Un solo mondo 1/2017 - Eidgenössisches … punto di vista della DSC e delle autorità federali. DSC...

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Eine Welt Un seul monde Un solo mondo N. 1/ MARZO 2017 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE www.dsc.admin.ch Uguali, ma quando? Senza parità di genere nessuno sviluppo sostenibile Rimesse degli emigrati Un pilastro dell’economia nepalese, ma a quale prezzo? Agenda 2030 La Svizzera fa il punto della situazione

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Eine WeltUn seul mondeUn solo mondo

N. 1/ MARZO 2017LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONEwww.dsc.admin.ch

Uguali, maquando?

Senza parità di generenessuno sviluppo sostenibile

Rimesse degli emigratiUn pilastro dell’economia

nepalese, ma a quale prezzo?

Agenda 2030La Svizzera fa il punto

della situazione

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2 Un solo mondo n.1 / Marzo 2017

Sommario

3 Editoriale4 Periscopio26 Dietro le quinte della DSC33 Servizio 35 Nota d’autore con Talkhon Hamzavi35 Impressum

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenziadello sviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri(DFAE), è l’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è unapubblicazione ufficiale in senso stretto; presenta, infatti, unapluralità di opinioni. Gli articoli pertanto non esprimono sempre il punto di vista della DSC e delle autorità federali.

D S C

F O R U M

O R I Z Z O N T I

C U L T U R A

D O S S I E R QUESTIONE FEMMINILE6 Sviluppo e parità di genere vanno a braccetto

La comunità internazionale si è data quindici anni per colmare tutte le disparità tra uomo e donna

11 Ancora molta strada da fareIntervista a Phumzile Mlambo-Ngcuka, direttrice dell’agenzia delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere

13 Donne e bambini come campo di battagliaLo stupro è un’arma di guerra impiegata molto spesso nel conflitto nel Sudan del Sud. Per proteggere donne e bambini, una ONG li accompagna durante le attività quotidiane

14 Un gruzzolo che vale uno strappo alla tradizioneIn Afghanistan, un progetto svizzero dà la possibilità alle donne di guadagnare qualche soldo, di migliorare le condizioni di vita della famiglia e di conquistare un po’ di libertà

16 Preparate per entrare in politicaUn progetto sostenuto dalla DSC promuove la presenza delle donne in seno alle istituzioni politiche in Benin

17 Fatti e cifre

18 I nepalesi tentano la sorte all’estero La manodopera migrante è un pilastro fondamentale dell’economia del Nepal. I lavoratorinepalesi non sono però sufficientemente protetti contro lo sfruttamento

21 Sul campo con...Diepak Elmer, capomissione supplente presso l’ambasciata svizzera a Kathmandu

22 Paladina dei diritti delle donne Mohna Ansari ci parla del suo impegno come avvocato in favore delle minoranze e delle pari opportunità in Nepal

27 Primi passi verso un mondo miglioreLa Svizzera sta definendo la rotta per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile. È un processo che alcune ONG giudicano troppo lento

30 La fragile stabilità marocchinaCarta bianca: Driss Ksikes ci parla del malumore e dell’indignazione che il popolo del Marocco esprime a intermittenza

31 Obiettivo puntato sul Bangladesh Le immagini di alcuni giovani fotografi ci propongono sorprendenti scorci delPaese del Sud-est asiatico

23 Migliorare le cure e la qualità di vita di anziani e disabiliIn Polonia, la DSC promuove un nuovo rapporto fra pazienti e personale sanitario per aumentare la qualità dell’assistenza e delle offerte occupazionali

24 Più forti del terrore Una ONG italiana sostiene le vittime del gruppo terroristico Boko Haram affinché possano elaborare i traumi e ridare un senso alla loro vita

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3Un solo mondo n.1 / Marzo 2017

Editoriale

Nonostante la mia passione per la lingua inglese, mi sforzo di evitare gli anglicismi. Anche quelli più diffusi nella Svizzera tedesca, come il noto «Handy».Naturalmente con le dovute eccezioni. La mattina inufficio accendo il computer e al caffè con la sirenettaverde ordino un Tall Latte (vi sfido a chiederlo in te-desco). Un caso particolare è gender: la traduzione èpossibile, ma insoddisfacente: genere e gender nonsono proprio la stessa cosa. Il gender spesso sottin-tende un’uguaglianza giuridica. In effetti, molti Paesihanno inserito la parità tra donne e uomini nella pro-pria Costituzione, proprio come la Svizzera (art. 8Cost.). Ma si sa, non basta fissare l’uguaglianza di genere sulla carta per ottenerla. È per questo motivoche abbiamo deciso di dedicare l’attuale numero di«Un solo mondo» a questo tema.

In termini di concretizzazione della parità, un recenterapporto del WEF colloca la Svizzera all’ottavo rangosu 145 Paesi; davanti a noi c’è, fra gli altri, il Ruanda,Paese in cui mi sono recato l’anno scorso e dovesono stato ricevuto quasi esclusivamente da ministre.Se a livello di istruzione e salute la situazione è con-fortante, in politica e negli affari le donne svizzeresono ancora sottorappresentate. Per le madri conci-liare lavoro e famiglia è una sfida particolarmente ar-dua. Le donne che lavorano sono colpite dalla po-vertà due volte più degli uomini e guadagnano inmedia il 20 per cento in meno per lo stesso lavoro; ledonne con funzioni direttive addirittura il 30 per centoin meno. Il fenomeno si spiega solo in parte, ad esem-pio con le interruzioni dell’attività remunerata o con illavoro a tempo parziale. Il resto è discriminazione. Cisono squilibri anche in politica: in Consiglio nazionalesolo il 32 per cento dei seggi è occupato da donne,agli Stati solo il 15 per cento. E anche noi della DSCabbiamo troppe poche donne ai vertici.

Dal 1990, la parità di genere è un elemento centraledella lotta contro la povertà della DSC. L’agenzia disviluppo della Confederazione persegue un’effettivapolitica di genere dal 2003. Non si tratta soltanto diquestioni di diritto, ma anche di esperienze di vita di-

verse. Uomini e donne non sono ugualmente colpitidalle crisi umanitarie. La probabilità di morire in undisastro naturale è maggiore per una donna che perun uomo. L’uomo è invece più spesso vittima dellaviolenza armata. Donne e ragazze sono maggior-mente esposte al rischio di subire violenze sessuali.La strategia di genere della DSC è quindi focalizzata,oltre che sull’emancipazione economica e politicadelle donne, anche sulla loro protezione contro le vio-lenze nelle regioni in conflitto. La sensibilizzazione diuomini e ragazzi è un elemento importante di questoimpegno.

Alcuni esempi concreti illustrano la politica della DSCin materia di pari opportunità. Nel 2014 abbiamo so-stenuto in Tunisia un programma di formazione per200 donne che si sono candidate alle elezioni parla-mentari. Nove di loro sono state elette. In Laos so-steniamo la partecipazione delle donne nella defini-zione delle priorità nel settore dei servizi pubblici. Neivillaggi che ho potuto visitare, le donne riuscivano effettivamente a farsi rispettare. In dodici Paesi, fra i quali Afghanistan, Burundi, Ruanda, Bosnia eTagikistan, sosteniamo programmi contro la violenzanei confronti delle donne. Dal 2011, nella regione deiGrandi Laghi grazie anche alla DSC, 20000 vittime diviolenza hanno ottenuto assistenza specifica.

La parità di genere è anche un fattore economico.Secondo uno studio McKinsey, un’uguaglianza com-pleta entro il 2025 consentirebbe di generare 28 milamiliardi di dollari supplementari in tutto il mondo, parial PIL di Stati Uniti e Cina messi assieme.

Non fraintendetemi: l’uguaglianza di genere non habisogno di alcuna giustificazione, né economica, nélegale. Si giustifica da sé.

Manuel SagerDirettore della DSC

(Traduzione dal tedesco)

La parità non ha bisogno di giustificazioni

DSC

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The New York Times/Redux/laif

Matilde Gattoni/Redux/laif

Nick Hannes/laif

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Periscopio

Situazione win-win( jlh) In molti Paesi poveri, come la Cambogia, il Congo o ilBangladesh, la pesca d’acqua dolce è più importante da unpunto di vista alimentare di quella in mare o d’allevamento.Purtroppo però molti corsi d’acqua sono eccessivamentesfruttati. È così anche per il Rio delle Amazzoni dove glistock ittici di arapaima gigas si riducono a velocità preoc-cupante. Questo pesce d’acqua dolce, uno dei più grandial mondo, è molto importante per l’alimentazione e l’ap-provvigionamento proteico delle popolazioni in Amazzonia.Lo studio anglo-brasiliano «Amazon Fishery», realizzatodalle Università Rio Grande do Norte e East Anglia, ha evi-denziato l’importanza di proteggere i laghi delle pianure al-luvionali amazzoniche e affidare la gestione della pesca allepopolazioni locali. Dove ciò è avvenuto, gli stock ittici sonoparecchio più ricchi che nei laghi liberamente accessibili.Per le popolazioni locali si crea così una situazione win-win:la qualità e la biodiversità delle acque rimangono elevate ele basi alimentari intatte. Al tempo stesso, la crescita deglistock ittici fornisce molto più cibo e redditi più elevati.

adriatica, un clima gradevole eun pittoresco entroterra mon-tano. Ora pare che il Paese si sia finalmente ritagliato un suospazio nella mappa turisticad’Europa. Se dopo il crollo delregime comunista, avvenuto all’inizio degli anni Novanta, ilsettore turistico ha marciato sulposto per quasi due decenni, trail 2007 e il 2014 il numero dituristi stranieri è più che tripli-cato e supera ora i 3,4 milioni,una progressione favorita anche

45,8 milioni di schiavi(bf ) Che si tratti di bracciantisfruttati in Cina, donne yaziderapite dal sedicente Stato isla-mico o prostitute in metropolidell’Europa occidentale, glischiavi moderni hanno tuttiqualcosa in comune: non pos-sono andarsene. Sono stati pri-vati del passaporto, sono stati ri-dotti alla dipendenza e le lorofamiglie sono state minacciate.Secondo l’Indice globale dellaschiavitù 2016, gli schiavi almondo sono 45,8 milioni, unrecord negativo senza precedenti,benché la schiavitù sia vietataovunque, eccezion fatta per laCorea del Nord. Oltre la metà

degli schiavi vive in Cina, India, Pakistan, Bangladesh eUzbekistan. Per fare luce su questa economiasommersa, i ricercatori dellaFondazione australiana WalkFree, autori dell’indice dellaschiavitù, hanno intervistatooltre 40000 persone in tutto ilmondo. Secondo lo studio,

molti Paesi hanno grosse diffi-coltà a perseguire gli abusi e latratta di esseri umani, poiché lamanodopera a basso costo è allabase della loro economia.www.globalslaveryindex.org

Prima università per profughi(lb) I profughi nei campidell’Alto commissariato delleNazioni Unite (UNHCR) rice-vono vestiti e cibo, hanno accesso all’assistenza sanitaria epossono concludere la loro for-mazione scolastica di livello se-condario I. Finora, però, eraloro preclusa la possibilità dicontinuare gli studi. Perché nonaprire un’università nei campiprofughi, si è quindi chiestaYvelyne Wood, artista diGinevra e fondatrice dell’ONGsvizzera UniRef. «Il nostroobiettivo è dare un avvenire aigiovani rifugiati affinché possanotrovare un posto di lavoro nelloro Paese d’origine o di acco-glienza», spiega Wood. Nel2017, UniRef aprirà le portedella prima università di linguafrancese al mondo nel campoprofughi a Musasa, nel Nord-estdel Burundi. In collaborazionecon l’UNHCR, l’ONG pro-porrà dei corsi universitari performare infermieri e professoridi francese. Dal 2018 verrà pro-posto anche un percorso accade-mico in agronomia ed economiaagroalimentare. Nel contempoverrà avviato un progetto ana-logo nel campo profughi diNyarugusu, nel Nord-ovestdella Tanzania. UniRef darà lapossibilità a quasi 1200 studentidi continuare la loro formazionee di ottenere un diploma di Stato.www.uniref.ch

Chicca turistica da scoprire(fu) Per lungo tempo, l’Albaniaè rimasta una chicca turistica perpochi intenditori nonostantequesta nazione balcanica celi unenorme potenziale per il turi-smo: 362 chilometri di costa

dall’evoluzione economica.Infatti, lo sviluppo delle infra-strutture, il rafforzamento delloStato di diritto e la promozionedegli investimenti privati hannoavuto un impatto favorevole sulmercato del turismo. Ma civorrà ancora un po’ di tempoprima di arrivare ai livelli dellevicine Grecia e Croazia. Secon-do uno studio del WEF sullacompetitività turistica, l’Albaniae la Moldavia sono ancora i fanalini di coda dell’Europa.

Sangue che piove dal cielo( jls) A causa della topografia particolarmente accidentata, inRuanda i trasporti su strada sonolenti e complicati. È una situa-zione che mette in difficoltà icentri sanitari quando aspettanocon urgenza i rifornimenti disangue per effettuare trasfusionisu pazienti con gravi emorragie.

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Loraine Wilson/robertharding/laif

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Disegno di Jean Augagneur

Il governo ruandese ha così de-ciso di utilizzare dei droni pertrasportare rapidamente sacchedi sangue nelle zone rurali. Loscorso mese di ottobre ha inau-gurato una base di lancio aMuhanga, a 50 km dalla capitaleKigali. Da qui, quindici droniservono ventun cliniche situatenell’Ovest del Paese. «Il sangue è un bene molto prezioso. Nonpossiamo semplicemente stoc-carlo in grandi quantità in tutti i centri sanitari», spiega RinaudoKeller, direttore di Zipline, lasocietà statunitense che ha pro-gettato la base e gli apparecchi.Questi ultimi, chiamati «Zip»,sono degli aerei in miniatura. I droni raggiungono una velo-cità di 70 chilometri orari e di-spongono di una batteria che dàloro un’autonomia di 150 chilo-metri. Gli Zip sganciano le sac-

che di sangue munite di un piccolo paracadute a 20 metridal suolo.http://flyzipline.com

Rimboschire il Kilimangiaro( jls) I cambiamenti climaticistanno compromettendo la funzione di riserva idrica delKilimangiaro per il Kenya e laTanzania. Il ghiacciaio sullavetta più alta dell’Africa si è giàridotto dell’80 per cento e siteme possa scomparire nei pros-simi decenni. Inoltre, il climapiù caldo e secco ha causato un aumento degli incendi. Dal1976, il fuoco ha già distrutto 13000 ettari di superfici bo-schive sui versanti della monta-gna. Così, nelle foreste non cisono più abbastanza alberi percatturare le goccioline di nebbiae per filtrare e stoccare l’acqua

piovana. Per questo motivomolti fiumi si stanno prosciu-gando, lasciando le popolazioniche vivono ai piedi del Kili-mangiaro senz’acqua durante la stagione secca. In un recenterapporto dal titolo «Sustainablemountain development in EastAfrica in a changing climate», il

Programma delle Nazioni Uniteper l’ambiente esorta la Tanzaniaa proteggere il bacino idrogra-fico del Kilimangiaro al fine diprevenire una crisi idrica e rac-comanda al Paese di lanciareprogrammi di rimboschimento.

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Karia Zabludovsky/NYT/Redux/laif

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David Bathgate/Redux/laif

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DOSSIER

Sviluppo e parità di generevanno a braccetto Nessun Paese è riuscito a raggiungere l’uguaglianza di gene-re. Si sono fatti alcuni passi avanti, in particolare in materia diistruzione, tuttavia le disparità permangono in numerosi ambi-ti. Con l’adozione dell’Agenda 2030 per uno sviluppo sosteni-bile, la comunità internazionale si è data quindici anni per col-mare questo divario. Di Jane-Lise Schneeberger.

La Convenzione sull’eliminazione di ogni formadi discriminazione nei confronti della donna, adot-tata nel 1979 dalle Nazioni Unite, impone agli Sta-ti firmatari di iscrivere la parità di genere nella lorolegislazione e di garantirne l’applicazione. Finora,143 Paesi hanno fissato questo principio nella loroCostituzione e numerosi Stati hanno abolito le leg-gi discriminatorie o emesso nuovi decreti che pro-muovono l’uguaglianza tra uomo e donna.«Gli strumenti giuridici sono fondamentali, perchépermettono alle donne di far valere i propri dirit-ti. Tuttavia, la loro applicazione si scontra spessocontro norme sociali che assegnano alle persone

ruoli specifici in base al sesso», osserva Flurina Derungs, ricercatrice presso il Centro interdisci-plinare per la ricerca di genere dell’Università diBerna. «Questi stereotipi di genere sono profon-damente radicati nelle mentalità e perpetuano le disuguaglianze in moltissimi ambiti». Le dispa-rità ostacolano infatti lo sviluppo: per esempio li-mitano l’accesso delle donne alla sanità, all’istru-zione, alle risorse, al mercato del lavoro e ai pro-cessi decisionali. Sono soprattutto le donne menoabbienti a soffrire a causa delle discriminazioni digenere, discriminazioni che contribuiscono a man-tenerle in una condizione di povertà.

Un quartiere povero a Dacca, la capitale del Bangladesh. L’estrema povertà colpisce più le donne degli uomini.

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Karia Zabludovsky/NYT/Redux/laif

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Sam Phelps/NYT/Redux/laif

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Questione femminile

Un programma visionarioLa quarta Conferenza mondiale sulle donne, te-nutasi a Pechino nel 1995, ha indicato la via da per-correre per colmare le disparità di genere. Il suoprogramma d’azione ha definito gli obiettivi daraggiungere in dodici ambiti, come la lotta alla po-vertà, alla violenza e ai conflitti armati, l’istruzione,la salute e l’economia. «Questo visionario e ambi-zioso documento guida ancora oggi l’azione dellacooperazione internazionale. Ci impegniamo per

Disparità di genere e sicurezza alimentareLe agricoltrici dei Paesi invia di sviluppo lavoranosodo, eppure produconomeno rispetto agli uomini a causa del loro accessolimitato alle risorse produt-tive (terreni agricoli, crediti,attrezzature, sementi mi-gliorate, fertilizzanti, servizidi divulgazione). Nel suoRapporto 2010-2011 sullasituazione mondiale del-l’alimentazione e dell’agri-coltura, la FAO ha calco-lato che se le contadinedisponessero degli stessimezzi degli uomini, potreb-bero aumentare del 20-30per cento il rendimentodella loro attività. La pro-duzione agricola nei Paesiin via di sviluppo cresce-rebbe del 2,5-4 per centoe permetterebbe di ridurredi 100-150 milioni il nu-mero di persone sottoali-mentate nel mondo.

In Messico (a sinistra) o in Senegal, l’istruzione non apre ancora le porte del mondo del lavoro alle donne.

salvaguardare i risultati ottenuti e per evitare pas-si indietro», spiega Ursula Keller, responsabile del-le questioni di genere presso la DSC. Vent’anni piùtardi, le Nazioni Unite hanno fatto un bilancio deirisultati ottenuti con il programma d’azione adot-tato a Pechino, riconoscendo che sono stati com-piuti progressi, ma deplorando altresì una «lentez-za inaccettabile». Questa valutazione è servita dabase per la formulazione degli Obiettivi di svilup-po sostenibile in materia di genere.L’istruzione e la sanità sono due ambiti in cui sisono fatti progressi significativi. Il tasso di morta-lità delle madri è calato in tutto il mondo, ma èancora troppo elevato nell’Africa subsahariana enell’Asia meridionale. I decessi sono legati, in par-ticolare, alla carenza di servizi sanitari, ai parti non medicalizzati e agli aborti praticati in condizioniprecarie.In materia di istruzione, i Paesi in via di sviluppohanno quasi raggiunto la parità di genere nellascuola elementare, mentre a livello secondario Ihanno solo parzialmente colmato il divario tra ra-gazzi e ragazze. «Nonostante gli sforzi, non siamoancora riusciti a impedire completamente l’abban-dono precoce della scuola. Molte ragazze non tor-

nano più tra i banchi quando raggiungono la pubertà: vengono maritate o devono dedicarsi atempo pieno ai lavori domestici», evidenzia conpreoccupazione Ursula Keller. Inoltre, nell’inse-gnamento a livello superiore le differenze sono ancora evidenti.

Impieghi precari e magri redditiL’innalzamento del livello di istruzione delle don-ne non ha migliorato le loro prospettive profes-

sionali. L’accesso al mercato del lavoro resta pro-blematico. Solamente il 55 per cento delle donneha un impiego formale salariato; una percentualerimasta uguale negli ultimi trent’anni. Di regola,le impiegate guadagnano meno degli uomini e oc-cupano funzioni subordinate. Nel settore infor-male, invece, le donne sono sovrarappresentate.Nei Paesi in via di sviluppo è un ambito profes-sionale che non offre alcuna protezione sociale edove le condizioni di lavoro sono precarie. L’a-gricoltura, per esempio, è sempre più in mano alledonne. Ma le norme e le leggi discriminatorie ri-ducono la produttività delle contadine. In taluniPaesi, le donne non hanno il diritto di possedereo ereditare la terra. Inoltre non possono procurar-si le attrezzature e i mezzi economici necessari acausa delle difficoltà a ottenere dei crediti. Oltre aciò, i loro terreni sono spesso più piccoli e menofertili di quelli degli uomini. Una miriade di in-giustizie contro cui le donne non riescono a op-porsi in maniera efficace poiché spesso le decisio-ni vengono prese dagli uomini. Finalmente si no-tano però dei timidi passi avanti. Negli ultimivent’anni la percentuale di deputate nei parlamentinazionali è passata dal 12 al 23 per cento.

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Katherine Kiviat/Redux/laif

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Axel Indik/Polaris/laif

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Lavoro non retribuito e invisibile«Se le donne non possono partecipare maggior-mente alle attività produttive o alla vita politica, èsoprattutto per mancanza di tempo: la loro quoti-dianità è scandita dalle attività legate alla gestionedell’economia domestica e della famiglia», osservaFlurina Derungs. Secondo i codici sociali, spetta

alle donne prendersi cura dei bambini, dei paren-ti anziani o dei malati e occuparsi delle faccendedomestiche. Oltre a cucinare e a tenere pulita lacasa, devono provvedere all’acqua e alla legna; sonoattività che le impegnano per buona parte dellagiornata. In tutto il mondo, le donne e le ragazzespendono quotidianamente 200 milioni di ore per

Infanzia perdutaNegli ultimi decenni, la pra-tica del matrimonio pre-coce è leggermente dimi-nuita, ma è ancora moltodiffusa nei Paesi in via disviluppo. Ogni anno, quasi15 milioni di ragazze sonomaritate prima dei 18 anni,ossia 37000 al giorno.Queste unioni precocicomportano tutta una seriedi rischi, primo fra tuttil’abbandono della scuolada parte delle giovanispose. Queste ultime sonoanche più esposte a mal-trattamenti e abusi sessualida parte dei mariti. Inoltre,le gravidanze precoci pos-sono causare il decessodella madre e del bambinoa causa delle frequenticomplicazioni.

In Pakistan (in alto), una donna segnata dalle ustioni da acido; in Argentina, manifestazione contro la violenza nei confronti delle donne.

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Evelyn Hockstein/Polaris/laif

Un solo mondo n.1 / Marzo 2017

Le donne impiegano oltre 200 milioni di ore al giorno per andare a prendere l’acqua: un’attività fondamentale ma pocoriconosciuta dalla società.

Donne, pace e sicurezzaNella risoluzione 1325adottata nel 2000, ilConsiglio di sicurezza delleNazioni Unite ha ricono-sciuto che le guerre hannoun impatto molto maggioresulle donne. Il Consiglio haesortato le parti in conflittoa proteggere le donne da-gli atti di violenza di generee ha chiesto che siano coinvolte a pieno titolo negli sforzi di promozionedella pace. Nello studio«Prévenir les conflits,transformer la justice, obtenir la paix», svolto nel2015 per valutare l’attua-zione di questa risoluzione,le Nazioni Unite hanno sot-tolineato che non si sonoregistrati né una diminu-zione degli stupri né un aumento delle condannedegli autori nonostante l’adozione di leggi a livellointernazionale contro leviolenze sessuali. Inoltre,negli ultimi quindici anni laquota di donne coinvoltenei processi di pace è rimasta inferiore al 10 per cento.wps.unwomen.org

andare a prendere l’acqua. Tutte queste attività, essenziali per il funzionamento della società, non godono di alcun riconoscimento sociale.Per rafforzare l’indipendenza economica delle don-ne, occorre innanzitutto alleggerire il loro fardel-lo quotidiano. Ciò richiede una ripartizione piùequa dei compiti all’interno della famiglia. D’altrocanto, varie misure consentono di ridurre il tem-po impiegato nelle attività domestiche e di cura:si possono, per esempio, costruire pozzi più vici-ni alle abitazioni, elettrificare i villaggi o crearestrutture di accoglienza per bambini e anziani.

Prevenire la violenzaLa disparità nei rapporti di potere tra i generi è an-che all’origine delle violenze contro le donne e leragazze: una vera e propria pandemia globale chenon accenna a diminuire. Una donna su tre su-bisce violenze fisiche e/o sessuali nell’arco dellavita, il più delle volte da parte del partner. Per mol-to tempo la comunità internazionale non se n’èpreoccupata, considerando tali atti riservati allasfera privata. Oggi, gli Stati sono consapevoli delloro dovere di proteggere le donne. Eppure, solodue terzi dei Paesi hanno adottato leggi che con-dannano la violenza domestica; disposizioni che fa-ticano a fare rispettare. Questa piaga è deleteria perla comunità, visti i costi diretti per il sistema sani-tario e i costi indiretti, come le ore di lavoro per-se e la produttività ridotta delle vittime.Durante i conflitti, tutte le forme di violenza con-

tro le donne si aggravano: stupri individuali e digruppo, violenza domestica, tratta di esseri uma-ni, schiavitù sessuale ecc. Nel contempo aumen-tano le malattie sessualmente trasmissibili, le gra-vidanze indesiderate e la mortalità delle puerpere.«Gli attori umanitari si sono occupati seriamentedel fenomeno soltanto a partire dalla fine degli anniNovanta, quando gli stupri di massa commessi du-rante il genocidio ruandese e la guerra in ex Ju-goslavia lo hanno reso visibile in tutta la sua dram-maticità», dice Sascha Müller dell’Aiuto umanita-rio della DSC. «La violenza di genere ha graviconseguenze non soltanto sulla salute fisica e men-tale delle vittime, ma anche sull’intera società».Molte donne stuprate vengono stigmatizzate dal-la comunità, respinte dai mariti o addirittura co-strette a sposare il loro aggressore.

Eliminare le discriminazioni entro il 2030Se tarda a concretizzarsi nella pratica, l’uguaglian-za ha pur sempre guadagnato terreno a livello po-litico. «Negli ultimi anni la questione di genere nonviene più abbordata in maniera marginale, ma oc-cupa una posizione centrale nei processi politici incui si elabora il quadro normativo mondiale», si ral-legra Ursula Keller. L’Agenda 2030 per uno svi-luppo sostenibile è lì a ricordarci tale evoluzione.Il programma d’azione delle Nazioni Unite dàgrande importanza all’emancipazione delle donnee all’eliminazione delle discriminazioni. Il quintoObiettivo di sviluppo sostenibile (OSS) prevede

Questione femminile

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Asmaa Waguih/NYT/Redux/laif

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misure specifiche negli ambiti in cui le disugua-glianze sono più gravi, come il lavoro non retri-buito, la violenza, la dipendenza economica e lalimitata partecipazione alla vita politica. Inoltre,l’uguaglianza tra uomo e donna si è ritagliata unospazio nella maggior parte degli altri OSS. «La for-za dell’Agenda 2030 risiede nel fatto che conside-ra la parità di genere in maniera olistica», eviden-zia Chantal Oltramare del settore Cooperazioneglobale della DSC. «Se vogliamo sradicare la po-

vertà, eliminare la fame e promuovere la pace, ènecessario tenere in considerazione i ruoli e i bi-sogni delle donne all’interno di ogni società e ga-rantire la parità dei diritti tra i sessi».

Obiettivo strategico La Svizzera si è impegnata molto affinché nell’A-genda 2030 venisse integrato un obiettivo specifi-co sulle questioni di genere. «La sfida è ora quelladi attuarlo», afferma Chantal Oltramare. «La DSCvi contribuisce collaborando con l’agenzia ONUper l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne UN Women e soprattutto attraversoi suoi progetti di cooperazione». Da quest’anno, laparità di genere sarà inoltre uno dei sette obietti-vi strategici dell’agenzia di sviluppo della Confe-derazione, come auspicato dal Consiglio federalenel Messaggio concernente la cooperazione inter-nazionale della Svizzera 2017-2020.La DSC concentra le attività in tre ambiti temati-ci. Il primo è la lotta contro la violenza in conte-

Cambiamenti climatici Le donne sono particolar-mente vulnerabili ai cam-biamenti climatici. In casodi siccità, inondazioni o al-tre catastrofi naturali, il lorotasso di mortalità è spessosuperiore a quello degli uo-mini. In simili situazioni au-menta il rischio di violenzesessiste poiché la comu-nità perde parte della suafunzione protettiva nei con-fronti dei più deboli. Nellostesso tempo, soprattuttonelle zone rurali, le donnehanno un ruolo fondamen-tale nel processo di adat-tamento ai cambiamenticlimatici. Producono dal60 all’80 per cento delcibo consumato nei Paesiin via di sviluppo, vantanouna vasta esperienza digestione delle risorse natu-rali, conoscono le piante,le sementi e le sorgentid’acqua.

Parlamento egiziano: le donne sono sottorappresentate in seno agli organi decisionali.

sti fragili, attraverso l’assistenza delle vittime, la pre-venzione e il sostegno dei Paesi partner nell’attua-zione delle leggi elaborate per perseguire penal-mente gli autori. Il secondo campo d’azione è l’e-conomia. I progetti mirano a migliorare l’accessodelle donne all’istruzione, al lavoro retribuito e allerisorse produttive, affinché siano finanziariamenteautonome. Infine, la DSC sostiene la loro eman-cipazione politica: in molti Paesi appoggia le can-didate alle elezioni comunali o ai parlamenti e col-

labora con i movimenti femministi che si battonoper aumentare la partecipazione delle donne inseno agli organismi decisionali.In tutte queste attività la DSC coinvolge anche gliuomini. Collabora con loro e organizza campagnedi sensibilizzazione. Entrambi i sessi beneficianodella parità poiché gli stereotipi di genere non dan-neggiano soltanto le donne. «Senza dubbio, le nor-me sociali accordano molti privilegi agli uomini,ma impongono loro anche molti obblighi. La re-sponsabilità di nutrire la famiglia, per esempio, puòessere un pesante fardello e generare un sentimentodi fallimento negli uomini che vengono meno aquesto compito», spiega Ursula Keller. «Se voglia-mo che gli uomini siano nostri alleati nella lottaper l’uguaglianza di genere, è indispensabile pren-dere in considerazione anche i loro bisogni e le lorofragilità». n

(Traduzione dal francese)

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Tuul & Bruno Morandi/laif

Un solo mondo n.1 / Marzo 2017

Ancora molta strada da fare

Se il processo verso l’uguaglianza di generea livello globale fosse una gara di 100 metripiani, dove si troverebbe attualmente ilmondo?Phumzile Mlambo-Ngcuka: Abbiamo lasciatoi blocchi di partenza, ma il traguardo è ancora lon-tano. In questo momento, a livello mondiale lapercentuale di scolarizzazione delle ragazze è qua-si uguale a quella dei ragazzi, in alcuni Stati le don-ne hanno un ruolo importante in politica e le basilegali per raggiungere la parità tra uomo e donnasono migliorate. Eppure, nella maggior parte del-le regioni del mondo le donne sono ancora svan-taggiate a livello di partecipazione politica, posi-zione economica e possibilità di fare carriera. Noveeconomie nazionali su dieci hanno leggi discrimi-natorie, la quota rosa nei parlamenti è in media del20 per cento, il salario medio delle donne è di unquarto inferiore a quello degli uomini. Nel con-tempo, le donne svolgono 2,5 volte più attività dicura rispetto agli uomini. Abbiamo quindi ancora

molta strada da fare, ma intravediamo il traguar-do. Con l’Agenda 2030 per uno sviluppo sosteni-bile, le Nazioni Unite intendono colmare questedisparità nei prossimi tredici anni.

È una visione piuttosto ottimista. In molteregioni del mondo non si sono registratigrandi progressi a livello di parità.In effetti, i progressi sono stati lenti e non ugualiovunque. Con il ritmo attuale ci vorrebbero 50anni per ottenere la parità a livello di partecipa-zione politica e addirittura 170 anni per raggiun-gere la parità salariale tra uomini e donne. Gli investimenti per promuovere l’uguaglianza di genere sono troppo modesti. Per raggiungere l’e-mancipazione delle donne serve una strategia checoinvolga tutte le persone allo stesso modo e cheaffronti in fretta e con coraggio norme e stereoti-pi radicati talvolta molto profondamente nella società. È chiaro che questo cambiamento non avverrà dall’oggi al domani. Ma sono ottimista sul

Il processo per raggiungere l’uguaglianza di genere è troppo lento. A colloquio con Fabian Urech, Phumzile Mlambo-Ngcuka,direttrice dell’agenzia delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere UN Women, ricorda che è necessario coinvolgere tuttinella lotta contro le disparità: donne e uomini, leader religiosi esettore privato.

Fabbrica tessile in Rajasthan, in India: al mondo le donne guadagnano in media un quarto in meno degli uomini.

Phumzile Mlambo-Ngcuka è direttrice di UN Women, l’agenziadelle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delledonne. Nella sua terra d’origine, l’ex insegnantedi Città del Capo è statadeputata al parlamento nazionale, ministra delle risorse e dell’energia e, più recentemente, vice-presidente.

Questione femminile

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Eric Lafforgue/Invision/laif

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Adolescenti nel Somaliland: soprattutto i giovani devonopromuovere il processo verso la parità di genere.

Impegno mondiale per le donneUN Women è l’agenziadelle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delledonne. È nata nel 2010dalla fusione di quattro organismi dell’ONU per laparità tra uomini e donne.La Svizzera ha sostenutola creazione di questonuovo organismo ed è unodei principali donatori diquesta organizzazione con sede a New York. www.unwomen.org

fatto che sarà possibile raggiungere pressoché l’u-guaglianza di genere entro il 2030.

Il quinto obiettivo dell’Agenda 2030 chiedeproprio questo: «Raggiungere l’uguaglianzadi genere ed emancipare tutte le donne e leragazze». Sembra molto ambizioso, alla lucedella lentezza con cui sta avvenendo il cam-biamento.Le donne e le ragazze sono il cinquanta per centodella popolazione mondiale. Non credo che ga-rantire i loro diritti sia troppo ambizioso. Inoltre,questo obiettivo è un presupposto per raggiunge-re molti altri obiettivi della nuova agenda di svi-luppo.

Oltre ad avere cause strutturali, le discrimi-nazioni nei confronti delle donne sono an-che di natura culturale. Come si possonomodificare norme culturali sviluppatesi nelcorso dei secoli?Non è facile cambiare la mentalità e l’atteggia-mento delle persone. La società civile ha un ruo-lo cruciale in questo processo che deve coinvol-gere tutti, anche le donne poiché devono essereconsapevoli delle loro capacità e dei loro diritti. Al-trettanto importante in questo contesto è la colla-borazione con un’ampia cerchia di partner. I gio-vani dovranno essere i protagonisti di questa tra-sformazione poiché il futuro appartiene a loro.Ecco perché UN Women ha sviluppato una stra-tegia di cooperazione con i giovani. Inoltre, nel-l’ambito della nostra campagna «HeForShe» siamo

riusciti a coinvolgere oltre un milione di uominie ragazzi che si impegnano per promuovere la pa-rità di genere e canoni di mascolinità alternativi.Infine non dobbiamo dimenticare l’importanzadei mezzi di comunicazione per modificare gli ste-reotipi. Per questo motivo ci impegniamo affin-ché le donne siano maggiormente coinvolte daimass media e non vengano presentate come vitti-me, bensì come leader ed esperte in grado di pren-dere delle decisioni.

Di recente UN Women ha lanciato un’ini-ziativa per migliorare la raccolta dei dati ri-guardanti la disparità di genere. Quale im-portanza ha questo progetto?Per risolvere un problema è necessario compren-derne la portata, i meccanismi, le possibilità per eli-minarlo. A tale scopo sono necessari dati moltoprecisi. Se è vero che il mondo produce attual-mente una quantità impressionante di dati, quan-do si tratta di donne e ragazze le lacune sono cla-morose. Ad esempio, spesso ci mancano informa-zioni attendibili sul reddito delle donne o sulnumero di donne e ragazze che vivono in pover-tà. Con questa iniziativa vogliamo migliorare la si-tuazione. Inizialmente ci concentreremo su dodi-ci Paesi pilota. L’obiettivo è di individuare le in-formazioni lacunose, raccogliere dati, assicurareche questi ultimi confluiscano nei processi politi-ci e monitorare i progressi.

Per oltre dieci anni è stata una figura politi-ca di spicco in Sudafrica. Che cosa le ha in-segnato questa attività?Grazie alla collaborazione con la società civile, ilmovimento delle donne, il governo e le organiz-zazioni politiche ho imparato quanto sia impor-tante affrontare assieme i complessi problemi so-ciali e mantenere una visione d’assieme.Per vincere l’apartheid è stato fondamentale col-laborare con tutte le persone, a prescindere dal co-lore della pelle e dalla storia personale. I leadercome Mandela hanno dimostrato quanto sia im-portante lavorare fianco a fianco non solo con ipropri alleati politici, bensì anche con chi la pen-sa diversamente. Nella lotta verso l’uguaglianza digenere, non basta coinvolgere le donne e la socie-tà civile; è necessario trovare alleati anche tra gliuomini e i ragazzi, i leader religiosi o il settore pri-vato. n

(Traduzione dal tedesco)

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NonviolentPeaceforce.org

Un solo mondo n.1 / Marzo 2017

Le ragazze e le donne corrono enormi rischi durante la quotidiana ricerca di legna, carbone e cibo. Gli stupri sono unaterribile realtà nel Sudan del Sud.

Lotta contro la violenzaLa DSC si impegna a fa-vore dei diritti delle donnee delle ragazze coinvoltenei conflitti, lotta contro laviolenza di genere e pro-muove l’assistenza me-dica, psicologica e legaledelle vittime. Sostiene inol-tre la partecipazione delledonne ai processi di pace,di trasformazione e di edifi-cazione dello Stato.L’impegno della Svizzerapoggia sulla strategia perle questioni di genere delDFAE, sul Messaggio con-cernente la cooperazioneinternazionale dellaSvizzera 2017-2020 e sulPiano d’azione nazionaleper l’attuazione della riso-luzione 1325 del Consigliodi sicurezza delle NazioniUnite. Quest’ultima è laprima risoluzione che de-nuncia le conseguenze deiconflitti armati sulle donnee sulle ragazze ed eviden-zia l’importanza della par-tecipazione delle donne aiprocessi di pace.

(fu) Nel 2011, il Sudan del Sud guardava con gran-de ottimismo all’indipendenza appena conquistata.Due anni dopo, la nazione più giovane dell’Africaera già scossa da una guerra civile, che coinvolgevasoprattutto il Nord del Paese, regione ricca di pe-trolio. Dopo lo scoppio delle violenze, migliaia dipersone hanno cercato rifugio nei pressi di un cam-po delle Nazioni Unite a Bentiu, la capitale dello Sta-to dell’Unità. Nel frattempo, il campo di fortuna ac-coglie oltre 100000 sfollati su una superficie di solitre chilometri quadrati.I rifugiati devono regolarmente lasciare il campo perandare alla ricerca di legna da ardere, carbone o cibo.È un compito molto pericoloso per le donne e i bam-bini. Infatti, le violenze sessuali sono all’ordine delgiorno. «I corpi delle donne e dei bambini sono ilcampo di battaglia di questo conflitto», afferma la rappresentante speciale delle Nazioni Unite ZainabHawa Bangura. Un recente studio dell’ONU haconfermato le sconvolgenti proporzioni di questi soprusi: nello Stato dell’Unità sono stati registrati ben 1300 stupri in soli sei mesi.

La violenza non è una soluzione«Per noi era chiaro che dovevamo fare qualcosa», rac-conta Sebastian Eugster della DSC. Gli stupri sonoimpiegati sistematicamente come arma di guerra. Nel

contempo, nella società molto patriarcale del Sudandel Sud le violenze sessuali sono ancora un tabù. Loscorso anno, la DSC ha sostenuto un progetto del-l’ONG «Nonviolent Peaceforce». Quest’ultima hapromosso varie misure per proteggere le donne e ibambini che lasciavano il campo profughi, per esem-pio accompagnandoli durante le loro uscite. «Lapresenza dei collaboratori dell’ONG li ha resi menoindifesi e così i gruppi accompagnati non sono stativittime di aggressioni», ricorda Eugster. Nel campo sono stati organizzati laboratori e corsidi formazione durante i quali le donne potevano par-lare delle loro esperienze e imparare tecniche di au-todifesa. Anche gli uomini sono stati coinvolti nel-le attività dell’ONG. Intanto, il progetto a Bentiu si è concluso. In que-sto momento, la DSC sostiene programmi analoghiin altre regioni del Paese. Infatti, la lotta contro leviolenze sessuali resta un elemento prioritario del suoimpegno. Per ora la situazione rimane drammaticae non si intravede un sostanziale miglioramento. Direcente, l’Alto commissario delle Nazioni Unite peri diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, ha parlato inquesto contesto di «una delle più terribili situazionial mondo sul fronte dei diritti umani». n

(Traduzione dal tedesco)

Donne e bambini come campo di battagliaNel conflitto civile nel Sudan del Sud, gli stupri sono sistema-ticamente impiegati come arma di guerra. Un progetto soste-nuto dalla DSC tenta di lottare contro queste violenze con ronde, laboratori e corsi di formazione.

Questione femminile

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Terre des hommes

Un solo mondo n.1 / Marzo 2017

( jls) Habiba ha sei figli. Vive nel distretto di Ru-staq, nell’Afghanistan nord-orientale. Dopo essersisposata all’età di tredici anni è rimasta confinatafra le quattro mura di casa, dedicandosi ai lavoridomestici e all’educazione dei figli. Nel 2014, Ha-biba è venuta a sapere che nell’ambito di un pro-getto svizzero alcune donne del villaggio aveva-no creato un gruppo di coltivatrici di patate. Conil permesso di Showali, suo marito, Habiba vi haaderito. Ha ricevuto 300 chili di patate da semi-na e due sacchi di fertilizzante per avviare la suacoltivazione. La prima stagione, la giovane agri-coltrice ha raccolto 1,5 tonnellate di patate, chele hanno fruttato 17 000 afghani (circa 250 fran-chi). Questa somma le ha permesso di saldare ildebito che suo marito aveva contratto per aprireun piccolo commercio. Non avendo più interes-

Le donne preparano assieme ciò che hanno coltivato e raccolto sui loro terreni. Queste entrate migliorano la qualità divita della famiglia e sono ben viste anche dagli uomini.

Un gruzzolo che vale uno strappoalla tradizione Nel distretto rurale di Rustaq, in Afghanistan, un progetto sviz-zero dà la possibilità alle donne di guadagnare qualche soldo.Centinaia di contadine si dedicano alla coltivazione di ortaggio alla preparazione di conserve. Parte della produzione servea migliorare e a diversificare l’alimentazione della famiglia,mentre il resto viene venduto.

Piccoli passi verso l’uguaglianzaI talebani avevano privatole donne afghane dei lorodiritti e delle loro libertà.Dalla caduta di questo re-gime, avvenuta nel 2001,la condizione della donnaè migliorata. La parità digenere è sancita dallaCostituzione. Le donne occupano tre cariche mini-steriali e il 28 per cento dei seggi in parlamento. La loro partecipazione almercato del lavoro rag-giunge il 29 per cento. La violenza domestica e imatrimoni precoci sonoancora molto diffusi. Moltedonne non hanno ancora ildiritto di spostarsi libera-mente. Le ragazze, invece,hanno riacquistato il dirittoall’istruzione che il regimetalebano aveva loro ne-gato. Il tasso di scolarizza-zione delle ragazze si atte-sta intorno al 45 per cento,tra i ragazzi è del 64 percento.

si da pagare e disponendo di due redditi, oggi lacoppia vive molto meglio e riesce perfino a met-tere da parte qualche soldo. «Grazie a questa atti-vità, le donne sono riuscite a migliorare la situa-zione economica e sociale delle loro famiglie», sirallegra Habiba.

Vincere le resistenze culturaliIl distretto di Rustaq è una regione povera e mon-tagnosa. Gli abitanti praticano un’agricoltura disussistenza insufficiente a soddisfare i loro bisognialimentari. Molti pasti sono costituiti di solo risoe pane. Un progetto della DSC, realizzato dal-l’ONG svizzera Terre des hommes, vuole mi-gliorare le condizioni di vita della popolazione, inparticolare diversificando le fonti di reddito e aumentando la produzione agricola.

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Terre des hommes

Un solo mondo n.1 / Marzo 2017

Le donne possono coltivare e vendere verdura tutto l’annograzie all’impiego di serre di plastica.

Dal 2012, parte del progetto si concentra sulledonne e crea attività professionali che permetto-no loro di guadagnare qualche soldo nel rispettodelle tradizioni locali. Nelle zone rurali, la vita so-ciale obbedisce infatti a norme estremamente con-servatrici. «Di regola, gli uomini non tollerano chele mogli escano di casa e che abbiano un ruolo nel-la società», spiega Melanie Büsch dell’Ufficio del-la cooperazione svizzera a Kabul.In un primo momento è stato quindi necessariosensibilizzare gli uomini, mostrando loro quali era-no i vantaggi per la famiglia se le mogli potevanoaderire al progetto. «Abbiamo spiegato ai leaderdelle comunità e ai religiosi che la nostra iniziati-va non andava contro le loro tradizioni, ma che ilnostro obiettivo era semplicemente quello di au-mentare la sicurezza alimentare delle famiglie edella communità», spiega Sylvain Fournier, dele-gato di Terre des hommes in Afghanistan.

Attività di gruppo o individuali Intanto, nei villaggi del Rustaq sono stati costi-tuiti 28 gruppi, composti complessivamente di cir-ca settecento donne. «Per talune attività, come laproduzione e la conservazione di ortaggi, è ne-cessario che le partecipanti lavorino al di fuori del-le loro abitazioni», spiega Mohammad Emal Sa-raj, viceresponsabile del progetto. I gruppi spe-cializzati in orticoltura hanno a disposizione delleserre di plastica, dove possono coltivare ortaggitutto l’anno: raccolgono, per esempio, peperoni,cetrioli e pomodori in primavera, fagioli bianchi,cavolfiori e cavoli in estate, e infine lattuga, cori-andolo e spinaci durante l’inverno. Altri gruppipreparano delle conserve con le verdure o pro-ducono sementi. 2700 donne lavorano da sole acasa: sterilizzano latte, raccolgono lana di cashmereo selezionano le sementi.Una delle maggiori difficoltà è stata quella di tro-vare un’esperta in grado di formare le partecipan-ti. «La comunità non avrebbe mai permesso a unospecialista di assumere questo compito, poiché alledonne non è consentito frequentare uomini ne-gli spazi pubblici», ricorda Melanie Büsch. Datal’impossibilità di trovare in Afghanistan un’agro-noma qualificata e disposta a stabilirsi in questa re-gione discosta, il progetto ha scovato la perla raranel vicino Tagikistan.

Cambiamento di mentalità«Queste attività hanno consentito di migliorare ediversificare l’alimentazione della popolazione»,constata Mohammad Emal Saraj. «In effetti, le col-tivatrici utilizzano le verdure in primo luogo al-l’interno della famiglia. Il resto lo vendono almercato ricavandone un piccolo reddito». È un

gruzzoletto che oscilla pur sempre tra i 150 e i 250dollari all’anno.Nei villaggi interessati dal progetto, le donne go-dono ora di maggiore libertà di movimento chealtrove e sono coinvolte di più nella vita della co-munità. «In quattro anni si è visto un cambiamentodi mentalità», indica Sylvain Fournier di Terres deshommes. «I soldi hanno certamente avuto un ruo-lo importante. Se le donne portano a casa dena-ro, i mariti sono disposti a soprassedere a talunenorme sociali e culturali per il bene delle loro fa-miglie». Tuttavia, la tolleranza ha dei limiti. Soloil 15 per cento delle donne è autorizzato a recar-si personalmente al mercato di Rustaq per ven-dere gli ortaggi. Le altre hanno due possibilità:chiedere a un membro della famiglia di sesso ma-schile di farlo per loro o vendere i propri prodot-ti a un commerciante che passa di villaggio in vil-laggio.Le beneficiarie del progetto hanno voluto impa-rare a leggere, scrivere e far di conto per contabi-lizzare i guadagni e documentare l’attività com-merciale. In tre villaggi hanno istituito corsi di al-fabetizzazione per donne grazie al sostegno delMinistero della pubblica istruzione. n

(Traduzione dal francese)

Povertà ruraleBenché solo il 12 percento del territorio nazio-nale sia coltivabile, l’eco-nomia afghana dipendentein larga misura dall’agricol-tura, un settore che dà davivere al 61 per cento dellapopolazione. La metà dellefamiglie rurali pratica un’a-gricoltura di sussistenza edè particolarmente colpitadai cambiamenti climatici.Gli inverni sempre più lun-ghi e rigidi obbligano lamaggior parte di questipiccoli contadini a vendereil bestiame, a trovare un la-voro al di fuori dell’agricol-tura o a chiedere denaro inprestito. La povertà colpi-sce in particolare le zonedi montagna, dove le vie dicomunicazione sono inpessime condizioni e imercati difficilmente ac-cessibili.

Questione femminile

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Paul Hahn/laif

Un solo mondo n.1 / Marzo 2017

( jls) Ovunque è difficile superare la quasi naturaleresistenza al cambiamento. È così anche in Benin,dove le donne continuano ad essere discriminate eil mondo della politica è dominato dagli uomini.Nemmeno la Costituzione e diverse leggi o strate-gie sono riuscite a promuovere il principio della pa-rità in questo Paese dell’Africa occidentale. «I poli-tici, i leader delle comunità, i religiosi e i mariti con-tinuano a non accettare che le donne dicano la lorosulle questioni che riguardano la comunità», spiegaBlandine Agossou dell’Ufficio della cooperazionesvizzera a Cotonou. Per abbattere questa barriera ènecessario svolgere un lavoro di sensibilizzazione su-gli uomini.

Giovani donne in politicaNel quadro di un progetto volto a ridurre le di-suguaglianze di genere a livello nazionale, dal 2008la DSC promuove una maggiore partecipazione del-le donne in seno agli organi decisionali. Per rag-giungere questo obiettivo collabora con alcuneONG. «Di solito i partiti cercano all’ultimo minu-to qualche signora attempata da aggiungere in fon-do alle loro liste; una posizione che preclude loroogni possibilità di elezione», deplora Blandine Agos-

Per combattere la discriminazione contro le donne, in Benin si sensibilizzano anche gli uomini sul tema della parità di genere.

sou. Per questo motivo, nella fase attuale il proget-to si concentra soprattutto sulla formazione dellegiovani donne. «Grazie a questa preparazione po-tranno partecipare alle attività dei partiti prima del-le prossime elezioni comunali, previste nel 2020».Intanto, circa 240 ragazze e donne si sono iscritte aquesta formazione. La DSC sostiene anche un’associazione costituitadalle consigliere comunali di tre dipartimenti (Bor-gou, Alibori e Collines) all’indomani della loro ele-zione nel 2008. Grazie a tale sostegno, le munici-pali sono riuscite a realizzare diversi microprogetti;una di queste iniziative ha promosso la scolarizza-zione delle ragazze. «Attraverso tali piccole azioni,le nuove consigliere si sono fatte conoscere nella co-munità e hanno incoraggiato altre donne ad unirsia loro», afferma Blandine Agossou. L’organizzazio-ne si è inoltre battuta affinché i partiti inserissero ilnome delle candidate in cima alle loro liste. Que-sto impegno ha dato i primi frutti in occasione delle elezioni comunali del 2015: su un totale di 65donne elette in tutto il Paese, 22 sono state votatein questi tre dipartimenti. n

(Traduzione dal francese)

Preparate per entrare in politicaDall’inizio del decentramento in Benin nel 2003, il tasso di don-ne elette nei consigli comunali non ha mai superato il 4,5 percento. La DSC sostiene gli sforzi volti ad aumentare la loro pre-senza in seno alle istituzioni politiche, finanziando in particola-re un’associazione costituita da un gruppo di municipali donne.

Scarsa presenza femminileIn Benin, le donne sononotevolmente sottorappre-sentate negli organismi po-litici, e questo a tutti i livelli.Sono soltanto tre a sederein governo su un totale di21 ministri e sette su 83membri in parlamento; addirittura una donna inmeno rispetto alla prece-dente legislatura. Peraltro,solo cinque dei 124 partitipolitici sono diretti dadonne. Queste ultime sonoancora meno visibili neiconsessi locali: i consiglicomunali contano solo 65donne su un totale di 1435membri, una quota pari al4,5 per cento. Infine, solodue dei 77 comuni delPaese hanno una donnacome sindaco.

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David Bathgate/Redux/laif

Un solo mondo n.1 / Marzo 2017

Fatti e cifre

Indice delle discriminazioni di genereL’OCSE ha sviluppato un indicatore per misurare le disparità tra uomo e donna. Si tratta dell’indice SIGI, dall’inglese social institutionand gender index. In pratica, il SIGI determina le istituzioni sociali che perpetuano le disuguaglianze tra uomini e donne attraverso leggi formali e informali, norme e pratiche sociali. L’indice si focalizza su cinque dimensioni: il trattamento discriminatorio del codice di famiglia, cioè le restrizioni sul potere decisionale delle donne nel contesto familiare e di coppia; la limitazione dell’integrità fisica, cioè le restrizioni che riguardano il controllo femminile sul proprio corpo; la preferenza per i figli maschi; la limitazione dell’accesso allerisorse e ai diritti di proprietà; la limitazione delle libertà civili, cioè l’accesso, la voce e la partecipazione in campo politico e sociale.www.genderindex.org

Cifre chiave • Oltre il 70 per cento delle persone che vivono in povertà

estrema è costituito da donne.• Nei Paesi in via di sviluppo le donne dedicano mediamente

4 ore e 30 minuti al giorno per svolgere lavori domestici non remunerati, gli uomini solo 1 ora e 20 minuti.

• Nell’Africa subsahariana le perdite economiche causate dalledisparità di genere raggiungono mediamente 95 miliardi di dollari all’anno.

• Al mondo ci sono 133 milioni di ragazze e donne che hanno subito mutilazioni genitali.

• Le donne guadagnano mediamente il 24 per cento in meno degli uomini pur svolgendo lavori di pari valore. Se i progressi non saranno più rapidi, occorrerà attendere il 2186, ossia 169 anni, per colmare questo divario.

FontiUN Women: Le progrès des femmes dans le monde 2015-2016– Transformer les économies, réaliser les droits

ILO: Donne e lavoro – Tendenze 2016

UNFPA: Al riparo dalla tempesta – Un’agenda innovativa perdonne e ragazze in un mondo in continua emergenza, Rapportosullo stato della popolazione nel mondo 2015

UNDP: Rapport sur le développement humain en Afrique 2016– Accélérer les progrès en faveur de l’égalité des genres et de l’autonomisation des femmes

Gruppo di riflessione di alto livello sull’autodeterminazione economica delle donne: Leave No One Behind, settembre 2016

molto basso

basso

medio

elevato

molto elevato

non classificato

Citazione«La parità tra donne e uomini è un asso nellamanica per l’economia: incrementa la produt-tività e migliora le prospettive della prossimagenerazione e la qualità delle politiche e delleistituzioni della società».Robert B. Zoellick, presidente del Gruppodella Banca mondiale 2007-2012

Fonte: Centro di sviluppo dell’OCSE

Questione femminile

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Volker Pabst

18 Un solo mondo n.1 / Marzo 2017

ORIZZONTI

Anche oggi davanti all’entrata A1 dell’aeroportodi Kathmandu c’è una gran folla. Su molte frontispicca il tika, il segno rosso che nell’induismo è ap-plicato nelle occasioni speciali. Non si vedono in-vece turisti con il loro tipico abbigliamento da trek-king. Chi fa la fila non parte per svago. Ogni gior-no, in media 2000 persone prendono l’aereo dallacapitale del Nepal per recarsi all’estero a lavorare.Sono talmente in tanti che è stato necessario crea-re per loro un’apposita zona check-in.

Un po’ di tempo da dedicare al figlio Samridh Shrestha è di buon umore. Ha appena tra-scorso una lunga vacanza nel suo villaggio natale,nel Sud del Nepal. Ha finalmente trascorso un po’di tempo con il figlioletto di 15 mesi. Certo – dice– è peccato che la vacanza sia già finita. Ma il la-voro che svolge a Dubai per una ditta specializza-ta nell’esportazione di marmo gli piace. Nella suafunzione di capo-contabile gode anche di qualcheprivilegio. Ogni dodici mesi gli viene pagato il bi-glietto aereo per tornare a casa. E se davvero nonpuò farne a meno, grazie al suo salario può riab-bracciare i suoi cari anche prima. Surinder Mahato, invece, non cerca l’affermazio-ne professionale all’estero ed è forse un esempiopiù rappresentativo del fenomeno della migrazio-ne nepalese. Prima si occupava di agricoltura, mai guadagni erano scarsi. «Devo mantenere due fi-gli, mia moglie e i miei genitori. Inoltre mia so-rella è in età di matrimonio: senza una dote di4000-5000 dollari è impossibile trovarle un buonmarito». In famiglia è l’unico a ricevere una pagafissa. Ecco perché parte per la seconda volta per laMalesia. In tasca ha un contratto di lavoro di treanni presso un mobilificio; un contratto che nonprevede il rientro a casa prima della scadenza.

Senza rimesse tutto si ferma Forse nessun altro Paese al mondo dipende dallerimesse degli emigrati più del Nepal. Stando ai datidella Banca mondiale, nel 2015 l’invio di denarodall’estero da parte dei migranti nepalesi rappre-sentava più del 32 per cento del prodotto internolordo; solo Tagikistan e Liberia presentano un vo-

All’aeroporto di Kathmandu è stata allestita una specialezona check-in per i migranti nepalesi.

lume paragonabile a quello dello Stato dell’Asiameridionale. In parecchie regioni, sette famiglie sudieci hanno un parente che vive e lavora all’estero.I lavoratori emigrano da tutto il Paese, ma la quo-ta è particolarmente alta nel Terai, il Bassopianodel Sud densamente popolato. Qui la pressione sul-le risorse è più alta e il rigido sistema delle caste èparticolarmente pronunciato. A causa della discri-minazione già ampiamente diffusa (vedi riquadro),per gli abitanti del Bassopiano l’accesso al merca-to del lavoro nepalese, di per sé già limitato, è an-cora più difficile di quanto non sia per il resto del-la popolazione. In linea di massima e a prescindere dall’apparte-nenza etnica si può affermare che per la maggiorparte dei nepalesi della provincia è più facile tro-

I nepalesi tentano la sorte all’esteroForse nessun altro Paese al mondo dipende dalle rimesse degli emigrati più del Nepal. Per lo Stato alle pendici dell’Hi-malaya la migrazione è da una parte un importante fattore economico, dall’altra è un fenomeno poco regolato che mettea repentaglio la vita degli stessi migranti. Di Volker Pabst, Kathmandu*.

Interminabili protesteNel 2015, il Terai, ilBassopiano a Sud delPaese, è stato teatro diviolenti proteste a causadella nuova Costituzionefederale, entrata in vigorenel settembre del 2015.Decine di persone sonomorte e le frontiere conl’India sono rimaste chiuseper mesi. Stando alla po-polazione del Terai, lanuova Costituzione conso-lida l’egemonia tradizio-nale delle regioni di mon-tagna. Le controversieriguardano soprattutto le linee di frontiera dellenuove province federali. Ilprimo ministro comunistaOli ha tentato di sfruttarepoliticamente le proteste,allargando il fossato tra ilTerai e il resto del Nepal. Il suo successore maoistaDahal, entrato in carica in agosto, ha invece pro-messo una revisione entrobreve.

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Volker Pabst (2)

Un solo mondo n.1 / Marzo 2017

Nepal

vare lavoro nel golfo Persico o in Malesia che aKathmandu, nel centro politico ed economico delPaese. Senza rapporti privilegiati con le élite dellacittà, che appartengono alle caste più elevate e chedominano la vita economica e politica del Paese,per loro riuscire ad affermarsi nella capitale è qua-si impossibile. Inoltre, l’anonimato della vita all’e-stero permette di accettare anche lavori che in Nepal sono disprezzati per motivi di status. Così,lontano da casa anche chi appartiene ad una casta

Il Nepal in sintesi

NomeRepubblica federale democratica del Nepal

Capitale Kathmandu (1,7 milioni diabitanti)

Superficie 147181 km2

Popolazione Circa 30 milioni, più dellametà ha meno di 25 anni

EtnieCirca 100 gruppi etnici diorigine indo-aria e tibeto-birmana

Lingua Nepalese e circa 50 lingueminoritarie o dialetti

Religioni80% induisti9% buddhisti4% musulmani3,1% kiranti1,4% cristiani2,5% altri

superiore svolge lavori manuali o molto pesanti. In Nepal, invece, c’è una situazione paradossale:nell’edilizia non si trova abbastanza manodoperamalgrado la disoccupazione dilagante e i salari al-lettanti nel raffronto regionale. Ma anche all’este-ro la maggior parte dei lavoratori migranti sognaun posto d’ufficio o almeno un lavoro in un set-tore artigianale.

Promesse non mantenute Arrivato in Malesia, Barat Sarki ha dovuto fare iconti con la prima grande delusione; invece di la-vorare nella produzione di mobili come gli avevadetto l’intermediario dell’ufficio di collocamentosi è ritrovato a caricare pesanti tronchi di alberi.Inoltre, anziché i 1200 ringgit malesiani (circa 275franchi) che gli erano stati promessi, ne avrebbeguadagnati appena la metà. Per farsi riconsegnareil passaporto, avrebbe dovuto pagare al datore dilavoro ben 6000 ringgit per le spese. Un importo impossibile da versare visto che erasenza soldi e pieno di debiti. Per saldare il contodi 1800 franchi dell’agenzia di collocamento la co-

Due storie diverse: a sinistra, Barat Sarki si trova in una struttura che accoglie i migranti tornati in Nepal senza un soldo,mentre Smaridh Shrestha lavora da tre anni come capo-contabile a Dubai.

per tornare al suo villaggio, nella parte occidenta-le del Paese.

Prassi di reclutamento più trasparente Di storie come questa – e anche peggiori – ce nesono parecchie. Ogni anno, all’estero muoiono3000 lavoratori nepalesi, spesso a causa della man-canza di misure di sicurezza. Le lavoratrici mi-granti, impiegate soprattutto come collaboratricidomestiche, sono spesso vittime di abusi sessuali.Ciononostante la domanda di posti di lavoro al-l’estero non diminuisce. L’importanza economica della migrazione è trop-po grande per attuare delle misure di contenimentodel fenomeno volte a ridurre i rischi cui è sotto-posta la manodopera nepalese all’estero. Nei loroprogetti, l’Organizzazione internazionale del la-voro (ILO) e la DSC puntano soprattutto su pro-cedure di reclutamento più trasparenti. È una stra-tegia seguita anche dal governo di Kathmandu. Peresempio, l’anno scorso è stata varata una legge cheimpone al datore di lavoro di sostenere i costi delvisto e di viaggio e che vieta alle agenzie di collo-

gnata aveva portato tutto l’oro del matrimonio albanco dei pegni. Così, senza documenti non hatrovato altra soluzione che darsi alla clandestinità.Dopo qualche tempo è stato investito da una mo-tocicletta ed è finito all’ospedale. Solo grazie al-l’aiuto di una ONG locale e all’intervento del-l’ambasciata nepalese è riuscito a ritornare in pa-tria. Ora vive a Kathmandu in una struttura perrimpatriati senza mezzi, in attesa che la gamba gua-risca e che possa affrontare il viaggio di tre giorni

Nepal

Kathmandu

Oceano Indiano

Cina

Bhutan

India Bangladesh

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L. Moscia/Archivolatino/laif

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Ricostruzione lenta e penosa Il passaggio dall’aiuto d’e-mergenza immediato allaricostruzione sul lungo ter-mine è sempre molto diffi-cile. In Nepal, il terremotodel 2015 ha complicato ulteriormente questo pro-cesso di transizione. Peresempio, solo dopo mesidi trattative i partiti politicihanno trovato un con-senso sulla nomina del-l’autorità responsabiledella ricostruzione. Il ver-samento degli aiuti finan-ziari alle famiglie venivacosì continuamente posti-cipato. Per questo motivo,la maggior parte delle vit-time del terremoto ha fi-nanziato i lavori di ricostru-zione di tasca propria. Direcente, il primo ministroDahal ha disposto dipunto in bianco il paga-mento della prima rata diaiuti alle famiglie, senzaperò coordinarsi con gliattori umanitari.

Per i nepalesi cresciuti in provincia è quasi impossibile trovare un posto di lavoro a Kathmandu, il cuore economico epolitico del Nepal.

camento di esigere tasse superiori a 10000 rupienepalesi (100 franchi). Per protestare contro questo nuovo «foreign em-ployment act», le agenzie di collocamento sonoscese in piazza e hanno scioperato per alcuni mesi.Ancora oggi, il presidente della federazione di-chiara che con le nuove disposizioni non si puòpiù lavorare in modo redditizio. In effetti, per ge-stire fenomeni transfrontalieri come la migrazionedi manodopera, le misure unilaterali sono efficacisolo in parte. I costi rimarranno elevati finché latassa per ottenere un permesso di lavoro in Male-sia sarà di 25000 rupie e i datori di lavoro non sa-ranno disposti a farsene carico. Per questo moti-vo, le organizzazioni dei diritti dei lavoratori sonoattive anche nei Paesi di destinazione.

Migrazione in calo per la prima volta ILO e DSC non accettano la critica degli inter-mediari delle agenzie di collocamento secondocui le possibilità di lavoro per i nepalesi si sono ri-dotte a causa degli standard più elevati in Nepal.Tali misure avrebbero infatti favorito l’assunzionedi cittadini provenienti da Paesi meno restrittivi,come il Bangladesh. Soprattutto nei Paesi del gol-fo Persico, per motivi di reputazione i datori di la-voro sono ora disposti a scendere a compromessiriguardo alle condizioni di lavoro della manodo-pera estera. Per molti, lo scandalo nei cantieri per

i mondiali di calcio del 2022 in Qatar è stato l’ul-timo campanello d’allarme. Ma anche a livello ma-croeconomico è più sensato promuovere deglistandard minimi tra i datori di lavoro poiché cosìsi riduce il pericolo di truffa e in ultima analisi siaumentano le rimesse dei migranti nepalesi.Per la prima volta dopo molti anni, dalla metà del2015, il loro numero ha registrato un calo. Que-sta evoluzione non è imputabile alle modifiche in-trodotte nella legge sul lavoro nepalese, bensì è do-vuta all’andamento congiunturale in Malesia e so-prattutto nei Paesi del golfo Persico, dove il crollodei prezzi delle materie prime ha causato una di-minuzione degli investimenti da parte dei gover-ni e di conseguenza una minore richiesta di ma-nodopera migrante.Il terremoto della primavera del 2015 in Nepal haavuto invece solo ripercussioni passeggere. Que-sto però non ha fatto che aumentare la dipenden-za dalle rimesse dall’estero di molte famiglie. In-fatti, molti lavoratori migranti sono tornati in pa-tria per dedicarsi alla famiglia e alla ricostruzionedelle abitazioni distrutte, che hanno finanziato conmezzi propri, visto che il versamento degli aiuti diemergenza continuava a subire ritardi. n

*Volker Pabst abita a Nuova Delhi ed è corrispondentedella Neue Zürcher Zeitung per il Sud-est asiatico.

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Sul campo con… Diepak Elmer, capomissione supplente dell’ambasciata svizzera a Kathmandu

Nepal

Ampliato, aggiornato,diversificato Da quasi 60 anni laSvizzera sostiene il Paesealle pendici dell’Himalaya.Se all’inizio si concentravasull’aiuto tecnico e sullosviluppo delle zone rurali,oggi la DSC ha diversifi-cato il suo programma. Il Nepal rimane un Paesefragile, caratterizzato dadisparità fra i sessi e fra i gruppi sociali ed etnici.Per questo motivo laSvizzera sostiene i dirittiumani, il buongoverno, la promozione della pacee la parità fra uomo edonna. Il consolidamentodelle strutture politiche edeconomiche a livello localegode di un’attenzione par-ticolare nei progetti dellaDSC.www.dsc.admin.ch(Paesi, Nepal)

DSC

Negli ultimi dieci anni, il Nepal ha compiutoenormi progressi. La maggior parte degli Obietti-vi di sviluppo del millennio sono stati raggiunti.Nello stesso periodo, però, il governo è cambiatoin media una volta all’anno. L’instabilità politica èuna grande sfida, che sfocia spesso in proteste dipiazza, le cosiddette bandh. La parola significa«chiuso», proprio perché durante queste manife-stazioni la vita, compreso il traffico stradale, si fer-ma. Nei giorni di bandh raggiungo l’ambasciata insella alla mia bicicletta. In venti minuti percorro ladistanza tra l’ufficio e la mia abitazione, situata nel-la periferia della città, dove iniziano le risaie.

Oltre a essere capomissione supplente, nell’amba-sciata sono soprattutto responsabile del program-ma di cooperazione della DSC. Si tratta del piùlungo e più grande programma della Svizzera. IlNepal è un Paese molto vivace e complesso. Nelcensimento della popolazione del 2011 sono statiregistrati 125 tra caste e gruppi etnici diversi e al-trettante lingue. È una situazione difficilmentecomprensibile anche per noi svizzeri abituati a vi-vere in un Paese multiculturale.

Quando visito un nostro progetto in campagna, ri-mango ogni volta profondamente colpito dallagrande cordialità e ospitalità della popolazione.Visto che parlo il nepalese, durante questi incon-tri ho la possibilità di intrattenermi con la gentelocale. Per me, il Nepal non è solo il Paese in cuilavoro, ma anche la mia seconda patria. Una par-te della mia famiglia è nata qui e alcuni parentistretti vivono nella valle di Kathmandu. Diepak, ilmio nome di battesimo, è un nome abbastanza dif-fuso in Nepal e significa «luce».

Sono soprattutto i giovani a infondermi coraggioe ottimismo. I grandi progressi compiuti in ambi-to di formazione e sanità non passano certo inos-servati. Il Nepal si trova in un’importante fase ditransizione e di sviluppo che durerà ancora a lun-go. Ogni giorno incontro persone che non pos-seggono nulla. Basti ricordare che un nepalese suquattro vive ancora sotto la soglia di povertà.

«Per me, il Nepal non è solo il Paese in cui

lavoro, ma anche la mia seconda patria».

Il sistema delle caste non rappresenta categorie so-ciali ufficiali, ma continua ad avere un’enorme im-portanza. Solo nelle zone urbane e fra i giovani sinota una certa apertura. I più colpiti dalla discri-minazione sono i cosiddetti paria o dalit. La genteevita ogni contatto fisico con loro. I dalit hannoancora grandi difficoltà ad accedere alla formazio-ne o al mercato del lavoro e per questo motivosono più colpiti dalla povertà di altre categorie dipersone. Per contrastare questo sistema, l’amba-sciata svizzera assume collaboratori locali di variecaste ed etnie in modo da riprodurre fedelmentela realtà del Paese.

Nel 2015, il Nepal ha adottato una nuova Costi-tuzione federale. Di recente abbiamo adeguato ilprogramma svizzero di cooperazione mettendol’accento sul sostegno alla transizione verso la de-mocrazia, soprattutto in ambito di diritti umani,decentramento e promozione della pace. Infatti,per lo sviluppo economico e politico del Paese èfondamentale che l’auspicato passaggio verso unarepubblica federale a tutti gli effetti segua un per-corso pacifico. Ogni giorno mi rallegro di averel’opportunità di fornire il mio piccolo contributoallo sviluppo del Nepal. n

(Testimonianza raccolta da Jens Lundsgaard-Hansen;traduzione dal tedesco)

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Francis Leroy/hemis.fr/laif

Sei anni fa una telefonata del Ministero delle don-ne, dei bambini e degli affari sociali mi ha lasciatoquasi senza parole. Venivo informata della mia no-mina in seno alla Commissione nazionale delledonne. In Nepal era iniziata una nuova era politi-ca caratterizzata dalla volontà di promuovere l’in-clusione sociale. Sono cresciuta in una famiglia musulmana poveradi etnia madheshi. La nostra casa si trova in unapiccola città vicino a Nepalganj, molto distante daKathmandu. I madhesi sono un grup-po etnico delle pianure del Sud del Pae-se, lungo la frontiera con l’India. Nelcorso della storia, questa minoranza èstata esclusa dal processo di costituzio-ne dello Stato nepalese. All’interno diquesto gruppo vi è un’altra comunitàancora più emarginata: sono i musul-mani che rappresentano il 4,5 per cen-to della popolazione nepalese. Quando ero piccola, di solito le bam-bine musulmane non potevano andarea scuola. I miei genitori invece mi han-no iscritta a una scuola pubblica. Mal-grado le ristrettezze economiche, hocompletato le scuole superiori, aiutan-do mio padre con la contabilità della suacarpenteria.

Nei primi anni Novanta ho partecipa-to a molte attività locali, come esposi-zioni di arte femminile, programmiculturali, iniziative politiche, e mi sonoiscritta ad Amnesty International. Inol-tre ho lavorato come reporter locale,occupandomi soprattutto di questionifemminili e dell’infanzia. Ho comple-tato i miei studi di legge all’universitàlocale: sono stata la prima donna mu-sulmana avvocato del Nepal. Poi hoiniziato a collaborare con il Consiglio nazionale fo-rense per assistere gratuitamente le donne povere

Paladina dei diritti delle donnevittime di violenza. Dal 2002 al 2010 ho collabo-rato con organizzazioni nazionali e internazionaliper la protezione e la promozione dei diritti delledonne, la parità di trattamento e l’uguaglianza digenere. Mi sono recata nei distretti più remoti delNepal, ho avuto molti contatti con donne conta-dine e ho seguito seminari sulle questioni femmi-nili. La nomina in seno alla Commissione delledonne è stata per me un’ottima occasione per pro-muovere i diritti delle donne a livello nazionale.

Quando ho accettato l’incarico non sapevo nulla delle sfide cui andavo incontro e della burocrazia dominatadalla casta superiore costituita di soliuomini.

Naturalmente vi sono stati parecchitentativi di minare e scoraggiare il miolavoro. Ho indagato su casi di violen-za contro le donne e ho difeso le vit-time davanti alla giustizia, tra questec’erano anche mogli di alti rappresen-tanti del governo o di ufficiali di poli-zia. Ho superato questi ostacoli grazieal mio grande impegno. Mi sono ser-vita dei media per informare sul miolavoro e per sensibilizzare la popola-zione sulle questioni femminili. Nelcorso della mia attività ho creato unarete di assistenza per le donne più povere e vulnerabili. Inoltre, la Com-missione delle donne ha acquistato visibilità per il suo costante impegno afavore del benessere e dei diritti delledonne.

Nel 2014 ho lasciato la Commissionedelle donne per assumere un nuovomandato di sei anni in seno al gover-no nepalese: faccio parte dell’organo

costituzionale della Commissione nazionale per i diritti umani.Oggi provo un certo orgoglio se ripenso ai 15 annitrascorsi lottando per i diritti delle donne. Sono ri-uscita a migliorare la loro vita battendomi per leriforme politiche e legislative e promuovendo pro-grammi specifici. Durante il mio mandato ho in-dagato su molti casi di violenza contro le donneaffinché le vittime ottenessero giustizia. I nume-rosi episodi di soprusi mi spronano a continuare lalotta a favore della giustizia, della parità di generee contro la cultura dell’impunità. In Nepal, di stra-da da fare ce n’è ancora parecchia per migliorarela condizione delle donne e delle ragazze. n

(Traduzione dall’inglese)

Mohna Ansari vive e

lavora a Kathmandu. Oltre

al suo lavoro di avvocato

e al suo impegno nella

Commissione nazionale

per i diritti umani, trascorre

molto tempo con donne e

giovani impegnate in ini-

ziative contro la violenza

sulle donne, per esempio

le aggressioni con l’acido.

Nei ritagli di tempo si oc-

cupa dei figli, assiste alla

presentazione di libri, par-

tecipa a iniziative per la

conservazione di strumenti

musicali tradizionali, legge,

scrive e lavora in giardino.

Una voce dal Nepal

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Ministry of Health of Poland/Marcin Zieba

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DSCD

SC (2)

Migliorare le cure e la qualità di vita di anziani e disabiliIn Polonia, le persone anziane e i disabili vivono di solito in spe-ciali strutture. La DSC sostiene quattro progetti pilota volti a mi-gliorare le cure, la salute e la qualità di vita degli utenti. Grazieagli ottimi risultati ottenuti, il governo polacco ha deciso di ade-guare i programmi del suo sistema sanitario.

Mezzi finanziari per regioni povere I quattro progetti in Poloniasono finanziati attraverso ilcontributo della Svizzeraall’Unione europea allar-gata. La responsabilità perl’attuazione dei progetti, co-finanziati dalla Polonia in ra-gione del 15 per cento,compete alle autorità regio-nali polacche per gli affarisociali. La DSC e la SECOhanno finanziato ben 58progetti in Polonia; si trattadel programma di coopera-zione bilaterale più ampiosostenuto dalla Svizzera.Dei 489 milioni di franchi, il40 per cento va alle regionistrutturalmente più poverenel Sud-est del Paese.

( jlh) Come migliorare la salute e la qualità di vitadegli anziani o dei portatori di un handicap in Po-lonia? Integrandoli nelle attività e nella vita socia-le dell’istituto e della comunità affinché si sentanoapprezzati e rispettati nella loro dignità. «Oggi c’èinvece una certa tendenza a “parcheggiare” le per-sone negli istituti», sostiene Sophie Delessert, in-caricata di programma della DSC, dove solo unutente su tre può seguire una terapia occupazio-nale o di riabilitazione. Per Erika Placella, esperta della DSC in materia disalute «si tratta di modificare il rapporto fra pazientee personale di cura. Le cure devono svolgersi sem-pre all’insegna del dialogo e del rispetto».L’iniziativa si concentra su tre aspetti: ampliamen-to dell’infrastruttura secondo la normativa UE,come l’istallazione di ascensori o la messa a dispo-sizione di sedie a rotelle, formazione e perfezio-namento del personale per aumentare la qualitàdelle cure, sviluppo delle offerte di terapia occu-pazionale. I progetti pilota sostenuti dalla DSCsono promossi in 43 istituti per anziani, disabili egiovani con particolari difficoltà. Le strutture si tro-vano in quattro regioni economicamente debolidella Polonia.

In futuro cure decentrate I quattro progetti si concludono nel 2017. «Gli ap-procci innovativi, quali l’integrazione di servizi so-ciali e medici, hanno avuto un’eco molto positi-va, sia fra i diretti interessati, sia fra i familiari de-gli utenti e il personale», evidenzia SophieDelessert, ricordando con soddisfazione che i me-todi promossi dalle iniziative saranno in parte ri-presi nel sistema sanitario nazionale.Nel contempo, la DSC intende promuovere la rea-lizzazione di servizi di assistenza decentrati, affin-ché gli anziani ancora in buona salute o le perso-ne affette da lievi disabilità possano continuare avivere a casa. Per questo motivo, l’agenzia di svi-luppo della Svizzera ha abbozzato possibili percorsiche potrebbero portare a una cura diversificata alivello locale. «Questo non da ultimo anche perquestioni economiche», dice Erika Placella. «In-fatti, considerando il continuo invecchiamentodella popolazione, in futuro un’assistenza basatasolo sulle strutture esterne non sarà più finanzia-bile». n

(Traduzione dal tedesco)

L’obiettivo principale dei progetti è l’ampliamento delle strutture d’accoglienza e il miglioramento dell’assistenza aidisabili e agli anziani.

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Coopi

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Più forti del terroreIl movimento fondamentalista Boko Haram ha messo a ferroe fuoco l’intera area attorno al lago Ciad. Nella sola regione diDiffa, nel Sud-est del Niger si contano oltre 280mila personein fuga. Una ONG italiana, sostenuta dalla DSC, ha avviato unprogetto di sostegno psicosociale affinché le vittime possanoelaborare i traumi del conflitto e ridare un senso alla loro vita.

#BringBackOurGirlsNel 2014, l’hashtag#BringBackOurGirls fa ilgiro del mondo. È il dispe-rato appello di alcuni attivi-sti nigeriani lanciato suTwitter per attirare l’atten-zione della comunità inter-nazionale sul sequestro di276 studentesse cristianedi una scuola a Chibok,città nello stato di Borno,nel Nord-est della Nigeria.Nella notte tra il 14 e il 15aprile 2014, un gruppo diuomini armati appartenentiall’organizzazione jihadistaBoko Haram fa irruzionenel collegio, strappa le ra-gazze dal sonno, le caricasu pick-up e si dilegua indirezione della foresta diSambisa, roccaforte dei jihadisti. Le ragazze spari-scono nel nulla.Nell’ottobre 2016, le stu-dentesse sequestrate sonoancora quasi 200. Regolar-mente il gruppo terroristicodiffonde dei video in cuimostra le giovani rapite.

(lb) «Mi sono chiesta tante volte dove trovano laforza per andare avanti», racconta Marzia Viglia-roni. La capo missione in Niger dell’organizzazio-ne non governativa COOPI si riferisce alle centi-naia di migliaia di sfollati interni e di profughi fug-giti al terrore dell’organizzazione jihadista BokoHaram. «Hanno perso tutto: le loro case sono sta-te bruciate, i loro cari sgozzati, gli animali uccisi.Eppure vanno avanti». L’ONG italiana opera neicampi profughi e negli insediamenti spontanei sor-ti nella regione di Diffa, nel Sud-est del Niger. Ol-tre al classico intervento umanitario, COOPI so-stiene le comunità a livello psicosociale. Infatti, lagente ha un enorme bisogno di rielaborare le atro-cità vissute. «Mi hanno colpito molto i primi di-segni», ricorda Vigliaroni. «I bambini usavano soloil nero e il rosso, i colori della morte e del sangueche avevano visto dappertutto. Disegnavano le te-ste mozzate da una parte, i corpi dall’altra e i col-telli arcuati usati per sgozzare».

In fuga da Boko HaramI primi attacchi del gruppo terroristico Boko Ha-ram risalgono al 2009. Si concentravano soprat-tutto nello Stato del Borno, nel Nord-est della Nigeria. Dal 2013 il conflitto si è esteso su tutta laregione del lago Ciad. In quest’area, L’Alto com-

missariato delle Nazioni Unite per i rifugiatiUNHCR registrava alla fine del maggio 2016 ol-tre 2,7 milioni di persone sfollate. La maggior parte ha cercato rifugio in comunitàlocali, in ripari di fortuna fatti di paglia, lamiera,tessuti o plastica. «Nella regione di Diffa, gli ac-campamenti spontanei si trovano lungo la RouteNational 1, strada che corre parallela al confine conla Nigeria», spiega Rudolf Krebs, responsabile aBamako del programma umanitario regionale del-la DSC nel Sahel. «Non vogliono recarsi nei cam-pi profughi dell’Alto commissariato delle NazioniUnite per i rifugiati perché sono troppo distantidalla frontiera. Infatti, di giorno molti ritornano inNigeria per occuparsi delle loro attività professio-nali».Stando ai dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite pergli affari umanitari OCHA, alla fine del giugno2016, erano oltre 280mila le persone in fuga nel-la sola regione di Diffa. Sono sfollati interni, cit-tadini del Niger rientrati dopo aver vissuto in Ni-geria e profughi di altri Stati vicini. L’80 per cen-to vive presso familiari e amici o è accolto dallecomunità locali già duramente provate dalle ri-correnti siccità e inondazioni, dai cambiamenti cli-matici e dalla progressiva desertificazione. Il Ni-ger, ricordiamo, è il Paese più povero al mondo.

Dopo essere fuggiti dal gruppo terroristico Boko Haram, gli sfollati hanno allestito dei campi profughi spontanei in Niger, vicino al confine con la Nigeria.

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Coopi

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E così, nella sola regione di Diffa oltre mezzo mi-lione di persone dipende dagli attori umanitari,chiamati a intervenire in un contesto di grande in-sicurezza e in un ambiente remoto, semi deserti-co e inospitale.

Ricostruirsi una quotidianitàL’intervento umanitario classico non basta. Tra chiè scappato dalla ferocia dell’organizzazione jihadi-sta, moltissimi presentano dei disturbi mentali.«Osserviamo soprattutto patologie quali depres-

I passatempi, come lo sport, aiutano i giovani a elaborare i traumi che hanno vissuto dopo un attacco di Boko Haram ea gurdare al futuro con più ottimismo.

sione, ansia, stress post-traumatico, fobie, apatia,angoscia», indica Marzia Vigliaroni. Con il suoprogetto, la COOPI offre alle persone un soste-gno psicosociale affinché possano rielaborare i trau-mi, ritrovare un equilibrio e ricostruirsi una quo-tidianità. Al centro del progetto dell’ONG italia-na, sostenuto dalla DSC, ci sono soprattutto ibambini, gli adolescenti e le donne. Ai primi si of-fre settimanalmente un’occasione per svolgere del-le attività ricreative, quali giochi, canti e balli,sport, disegni, ma anche un aiuto psicologico peri bambini traumatizzati. Ai giovani vengono pro-posti anche dei corsi di alfabetizzazione non for-male. Seguono le lezioni nelle 50 scuole di emer-genza create da COOPI nella regione di Diffa.«Stiamo costruendo il futuro delle nuove genera-zioni», continua Vigliaroni. «Se trovano un lavo-ro e riescono a dare un senso alla loro vita, ci sonobuone possibilità che i ragazzi non vengano re-clutati da Boko Haram e le ragazze non finiscanonel giro della prostituzione».

Crisi nella regione dellago Ciad«Milioni di persone sof-frono a causa della fame,del conflitto e di orribili vio-lazioni dei diritti umani nelbacino del lago Ciad. Èuna delle più gravi crisiumanitarie al mondo», ha ricordato alla fine delsettembre scorso JanEliasson, vice segretariogenerale delle NazioniUnite a margine del sum-mit sui rifugiati e migrantitenuto a New York. Standoai dati dell’UNHCR, nellaregione del lago Ciad, oltre9 milioni di persone hannourgentemente bisogno diaiuti umanitari e 6,3 milionisoffrono la fame. Nel rap-porto «Children on themove, children left behind»,l’UNICEF indica che i bam-bini sfollati sono oltre 1,4milioni e che sono almenoun milione quelli intrappo-lati nelle zone controllateda Boko Haram. Inoltre,dal 2014 si sono registrati86 attentati kamikaze conl’impiego di minori.

Rompere la spirale della violenzaIn Niger, buona parte della gente collega i distur-bi mentali a qualche sortilegio o malocchio che vaallontanato con l’aiuto di un guaritore o di unostregone. Anche i medici non sono adeguatamen-te preparati per individuare le malattie mentali. Perquesto motivo, la COOPI concentra il suo pro-gramma di intervento anche sulla formazione delpersonale infermieristico e degli insegnanti affin-ché riconoscano i disturbi psichici. «Sei psicologisvolgono delle attività di sensibilizzazione sulla sa-

lute mentale, sulle cause e sulle manifestazioni nel-le comunità. Alla fine dell’incontro si mettono adisposizione per dei consulti individuali», spiega lacapo missione in Niger. Nel contempo, l’ONGitaliana rafforza la capacità di resilienza delle co-munità in caso di nuovi cambiamenti o crisi.In un contesto di indescrivibile violenza comequella di Boko Haram, la gente vuole andare avan-ti e non ha perso la speranza in una vita migliore.I bambini giocano, scherzano, corrono dietro a unpallone. 40 studenti nigeriani hanno sostenuto l’e-same di Stato grazie a un programma di educazio-ne a distanza.Tutti lottano per ridare un senso allaloro vita. «Dobbiamo rompere la spirale della vio-lenza», conclude Rudolf Krebs. «L’intervento psi-cosociale è fondamentale affinché uomini, donnee bambini non coltivino dentro di sé il desiderio divendetta. Devono invece reagire per ricostruirsiuna vita». n

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Kainaz Amaria/NYT/Redux/laif

Jason Florio/MOAS

Pep Bonet/Noor/laif

Dietro le quinte della DSC

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e gli enti locali, la DSC coor-dina le terapie con i servizi so-ciali e sensibilizza la popola-zione affinché adotticomportamenti di vita più sani.Durata del progetto: 2016-2020Budget: 4,53 milioni di CHF

Formazione dei municipali in Macedonia(scwau) Nel lungo processo didecentramento avviato nel2001, la Macedonia ha trasfe-rito molte competenze ai co-muni. Per il momento, i munici-pali non dispongono però diconoscenze e informazionisufficienti per svolgere bene il loro mandato. Inoltre sonotroppo dipendenti dal governocentrale. Per questo motivo, laDSC propone programmi eformazioni specifiche per raf-forzare il loro ruolo di supervi-sione e di rappresentanza. Unaltro obiettivo del progetto èrendere gli esecutivi locali piùefficienti e preparati affinché rispondano in maniera ade-guata ai bisogni dei cittadini.Durata del progetto: 2016-2020Budget: 4 milioni di CHF

Condividere l’esperienza sanitaria (dey) L’iniziativa di coopera-zione «Ensemble pour une so-lidarité thérapeutique hospita-lière en réseau» (Insieme peruna solidarietà terapeuticaospedaliera in rete) vuole raf-forzare i sistemi sanitari degliStati a reddito medio e basso.È un obiettivo che può essereraggiunto favorendo la colla-borazione tra ospedali e istituti

Attore umanitario indispensabile(bm) Negli ultimi anni, laMezzaluna Rossa tunisina è diventata la più importante or-ganizzazione umanitaria nelloStato dell’Africa del Nord.Assiste, per esempio, la genteche vive in montagna affinchériesca ad affrontare meglio i rigori dell’inverno oppure soc-corre i profughi e i migrantiprovenienti dalla Libia. La DSCla sostiene affinché diventi unattore moderno, professionaleed efficace e risponda in ma-niera adeguata ai bisogni dellapopolazione. Per raggiungerequesti obiettivi, la MezzalunaRossa tunisina deve svilupparele competenze tecniche e rela-zionali dei dipendenti, promuo-vere una migliore rappresen-tanza delle donne e dei giovaninei processi decisionali e sen-sibilizzare le autorità nazionalisul suo importante ruolo inTunisia.Durata del progetto: 2016-2018Budget: 1,1 milioni di CHF

Migliorare la qualità di vita in Moldova(dce) Il 26 per cento della po-polazione moldova muoreprima dei 70 anni a causa dimalattie non trasmissibili comediabete, cancro e patologiecardiovascolari o respiratorieacute. Questo tasso è tre voltesuperiore alla media svizzera.La causa va ricercata soprat-tutto nella bassa qualità di vitae nell’inefficienza del sistema sanitario dello Stato dell’Europa orientale, orientato piùalle cure che alla prevenzione.Collaborando con le comunità

di ricerca in Svizzera e neiPaesi in via di sviluppo. Questarete internazionale promuovelo scambio di esperienze ecompetenze da cui tutti pos-sono approfittare. Il progettoverte in particolare sulla salutesessuale e riproduttiva, inclu-dendo anche l’AIDS.Durata del progetto: 2016-2019Budget: 1,45 milioni di CHF

Acqua pulita per tutti(dey) Il sesto Obiettivo di svi-luppo sostenibile dell’Agenda2030 intende garantire a tutti la disponibilità e la gestionesostenibile dell’acqua e dellestrutture igienico-sanitarie. Perraggiungere questo ambiziosotraguardo, l’agenzia delle

Nazioni Unite UN Water ha deciso di raggruppare tutte le azioni e le iniziative legate all’acqua e ai servizi igienico-sanitari dell’ONU. La DSC so-stiene UN Water affinché abbiaun ruolo trainante nell’attua-zione e nella valutazione delsesto Obiettivo di sviluppo sostenibile.Durata del progetto: 2016-2020Budget: 2,5 milioni di CHF

Salvare i naufraghi nelMediterraneo(mpe) L’organizzazione nongovernativa «Migrant OffshoreAid Station» soccorre i profu-ghi che tentano l’attraversatadel Mediterraneo partendodalle coste libiche. Con la suanave di soccorso, battezzataPhoenix, l’ONG percorre inlungo e in largo i mari e grazieall’utilizzo di strumenti all’avan-

guardia, come i droni muniti ditelecamere, è in grado di indi-viduare anche la più piccolaimbarcazione alla deriva. In un anno e mezzo, oltre 26500persone sono state salvate dauna morte quasi certa. La DSCè stata la prima organizzazionegovernativa a sostenere il la-voro dell’ONG.Durata del progetto: 2016Budget: 250000 CHF

Sostegno ad Haiti dopo l’uragano Matthew(ung) Il 4 ottobre 2016, il Sud-ovest di Haiti è stato spazzatoda venti tempestosi con raffi-che di 250 chilometri orari chehanno causato ingenti danni ecentinaia di vittime. La DSC hainviato sul posto diversi distac-camenti del Corpo svizzero diaiuto umanitario. Per un mese,gli esperti svizzeri hanno distri-buito acqua potabile e mate-riale per allestire alloggi d’e-mergenza nella regione diPort-Salut, dove i bisogni sonomaggiori. Inoltre, l’agenzia perlo sviluppo della Svizzera staaiutando Haiti, Paese priorita-rio della DSC, a riprendersi e arimettere in moto la sua eco-nomia dopo il passaggio del-l’uragano Matthew. Attual-mente, le sue squadre sonoimpegnate nello sgombero dei detriti sulle strade e sui terreniagricoli e nella ricostruzionedelle scuole.Durata del progetto: ottobre2016 - febbraio 2017Budget: 4 milioni di CHF

DSC

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Georgios Kefalas/Keystone

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FORUM

Primi passi verso un mondo miglioreDopo aver adottato l’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibi-le nel settembre 2015, i Paesi firmatari devono ora promuover-ne l’attuazione. Al momento, la Svizzera sta facendo il puntodella situazione. I risultati saranno presentati al Consiglio fe-derale entro l’inizio del 2018. Per alcune ONG bisogna accele-rare i tempi e coinvolgere tutti in questo processo. Di Luca Beti.

Gli obiettivi sono conosciuti, ma ora è necessariostabilire il punto di partenza per definire la rotta.È, in estrema sintesi, ciò che sta facendo la Sviz-zera in questo momento. «Vogliamo raccoglieretutti i tasselli per comporre il puzzle completo del-la situazione attuale e per individuare dove ci sonodei pezzi mancanti», spiega Andrea Ries, respon-sabile per la DSC della coordinazione dell’attua-zione dell’Agenda 2030 per uno sviluppo soste-nibile.Adottata nel mese di settembre del 2015 da 193capi di Stato e di governo, l’Agenda 2030 ha uni-to gli Obiettivi di sviluppo del millennio e l’A-genda di Rio. Con 17 obiettivi di sviluppo soste-nibile (OSS) e 169 sotto-obiettivi intende realiz-zare entro 15 anni una visione: lasciare in ereditàalle prossime generazioni un mondo migliore. E

come? Eliminando, per esempio, ogni forma dipovertà, ponendo fine alla fame, riducendo le di-suguaglianze, salvaguardando gli ecosistemi, sfrut-tando le risorse in maniera sostenibile e promuo-vendo la pace. Sono degli obiettivi universali chevanno perseguiti sia nei Paesi del Sud sia in quel-li del Nord.

Due anni per scegliere la stradaAnche la Svizzera intende fare la sua parte. Dopoaver avuto un ruolo determinante nella formula-zione dell’Agenda 2030, vuole ora promuovere lasua messa in atto a livello nazionale e nel con-tempo definire il suo contributo a livello interna-zionale. Nel corso di un processo interdiparti-mentale, diretto dalla DSC e dall’Ufficio federaledello sviluppo territoriale ARE, un gruppo di la-

Campagna di sensibilizzazione sullo spreco di cibo a Basilea: per raggiungere tutti gli Obiettivi di sviluppo sostenibile,anche la Svizzera dovrà dimezzare entro il 2030 la quantità di alimenti gettati a testa.

Monitoraggio degli OSSDal 2003, lo sviluppo so-stenibile in Svizzera è valu-tato mediante un sistemadi indicatori denominatoMONET (dal tedesco«Monitoring der Nachhalti-gen Entwicklung»). Oggi,73 indicatori misurano, peresempio, la qualità di vita,la distribuzione delle ri-sorse oppure lo sfrutta-mento dell’ambiente entroi confini nazionali. In futurosarà necessario adeguarequesti indicatori all’Agenda2030. Caritas Svizzerachiede al Consiglio fede-rale di nominare una com-missione permanente extraparlamentare con il mandato di favorire loscambio, formulare delleraccomandazioni e verifi-care la messa in attodell’Agenda 2030. AllianceSud promuove con altreONG la creazione di unapiattaforma per la societàcivile, un «cane da guar-dia» che avrà il compito di controllare l’attuazionedegli OSS in Svizzera e daparte della Svizzera con le sue attività all’estero.www.bfs.admin.ch (MONET)www.agenda2030.admin.ch

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Moncorge/LookatSciences/laif

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voro chiarirà quali passi si devono intraprendereper raggiungere gli OSS. «Prendiamo, per esem-pio, il sotto-obiettivo 12.3 che chiede di dimez-zare i rifiuti alimentari pro capite e di ridurre leperdite di cibo lungo la catena di produzione e for-nitura», spiega Andrea Ries. «Ci dobbiamo chie-dere se la Svizzera intenda darsi un obiettivo ana-logo. Anche da noi un terzo degli alimenti fini-sce nella spazzatura». Entro l’inizio del 2018, il gruppo di lavoro dovràpresentare al Consiglio federale un rapporto in cuiha formulato delle raccomandazioni e delle misu-re concrete per realizzare l’Agenda 2030. Per Al-liance Sud, gruppo di riflessione e d’azione co-mune di sei organizzazioni svizzere si sviluppo,due anni per mettersi in viaggio sono troppi ed ènecessario coinvolgere anche altri attori in questoprocesso. «Se vogliamo davvero scoprire i puntideboli, i problemi reali e i campi in cui è neces-sario intervenire dobbiamo coinvolgere tutti gli attori della società civile. Proprio la società civiledispone di un bagaglio enorme di esperienze ecompetenze», indica Eva Schmassmann di Allian-ce Sud. «A questo proposito, la Confederazioneha creato la piattaforma Dialogo 2030 per raffor-zare la collaborazione di tutti e a ogni livello isti-tuzionale», ribatte Andrea Ries della DSC. Lapiattaforma promuove il dialogo sulla realizzazio-ne dello sviluppo sostenibile da parte della Sviz-zera attraverso la sua politica nazionale ed estera.

Perno dell’Agenda 2030Il settore privato è un attore a cui la comunità in-

ternazionale ha assegnato un ruolo fondamentaleper la realizzazione dell’Agenda 2030. «Solo gra-zie al settore privato sarà possibile mobilitare leenormi somme di denaro necessarie per metterein atto l’Agenda 2030», ricorda Sabine Döbeli, di-rettrice di Swiss Sustainable Finance. «Il settore fi-nanziario potrebbe fungere da perno per centra-re gli Obiettivi di sviluppo sostenibile», indica ladirettrice dell’organizzazione che raggruppa circa90 rappresentanti del settore finanziario. «Da unaparte può mobilitare capitale privato mediante de-gli strumenti adeguati, dall’altra parte nell’ambitodei suoi servizi finanziari può sensibilizzare leaziende sulle condizioni di lavoro o sulla salva-guardia ambientale».Presente al primo Forum politico di alto livellosullo sviluppo sostenibile dell’ONU tenuto loscorso settembre, Döbeli ha percepito un genera-le clima di euforia tra i Paesi partecipanti. «Non-ostante le enormi sfide, tutti sembravano motiva-ti ad affrontarle», ricorda la CEO. Secondo EvaSchmassmann, in Svizzera finora è proprio la vo-lontà politica a mancare. «Il governo non ha mes-so a disposizione né i mezzi finanziari né gli stru-menti regolatori necessari per promuovere l’A-genda 2030», sostiene la responsabile della politicadi sviluppo di Alliance Sud.

Non pensare per compartimenti stagniLa Svizzera è un Paese piccolo e povero di mate-rie prime e in un mondo globalizzato dipende dal-l’estero. «Nonostante questa interdipendenza nonconsideriamo le conseguenze che hanno le nostredecisioni politiche oltre i confini nazionali», evi-denzia Marianne Hochuli di Caritas Svizzera. «Permigliorare la coerenza politica chiediamo al Con-siglio federale di creare un’istituzione di esperti in-caricata di valutare possibili conflitti di interesse e l’incompatibilità con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Dobbiamo smetterla di pensare percompartimenti stagni».Per il momento, la Confederazione ha integratogli OSS nella Strategia di sviluppo sostenibile2016-2019 e nel Messaggio sulla cooperazione in-ternazionale 2017-2020. Inoltre, dal 2003 lo svi-luppo sostenibile entro i confini nazionali vienevalutato mediante un sistema nazionale di indica-tori, una competenza che le permette di partire inuna buona posizione. Tuttavia il traguardo è an-cora lontano e irto di ostacoli. Soltanto se tutti fa-ranno la loro parte sarà possibile lasciare in eredi-tà un mondo migliore alle generazioni future. n

Grazie ai suoi istituti di ricerca, come quello del CERN aGinevra, la Svizzera avrà un ruolo decisivo nel processoper raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

La Svizzera, prima daotto anniSecondo il rapporto delForum economico mon-diale (WEF) sulla competiti-vità globale 2016-2017, laSvizzera è prima al mondo,ad esempio, per quanto ri-guarda innovazione, stabi-lità macroeconomica, si-stema educativo e istituti di ricerca. Sono degli atoutda sfruttare nel processodi attuazione degli OSS.«Grazie alle sue compe-tenze in vari ambiti, laSvizzera ha tutte le carte in regola per diventare unaprotagonista nell’attua-zione dell’Agenda 2030»,sostiene Sabine Döbeli, direttrice di Swiss Sustain-able Finance. «Il mondoeconomico elvetico nondeve considerare gli OSSun ostacolo, bensì un’op-portunità per favorire l’in-novazione, la ricerca e l’efficienza. Alcune grandiaziende hanno già elabo-rato dei rapporti in cui indi-cano quale potrebbe es-sere il loro contributo perraggiungere gli OSS». www.weforum.org (GlobalCompetitiveness Report)

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Tiana Markova-Gold/Redux/laif

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«Il Marocco è l’unico pentelonetiepido della regione. Tutte lealtre si trovano sul fuoco». Ècon queste parole che nel 2013un deputato europeo in visita inMarocco ha paragonato la situa-zione del Paese con quella deisuoi vicini, prossimi e lontani.Affermare che la pentola ma-rocchina è «tiepida» potrebbesignificare che è stata bollente e che nel frattempo si è raffred-data, oppure che ha sempremantenuto una temperaturamoderata. Facendo un bilancioa cinque anni dalle rivolte del2011, la prima ipotesi sembra la più plausibile. In effetti, ilMarocco subisce di tanto intanto scosse più o meno intensee finisce, poi, per ritrovare laconsueta calma.

A parte le solite manifestazionidi strada e altri sporadici disor-dini, di recente il Marocco haavuto caldo in due occasioni. Il20 febbraio 2011, in decine dicittà la gente è scesa in piazzaper chiedere soprattutto più libertà e democrazia. Un’altragiornata particolarmente agitataè stata quella del 30 ottobre2016. Nella città di AlHoceima, nel Nord del Paese, ilpescivendolo Mouhcine Fikri è

stato schiacciato nel cassone diun camion dei rifiuti mentrecercava di recuperare il pesceche la polizia gli aveva confi-scato. La dignità di questoumile giovane uomo del Rif(regione nel Nord del Marocco,ndr.) è stata calpestata da un potere abusivo, arrogante e corrotto. All’indomani della suamorte, un’ondata di indigna-zione si è diffusa nei media so-ciali e una rivolta spontanea hascosso venti città del Marocco.

Come l’immolazione diMohamed Bouazizi in Tunisianel 2011, anche la morte diMouhcine Fikri ha provocato lacollera del popolo, che è scesonuovamente in piazza per direno alla hogra, termine che indialetto arabo marocchino in-dica l’umiliazione e l’abuso dipotere. Questa vicenda ricordache la capacità di sopportazionedel popolo ha un limite e che la sua indignazione è pronta aprorompere ogni qualvoltaemergono ingiustizie politicheed economiche.

Ma da dove viene questo perio-dico malessere? Che cosa con-sente di serbare al caldo la mar-mitta? Iniziamo dalle quattro

ragioni del disagio, che secondoalcuni ricercatori ed editorialistisono di natura strutturale. Laprima ha origine dalla corru-zione, dal mantenimento di privilegi ingiusti e da altri favo-ritismi che gettano nella dispe-razione il semplice cittadino,impotente quando chiede untrattamento equo. La secondaragione lo interessa diretta-mente: è la propensione dei po-litici e della polizia a trattare lagente comune, le persone biso-gnose o semplicemente indifesecon arroganza e talvolta conuna violenza ingiustificata. Laterza ragione nasce dalla ten-denza ancora diffusa alla sotto-missione e a un atteggiamentoservile. Così, quando l’esaspera-zione è all’apice, la reazione di-viene incontrollabile. La quartaragione viene alimentata daidiscorsi identitari di alcuni movimenti politici (islamisti,sahrawi o berberi).

Eppure il soufflé finisce sempreper sgonfiarsi; un fenomeno chesi può spiegare in vari modi.Innanzitutto si ha la sensazionedi vivere in un sistema non to-talmente autoritario e soffo-cante: il popolo vuole con urgenza le riforme e non le

rivolte. Poi, la divisione a scacchiera e la struttura ammi-nistrativa facilitano la vigilanzanon soltanto verticale, ma an-che sociale. Infine, le varie levedel potere consentono a chi go-verna di moltiplicare le possibilivie d’uscita e soluzioni. Tuttociò è sostenibile nel tempo? Adogni modo, questa situazioneconsente al potere di adeguarsirapidamente e a gruppi organiz-zati e sensibili della società dimantenere la pressione a inter-mittenza. E forse è proprio que-sto il modo in cui progredirà ilMarocco: a intermittenza. n

(Traduzione dal francese)

La fragile stabilità marocchina

Driss Ksikes, nato aCasablanca nel 1968, è giorna-lista e autore di diversi raccontie saggi. Già direttore della rivi-sta «TelQuel» (2001-2006), inquesto momento è professorepresso l’Istituto di studi superi-ori di gestione a Rabat. Dirige ilcentro di ricerca dell’istituto edè responsabile della sua rivista«Economia». In collaborazionecon diversi enti del Maghreb edel Mediterraneo, Driss Ksikesrealizza progetti nell’ambito deimass media e della cultura.Tiene inoltre laboratori di scrit-tura e collabora con diversepubblicazioni culturali.

Carta bianca

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Obiettivo puntato sul Bangladesh Il gioco di luci e colori caratterizza gli scatti dei giovani fotografi del Bangla-desh. Le fotografie sono state realizzate nell’ambito di un concorso organiz-zato dalla DSC e dall’ambasciata svizzera a Dacca. Le dodici immagini vincitrici ci offrono squarci affascinanti della vita e della cultura del Paese.

«Il ruolo della cultura e dei con-trasti sociali fra tradizione e mo-dernità»; così si potrebbe descri-vere a sommi capi il compitosottoposto ai 92 giovani foto-grafi del Bangladesh che con leloro 353 immagini hanno parte-cipato al concorso. Fra i vinci-tori, la 25enne Aysha Siddiqua.«La fotografia è la mia passione.Il concorso mi ha offerto un’oc-casione unica per esprimere la mia visione creativa delmondo», spiega la fotoamatrice,studentessa di letteratura inglesee unica donna vincitrice. I do-dici giovani premiati del con-corso hanno avuto la possibilitàdi presentare le loro opere inun’esposizione temporaneaaperta al pubblico e di parteci-

pare a un laboratorio con il fo-tografo professionista bengaleseGMB Akash. «Durante ilworkshop ho potuto condivi-dere idee e progetti con gli altrifotografi. In questi tre giorni hoimparato più cose che in tutti glianni precedenti messi insieme»,conclude Aysha Siddiqua. Per maggiori informazioni sulconcorso fotografico: www.focusonculture.net

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31Un solo mondo n.1 / Marzo 2017

1. Divertirsi al festival Holi (festa di

primavera induista); FH Priok

2. Festival Sakrain (annuale festa

d’inverno); Md. Itmam Akif

3. Vita e cultura in Bangladesh;

Aysha Siddiqua

4. Ragazza al festival Holi; Sazid UL Haque

5. Rakher Upobash (festival di digiuno

religioso); Ziaul Haque Oisharjh

6. Un velo che nasconde il mio viso;

Al Zihad

7. Il colore della gioia al festival Holi;

Minhajul Abedin

8. Ritratto del festival Holi; Daud Khan

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9. Treno in Bangladesh; Mohammad Osman Goni

10. In preghiera; Shaun Khan

11. Rash Purnima (festival sacro induista e giainista); Mohammed

Anamul Haque

12. Celebrazioni del festival Ful Bizu (festa socio-religiosa più

importante dell’etnia chakma); Malthas Chakma

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33Un solo mondo n.1 / Marzo 2017

Impressionante e unico (er) Melodie cantate, parole esuoni urlati con una voce vi-brante e tenebrosa, maestosa egutturale. È la voce della brasi-liana Elza Soares, che nel 2000 la BBC ha definito «cantante del millennio». I brani del suo34esimo album non sono pro-prio orecchiabili e non cercanocerto di compiacere agli ascolta-tori. Insieme ad alcuni musicistidi avanguardia di São Paulo,l’ottantenne icona del canto pro-pone un samba in veste «dirty»,fatto di melodie tanto sperimen-tali quanto affascinanti. Suoni di strumenti a corde a volte di-

storti e altre armoniosi, note in-calzanti di trombe e i ritmi insi-stenti e pressanti di tamburifanno da cornice al secco scrat-ching sui testi di Soares. Questiultimi parlano di repressione eingiustizia, di poveri, di donne e

di neri. La cantante brasilianatrae ispirazione dal suo passato,trascorso nelle favelas e segnatoda rapporti di coppia catastrofici,eccessi di alcol, e infine, daglialti e bassi della sua carriera mu-sicale. La sua vita movimentata èanche la storia del suo Paese; duetrame intrecciate per formare ununico capolavoro di impressio-nante bellezza.Elza Soares: «The Woman At TheEnd Of The World» (Mais UmDiscos/Indigo)

Quante meravigliose sfaccettature (er) La compilation dal titolo«Borsh Division – Future SoundOf Ukraine» non lascia certospazio alla noia. La raccolta, ac-compagnata da una favolosa documentazione, ci regala unacarrellata musicale di gruppi eartisti della scena alternativa contemporanea ucraina. Prati-camente sconosciuti alle nostrelatitudini, questi artisti hannotratto ispirazione dagli impor-tanti sconvolgimenti politici dipiazza Maidan, a Kiev. La sele-zione di brani offre una straordi-naria varietà stilistica, che spaziadal caos etno, al klezmer, all’u-crobilly, al maidan-reggae, alpunk, al rock per finire alla mu-sica elettronica. Il timbro dellescure voci maschili e delle chiarevoci femminili copre tutta lagamma di colori e di stati d’a-nimo. Sono voci forti, ruvide,rauche o anche dolci e calde, accompagnate da tocchi di cordeo ottoni, fisarmonica, corna-musa, basso o percussione. Sisprigiona così una colonna sonora clamorosa, orientata alfuturo, che passa poi a toni sus-surrati e impregnati di nostalgia.Sono melodie che invitano acanticchiare e a fischiettare, ma avolte anche a chiudere gli occhie sognare. 16 brani dalle innu-merevoli e meravigliose sfaccet-tature che come per magia cispingono a premere in continua-

zione il tasto repeat del lettore cd. Various: «Borsh Division – FutureSound Of Ukraine»(Trikont/Musikvertrieb)

Inedito e toccante (er) Questi 14 brani non sononati in uno studio di registra-zione all’avanguardia, bensì inprigione. La raccolta musicale è stata realizzata nell’ambitodello «Zomba Prison Project»nel nucleo centrale di un carceredi massima sicurezza della Re-pubblica del Malawi, nell’Africaorientale, uno fra i Paesi più po-veri del mondo. Attualmente lastruttura, concepita nel 20° se-colo per 340 detenuti, accogliecirca 2000 persone. Sono uo-mini e donne condannati peromicidio o furto e di età com-presa tra i 20 e i 60 anni. Alcunihanno preso in mano il micro-fono o la chitarra per raccontarela quotidianità in cella o perconfrontarsi con il passato. I testidelle canzoni sono di solito nellaloro lingua madre chichewa. Avolte sono associati a uno scarnoaccompagnamento strumentale,altre sono cantati a cappella.Questi «canti di chi non vieneascoltato» sono genuini, incensu-rati, quasi incompiuti, ma anchearmoniosi, melodici, accidentati

A scuola di umanità(bf) L’Aiuto umanitario della Svizzera ha sviluppato unprogetto scolastico e un mezzo didattico per avvicinare lescuole alla sua attività nel mondo. Rivolto agli alunni dietà compresa tra i 13 e i 18 anni, «Project Humanity» pre-senta i principi di ogni intervento umanitario nel mondo:imparzialità, neutralità e indipendenza. Solo così è infattipossibile trovare soluzioni durature ai crescenti bisogniumanitari, alle crisi nazionali e internazionali, alla violenza,ai conflitti, alle calamità naturali, alle complesse situazioniregionali, agli sfollamenti forzati e alla migrazione. Il pro-getto intende, tra l’altro, sensibilizzare gli scolari sullequestioni umanitarie, promuovere un confronto approfon-dito con i principi umanitari fondamentali e dare loro lapossibilità di farsi un’opinione. Il mezzo didattico ha unastruttura modulare e può essere impiegato in un’attività aprogetto oppure in singole unità didattiche. Su richiesta,gli insegnanti interessati al progetto vengono assistiti gra-tuitamente da un punto di vista pedagogico. Il pacchettoè completato da uno scambio «dal vivo» con specialistidell’impegno umanitario. Per maggiori informazioni: http://project-humanity.info/it

Mezzi didattici

Musica

Servizio

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34 Un solo mondo n.1 / Marzo 2017

Libri

Film

e distorti. Il canto in falsetto diun uomo o la voce gorgheg-giante di una donna diffondonoil loro messaggio «I Will NotStop Singing», facendolo planareal di là delle mura del peniten-ziario, in modo inedito e toccante.Various: «I Will Not Stop Singing– Zomba Prison Project» (SixDegrees/Hoanzl)

Visione d’insieme (dg) La ventesima edizione deiFilmtage21 ha in cartellone unaserie di film inediti, accompa-gnati da materiale didattico sviluppato per promuovere l’educazione in favore di unosviluppo sostenibile. La rassegnapresenta temi attuali, legati aquestioni ambientali, sociali edeconomiche. Per esempio, le

pellicole si soffermano sulleenergie rinnovabili in Danimar-ca, Mali e Spagna, sulla giustiziaclimatica a livello internazionaleoppure raccontano la storia diuna comunità indigena inColombia che deve abbandonarela sua terra per fare spazio a unagigantesca miniera di carbone.Altri film illustrano le correla-zioni globali sulla scorta dell’e-sempio dell’olio di palma, pre-sente in quasi tutti i generialimentari, o le opportunità e lesfide del turismo. Vi sono peròanche racconti tratti dalla vitaquotidiana.Filmtage21 dall’8 marzo a SanGallo, Coira, Zurigo, Lucerna,Friburgo, Briga, Basilea e Berna,programma:www.education21.ch/de/filmtage

I piccoli gesti della vita(wr) Dalla separazione dei geni-tori, Sara vive con la madre e lasorella minore Catalina. Comeper molti adolescenti, la suaquotidianità è scandita dalle oretrascorse a scuola, dai piccoli li-tigi tra sorelle, dal batticuore perun compagno di classe, dallecanzonature o dai pasti consu-mati in famiglia. Fra poco Saracompirà 13 anni e vorrebbe or-ganizzare una festicciola a casasua. A scuola sente però delledomande che la preoccupano.Infatti, sua madre ha lasciato ilpadre per un’altra donna, cheora vive con loro. Per il suo film«Rara», la cineasta cilena PepaSan Martín ha scritto una storialeggera e delicata sulla vita quo-tidiana di una ragazzina di dodicianni che a causa della sua situa-zione familiare è confrontata incontinuazione con questioni digenere. La regista ha puntato lalente sui piccoli gesti, sulle frasibuttate lì per caso, su ciò che disolito non notiamo, sugli sguardiche cambiano la nostra vita quo-tidiana e in particolare quella diuna bambina.«Rara» di Pepa San Martín, lungo-metraggio Cile 2016; DVD o ci-nema online; www.trigon-film.org

Che gusto ha casa?(bf ) Chi è costretto a fuggiredeve abbandonare quasi tutti isuoi beni. In compenso, portacon sé un ampio bagaglio cultu-rale; per esempio la cucina tradi-zionale. Nel particolare libro dicucina «Heimat im Kochtopf»,scritto nell’ambito di un pro-getto dell’associazione Solinetzdi Zurigo, i profughi che vivonoin Svizzera ci invitano a sederci a tavola con loro e ad ascoltare

le loro storie. Sono originari diAfghanistan, Eritrea, Guinea,Honduras, Iraq, Yemen,Kurdistan, Libano, Mongolia,Perù, Senegal, Sri Lanka,Ossezia del Sud, Siria, Tibet eUcraina. Durante la prepara-zione delle pietanze più dispa-rate, dal pesce al finger food,dalla minestra di verdura al des-sert a base di riso, scopriamo lericette e i destini dei protagonistidel libro. La pubblicazione ci ri-corda inoltre l’enorme impor-tanza sociale dei pasti consumatiassieme a familiari o amici. «Heimat im Kochtopf» di SéverineVitali e Ursula Markus,Rotpunktverlag Zurigo

La fuga(bf ) È un argomento complessoe difficile da comprendere e daspiegare, soprattutto in un libroper bambini e ragazzi. Tuttavia,Francesca Sanna ha scelto la fugacome tema per la sua tesi allaScuola universitaria di Lucerna,dove ha studiato design con unaspecializzazione in illustrazione.Nata in Sardegna, la giovane ar-tista vive ora a Zurigo. Con lasua opera prima, la ventisettenneracconta la fuga dalla guerra vi-sta dalla prospettiva di una fami-glia. L’idea del libro le è venutadopo aver incontrato due ragaz-ze in un campo profughi italia-no. All’incontro sono seguiti innumerevoli colloqui con altri migranti. Con il suo lavoro,Francesca Sanna ha avuto unsuccesso clamoroso.L’illustratrice non solo è riuscitaa creare un’opera coinvolgente,densa e profonda, ma anche unlibro che colpisce per la sua leg-gerezza e la sua attualità. Con la

sua pubblicazione ha vinto addi-rittura la medaglia d’oro nellacategoria «Libro» della Societyof Illustrators New York,l’Oscar degli illustratori. «Die Flucht» di Francesca Sanna;NordSüd-Verlag, Zurigo 2016

Mercanti di uomini(bf ) La disperazione dei profughiche arrivano a migliaia sulle co-ste dell’Europa è un giro di affarimiliardario per i passatori, i rapi-tori, i contrabbandieri e i jihadi-sti. Anche i rapimenti sono unafonte redditizia per finanziare leorganizzazioni terroristiche. Levittime sono quasi sempre gior-nalisti occidentali o collaboratoridi organizzazioni umanitarie.Nel suo nuovo libro «Mercantidi uomini», Loretta Napoleoni,tra i massimi esperti mondiali diterrorismo, economista e autricedi numerose pubblicazioni disuccesso in Italia e all’estero,spiega gli intrecci che reggono il business dei sequestri in MedioOriente. Il libro si basa su unampio numero di colloqui con-dotti con ex ostaggi, negoziatorie collaboratori delle NazioniUnite e del CICR. I verbaliportano alla luce la rete intessutadai passatori, che si estendedall’Africa occidentale attraversola Libia e la Siria fino in Europa.È una fonte che per l’organizza-zione al-Qaida e il sedicenteStato islamico vale letteralmenteoro: coloro che hanno contri-buito a far nascere la crisi deiprofughi sono anche coloro chene traggono maggior profitto.«Mercanti di uomini. Indagine sultraffico milionario di ostaggi e mi-granti che finanzia il jihadismo» di Loretta Napoleoni, Feltrinelli,Milano 2016

Con la guerra nel cuore(lb) Alì cresce su un’isola indefi-nita. Sullo sfondo la guerra tra«Regolari» e «Neri», soldati chein una mano impugnano il fucilee nell’altra il Corano. Il bambino

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35Un solo mondo n.1 / Marzo 2017

Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affari esteri(DFAE)

Comitato di redazione:Manuel Sager (responsabile)George Farago (coordinazione globale)Sylvie Dervey, Beat Felber, Barbara Hell, Marie-Noëlle Paccolat, Christina Stucky, Özgür Ünal

Redazione:Beat Felber (bf – produzione)Luca Beti (lb), Jens Lundsgaard-Hansen (jlh),Zélie Schaller (zs), Jane-Lise Schneeberger (jls),

Fabian Urech (fu), Ernst Rieben (er)

Progetto grafico:Laurent Cocchi, Losanna

Litografia e Stampa:Stämpfli SA, Berna

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentita previaconsultazione della redazione e citazione dellafonte. Si prega di inviare una copia alla reda-zione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente (solo in Svizzera) presso: DFAE, Servizio informazioni, Palazzo federale Ovest, 3003 Berna

E-mail: [email protected]. 058 462 44 12Fax 058 464 90 47www.dsc.admin.ch

860215346

Stampato su carta sbiancata senza cloro per la protezione dell’ambiente

Tiratura totale: 47400

Copertina: Minatrici e minatori di una mi-niera di carbone in Sudafrica; Roger Cremers/laif

ISSN 1661-1683

Varie

Nota d’autore

Partenza verso l’ignoto

Nel 2015, il cortometraggio«Parvaneh» della regista svizzero-iraniana Talkhon Hamzavi è statonominato per l’Oscar nella catego-ria «Miglior cortometraggio».Attualmente la cineasta sta realiz-zando un lungometraggio.

La bambola che mia zia mi avevaregalato a Teheran nel momentodell’addio l’ho dimenticata in ae-reo. La procedura alla doganasembrava interminabile. Sono leimmagini impresse nella memoriadi una bambina. Sono le emozionidolorose vissute nel momentodella partenza verso l’ignoto. Oraho ritrovato le mie certezze: nel-l’arte e nel cinema. La casa di mianonna ormai non esiste più. LaSvizzera è diventata la mia casa.Stiamo così bene qui. Ciò che suc-cede in altri posti è invece impos-sibile da descrivere a parole. Ilmondo sta andando di male inpeggio oppure sono i mass mediaa portarci sempre più spesso suiluoghi di tante tragedie umane? Dicerto, la fortuna e le opportunitànon sono equamente distribuite tra popoli e culture. Anche se noncerco queste vibrazioni, loro flui-scono anche nel mio nuovo filmche devo realizzare con i pochimezzi a disposizione. Sarà un filmche parla di amore, coraggio,mancanza di prospettive, dellaSvizzera, della Siria e della Turchia.

( Testimonianza raccoltada Jens Lundsgaard-Hansen)

Alexandre Zveiger

trascorre le giornate con il suomiglior amico Ahmed, figlio delsignore del villaggio. Duranteuna delle loro innumerevoliscorribande, Alì finisce su unamina. Da allora nel suo pettobatte il cuore di un infedele. Alìdiventa così Amal, che significasperanza. «Il grande futuro» del giovane scrittore italianoGiuseppe Catozzella è un ro-manzo di formazione che narrala storia di un ragazzo in cercadella pace interiore. Ultimo tragli ultimi, figlio di una stirpe diservitori, Amal scappa dall’isoladopo essere stato tradito daAhmed e abbandonato dal pa-dre. Raggiunge la Grande mo-schea nel deserto, dove in un’at-mosfera mistica continua il suo apprendistato per diventareuomo. Dopo aver resistito alungo, cede infine alla seduzionedelle armi. Si unisce ai Neri ediventa un «guerriero di luce».Sarà un versetto del Corano el’amore per un’infedele a salvarlodal buio e dalla morte. «Il grande

futuro», ispirato a una storiavera, si legge come una fiabaambientata però nei luoghi dellatragica attualità.«Il grande futuro» di GiuseppeCatozzella; Feltrinelli, Milano2016

Una voce per l’umanità(Ib)1169 discorsi in una vita, maprobabilmente anche qualcunoin più. Altrettante volte CornelioSommaruga, presidente dal 1987al 1999 del Comitato internazio-nale della Croce rossa (CICR),ha preso la parola per difendere ipiù deboli, la libertà, la giustizia,il rispetto e la responsabilità, maanche per denunciare le ripetuteviolazioni del diritto umanitario

internazionale in un mondosempre più guerrafondaio dopoil crollo del Muro di Berlino.Brillante comunicatore e ora-tore, il poliglotta CornelioSommaruga ha fatto della parolal’arma più efficace del CICR. La pubblicazione «Una missioneumanitaria mondiale» presenta 18discorsi chiave nelle lingue origi-nali italiano, tedesco, francese einglese. I testi sono introdotti dauna contestualizzazione storico-

politica e accompagnati da uncapitolo che riprende altri suoiargomenti cardine. In appendicesi trova l’elenco sistematico dicirca 1100 discorsi tenuti daCornelio Sommaruga in veste di diplomatico, presidente delCICR e persona privata.«Im weltweiten Einsatz fürHumanität – Cornelio Sommaruga– Präsident des IKRK 1987-1999– Reden und Vorträge», edito daJoseph Jung; Verlag Neue ZürcherZeitung, Zurigo 2016

Gli specialisti del DFAE vengono da voi Desiderate ottenere informazionidi prima mano su temi di poli-tica estera? Le specialiste e glispecialisti del Dipartimento fede-rale degli affari esteri (DFAE)sono a disposizione di scuole, associazioni e istituzioni perconferenze e discussioni su varitemi di politica estera. Il servizioè gratuito, tuttavia viene offertosolamente in Svizzera e se all’in-contro vi partecipano almeno 30 persone. Per informazioni: Servizio delle conferenze, Informazione DFAE,Palazzo federale Ovest, 3003Berna; tel. 058 462 31 53; e-mail: [email protected]

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«Le donne e le ragazze sono il cinquanta per cento della popolazionemondiale. Non credo che garantire i loro diritti sia troppo ambizioso».Phumzile Mlambo-Ngcuka, pagina 12

«Naturalmente vi sono stati parecchitentativi di minare e scoraggiare il miolavoro». Mohna Ansari, pagina 22

«La bambola che mia zia mi aveva regalato a Teheran nel momentodell’addio l’ho dimenticata in aereo». Talkhon Hamzavi, pagina 35

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