UNA CAPITALE ALLO SPECCHIO / A CAPITAL IN...

19
ROMA CAPITALE-ASSESSORATO CULTURA CREATIVITÀ E PROMOZIONE ARTISTICA ARCHIVIO STORICO CAPITOLINO – MUSEO DI ROMA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE CROMA-CENTRO DI ATENEO PER LO STUDIO DI ROMA TREVI UNA CAPITALE ALLO SPECCHIO / A CAPITAL IN THE MIRROR a cura di / edited by Giuseppe Stemperini e Carlo M. Travaglini Catalogo della mostra / Exhibition catalogue Museo di Roma in Trastevere, 10 ottobre 2014 – 11 gennaio 2015 C RO MA CENTRO PER LO STUDIO DI ROMA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE

Transcript of UNA CAPITALE ALLO SPECCHIO / A CAPITAL IN...

ROMA CAPITALE-ASSESSORATO CULTURA CREATIVITÀ E PROMOZIONE ARTISTICAARCHIVIO STORICO CAPITOLINO – MUSEO DI ROMA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRECROMA-CENTRO DI ATENEO PER LO STUDIO DI ROMA

TREVIUNA CAPITALE ALLO SPECCHIO / A CAPITAL IN THE MIRROR

a cura di / edited by

Giuseppe Stemperini e Carlo M. Travaglini

Catalogo della mostra / Exhibition catalogueMuseo di Roma in Trastevere, 10 ottobre 2014 – 11 gennaio 2015

CROMACENTRO PER LO STUDIO DI ROMA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE

ROMA CAPITALE

IGNAZIO ROBERTO MARINO

Sindaco

GIOVANNA MARINELLI

Assessore alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica

GABRIELLA ACERBI

Direttore Dipartimento Cultura

CLAUDIO PARISI PRESICCE

Sovrintendente Capitolino ai Beni Culturali

Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali

Servizio Comunicazione e Relazioni EsterneRenata Piccininni, ResponsabileTeresa Franco

Servizio Mostre e Attività Espositive e CulturaliFederica Pirani, ResponsabileMonica Casini

Isabella Colucci

Direzione MuseiClaudio Parisi Presicce, Direttore

Musei d’Arte Medievale e ModernaPier Luigi Mattera, Dirigente

Museo di Roma in TrastevereSilvana Bonfili, ResponsabileAlfonsa Riverso

Giuseppe Castelli

Direzione Tecnico Territoriale eU.O. Tecnica di ProgettazioneMaurizio Anastasi, Direttore

Servizio Progetti di riuso e allestimenti musealiRoberta Rosati, Responsabile

AllestimentiLucia Pierlorenzi

Simonetta De Cubellis

Museo di Roma in Trastevere10 ottobre 2014 – 11 gennaio 2015

CROMACENTRO PER LO STUDIO DI ROMA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE

TREVIUNA CAPITALE ALLO SPECCHIO

IDEAZIONE E REALIZZAZIONE MOSTRA

Mostra e catalogo a cura diGiuseppe Stemperini

Carlo M. Travaglini

CROMA-Università Roma Tre

Carlo M. Travaglini, PresidenteGiulia Caneva, Direttore

Musei d’Arte Medievale e Moderna

Pier Luigi Mattera, Dirigente

Archivio Storico Capitolino

Mariarosaria Senofonte, Dirigente

Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana

ORGANIZZAZIONE MOSTRA

Zètema Progetto Cultura

Albino Ruberti, Amministratore Delegato

Roberta Biglino, Direttore Generale

CoordinamentoRenata Sansone con Nadia Mauro

Promozione e ComunicazioneGiusi Alessio, Ufficio StampaLuisa Fontana con Valeria Amantini, Promozione Elisabetta Giuliani, Responsabile Relazioni Pubbliche e Fund Raising con Marta Barberio Corsetti e Eleonora Vatielli

CollaborazioniAeronautica Militare-Ufficio Generale per la Comunicazione-Sezione Produzione

Audiovisivi

Aeronautica Militare-Ufficio StoricoAmerican Academy in Rome

Archivio Armando Brasini

Archivio Centrale dello Stato

Archivio di Stato di Roma

Archivio Milton Gendel

Archivio Storico ed Audiovisuale del Teatro

dell’Opera di Roma

Atac-Archivio Storico FotograficoBiblioteca dell’Accademia Nazionale dei

Lincei e Corsiniana

Biblioteca del Ministero delle Infrastrutture

e dei Trasporti

Biblioteca di Storia Moderna e

Contemporanea

Biblioteca Nazionale Centrale di Roma

British School at Rome

Fondazione Bruno Zevi

Fondazione Marco Besso

Fondazione Primoli

Ispra-Istituto Superiore per la Protezione e

la Ricerca Ambientale

Istituto Centrale per il Catalogo e la

Documentazione-Gabinetto Fotografico Nazionale

Istituto Centrale per il Catalogo e la

Documentazione-Aerofototeca Nazionale

Istituto Luce

Istituto Nazionale per la GraficaRai Teche

Roma Capitale-Gabinetto del Sindaco,

Archivio FotograficoRoma Capitale-Museo di Roma

Soprintendenza Archivistica per il Lazio

Comitato scientificoAgostino Attanasio, Archivio Centrale dello Stato, SovrintendenteTen. Col. Massimiliano Barlattani, Archivio Storico dell’Aeronautica Militare, Responsabile Kimberly Bowes, American Academy in Rome, DirettoreSimonetta Buttò, Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea, DirettoreMassimo Colesanti, Fondazione Primoli, PresidenteAndrea De Pasquale, Biblioteca Nazionale Centrale Roma, DirettoreMaria Antonella Fusco, Istituto Nazionale per la Grafica, DirettorePatrizia Gori, Archivio Storico Capitolino, responsabile Archivi PostunitariMarco Guardo, Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana, DirettoreEugenio Lo Sardo, Archivio di Stato di Roma, DirettoreMaria Lia Lumbroso, Fondazione Marco Besso, Consigliere DelegatoPier Luigi Mattera, Musei d’Arte Medievale e Moderna, DirigenteLaura Moro, Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, Direttore Claudio Parisi Presicce, Sovrintendente Capitolino ai Beni CulturaliChristopher Smith, British School at Rome, DirettoreDonato Tamblé, Soprintendenza Archivistica per il Lazio, Soprintendente

Comitato di redazioneElena Berardi, ICCD-GFNValerio Birindelli, borsista CROMAPaola Buia, ASCAlessandra Capodiferro, AARMarco Cavietti, borsista CROMALavinia Ciuffa, AARMaria Pia Critelli, BSMCFrancesca Curti, borsista CROMAAngela Maria D’Amelio, MRAFMaria Teresa De Nigris, ASCSilvia Fasoli, FPAntonella Ferro, FMBVincenzo Frustaci, ASCElisabetta Giffi, INGAlessandra Giovenco, BSRAlma Kumbaric, borsista CROMAFlavia Lorello, ACSMaria Emanuela Marinelli, SALFlavia Marino, ATACAntonio Martini, FMBPaola Puglisi, BNCRPaola Puzzuoli, ACSElisabetta Reale, SALFrancesco Russo, borsista CROMAElizabeth Jane Shepherd, ICCD-AerofototecaGiuseppe Stemperini, Università Roma TreCarlo M. Travaglini, Università Roma TreOrietta Verdi, ASR

Progetto allestimentoFilippo Tomassetti

Progetto grafico catalogo e comunicazione Emiliano Martina

con la collaborazione di con il contributo tecnico di organizzazione

la mostra è inserita nel sistema

Coordinamento sezione film d’epocaEmiliano Martina

Ottimizzazione immaginiAndrea Bultrini

Si ringraziaMarcello Armeni, FMBLaura Bassotti, FMBPatrizia Cacciani, ASLFrancesca Maria Cadin, Rai Teche

Matteo Chiocchi, Rai Teche

Myriam D’Andrea, ISPRAPino D’Errico, BNCRSerena Dainotto, ASRBarbara Drudi, GendelAlessandra Fallanca, BMITPatrizio Gianferro, BSRMarco Girella, GSMihaela Ilie, borsista CromaLuisa Jacini, BNCRKeti Lelo, CROMABaldassare Mazza, GSEmanuela Parisi

Stefania Peterlini, BSRStefania Piersanti

Caterina Pittini, FBZElisabetta Procida, AABChiara Ravizza, ATACFrancesco Reggiani, ASATORCarla Rivolta, FMBMonica Sinatra, borsista CromaAlessandro Vasari, FVR

Coordinamento ricerca bibliograficaDaniela Bruni

Federica Stramaglia

TraduzioniElizabeth Bevan

Justin Bradshaw

Segreteria redazione CROMAAnna Rosa Angiò

Simona Bultrini

Giorgio Fizzotti

Sabina Mittiga

Coordinamento amministrativo CROMANicoletta Carducci

Salvatore Tricoli

SOMMARIO

IntroduzioneCarlo M. Travaglini

Trasformazioni del tessuto urbano

A - L’affermarsi di Trevi nel periodo pontificio a cura di C.M. Travaglini e O. VerdiB - La costruzione di Roma capitale 1870-1911 a cura di F. Russo e G. Stemperini C - Dal Piano Sanjust al Secondo dopoguerra a cura di V. Birindelli

Assi direzionali e luoghi centrali

D - Dalla stazione Termini a piazza Venezia a cura di G. Stemperini e O. VerdiE - Via del Corso e piazza Colonnaa cura di M. CaviettiF - Porta Pia e via XX Settembre a cura di F. RussoG - Piazza Barberinia cura di F. CurtiH - Via del Tritone e il Traforo Umberto I a cura di M. Cavietti

Letture tematiche

I - I luoghi del poterea cura di V. Birindelli e M. CaviettiL - La simbologia degli spazi a cura di F. RussoM - Informazione e culturaa cura di V. BirindelliN - Turismo e commercio a cura di G. StemperiniO - I giardini storici a cura di G. Caneva e A. KumbaricP - Fontane e acque a cura di F. Curti

Cronologiaa cura di V. Birindelli

Istituti culturali ed enti. Archivi e documentazione fotografica

Bibliografiaa cura di D. Bruni e F. Stramaglia

Abbreviazioni

9

25

63

91

115

153

167

181

197

213

239

261

287

309

333

363

375

387

399

9

La mostra e il catalogo su Trevi costituiscono un nuovo con-tributo al progetto Atlante di Roma che da vari anni rappre-senta una sorta di cantiere al quale si riconducono molte delle attività del CROMA, generalmente sviluppate in collaborazione con Roma Capitale-Archivio Storico Capitolino-Museo di Roma e numerose altre istituzioni culturali, italiane e straniere. Inol-tre, vi è una continuità metodologica e progettuale con prece-denti iniziative che hanno riguardato altre zone della città, in particolare Testaccio-Ostiense1 e Trastevere2 o Roma nel suo complesso3.

La scelta di Trevi si pone in un ambito completamente diver-so da quello di precedenti zone della città prese in esame, ca-ratterizzate prevalentemente da opifici, infrastrutture di servizi, edilizia minore e popolare, limitato numero di emergenze, essen-zialmente di tipo ecclesiastico. La ricostruzione delle trasforma-zioni del rione Trevi propone una chiave di lettura del processo di costruzione di Roma Capitale e di modernizzazione della città, con uno speciale focus sul periodo tra il 1870 e gli anni Trenta del Novecento nel quale si realizzano alcune delle innovazioni più emblematiche che concorrono a definire l’identità della nuova capitale dell’Italia unificata.

Il riferimento territoriale è al rione Trevi nella sua configu-razione originaria, ovvero quella risultante dopo la nuova ri-partizione dei rioni effettuata intorno alla metà del Settecento, comprendente quindi gli attuali rioni Trevi e Sallustiano, con un’attenzione anche ad alcune zone attigue, in particolare quel-le della stazione Termini e di via Nazionale, la cui evoluzione è strettamente connessa a quella dell’asse strategico della via Pia, poi via XX Settembre, che diviene sede di fondamentali organi ed apparati dello Stato, a partire dal Quirinale.

La mostra è articolata in tre parti. La prima, di taglio crono-logico, è dedicata alla rappresentazione delle modificazioni del tessuto urbano dal periodo pontificio al secondo dopoguerra. La seconda è focalizzata su alcuni assi direzionali e luoghi centrali dell’area oggetto di studio: Dalla stazione Termini a piazza Vene-zia; Via del Corso e piazza Colonna; Porta Pia e via XX Settembre; Piazza Barberini; Via del Tritone e il Traforo Umberto I. La terza parte propone le seguenti letture tematiche: luoghi del potere; simbologia degli spazi; informazione e cultura; turismo e commer-cio; giardini storici; fontane e acque. Nell’ambito della mostra è stata esposta soltanto una selezione del materiale raccolto nel corso delle ricerche, mentre il volume offre una documentazio-ne più ricca delle tematiche trattate.

Desidero in questa sede sottolineare alcuni orientamenti assunti nell’impostazione del lavoro. Intanto la scelta di partire dalla seconda metà del Cinquecento per l’analisi dell’area presa in considerazione, in sostanza dall’epoca nella quale “Roma re-nasces” (sic, per renascens), come è emblematicamente indicato in un cartiglio della pianta di Mario Cartaro (infra fig. A1). Infat-ti, proprio in quella fase si pongono le fondamenta – attraverso l’avvio della nuova residenza papale al Quirinale e l’importante implementazione del rifornimento idrico della città, mediante la risistemazione e potenziamento dell’acquedotto dell’Acqua Ver-gine e l’attivazione dell’acquedotto Felice – di gran parte degli sviluppi successivi. Nel tempo il palazzo e la piazza del Quirinale avrebbero raggiunto un livello elevato di eleganza stilistica e urba-nistica, distinguendosi per l’armonia di prospetti ed arredi e una

coerente molteplicità di snodi e prospettive verso la città (figg. I-IV e infra sezione I). L’acqua poi ha sempre costituito una necessità e insieme una ricchezza per la città e quindi anche la sua abbon-danza una forma straordinariamente efficace di rappresentazio-ne, come evidenziano le mostre dei vari acquedotti e, in particola-re, la magnifica scenografia della fontana di Trevi (figg. V-VIII).

Una fase di passaggio importante sono gli anni Sessanta dell’Ottocento quando lo Stato pontificio è ridotto all’angusto “Stato del Lazio” e in molti operatori economici – romani e fore-stieri – sempre più diffusa diviene la consapevolezza dell’immi-nente fine del potere temporale e dell’apertura di una fase del tutto nuova per la città, che sollecita investimenti speculativi nelle aree verosimilmente più suscettibili di urbanizzazione. La localizzazione della principale stazione ferroviaria nelle adia-cenze delle Terme di Diocleziano e il progetto, ad opera di mons. de Mérode, di una grande arteria, via Nazionale, vengono a costi-tuire nuovi punti di riferimento per tutti gli operatori immobiliari e finanziari (infra sezioni B e D).

Strettamente connessa a questa fase sarebbe poi stata la decisione in ordine alla localizzazione dei grandi apparati buro-cratici che – al di là delle iniziali indispensabili soluzioni prov-visorie in via di emergenza – avrebbero dovuto caratterizzare la nuova e finalmente definitiva capitale del Regno. La scelta fu di collocare nei pressi del Quirinale – nuova Casa reale – sull’as-se della via Pia (o nelle immediate vicinanze), i grandi ministeri. Non si trattava semplicemente di seguire il modello napoleoni-co, quanto di realizzare un’operazione di assai più vasto respiro, appropriandosi di un luogo centrale e trasformandolo nel cuore del processo di sviluppo e di modernizzazione della città, come evidenzia tutta la cartografia relativa a progetti e realizzazioni del primo quarantennio post-unitario (infra figg. B2-5). Del resto, dopo la Breccia, l’asse della via Pia aveva assunto un carattere simbolico del tutto nuovo e il rione Trevi, insieme con l’adiacente via Nazionale, avrebbe finito per costituire, attraverso una com-plessa ritessitura delle connessioni tra vecchi e nuovi assi dire-zionali, il paradigma del processo di trasformazione materiale e culturale della città.

Varie altre questioni meriterebbero di essere richiamate, ma si rinvia alle sezioni del catalogo, che non intende costituire un sem-plice punto di arrivo di un lavoro concluso quanto sollecitare una discussione anche su Roma contemporanea, promuovere cioè una sorta di laboratorio virtuale sulla città, di cui si avverte l’esigenza per riannodare un dialogo tra passato, presente e futuro che, specie a Roma, è importante che rimanga sempre vivo ed operoso.

Carlo M. Travaglini

1 Un patrimonio urbano tra memoria e progetti. Roma. L’area Ostiense-Te-staccio, Catalogo della mostra (Roma, Istituto Superiore Antincendi, 26 giu-gno-15 ottobre 2004), a cura di C.M. Travaglini, Roma-Città di Castello, Univer-sità Roma Tre- Edimond, 2004.

2 Trastevere. Società e trasformazioni urbane dall’Ottocento ad oggi, Cata-logo della mostra (Roma, Museo di Roma in Trastevere e American Academy in Rome, 14 dicembre 2007-24 marzo 2008), a cura di K. Lelo-C. Mazzarelli-G. Stemperini-C.M. Travaglini, Roma, CROMA-Università Roma Tre, 2007.

3 Roma dall’alto, a cura di M.F. Boemi-C.M. Travaglini, Roma, CROMA-Univer-sità Roma Tre, 2006.

Introduzione

25

L’affermarsi di Trevi nel periodo pontificio

Questa sezione è stata inserita nella mostra come una sorta di proemio, per segnalare, attraverso la cartografia e le testi-monianze iconografiche, lo sviluppo nel lungo periodo di questa parte della città legato soprattutto a particolari valenze mor-fologiche, ambientali e storiche del rione e all’azione di alcuni pontefici che, attraverso una serie di innovazioni e trasforma-zioni urbane (in particolare l’accrescimento del rifornimento idrico, l’estensione e la razionalizzazione della rete stradale, la creazione e il progressivo ampliamento della nuova sede papale e la promozione di varie opere pubbliche), lo determinarono.

Come si rileva a prima vista da un esame della pianta gran-de del Cartaro1, il territorio cittadino, racchiuso dalla cinta delle Mura Aureliane, era edificato solo in piccola parte e la popola-zione si concentrava prevalentemente nell’ansa sinistra del Te-vere, nei rioni centrali di Ponte, Parione, Sant’Eustachio, Regola, Pigna e Sant’Angelo. Il resto dello spazio intramuraneo era occu-pato da vigne e orti, soprattutto dei grandi enti monastici e reli-giosi, e da ville nobiliari2 che, come una splendida e verdeggiante cintura, si distendevano sulle alture del Gianicolo, del Pincio, del Quirinale, del Viminale e dell’Aventino, ai margini delll’abitato. La popolazione della città, secondo fonti del 1526 e del 1545, era ancora relativamente contenuta ed era andata oscillando tra i circa 54.000 abitanti dell’epoca precedente il “Sacco” e i 45.000 abitanti del 1545, mentre si sarebbe incrementa sensibilmente nel corso della seconda metà del Cinquecento, raggiungendo nel 1601 la cifra di 105.000 abitanti3.

La pianta del Cartaro è di particolare interesse per l’epoca della sua edizione, il 1576, perché consente di rilevare, accanto alle caratteristiche prevalenti della morfologia urbana di Trevi, alcune significative innovazioni. Gli aspetti salienti del territorio del rione che si riscontrano nella mappa sono la concentrazione dell’edificato nella parte bassa del rione tra il Corso e le pendici del colle del Quirinale e la emblematica “centralità” della piazza dei Santi Apostoli, uno dei pochi toponimi evidenziati in pianta, piazza nella quale la potente famiglia dei Colonna possedeva il palazzo principesco e altre case, esercitando una consolidata egemonia. Nel complesso Trevi si presenta come uno dei rioni meno popolati della città e con un’amplissima superficie desti-nata a verde (giardini, orti e vigne).

Le innovazioni che il Cartaro registra si erano manifestate tra l’epoca successiva al “Sacco” (1527) e gli anni Settanta del Cin-quecento. La prima di esse, in ordine di tempo, aveva riguardato

una serie di interventi per il progressivo ripristino e l’incremen-to della portata dell’acquedotto Vergine, che furono condotti a compimento da Pio V (Antonio Ghislieri, 1566-1572) nel 1570, ed è interessante rilevare che, pur nella richiamata scarsità di riferimenti toponomastici, la pianta cita ampiamente l’«Aqua Virgo». L’altro importante segno rilevabile in pianta è dato dall’a-pertura nella cinta muraria della Porta Pia, in sostituzione del-la Porta Nomentana, e dalla creazione di un nuovo asse viario, sistemando ed ampliando il tracciato dell’antica Alta Semita fino alla nuova Porta Pia, strada che venne denominata «Pia» (odierne via del Quirinale e via XX Settembre) in onore del pon-tefice regnante: Pio IV (Giovanni Angelo Medici di Marignano, 1559-1565).

Infine, è già visibile in pianta il primo importante insediamento sul sito dell’attuale complesso del Quirinale: la villa e il giardino del cardinale Ippolito d’Este, passati poi, alla sua morte nel 1572, al nipote cardinale Luigi d’Este e quindi a Gregorio XIII (Ugo Boncompagni, 1572-1585), che nelle visite al giardino dei cardinali d’Este era rimasto colpito dalla bellezza del luogo, tanto da decidere di acquisire la villa per promuoverne la tra-sformazione in una nuova residenza papale.

Tutte le innovazioni che si sono qui ricordate avrebbero co-stituito il fondamento dei più rilevanti sviluppi e trasformazioni che avrebbero interessato Trevi fino a metà Settecento.

La grande pianta del Maggi del 16254, edita circa mezzo se-colo dopo quella del Cartaro, registra le novità importanti pro-dotte in modo quasi incalzante in questo intervallo temporale e riconducibili al segno indelebile lasciato da due pontefici: Sisto V (Felice Peretti, 1585-1590) e Urbano VIII (Maffeo Barberini, 1623-1644).

Sisto V, nel quadro del suo progetto di razionalizzazione della città, fece realizzare tra il 1585 e il 1586 un lungo asse viario, chiamato via Felice, che dal Pincio raggiungeva le importanti basiliche di Santa Maria Maggiore e di Santa Croce in Gerusa-lemme, tagliando perpendicolarmente la via Pia5.

Inoltre, la costruzione dell’acquedotto dell’Acqua Felice (cfr. infra la sezione Fontane e acque a cura di F. Curti) costituì un’im-portante premessa per l’espansione dell’abitato e per la realiz-zazione di una serie di opere pubbliche e di abbellimento del rione; l’imponente mostra fu posta all’angolo fra la via Pia e la strada che conduceva alla chiesa di Santa Maria degli Angeli. Con l’Acqua Felice furono alimentate le nuove quattro fontane,

26

raffiguranti il Tevere, l’Arno, Giunone e Diana, poste all’incrocio tra la via Pia e la via Felice (oggi, in quel tratto, via delle Quattro Fontane), e la fontana in piazza del Quirinale, che papa Peretti volle fosse collocata in posizione centrale rispetto alle due co-lossali statue dei Dioscuri che furono orientate verso la via Pia.

Infine, Sisto V, fatta acquistare dalla Camera Apostolica l’a-rea del Quirinale, nel 1589 incaricò il suo architetto di fiducia, Domenico Fontana, dell’ampliamento dell’edificio e a quest’e-poca risale la costruzione dell’ala sinistra.

Tra Seicento e Settecento numerosi furono i pontefici che vollero lasciare, grazie all’opera di architetti ed artisti, una loro particolare impronta nella nuova residenza papale, attraverso sia ulteriori ampliamenti e innovazioni sia un arricchimento de-gli interni, specie sotto il profilo decorativo.

Urbano VIII incaricò Gian Lorenzo Bernini della realizzazione della Loggia delle benedizioni e di una torre difensiva a sinistra del grande portale d’ingresso al palazzo, antistante la piazza. Tuttavia l’interesse di Urbano VIII per Trevi e l’area del Quirinale si manifestò in modo ancora più rilevante con l’acquisto di Villa Sforza per edificare in quel sito la nuova sfarzosa dimora della famiglia Barberini. La villa, collocata alle pendici del Quirinale e in posizione dominante rispetto alla sottostante piazza Grima-na, era andata assumendo, a seguito della creazione della via Felice, una nuova connotazione urbana6. Il palazzo, completato nel 1629, costituì un simbolo del nepotismo papale e, insieme ad altri interventi nell’area riguardanti la risistemazione della piazza, la creazione delle fontane del Tritone e delle Api, la fon-dazione della chiesa dei Cappuccini, posta all’inizio dell’attuale via Veneto, contribuì ad affermare un’egemonia dei Barberini su un’ampia zona di quella parte del rione, che si sarebbe riflettuta in tempi assai rapidi anche sulla denominazione della piazza, tanto che il nuovo toponimo – piazza Barberina a capo le case – viene registrato già dalla pianta di G.B. Falda del 16767.

Anche Alessandro VII (Fabio Chigi, 1655-1667) intervenne sul Palazzo del Quirinale, incaricando il Bernini della sistema-zione dell’alloggio degli Svizzeri sulla via Pia, la cosiddetta Ma-nica Lunga. Nel Settecento, Innocenzo XIII (Michelangelo Conti, 1721-1724) affidò all’architetto Alessandro Specchi il comple-tamento della Manica Lunga e la costruzione delle Scuderie del Quirinale, che sarebbero state poi completate da Ferdinando Fuga per volontà di Clemente XII (Lorenzo Corsini, 1730-1740). Sempre Clemente XII incaricò il Fuga della ricostruzione del Pa-lazzo della Consulta che venne portata a compimento nel 1737.

Alcune altre innovazioni tra Sei e Settecento riguardarono la via Pia, come la nuova chiesa di Sant’Andrea al Quirinale ideata dal Bernini e completata nel 1670. Del resto la crescente impor-tanza e centralità urbana del Palazzo del Quirinale, il Palazzo Barberini, gli assi viari della via Pia e della via Felice non poteva-no non sollecitare soggetti pubblici e privati a promuovere ulte-riori abbellimenti e significative innovazioni.

La pianta del Falda (fig. A22) mostra con grande chiarezza l’articolazione del tessuto urbano sia nella componente più tra-dizionale verso l’asse del Corso, sia intorno alle nuove polarità del Quirinale, della parte meridionale della via Pia, di via Felice e di piazza Barberini. La parte settentrionale del rione rimane sostanzialmente una zona verde che si esprime nei vari sottoin-siemi che questa definizione di sintesi sottintende. D’altra parte la zona verde si inserisce per certi aspetti ancora più profonda-

mente verso il cuore urbanizzato della città, nella parte del rione Monti confinante con Trevi, come evidenzia in modo molto det-tagliato anche un rilievo ad acquerello dell’area compresa tra la Madonna dei Monti e via di San Vitale (occupata dal monastero di S. Lorenzo in Panisperna e dai ruderi delle Terme di Agrippi-na), risalente al primo decennio del Seicento (fig. A23)8.

Infine, tra le grandi opere dell’età moderna destinate a con-traddistinguere in modo permanente l’identità del rione, una menzione a parte merita la fontana di Trevi, la nuova magnifica mostra dell’Acqua Vergine voluta da Clemente XII che riuscì con determinazione – anche individuando, in un momento non fa-cile per le finanze pontificie, nei proventi del gioco del lotto la indispensabile fonte di finanziamento – ad avviare finalmente la realizzazione di un’opera immaginata fin dalla prima metà del Seicento. I lavori di questo grande cantiere, iniziati nel 1732 sotto la direzione di Nicola Salvi, il cui progetto fu prescelto da papa Corsini, risultando vincitore del concorso architettonico appositamente bandito, si sarebbero conclusi trenta anni dopo nel 1762 e la fontana venne definitivamente inaugurata da Cle-mente XIII (Carlo Rezzonico, 1758-1769).

La pianta del Nolli (fig. A26)9 e la documentazione ad essa riconducibile, sulla base della quale è stata costruita la tavola I (p. 30), mostrano in modo estremamente incisivo la morfolo-gia del rione, specie nel rapporto tra edificato e zone verdi10, ed offrono un quadro di sintesi delle emergenze che erano andate caratterizzando Trevi e la zona confinante di Monti nel periodo pontificio.

Tuttavia, nonostante i vari importanti interventi ricordati, la morfologia della parte alta e, più in generale, di quella setten-trionale del rione non sarebbe cambiata in modo significativo nel secolo successivo e avrebbe mantenuto fino agli anni Ses-santa dell’Ottocento i caratteri che aveva acquisito negli anni Trenta del Seicento e definitivamente consolidato entro la prima metà del Settecento, come conferma tutta la cartografia sette-centesca ed ottocentesca fino al catasto urbano Pio-gregoriano.

Gli interventi che abbiamo segnalato fra XVI e XVIII secolo avrebbero comunque costituito dei punti di riferimento fonda-mentali e condizionanti di tutti gli sviluppi successivi, a partire dalla localizzazione della principale stazione ferroviaria ai mar-gini delle Terme di Diocleziano, in una porzione dell’area di Villa Massimo, all’ideazione del nuovo asse di via Nazionale, fino alle grandi trasformazioni connesse al nuovo ruolo di capitale del Regno d’Italia.

Carlo M. Travaglini e Orietta Verdi

1 M. Cartaro, Pianta di Roma (Novissimae urbis Romae accuratissima descriptio), 1576.

2 Le ville romane o “vigne” erano le residenze di campagna che eminenti prelati e nobili avevano fatto costruire a partire dal Cinquecento appena fuori dall’a-bitato, sui colli che circondavano la città e godevano del clima più salubre, fa-cendone delle vere e proprie piccole corti arricchite di straordinarie opere ar-tistiche e di statuaria antica, di giardini, parchi, fontane di rara bellezza; oltre alle notissime Villa Borghese, Ludovisi, Medici, Corsini, la Farnesina dei Chigi, se ne contano 152 di cui 93 ancora esistenti anche se mutilate e manomesse, 59 distrutte nel periodo successivo al 1870, cfr. I. BellI BarsalI, Ville di Roma, Milano, Rusconi, 1983.

3 K.J. BeloCh, Storia della popolazione d’Italia, Firenze, 1994.4 G. MaGGI, Iconografia della città di Roma, Roma, 16255 In realtà, nel particolare della carta del Maggi (fig. A6), il nuovo asse viario,

27

per le caratteristiche tecniche della pianta, risulta ben visibile solo nel tratto tra Santa Maria Maggiore e piazza Grimana (oggi piazza Barberini).

6 Sulla piazza e il Palazzo Barberini cfr. infra la sezione Piazza Barberini, a cura di F. Curti.

7 G.B. Falda, Nuova Pianta et alzata della città di Roma con tutte le strade, piaz-ze et edificii... come si trovano al presente nel pontificato di n.s. papa Innocentio XI ... , Roma, 1676.

8 Si tratta di un raro e finora inedito disegno acquerellato, tracciato dall’archi-tetto sottomastro di strade Matteo Pampani nel 1613, che mostra quale fosse all’epoca il rapporto tra spazi liberi e edificati nella porzione meridionale dell’a-rea del rione Monti nei pressi del confine con Trevi, tra via della Madonna dei Monti, via di S. Lorenzo in Panisperna e via di S. Vitale: gli edifici fiancheggiano solo l’angolo tra via Panisperna e via della Madonna dei Monti, mentre al centro del giardino del monastero di S. Lorenzo in Panisperna compaiono ben rilevate le vestigia delle Terme di Agrippina, definite in pianta «anticaglie del monastero di S. Lorenzo in Panisperna» (ASR, TNC, ufficio 8, vol. 45).

9 G.B. NollI, Nuova Pianta di Roma, 1748, immagine digitalizzata prodotta dal sistema informativo geografico elaborato dal CROMA (particolare).

10 Sulla base della pianta del Nolli, la parte edificata della città è calcolata pari solo al 41% della superficie entro le mura. Nel caso del rione Trevi la superficie urbanizzata è pari a poco più del 31% della superficie complessiva del rione. Cfr. K. Lelo, Nolli e la visione della città. Rigore ed estetica nella rappresentazione dello spazio urbano, in Roma nel Settecento. Immagini e realtà di una capitale attraver-so la pianta di G.B. Nolli, a cura di C.M. Travaglini-K. Lelo, 2 voll., Roma, CROMA-E-dilstampa, vol. I, pp. 3-41: p. 21.

63Con l’abbattimento delle poche decine di metri di Mura Aure-

liane tra Porta Pia e Porta Salaria, la mattina del 20 settembre 1870 si pose fine a quanto rimaneva del millenario Stato della Chiesa e si consentì al giovane Regno d’Italia di completare la propria espansione, oltre che geograficamente anche simbolica-mente. Quella che si presentava ai Piemontesi era una città so-stanzialmente cristallizzata in una struttura urbanistica conce-pita quasi tre secoli prima, lievemente movimentata dai progetti iniziati da Pio IX (1846-1878) e destinati a essere portati avanti sotto il nuovo governo. La Roma di metà Ottocento era una città policentrica, imperniata su una serie di “luoghi” che rappresen-tavano, ciascuno a suo modo, un aspetto del potere che ammini-strava l’Urbe: il Vaticano, il Quirinale, il Campidoglio e il Laterano. Un reticolo di strade, piazze, slarghi, rettifili fungeva da collega-mento tra queste differenti polarità, immerso in un ampio siste-ma di ville urbane custodite dalle mura imperiali che segnavano il limite della città da oltre quindici secoli. Molto spazio era dunque vuoto, mentre la popolazione si concentrava in alcune zone ben definite1.

Una simile conformazione non poteva rispondere alle esigen-ze della monarchia sabauda, costretta a portarsi a Roma il prima possibile. La legge che trasferiva la capitale da Firenze a Roma era stata approvata il 3 febbraio 1871 ma l’insediamento non fu dei più confortevoli. Già per prendere possesso del Palazzo del Quirinale, nuova residenza del re, era stato necessario chiama-re un fabbro e forzare la serratura: la distribuzione dei ministeri, dei due rami del Parlamento, dello Stato Maggiore dell’Esercito e delle altre istituzioni fu ugualmente complessa. Fin dall’inizio si pensò di utilizzare edifici preesistenti compresi nell’area del vecchio centro storico, in particolare quelli già appartenenti agli ordini religiosi, ma ben presto si pose la questione di valutare possibili alternative2. Fondamentalmente si trattava di stabilire quale tipo di sviluppo si sarebbe dovuto dare alla città: da un lato il ministro delle Finanze Quintino Sella difendeva l’idea di una so-vrapposizione della Roma italiana a quella papale, con l’ubicazio-ne dei palazzi amministrativi all’interno degli antichi rioni, con le inevitabili opere di adattamento, individuando nella via Pia l’idea-le asse di insediamento dei ministeri e riprendendo, almeno con-cettualmente, una prospettiva elaborata in età napoleonica con i progetti di Camille de Tournon; dall’altro lato si preferiva invece abbandonare completamente l’area dei sette colli, troppo carat-terizzata dal sistema politico precedente, e sfruttare gli ampi

spazi offerti dall’attuale quartiere Prati, dove si sarebbe potuta realizzare una cittadella ministeriale moderna, all’altezza delle nuove esigenze, come suggeriva anche il barone Georges-Eu-gène Haussmann, l’artefice della Parigi ottocentesca3. Prevalse la visione di Sella e si diede il via a un’intensa fase edilizia che in molti punti proseguiva le linee tracciate negli ultimi anni del po-tere temporale dei papi; tale continuità, tuttavia, non scevra da evidenti interessi speculativi, era caratterizzata dall’intreccio tra la proprietà fondiaria locale e i capitali provenienti dall’Italia set-tentrionale e dall’estero4.

I grandi cantieri furono avviati in maniera alquanto disordina-ta assecondando le varie esigenze del governo e già a partire dal 1871 cominciarono gli espropri delle aree dove sarebbero stati innalzati i monumentali ministeri delle Finanze e della Guerra, lungo il simbolico asse di via XX Settembre, anche se il piano di stabilire lungo l’intera strada tutti o buona parte degli edifici mi-nisteriali non ebbe gli sviluppi auspicati da Sella. Per il momento ci si accontentò di distribuire i vari uffici del governo negli immo-bili ritenuti più adatti, pur con una certa difficoltà.

Contemporaneamente si avviò un altro dei lavori principali, quello relativo al collegamento del centro cittadino con l’area di Termini, dove era già sorta la stazione ferroviaria. Si trattava di re-alizzare una confacente porta d’ingresso a Roma che rappresen-tasse la modernità della nuova nazione italiana. Portando avanti i progetti avviati tra il 1859 e il 1866 da mons. Francesco Saverio De Mérode, la nuova amministrazione, a partire dal 1871, com-pletò la realizzazione di via Nazionale, la principale arteria della capitale sabauda, da proseguire poi, mediante opportuni sventra-menti, sino al Tevere. Dopo alterne vicende e la presentazione di vari progetti, nel 1876 il Consiglio comunale di Roma decise di far sboccare la nuova via in piazza Venezia tramite i ripidi tornanti di via IV Novembre, salvando così l’area intorno alla fontana di Trevi, dove si era pensato in un primo momento di dirottare il tracciato5.

Di fronte a questo tumultuoso sviluppo arduo da governare, il Piano Regolatore del 1873, che come è noto non fu mai approva-to dal Parlamento e presentava dei limiti tecnici non trascurabili, tracciava le linee guida per la sistemazione dei ministeri e per lo sviluppo di alcune direttrici necessarie all’organizzazione dello spazio urbano, come l’attuale via XXIV Maggio, ideata per agevo-lare l’accesso alla reggia del Quirinale6.

Nei decenni seguenti, l’edificazione di via Nazionale catalizzò le attenzioni dell’amministrazione pubblica, intenzionata a far-

La costruzione di Roma capitale1870-1911

64

ne la vetrina del Paese. All’edilizia piuttosto semplice del tratto superiore, ravvivata dai grandi alberghi, si contrapposero le più solenni costruzioni della seconda metà della strada: nacquero il Palazzo delle Esposizioni (ideato da Pio Piancentini e inaugurato nel 1883) e il Palazzo della Banca d’Italia (edificato su progetto di Gaetano Koch tra il 1888 e il 1892), mentre lungo la discesa verso piazza Venezia venne realizzato il nuovo Teatro Drammatico Na-zionale (disegnato da Francesco Azzurri nel 1886).

Gli anni Ottanta videro, dunque, un vivace fermento che trovò riscontro anche nel Piano Regolatore finalmente approvato nel 1883. Il disegno degli anni Settanta fu pienamente confermato e si decise di realizzare anche un nuovo tracciato che, collegato a via Nazionale tramite un tunnel sotto il Quirinale, disimpegnas-se il traffico e lo incanalasse direttamente verso piazza Colonna, diventata oramai il vero centro della Roma italiana. Si trattò di effettuare dolorosi sventramenti e demolizioni, che incisero pe-santemente sul contesto della città. Via del Corso venne allarga-ta, mentre si procedette alla distruzione di un fitto reticolo viario per fare spazio all’attuale via del Tritone, sconvolgendo i delicati equilibri architettonici sei e settecenteschi. Tra le vittime illustri di questa operazione si contano Palazzo Poli, parzialmente demoli-to per fare spazio a via del Tritone, e Palazzo Piombino, sacrificato all’espansione di via del Corso e all’intersezione con il nuovo per-corso viario che doveva raggiungere via Nazionale7.

Gli imprenditori più acuti avevano già messo gli occhi sull’a-rea e avevano dato il via a progetti edilizi che in certi casi fecero da contrappeso alle perdite architettoniche, come nel caso dei Magazzini Bocconi o dell’intero isolato di proprietà del principe Sciarra, il quale si lanciò in un’impresa edilizia e finanziaria molto vasta. A lui si dovette, tra il 1882 e il 1889, la totale riorganizzazio-ne dell’isolato appartenente alla sua casata attuata sfruttando abilmente la costruzione delle nuova via Minghetti e la demoli-zione dell’Arco di Carbognano, per dare nuova forma al palazzo di famiglia e realizzare gli edifici circostanti, tra cui la galleria Sciar-ra e il teatro Quirino8.

Con il nuovo secolo vennero portati a compimento i vari can-tieri, anche grazie al Piano Regolatore del 1909, ideato da Edmon-do Sanjust di Teulada. Il traforo dedicato a Umberto I fu realizzato tra il 1900 e il 1905, mentre a partire dal 1911 via del Tritone ven-ne allargata fino a piazza Barberini, realizzando un più efficiente assetto viario. Inoltre, recuperando il progetto caro a Sella, si ini-ziò la costruzione del Ministero dei Lavori Pubblici lungo via No-mentana, appena fuori Porta Pia − terminato solo negli anni ’20 del Novecento − e del Ministero dell’Agricoltura a via XX Settem-bre (1908-1914), a ridosso della singolare “architettura del ferro” disegnata negli anni ‘70 dell’Ottocento da Raffaele Canevari come sede dell’Ufficio geologico e del Museo del Servizio geologico9. Tuttavia restavano ancora numerosi interrogativi su altre aree, tra cui il lato di piazza Colonna lasciato desolatamente vuoto dalla demolizione di Palazzo Piombino, che attendeva una siste-mazione adeguata e definitiva, dopo la realizzazione dell’edificio provvisorio disegnato velocemente da Pio e Marcello Piacentini nel 1911 in occasione dell’Esposizione internazionale10.

La Roma della Breccia, quella umbertina e quella giolittiana fu-rono il frutto di compromessi e subirono inesorabilmente il peso di un’eredità monumentale con cui confrontarsi. A progetti realiz-zati, come il monumento a Vittorio Emanuele II, iniziato nel 1885 e inaugurato ancora incompleto nel 1911, si contrapposero faraoni-

che opere che mai videro la luce, come il colossale Palazzo del Par-lamento che si voleva edificare alla fine di via Nazionale, al posto della Banca d’Italia e di Villa Aldobrandini, o le varie proposte per il collegamento di fontana di Trevi con il Pantheon, da realizzarsi sconvolgendo il centro rinascimentale e barocco della città11. For-tunatamente, molte di queste idee rimasero solamente sulla carta.

Altre realizzazioni segnarono in modo lieve il volto della cit-tà sul piano urbanistico ma comunicarono con forza la nuova dimensione di capitale di uno Stato liberale. Nell’area oggetto di studio, tra il 1872 e il 1885 furono edificate tre chiese di confes-sioni religiose acattoliche: la chiesa episcopale di San Paolo den-tro le mura a via Nazionale, la chiesa evangelica valdese a via IV Novembre e la chiesa presbiteriana di Sant’Andrea degli Scozzesi a via XX Settembre12.

Il rione Trevi fu direttamente o indirettamente interessato da tutti questi interventi e si trovò a diventare sempre di più il centro di una metropoli in espansione, passata dai 226.000 abitanti del-la fine del potere temporale pontificio agli oltre 460.000 di inizio Novecento13. Si trattò di uno sviluppo tumultuoso, con tutti i suoi limiti, le sue contraddizioni, ma carico di aspettative.

Francesco Russo e Giuseppe Stemperini

1 F. BartoCCINI, Roma nell’Ottocento. Il tramonto della città santa, nascita di una

capitale, Bologna, Cappelli, 1985, p. 98 e pp. 114-115; M. saNFIlIppo, La costruzio-ne di una capitale. Roma. 1870-1911, Cinisello Balsamo, Silvana editore, 1992, pp. 15-33.

2 p. BardI, Roma Piemontese (1870-1876), Roma, Bardi, 1970, p. 149; G. CuCCIa, Urbanistica Edilizia Infrastrutture di Roma Capitale 1870-1990, Roma-Bari, La-terza, 1991, p. 20.

3 a. CaraCCIolo, Roma Capitale. Dal Risorgimento alla crisi dello Stato liberale, Roma, Editori riuniti, 1999, pp. 98-106; M. saNFIlIppo, La costruzione di una capi-tale, cit., p. 97.

4 a.M. raChelI, La città dei ministeri nei piani urbanistici di Roma capitale, in I ministeri di Roma capitale: l’insediamento degli uffici e la costruzione delle nuove sedi. Roma capitale 1870-1911, Venezia, Marsilio, 1985, pp. 63-78: 63-64.

5 I. INsolera, Roma moderna. Un secolo di storia urbanistica 1870-1970, Torino, Einaudi, 1993, p. 11, p. 48; M. pIaCeNtINI, Le vicende edilizie di Roma dal 1870 ad oggi, Roma, Fratelli Palombi Editori, 1952, pp. 19-20; a. MartINellI, Le strade di Roma e la grande viabilità, Roma, Tip. Vaselli, 1880, p. 3.

6 V. FoNtaNa, La città alta e la città bassa: il problema del loro raccordo, 1880-1950, in Il Centro Storico di Roma: storia e progetto, a cura di R. Cassetti-G. Spa-gnesi, Roma, Gangemi, 2004, p. 110; a.M. raChelI, La città dei ministeri, cit., p. 71; M. saNFIlIppo, La costruzione di una capitale, cit., p. 52.

7 a. Grelle, Vicende di un edificio romano. I: dal 1573 al 1884, in Palazzo Poli, sede dell’Istituto nazionale per la grafica, [Catalogo della mostra, Roma, 1979], a cura di S. Grelle, Roma, De Luca, 1979, p. 71; M. pIaCeNtINI, Le vicende edilizie di Roma dal 1870 ad oggi, Roma, Palombi, 1952, pp. 54-56; M. ZoCCa, Il Corso dal 1870 ad oggi, in Via del Corso, a cura della Cassa di Risparmio di Roma nel 125° anniversario della fondazione, Roma, Cassa di Risparmio di Roma, 1961, p. 105.

8 C. pIetraNGelI, Palazzo Sciarra, Roma, Istituto Nazionale di Studi Romani, 1986, pp. 157-173.

9 M.C. NoraNte-M.l. CIpolla, Il Ministero dell’Agricoltura Industria e Commercio, in I ministeri di Roma capitale, cit., pp. 151-153; a. dI Bello, I Ministeri, in Le case degli Italiani. I palazzi del potere. Gli edifici storici e moderni per le Istituzioni dello Stato, a cura di R. Lemme, Roma, Gangemi Editore, 2011, pp. 89-90.

10 M. pIaCeNtINI, Le vicende edilizie di Roma, cit., p. 57; M. ZoCCa, Il Corso dal 1870 ad oggi, p. 110.

11 M. taFurI, La prima strada di Roma moderna: via Nazionale, «Urbanistica», XXIX, 1959, 27, pp. 95-109; I. palerMo, Roma, via Nazionale: una strada per la città (1859-1876), «Storia della città», XIV, 1989, 2, pp. 11-50.

12 C. dau NoVellI, La città nazionale: Roma capitale di una nuova élite (1870-1915), Roma, Carocci, 2011, pp. 49-50; M. pIaCeNtINI, Le vicende edilizie di Roma, cit., p. 75.

13 G. FrIZ, La popolazione di Roma dal 1770 al 1900, Roma, Edindustria, 1974, p. 169.

91L’elezione del sindaco Ernesto Nathan nel 1907 fu un mo-

mento di rottura nell’amministrazione cittadina di Roma: il mo-vimento del Blocco Popolare aveva vinto con un programma che prevedeva un importante ruolo del potere pubblico nella vita della città. Così come la municipalizzazione dei servizi pubblici e l’avvio di un programma di edilizia scolastica, la progettazione urbana sarebbe dovuta avvenire sotto il consapevole controllo dell’amministrazione, in modo da arginare il fenomeno dell’indi-scriminato inurbamento che aveva caratterizzato il trentennio precedente. Al dibattito sul nuovo modello di organizzazione urbana parteciparono anche architetti e influenti associazioni culturali (Società degli Ingegneri e Architetti, Associazione tra i Cultori dell’Architettura) che, in più di un’occasione, non man-carono di fornire il loro contributo su quale idea di città dovesse prevalere. Un intervento autorevole di Gustavo Giovannoni, pub-blicato qualche anno dopo sulle pagine di «Nuova Antologia», poneva l’attenzione sulla necessità di migliorare la circolazione nel centro storico, mantenendo tuttavia il più possibile intatto l’antico tessuto urbano: dopo i primi anni di Roma piemontese si sentiva la necessità di frenare le opere di demolizione che ave-vano in parte ridisegnato alcuni tratti della città.

Date queste premesse il Piano Regolatore, affidato ad Ed-mondo Sanjust di Teulada, si occupò principalmente di andare a disegnare il territorio suburbano ancora non costruito e di orga-nizzarlo secondo le nuove funzionalità, pianificando la costruzio-ne dei nuclei abitativi prevalentemente fuori le mura, in attesa di una nuova espansione demografica. Dopo una lieve flessione la popolazione era infatti tornata a salire nei primi anni del ‘900: dai 422.000 abitanti del 1901 si arrivò ai 518.000 del 1911.

Il Piano non prevedeva cambiamenti profondi nella zona del centro storico e in particolare nell’area del rione Trevi: l’unico in-tervento considerato, più volte riproposto e mai realizzato, pre-vedeva la creazione di un asse di attraversamento del centro che iniziava a piazza Navona ed arrivava a piazza Barberini, passan-do per il Pantheon e piazza di Trevi. Questo percorso andava ad incrociare all’altezza del Traforo Umberto I il tracciato perpendi-colare che arrivando da piazza del Popolo, attraverso via dei Due Macelli, proseguiva verso il rione Monti e infine verso la basilica di San Giovanni.

Baricentro della Roma di inizio secolo era piazza Colonna, centro del potere, dei servizi e luogo del nuovo stile di vita intro-dotto dai piemontesi nella capitale. Nello stesso Piano Regolato-

re si argomentò con particolare cura l’importanza di tale piazza, da considerare non solo centro simbolico della capitale ammini-strativa moderna ma soprattutto come «il centro dell’eleganza ove pure convengano talora gli uomini politici e gli uomini d’affari, ma dove essi non debbano essere costretti a passare»; la volon-tà era quindi quella di rendere il Corso e piazza Colonna pari «ai Boulevards di Parigi, o alla Ringstrasse di Vienna, ma non già, per esempio alla City di Londra»1.

Malgrado il Piano non prevedesse particolari modifiche al tes-suto esistente, i lavori nella parte inferiore di via del Tritone, pre-visti nel precedente Piano del 1883, si avviarono alla conclusione con la sistemazione del largo del Tritone e di alcuni edifici come i magazzini Old England (poi Banca d’America e d’Italia) e l’albergo Select (poi sede de Il Messaggero) che qualificarono ulteriormen-te quell’area rendendola più simile al modello di moderna capita-le europea che la Roma di inizio secolo stava riprendendo.

La Roma di Nathan nel giro di pochi anni, tuttavia, sarebbe dovuta essere anche la Roma della grande Esposizione del 1911, per celebrare il cinquantenario dell’Unità d’Italia. Perno della città era dunque piazza Colonna, la quale però a pochi mesi dall’inizio delle celebrazioni era ancora lontana dall’avere un profilo defini-tivo. Malgrado fosse in cantiere il progetto di Domenico Carbone che prevedeva la costruzione di una galleria, sull’esempio di quel-la milanese, a forma di “V”, «le pratiche burocratiche, le lunghe discussioni e le ferventi polemiche, gli emendamenti concordati da apportarsi al progetto, tutto questo bagaglio di ostacoli e di inframettenze fu tale che per il 1911 i lavori non erano nemmeno cominciati»2. Fu per questo che l’amministrazione si vide costret-ta ad affidare agli architetti Pio e Marcello Piacentini la costruzio-ne di un padiglione provvisorio di legno e gesso per non sfigurare agli occhi dei visitatori, che potevano così usufruire dei caffè e dei piccoli negozi a piano terra e riposare sulla terrazza presente al piano superiore.

L’avvio della definitiva sistemazione della piazza arrivò solo durante gli anni del primo conflitto mondiale, con gli inevitabi-li rallentamenti dovuti alle necessità belliche che allungarono i tempi di realizzazione: solo nel 1922 terminarono i lavori dell’I-stituto Romano dei Beni Stabili, meglio conosciuto come Galleria Colonna. Una costruzione che «poteva terminare meglio, non solo per quanto riguarda la soluzione planimetrica e di viabilità, ma anche per la veste architettonica, riuscita sciatta e commercia-le, soprattutto per l’oscurità delle gallerie pubbliche interne. Né i

Dal Piano Sanjust al Secondo dopoguerra

92

romani hanno dimostrato un grande favore per questo genere di locali, cosicché questo sfortunato esperimento non è riuscito ad assumere mai un tono di decoro e di attrazione»3. Contemporane-amente alla sistemazione del nuovo «centro cittadino», andava a completarsi la parte superiore di via del Tritone, che sempre più rappresentava l’asse di una nuova Roma: lo sviluppo della zona di Villa Ludovisi e l’ascesa di via Veneto come sede della mondanità necessitavano di una migliore accessibilità, ragion per cui il pro-lungamento fino a piazza Barberini venne fatto con una sezione allargata rispetto alla prima parte della via, ottenuta grazie ad un arretramento del fronte meridionale degli edifici.

I piani regolatori che seguirono non riuscirono ad avere una forza vincolante tale da limitare, o quantomeno indirizzare, gli interessi dei privati nel grosso affare rappresentato dall’indu-stria edilizia della capitale. Così come i primi due, anche quello del 1909, che avrebbe dovuto avere la durata di venticinque anni, venne presto sottoposto a rivalutazione. Se con la guerra fu ine-vitabile l’arresto delle dinamiche delineate nel Piano, durante il dopoguerra e con l’avvento del regime fascista l’amministrazione romana non riuscì, o spesso non volle, resistere alle pressioni dei costruttori romani.

A metà degli anni Venti, il piano di Sanjust era stato sostan-zialmente abbandonato e modificato da numerosi piani speciali, varianti e decreti, tanto che fu necessario istituire una commis-sione che cercasse di conferire unità all’organizzazione della città. Il prodotto della commissione fu la Variante del 1925-264, un documento ufficialmente non vincolante ma che comunque condizionò le sorti urbanistiche di Roma fino al 19315 e che, per quanto riguardava la parte storica del centro, conteneva una pro-fonda ambiguità: da una parte confermava l’intoccabilità della città storica mentre dall’altra progettava demolizioni e sventra-menti. Benché un’altra volta fosse manifestata la volontà di non toccare il centro, l’esigenza di mobilità e di modernizzazione in-sieme alle pretese di grandezza nella rappresentazione del Regi-me influirono sulla sensibilità degli architetti.

Alcuni degli sventramenti interessavano il centro storico in maniera decisa e ancora una volta il rione Trevi era toccato da un asse di scorrimento. Il percorso previsto ricalcava in linea di massima quello già descritto nel Piano del 1909, che arrivava dal quartiere del Rinascimento e attraversava il Corso per proseguire su via Marco Minghetti opportunamente allargata, passando per piazza di Trevi per arrivare in piazza Barberini, contemplando una sostanziosa ridefinizione della zona di piazza Scanderbeg.

Anche questa volta tale percorso rimase sulla carta, mentre venne alla luce l’altra operazione urbanistica che faceva perno su piazza Barberini, via Regina Elena (poi via Barberini): la nuova configurazione di Roma aveva intasato via Nazionale, la princi-pale arteria tra la vecchia e la nuova città; si avvertiva quindi la necessità di avere nuovi collegamenti tra la zona dei ministeri e della stazione con via del Tritone, il quartiere Ludovisi e il centro amministrativo. Di tale necessità fu interprete Marcello Piacenti-ni che, nel suo progetto della «Grande Roma», aveva considerato questa strada come spina dorsale di un progetto ben più ambi-zioso: l’architetto aveva disegnato una nuova cittadella ammini-strativa da far sorgere nello spazio lasciato libero da un eventuale arretramento della stazione a Porta Maggiore. Il viale ottenuto al posto della vecchia stazione, arricchito di monumenti, fontane e giardini, avrebbe dovuto ospitare, così come le zone più prossime,

i principali servizi di una moderna città: il Palazzo del Governo, le Poste centrali, il Teatro dell’Opera, la Borsa, la Biblioteca naziona-le ed altre strutture dirigenti6.

Sotto il controllo di Piacentini e condotti dall’Apis, i lavori per la realizzazione di via Regina Elena7 iniziarono nel 1926 e la strada fu inaugurata da Mussolini il 24 maggio 19328. L’apertura dell’ar-teria implicò una serie di demolizioni nell’area tra piazza San Bernardo e piazza Barberini; il Governatorato affidò la questione degli espropri e delle successive costruzioni a differenti imprese edilizie che in cambio ottenevano una decisa rivalutazione delle aree da loro acquisite. Le demolizioni comportarono il sacrificio di Palazzo Amici su piazza San Bernardo, realizzato nel 1884 su di-segno dell’architetto Gaetano Koch e sede dell’ambasciata degli Stati Uniti d’America, della caserma dei RR. Corazzieri Sanfront, che fu spostata su via XX Settembre, del convento delle monache pertinente alla chiesa di Santa Susanna e del Teatro Barberini. Dopo via Veneto e via del Tritone, l’apertura di via Regina Elena cambia completamente piazza Barberini: con la distruzione del portonaccio di accesso al teatro svanisce definitivamente l’im-pressione di piazza chiusa che aveva avuto fino al XIX secolo e diventa uno dei principali nodi del traffico urbano9.

Negli stessi anni della realizzazione di via Regina Elena, si av-viava ad essere approvato il nuovo Piano Regolatore, il quale do-veva organizzare una città in forte espansione, perché la popola-zione aveva appena raggiunto il milione e nei dieci anni successivi sarebbe ancora aumentata di circa 400.000 unità e, allo stesso tempo, soddisfare le esigenze simboliche del Regime e gli inte-ressi dei proprietari terrieri. Per conseguire tali obiettivi il Piano venne considerato come una cornice all’interno della quale i veri strumenti di attuazione sarebbero stati i piani particolareggiati e le varianti, in modo da garantire flessibilità e una certa labilità del disegno generale10.

Per quanto riguardava il rione Trevi il Piano Regolatore del 1931 continuava quell’opera di collegamento veloce tra la Sta-zione Termini, il quartiere Ludovisi (attraverso via Veneto) e tut-ti i quartieri nord (attraverso l’inattuata galleria sotto Trinità dei Monti). Superata l’idea dell’arretramento della stazione e sposta-mento a est del centro direzionale, rimaneva necessario rendere più fluente il traffico che da Termini si indirizzava verso il qua-drante settentrionale. Nacque così l’arteria di via XXIII Marzo, poi diventata via Bissolati, inizialmente concepita senza «dislivelli e attraversamenti e [che] scavalcava via San Nicola da Tolentino su un viadotto»11, evitando così incroci con altre strade ed il passag-gio di pedoni che ne potevano rallentare lo scorrimento. La via così concepita avrebbe sicuramente favorito un tipo di collegamento veloce, ma avrebbe aperto numerose questioni: innanzitutto sa-rebbero saltati gli utili incroci con le vie San Nicola da Tolentino e San Basilio; inoltre la limitata altezza del cavalcavia avrebbe impattato con il costruito intorno; non ultima era la preoccupa-zione per la congestione dell’unica via moderna di Roma: via Vit-torio Veneto. L’idea della strada sopraelevata fu abbandonata ma la realizzazione della via comportò comunque la ristrutturazio-ne della zona di via del Falcone portando, tra gli altri edifici, alla demolizione parziale di due istituti pontifici, il Pontificio Collegio Germanico Ungarico ed il Collegio Armeno; grazie ad una leggera svolta, invece, si riuscì a conservare la chiesa di San Nicola da To-lentino. Iniziata nella data rituale del 28 ottobre del 1938, la stra-da venne inaugurata il 23 marzo 1940, il giorno del ventunesimo

93

anniversario della fondazione dei fasci. Pochi anni dopo vennero conclusi i prospetti, tra cui gli importanti palazzi dell’INA e della FIAT che chiudono la discesa di largo Santa Susanna, rendendo la via Bissolati profondamente differente dall’idea originale: da strada veloce diventò una grande e trafficata arteria cittadina.

A parte l’apertura di via Parigi, tra il Ministero delle Finanze e piazza Esedra, con la fine della dittatura il rione Trevi non vide altri interventi significativi: oltre alla mancanza di spazi inedifica-ti, non ci furono più le condizioni, né la volontà, di portare avanti sventramenti o altre trasformazioni di un tessuto urbano che or-mai era a tutti gli effetti parte della città, quasi allo stesso livello dei quartieri storici. Proprio questa convivenza tra vecchio e nuo-vo caratterizzò il processo di urbanizzazione delle zone centrali: la progettualità con la quale si voleva rendere funzionale la capitale si scontrava irrimediabilmente con la necessità di preservarne il più possibile l’immagine e i simboli, creando la sovrapposizione di due modelli di città non sempre in grado di comunicare tra loro.

Valerio Birindelli

1 G. CuCCIa, Urbanistica Edilizia Infrastrutture di Roma Capitale 1870-1990, Roma-Bari, Laterza, 1991, p. 40.

2 M. pIaCeNtINI-F. GuIdI, Le vicende edilizie di Roma dal 1870 ad oggi, Roma, Fra-telli Palombi Editori, 1952, p. 55.

3 Ibidem.4 Per completezza è opportuno riferire che prima di questa, tra il 1918 e

il 1924 furono predisposte venti varianti per venire incontro alle richieste di edificazione. p.o. rossI, Roma, guida all’architettura moderna, 1909-2000, Ro-ma-Bari, Laterza, 2000, pp. 60-63.

5 La variante generale al Piano Regolatore venne presentata nel 1924 al ter-mine di lavori di una commissione formata da M. Manfredi-R. Bonfiglietti-G. Cipriani-L. Cozza-I. Cremonesi-U. Gennari-M. Girola-G. Giovannoni-L. Leonar-di-M. Piacentini-M. Settimi-G. Venturi, Ibidem.

6 ACS, Presidenza del Consiglio dei Ministri, b. 930.7 La strada mantenne il nome di via Regina Elena fino al 1945 quando venne

intitolata a Giovanni Amendola, politico e giornalista di inizio Novecento e infi-ne denominata via Barberini in epoche più recenti.

8 Così Il Messaggero del giorno successivo: «una grande massa di cittadini nell’attesa ansiosa dell’arrivo del Duce per l’inaugurazione della nuova strada, che allaccia il centro della città ai quartieri alti. Le finestre sono tutte imban-dite, all’ingresso della via è teso un nastro tricolore. Lungo i maestosi palazzi della nuova via sono appesi bandiere ed arazzi. Sono ad attendere il Duce, il Governatore di Roma principe Boncompagni Ludovisi, il prefetto Montori ed il commendatore Salatino […]. Quando arriva il Duce si risentono grida altissime, viva il Duce, viva il fascismo. Un vigile del fuoco porge al Duce su un piatto d’oro una forbice per tagliare il nastro [...]. A piazza delle Terme il corteo si scioglie e il Duce tra calorose dimostrazioni si allontana tra continui alalà ed evviva!».

9 I. INsolera, Roma Moderna. Un secolo di storia urbanistica, 1870-1970, Tori-no, G. Einaudi, 1976, p. 127.

10 V. VaNNellI, Economia dell’architettura in Roma fascista, Roma, Kappa, 1981, p. 194.

11 M. pIaCeNtINI-F. GuIdI, Le vicende edilizie di Roma, cit., p. 154.

1151. La stazione Termini

A partire dal 1840, l’entrata in scena della stazione ferro-viaria costituì un potente elemento propulsivo per il rinnova-mento dei grandi centri urbani europei. La stazione centrale non solo andava a impattare sul quadrante dove sorgeva per la presenza dei fabbricati e del tracciato dei binari ma introdu-ceva un nuovo sistema di reti e di relazioni in grado di produrre effetti ad ampio spettro1.

Fu proprio la portata innovativa della rete ferroviaria a ral-lentare la comparsa della strada ferrata nella capitale dello Stato Pontificio, che attivò la sua prima linea soltanto nel 1856, a quasi venti anni di distanza dalla prima tratta della capitale del Regno delle Due Sicilie, inaugurata nel 1839. Su tale ritar-do giocò un ruolo fondamentale l’ostilità di papa Gregorio XVI (1831-1846) e dei vertici dello Stato Ecclesiastico i quali teme-vano che l’afflusso di merci e persone in città avrebbe indeboli-to il sistema difensivo e ridotto l’efficienza dei controlli fiscali, oltre a favorire la diffusione di nuove idee. L’atteggiamento del governo pontificio mutò sensibilmente con il pontificato di Pio IX (1846-1878), il quale manifestò un aperto interesse alla nascita e allo sviluppo della rete ferroviaria. Infatti, parallelamente alla realizzazione della prima linea Roma-Frascati e alla progetta-zione di altri tronchi ferroviari, il Ministero del Commercio e dei Lavori Pubblici dello Stato Pontificio nel 1856 iniziò a prendere in esame la possibilità di concentrare in un’unica stazione tutte le linee che muovevano da Roma2. Come è facile prevedere, la scelta della localizzazione della stazione centrale era un deci-sione strategica che coinvolgeva rilevanti interessi e diversi at-tori, tra cui il governo, i proprietari terrieri e la società concessio-naria della costruzione e della gestione del servizio. Dopo circa quattro anni di studi e di proposte, di accelerazioni e di rallen-tamenti, il 3 ottobre 1860 Pio IX stabil che la stazione centrale doveva essere costruita in una porzione di Villa Massimo (già Peretti-Montalto), sita nei pressi delle Terme di Diocleziano.

Prima della scelta definitiva, si presero in esame diverse so-luzioni alternative e in particolar modo l’area delle Terme di Tito posta sopra il Colosseo e quella di San Giovanni in Laterano. La zona del Colosseo, come le altre proposte che privilegiavano una localizzazione più centrale, venne scartata per ragioni economi-che perché i binari avrebbero attraversato l’impianto viario sisti-no determinando un incremento dei costi di realizzazione, oltre alla necessità di ridefinire i principali assi di attraversamento

della città. Al contrario, con la scelta delle Terme di Diocleziano si sarebbe potuta utilizzare la rete stradale esistente per favori-re i collegamenti con il centro cittadino.

Per quanto riguarda l’area del Laterano, detenuta dai gesui-ti, molto probabilmente pesò la forza della proprietà nell’evita-re l’esproprio dei fondi, a differenza del principe Massimo che nonostante le ripetute suppliche e raccomandazioni rivolte al papa perse gran parte della sua villa3.

Oltre a quanto esposto, l’area delle Terme di Diocleziano pre-sentava un insieme di caratteristiche favorevoli all’insediamento di una stazione ferroviaria. Innanzitutto disponeva di ampi spazi per la realizzazione delle necessarie infrastrutture ed era in una posizione elevata (59 metri sopra il livello del mare), ritenuta più salubre e quindi meno esposta alla diffusione della malaria; in secondo luogo, era distante dal Tevere che periodicamente alla-gava le parti basse della città ed era in prossimità con l’Acquedot-to Felice che garantiva un agevole approvvigionamento di acqua, elemento indispensabile per la locomotiva a vapore.

Una volta stabilita la sede della nuova stazione centrale, alla fine del 1860 il principe Camillo Massimo sub l’esproprio dei fondi a destinazione agricola posti nella parte settentriona-le della sua villa e furono avviati i lavori per la centralizzazione della rete ferroviaria romana. Il primo treno viaggiatori giunse a Termini nel 1862 dopo che il Ministero dei Lavori Pubblici aveva accordato il permesso per l’apertura di una stazione provviso-ria, che era stata realizzata mediante il restauro e il riutilizzo di edifici preesistenti, le cosiddette Botteghe di Farfa, costruzioni adibite a vari usi quali magazzini, granai e filande.

Mentre il servizio si svolgeva nelle strutture provvisorie, si apr un dibattito sulla costruzione di un nuovo edificio per la stazione ferroviaria e tra le diverse soluzioni proposte prevalse quella dell’ingegnere Salvatore Bianchi, approvata nel 1867. I la-vori iniziarono nel 1869, un anno prima della caduta dello Stato Pontificio, e si conclusero nel 1874, con lo stemma sabaudo sul timpano della tettoia in ferro che collegava due fabbricati pa-ralleli, quello a destra dedicato agli arrivi e quello a sinistra alle partenze (fig. D4). Nel suo insieme la stazione appariva moder-na e imponente, tanto che in sede di approvazione del progetto Pio IX si rivolse all’ing. Bianchi affermando ironicamente: “Bravo, bravo, lei vuole fare la stazione della capitale d’Italia”4.

La stazione restò attiva per oltre 60 anni e nel corso del tem-po le strutture vennero ampliate e modernizzate in funzione

Dalla stazione Termini a piazza Venezia

116

delle nuove tecnologie e del crescente traffico ferroviario, tanto che nel 1924 il numero dei binari era arrivato a 20. Nello stesso anno, in previsione di un notevole afflusso di pellegrini per il Giu-bileo del 1925, fu deciso di favorire la circolazione del piazzale della stazione spostando il Monumento ai caduti di Dogali (cfr. sezione L) nei giardini dei Granai Clementini, siti nell’attuale via-le Luigi Einaudi (figg. D5 e D2). Nonostante gli interventi appor-tati, la necessità di un nuovo impianto ferroviario divenne sem-pre più urgente e smentendo le previsioni del Piano Regolatore del 1931 – che prevedeva due stazioni centrali di transito a nord e a sud della città con la stazione Termini sotterranea – nel 1937 si decise di costruire la nuova stazione sempre nei pressi di piazza Esedra ma con il fronte arretrato di 185 metri, in modo da poter dare maggior respiro a piazza dei Cinquecento e liberar-si dell’ingombro delle Mura Serviane (figg. D1-2). L’opera rientrò nell’ambito dei lavori pianificati per l’Esposizione universale del 1942, tanto che il progetto di Angiolo Mazzoni del Grande (1938) includeva la costruzione di una linea metropolitana per un rapi-do collegamento della stazione con l’EUR (per la sua apertura si attenderà fino al 1955). I lavori di costruzione della stazione ini-ziarono nel febbraio 1938 e furono sospesi per lo scoppio della guerra5. Per il completamento dell’opera (1947-1950) fu indetto un concorso vinto da due gruppi concorrenti (Calini e Montuori; Castellazzi, Fadigati, Vitellozzi e Pintonello), i quali congiunta-mente definirono il nuovo volto della stazione mediante la rea-lizzazione di un edificio frontale rivestito di travertino lungo ben 232 metri cui si contrappone il cosiddetto “dinosauro”, la ben nota pensilina in cemento armato dall’andamento sinuoso che intendeva richiamare il profilo delle Mura Serviane, promosse cos da ingombro a modello (fig. D10)6.

2. «Una larga e spaziosa strada»: l’apertura di via NazionaleCon la costruzione della stazione, l’ingresso a Roma cam-

biava radicalmente orientamento: dalla Porta del Popolo, tra-dizionale accesso alla città dalla quale pellegrini, viaggiatori, mercanti, a piedi, a dorso di mulo, a cavallo o in carrozza si inol-travano per via Ripetta e via del Corso, l’antica via Lata, e da l s’indirizzavano verso il Vaticano, traversando il Tevere a ponte S. Angelo, si passava ora all’esedra delle Terme di Diocleziano posta sull’altura del Viminale, destinata a trasformarsi in piazza monumentale, sbocco naturale del nuovo scalo ferroviario, nodo strategico che convogliava verso la città in tempi sempre più ra-pidi, uomini e merci7.

Alle soglie degli anni Sessanta dell’Ottocento, il ministro del-le Armi di Pio IX nonché deputato all’amministrazione delle Car-ceri, monsignor Francesco Saverio De Mérode, prelato di origine belga, politico di grande lungimiranza, iniziava, con evidenti e dichiarati intenti di speculazione edilizia, una campagna d’ac-quisti mirati dei terreni posti all’interno di quest’area: tutta l’o-perazione commerciale parte con l’acquisto di Villa Strozzi, che si estendeva tra l’esedra delle Terme e il Viminale, concluso da De Mérode nel 1859, operazione approvata dalla Camera apo-stolica nell’ottica dell’ampliamento degli stabilimenti carcerari contigui alla villa, amministrati dal prelato8. Qualche anno dopo, nel 1864, il monsignore acquista in rapida successione l’orto delle monache Barberine9, che confinava con Villa Strozzi10 (fig. D14) e circa 13.000 mq di terreni consistenti in due orti «for-manti un sol corpo» appartenenti al monastero di S. Silvestro in

Capite, situati sul lato sinistro della via di S. Vitale (nn. civici 16 e 17) e confinanti con il monastero di S. Lorenzo in Panisperna11 (fig. D15).

Nel 1866 la Camera Apostolica permuta con De Mérode due orti del monastero di S. Bernardo alle Terme («denominati l’uno del Circo e l’altro del Calancà») – della considerevole superficie di circa 23.000 mq – situati sia all’interno che all’esterno dell’ese-dra, con la parte di Villa Strozzi contigua agli stabilimenti carce-rari, con lo scopo dichiarato di ampliare le carceri e di destinare l’edificio del Casino della villa agli uffici degli impiegati doganali e dei finanzieri «in servizio alla prossima stazione delle Ferrovie»12.

Dunque nel 1866 De Mérode diventa proprietario dell’esedra delle Terme di Diocleziano, con la sola clausola che qualora la Camera decidesse di realizzarvi una piazza, De Mérode doveva retrocedere l’area dell’esedra allo stesso prezzo della permuta: clausola che però il prelato riusc a far decadere dopo soltanto un anno. Nell’atto di permuta e nella relazione allegata, redat-ta dal conte Virginio Vespignani nel 1865, si dice esplicitamen-te che l’acquisto della Villa Strozzi rappresentava il primo atto di una complessa operazione urbanistica volta alla creazione di nuove strade e di un nuovo quartiere: «[tale acquisto] fece appunto la sullodata eccellenza sua [mons. De Mérode] per quell’amore della pubblica cosa che tanto lo anima, nell’intendi-mento che mediante ben ragionate permute si potesse apri-re ampie e estese strade le quali recherebbero abbellimento e vantaggio alla città stessa»; si specifica inoltre che «l’area delle nuove strade che verrebbero sistemate a terreno a esclusivo ca-rico di sua eccellenza reverendissima De Mérode» deve essere ceduta al Comune dal momento che risulta a vantaggio pubbli-co. Negli anni seguenti l’intraprendente monsignore, appoggia-to e favorito dall’amministrazione camerale, acquista a titolo di enfiteusi, da enti monastici (Noviziato dei Gesuiti, i cui terreni si estendevano su via della Consulta e lungo la via di S. Vitale) e da privati, altre proprietà in zona, affranca canoni, rileva debiti e diviene infine uno dei proprietari fondiari romani più in vista. Sull’area da lui posseduta, attraversata solo dall’antica via di S. Vitale e perpendicolarmente dalla via Quattro Fontane, si pote-vano vedere quinte di mura ininterrotte con rari portali d’ingres-so che racchiudevano orti, giardini e vigne (fig. D14).

De Mérode, improvvisandosi urbanista, progetta a tavolino il tracciato di un intero quartiere da costruirsi sulle sue proprietà, costituito da grandi isolati squadrati a scacchiera, delimitati da vie rettilinee – via Torino, via Firenze, via Napoli, via Depretis, via Venezia, via Genova, via Milano – perpendicolari a un’ampia e di-ritta strada (via Nazionale) che si diparte dal centro dell’esedra, come appare in molte carte e piante dell’epoca13.

Il monsignore cominciò subito a rivendere i terreni a lotti con la clausola sempre presente che obbligava l’acquirente a co-struirvi un edificio: De Mérode difatti si occupò sempre di ter-reni e mai di costruzioni, lasciando ad altri il ruolo di innalzare fabbricati; il suo obiettivo era quello di comprare orti e vigne di enti ecclesiastici e di creare le condizioni amministrative perché diventassero edificabili, per poi vendere i lotti di terreno a prezzi molto maggiorati delegando agli acquirenti la costruzione degli edifici. Nel 1864 erano già iniziati gli immobili tra via Torino (la prima ad essere lastricata) e via di S. Vitale e negli anni seguenti si continuò a costruire nell’area compresa tra piazza delle Ter-me e via delle Quattro Fontane; nel 1870 si vedevano in aperta

117

campagna i ruderi delle Terme, il capannone della stazione Ter-mini, S. Maria Maggiore con rare case davanti, poche vie rettili-nee con qualche edificio tra via Torino e San Vitale, e tutt’intorno ville e conventi: «sulle impalcature di uno di questi palazzi, il co-struendo albergo del Quirinale, alcuni romani si arrampicarono per vedere l’arrivo dei bersaglieri a porta Pia»14.

Dopo il 1871, la nuova situazione unitaria e il trasferimento della capitale a Roma determinarono la scelta da parte del nuovo governo di stabilire l’asse politico amministrativo della città in via XX Settembre (l’antica via Pia), contigua alla residenza reale nel Palazzo del Quirinale, ove sorsero i ministeri chiave del nuovo Re-gno, mentre a valle, lungo la nuova strada rettilinea ideata da De Mérode – denominata prima via De Mérode e poi via Nazionale – venne incrementata e sostenuta l’edificazione del nuovo quartie-re concepito dal prelato e destinato a ospitare le residenze degli impiegati e della burocrazia ministeriale del nuovo Stato.

Nel 1871 De Mérode riusc a firmare una convenzione con il Comune con la quale cedeva ad esso l’area dell’Esedra di Termi-ni perché fosse convertita in piazza (non potendoci comunque edificare data l’antichità del sito) e le aree relative alle strade da lui già tracciate nella zona compresa tra l’Esedra e le Quattro Fontane, in cambio della dichiarazione di pubblica utilità di tutti gli altri terreni da lui acquistati nella zona, e dell’accollo da parte del Comune delle opere di urbanizzazione del nuovo quartiere (fognature, condutture, illuminazione, selciato). Lo scambio vie-ne cos riportato in un atto notarile del 1879: «Lo scopo per il quale monsignor De Mérode procedette all’acquisto di cui so-pra, unitamente ad altri terreni limitrofi, da esso in precedenza acquistati, fu quello di sviluppare il nuovo quartiere da lui imma-ginato, e che oggi viene denominato quartiere della via Naziona-le. A quest’oggetto egli apr nei terreni di sua proprietà una larga e spaziosa strada, chiamata oggi via Nazionale, la quale dalla piazza delle Terme Diocleziane conduceva allora fino alla via del Boschetto, e contemporaneamente apr tre strade traversali, che si conoscono oggi coi nomi di via Torino, Firenze e Napoli; sistemate queste quattro vie con ingenti spese il giorno ven-tidue marzo 1871, cedette gratuitamente tutte le aree delle so-praindicate strade, già sistemate, al Municipio di Roma».15

Il conte Luigi Amadei, unico e instancabile oppositore della Convenzione, faceva notare che «il monsignore fa accettare al municipio la sua proposta che può ridursi a questi termini: ho acquistato una magnifica e estesa superficie di terreno nel miglior sito di Roma, espropriando, senza incorrere nelle cen-sure ecclesiastiche, anche luoghi di comunità religiose, ma non posso ricavarne i vantaggi che mi sono riproposto di conseguire se prima quelle località, voi Comune, non me le dichiarate parte integrale della città ; desidero che il municipio accetti la mia cessione delle superfici stradali che io ho tracciato secondo le mie idee e i miei particolari interessi nella località di mia spet-tanza, onde esso costruisca chiaviche, selciati, condutture per l’acqua e pel gas, marciapiedi»; Amadei aggiungeva poi che il Comune non avrebbe conseguito con la convenzione alcun van-taggio per i cittadini «mentre il vantaggio risulterebbe a favore di De Mérode che ha venduto a buone condizioni quelle aree e ora è pressato dagli acquirenti alla sistemazione delle strade»16.

Di fatto alla fine del 1872 erano state ultimate le condutture di acqua, fognature e gas e dal 1873 pedoni, cavalli e carrozze potevano circolare sul primo tratto della via Nazionale (dall’Ese-

dra alle Quattro Fontane), dichiarata “opera di pubblica utilità” e concepita della larghezza di 22 metri come le grandi strade delle metropoli europee. La costruzione della strada, delle sue traverse e degli edifici del quartiere, ora portata avanti secon-do il piano di Alessandro Viviani, che si impegnò a trasformare il primitivo progetto di De Mérode in uno dei più significativi eventi urbanistici della capitale del nuovo regno, procedeva con estre-ma lentezza sia perché si doveva procedere all’esproprio di al-cune piccole proprietà (su via delle Quattro Fontane, e nel tratto più basso, su via del Boschetto, via della Consulta, via Magnana-poli) rimaste escluse dalla politica di acquisti di De Mérode, sia perché Francesco Saverio De Mérode nel 1874, anno della sua morte, non aveva ancora venduto molti dei terreni acquistati nel secondo tratto della strada, tra via Napoli a via della Consulta.

La battuta d’arresto nelle vendite dei terreni edificabili ac-quistati da De Mérode nel 1864 dalle monache di S. Silvestro in Capite nel tratto di via Nazionale tra via Quattro Fontane e via della Consulta e in particolare il vasto appezzamento degli orti “formanti un sol corpo” (ex Collegio Ghislieri e vigna Stati) su via di S. Vitale ai civici 16 e 17 (fig. D15) – oggi tra via Nazionale e via Milano –, era sicuramente dovuta alle incertezze e ai frequenti ripensamenti presenti nella Giunta comunale circa il prolunga-mento di via Nazionale oltre via della Consulta e quello di via Palermo fino a via Panisperna.

De Mérode prima di morire nel luglio 1874 aveva minacciato di citare in giudizio il Comune per tali inadempienze della sua convenzione e certamente non aveva intenzione di procedere ad altre vendite finchè non si fosse ottenuta la certezza dei pro-lungamenti, garanzia essenziale per la massima realizzazione economica nella lottizzazione dei terreni.

Le indecisioni della Giunta comunale si fondavano su una se-rie di problemi molto complessi e onerosi per le casse comunali, quali gli espropri delle ville Rospigliosi e Aldobrandini, all’incro-cio tra via Nazionale e l’attuale via XXIV Maggio e gli sbancamenti della collina di Montemagnanapoli per raccordare in discesa la quota di via Nazionale con quella di via del Corso. La questione più volte rimandata si risolse nel 1878, superando anche il con-tenzioso concluso con il Comune da Carlo Werner De Mérode, fratello del monsignore, che nel 1875 si era garantito la retroces-sione delle aree destinate alle strade sul lato orientale di via Na-zionale nel caso che queste ultime non fossero state completate.

Il Comune decise infatti nel luglio 1878 per il completamento del quartiere di via Nazionale, che a quella data ancora stentava a prendere forma, varando un piano regolatore che adottava i tracciati delle strade parallele a via Nazionale (via Palermo fino a via Panisperna a est, via Piacenza a ovest) e delle trasversa-li via Venezia, via Milano, via Genova cos come monsignor De Mérode li aveva progettati: «Il tronco della via Nazionale fra via delle Quattro Fontane e via della Consulta si va coprendo di fab-briche ma l’edificazione si limita a coprire le fronti stradali mentre restano nudi e negletti i terreni tra via Nazionale e via XX Settembre sul versante Quirinale e tra via Nazionale e quella di Panisperna sul versante Viminale»17.

Una volta assicurato il completamento delle opere di urba-nizzazione delle strade nel settore orientale del quartiere, reso noto il progetto di costruzione del Palazzo delle Esposizioni ac-canto alla chiesa di S. Vitale nonché quello per l’edificazione del Palazzo della Banca d’Italia, il tono del quartiere cambiò nobili-

118

tandosi e trasformandosi in una zona residenziale di prestigio: a questo punto i terreni su via di S. Vitale, prima ricordati, furono venduti da Carlo Werner De Mérode con 9 passaggi di proprietà conclusi tra il 1878 e il 1880. Si tratta di lotti su via Nazionale, via di S. Vitale, via Napoli, via Venezia, via Palermo e via Genova: fra gli acquirenti figurano il nobile Gugliemo H ffer che comprò un lotto di quasi 5.000 mq tra via di S. Vitale e via della Consulta ove fece costruire l’elegante villino che ancora oggi si vede in ango-lo tra via Nazionale e via Piacenza18, Domenico D’Amico e Luca Carimini che costruirono un edificio imponente su via Nazionale di fronte all’area scelta per il Palazzo delle Esposizioni, Giosuè Arioli, Pietro Ducco, Gaetano Panà, Luigi Pascucci, Alessandrina Lebzeltern, vedova del visconte Des Cars, la quale acquistò un terreno con casa in via della Consulta (fig. D16).

Le vendite dei terreni, le piante e talora le fotografie (figg. D17-18) dei lotti venduti in questa operazione commerciale por-tata a termine dal conte Carlo Werner, fratello ed erede di mon-signor De Mérode, a prezzi di mercato che oscillavano dalle 60 alle 80 Lire al mq, sono emerse durante i lavori di ricerca sui fon-di notarili romani19. I lotti sono quasi tutti all’interno della pro-prietà denominata “due orti formanti un sol corpo”, dell’esten-sione di circa 12.300 mq, acquistata da De Mérode nel 1864 per 5.000 scudi, equivalenti a . 25.000 (circa . 2 a mq); la somma realizzata con le vendite dei 9 lotti edificabili (pari a circa 12.400 mq) ammonta a poco più di . 890.000, e dunque l’interesse ma-turato con le vendite supera il 3.500%20

In quegli anni la pressione speculativa nella zona lievitò fino al 5.000%, e anche in altre aree della città in via di urbanizza-zione (Esquilino, Prati) la speculazione immobiliare dilagava: i pochi proprietari che detenevano i terreni avevano il potere di spingere i prezzi sempre più in alto e i profitti realizzati sfio-ravano cifre astronomiche, grazie anche alle convenzioni con il Comune che garantivano le opere di urbanizzazione. In una prospettiva più ampia si può considerare che De Mérode con grande intuito e lungimiranza, in una situazione di immobili-smo stagnante, cap precocemente e per primo che la città si sarebbe sviluppata tra la nuova stazione ferroviaria e il centro ed agì tempestivamente, in modo spregiudicato, sostituendosi all’inerzia assoluta del governo pontificio, muovendosi però solo per interesse personale e dalla posizione di forza che gli assicu-rava l’alta carica ricoperta nell’amministrazione statale: «Visto nella giusta luce il De Mérode deve essere considerato come il capostipite e il prototipo di una gen a di speculatori che hanno spadroneggiato nella città fino ai giorni nostri»21. A tale severo giudizio potremmo associare anche il fratello di Francesco Sa-verio, Carlo Werner De Mérode, autore delle lottizzazioni forse più remunerative nella valle di S. Vitale.

3. Il completamento di via NazionaleLa questione del prolungamento dell’ultimo tratto di via Na-

zionale fu ampiamente discussa in Consiglio comunale a partire dal 1872. Il dibattito prese avvio dal progetto di Viviani, presen-tato per la prima volta nel 1871, che prevedeva lo sbocco di via Nazionale a piazza di Trevi e poi a piazza Sciarra22. Come risulta chiaramente dal Piano Regolatore del 1873 (supra p. 64, fig. B2), il tracciato prevedeva una svolta a destra dopo largo Magnana-poli, lo sventramento di via della Pilotta e l’ampliamento di piaz-za di Trevi, che si sarebbe realizzata mediante la demolizione e

l’arretramento degli edifici che si affacciavano sulla piazza, ad eccezione della chiesa dei SS. Vincenzo e Anastasio. Quindi, me-diante ulteriori aperture nel centro urbano, si sarebbe creato un lungo rettifilo che avrebbe raggiunto piazza Sciarra, oltrepas-sato il Corso e approdato al Pantheon. L’idea di fondo di Viviani era quella di creare un percorso monumentale caratterizzato da fondali prospettici (le Terme di Diocleziano, fontana di Trevi e il Pantheon) con l’obiettivo di mettere in collegamento la stazione con il centro e via XX Settembre con il Corso, che avrebbe bene-ficiato di un incremento della sezione stradale23.

Nonostante l’approvazione del Consiglio municipale, il pro-getto di Viviani suscitò immediatamente forti perplessità e de-cise opposizioni, a partire dal Ministero dei Lavori Pubblici che già nel 1873 propose lo sbocco a piazza Venezia. La principa-le critica al progetto non riguardò la profonda alterazione che avrebbe determinato nel centro storico – aspetto non avvertito dalla cultura urbanistica dell’epoca – ma si concentrò sul fatto che proponeva un percorso segmentato e mal raccordato con il sistema viario esistente, tale da ostacolare la fluidità della cir-colazione. In quegli anni professionisti e amministratori presen-tarono numerose varianti, che si differenziarono sia per la lun-ghezza del tracciato, in funzione del grado di pendenza, sia per lo sbocco proposto, piazza di Trevi, piazza SS. Apostoli o piazza Venezia. Dopo circa 5 anni di dibattiti e polemiche, nel giugno 1876 il Consiglio comunale deliberò il prolungamento di via Na-zionale fino a piazza Venezia, accantonando cos il progetto di Viviani in via definitiva24. La soluzione adottata prevalse sulle altre principalmente perché era meno impegnativa sul pianto tecnico e meno onerosa sotto il profilo finanziario, dal momen-to che avrebbe contenuto i costi di esproprio e i tempi di rea-lizzazione. Sempre per contenere i costi di esproprio si valutò l’ipotesi di restringere la larghezza dell’ultimo tratto a 18 metri, nettamente inferiori ai 22 del primo, ma fortunatamente si deci-se per un’ampiezza di venti metri, la stessa di via del Plebiscito nella quale via Nazionale andava a confluire una volta supera-ta piazza Venezia (figg. D37-38). Con la realizzazione di corso Vittorio Emanuele II (1883-1900) si completò il grande asse di attraversamento est-ovest che collegava la stazione Termini al Vaticano e che aveva in piazza Venezia il suo snodo fondamen-tale25. L’inaugurazione del Vittoriano nel 1911, seppure incom-pleto, enfatizzò la rilevanza strategica dell’ultimo tratto di via Nazionale, che soltanto nel 1918 assunse la denominazione di via IV Novembre e via Cesare Battisti (fig. D33).

Si realizzava così la prima grande arteria di Roma italiana, che non rappresentò soltanto un intervento urbanistico ma an-che un’operazione simbolica volta a consolidare l’unità naziona-le e a testimoniare l’operosità dei nuovi amministratori, i quali, tuttavia, proseguirono l’opera lasciata interrotta da monsignor De Mérode senza un progetto urbanistico definito e condiviso.

Giuseppe Stemperini e Orietta Verdi*

* Orietta Verdi ha redatto il paragrafo 2 e Giuseppe Stemperini i paragrafi 1 e 3.1 G. ZuCCoNI, La città dell’Ottocento, Roma-Bari, Laterza, 2010, pp. 138-142.2 G. asCarellI, Ferrovie e tramvie nello sviluppo dei trasporti urbani ed inte-

rurbani, in Architettura e urbanistica: uso e trasformazione della città storica, Venezia, Marsilio, 1984, pp. 129-141: 131.

119

3 G. aNGelerI-u. MarIottI BIaNChI, Termini: dalle botteghe di Farfa al dinosauro, Roma, Banca Nazionale delle Comunicazioni, 1983, pp. 59-61.

4 Ivi, p. 129.5 N. CIaMpI, Intorno alla nuova Stazione di Termini, «Capitolium», XXIV, 1949,

7-8, pp. 145-158 : 145-146.6 G. aNGelerI-u. MarIottI BIaNChI, Termini, cit., pp. 265-272.7 La Villa Hüffer. Una dimora romana dell’Ottocento, a cura di G. Amati e I. In-

solera, Roma, Istituto Italiano di Credito Fondiario, 1991, pp. 49-71: 56; Insolera sottolinea come negli anni 1859-66 l’area considerata come la più importan-te per l’espansione della città verso la nuova stazione ferroviaria fosse quella sulla quale nascerà via Cavour, arteria che dal piazzale laterale della stazione, su cui si apriva la facciata principale dello scalo, scendeva verso S. Maria Mag-giore e via Labicana.

8 arChIVIo dI stato dI roMa (d’ora in poi ASR), Trenta Notai Capitolini (d’ora in poi TNC), uff. 8, not. A Torriani, vol. 625 (23 aprile 1859); la villa, di proprietà di Ottavio Dillingham Mordaunt, viene acquistata da De Mérode al prezzo di scudi 18.600.

9 Si tratta di monache carmelitane cos chiamate per la vicinanza del loro monastero con Palazzo Barberini.

10 ASR, Segretari e cancellieri RCA, not. P. Gentili, vol. 927, c. 284 e sgg. (10 luglio 1866).

11 ASR, TNC, uff. 33, not. A. Sartori, vol. 763, cc. 431-448 (19 novembre 1864).12 ASR, Segretari e cancellieri RCA, not. P. Gentili, vol. 927, c. 284 e sgg., in

allegato «Rapporto sulla permuta degli orti di S. Bernardo con parte di Villa Strozzi» (12 maggio 1866).

13 Per la storia delle vicende costruttive di via Nazionale e delle vie adiacenti, nonché per un inquadramento storico della città e delle sue infrastrutture nel 1870, oltre a M. Tafuri, La prima strada di Roma moderna: via Nazionale, «Ur-banistica», XXIX, 1959, 27, si veda il saggio di I. INsolera, «Diritta, bellissima e smagliante senza importanza né pretesa», in La Villa Hüffer, cit., pp. 43-71, con bibliografia e ricco corredo fotografico e cartografico, dal quale è stata ripresa la rielaborazione della pianta del Nolli, che qui si presenta.

14 s. pasquarellI, Via Nazionale. Le vicende urbanistiche e la sua architettura, in Architettura e urbanistica: uso e trasformazione della città storica [Catalogo della mostra, Roma, settembre-novembre 1984], Venezia, Marsilio, 1984, pp. 295-324.

15 ASR, TNC, uff. 4, vol. 733, c. 165 e sgg. (1880, marzo 24).16 arChIVIo CeNtrale dello stato (d’ora in poi ACS), Lavori pubblici, b. 151, f. 406,

Convenzione De Mérode, p. 3; I. palerMo, Roma, via Nazionale: una strada per la città (1859-1876), «Storia della città», XIV, 1989, 2, pp. 11-50.

17 Proposta di Piano Regolatore fra i due versanti Viminale e Quirinale: Con-siglio comunale 3 luglio 1878.

18 La Villa Hüffer, cit.19 Il progetto di ricerca, coordinato da chi scrive, è tuttora in corso presso l’Ar-

chivio di Stato di Roma; le piante dei lotti venduti da Carlo Werner De Mérode, a tutt’oggi inedite, sono state argomento della tesi di laurea magistrale di Lore-dana Margheriti (Università di Viterbo, Facoltà di Conservazione dei Beni Cul-turali, anno acc. 2011-2012) che ringrazio per avermi gentilmente permesso di consultare il suo lavoro.

20 Elenco dei lotti venduti da Carlo Werner De Mérode tra il 1877 e il 1880 ricavati dalle notizie degli atti notarili con pianta dei terreni presenti in ASR, TNC, ufficio 4, alla data:

18 04 1877, Alessandrina Lebzeltern, ved. Des Cars, via della Consulta n. 28, mq 1.351, . 86.215 ( . 67 mq)

11 04 1878, Gaetano Panà, via Napoli, mq 247, . 14.844 ( . 60 mq) 23 05 1878, Giosuè Arioli, via Nazionale, ang. Venezia, mq 1.249, . 74.970 ( . 60 mq) 28 12 1878, D’Amico e Carimini, via Nazionale, mq 1.448, . 101.413 ( . 70 mq) 24 05 1879, Luigi Pascucci, via Nazionale, mq 511,70, . 35.819 ( . 70 mq) 04 02 1880, Giosuè Arioli, via Venezia, mq 178,50, . 12.495 ( . 70 mq) 24 03 1880, Guglielmo H ffer, via Nazionale (S. Vitale), mq 4.844, . 387.566 ( . 80 mq) 08 06 1880, Pietro Ducco, via Genova, angolo Palermo, mq 1.663, . 116.466 ( . 70 mq) 10 06 1880, Luigi Pascucci, via Palermo, angolo Venezia, mq 874, . 61.247 ( . 70 mq)

21 G. aMatI, Il boom edilizio: ascesa e crollo, in La Villa Hüffer, cit., p. 73.22 s. pasquarellI, Via Nazionale, cit., pp. 298-300.23 M. taFurI, La prima strada di Roma moderna, cit., pp. 95-96.24 I. palerMo, Roma, via Nazionale, cit., p. 37.25 a.M. raChelI, Via Nazionale. Il tracciato e i monumenti, in Architettura e ur-

banistica, cit., pp. 325-368.