Una lettera in cerca d’autore

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Una lettera in cerca d’autore J. Shearmann: attr. a B. Castiglione 1) le impronte stilistiche 2) il movente 3) un precedente: l’Elegia qua fingit Hippolyten suam ad se ipsum scribentem Analisi dell’Elegia (contenuti, fonti e modelli) e confronto con una lettera ‘vera’ (Cast. a Ippolita Torelli, 31 agosto 1519) La deposizione di A. Tebaldeo (Voi l’inchiostro / per lui spendete) 1) il carme di Cast. De morte Raphaelis pictoris 2) la letteratura in morte di Raffaello Christof Thoenes: attr. a L. Dolce 1) Il genere epistolare nel 500 2) La lettera in versi: i modelli classici, gli esempi moderni 3) La lettera a nome d’altri 4) La lettera fittizia 5) L. Dolce su Raffaello (e

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Una lettera in cerca d’autore• J. Shearmann: attr. a B. Castiglione

1) le impronte stilistiche2) il movente3) un precedente: l’Elegia qua fingit Hippolyten suam

ad se ipsum scribentem• Analisi dell’Elegia (contenuti, fonti e modelli) e confronto con

una lettera ‘vera’ (Cast. a Ippolita Torelli, 31 agosto 1519)• La deposizione di A. Tebaldeo (Voi l’inchiostro / per lui

spendete)1) il carme di Cast. De morte Raphaelis pictoris2) la letteratura in morte di Raffaello

• Christof Thoenes: attr. a L. Dolce1) Il genere epistolare nel 5002) La lettera in versi: i modelli classici, gli esempi moderni3) La lettera a nome d’altri4) La lettera fittizia5) L. Dolce su Raffaello (e Michelangelo)

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Properzio, El. IV 3

Haec Arethusa suo mittit mandata Lycotae, /cum totiens absis, si potes esse meus. /Si qua tamen tibi lecturo pars oblita derit, /haec erit e lacrimis facta litura

meis.

Castiglione, Elegia qua fingit Hippolyten suam ad se ipsum scribentem

Hippolyte mittit mandata haec Castilioni; /

addideram imprudens, hei mihi , paene suo. /Te tua Roma tenet, mihi quam

narrare solebasunam deliciam esse hominum

atque deum.

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Castiglione, Elegia qua fingit Hippolyten suam ad se ipsum scribentem

Sola tuos vultus referens, Raphaelis imagopicta manu curas allevat usque meas.Huic ego delicias facio arrideoque iocorque;alloquor et tamquam reddere verba queat.Assensu nutuque mihi saepe illa videturDicere velle aliquid, et tua verba loqui (vv. 27-32).

Quid queror? en tua scribenti mihi epistola venit,grata quidem, dictis si modo certa fides;te nostri desiderio languere, pedemquequam primum ad patrios velle referre lares;torquerique mora, sed magni iussa Leonisiamdudum reditus detinuisse tuos (vv. 67-72).

Aut iubeat te iam properare ad moenia Mantus,aut me Romanas tecum habitare domos.Namque ego sum sine te, veluti spoliata magistrocymba, procellosi quam rapit unda maris (vv. 89-92).

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B. Castiglione, Lettera alla moglie Ippolita Torelli1Se voi stesti, consorte mia chara, dieceotto giorni che non havestive mie lettere, io in quel tempo non steti mai quattro hore che non pensasse di voi. Dippoi so pur che havete hauto spesso mie lettere, che ho riffatto li danni; ma voi non fate già così, che non me scrivete se non quando non sapete che far altro. 2Vero è che questa ultima vostra lettera è assai ben lunga, lodato sia Dio, ma ve rimettete ch’io mi faccia dire al Co. Ludovico quanto voi mi amate. 3Serebbe bono ch’io volesse che voi anchor vi facesti dire al papa quanto io amo voi, che certo tutta Roma lo sa: di sorte che ognuno mi dice ch’io sto disperato e di mala voglia, perché non sono con voi; et io non ge lo niego, ma vorrebbono ch’io mandassi a Mantua a torvi, e condurvi qui a Roma. Pensate voi se gli volete venire, et avisatimelo.4Avisatime senza burla se volete ch’io vi porti qualche cosa, che vi piaccia; non restarò già io di portarvi, ma harei a caro di sapere quello che vi piace, perch’io serò lì una mattina che non ve ne acorgerete e troveròvi in letto; e voi mi vorrete poi dare ad intendere che la notte vi serete sognata di me, ma non serà vero niente. Io non posso per anchor dirvi el dì della mia partita, ma spero ch’el serà presto.5Fra tanto racordative di me, et amatime, ch’io di voi sempre mi racordo, e vi amo assaissimo, e più che non dico, e me vi raco.do con tutto el core.In Roma, a l’ult.o di Agosto MDXIX.

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B. Castiglione, De morte Raphaelis pictoris

Quod lacerum corpus medica sanaverit arte,Hippolytum Stygiis et revocarit aquis, Ad Stygias ipse est raptus Epidaurius undas:Sic pretium vitae mors fuit artifici. Tu quoque dum toto laniatam corpore RomamComponis miro, Raphael, ingenio: Atque Urbis lacerum ferro, igni, annisque cadaverAd vitam, antiquum iam revocasque decus; Movisti superûm invidiam; indignataque Mors est,Te dudum exstinctis reddere posse animam: Et quod longa dies paullatim aboleverat, hoc teMortali spreta lege parare iterum. Sic miser heu prima cadis intercepte iuventa;Deberi et Morti nostraque nosque mones.

Poiché aveva curato il corpo malato con l’arte medica, e aveva persino richiamato Ippolito dalle acque del fiume Stige, Asclepio/Esculapio (dio della medicina, nativo di Epidauro) stesso fu rapito e portato alle acque dello Stige. Così il prezzo della vita fu la morte per l’artefice. Anche tu, Raffaello, mentre risanavi con mirabile ingegno Roma, mutilata in tutto il suo corpo, e il cadavere della città dilaniato dalle armi, dal fuoco e dagli anni, richiamavi alla vita e all’antico onore, hai suscitato l’invidia degli dei, e anche la morte si è indignata che tu potessi restituire vita agli estinti, e che ciò che il lungo tempo a poco a poco aveva consumato, tu potessi rinnovare, a dispetto della legge della morte. Così tu muori miseramente, troncato nella prima giovinezza, e ci ricordi che noi e le nostre cose siamo destinati alla morte.

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Hor., Ars poetica, vv. 60-63

Vt siluae foliis pronos mutantur in annos,prima cadunt, ita uerborum uetus interit aetas,et iuuenum ritu florent modo nata uigentque.Debemur morti nos nostraque. Trad. it. Come le foreste mutano le foglie alla fine di ogni anno, / e le prime cadono, così l’età invecchiata delle parole giunge al termine, / e le ultime nate fioriscono come i giovani e hanno vigore. / Noi e le nostre cose siamo destinati alla morte.

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Francesco Maria Molza, In mortem Raphaelis Urbini… canzone

Al secol nostro è spentasua magior luce, e tolto il suo più raroornamento, e ’l gentil fermo riparoonde sperava, o dura morte e fella,Italia diventar più che mai bella.Ma in prima l’onorata e nobil Roma,ch’egli con l’alto ingegno e più ch’umanodispost’era a tornar nella grandezache dal magiore Augusto e da Traianoe dai lor successori anco si noma,e mostrare la beltate e la chiarezach’ella ritenne infin che di sua altezalasciò caderla Onorio, il cui difectola strada aperse a mille altre ruine,alle quai ponea finequesti, a cui non fu mai pare architecto.

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A. Tebaldeo (?), Epigrammi in morte di Raffaello

De Raphael pictoreQuid mirum si qua Christus tu luce peristi?Naturae ille deus, tu deus artis eras. De eodemIlle hic est Raphael, timuit quo sospite vinciRerum magna parens, et moriente mori.