemme e conchiglie.

« Per farti capire la differenza, è circa un quarto di quel vecchio

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IBM, ma con il doppio della potenza », spiega l’ex compagno di stanza.

Il computer è acceso: le luci palpitano e saettano lungo il pan-nello anteriore. Ci sono una tastiera e un monitor squadrato a fo-sfori verdi dai caratteri confusi. Penumbra lo fissa, ipnotizzato. Claude se l’è fabbricato da solo.

« Come stai? » chiede l’amico. « Insomma, come ti butta? »Penumbra si accomoda sul pavimento e gli racconta tutto. Il la-

voro in biblioteca, il Techne Tycheon, l’odissea a San Francisco, la William Gray.

« Fantastico », risponde l’altro. « Ti si addice. Hai trovato la tua vocazione. Sigaretta? »

Ajax fa cenno di no e osserva Claude accendersi la sua.« Una nave sepolta sotto la città. Che storia. » Esala lentamente

il fumo e scrolla la sigaretta nel posacenere con la scritta STAR TREK su un lato.

« Un epilogo infelice », ammette Penumbra. « Ma pur sempre un epilogo. Meglio sapere la verità che... »

« Aspetta un attimo », lo interrompe Claude al l’im prov vi so, pic-chiettando un dito contro il posacenere. Tap, tap tap tap. « BART. Sì. Mi sono occupato delle proiezioni. Utenza, tasso di utilizzo re-gionale, ipotesi di percorso, eccetera eccetera. » Si drizza in piedi per poi curvarsi a frugare tra le scartoffie. Cartelline scivolano sul tappeto come tante placche tettoniche. Il gatto gnaula spaventato. « È qui da qualche parte... mappa del sistema, orari, eccetera ec-cetera... a-ha! » Solleva trionfante un grande foglio ripiegato. « BART! »

« Chi è... Bart? »« BART, amico. B-A-R-T, Bay Area Rapid Transit. Il sistema di

trasporto pubblico su rotaia. Lo stanno costruendo ora. Te ne sa-rai accorto... San Francisco è semidistrutta. »

« Ma sicuro. BART. »

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« Ora, guarda qui. » Claude stende il foglio, mostrando una ri-costruzione geometrica della Bay Area: la lunga penisola, la protu-beranza squadrata della città e, sul lato opposto, la curva merlata di Oakland e Berkeley. Il disegno è in semplice bianco e nero, ma il territorio è attraversato da fasci di linee colorate: rosse, gialle, blu e verdi. L’amico indica il punto in cui tagliano in due San Francisco. « Adesso stanno scavando qui. In questo preciso mo-mento. »

« E tu te ne sei occupato? Hai partecipato al progetto? »« Come ti ho detto, proiezioni dell’utenza. Varie stime ed ipote-

si. Prezzi alti e bassi del carburante, una guerra termonucleare, ec-cetera eccetera. »

« Alla fine sei diventato uno psicostorico. » Un sorriso raggiante.« Ah! Hai letto il primo volume della Trilogia della Fondazione.

Se solo venisse apprezzato anche dai miei colleghi... Al diparti-mento non si contano molti fan di Asimov. Comunque, il punto è che mi sono giunte all’orecchio parecchie storie sugli scavi. Stanno trovando di tutto. Vecchi bar clandestini sotterranei... cantine di cui nessuno era a conoscenza... »

Penumbra sgrana gli occhi. « E navi? »« Forse sì, forse no. Posso solo dirti che questa galleria passa

esattamente attraverso un deposito di macerie. » Indica un intrico arcobaleno contrassegnato con il nome di EMBARCADERO. « Lì devono procedere lentamente e con estrema circospezione. »

Ajax ha le rotelle che gli girano a mille. « Come stabilire se il re-litto della William Gray si trova sul loro percorso? »

« Non è il mio campo. Sono in grado di prevedere che duecen-tocinquantottomila utenti useranno questo trabiccolo il primo gennaio del 1975. Purtroppo i miei modelli non mi suggeriscono nulla su eventuali imbarcazioni colate a picco. » Un lungo tiro di sigaretta. « Credevo che i pezzi da museo fossero la tua specialità. »

Penumbra ripensa alla loro libreria traballante: i suoi classici su

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un ripiano, i romanzi fantascientifici dell’amico sul l’al tro. Ecco un’immagine degna della copertina di un tascabile di Claude: il re-litto spettrale di una nave che salpa dalle viscere di una metropoli avveniristica... « Hai ragione. Posso cavarmela da solo », conclude con un sorriso.

La biblioteca pubblica di San Francisco è una fortezza di marmo chiaro davanti al municipio, in fondo a un lugubre vialetto fian-cheggiato da palme. Dentro, ai lati di un immenso scalone centra-le, affreschi dai colori tenui di plaghe oceaniche, con batuffoli di nuvole che fluttuano in alto. Secondo Ajax, l’effetto complessivo è alquanto deprimente.

È già stato lì, andandosene di pessimo umore dopo un giorno intero di ricerche infruttuose. Tempo sprecato a consultare certifi-cati di nascita, documenti di vendita, atti giudiziari: le fonti da controllare quando sei a caccia di qualcuno con un’attività im-prenditoriale. Quel mattino, invece, sta cercando una nave con un numero civico.

Punta dritto alla sala delle mappe. È angusta e soffocante, do-minata da alti classificatori marroni dai larghi cassetti piatti. La bi-bliotecaria indossa un abito con una fantasia floreale, curva a leg-gere il Lamento di Portnoy.

« Ho bisogno di visionare le cartine di San Francisco realizzate tra il 1849 e il 1861 », dichiara Penumbra.

La donna alza lo sguardo, sorpresa. « Tutte? »Sì, tutte.Non ha ancora comperato il biglietto per tornare a casa.

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Il dono

Ajax piomba trafelato in libreria prima di mezzogiorno: la folla notturna si radunerà più tardi. Un paio di turisti curiosano tra le proposte del tavolo del WHOLE EARTH CATALOG, confabu-lando in tedesco e indicando eccitati le alte scaffalature sul fondo.

Penumbra si appoggia con i palmi all’ampia scrivania. Ha il fia-to corto, le gote paonazze, la camicia di sghimbescio. È arrivato di corsa dalla biblioteca. Marcus Corvina l’accoglie inarcando un so-pracciglio e accennando un ghigno. « Bentornato. »

« Io... fiuuu. Oh, santo cielo. » Tira un sospirone. « Io ho una mappa! »

Sfoggia il suo tesoro. Sul foglio, una città con due coste. La pri-ma, quella attuale, è chiara e uniforme; la seconda, più antica, è una confusa linea tratteggiata che penetra fino al centro della città, sommergendo interi quartieri. Di fianco, una nitida spruzzata di numeri, e in un angolo una grande tabella che abbina le cifre ai nomi: Cadmus, Canonicus, Euphemia... la Martha Watson, la Tho-mas Bennett, la Philip Hone... e poi, eccola lì. All’angolo di Market Street riposa in pace la numero 43, la William Gray, ormeggiata accanto alla vecchia costa.

Corvina sposta lo sguardo dalla mappa a Penumbra, da Pe-numbra alla mappa, ancora e ancora. « L’hai trovata tu? »

« È stato semplice quando ho capito... fiuuu... dove cercare. E perché farlo. » Ajax sposta un dito giù da Market Street. « Questa è la direzione della galleria del BART, il sistema di trasporto pubbli-co. Stanno scavando oltre la barca, Marcus. »

L’altro annuisce di scatto. « Porta la cartina da Mo. »Sul retro del negozio si stagliano tre porte. La prima è socchiusa

e all’interno Ajax sbircia una fatiscente saletta per il personale: un tavolo, due sedie e un contenitore per il pranzo. La seconda è chiu-sa a chiave, con sopra due minute lettere d’ottone (WC) e un car-

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tello scarabocchiato in aguzzi caratteri maiuscoli: RISERVATO AI SOLI CLIENTI PAGANTI. Anche la terza è contrassegnata da due lettere d’ottone, che però recitano MO.

Dietro la porta aperta, una scala sale ripida nell’oscurità. Pe-numbra si affaccia dentro, urlando: « C’è nessuno? » Inizia ad ar-rampicarsi. Da sopra si spande un odore speziato che gli solletica il naso.

Sbuca in una stanza enorme e caotica, le pareti ricoperte da arazzi riccamente intessuti, alcuni con fili metallici che brillano sotto la fioca luce dorata. Raffigurano ballerini con le scarpe a punta, musicisti che stringono corni ritorti, scrivani armati di penne d’oca alte quanto loro. Se esistono finestre, sono coperte da-gli arazzi. I passi di Penumbra risuonano lievi: il tessuto ai muri attutisce i rumori, li assorbe in un silenzio inquietante. Sembra un luogo perso nel tempo e nello spazio.

« Al-Asmari? » azzarda lui timidamente.Al centro della stanza si erge una scrivania gigantesca, identica

a quella del piano sottostante. C’è appoggiata una lampada, il ba-gliore concentrato in un cono sopra il quale fluttua un volto, col-pito dal riflesso accecante del legno. « Penumbra. » È Mo a parlare, ma lì sembra un’altra persona. Le lenti ovali brillano di una luce lunare; dietro, gli occhi sono due pozze buie. « Per favore, quante volte te lo devo ripetere? Chiamami Mo. »

« Ma tu... »« Per favore. »« D’accordo. Mo. » Si sente strano a pronunciarlo. « Sono appe-

na tornato dalla biblioteca pubblica... ero impegnato in un paio di ricerche e... be’, ho trovato una mappa. »

« Le mappe sono un’ottima cosa. Mi piacciono. Posso offrirti del caffè? È la mia miscela speciale. » Ecco il motivo del profumo speziato: cardamomo. Un pennacchio di vapore si solleva da una

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tazza bianca posata sullo scrittoio, attorcigliandosi intorno alla lampada e sprigionando un alone ambrato.

« Sì, grazie. »Mo versa la bevanda aromatica da una cuccuma finemente in-

tarsiata, avvolta in un panno viola: un thermos di gran classe, sen-za dubbio. Sposta una seconda tazza tintinnante sotto il fascio di luce. « Siediti. Bevi. Gusta. »

Ajax gli obbedisce. Il caffè è molto caldo e spesso; sembra quasi asfaltargli la gola. Si accorge che Mo stava consultando un tomo dal l’a spet to austero, sicuramente arrivato dalle alte scaffalature sul fondo del negozio. Le pagine sono affollate di ideogrammi cinesi.

L’uomo si accorge di essere spiato. « Ah! Qui non siamo alla bi-blioteca pubblica. Questi libri non sono fatti per essere sbirciati di-strattamente. » Chiude di colpo il volume. « Anche se forse dovrei confessarti di essermi impegnato in qualche ricerca privata. » Lo solleva, mostrandone la costola a Penumbra. FANG, scritto in let-tere bianche ben distanziate.

« Fang come il libraio? »« Sì. Il primo dei miei predecessori. Una qualifica che spettereb-

be anche al signor Friedrich, se non avesse deciso di affondare la propria nave e di costringere il socio a procurarsi una nuova di-mora. Fang in persona ha scovato questo edificio... te l’ho già det-to? E Friedrich è stato... cancellato dai nostri registri. »

« E che cosa racconta là dentro? » domanda Penumbra indican-do il volume.

Mo si sfila gli occhiali, stropicciandosi le palpebre. « Già, che cosa? Alla pari di molti suoi... colleghi... il signor Fang si è premu-rato di proteggere le sue rimembranze da sguardi indiscreti. Que-ste pagine sono scritte in codice. »

« In codice! »« Niente di complicato, ma certo che criptare un testo in cine-

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se... ah! » L’uomo inforca di nuovo gli occhiali, fissando Ajax in si-lenzio. E poi: « Questa non è una normale libreria ».

« Sicuramente no. Sembra più un ostello della gioventù. »« Loro non c’entrano. » Mo scuote il capo, le lenti tipo due ri-

flettori. « Se ne andranno così come sono venuti. Non ne sei al cor-rente? L’Estate dell’Amore sta volgendo al termine. »

« Non lo sapevo. Però, be’, non è il motivo che mi ha spinto a San Francisco. »

« Ma naturalmente, naturalmente. Droga, musica, l’alba di una nuova era... e tu ti sei scapicollato fin qui per un vecchio libro. »

Penumbra sobbalza, punto sul vivo. Però vede che l’altro sta sorridendo: non con un’espressione di scherno, ma di genuino ca-lore umano.

« Pure Corvina è arrivato in città sulle tracce di un volume », prosegue Mo. « Partendo da... San Diego, se non sbaglio. Non cre-do intendesse fermarsi, ma gli ho offerto un impiego da commesso e ora se ne sta seduto là sotto. »

« Siete stati entrambi molto disponibili. »« Marcus si è lasciato coinvolgere dalla tua missione. Mi ha det-

to che avremmo dovuto aiutarti in ogni modo. Gli ho risposto che era una grande sciocchezza. »

Di nuovo punto sul vivo. « Mi dispiace che la pensi così, Al-Asmari. »

In quel caso Mo accetta la dimostrazione di rispetto senza la-mentarsi. « Ho già conosciuto gente come te. Con il tuo stesso dono. »

« Oh, se me la cavo nelle ricerche, è unicamente... »« No, no. Chiunque è in grado di rovistare negli archivi. Parlo

della disponibilità ad accarezzare le idee più assurde. Si tratta di una dote di enorme valore nel mio... ambiente. »

Penumbra non apre bocca.« Non mi dispiacerebbe esserne provvisto ma, ahimè, posso

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giusto apprezzarla. » Mo sorseggia il suo caffè. « O posso sforzarmi a fare di meglio, seguendo l’invito di Corvina e trovando un modo per aiutarti. Raccontami della mappa. »

Ajax gli mostra la sua scoperta. Sotto la luce della lampada, in-dica il numero 43, la William Gray e la galleria del BART che ci passa attraverso.

L’altro aggrotta la fronte. « Qui devo ribadire i miei limiti e confessarti la verità: è estremamente inverosimile che laggiù ri-manga ancora qualcosa. »

« Hai ragione, ma la lettera da San Francisco faceva riferimento a “un luogo sicuro”. È possibile, anche se improbabile, che il Ty-cheon fosse protetto in qualche maniera. »

« Ecco il tuo dono! Impazzirei di gioia se le tue supposizioni si rivelassero esatte... e se magari riuscissimo a recuperare altri teso-ri. Lo vedi? È contagioso. » Intreccia le dita appoggiandoci sopra il mento. « Come posso esserti utile? »

« Oh, non... Insomma, so dove si trova la nave e che grazie agli scavi esiste l’eventualità di una via d’accesso. Però, a dire il vero... » Si lascia scappare un solo, fragoroso sghignazzo, ridendo della sua stessa stupidità. « ... Non ho idea di come usare queste informa-zioni! »

Un ghigno attraversa il viso di Mo. « Io sì, Penumbra. Altro caf-fè? Bene. Sì, ne ho perfettamente idea. »

Riservato ai soli membri

Mohammed Al-Asmari dispone di una gang al gran completo. O almeno così sembra dalle sue parole mentre discute con Penum-bra e Corvina al pianterreno del negozio, attorno all’imponente scrivania.

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« Una libreria non si giudica dagli scontrini emessi, ma dal nu-mero degli amici. Per questo noi ci consideriamo ricchissimi », di-chiara Mo. Ajax vede Marcus serrare i denti e ha l’impressione che il commesso preferirebbe qualche banconota in più dentro la cassa.

« Abitano dappertutto », prosegue. « In ogni quartiere della cit-tà, dai bassifondi alle zone signorili. Di sicuro qualcuno conoscerà qualcun’altro... che a sua volta conosce qualcuno... connesso agli scavi. » Spartisce i compiti. « Io mi occuperò delle telefonate. Cor-vina, a te spetterà il lavoro di gambe. In tua assenza, qualcuno do-vrà sostituirti. » Si gira sullo sgabello, osservando Penumbra.

« Io? »« Partecipiamo tutti a questa missione o no? »« Immagino di sì. Baderò al negozio. »Marcus guarda rabbuiato il principale. « Gli spiegherai le re-

gole? »« Ovviamente. » Mo si drizza sul trespolo. « Penumbra, ti prego

di comportarti come se fossi a casa tua. Ricorri a qualsiasi misura per evitare che il negozio venga saccheggiato, ridotto in cenere o perquisito dalla polizia. Se ci riesci, vendi qualche libro. Ma non ti è permesso sfogliare, leggere o esaminare in altro modo quelli su-gli scaffali. »

Ajax lancia un’occhiata alle scansie sul retro. « Non posso nem-meno sfiorarli? »

« Sì, se un membro ti chiederà di recuperargliene uno. »« Un membro. Ho capito. E come ci si associa? »Mo si sistema gli occhiali. « Esistono specifiche tappe. Prima di

diventare un membro, bisogna essere un cliente. E poi... ah, un momento. » Finge di frugarsi nella memoria: « Per caso hai già comperato uno dei nostri volumi? »

Penumbra scuote il capo e gli sorride.Mo lo imita all’istante. « Perché non ti dai un’occhiata intorno?

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Ti consiglio il tavolo dedicato alla poesia. Mai letto Brautigan? Oh, devi, devi farlo. »

Quella notte Ajax sostituisce Marcus, cercando di governare sul caos della Libreria Sempre Aperta. Teme che i capelloni lo riter-ranno ancora più formale di Corvina, ma invece lo accettano co-me una curiosa novità e, uno per uno, raggiungono il bancone per una chiacchiera. Coyote gli chiede una mano per trovare Rosema-ry’s Baby, spingendosi addirittura a comperarlo. La donna con la radio portatile gli domanda di Marcus e poi gli spiffera che gli omoni con la barba cespugliosa attorno al tavolo del CINEMA, George e Francis, sono due registi della zona. Felix gli consegna la copia ormai assurdamente sgualcita di Dune, chiedendogli di rice-vere in cambio Il mondo sommerso. Penumbra non è certo che Mo gestisca così gli affari, ma risponde lo stesso di sì.

Più tardi, quando la ressa è al culmine, una donna dagli occhi scuri lo guarda furtiva: una, due volte. Poi attraversa il negozio, uno sbuffo di fumo a seguirla, quasi uscisse da una piccola loco-motiva. Non appena gli si avvicina, Ajax si accorge che tiene tra le dita un sottile spinello. Glielo porge.

« Ne vuoi un po’, tigrotto? »« Ah... no. In effetti, non credo che dovrebbe... Qui è pieno di li-

bri. »« Oh, ma non sono tipa da bruciarli. »« Neppure per caso? »« Il caso non esiste, tigrotto. » Una profonda boccata. « Sei nuo-

vo qui dentro, vero? »« Nuovo? Ah, no. A dirla tutta, non sono nemmeno qui. O non

dovrei esserci. » Ovvero, non ci lavoro, sono solo un sostituto, ma la frase gli esce fuori strana e...

« Che sballo », risponde la donna, annuendo. « Forse non ci so-

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no nean ch’io. Forse non dovremmo essere qui... entrambi. Hai colto il senso? »

« Credo di sì, ma... »« Io e i miei amici stiamo per andare a Haight-Ashbury. Perché

non teli via con noi? »« Eh. Non posso. Sono obbligato a restare al mio posto. Magari

la prossima volta. »La donna gli lancia un sorriso di pura commiserazione. « Tira

avanti così, allora. » Un altro ricciolo di fumo si solleva nell’aria mentre ritorna tra la folla. Poco dopo, raggiungendo la porta, gli indirizza un’ultima occhiata, ma Penumbra abbassa lo sguardo.

La luce chiara e brillante del sole penetra dalla vetrata, scintillando sul nudo pavimento di legno. La Liberia Sempre Aperta di Al-Asmari è curiosamente deserta. Sono le dodici in punto e i capel-loni devono essere al parco, spaparanzati sull’erba sotto lo strano bagliore della stella del giorno. L’interno è bollente e soffocante, non attrezzato per quei livelli di stress termodinamico; Penumbra è riuscito a bloccare la chiusura della porta con una pila di Matta-toio n. 5.

Sta di nuovo sorvegliando il negozio, in attesa del ritorno di Corvina. Il commesso ha scovato un membro con un cognato che cura la dichiarazione dei redditi di una compagnia edile che gesti-sce un cantiere del BART. Si sta arruffianando il commercialista con vari giri di birre all’House of Shields.

Ajax è a metà dell’Acid test al rinfresko elettriko; pagina dopo pagina, gli sembra di capire meglio la folla notturna. I Pranksters si sono appena imbattuti in gruppo di Hells Angels quando sente un leggero schiarirsi di gola. Solleva di scatto la testa, sorpreso. Davanti a lui, distante qualche metro dal banco, una giovane don-na in pantaloni verdi di velluto a coste.

« Posso... » Il romanzo viene accantonato. « Posso aiutarla? »

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La sconosciuta sembra studiarlo. Penumbra non è certo da quanto sia lì. Stringe al petto un enorme volume rilegato di nero.

« Sei nuovo di qui », sussurra lei alla fine.« A dirla tutta, non sono nemmeno... oh. » Getta la spugna. « Sì.

In un certo senso sono nuovo. »« Posso tornare dopo. »« No, no, la prego. »La donna avanza veloce di un paio di passi, molla il libro sulla

scrivania con un tonfo sordo, per poi indietreggiare. « L’ho finito. »Ajax lo solleva, osservandone il dorso. Viene dalle alte scaffala-

ture sul retro.« Certo. Bene. E... com’era? »La sconosciuta tace per un attimo, con l’aria di voler lasciare

subito il negozio, ma poi il suo atteggiamento glaciale pare incri-narsi, quasi non stesse più in sé dall’eccitazione, e sputa fuori un fiotto di parole. « Piuttosto interessante. Meno complicato di quanto pensassi, almeno dopo i nostri discorsi. Miei e di Mo, ov-viamente. Si trattava di un semplice cifrario a sostituzione omofo-nica. » Una pausa. « Forse non avrei dovuto neanche dirtelo. »

Penumbra non ha la minima idea di che cosa stia blaterando. O come dovrebbe reagire. Un silenzio imbarazzante cala sui due.

« Comunque, il prossimo della sequenza è... » riprende la don-na. « Un momento. » Si fruga in tasca, sfilandone un foglietto ac-cartocciato. Su entrambi i lati, lettere cancellate e riscritte, colpi di gomma riempiti frettolosamente come in un folle gioco dell’im-piccato. Lo legge su e giù, da una parte al l’al tra, mimando le paro-le con la bocca. Poi ripiega il pezzo di carta, se lo rificca in tasca e dichiara: « Kingslake ».

« Kingslake », ripete Ajax. Trova il libro mastro bislungo che Corvina ha consultato in occasione della sua prima visita: il cata-logo. Le voci sono riportate a mano, molte annotate, alcune con una riga tirata sopra. KAEL, KANE (VEDI ANCHE: CAIN), KE-

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ANE, KIM, KING e alla fine KINGSLAKE. Il catalogo indica delle coordinate.

« Tre... ventitré », recita Penumbra. « Tre ventitré. Mi aspetti qui, per favore. »

Indietreggia verso gli scaffali, contrassegnati da targhette d’ot-tone posizionate in basso, più o meno all’altezza di Al-Asmari. Li segue giù fino al III e sistema la scala a rotelle, trafficando con il perno di bloccaggio sul fondo.

Poi si arrampica, scoprendo che il ripiano XXIII è lontanissimo da terra. Alla biblioteca del Galvanic non esistono scale; lì hanno l’accortezza di tenere i volumi su piani separati. Penumbra si ag-grappa saldamente agli scalini, muovendosi con lentezza e circo-spezione, superando la scansia V, la X, la XV e la XX.

È talmente in alto da scorgere il soffitto. Può finalmente confer-mare che ne esiste uno, e non solo un’infinità di scaffali immersi nelle tenebre. Piega indietro la testa per osservarlo meglio. La cima è velata da un’immagine che ricorda un affresco rinascimentale. Ricostruisce la scena pezzo dopo pezzo: un gruppo di scalatori av-volti in mantelli si inerpicano per un ripido sentiero roccioso. So-no sovrastati da nubi scure e da una folgore che attraversa il dipin-to come una crepa. Spalancano gli occhi, digrignano i denti, ma allungano le braccia e si tengono per mano. Aiutandosi a vicenda.

Abbassa lo sguardo, avvistando il XXIII e la sua preda: spessa come un dizionario, con KINGSLAKE impresso sul dorso. Cir-conda la scala con un braccio, poi apre l’altra mano e si sforza di agguantare il libro, allungando le dita nel tentativo di raggiunger-lo, brancolando nel vuoto, toccando la costola una, due volte, in-clinandola in avanti, finché il volume non comincia a scivolare per effetto della gravità, e lui sa che deve afferrarlo al volo, solo che im-provvisamente si rende conto della sua mole e teme di esserne so-praffatto, di esserne trascinato...

Il libro cade.

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Ha il tempo di rendersi conto della propria sbadataggine, e di valutare come avrebbe potuto affrontare quella sfida, mentre guar-da il volume piombare lungo le ventidue scansie successive, rote-ando e sbatacchiando appena... fino ad atterrare tra le braccia spa-lancate di Marcus Corvina.

Giù in basso, un’espressione terrorizzata sta nascendo sul volto della donna. Forse si ritiene anche lei responsabile dell’accaduto. Accetta il tomo che le viene presentato da Marcus, sussurra un fle-bile ringraziamento e schizza fuori dalla porta. Il commesso spa-lanca il grande volume in pelle appoggiato alla scrivania, iniziando a scribacchiarci sopra.

Penumbra gli si avvicina cauto. « Mi dispiace », azzarda. « Avrei dovuto... »

L’altro solleva lo sguardo. Sta sorridendo sul serio, per la secon-da volta da quando Ajax lo conosce. « Ho lasciato cadere tre libri, senza farne parola con Mo. Per quanto mi riguarda... non ho visto niente. »

Penumbra annuisce. « Grazie. »Marcus finisce di scrivere e chiude il volume rilegato in pelle,

per poi picchiettarci sopra un dito con aria compassata. « Quelli come Evelyn Erdos sono i veri clienti del negozio. »

« I veri clienti. »« Esatto. I veri lettori. » Il sorriso è svanito. « Se fosse per me,

questo posto dovrebbe essere riservato ai soli membri. Di certo non sprecherei altro tempo con la gente comune. » Quasi lo sputa fuori con disprezzo: gente comune.

Ajax tace, riflettendoci sopra. E poi: « Se il negozio non fosse aperto al pubblico, adesso non mi troverei qui ».

Corvina si fa accigliato, annuendo. Ma sembra restare della sua idea.

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I corteggiamenti da parte di Marcus sono andati a buon fine. Il cliente del cognato del membro, Frankie Lapin, dirige uno dei cantieri del BART, ed è favorevole al progetto; in altri termini, ac-cetterà di buon grado una mazzetta per fare finta di niente mentre loro perlustrano gli scavi.

Corvina riferisce le novità senza troppo entusiasmo.« È un bel passo in avanti, no? » gli domanda Penumbra.« Vuole duemila dollari », chiarisce il commesso. « So che per te

sarà un duro colpo, ma non disponiamo di una cifra simile. » Si guarda attorno con un’aria mesta. « Come forse hai notato, qui non vendiamo pacchi di libri. Una fondazione di New York paga l’affitto... ma non un centesimo di più. »

« Non perderti d’animo, Marcus. Resta un altro mecenate da contattare. »

Ajax chiama Langston Armitage da un telefono a gettoni su Mont-go mery Street. Gli riferisce le ultime scoperte. Gli racconta per filo e per segno della città, della nave, della mappa. E della libreria.

Armistage ha un tono diffidente. « Chi sarebbe questo tizio? » gracida. « Uno spacciatore di tascabili da due soldi? »

« No, non Mohammed Al-Asmari, proprio per niente. Ho se-tacciato tutti i negozi di San Francisco e oltre, ma questo è davvero unico. Come il suo proprietario. »

« Ma si tratta comunque di un libraio, amico mio. Commercia-le. Non accademico. Non intellettuale. In fin dei conti, gli importa solo vendere la sua merce. »

Penumbra scoppia a sghignazzare. « Non ne sarei così certo. »« E allora chi gli paga le bollette? Gli affari sono affari. »« Questa attività è abbastanza... nebulosa, signore. »« Stai tramando nell’ombra? Ah. Esiste un precedente al propo-

sito. Ti ho mai raccontato di quando Beacham si fece assumere da un editore ungherese per spiarne gli archivi segreti? »

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« No, signore. »« Be’, lo ritrovammo che galleggiava a faccia in giù nel Danu-

bio, tanto per dire. »Ajax confessa al datore di lavoro che costerà parecchio accede-

re ai resti della William Gray. « E giusto per evitare fraintendi-menti, probabilmente la nave sarà poco più di una catasta di assi marce. Penso comunque che valga la pena di provarci, ma... non c’è nessuna garanzia che il Tycheon esista ancora sotto qualsiasi forma. »

« Conosci il nostro motto: “Non è finita finché non stringi in pugno le ceneri del libro, rimpiangendo gli anni che hai gettato via”. »

« No, signore, non lo conoscevo. »« Ti manderò un vaglia, ragazzo mio. E portaci quel volume! »

La talpa da cantiere entra in gioco

Penumbra arriva in anticipo, giusto in tempo per assistere al risve-glio delle ultime compagini della folla notturna, che si stiracchia-no pigre, scomparendo alla ricerca di cibo e di altri mezzi di so-stentamento. A mezzogiorno il negozio si è svuotato e Corvina l’ha messo sotto, costringendolo a risistemare una corta fila di libri a metà degli scaffali. Fianco a fianco su un paio di scale separate, i due si passano avanti e indietro pesanti tomi, in obbedienza a un ordine che Penumbra non riesce a capire.

Sgobbano e chiacchierano. Ajax gli racconta del Galvanic e del-la sua biblioteca. Viene a scoprire che in effetti il commesso è stato una specie di marinaio: un tecnico radar su una portaerei. Ha pas-sato quattro anni quasi senza toccare terra.

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« Ho letto un sacco », precisa Marcus. « Da lì il mio interesse per queste faccende. »

« E che cosa leggevi? »« Che cosa? Di tutto. Disponevamo della migliore biblioteca

dell’intera marina. L’ufficiale che ne era responsabile, come ho ap-purato dopo, fa parte della stessa... organizzazione di Mo. Mi ha insegnato a leggere in greco. »

« Un momento. Mi stai dicendo che la tua portaerei era collega-ta in qualche modo a questo negozio? »

« Assolutamente sì. Il Magazzino dei Libri del Guardiamarina Taylor, Quarto Ponte. Esiste un’intera rete di posti simili... è un’antichissima e onorata tradizione. »

« E così le librerie galleggianti erano due. »« Ah ah. Certo. La William Gray e la Coral Sea. Anche se devo

confessarti che... la mia era più grande. » Un nuovo sorriso di Cor-vina. Il terzo, per l’esattezza.

Dopo un’ora Penumbra ha la schiena a pezzi, i polpacci percorsi da spasmi, le mani anchilosate. Sta per implorare un attimo di pausa quando la campanella tintinna dabbasso e una voce rude strilla: « C’è qualcuno? » Poi, più forte: « Un certo Mark? »

« Silenzio! È lui! » sibila Corvina con lo sguardo aguzzo. Ajax comincia a scendere, ma l’altro lo blocca con un nuovo sibilo. « No. Ho assicurato al suo commercialista che sarei stato da solo. Rimani qui. »

Prima che Penumbra possa protestare, il commesso stringe la caviglie attorno ai bordi della scala, molla la presa e, con un ranto-lo di sorpresa di Ajax, si lascia scivolare giù, accovacciandosi agile sul pavimento. Si raddrizza senza problemi, attraversando gli scaf-fali a larghe falcate e puntando verso la parte anteriore del nego-zio, scomparendo nella luce del sole e dalla vista di Penumbra.

« Benvenuto », lo sente mormorare.

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« Ehilà, Mark. » La voce del nuovo arrivato è brusca e spiritosa.« Marcus », lo corregge Corvina. « Sei il cliente di Alvin? L’o-

peraio edile? »« Operaio edile? Ma per favore! Io sono una talpa da cantiere.

Ne vado orgoglioso quasi fossi un marine. È un piacere incontrar-ti. Sono Frankie. O forse preferisci chiamarmi Franklin. »

Se l’altro lo sta prendendo bonariamente in giro, Corvina non se ne accorge o decide di non darci peso. « Il piacere è mio, Frank-lin. Alvin ti ha informato della natura del mio progetto? »

Ajax calma il respiro e drizza le orecchie per ascoltare meglio. Frankie deve indossare un paio di scarponi da lavoro; ogni volta che si muove, fanno rimbombare le assi del pavimento.

« Sì, e... spiacente, ma ci tengo a chiedertelo. Per dormire sonni tranquilli. Non è che sei un rapinatore di banche? »

« Ti assicuro che sono un semplice studioso di storia locale », replica Marcus impassibile.

« D’accordo. Mi fido. Ma solo perché Alvin è un brav’uomo e garantisce per te. Chiaro? »

« Lampante. Allora, come dovremmo procedere? »« Oh, innanzitutto, Mark... la grana. La cifra concordata con

Alvin andrà benone. »Penumbra sente lo scorrere di un cassetto, il fruscio della carta,

della busta rigonfia che ha ritirato ieri alla Wells Fargo. Un brivido di eccitazione gli attraversa la schiena. Ecco che cosa significa es-sere un Vice Addetto alle Acquisizioni.

« Prego. Come stabilito », afferma Corvina.« Fammi dare una sbirciata. » La busta viene strappata, qualcosa

viene sfogliato. Frankie sta contando le banconote. « Molto gene-roso. Va bene, Mark, ho notizie buone e cattive. »

« Non suona tanto bene. »« Riguardo alle buone, l’area è completamente libera. Ci abbia-

mo scavato secoli fa. All’incrocio tra Market e Beale, giusto? Ci so-

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no ritornato, verificando di persona. Là sotto c’è qualcosa. Niente di eccezionale ma, considerate le circostanze, neppure di così mal-ridotto. »

« E le cattive? »« Eh, le cattive... Non sono io a dirigere il cantiere dell’Embar-

cadero. È un’altra zona, chiusa a doppia mandata. »Ajax si immagina il commesso schiumante di rabbia. Prova un

tuffo al cuore. Sono così vicini e, ancora una volta, il cammino sembra sbarrato. Ecco che cosa significa essere un Vice Addetto alle Acquisizioni.

« Non saresti qui se non avessi una soluzione », incalza Corvina. « O mi sbaglio? »

« Sei molto perspicace, Mark. Ho trovato una scappatoia. Sape-vi che abbiamo finito la metropolitana? »

« Quella sotto la baia? »Frankie mugola soddisfatto. « Fatta e finita. Mancano le rotaie,

ma ogni giorno l’attraversiamo con i camion. E io... mi occupo del cantiere dal l’al tra parte della galleria. Posso aggiustare le cose con il guardiano notturno senza nessun problema. »

« Il cantiere... dal l’al tra parte della galleria. »« Sì. A West Oakland. »Corvina ridacchia. « Insomma, mi stai suggerendo di prendere

la strada più lunga. »L’altro sghignazza a sua volta. « Perché no? Tanto per tenersi in

forma. »« Non ci sono pericoli? »« Neanche l’ombra. I padroni del vapore stanno organizzando

una bella gita per il prossimo mese. Aperta al pubblico. Bambini, vecchietti, tutti quanti. Dritti giù nella metro. Da come la vedo io, ti stai solo guadagnando un ingresso di favore. »

« Be’, sono felice che la pensi così. Suppongo che questa ricca elargizione garantirà la tua... riservatezza. »

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« Naturalmente, Mark, naturalmente. » I passi pesanti dell’uo-mo si allontanano verso la porta, per poi fermarsi. Penumbra lo sente voltarsi. « Che cosa c’è dentro quell’affare? Dobloni d’oro? »

« Farebbe qualche differenza? »« Non so... Nel caso non guasterebbe una percentuale. »« Mi secca da morire deluderti, Franklin, ma sono solo libri. »« Hai sganciato parecchio per assicurarteli, ma vedo che qui ne

avete una discreta collezione. I gusti sono gusti, come ripeto sem-pre. Ancora qualche dubbio? »

« West Oakland. Attraverso la metropolitana. Che cosa dovrò dire al guardiano notturno? »

« Si chiama Hector. Lo avvertirò di aspettarsi una visita. Po-tremmo usare una parola d’ordine... »

« Festina lente. »« Ripeti un po’. »« Festina lente. Questa sarà la nostra parola d’ordine. » Proba-

bilmente, riflette Penumbra, non si tratta della prima missione clandestina di Marcus.

« Fes-ti-na len-te. D’accordo. Se lo dici tu. » Frankie riprende il suo fragoroso cammino verso la porta, spalancandola. La campa-nella tintinna cristallina. « Dopo mezzanotte, andrà bene qualsiasi ora. Fes-ti-na len-te. D’accordo. Buona fortuna là sotto, Mark. »

Il relitto della William Gray

Attraversano la baia sull’ultimo traghetto della notte sotto una mezzaluna che balugina funerea tra le nuvole basse. L’imbarcazio-ne scivola leggera sotto il Bay Bridge, più austero e serio del cugi-no tanto amato dai turisti.

La nave attracca vicino al porto di Oakland, nella zona dei ma-

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gazzini. Sono provvisti di biciclette, comperate all’angolo di Turk e Leavenworth da un tizio che si è fatto chiamare Mike il Russo. Corvina si aggiudica la Schwinn verde e scattante; a Penumbra tocca il modello blu da spiaggia con il sellino allungato. Pedalano fino al cantiere di West Oakland, semplice da identificare. Colon-ne di cemento liscio che si innalzano a sostenere il nulla. Armatu-re color ruggine in attesa di unirsi al calcestruzzo e trasformarsi in pietra. Gruppi di ruspe sonnecchianti.

Adocchiano Hector caracollare pigro attorno al perimetro di recinzione, con addosso l’imitazione di una divisa da poliziotto. Gli fanno cenno da lontano; si avvicinano guardinghi; pronuncia-no festina lente tra le ombre. L’uomo grugnisce, lasciandoli passa-re con un cenno e riprendendo il suo giro, quasi senza guardarli in faccia.

La bocca della Transbay si spalanca enorme davanti a loro. Zol-le erbose le pendono dalle labbra metalliche. Più che un’opera pubblica sembra un antico sepolcro. Ancora mancano le rotaie. Al loro posto, un largo sentiero infestato da gramigna scende dal can-tiere, solcato dalle gomme dei camion.

Niente luci. Se l’aspettavano. Corvina solleva una lampada da campeggio, agganciandola al manubrio. « Pronto? »

Penumbra chiama a raccolta tutto il proprio coraggio. « Penso di sì. »

La metropolitana li inghiotte. Marcus schizza in vantaggio con lunghe pedalate sicure, il cambio che scatta e schiocca mentre sce-glie rapido la marcia più efficace. Ajax si volta indietro, osservan-do il panorama attraverso l’imboccatura della galleria; l’ovale fu-ligginoso del cielo di Oakland si rimpicciolisce e lentamente scom-pare, meno vivido delle macchie colorate che si formano sulla re-tina in assenza di luce.

È un tipo e un genere di buio mai sperimentato prima. Il pavi-mento della metro è liscio sotto le ruote; gli sembra di correre lun-

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go un campo di pallacanestro o il grande atrio di una banca. Ogni paio di secondi, un tonfo attutito quando passa sopra una delle giunture del tunnel: i punti dove gli enormi segmenti di metallo sono stati saldati insieme a tenuta stagna.

La baia è là fuori. Là sopra. Quanto è profonda? Penumbra non ne ha idea. Potrebbero essere tre metri come trenta. L’aria è cam-biata. Fredda, umida, densa del puzzo stagnante degli scappamen-ti dei camion. Si chiede se laggiù ci sia abbastanza ossigeno. E se le squadre di lavoro non avessero ancora previsto il passaggio di es-seri umani? E se lui e Corvina fossero svenuti a metà strada? E se nessuno li avesse trovati prima della mattina successiva?

Marcus non cede terreno. La lampada sul manubrio sbatacchia avanti e indietro, sale e scende, proiettandogli alle spalle un’ombra impazzita, un simulacro nero pece che salta e balla lungo il pavi-mento della metropolitana.

« Rallenta! » gli strilla Ajax, ma l’altro non lo sente, non lo capi-sce o proprio non intende ascoltarlo. Penumbra inspira una boc-cata d’aria soffocante e grida di nuovo: « Per piacere potresti... oh! » Si arrende. L’ombra di Corvina si allontana; la scintilla della lam-pada si affievolisce. Il buio lo stringe in una morsa.

L’uomo si blocca, ansimante. Si appoggia contro il manubrio, che sente ma non vede. Il bagliore della Schwinn scompare del tutto.

Penumbra non è tipo da abbandonarsi alla rabbia, ma in quel momento ne è sopraffatto. Corvina! Sarebbe stato meglio non se-guirlo in una spaventosa galleria sotterranea. Sì, è efficiente e qua-lificato, ma non tollera chi non riesce a stargli dietro.

D’accordo.Non può starsene lì per sempre.Ricomincia ad avanzare con prudenza. Davanti gli si para un

muro di tenebra, una voragine scura, ma in realtà non ci sono ostacoli. Nulla gli sbarra il cammino. Sente sollevarsi la ruota an-

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teriore della bici, capisce che sta salendo lungo la curvatura della metro, sterza di scatto e si lascia riportare a terra dalla forza di gra-vità. Sembra funzionare. Deve solo procedere a tentoni, obbeden-do alle sinuosità della galleria. Continuare a pedalare. Abbassare le palpebre. Laggiù non c’è niente che possa fargli del male.

Perde la cognizione delle ore. L’intero universo si contrae in un buio essenziale, quasi il concetto stesso dell’oscurità, costringen-dolo a seguire il proprio spaziotempo con le gambe e non con gli occhi. Forse riemergerà per accorgersi che è passato un decennio. O cinque. Il pensiero lo spinge a sorridere, a improvvisare un rapi-do calcolo, contando gli anni insieme ai colpi di pedale: 2017... 2018... 2019. Che aspetto avrà San Francisco nel ventunesimo se-colo? Forse negli Yerba Buena Gardens pianteranno finalmente un albero oppure...

« Ajax! Sei tu? » gli grida Corvina.Penumbra frena, sbandando. « Dove sei? »« Qui. Qui vicino. » La voce rimbomba lugubre tra le ombre cir-

costanti; Ajax riesce quasi a vederlo, una sagoma scura a stagliarsi contro quella notte eterna. Sembra accovacciato al suolo. « Ho bi-sogno di aiuto, ho bisogno di... Sono cieco. Ho smarrito la lam-pada. »

Penumbra appoggia delicatamente la bicicletta a terra, arran-cando verso la fonte del suono. « Sto arrivando. Tendi le braccia in avanti. »

Le dita a strusciare contro qualcosa, una mano a serrargli il pol-so: forte, tremante, viscida di sudore.

« Non ti è successo nulla, Marcus. » Lo solleva o almeno tenta di farlo; il commesso rischia di trascinarlo giù con sé. Colpa della sua maledetta stazza! Ajax sbuffa, ansima, e alla fine Corvina si alza. « Non ti è successo proprio nulla. »

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Camminano insieme per un lungo tratto, Penumbra a guidare l’al-tro tenendolo per mano. Marcus resta in silenzio, limitandosi a se-guirlo, il respiro meno concitato, più regolare. Ha le dita spesse e robuste ma molto morbide.

E alla fine: fiat lux. Un bagliore tremulo, prima un puntino e poi una macchia. Più camminano spediti e più la luce si allarga, e così si sbrigano, cominciando a correre, finché Corvina non deci-de di liberarsi della stretta del compagno e lo supera in volata.

Sul fondo, una nuova salita, e quando riemergono alla luce del cantiere dell’Embarcadero, il commesso è tornato lo stesso di sem-pre. Nessun segno dell’incidente tra le tenebre.

« La nave non sarà lontana », dichiara stentoreo, riprendendo il comando.

La galleria si allarga in una specie di grotta rischiarata da lam-padine protette da griglie metalliche, appese in una ghirlanda fe-stosa al soffitto grezzo e irregolare. Lo spazio è rinsaldato da un’in-castellatura di nere travi di sostegno; in alcuni punti, sta sorgendo un perimetro di cemento. L’acqua si raccoglie al suolo in pozzan-ghere troppo larghe da superare con un balzo, e i due decidono di attraversarle. Penumbra si inzuppa le scarpe.

Ci sono segni di vita e di attività: guanti abbandonati, bicchieri di carta, un casco di protezione solitario. Di plastica bianca, con il logo del BART stampato in blu sul davanti. Ajax lo raccoglie, lo scuote, se lo calca in testa. « Che ne dici? »

Marcus accenna un risolino di scherno. « Sei la talpa da cantiere più magra che abbia mai visto. »

Più di un secolo fa, la William Gray è stata affondata e sepolta sot-to cumuli di macerie. Colata a picco e schiacciata. L’albero mae-stro spezzato da tempo, le vele e il cordame ormai imputriditi. Re-stavano solo i resti dello scafo: una lattina da bibita accartocciata in una discarica.

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Poi è arrivata la squadra del BART a scavare in mezzo ai rotta-mi. Penumbra ha già visto fossili inglobati nella pietra, enormi la-stre spaccate a metà per portare alla luce la sezione trasversale di animali preistorici; ecco a che cosa somiglia di preciso la William Gray. Il profilo della nave si delinea scuro ma distinto sulla parete della galleria, la sua ombra ancora visibile in quel sottoscantinato della città.

Una volta in più, il momento del trionfo presto si trasforma in una dura sconfitta. Ajax si era immaginato di trovare un relitto uscito da un documentario di Jacques Cousteau. Un qualcosa da penetrare ed esplorare, ma ormai sembra soltanto una stupida il-lusione. La loro preda non appartiene all’archeologia ma alla geo-logia. Un fossile, in tutto e per tutto.

« Vieni qui », gli urla Corvina, strappandolo alle sue cupe fanta-sticherie. Nei dintorni il commesso ha recuperato due pale. Come se niente fosse, ne lancia una a Penumbra, che se la lascia sfuggire di mano e cadere a terra.

« Marcus, non è... »« Davanti a me c’è una barca. La prima libreria di San Franci-

sco. Di sicuro rimane qualcosa da scoprire. »« Hai il mio stesso dono. » Il tono è secco, diretto.« Cioè? »« Una definizione di Al-Asmari. La disponibilità ad accarezzare

le idee più assurde. »Il commesso abbozza una smorfia. « Io non spreco tempo ad

accarezzarle. Io lavoro sodo per vederle realizzate. » Pianta nella parete la lama d’ac ciaio della pala e si mette a sgobbare.

Passa un’ora. Forse di più. Scavano a fondo tra i resti della nave, gettandosi alle spalle fango, terra e legno marcio, formando un mucchio molliccio. Il badile di Penumbra spezzetta grumi morbi-

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di, probabilmente le tristi spoglie dei libri. Neri e fradici d’acqua, ammuffiti e rovinati, ma con la traccia degli antichi dorsi.

Schizzi di melma bruna gli inzaccherano camicia e pantaloni. Più si spinge in profondità e peggiore è il lezzo: un secolo di putre-dine che finalmente si libera nell’aria. Gli bruciano i muscoli delle braccia, ha i piedi zuppi, e si accorge che pure Corvina si sta stan-cando, quando...

TONK!Colpisce con la pala qualcosa di solido e consistente. La solleva

e ci riprova.TONK!« Marcus, credo che forse... » inizia a dire, ma l’altro gli è già ac-

canto per dargli manforte. Seguono il bordo dell’oggetto duro che fa TONK! e poi ci scavano intorno, finché Corvina non è in grado di usare il badile a mo’ di leva. Per lo sforzo lancia un sonoro gru-gnito; un piccolo baule metallico schizza fuori dal buco, piomban-do sul fondo della galleria con un tonfo umidiccio, rimanendo in bilico su un lato e poi ribaltandosi.

I due uomini si fissano sgranando gli occhi.Il forziere è divorato dalla corrosione, la sua superficie deturpa-

ta da croste di ruggine e sfregi verde muschio, ma non pare mano-messo. Un titanico lucchetto ne sigilla il coperchio.

« Tirati indietro », intima Corvina. Solleva il badile e poi lo fa calare come un fulmine da collera divina. Il vecchio lucchetto si sbriciola, secondo Penumbra con un leggero sospiro di sollievo.

Poco dopo si arrampicano su per il cantiere, il commesso a regge-re il baule. Vengono avvistati dal guardiano notturno sul lato op-posto del baratro dell’Embarcadero. « Ehi! Voi! Che state combi-nando? »

« Non fermarti », sussurra Marcus. Davanti a loro una fila di co-ni arancione fluorescente e, appena oltre, il marciapiede attraver-

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sato da coppie frettolose bardate con cappotti e sciarpe, che non degnano di uno sguardo il burrone lì di fianco. Alle loro spalle la muraglia nera della superstrada dell’Embarcadero si sostituisce al cielo, le macchine a saettare via nella notte su entrambe le corsie, tra lo strombazzare dei clacson e lo stridio dei pneumatici. Il fra-stuono e la luminaria accecante sono un balsamo per le orecchie dopo la gita nella galleria.

Ajax si volta verso il guardiano notturno, sferrandosi una pacca al casco di protezione. « Dovevamo ultimare un lavoretto! Sai co-m’è. Festina lente! » E con quello, superano i coni e raggiungono il marciapiede, finalmente liberi.

L’arte del fato è nelle loro mani.

Un milione di numeri casuali

Quella volta Mo li caccia davvero fuori in massa. I capelloni bor-bottano e si lamentano, ma lui è irremovibile: « C’è una libreria deliziosa appena su dalla via. Le luci potrebbero essere spente, ma non lasciatevi ingannare... continuate a bussare. Chiedete di Law-rence ».

Penumbra sgombra l’ampia scrivania e Corvina ci appoggia so-pra il bottino, ovvero il contenuto del baule: sette volumi, asciutti e intonsi, avvolti uno per uno in fasce di pelle di vitello. Mo è elet-trizzato. Lo sono tutti e tre. Sballano lentamente i loro tesori.

« Madrigal! » esclama il proprietario del negozio. Poi, a squar-ciagola: « Brito! Uno della prima generazione! »

Uno dei tomi è rilegato in pelle, identico a quello sullo scrittoio, ma con impresso sul dorso I invece di V. Mo se lo rigira tra le ma-ni. « Il primo registro », bisbiglia con un filo di voce. « L’elenco dei

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nostri più antichi clienti. Si racconta che Mark Twain fosse uno di loro. Ora saremo in grado di appurarlo. »

Corvina libera dalla fasciatura uno degli ultimi volumi rimasti, passandolo a Penumbra senza proferire verbo. Grigio topo, con alcuni punti scoloriti: un bruco sfrattato dal bozzolo. Sulla coper-tina, in disadorne lettere maiuscole, TECHNE TYCHEON. Ajax lo apre alla pagina iniziale.

È un caos di frasi disposte in orizzontale e verticale, ognuna delle quali sembra essere solo un frammento: IL GRANDE FIU-ME CHE SI DIVIDE IN RAMI PER POI RIUNIRSI; IL RUGGI-TO DI UN LEONE TIRANNO; NON ESISTONO MURI SENZA MATTONI; IL TESCHIO GHIGNANTE DI TUO NONNO DE-FUNTO...

Passa alla pagina seguente: la solfa non cambia. IL PRINCIPE ERA SEMPRE STATO UNA LUCERTOLA. Ne sceglie una a ca-saccio a metà libro: idem con patate. I TUOI DENTI CHE CADO-NO UNO PER UNO. Ogni pagina è una griglia confusa, con ogni spazio che contiene un frammento, un’immagine.

Assolutamente incomprensibile.Penumbra capisce che la raccolta di profezie è stata meticolosa-

mente criptata. Prova un tuffo al cuore. Ha già visto testi simili: Letteratura Occulta 337 era dedicata a Codici e messaggi cifrati. Fissa il Tycheon come se fosse un compito a casa che richiede anni di lavoro certosino.

Mo sorride incoraggiante. « Se esiste un codice, può essere de-cifrato. Forse riuscirò a coinvolgere il signor Fedorov... »

Ajax drizza di scatto il capo. « Un attimo. Che cosa vuoi dire? »« È il decodificatore più brillante di cui disponiamo », spiega

l’altro. « In passato se l’è sbrigata in fretta con i nostri volumi. Se siamo fortunati... »

« Ma io voglio portare il libro al Galvanic. » La frase resta sospe-

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sa nell’aria. Corvina allunga una mano, appoggiandola con deci-sione sulla copertina del Tycheon.

« Questo testo ci appartiene », prosegue Mo. « Fin da prima che colasse a picco la William Gray. Il piccolo particolare che sia rima-sto sepolto per un secolo non cambia la situazione. »

Penumbra scuote la testa. « Sei libero di fare ciò che credi degli altri volumi, ma sono riuscito a finanziare questa missione solo grazie all’interesse del mio datore di lavoro per il Tycheon. Spetta di diritto alla nostra biblioteca, dove gruppi di studiosi si impe-gneranno a cavarne un senso. Non può restare qui. » Fa un ampio gesto con il braccio. « Questa è una semplice libreria. »

A quell’affermazione Al-Asmari divampa di collera, ma prima che abbia tempo di formulare una risposta, interviene Corvina. « Mo. Ajax ha ragione. È stato lui a procurare il denaro. Forse, se l’avessimo fatto noi... ma non è andata così. » Non appena ritira la mano, Penumbra agguanta il tomo.

Gli occhi del proprietario del negozio bruciano come tizzoni. « Guardati bene attorno. Questa non è una semplice libreria. » Si volta, scomparendo tra gli alti scaffali. Ajax sente la porta contras-segnata con MO aprirsi e chiudersi.

Penumbra riprende il trenino dei pendolari, attraversando Palo Alto fino alla casa di Claude sotto l’ombra della sequoia. Dentro, sul tappeto verde, si contano tre cartoni per la pizza invece di uno solo. L’uomo comincia a intuire i ritmi del suo ex compagno di stanza.

« Sono venuto a salutarti. » Si siede a gambe incrociate. Il gatto grigio gli strofina contro il muso.

Claude aggrotta la fronte. « Già te ne vai? Be’, sono felice che tu sia passato, amico. Che è successo con quella nave? »

Ajax sfila il Tycheon da una spessa busta da imballaggio. « La

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nostra missione è andata a buon fine. Abbiamo trovato la William Gray. »

« Ci siete riusciti! Porca merda! »Penumbra si concede un sorriso. « Sì, in parte grazie al tuo aiu-

to. E dentro c’era questo volume. Però adesso devo decidere che farne. »

« Non vuoi portarlo al Galvanic? »« Forse. Oppure... ah. » Un sospiro lungo e sonoro. « Non ne ho

proprio idea, Claude. »« Di che parla? Di demoni? È prezioso? »« Lo è sicuramente, ma riguardo al suo contenuto... se ci sono

dei demoni, si nascondono bene. Dai anche tu un’occhiata. » Lo spalanca, mostrandogli le pagine di frasi sconnesse. « È criptato. Inaccessibile. »

Lo sguardo di Claude guizza fulmineo tra i frammenti. « È un codice? »

Ajax annuisce. « Evidentemente sì. Ho già visto testi simili al Galvanic. Ho frequentato un corso in.. »

« Hai tenuto conto che potrebbero essere solo frasi alla rin fusa? »« Non credo siano stupidaggini. Il Tycheon non sarebbe soprav-

vissuto tanto a lungo se non possedesse un senso... un’utilità. »« Oh! Sul serio pensi che tutto debba essere sensato per avere un

valore? Amico mio... non ti ho mai mostrato il libro della RAND? »« No, mai. »Claude salta su, raggiungendo una delle pile sul lato opposto

della stanza. Ci fruga dentro di buona lena, scostando enormi vo-lumi e scagliandoli lungo il tappeto. Penumbra adocchia un Ma-nuale tenico-operativo dell’SDS-940. E un fascicolo smilzo intitola-to RFC 1: Host Software.

« Eccolo! » Claude disseppellisce un tomo con la copertina nera, lasciandolo cadere in mezzo a loro due. Sul davanti, in gentili ca-ratteri graziati:

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A Million Random Digitswith 100,000 Normal Deviates

« Una volta questo era il libro più utile dell’intera stanza. È stato pubblicato dalla RAND, quell’accozzaglia di cervelloni, nel... » Lo solleva e lo sfoglia, alla ricerca della pagina del copyright. « 1946. I computer moderni sono in grado di generare da soli numeri ran-dom, casuali... oddio, pseudo-casuali, tecnicamente... ma ai tempi del Galvanic, quando me ne serviva una serie, la copiavo da qui. » Apre il volume a una delle pagine interne: cifre dentro una griglia, come i mattoni di un muro. Prosegue a sfogliare. Sempre la solita storia, ma in un certo senso totalmente diversa.

Penumbra fa scivolare un dito lungo la carta. « Ma perché? Che bisogno c’è di tutta questa casualità? »

« È il metodo Monte Carlo », prosegue Claude. « Uno dei fon-damenti della scienza moderna. Una specie di casinò cosmico. Co-me spiegartelo... vediamo un po’. A volte ti scontri con un sistema troppo complicato per essere modellato completamente. Insom-ma, questo gingillo è potente, ma non così tanto. » Sferra una pac-ca al suo computer artigianale. « Quindi, invece di calcolare l’inte-ro sistema da cima a fondo, scegli dei punti a caso... azzardando qualche scommessa. Proprio come al casinò: se fai abbastanza puntate, la casualità si livella, e sotto riesci a intuire la forma del si-stema. »

« Per che cosa può essere utilizzato il metodo? »« Ma per tutto! Dai modelli climatici alle proiezioni economiche

alla fisica nucleare. » Una pausa. Una luce dura negli occhi. « Ami-co, hanno usato questo libro per fabbricare la Grande Bomba. »

Penumbra ci rimugina sopra. « E tu ipotizzi che il Tycheon po-trebbe servire a qualcosa di simile. »

« Non lo so. Se paragoni il cervello a una specie di sistema... sa-rebbe impossibile da modellare. Forse il tuo volume fornisce quei

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punti a caso di cui ti parlavo. Invece di X, Y, Z dentro un nocciolo d’uranio, qui avremmo... » Abbassa lo sguardo e legge uno dei frammenti. « “La corona di un falso re” dentro un cervello uma-no. » Una pausa. « Ah! Mi è venuto in mente il mio capo. Visto? La casualità può dare i suoi frutti. » Si interrompe di nuovo, colpito da un pensiero improvviso. L’espressione gli si rallegra. « Non te l’ho mai detto, ma ho scoperto l’algoritmo di abbinamento. »

Ajax inarca un sopracciglio, confuso. « Cioè? »« L’algoritmo che ci ha appaiati al Galvanic. Ricordi? Il grande

processo computerizzato. Stavo rovistando nello scantinato del college quando ho scovato le schede con il codice sorgente. Ti va di sapere come funzionava? »

« Sì, come? »« Pura casualità. Assolutamente random. »« Random », ripete Penumbra.« In tutto e per tutto. »« Il computer non aveva idea che fossimo due voraci lettori? »Claude scuote il capo. « Probabilmente quelli del dipartimento

di matematica si erano stufati. Forse il preside manco lo sapeva. Ribadisco: assolutamente random. »

Ajax risponde con una sola, contagiosa risata. Claude sorride e poi anche lui scoppia a ridere, e presto si trovano a sghignazzare insieme sul tappeto verde lanuginoso con il gatto a pelo lungo che miagola insieme a loro.

Scalatori

All’ultimo piano della biblioteca, Ajax Penumbra si presenta da-vanti a Langston Armitage e gli consegna il Techne Tycheon. Il vecchio rospo apre lentamente il suo tesoro, gli occhi spalancati e

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voraci. Penumbra gli racconta di come l’ha recuperato. Ne spiega la verosimile utilità: una serie di suggerimenti a casaccio per pre-dire la sorte, tipo i tarocchi o l’I Ching.

« Ben fatto, ragazzo mio, ben fatto », gracida caloroso Armitage. « Libri basati sul caso... un possibile argomento per un nuovo cor-so. Naturalmente anche il numero dovrebbe essere random, diver-so di anno in anno. Per esempio, Inglese 389. Abbastanza casuale? No, non credo. A ogni modo, ti è giunta la notizia della morte di Lemire? » Accantona il Tycheon. « Colpa della sua vecchia ferita, quella che non si è mai risanata. Alla fine l’ha ucciso. Ha lasciato libero un posto. Era Capo Addetto alle Acquisizioni, ragazzo mio. »

Il bagliore del sole filtra attraverso la striscia di carta da parati verde. Fuori, e Penumbra lo sa bene, solo campi di granturco per chilometri e chilometri.

« Le sono grato per l’offerta, signore », risponde, « ma ho deciso di tornare a San Francisco. »

Armitage serra le labbra a fessura. « San Francisco », ripete. E in quel caso non parte a cantare.

La campanella sopra la porta tintinna cristallina. Penumbra trova Corvina e Mo a meditare attorno alla scrivania. I due si voltano, senza nascondere la sorpresa. Lui non apre bocca ma attraversa calmo i tavolini, passeggiando e curiosando. Corvina e Mo lo os-servano in silenzio vagare da POESIA a PSICHEDELICA ai PRE-FERITI DI MO. Quando raggiunge il banco, prende fiato e an-nuncia: « Ho consegnato il Tycheon al mio ex principale del Gal-vanic ».

Marcus annuisce con studiata lentezza. Al-Asmari lo imita, af-fermando: « Com’era tuo pieno diritto. Non avrei mai dovuto sug-gerire altrimenti. Posso solo dire che è stato un raro piacere il... »

« Vorrei comperare questo », lo interrompe Ajax, facendo sci-

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volare un libro lungo lo scrittoio: una nuova edizione tascabile di Attraverso lo specchio con una copertina leggermente allucinoge-na. Corvina solleva un sopracciglio. Il suo datore di lavoro inclina il capo di lato, in attesa.

« E vorrei anche informarmi sulla possibilità di... diventare so-cio », continua Penumbra.

Il viso di Mo viene attraversato da un ghigno. « Sicuro, sicuro. Batti lo scontrino, Marcus. » Un attimo di silenzio. « Ho sentito bene? Hai detto il tuo ex principale? »

« Sissignore. Mi sono trasferito. Sto da un amico a Palo Alto finché non troverò un posto per conto mio. In città, ovviamente. »

Mo fa il giro della scrivania per raggiungerlo. « In tal caso forse dovremmo accarezzare... un’idea piuttosto assurda. Tipo un im-piego. » Osserva dal basso quell’uomo più giovane di lui, gli oc-chiali rotondi a luccicargli. « Senti, che ne pensi degli scaffali lag-giù? »

Giorno del Ringraziamento. È tornato il freddo ma la mattinata è limpida e splendente. Penumbra è solo in libreria; Corvina è via a New York, per quello che Mo ha definito un « viaggio di ricerca ».

Suona la campanella della porta. Ajax smette di trafficare con il registro e alza lo sguardo, vedendo entrare Claude Novak.

« Fratello, che tana fantastica. »« Un posticino tranquillo. Di notte si anima abbastanza. »Claude passeggia nel negozio, fermandosi a esaminare attenta-

mente il tavolino della FANTASCIENZA. Scova un romanzo che porta alla cassa. Tutti a Zanzibar.

« Sono contento che tu sia qui. » Novak picchietta il dito contro la copertina: tap, tap tap tap. « È bello averti nei paraggi. »

« Mi trovo bene da queste parti », risponde Penumbra. « In ef-fetti, sono quasi offeso che tu non abbia decantato le virtù di San

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Francisco con maggiore enfasi. Confessalo: volevi tenerti la Cali-fornia tutta per te. »

Claude ci ride sopra, annuendo simpaticamente. Poi racconta all’amico che i suoi colleghi, solo pochi giorni fa, hanno sperimen-tato un collegamento via computer da costa a costa. « Più esatta-mente, un insieme di reti connesse tra loro. »

« E che cosa hanno trasmesso? »« Quasi nulla, appena una manciata di caratteri. Poi è saltato

tutto. Ma è stato figo. È stato... uh! » Si interrompe senza conclu-dere la frase, notando per la prima volta le alte scaffalature che svettano sul retro del negozio. « E quelle che sono? »

Si avvicina di un passo, affascinato, scordandosi di reti e con-nessioni. Sbircia tra le ombre, i libri disposti su file e colonne che sembrano stendersi all’infinito. Non riesce a scorgere il soffitto, gli affreschi immersi nel buio commissionati dal signor Fang in per-sona. Può vederli solo chi si arrampica fino all’ultimo gradino del-le scale; negli anni a venire, Ajax Penumbra le userà sempre meno, ma non si dimenticherà mai che cosa è dipinto lassù.

Un gruppo di scalatori avvolti in mantelli si inerpicano per un ripido sentiero roccioso, allungando le braccia, tenendosi per ma-no. Aiutandosi a vicenda.

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Libri esposti alla Libreria Sempre Aperta di Al-Asmari nel settem-bre 1969 sopra il banco dei PREFERITI DI MO:

Lloyd Alexander, Il sommo re.Maya Angelou, Il canto del silenzio.Penelope Ashe, Nuda venne la straniera.Margaret Atwood, La donna da mangiare.J.G. Ballard, Deserto d’acqua.Richard Brautigan, Zucchero di cocomero.John Brunner, Tutti a Zanzibar.Michael Crichton, Andromeda.Philip K. Dick, Il cacciatore di androidi.Lawrence Ferlinghetti, Il senso segreto delle cose.Stan Lee e Jack Kirby, I Fantastici Quattro n. 89.Ursula K. LeGuin, La mano sinistra delle tenebre.Norman Mailer, Le armate della notte.Michael Moorcock, I.N.R.I.Philip Roth, Lamento di Portnoy.Jack Vance, Naufragio su Tschai.Kurt Vonnegut, Mattatoio N. 5 – o La crociata dei bambini.Tom Wolfe, Acid test al rinfresko elettriko.

Appendice

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A questo punto vorrete sapere cosa è successoalla libreria di Ajax Penumbra

Allora, preparatevi a un salto nel tempo di parecchi annie leggete l’estratto di

Robin Sloan

Il segreto della libreria sempre aperta...

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Titolo originale: Mr. Penumbra’s 24-Hour Bookstore

Traduzione dall’originale americanodi Giovanni Arduino

Copyright © 2012 by Robin SloanAll rights reserved

Casa Editrice Corbaccio è un marchio di Garzanti libri S.p.A.Gruppo editoriale Mauri Spagnol

© 2013 Garzanti Libri S.p.A.

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Cercasi commesso

Perso tra le ombre degli scaffali, quasi ruzzolo giù dalla scala. Sono esattamente a metà. Il pavimento della libreria è lontano sotto di me, come la superficie di un pianeta che mi sono lasciato alle spal-le. Le cime degli scaffali mi sovrastano là dove dominano le tene-bre: non c’è molto spazio tra i libri e la luce non riesce a filtrare. Forse anche l’aria è più rarefatta. Mi pare di scorgere un pipi-strello.

Mi sto reggendo con tutte le forze, una mano sulla scala, l’altra sul bordo di un ripiano, le dita rattrappite fino a sbiancarsi. Guar-do oltre le nocche, passando in rassegna i dorsi, finché non lo tro-vo. Eccolo lì, il libro che sto cercando.

Meglio che vi racconti tutto dal l’ini zio, però.

Mi chiamo Clay Jannon e a quei tempi raramente sfioravo pagine di carta.

Restavo seduto al tavolo della cucina e controllavo gli annunci di lavoro sul portatile, e quando al l’im prov vi so una scheda del browser cominciava a lampeggiare, mi distraevo a seguire il link a un articolo sull’uva da vino modificata geneticamente. Era troppo lungo e lo aggiungevo alla mia lista di lettura. Poi cliccavo un link

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alla recensione di un libro. Aggiungevo anche quella e dopo scari-cavo il primo capitolo del terzo volume di una serie sui poliziotti vampiro. Alla fine, quando ormai mi ero scordato degli annunci, mi rintanavo in soggiorno, mi appoggiavo il laptop sulla pancia e leggevo tutto il santo giorno. Avevo parecchio tempo libero.

Ero disoccupato, un risultato della grande recessione dell’indu-stria americana del cibo del ventunesimo secolo, che causò la ban-carotta di intere catene di fast food e la chiusura di molti colossi del sushi.

Il mio vecchio lavoro si svolgeva nel quartier generale della NewBagel, che non si trovava a New York o in qualsiasi altro po-sto con una lunga tradizione nella preparazione delle simpatiche ciambelle di pane, ma a San Francisco, la mia città. L’azienda era stata fondata da una coppia di ex impiegati di Google con il palli-no di scrivere software per progettare e cuocere il bagel ideale, pla-tonicamente parlando: un cerchio perfetto con l’esterno liscio e croccante, l’interno soffice e lievitato. Era il mio primo lavoro do-po l’accademia d’arte e iniziai come designer, ideando materiale commerciale e promozionale per il nostro saporito toroide: menu, schede di presentazione, diagrammi, manifesti da vetrina e persi-no l’allestimento completo per lo stand di una fiera specializzata in prodotti da forno.

Ero sempre impegnato. Al l’ini zio, uno degli ex Googler mi chiese di provare a ritoccare il logo della società, fatto di grandi ca-ratteri cicciotelli e variopinti racchiusi in un tondo marrone chia-ro; sembrava disegnato con un programma di grafica anni Ottanta tipo MS Paint. Utilizzai un font abbastanza originale con delle grazie nere allungate che speravo evocassero le lettere squadrate e appuntite dell’alfabeto ebraico. Il marchio acquistò una certa so-lennità, fruttandomi un premio della sezione di San Francisco del-l’AIGA, l’Associazione americana dei designer. Subito dopo, quando confessai al l’al tra ex Googler che me la cavicchiavo a pro-

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grammare, mi piombò addosso l’incarico del sito internet. Ripro-gettai pure quello, gestendo poi un piccolo budget di marketing basato su parole chiave tipo « bagel », « colazione » e « topologia ». Diventai anche il responsabile di @NewBagel su Twitter, conqui-stando qualche centinaio di follower grazie a un cocktail di curio-sità sulla prima colazione e buoni sconto digitali.

Nulla di tutto ciò costituì un nuovo stadio rivoluzionario dell’e-voluzione umana, ma se non altro stavo imparando qualcosa di utile. Stavo migliorando. Poi l’economia andò a rotoli e si scoprì che durante una recessione la gente vuole i vecchi cari bagel bitor-zoluti e oblunghi, non robe lisce simili ad astronavi aliene, nean-che se sono cosparse di salgemma macinato con precisione alge-brica.

I due ex Googler erano abituati al successo facile e non gettaro-no la spugna. Si rifecero un’identità, trasformandosi nella Old Je-rusalem Bagel Company, gettando alle ortiche il vecchio algorit-mo e sfornando ciambelle di pane bruciacchiate e irregolari. Mi ordinarono di conferire un aspetto antiquato al sito, un compito che mi pesò parecchio e che non mi fece guadagnare nessun pre-mio dell’AIGA. Il budget di marketing si ridusse fino a scompari-re. C’era sempre meno da fare. Non imparavo più niente e non stavo andando da nessuna parte.

Alla fine la coppia si arrese, trasferendosi in Costa Rica. I forni si spensero e il sito si oscurò. Zero liquidazione, ma almeno non mi tolsero il MacBook aziendale e l’account di Twitter.

Così, dopo meno di un anno di impiego, mi ritrovai a spasso. Venni a scoprire che la recessione non interessava soltanto l’indu-stria alimentare. La gente viveva nei motel e nelle tendopoli. L’in-tera economia del Paese si trasformò in un gioco delle sedie e mi convinsi che avrei dovuto aggiudicarmi un posto qualsiasi in tutta fretta.

Quando considerai la competizione venni preso dallo sconfor-

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to. Avevo amici designer che avevano già progettato siti famosi nel mondo intero o interfacce touch screen avanzate, non il logo del-l’ul ti mo arrivato specializzato in bagel. Avevo conoscenze che la-voravano alla Apple. Neel, che per me era come un fratello, aveva un’azienda tutta sua. Un altro anno alla NewBagel e avrei spaccato l’universo, mentre invece non avevo avuto abbastanza tempo per farmi un portfolio decente o eccellere in qualcosa di particolare. Potevo solo sfoggiare la mia tesi sul l’ar te tipografica svizzera, dal 1957 al 1983, e un sito internet di tre misere paginette.

Comunque, continuai a compulsare gli annunci di lavoro. Le mie pretese iniziali subirono un vertiginoso tracollo. Al l’ini zio mi ero imposto che avrei lavorato unicamente per un’azienda con un obiettivo nel quale credevo. Poi pensai che non era così fonda-mentale, a patto di imparare qualcosa di nuovo. Subito dopo deci-si che non doveva essere una società dai fini malvagi. Alla fine, mi sorpresi a ridefinire il mio personale concetto di male.

Fu la carta a salvarmi. Appurai che riuscivo a concentrarmi nel-la ricerca di un’occupazione se mi scollavo da internet, e così presi l’abitudine di stampare una risma di annunci, chiudere il cellulare in un cassetto e andare a passeggio. Appallottolavo le inserzioni che richiedevano eccessiva esperienza e le gettavo nei cestini am-maccati dei rifiuti lungo il cammino; tempo di esaurire le energie e di saltare su un autobus alla volta di casa, e avevo tre opzioni promettenti piegate nella tasca posteriore dei pantaloni, pronte per essere verificate.

Quella routine quotidiana mi fruttò un lavoro, ma in maniera imprevista.

San Francisco è un’ottima città per le lunghe camminate, a pat-to di avere un paio di gambe robuste. È un piccolo quadrato pun-teggiato di colline e circondato su tre lati dal l’ac qua; di conseguen-za, non mancano panorami stupendi e inattesi. Magari uno sta passeggiando, pensando ai fatti suoi con un mazzetto di stampate,

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e di colpo il terreno si appiana e si riesce a vedere giù fino alla baia, con gli edifici illuminati di arancio e di rosso lungo la strada. Lo stile architettonico di San Francisco non ha attecchito in nessun’al-tra parte d’America, e anche quando ci abiti e ci sei abituato, è ca-pace di conferire al paesaggio un aspetto strano e particolare: le fi-le di case strette, con le finestre come occhi e denti, gli arabeschi tipo quelli di una torta nuziale. E a incombere sul resto, se sei ri-volto nella direzione giusta, lo spettro rugginoso del ponte del Golden Gate.

Avevo imboccato una curiosa strada panoramica giù da una se-rie di ripide scalinate, costeggiando l’oceano e allontanandomi pa-recchio da casa. Avevo seguito la fila di vecchi moli, evitando cau-tamente il baccano assordante del Fisherman’s Wharf e osservan-do i ristoranti di pesce scomparire lentamente, sostituiti da cantie-ri nautici e poi dalle startup di social media. Alla fine, con lo sto-maco che borbottava e reclamava il pranzo, avevo fatto dietro-front verso la città.

Quando passeggiavo per San Francisco, non mi lasciavo mai sfuggire i cartelli delle offerte di impiego appesi in vetrina: una co-sa che è meglio evitare, giusto? Avrei dovuto mostrarmi più so-spettoso al riguardo. I datori di lavoro seri usano servizi tipo Craigslist.

Naturalmente, la Libreria Sempre Aperta aveva un’aria abba-stanza equivoca.

CERCASI COMMESSOTurno di notte

Competenze specificheBuoni incentivi

Allora: ero piuttosto sicuro che sotto la denominazione « libreria sempre aperta » si nascondesse qualcosa. Ero su Broadway, in una

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zona della città che amava gli eufemismi. Il mio giro a caccia di un impiego mi aveva portato parecchio lontano dalla mia tana: il lo-cale a fianco si chiamava Spacco’s e aveva un’insegna al neon ani-mata con due gambe che si accavallavano.

Spinsi la porta a vetri del negozio. Una campanella tintinnò cri-stallina sopra la mia testa mentre entravo con circospezione. Sul momento, non mi resi conto dell’importanza della soglia che ave-vo appena varcato.

Al l’in ter no: immaginate la forma e le dimensioni di una nor-male libreria, ma adagiata su una parete. Quel posto era spavento-samente stretto e vertiginosamente alto, con gli scaffali che arriva-vano fino al soffitto: tre piani di volumi e forse anche di più. Piegai il collo al l’in die tro (perché le librerie ti obbligano sempre ad assu-mere posizioni scomodissime con il collo?). I ripiani si confonde-vano con le ombre, sembrando proseguire all’infinito.

Con pochissimo spazio a separarli, mi sentii come sul limitare di una foresta: non un accogliente boschetto californiano, ma un’antica selva della Transilvania, zeppa di lupi e di streghe e di banditi armati di pugnale al riparo dal chiarore lunare. Agli scaffa-li erano fissate scale su ruote che si spostavano da un lato al l’al tro. In genere sono graziose, ma lì, dove salivano minacciose verso le tenebre, erano stranamente malauguranti. Parevano suggerire possibili incidenti celati dal l’o scu ri tà.

Così me ne restai buonino nella parte anteriore del negozio, dove il sole di mezzogiorno penetrava con il suo splendore, forse tenendo i lupi alla larga. Il muro attorno e sopra alla porta era di vetro, con grandi pannelli quadrati inseriti in una griglia di ferro nero; ad attraversarli, una scritta ad arco che in enormi lettere do-rate recitava (al contrario):

LA LIBRERIA SEMPRE APERTA DEL SIGNOR PENUMBRA

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Poco sotto, nello spazio lasciato vuoto dall’insegna, un simbolo: due mani con i palmi all’insù che spuntavano da un libro spalan-cato.

Dunque, chi era il signor Penumbra?« Salve », disse una vocina sul fondo. Lentamente si delineò la

sagoma di un uomo, magro e alto quanto una delle scale, infagot-tato in una camicia botton down grigio chiaro e un cardigan blu. Avanzava barcollando, reggendosi ai ripiani con le lunghe dita. Quando uscì dall’ombra, mi accorsi che aveva gli occhi dello stes-so colore del maglione, sprofondati in una ragnatela di rughe. Era molto vecchio.

Mi salutò con un cenno del capo e un debole gesto della mano. « Che cosa stai cercando tra questi scaffali? »

Una grande frase d’esordio che, per qualche motivo, mi fece sentire a mio agio. « Lei è il signor Penumbra? »

L’uomo annuì. « In persona. E sono il custode di questo luogo. »« Sto cercando un lavoro », risposi quasi senza rendermene

conto.Penumbra strizzò gli occhi, annuì di nuovo e proseguì trabal-

lante fino a una scrivania di fianco al l’in gres so. Era un blocco uni-co di legno screziato di nero, una solida fortezza sul limitare della foresta. Se gli scaffali fossero stati invasi da eventuali nemici, avrebbe resistito all’assedio per giorni interi.

« Un impiego. » Il vecchio assentì per la terza volta di seguito. Scivolò su una sedia, fissandomi da dietro il gigantesco scrittoio. « Hai mai lavorato in una libreria? »

« Be’, quando ero a scuola ho fatto il cameriere in un ristorante di pesce, dove il proprietario vendeva il suo ricettario. » Si intitola-va Il codice segreto del merluzzo e conteneva trentun suggerimenti diversi per preparare... insomma, avete già capito. « Però non cre-do che conti. »

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« No, in effetti, ma non ha importanza. Passate esperienze nel settore librario non ti saranno di grande aiuto, non qui. »

Un attimo: magari non mi ero sbagliato e quel negozio era dav-vero stipato di volumi erotici. Diedi una sbirciata attorno, senza notare traccia di libri osé per signore sole o uomini annoiati. Vici-no a me, da un tavolino basso si alzava una pila polverosa di ro-manzi di Dashiell Hammett. Un ottimo segno.

« Dimmi », continuò lui, « qual è il tuo libro preferito? »Avevo la risposta pronta. Non c’era storia. « Signor Penumbra,

non è uno solo, ma una trilogia. Non è scritta benissimo e forse è troppo lunga e la fine è tremenda, ma l’ho letta tre volte, e ho in-contrato il mio miglior amico perché entrambi ne eravamo appas-sionati in prima media. » Tirai il fiato. « Il mio libro preferito è Le cronache del canto del drago. »

Penumbra inarcò un sopracciglio e poi sorrise. « Bene, molto bene. » Le sue labbra si allargarono, mettendo in mostra due file di denti serrati e bianchissimi.

Strizzò di nuovo le palpebre, squadrandomi. « Ma sei capace di salire su una scala? »

Ed è così che mi ritrovo al terzo piano, solo che non ci sono piani, della Libreria Sempre Aperta Del Signor Penumbra. Il volume che sono stato incaricato di recuperare si intitola AL-ASMARI ed è al-la mia sinistra, lontano dalla mia portata. Devo ritornare a terra e spostare la scala. Ma dabbasso Penumbra continua a urlare: « Al-lungati, ragazzo mio! Allungati! »

Accidenti, già amo questo lavoro.

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I bottoni del cappotto

Tutto ciò accadeva un mese fa. Ormai sono l’addetto al turno di notte del negozio e mi arrampico sulla scala meglio di una scim-mia. Ho imparato la tecnica giusta. La fai scivolare in posizione, blocchi le ruote, pieghi le ginocchia e salti direttamente sul terzo o quarto piolo. Ti aiuti con le braccia per non perdere lo slancio e in un attimo sei a un metro e mezzo da terra. Salendo, guardi dritto di fronte a te, né su né giù; metti a fuoco un punto a una trentina di centimetri di distanza, lasciando che le costole dei libri ti scor-rano davanti in un alone confuso e variopinto. Conti mentalmente il numero degli scalini e, quando hai raggiunto il ripiano giusto, afferri il volume che sei venuto a recuperare... e, naturalmente, ti sporgi e ti allunghi.

Come competenza professionale, forse sarà richiesta meno del design dei siti web, ma credo sia più divertente e comunque non posso permettermi di fare lo schizzinoso.

Mi piacerebbe usare il mio nuovo talento con maggiore fre-quenza. La libreria non resta aperta ventiquattr’ore su ventiquat-tro per soddisfare le esigenze di un numero stratosferico di clienti. In realtà non ce n’è quasi nessuno, al punto che talvolta mi sento un guardiano notturno e non un commesso.

Penumbra commercia in libri usati, tutti in ottime condizioni, praticamente nuovi. Li compra durante il giorno e, in quanto tito-lare, è l’unico responsabile degli acquisti. Deve essere un osso duro, che non bada molto ai titoli in testa alle classifiche. Dispone di un catalogo variegato, senza uno schema o un criterio al di là dei suoi gusti personali. Così niente maghetti o poliziotti vampiro. Peccato, perché il suo è il tipo di negozio che ti spingerebbe a comprare un romanzo con un maghetto, se non addirittura a diventarlo.

Ne ho discusso con gli amici e un paio di loro hanno fatto un salto a sbirciare affascinati gli scaffali o a osservarmi raggiungerne

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le vette polverose. In genere li convinco a portarsi a casa qualcosa, uno Steinbeck, un’antologia di Borges, uno spesso Tolkien, autori che sicuramente interessano Penumbra, visto che ne ha in inven-tario le opere complete. Come minimo, rifilo alle mie conoscenze una cartolina dalla pila sopra la scrivania del l’in gres so. Sul davan-ti, la facciata del negozio disegnata con pennino e inchiostro, uno stile senza sfumature talmente antiquato e sorpassato da essere tornato nuovamente di moda. Costano un dollaro l’una.

Però, qualche verdone ogni paio d’ore non basterebbe a garan-tirmi lo stipendio. A volte mi chiedo come Penumbra faccia a pa-garmi o a tenere in piedi la baracca.

... la storia continua in tutti gli store e le librerie

www.ilsegretodellalibreria.com

Licenza edgt-37-106092-b1195060-9788863807738 rilasciata il 03 gennaio2014 a _

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Una piccola libreria di San FranciscoRobin Sloan

EAN: 9788863807738

Copia data in licenza a_

Questa pubblicazione è stata acquistata il 3 gennaio2014

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