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Un seul monde Eine Welt Un solo mondo N. 3 / SETTEMBRE 2008 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE www.dsc.admin.ch Mekong, una regione in bilico tra crescita e emarginazione Kirghizistan, storia di quotidiana burocrazia Partenariati pubblico-privato: chi ne trae maggior profitto?

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N. 3 / SETTEMBRE 2008LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONEwww.dsc.admin.ch

Mekong, una regione in bilico tra crescita e

emarginazione

Kirghizistan, storia di quotidiana burocrazia

Partenariati pubblico-privato: chi ne trae maggior profitto?

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Sommario

DSC

FORUM

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MEKONGLungo le rive del Mekong, tra innovazione e crescita Gli Stati del Sud-est asiatico si distinguono attualmente per la loro straordinaria crescita economica, ma non tutti gli stratidella società ne beneficiano parimente

6Fermare la tratta di esseri umani A colloquio con Siriporn Skrobanek, esperta in materia dimigrazione nonché presidentessa della Foundation for Womendi Bangkok

12Una rivoluzione a suon di bambù Per i piccoli contadini e le industrie della regione del Mekong, ilbambù rappresenta un enorme potenziale. Un progetto allestitosu vasta scala mostra che la via imboccata è quella giusta

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KIRGHIZISTANUn’impresa tutt’altro che facile Il Kirghizistan vive tempi turbolenti. Per chi, come Rawil Bucharow, decide di restare e cerca di realizzare le proprie idee, la madre patria rimane matrigna

16L’essenza che interessa l’intera umanità Shaarbek Amankul, artista kirghiso, illustra i cambiamenti in corso nel suo paese

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Contano i risultati pratici Martin Dahinden, direttore della DSC, ci parla di incontriavvincenti, priorità strategiche e una profonda riorganizzazione

21Dalla legna al gas all’elettricità La Svizzera riorganizza il suo impegno in India – con un accento particolare sul clima e l’energia

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Partenariati pubblico-privato: chi ne trae maggior profitto? I partenariati fra istituzioni di diritto pubblico e economiaprivata permettono veramente di vincere la lotta contro la povertà?

26Il padre di famigliaÉvelyne Trouillot, scrittrice di nazionalità haitiana, ci racconta la storia di un padre disposto a tutto

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«L’educazione – una questione di vita o di morte» Attraverso la sua musica e il suo impegno sul campo, la cantante beniniana Angélique Kidjo si batte controtutti i mali che opprimono l’Africa

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Editoriale 3Periscopio 4Dietro le quinte della DSC 25Che cos’è… il monitoraggio? 25Servizio 33Impressum 35

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenzia dellosviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), è l’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è una pubblicazione ufficiale in senso stretto; presenta infatti anche opinioni diverse. Gli articoli pertantonon esprimono sempre il punto di vista della DSC e delle autorità federali.

Più grande e più bello di prima L’Aiuto umanitario svizzero sostiene la ricostruzione delsistema sanitario in Liberia – un atto di vitale importanza

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DOSSIER

ORIZZONTI CULTURA

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Tassi di crescita a due cifre e un territorio in pieno boom industriale: il Sud-est asiatico è in assoluto una dellezone geografiche a più rapida crescita. Una regione collegata dal Mekong, il cui corso si estende per quasi 5 mila chilometri. Cina, Myanmar, Laos, Tailandia,Cambogia e Vietnam sono attraversati e resi fertili daquesta enorme arteria vitale che conclude il suo cam-mino nel Mar cinese meridionale.

Cina, Vietnam e Tailandia sono, in questi ultimi anni, si-nonimo di un rilancio economico di cui si giovano an-che i piccoli Stati limitrofi, Laos e Cambogia, che pro-prio assieme al Vietnam sono ora pienamente integrati– almeno dal punto di vista dell’economia – nel mercatomondiale. Si produce, si costruisce e ci si apre semprepiù al mondo; e sempre più turisti portano denaro nelpaese e, alla fine dei conti, nel portamonete della gente.

Ma la medaglia ha un suo rovescio: il tradizionale mododi vivere di molte persone è messo in discussione.Intere famiglie di piccoli contadini si trasferiscono armie bagagli nelle città del boom economico o cedono allelusinghe esercitate dai paesi limitrofi. Altri nuclei fami-gliari restano e lavorano su contratto, coltivando cauc-ciù e banane piuttosto che riso. Molti altri – non di radominoranze etniche – sono costretti a trasferirsi a causadella realizzazione di enormi progetti idroelettrici; rein-sediamenti che comportano rischi per l’identità nonsolo culturale ma anche idiomatica del paese. Con lacostruzione di nuove arterie di comunicazione non cre-

sce purtroppo solo il commercio, ma le popolazioni lo-cali perdono anche sempre più potere decisivo sullosfruttamento delle risorse. E infine quasi tutti i paesi lot-tano contro l’immigrazione illegale, la corruzione e latratta di persone.

Il dossier sulla regione del Mekong (da pag. 6) eviden-zia le enormi sfide che accompagnano lo sviluppo nelSud-est asiatico e i modi in cui la gente le affronta. Il re-portage dal Laos illustra nella maniera più esaustiva laprova di equilibrismo tra l’indugiare e l’andare avanti.L’immigrazione clandestina e la tratta di persone sonoinvece al centro dell’intervista con Siriporn Skrobanek.E inoltre, è l’articolo sul potenziale della coltivazione delbambù a mostrare in maniera esemplare la direzioneche ha preso l’impegno svizzero nella regione: buongo-verno, sviluppo economico, miglioramento delle condi-zioni di vita nelle regioni rurali e un equilibrato sfrutta-mento delle risorse naturali.

Buona lettura

Harry SivecCapo Media e comunicazione DSC

(Tradotto dal tedesco)

Alla ricerca di un difficile equilibrio

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Editoriale

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Centrali ibride, le fonti del futuro(bf ) Quasi un terzo della popo-lazione mondiale vive senza al-lacciamento elettrico e a causadell’esplosione demografica neipaesi in via di sviluppo, il loronumero è in continuo aumento.Sono proprio questi paesi i piùinteressati ad approvvigionare lezone rurali con l’elettricità. Perraggiungere l’obiettivo, puntanosu tecnologie a basso costo, affi-dabili ed ecologiche. Questo interesse per i sistemi di produ-zione di corrente elettrica soste-nibili ha causato un’impennatadella richiesta di centrali ibride– di solito centrali ad alimenta-zione combinata eolica e solare.Secondo uno studio recente, en-tro il 2010, nel mondo si co-struiranno centrali ibride percirca 900 milioni di USD.Impianti di generatori, centralieoliche di piccole dimensioni etecnologia solare costituisconole tre principali componenti deisistemi ibridi attuali. Prevedonopossibilità di combinazione indi-viduale o possono essere utiliz-zati contemporaneamente. Unaspetto molto positivo per ipaesi in via di sviluppo: negli ul-timi anni, il massiccio aumentodella richiesta a livello globalenon solo si è tradotto in un au-mento dei mezzi stanziati per laricerca e in tecnologie più sofi-sticate, ma grazie alla concor-renza, i prezzi per le centralisono notevolmente diminuiti.

Noce moscata, un’arma segreta ( jls) Da quattro anni gli alberi di mango dell’Africa occidentalesono presi di mira da moscerinidi origine asiatica che pungonoi frutti e vi depongono le uova.In Senegal i produttori perdonofino al 60 per cento del raccolto.Le esportazioni si sono dimez-zate. Ricercatori africani, fran-cesi e americani si sono chinatisul problema, ma finora non vihanno trovato rimedio. In unvillaggio situato a 90 km daDakar, un contadino è convintoche quest’anno i suoi frutteti saranno risparmiati. Samba Fayeha sviluppato un’arma «segreta»,dopo aver osservato che i mo-scerini erano attirati dalla nocemoscata: in una bottiglia di pla-stica versa una miscela di polveredi noce moscata, acqua e insetti-cida; poi taglia l’estremità delcontenitore e la ripiega versol’interno, formando un imbuto.

La trappola viene appesa all’al-bero di mango, le mosche si riversano nell’imbuto e restanointrappolate. Pape Diédhiou,presidente del Comitato nazio-nale di lotta contro i moscerinidella frutta, vanta i vantaggi diquesta invenzione: «Soprattuttose consideriamo che le trappoleindustriali costano care e sulmercato locale non sono dispo-nibili».

Ben venga il turismo(bf ) Secondo l’Organizzazioneper il turismo dell’ONU(OMT), l’importanza del turi-smo per i paesi in via di svi-luppo e per la loro economia re-gistra una crescita inarrestabile.Nel 2007 il numero di turisti in-dividuali ha segnato a livelloglobale un aumento del 6 percento, passando a 898 milioni.Gran parte delle presenze turi-stiche si sono registrate in paesimolto poveri, che necessitano inmodo particolare delle entrategenerate dal turismo. Circa 44milioni di turisti individuali sisono recati in Africa. Il MedioOriente, una zona che in con-fronto è ricca, ha rilevato 46 mi-lioni di turisti internazionali. I tassi di crescita maggiori, tutta-via, sono quelli registrati neipaesi asiatici: il numero dellepresenze turistiche in Malesia èaumentato del 20, in Cambogiadel 19, in Vietnam del 16, inIndonesia del 15, in India del

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Guaritori riabilitati ( jls) In Ruanda la medicina tra-dizionale ormai è riconosciutaufficialmente. I guaritori esconodalla clandestinità, si organizzanoin associazioni e condividono il loro sapere con gli studenti difarmacia dell’Università nazio-nale o con l’IRST, l’istitutoruandese di ricerca scientifica etecnologica. Questo organismostatale autorizza i guaritori tra-dizionali ad esercitare e aprirefarmacie o cliniche. Avendo co-statato che la medicina modernaè sempre più costosa, ricercatorie scienziati esaminano le possi-bilità della farmacopea tradizio-nale, che nella popolazione godedi grande fiducia. Certe ricette,quali gli sciroppi contro la tossea base di essenza di eucalipto,nelle zone rurali sono all’ordinedel giorno. L’IRST studia le

medicine locali nei laboratori dianalisi. Se il risultato degli esamiattesta l’efficacia di una sostanza,questa può essere prodotta ecommercializzata legalmente. Il guaritore che l’ha propostapercepisce il 10 per cento delprezzo di vendita.

I lama vanno per la maggiore(bf ) Il possesso e l’allevamentodi lama, alpaca e vicuña permolte comunità rurali bolivianeè una premessa importante perassicurare un reddito alla popo-lazione. Sembra esserne con-vinto il Fondo internazionaleper lo sviluppo agricolodell’ONU (IFAD), che ha stanziato 14,38 milioni di dollariUSA per perfezionare le tecni-che e le condizioni di alleva-mento di lama e affini. Il pro-getto vuole promuoveremicroimprese gestite soprattuttoda donne e giovani. In partico-

lare mette a disposizione capitaledi avviamento e sostiene la pro-duzione di carne, pellami e lanadi lama, ma anche la produzionedi tessili pregiati, nonché il turi-smo ecosostenibile. In Bolivia lacarne di lama – nota con ilnome «Charque» – è molto ri-chiesta. Già oggi viene prodottada circa 6000 donne boliviane,prevalentemente nelle zone di

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Il corteo

montagna. Con l’aiuto di mezzitecnici e grazie al perfeziona-mento delle tecniche di tratta-mento, confezionamento ecommercializzazione si prevededi raddoppiare la produzione neiprossimi anni.

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Mekong

Lungo le rive del Mekong, tra innovazione e crescita Da diversi anni gli Stati del Sud-est asiatico si distinguono perla loro straordinaria crescita economica. Il Vietnam e il suo po-tentissimo vicino cinese sono considerati i motori trainanti diquesto sviluppo. Ma non tutti profittano parimente di questaspinta, come illustra questo reportage dal Laos di Daniel Kestenholz*.

Luang Namtha, nel Laos nord-occidentale, nonlontano dalla frontiera con la Cina. Nel 2002 quinon c’era ancora elettricità e, pertanto, nessun fri-gorifero e nessun televisore – solamente sentierinaturali, e chi giungeva da lontano utilizzava unodei tre voli settimanali con il vecchio aereo cinesea 15 posti. Poi, nel 2003, arrivarono i cinesi – e conloro i soldi e la corrente. La gente comprava tele-visori e antenne paraboliche e fu inondata di pro-grammi – trasmissioni laotiane, tailandesi e cinesi,CNN, BBC e soap opera. Nel 2005 ebbe poi inizio la costruzione della R3a,la strada che collega la Cina e la Tailandia via Laos.Inaugurata nel marzo di quest’anno, la via che at-traversa Luang Namtha ha ridotto da dieci a tre ore,i tempi di percorrenza dalla lontana Luang Nam-tha alla frontiera tailandese. Regioni in passato dif-ficilmente raggiungibili sono ora destinate a un cre-scente benessere grazie al commercio e agli inve-stimenti. La sola provincia di confine tailandese delChiang Rai conta di decuplicare, entro il 2018, ilcommercio con il Laos e la Cina.

Cinesi, turiste bionde, bambini laotiani Dall’apertura della R3a, il traffico pesante che at-traversa Luang Namtha è notevolmente aumenta-to. Come, d’altronde, i viaggiatori e i turisti. Dalnord cinesi, dal sud saccopelisti occidentali – untraffico di persone che galvanizza l’iniziativa pri-vata degli autoctoni che aprono piccoli snack-bar,locande e botteghe. Così succede che a LuangNamtha turisti cinesi fotografano biondi saccope-listi che, a loro volta, cercano di immortalare bam-bini laotiani nei loro abiti multicolori mentre cer-cano di farsi donare dei dolciumi dai cinesi. Un’e-soticità multidimensionale a soqquadro. Benvenuti nel nuovo Laos, che dopo decenni di

isolamento attraversa profondi mutamenti. NelLuang Namtha settentrionale, soprattutto grazie amassicci investimenti cinesi, ad oriente, tramite in-vestimenti vietnamiti, e nel sud-ovest per il dena-ro che arriva dalla Tailandia, paese molto affine alLaos. La Cambogia e il Laos, per contro, che condivido-no 200 chilometri di confine, rimangono segrega-ti, quasi si trovassero su continenti diversi. Il Laosè ancora un paradiso esotico per gli ecoturisti, conben 25 minoranze etniche attorno a Luang Nam-tha – un’esoticità asimmetrica, però, che mette aconfronto usanze e modernità, tradizione e pro-gresso. Remote regioni montane, popolate da et-nie in cui la maggior parte degli individui non par-la la lingua nazionale, non sa leggere, scrivere o faredi conto, sono fagocitate dalla civilizzazione mo-derna attraverso progetti trasmigratori, la costru-zione di infrastrutture e la realizzazione di pianta-gioni.

Controversi contratti per la coltivazionedi caucciù Il Laos sta attraversando un’autentica rivoluzioneagricola. Una novità è costituita dalle coltivazionisu contratto: gruppi industriali, soprattutto cinesi,vendono sementi a interi territori, contro accordisui prezzi, e riacquistano i raccolti. Intere regionidel Laos ripongono le loro speranze su pratiche giàin atto in Vietnam in merito alle coltivazioni in-dustriali e agli allevamenti di suini. La parola ma-gica è caucciù. I cinesi ne comprano a tonnellate.Trenta alberi di caucciù possono far vivere deco-rosamente un’intera famiglia, dicono nella vicinaCina. Un miraggio per molti laotiani. Le colture su contratto acquistano crescente im-portanza anche nella coltivazione della manioca,

Immobilismo politico delLaos La globalizzazione avanza.La Cambogia prevede l’a-pertura di una borsa nel2009, in Vietnam l’econo-mia è in costante crescita– il Laos, invece, permanenel suo isolamento e im-mobilismo. L’VIII Congressodel partito, del 2006, hasancito ancora una voltache l’appartenenza al par-tito incide sulle opportunitàdi carriera e la posizionesociale. Il contrabbando, inparticolare, di legname, al-tre materie prime e selvag-gina verso il Vietnam, laCina e la Tailandia è tut-t’oggi fiorente senza che il Laos riscuota delle impo-ste. Il più coraggioso se-gno di apertura della capi-tale Vientiane rimane ilNuovo MeccanismoEconomico risalente allametà degli anni Ottanta,che aprì le porte del Laosanche agli operatori uma-nitari. Ma non è l’ideologiaa trattenere i leader delpaese. Bensì il timore chel’apertura comporti un in-debolimento del partito –ancora totalmente allineatoai vicini alleati comunisti.Per il Laos, la Cina e ilVietnam sono i maggiori –e praticamente unici – in-vestitori.

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per la fabbricazione di etanolo, e di canna da zuc-chero, angurie, soia, mais e banane. È tuttavia il caucciù ad avere l’impatto maggioresulle persone e l’ambiente. Basta volgere lo sguardoalla provincia cinese dello Yunan, in passato una regione povera, che grazie alla coltivazione di cauc-ciù è riuscita a sfondare, come dicono nel Laos.Oggi joint venture cinesi offrono sementi e fertiliz-zanti addirittura gratuitamente. Un albero dellagomma diviene produttivo dopo otto anni. L’ac-cordo diffuso: i contadini ricevono il 70 e i cinesiil 30 per cento dei ricavi. Le piantagioni di cauc-ciù possono essere coltivate autonomamente, con

l’aiuto di parenti, sotto contratto, per l’appunto, ocome concessione. La distribuzione di concessio-ni è tuttavia sotto moratoria da parecchi mesi. Ilgoverno ha riconosciuto la forza esplosiva delle col-tivazioni di caucciù, che comportano una miriadedi problemi. Spesso le condizioni contrattuali nonsono chiare, vi sono conflitti per le terre fra gli abi-tanti dei villaggi o tra interi villaggi. Altre conseguenze: biotopi naturali e zone boschivesono distrutti, le prospettive di ricchezza alimen-tano la corruzione e, «in relazione alla gomma, ilcrescente afflusso di manodopera cinese rappresentaun problema da non sottovalutare», afferma Peter

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Reckhaus dell’agenzia di cooperazione tedescaGTZ nel Laos. La corruzione si diffonde, inoltre,anche a causa dei bassi salari degli impiegati stata-li. Proprio a proposito di coltivazioni su contrat-to, nel Laos emerge come certe strutture salarialiincentivino la corruzione.

Il reinsediamento: un’opportunità? Le piantagioni di caucciù vanno inoltre collocatein zone dotate di infrastrutture, e rendono spessonecessari dei reinsediamenti della popolazione. Neconsegue un conflitto d’interessi tra le promesse diun futuro migliore e le priorità delle organizzazioniumanitarie. I progetti di cooperazione stranieri os-servano, infatti, il principio di preservare le mino-ranze (come gruppi indigeni o etnici) nel loro am-biente originario, al fine di salvaguardarne usanzee tradizioni. Sociologi quali Ian Baird e Bruce Shoemaker han-no arguito – anche sulla base della natura politicadei comunisti al potere – che la maggior parte deireinsediamenti nel Laos è involontaria e induceinevitabilmente all’omologazione culturale; ed èaddirittura una ricetta di povertà. L’antropologa ed esperta del Sud-est asiatico HollyHigh contesta questo approccio in quanto induce

a una visione «romantica della povertà». La studio-sa afferma che nel caso ad esempio dei reinsedia-menti di nativi hmong nei pressi di Vieng Say, gliabitanti avrebbero, sì, confermato di non aver avu-to nessuna scelta. «Ma hanno anche chiaramenterifiutato l’idea di fare ritorno ai loro villaggi», sot-tolinea la High. I reinsediamenti presenterebbero,infatti, anche vantaggi, in particolare la costruzio-ne di strade, scuole e ospedali. E sarebbe, sì, vero,che a causa della loro condizione di povertà, i co-loni si sentono ancor più esclusi nel loro nuovo am-biente, ma il trasferimento rappresenterebbe anchela speranza di uscire dalla spirale dell’indigenza. Se-condo Holly High, nel reinsediamento le personevedono, praticamente senza eccezioni, un passoverso la modernità e migliori opportunità per i fi-gli a livello di scolarizzazione e di un lavoro chenon sia quello dei campi. «I programmi di reinse-diamento lasciano spazio ad interpretazioni moltodiverse in considerazione dell’enorme zona grigiatra consenso e costrizione», aggiunge High. «Maanziché rimanere ancorati ai luoghi dei vecchitempi, la gente preferisce il cambiamento».Alle organizzazioni umanitarie Holly High consi-glia di non tentare di far girare all’indietro la ruo-ta del tempo e di non osteggiare per principio i

Mekong

Migrazione pericolosa Per i poverissimi contadinie popoli montani del Laos,la terra promessa non è laCina o il Vietnam, bensì laTailandia. Una volta fatto ilraccolto, nei villaggi nonc’è più nulla da fare. Di la-voro non ce n’è. Chi ha la-vorato in Tailandia, al ri-torno può generalmentecostruirsi una casa, alcuniaddirittura acquistare unamacchina. Nel vicino regnosi lavora nelle piantagioni enelle fabbriche. La povertàe la mancanza di prospet-tive, cause principali dellamigrazione, aprono a lorovolta le porte a un’industriadello sfruttamento da partedi collocatori e trafficanti diesseri umani. Nel febbraiodel 2006, Laos e Tailandiahanno avviato una coope-razione atta ad assicurarela frontiera e a individuarele vittime di trafficanti dipersone, in particolaredonne e bambini. Alla finedel 2007 nel Laos si conta-vano 168 denunce di per-sone scomparse. 28 sonopoi riapparse in Tailandia.Ogni anno decine di mi-gliaia di persone azzardanoil viaggio verso un’esi-stenza incerta. Di molti siperdono le tracce, altri nonvogliono più tornare.

Repubblica popolare democratica del Laos

Popolazione 6,7 milioni di abitanti Capitale VientianeSuperficie 236 800 km2

Occupazione L’80 per cento della popolazionelavora nell’agricoltura, il 20 per cento nell’industria e nei servizi

Speranza di vita Uomini: 54 anniDonne: 58 anni

Regno della Cambogia

Popolazione 14,2 milioni di abitanti Capitale Phnom PenhSuperficie 181 040 km2

Occupazione Il 75 per cento della popolazionelavora nell’agricoltura, la rima-nente popolazione nell’industria e nei servizi

Speranza di vita Uomini: 60 anni Donne: 64 anni

Repubblica socialista del Vietnam

Popolazione 86,1 milioni di abitanti Capitale HanoiSuperficie 329 560 km2

Occupazione Il 55 per cento della popolazionelavora nell’agricoltura, il 26 per cento nei servizi e il 19 per cento nell’industria

Speranza di vita Uomini: 69 anniDonne: 74 anni

Mar Cinese

Phnom Penh

Vientiane

Tailandia

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Cina

Cambogia

Laos

Vietnam

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ri US in contanti. Ma con le inondazioni non ver-rebbero sacrificati solamente alcuni villaggi sper-duti di minoranze etniche; anche alcuni prosperivillaggi di etnie lu e lao rischiano di perdere le basistesse della loro esistenza. La diga modificherebbe inoltre drammaticamentele vecchie strutture commerciali. Il trasporto dellemerci dovrebbe essere trasferito dal fiume alla stra-da, i battellieri perderebbero la loro fonte di red-dito. Nel contempo andrebbero distrutti anche nu-merosi istituti scolastici, centri sanitari e sistemiidrici edificati con il sostegno di organizzazioniumanitarie e ONG, nonché con fondi dell’UE, della Banca Mondiale e della Banca asiatica di svi-luppo. I progetti erano concepiti per migliorare le condi-zioni sanitarie e le opportunità d’istruzione dellapopolazione locale – una popolazione già trasferi-ta da regioni montane. «Si può facilmente immaginare», scrive l’etnologofrancese Olivier Evrard, «come sia difficile per que-ste persone stabilirsi realmente, se tutti gi investi-menti realizzati nei nuovi villaggi nel corso del-l’ultimo decennio, vengono gettati come spazza-tura in una pattumiera!»

In equilibrio tra conservatorismo e progresso A dispetto dei molti interrogativi legati allo svi-luppo, a Luang Namtha chi si guarda attorno ha

reinsediamenti, bensì di concentrarsi sulle causedella povertà e delle iniquità, responsabili dell’ ele-vato numero di malattie, decessi ed emarginazio-ne fra i gruppi di popolazione trasferiti. La politi-ca dei reinsediamenti del governo laotiano, bolla-ta dalle organizzazioni umanitarie anche come la«tragedia dei reinsediamenti», spiega Holly High,non è la causa, ma un sintomo della povertà.

Riso gratis per un anno Ricchi di conflitti sono anche altri sforzi di am-modernamento intrapresi nel Laos, come i tantiprogetti di dighe per accelerare l’elettrificazione delpaese e per promuovere l’esportazione, contro va-luta estera, di elettricità in Cina, Tailandia e Viet-nam. Da anni il progetto idrico Nam Tha 1, con-dotto dai cinesi, è oggetto di discordie. Il progettoprevede lo sbarramento del Nam Tha con il con-seguente reinsediamento di migliaia di persone ela distruzione di ricchezze culturali – fra cui la per-dita di templi risalenti anche a tre secoli fa, per latutela dei quali si è ora chiesto l’intervento del-l’UNESCO.Agli abitanti dei 28 villaggi della valle, che verràsommersa lungo 110 chilometri, i cinesi hannoproposto, come indennizzo, l’uno per cento circadell’investimento complessivo. Ognuna delle 260famiglie riceverà riso per un anno intero, e inoltre75 lamiere ondulate, materiale edile come legna ecemento, un bufalo e l’equivalente di 1500 dolla-

Il Mekong, fonte di vita Il corso del Mekong, lungooltre 4500 chilometri, venavitale che sgorga nell’alto-piano tibetano, non è inbuona salute. 100 milionidi persone vivono, diretta-mente o indirettamente, diquesto fiume. Negli annirecord nel Mekong veni-vano pescate 1,3 milioni ditonnellate di pesce – quat-tro volte la quantità pe-scata nel Mare del Nord. IlMekong non soltanto irrigale ricche risaie del Vietnam,ma serve anche da fonteenergetica e da via di tra-sporto e di commercio. Nelcorso superiore del fiume,la Cina ha costruito moltedighe. Il Laos aveva pro-getti simili – ma a causadello sfruttamento inten-sivo, nelle stagioni seccheintere tratte sono in secca.Addirittura, l’acqua delmare è già penetrata nel-l’entroterra per 50 chilome-tri, minacciando le risaievietnamite. «Se il Mekongcontinuerà ad essere sfruttato in questomodo», ammonisce laMekong River Commission,«vi è il rischio che le fore-ste, la biodiversità, il patri-monio ittico e la qualità delsuolo siano danneggiati inmisura irreversibile.» Il Laosha pertanto preso le di-stanze da alcuni progettiche, con la costruzione di 23 dighe, l’avrebberofatto assurgere a «centraleelettrica dell’Asia sud-orientale».

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Turismo in Indocina L’Indocina era, un tempo, il territorio coloniale deifrancesi che comprendevail Laos, la Cambogia e ilVietnam. Arretrata a causadell’isolamento e delleguerre, l’apertura della regione ebbe inizio sola-mente negli anni Novanta.Apriporta furono sovente ituristi, che portavano de-naro e innescarono fra lapopolazione isolata il desi-derio di cambiamento eprogresso. Con 150 milionidi dollari l’anno, oggi, nelLaos, il turismo è la princi-pale fonte di valuta. Nel1990 il paese fu visitato da14 mila turisti; se ne atten-dono 1,6 milioni nel 2020.Il turismo è anche il settoreindustriale con la crescitapiù rapida in Cambogia(219 mila entrate sul terri-torio nel 1997, oggi sfio-rano il milione e mezzo). La vecchia potenza guidadell’Indocina, il Vietnam, distacca decisamente i vi-cini in fatto di turismo, coni suoi attuali 4,2 milioni di viaggiatori. Ma anche nel grande e trionfanteVietnam prevale la diffi-denza di sempre verso lostraniero: nonostante iprimi accenni di apertura,gli stranieri sono ancoramantenuti a debita di-stanza mediante severenorme di soggiorno, inve-stimento e proprietà.

senz’altro l’impressione che la situazione stia mi-gliorando. L’aumento dei veicoli a motore e dellebiciclette, delle antenne paraboliche, delle case pro-tette da lamiere, dei piccoli trattori e di indumen-ti moderni ne è un indicatore palese. Anche nelle vicine nazioni di Vietnam e Cambo-gia la situazione sta migliorando, in particolare ilsettore sanitario, grazie alla densità maggiore di per-sonale medico e di centri sanitari. Il personale è for-mato meglio, l’approvvigionamento idrico è più ef-ficiente, e i villaggi dispongono per la prima vol-ta di impianti sanitari. Per Luang Namtha, anche la costruzione dell’ae-roporto, con piste più grandi, adatte ad aerei di di-mensioni maggiori, offrirà un ulteriore, importan-te impulso allo sviluppo. Unitamente all’asse stra-dale nord-sud, alla rete di elettricità in continuaespansione e al coinvolgimento di ulteriori fascedi popolazione nel sistema di coltivazioni su con-tratto, Luang Namtha sta affrontando un’enormesvolta sociale. Che non preoccupa solamente le mi-noranze. Recentemente è, infatti, scomparso in cir-costanze misteriose, il direttore di un piccolo al-bergo per ecoturisti. A detta degli abitanti del vil-laggio, era insorto contro i cinesi che, nellevicinanze, avevano realizzato investimenti in pian-tagioni di caucciù. La rinomata rivista Irrawaddy spiega, in merito alcaso, che taluni lo vedono come simbolo della para-noia del regime comunista laotiano di fronte al-

l’influsso occidentale, soprattutto in regioni disco-ste: «Di primo acchito, il Laos saluta le entrate didivise connesse al turismo. Sull’altro fronte temerischi per la sicurezza se i turisti si spostano libera-mente attraverso il paese». I comunisti del Vietnam si dimostrano già da tem-po prudenti pragmatici che indossano la stella ros-sa su sfondo giallo solamente per facciata. Il Parti-to popolare rivoluzionario al potere nel Laos, in-vece, blocca importanti riforme – anche in meritoai rigorosi controlli sociali che, dalla presa di pote-re dei comunisti nel 1975, paralizzano il paese. La scomparsa del direttore d’albergo è simbolo diquesta precisa situazione di conflitto in cui il Laossi trova intrappolato sotto il vecchio regime: il Laossi è isolato, ma non vuole rimanerlo più a lungo.Un difficile esercizio di equilibrismo. ■

(Tradotto dal tedesco)

*Daniel Kestenholz è corrispondente in Asia, fra l’altroper il quotidiano tedesco «Die Welt». Dal 1994 vive elavora a Bangkok.

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Un solo mondo: Signora Skrobanek, in chemodo i trattati bilaterali possono influire sul-la problematica della migrazione? Siriporn Skrobanek: Possono contribuire a re-golare i flussi migratori, favorendo l’immigrazionelegale e offrendo ai migranti una protezione giu-ridica. Nel 2006, per esempio, la Tailandia e il Laoshanno stipulato una convenzione di aiuto alle vit-time delle attività illegali dei passatori. Le personeidentificate come vittime di passatori non sono pu-nite e hanno diritto all’assistenza sociale fino al lororitorno nel paese d’origine. Al momento sono incorso delle trattative per accordi simili con il Viet-nam e la Malesia.

Come sono stati raggiunti questi progressi?In Tailandia hanno agito da precursori le ONG efra loro in prima linea la Foundation for Women(FFW): da anni sono impegnate in gruppi di pres-sione e attività di sostegno per le vittime della trat-ta di persone e dell’immigrazione illegale. Anche alivello internazionale le ONG tailandesi sono in-tervenute attivamente e con successo in questo set-tore.

Tuttavia la tratta di persone permane un pro-blema di grande attualità. A intervalli rego-lari si accusano tragici incidenti, quando ipassatori tentano di far entrare in Tailandiale loro vittime. Proprio recentemente 54 cit-tadini del Myanmar, fra cui 36 donne e unbambino, sono morti asfissiati nel cassone re-frigeratore di un camion. Come si possonoevitare simili drammi?Purtroppo queste tragedie si producono fintantoche i problemi di base nei paesi di provenienza nonsono risolti, che non si creano condizioni di vitamigliori. Quando l’immigrazione legale è ostaco-lata, intervengono i passatori. Il trattato bilateralesul lavoro siglato dalla Tailandia e dal Myanmar èsubordinato a condizioni politiche specifiche. L’ul-tima condizione imposta dal governo del Myan-

mar esige che chi vuole emigrare deve annunciar-si presso le autorità e votare per la nuova costitu-zione, prima di ricevere il permesso d’espatrio. Mai trattati da soli non offrono una protezione suffi-ciente per le vittime. Occorre una collaborazionefra ONG, per esempio per rintracciare le famigliedelle vittime e per lottare contro lo sfruttamentodei migranti. Naturalmente la collaborazione conle autorità è necessaria anche per individuare gliautori della criminalità organizzata, soprattutto sesi tratta di perseguirli penalmente. La collabora-zione istaurata recentemente con le ONG in que-sto campo ha aperto nuove speranze di maggiorprotezione per le vittime e di un perseguimentopenale più coerente delle organizzazioni crimina-li. Realisticamente bisogna purtroppo ammettere

La Tailandia, considerata il paese economicamente più forte della regione del Mekong, attira milioni di persone indigenti daipaesi limitrofi. Molte di queste diventano vittime di organizza-zioni criminali. Malgrado i tentativi di regolare i flussi migratoriattraverso trattati bilaterali, i migranti clandestini in Tailandiasono circa tre milioni, di cui il sessanta per cento sono donne ebambini. Siriporn Skrobanek, esperta in materia di migrazione,si impegna da anni in prima fila per combattere la tratta delle persone. Intervista di Fred Grimm*.

Fermare la tratta di esseri umani

Siriporn Skrobanek siimpegna da oltre 25 anniper donne e bambini in situazioni disagiate. È spe-cializzata in questioni dimigrazione e presiede laFoundation for Women(FFW) a Bangkok. Prima di essere nominata presi-dente ha diretto per 17anni questa ONG in fun-zione di segretaria gene-rale. In quanto esperta dilotta contro la tratta degliesseri umani, ha contri-buito alla creazionedell’Alleanza globale con-tro la tratta delle donne, di cui per sei anni è statacoordinatrice. La FFW siimpegna con attività dilobbying presso le autorità,lottando per i diritti didonne e bambini in situa-zioni sfavorevoli e interve-nendo anche con aiuti mi-rati alle vittime della trattadi esseri umani. Fra lemansioni dei soci FFW figurano anche le visite regolari al centro d’immi-grazione di Bangkok, dovetanti immigrati clandestinisono trattenuti in attesa diessere rimpatriati.

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che il problema fondamentale perdura: spesso siprendono solo i pesci piccoli e non chi ha in manoi fili della rete.

Fra le vittime della migrazione clandestinae della tratta degli esseri umani si contanosoprattutto donne e bambini. Sono molte ledonne costrette alla prostituzione?All’inizio, per molte donne la prostituzione è l’u-nica possibilità di guadagnare un po’ di denaro, pri-ma di riuscire a trovare un’occupazione come col-laboratrici familiari, nelle fabbriche o nei ristoran-

ti. In passato tante donne tailandesi provenienti dal-le regioni più povere sono state vittime di tratta.Ora, grazie a leggi più efficaci, la situazione per icittadini tailandesi è un po’ migliorata. Ma l’indu-stria del sesso cerca sempre nuove vittime. Attual-mente sono sempre più numerose le donne e ibambini del Myanmar, del Laos e della provinciacinese di Yunnan ad essere introdotti con la forzanell’industria del sesso.

L’industria del sesso si è dunque regionaliz-zata. Quali possibilità vede per combatterequesta forma di tratta delle donne e dei mi-nori?Vent’anni fa in Tailandia è stata la società civile adenunciare questa problematica, soprattutto leONG come la FFW. Hanno esercitato pressionesulle autorità per proteggere giovani donne e mi-nori provenienti dalle regioni povere del nord-est

e dal nord del paese, che ai tempi venivano attrat-ti negli ambienti della prostituzione di Bangkok.Nel 1984 abbiamo condotto una campagna con-tro la prostituzione minorile. Ne sono scaturite del-le leggi che hanno aiutato a combattere il proble-ma. Ecco perché anche nel Myanmar, in Laos o ap-punto in Cina dovrebbe essere la società civile ascendere in campo e a lottare. Tuttavia sono consa-pevole delle enormi difficoltà da superare, visto chein questi posti la società civile è praticamente ine-sistente e spesso la prostituzione è considerata untabù.

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Come è possibile contrastare la migrazioneclandestina e la tratta delle persone nei pae-si di origine e quale ruolo può assumerel’aiuto allo sviluppo?Ho redatto un rapporto per la DSC (v. riquadro),in cui propongo di identificare questi gruppi «co-stretti a vivere ai margini della società». Spesso ap-partengono a minoranze etniche – comunità in cuiregna la povertà e mancano formazione e cure sa-nitarie. Sarebbe utile lanciare dei progetti pilota inquesti luoghi; ci vorrebbe un’iniziativa che si oc-cupi delle varie sfaccettature del problema e creivere alternative alla migrazione. ■

(Tradotto dall’inglese)

*Fred Grimm è giornalista indipendente per diversi media con sede a Bangkok.

Studio sulla tratta di esseri umani nel LaosSu incarico della DSCSiriporn Skrobanek ha re-datto uno studio dal titolo«La tratta di esseri umani –soprattutto donne e bam-bini – nel Laos». Nell’analisipropone delle misure chepermetterebbero alla DSCdi affiancare con assi-stenza tecnica e progetticoncreti le autorità delLaos nei loro sforzi volti acontrastare la tratta di es-seri umani. Risulta evidenteche occorre rafforzare lebasi giuridiche del paese,per esempio a livello di co-dice penale o nella leggesulla protezione e lo svi-luppo delle donne. Lo stu-dio propone anche di iden-tificare le regioni i cuiabitanti sono particolar-mente colpiti dal fenomenodella migrazione. In questeregioni non si dovrebbe in-tervenire soltanto con ini-ziative di informazione esensibilizzazione, ma an-che con progetti concretidi sviluppo per migliorare le condizioni di vita basilari.Un altro settore che ri-chiede maggiori interventi– per esempio corsi di for-mazione in lavoro sociale –è la protezione e l’assi-stenza ai migranti rimpa-triati. La DSC prevede di impegnarsi in questocampo nel Sud-est asiatico.

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Il fruscìo delle canne di bambù che si piegano alvento è motivo di speranza per migliaia di piccolicontadini della regione del Mekong. Con l’arrivodei commercianti di bambù nei loro villaggi, i con-tadini riescono finalmente a batter cassa e magari,alcuni di loro, per la prima volta nella loro vita, rie-scono anche a garantirsi la sussistenza. A renderepossibile questa svolta positiva è un progetto idea-to da «Prosperity Initiative», un’organizzazione dicooperazione creata dall’ONG Oxfam. «Poten-ziando il settore del bambù, nei prossimi dieci annicontiamo di riscattare dalla povertà da 1 a 1,5 mi-lioni di persone,» spiega Barbara Jäggi Halser, re-sponsabili di programma presso la DSC.

Prodotti diversificati per il mercato inter-nazionaleFinora lo sfruttamento delle foreste di bambù inVietnam, Cambogia e Laos era finalizzato alla pro-duzione di un numero esiguo di articoli, i più dif-fusi dei quali erano i mobili e i cesti in vimini, ibastoncini nonché i germogli destinati al mercato

alimentare. Ora invece si punta alla diversificazio-ne e alla creazione di prodotti ad alto rendimentoper i mercati internazionali.Durante la fase pilota del progetto, avviata nel 2004,nella provincia vietnamita di Thanh Hoa, gli esper-ti si sono per esempio resi conto che utilizzare ilbambù per fabbricare pannelli per la pavimenta-zione anziché per la produzione di carta è moltopiù redditizio. «Espresso in cifre, la produzione dipannelli per la pavimentazione rende il quintuploin termini di efficacia per la lotta alla povertà», con-ferma Nigel Smith, direttore di «Prosperity Initia-tive». La riduzione della povertà è l’obiettivo cen-trale di questo progetto cofinanziato dalla DSC.Intervenendo in modo mirato ai diversi livelli del-la filiera di produzione si intende ottimizzare il set-tore e contribuire così all’industrializzazione dellezone rurali. Un’analisi di mercato svolta da «Pro-sperity Initiative» che tiene conto in modo speci-fico della catena di valore aggiunto, attesta al set-tore del bambù locale un grande potenziale di svi-luppo.

La Svizzera e la regionedel MekongLa strategia svizzera dicooperazione con la re-gione del Mekong, elabo-rata congiuntamente daDSC e SECO, comprendeil Laos, il Vietnam, laCambogia e il Myanmar. Al centro della strategiasono posti il buongoverno,lo sviluppo economico, ilmiglioramento delle condi-zioni di vita nelle zone ruralinonché l’uso sostenibiledelle risorse naturali. Il sostegno annuo dellaSvizzera ammonta a 38milioni di franchi, di cui 30milioni erogati dalla DSC e8 milioni dalla SECO. Dalpunto di vista economico,la regione è integrata nellaAssociation of South-eastAsian Nations (ASEAN),associazione della quale il Vietnam, il Laos, laCambogia e il Myanmarrappresentano gli Statieconomicamente più de-boli. I quattro Stati delMekong hanno molte ca-ratteristiche comuni. Si distinguono in particolareper un sistema statale distampo socialista forte-mente centralista, e per leloro popolazioni piuttostoeterogenee con una fortepresenza di minoranze et-niche. Inoltre una grandefetta della popolazioneabita in regioni montanepoco accessibili.

Una rivoluzione a suon di bambù

Per i piccoli contadini come anche per le industrie della regio-ne del Mekong, il bambù rappresenta un enorme potenziale. Lerigogliose canne sono un buon materiale sostitutivo del legnoe, se sfruttate in modo efficiente, possono contribuire in mododecisivo a ridurre la povertà nell’intera regione. Un progetto allestito su vasta scala mostra che la via imboccata è quella giusta. Di Maria Roselli.

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Il settore del bambù cinese quale modelloPer analizzare questo potenziale e pianificare gli in-terventi, gli esperti hanno confrontato il mercatolocale con quello cinese. In Cina, dagli inizi deglianni Novanta, il settore del bambù è in costantecrescita ed è in testa alla classifica mondiale. La spin-ta di modernizzazione dell’industria cinese e il boomdell’edilizia, legato all’alta congiuntura, hanno con-tribuito a diversificare ed incrementare la produ-zione di prodotti in bambù: ponteggi, pavimenta-zioni, pareti, ma avvolte anche intere case sonooggi prodotte in bambù.«Grazie a nuovi metodi di lavorazione, il bambù èdivenuto un ottimo materiale sostitutivo del legnoe ciò è per noi molto importante perché la do-manda di legno è in continuo aumento, mentre laproduzione diminuisce di anno in anno», spiega Nigel Smith. Il bambù in confronto al legno hamolti punti a suo favore. Infatti, le foreste di bam-bù crescono molto rapidamente e necessitano solodi poche cure. Essendo il Mekong molto ricco diforeste di bambù, i contadini locali hanno da sem-pre puntato su questa risorsa, ma finora l’utilizzo è stato poco professionale. Inoltre, vista la carenterichiesta di canne di bambù, i commercianti riu-scivano a tener bassi i prezzi.

Meno scarti, più profitti«Abbiamo notato che nella filiera di produzione ci-nese, più redditizia della nostra, i contadini nonvendevano direttamente ai singoli produttori, maera stato interposto un centro di lavorazione», spie-ga ancora Smith. Un fattore molto importante

perché permette di aumentare notevolmente i gua-dagni. La spiegazione è semplice: solo alcune par-ti della pianta sono adeguate per la fabbricazionedi certi prodotti.Per la costruzione industriale di mobili, per esem-pio, possono essere utilizzate solo le parti più ro-buste delle canne. Originariamente i contadinivietnamiti vendevano i loro interi raccolti ad undeterminato produttore. Per esempio ad un pro-duttore di mobili, ma questo era costretto a getta-re la punta del fuscello perché non era abbastanzarobusta. Gettando via tutte le parti ritenute inadattesi creavano montagne di scarti. Secondo Oxfam fi-nora ben metà dei raccolti di canna dei piccoli con-tadini della regione del Mekong finivano così di-rettamente al macero. In Cina invece, grazie ad unutilizzo più efficiente, solo il 5-10 per cento vienescartato. Per evitare un tale spreco ora anche nelMekong le canne vengono lavorate e smistate inun apposito centro prima di passare ai produttori.L’ottimizzazione della produzione è solo un esem-pio di come il progetto opera ai diversi livelli del-la filiera di produzione. Nigel Smith guarda già alfuturo e pensa ad altri possibili settori da ottima-re: «Stiamo analizzando il settore del tè e quellodel turismo per capire se un loro potenziamentopotrebbe produrre gli stessi impatti sulla riduzio-ne della povertà». ■

(Tradotto dal tedesco)

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Il Kirghizistan vive tempi turbolenti – e non soltanto dalla Ri-voluzione dei tulipani, nella primavera del 2005. Questa nazio-ne plurietnica dell’Asia centrale è ancora alle prese con i pro-blemi ereditati dall’era sovietica; molte persone vivono di la-vori precari, altre emigrano. Per chi, come Rawil Bucharow,resta e cerca di realizzare le proprie idee, la madre patria ri-mane matrigna. Di Marcus Bensmann*.

Il vecchio capannone industriale nel centro dellacapitale kirghisa Bishkek era pieno di detriti, e at-traverso i vetri rotti si insinuava una brutta corrented’aria. Rawil Bucharow, di etnia tatara, a 38 annine aveva abbastanza della sua precaria vita di lavo-ro in Kirghizistan. Voleva un vero lavoro, e consi-derato che questo – nel piccolo Stato ai piedi del-la catena montuosa del Tien Shan – non c’è, pen-sò bene di inventarsene uno. Nella primavera del 2005, in quel capannone diBishkek, mise mano alla scopa. Alcune settimanepiù tardi, la Rivoluzione dei tulipani spazzò il vec-chio regime kirghiso dominato dal presidente AskarAkajew e ne istallò uno nuovo. Da allora le lotte

di potere hanno condotto il paese ad uno stato dicrisi permanente. Governi e primi ministri si al-ternano a scadenze a volte settimanali, ribellioni edimostrazioni mantengono il clima politico inebollizione.In quel capannone, il tataro fu improvvisamentepreso nella spirale politica del suo paese, e ciò poseil suo giovane spirito imprenditoriale di fronte asempre nuove sfide. Ma Rawil decise di non de-mordere e creò nel vecchio capannone una picco-la impresa per la produzione di bende di garza.

Il richiamo della capitaleAi tempi dell’URSS, e fino al crollo sovietico nel

Un’impresa tutt’altro che facile

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Da autista a produttore di bende di garza Negli Stati dell’Asia centrale, il comprare ed ilvendere si evidenziarono presto come l’unica pos-sibilità di guadagno. Per un certo periodo, Rawillavorò saltuariamente come autista di un banchie-re russo. Ma la banca fallì, il banchiere sparì e glistipendi pure.A quel punto, il giovane pensò di acquistare unamacchina in Germania. Con alcuni amici, mise in-sieme un po’ di soldi e andò in un mercato di au-tomobili usate nella regione della Ruhr dove, comenel suo paese, grandi e potenti industrie del passa-to, si ritrovavano oggi ferme ed obsolete. Acquistòuna Volkswagen, attraversò la Russia e la steppa perun totale di 6 mila km, aprendosi la strada pianto-nata da autorità corrotte, e dopo 8 lunghi giornifu nuovamente a Bishkek. Qui giunto, dopo averfatto un mezzo giro del mondo, riuscì a vendere lavettura guadagnandoci miseri 400 dollari Usa.Non lo avrebbe fatto mai più, questo lavoro di pic-colissimo cabotaggio, che portava soldi per l’oggied il domani, ma che non era sicuro nemmeno perla prossima settimana. Ci voleva qualcosa di più si-curo, qualcosa che mostrasse di avere un futuro, sidisse il giovane e si mise alla ricerca.Assieme a Gulbahor, che sarebbe poi diventata suamoglie, girarono per le strade della capitale, so-prattutto per capire di che cosa c’era bisogno, e checosa avrebbero potuto produrre in proprio. Prestocapirono che in città mancavano bende di garza.Le bende, per bene o male che vada l’economia,saranno sempre richieste: sono indispensabili per gli

1991, in quei capannoni di Bishkek, venivano mon-tati macchinari. Poi non ci fu più mercato per i pro-dotti industriali; gli operai non percepirono più ilsalario e infine persero addirittura il lavoro. Moltiemigrarono, verso la Russia e la Germania, mentrequelli rimasti si barcamenavano con lavori precari.Dopo qualche anno, i macchinari e gli attrezzi delcapannone si ridussero a pezzi e allora arrivaronodei commercianti che li caricarono su vecchi fur-goni e trasportarono i rottami metallici in Cina, at-traversando il passo del Tien Shan. E così la dein-dustrializzazione di una delle più povere ex re-pubbliche sovietiche dell’Asia centrale nutriva lafame di materie prime della Cina, il potente vici-no del piccolo Stato kirghiso.Nei giorni del crollo dell’URSS, Rawil viveva coni parenti nel sud del paese, nei pressi della centra-le idroelettrica Toktakul, che trae energia dal baci-no del Syr Darjas. Il giovane – i cui nonni eranostati deportati da Stalin in Asia centrale – all’iniziodegli anni ’90 si trasferì a Bishkek, la capitale. Il suo primo lavoro fu quello di tassista. Con la suavettura vagava per Bishkek in cerca di clienti, i qua-li per l’equivalente di un franco, venivano portatia destinazione. Ma il denaro non bastava mai. I pa-renti di Rawil – madre, cognato e cugini – che loavevano raggiunto a Bishkek, avevano bisogno diun tetto e di cui mangiare. Tutti cercavano dispe-ratamente lavoro. Le donne della famiglia lo trova-rono nell’industria tessile, ma non venivano paga-te. Per sopravvivere erano costrette a vendere lorostesse, sul bordo della strada, gli abiti confezionati.

Kirghizistan

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la piazza, in molti lo avevano preceduto. Dimo-stranti, che chiedevano a gran voce le dimissionidel primo ministro o del presidente. «Ketzen», ov-vero, «dimettiti», era dai giorni della Rivoluzionedei tulipani, nella primavera del 2005, il terminepiù usato in Kirghizistan. Una volta, furono i par-lamentari a scendere in piazza; poi, banditi e mi-natori; ed in conclusione una nuova coalizione diopposizione. Il futuro politico del paese era urlatoattraverso microfoni e altoparlanti.E ben presto, su Rawil Bucharow e sulla sua pic-cola fabbrica cadde l’indifferenza. Ma Bucharow ècocciuto, e nel dicembre del 2006 riesce finalmentea farsi ricevere dall’allora primo ministro Felix Ku-low. In una lettera, il capo del governo garantisceal giovane che può continuare ad utilizzare il vec-chio capannone. Un successo! Che però è di bre-ve durata: poche settimane dopo, Kulow decade,ed anche la lettera di garanzie nelle mani dell’im-presario perde ogni valore. Ancora oggi, la fabbrica di bende produce, comeallora, e sempre con dieci operaie impiegate fisse,quelle bende di garza che sono poi acquistate daospedali e farmacie. Ma Rawil Bucharow è stan-co, e non sa se riuscirà a salvare la sua impresa. Lecommissioni ci sono, ma lo scintillio di avidità chevede negli occhi dei nuovi funzionari kirghisi nonlascia presagire nulla di buono. ■

(Tradotto dal tedesco)

*Marcus Bensmann lavora dal 1995, con sede ad Al-maty, in Kazakistan, in qualità di pubblicista per il quotidiano «Neue Zürcher Zeitung» e per diversi gior-nali tedeschi. Fa parte della rete mediaticawww.weltreporter.net

ospedali e le farmacie e ci sarà sempre qualcosa dafasciare. Ed inoltre – fatto questo che apparve de-cisivo al giovane – le bende di garza venivano al-lora importate dall’estero.Rawil imparò rapidamente quanto gli serviva. Così,si costruì le macchine capaci di tagliare a giusta mi-sura, sterilizzare ed imballare la stoffa di cotone. Ac-quisì il permesso di lavorare nel capannone indu-striale rimasto vuoto, tirò su pareti, mise in funzioneforni ed iniziò il suo commercio. Gli ospedali e lefarmacie furono ben presto entusiaste delle suebende dal prezzo molto vantaggioso e passaronoad ordinare assiduamente nuovi prodotti. Il giova-ne imprenditore si vide obbligato ad assumere die-ci donne che lavoravano, giorno dopo giorno, nel-la confezione dei pacchetti di bende di garza.

Futuro incertoL’impresa si ingrandì e nei vecchi capannoni tor-nò la vita, cosa che non mancò di attirare le atten-zioni delle autorità cittadine. Eh, sì, perché là doveall’improvviso inizia a circolare denaro, anche inKirghizistan in qualità di statale è lecito chiederequalche soldo. Cominciarono le visite: una volta si sollevavano dubbi sul contratto d’affitto, poi sicontrollava l’assicurazione contro gli incendi. Ilgiovane non era più chiamato ad occuparsi solodell’economia aziendale, ma anche a difendere l’e-sistenza dell’impresa. Scrisse lettere imploranti; e simise in fila davanti all’ufficio del primo ministroFelix Kulow, perché lui, Rawil Bucharow, volevaraccontare all’uomo politico della sua fabbrica, delfatto che lo Stato avrebbe dovuto aiutarla, e nondistruggerla.Rawil si portò davanti al palazzo del governo, perconcordare un incontro, ma di quei tempi, in quel-

Lotta per il potereLe proteste contro le ele-zioni politiche di fine feb-braio 2005, in Kirghizistan,sembrarono dapprima paci-fiche. Ma a marzo dellostesso anno i dimostranti riuscirono ad espugnareJalalabad e Osh, due cittàsituate nel meridione delpaese; la base di potere delpresidente Askar Akajev fual collasso e il politico fuggìa Mosca. In seguito, il rappresentante del sud,Kurmanbek Bakiev, el’uomo forte del nord, FelixKulow, si spartirono il po-tere. Nell’estate del 2005una votazione confermòBakiev quale presidente.All’indomani della vittorial’opposizione si coalizzòcontro il nuovo potere.Diversi omicidi scossero il paese, e nel 2006, unamarcia di protesta costrinseBakiev a sottoscrivere unanuova costituzione, che fa-ceva del Kirghizistan unademocrazia parlamentare.Appena un mese dopoBakiev cambiò nuovamentela costituzione allontanandodalla sua carica il primo ministro Kulow. E fu costuiche successivamente guidòil movimento di opposizionecontro Bakiev, che però fallìnella primavera del 2007.Nel novembre dello stessoanno le elezioni politiche assegnarono al partito diKurmanbek Bakiev «AkSchol» la vittoria.

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(bf ) Fra gli Stati centro-asiatici, un tempo parte del-l’URSS, troviamo il Kirghizistan, l’Uzbekistan, ilTagikistan, il Turkmenistan e il Kazakstan. La Sviz-zera è attiva in questa regione dall’inizio degli anni’90, e contribuisce fra l’altro a consentire a questiStati (con esclusione del Kazakstan) l’accesso alleistituzioni finanziarie internazionali: il Fondo mo-netario internazionale, la Banca mondiale e la Ban-ca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Attualmente la Svizzera si impegna in particolarenel Kirghizistan e nel Tagikistan, come pure, in mi-sura minore, nell’Uzbekistan. È evidente che dopoil crollo dell’URSS ogni paese ha percorso la suastrada verso l’indipendenza; tuttavia le realtà geo-grafiche – in particolare il collegamento dell’eco-nomia idrica dei paesi che si realizza nei tre gran-di fiumi comuni – hanno influsso sullo sviluppodell’intera regione. Per tali motivi, la cooperazio-ne che si esplica da parte della DSC e della SECOin un comune programma regionale, contemplaprogetti sia di natura sovranazionale che propria-mente bilaterale.L’importo previsto per tale programma regionaleammonta nel 2008 a 37 milioni di franchi: 20,5 daparte della DSC, 16,5 della SECO. Nella strategiadi cooperazione sono fissati, fino al 2010, le se-guenti tematiche principali, e sono in corso speci-fici progetti (svolti anche in Kirghizistan):

Amministrazione delle risorse idriche e ri-duzione dei rischi di catastrofi naturali: I piùsvariati progetti – fra gli altri, quello inteso alla ge-stione integrata delle risorse idriche – mirano adun equo accesso all’acqua per l’irrigazione da par-te dei contadini. Accanto ad una migliorata pro-duttività dell’agricoltura, si opera anche nella pre-venzione di conflitti. Poi, considerato che la regioneè sovente colpita da catastrofi naturali come terre-moti, frane ed inondazioni, sono indispensabili lemisure di prevenzione. L’Aiuto umanitario dellaDSC supporta sia progetti di prevenzione che al-tri, volti alla preparazione della gente verso even-ti naturali che non è possibile impedire.

Sanità: si sostengono riforme della sanità, soprat-tutto per favorire all’intera popolazione l’accessoal settore e per il raggiungimento di un’accettabi-le qualità.

Istituzioni pubbliche e servizi: in primo pia-no è la salvaguardia dei diritti civili ed economici

con il sostegno fornito alla società civile ed alle autorità - per esempio attraverso un servizio diconsulenza legale che garantisca alle popolazionirurali l’accesso al sistema giuridico. Contempora-neamente, si vuole conferire trasparenza ed effi-cienza ai servizi che le autorità pubbliche offronoalla popolazione.

Infrastrutture di base: in questo ambito si so-stiene l’uso durevole e l’accesso all’acqua potabile(approvvigionamento idrico in zone urbane e rurali) e all’energia (centrali idroelettriche), cosìcome il ripristino di infrastrutture danneggiate.

Sviluppo del settore privato: in tale ambito, dicui si cura in esclusiva la SECO, si supporta il set-tore privato, con particolare accento posto sulle pic-cole e medie imprese. In tal modo si favorisce adesempio produzione e commercializzazione di co-tone bio. Nello stesso tempo è fornito sostegno aisettori bancari e commerciali.

Inoltre, in Kirghizistan, Tagikistan ed Uzbekistan,dal 1998 è in corso un interessante progetto in am-bito Arte e Cultura. Con il sostegno all’arte cen-tro-asiatica – dalla produzione di strumenti tradi-zionali, fino al teatro ed all’artigianato – si cerca di promuovere sia la molteplicità culturale che lacoesistenza interna di questa giovane nazione com-posta da una quantità di gruppi etnici differenti. ■

Uno Stato multietnicoIl Kirghizistan, Statodell’Asia centrale, si situa al confine con la Cina ed è attraversato dalla catenamontuosa del Tien Shan e dai contrafforti del Pamir.Circa 5 milioni di persone vivono su una superficie di200 mila metri quadrati. Lecifre ufficiali sono da pren-dere con cautela. Migliaia dikirghisi cercano infatti lavoroe sopravvivenza nei cantieridel Kazakstan e dellaRussia. Si stima che oltremezzo milione di cittadinikirghisi vivano attualmenteal di fuori del paese, che èuno Stato multietnico abi-tato da kirghisi, uzbeki,russi, tedeschi, tatari emolte altre etnie. Oltre il 75per cento degli abitanti è difede musulmana. Il paesag-gio politico è da sempre di-viso tra le elite ed i clan kir-ghisi del nord e del sud delpaese; una spaccatura chedefinisce anche le lotte poli-tiche che caratterizzano ilpaese. Il prodotto internolordo si situa attorno ai1600 franchi all’anno, a per-sona. Il Kirghizistan ha peròun debito pubblico supe-riore ai 2 miliardi di franchi.

Il Kirghizistan e la Svizzera Cooperazione di carattere sovranazionale

Kirghizistan

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Shaarbek Amankul è direttore del Bishkek ArtCenter in Kirghizistan e alcontempo operatore cultu-rale indipendente. Nellasua funzione di membrodell’Associazione kirghisadegli artisti e della CeramicAcademy di Ginevra hacreato una rete capillareche opera a livello globale.Ha partecipato a svariatiprogrammi formativi e se-minari in tutto il mondo, adiversi simposi ed esposi-zione nell’Asia centrale, inEuropa e negli Stati Uniti,di cui per alcuni in veste diresponsabile.

L’essenza che interessa l’intera umanità

Una voce dal Kirghizistan

I profondi cambiamenti, anche economici, che ne-gli ultimi 15 anni hanno travolto il Kirghizistan,hanno tutti avuto un impatto fatale su noi artistilocali. In pochissimo tempo abbiamo perso la no-stra base esistenziale. Al suo posto è subentrata lapiù totale insicurezza su quanto succederà doma-ni. Certo, aver conquistato la libertà è positivo. Perqualche tempo ho potuto godermela anch’io. Maè stata continuamente turbata dalle difficoltà chedobbiamo superare per guadagnarci il pane quoti-diano. La libertà più grande, per me, è stata l’aper-tura dei confini. Ho iniziato a viaggiare e a crearearte anche al di fuori dei paesi dell’ex Unione so-vietica. L’accesso a nuove informazioni e l’orien-tamento ad altri paesi mi hanno dischiuso possibi-lità inedite – ho iniziato a scoprire il mondo at-traverso una chiave di lettura nuova. Non ne eropiù tagliato fuori.

Prima dell’avvento del socialismo i kirghisi eranoun popolo nomade libero dell’Asia centrale conuna ricca cultura propria. Ho integrato alcuni ele-menti di questo patrimonio culturale nelle miesculture, nei miei oggetti, poi man mano anche nel-le istallazioni, nei video e nelle performance. Que-sto tentativo di conciliare il retaggio culturale ditempi lontani con eventi di attualità e con la real-tà di oggi riveste un’importanza enorme per me.Costituisce il terreno su cui sono maturate le mieesperienze. Al tempo stesso, con l’arte che si apre,l’origine non ha più lo stesso rilievo. Più impor-tante è sapere dove l’artista o semplicemente l’uo-

mo può trovare un apprezzamento e dove e comeora posso realizzare qualcosa. Per me non è im-portante dove lavoro. Il mio mondo interiore èsempre con me e mi sento a casa dappertutto. Pro-babilmente anche questa è una conseguenza dellamia origine nomade.

Oggi, tutta l’arte visuale del Kirghizistan, come tut-ta la cultura post-sovietica, è alla ricerca di un’i-dentità nazionale e culturale. Si suddivide in accu-muli tradizionali, innovatori, atavicamente sovieti-ci e di altra natura concentrati nella «nuova» società,in cui le tradizioni nazionali si mescolano ai valo-ri occidentali e il tutto viene insaporito da un piz-zico di spirito rivoluzionario. Si tratta di un pro-cesso complesso e articolato su vari livelli che siprefigge di risolvere più compiti in un colpo solo.Da un lato si tratta di conservare le tradizioni cul-turali, dall’altro di aprirsi al mondo. Qui l’arte glo-bale in tutta la sua ricchezza, lì la necessità di crear-si un mondo proprio, di cercare un gesto artisticoadeguato a questo mondo, una forma precisa e for-temente espressiva che permetta di cogliere unaproblematica che ha appena iniziato a diffondersi.I compiti imposti dall’attualità richiedono un cam-biamento radicale e profondo del nostro modo dipensare. I motivi per farlo sono numerosi, fra cuila perdita di sostegni sociali e spirituali, la distor-sione dei valori di vita, la mancanza di esperienzedi successo. Invece, nella società imperversanopreoccupazione, angoscia, disperazione, rabbia, ag-gressività, malessere spirituale, mentre cresce il di-vario sociale.

Ultimamente mi capita sempre più spesso di re-carmi in Europa e negli Stati Uniti per collabora-re con artisti provenienti da diversi paesi del mon-do che manifestano il loro interesse per la nostracultura. Questo scambio di opinioni e esperienzeculturali diverse porta ad una comprensione mag-giore – anche se ogni individuo è diverso, pensa evive in termini diversi e si sviluppa seguendo unpercorso tutto suo. Incontrare altri artisti spesso miaiuta a riesaminare e chiarire le mie idee. Se co-nosco vari punti di vista, fra cui quelli scelti da rap-presentanti di altre culture, riesco più in fretta a rag-giungere l’essenziale, l’essenza che interessa l’inte-ra umanità. ■

(Tradotto dal russo)

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Un solo mondo n.3 / Settembre 2008 21

All’inizio del mese di maggio ha avuto inizio la miaattività di direttore della DSC. Da allora non è pas-sato un giorno senza incontri avvincenti, scambidi vedute e nuove scoperte. È il compito più affa-scinante che avrei mai potuto immaginare.

Quasi contemporaneamente alla mia entrata inservizio, ha preso vigore il dibattito parlamentarein merito alla nuova strategia unitaria della coo-perazione allo sviluppo e il nuovo credito quadro.Per la prima volta DSC e SECO dispongono di linee guida identiche.

Le priorità strategiche sono facilmente identifica-bili: riduzione della povertà, promozione della si-curezza umana, limitazione dei rischi di sicurezzacosì come la realizzazione di una globalizzazionein grado di promuovere lo sviluppo.

La sfida non sta però unicamente nella formula-zione della strategia, bensì nella sua concretizza-zione in risultati pratici, quelli che risultano poi utili ai paesi partner e, soprattutto, alle singole persone. Per questo la DSC ha deciso di intra-prendere una profonda riorganizzazione.

Che il Consiglio nazionale abbia approvato, primadella pausa estiva, il progetto di legge senza voticontrari è certo un segno positivo. L’approvazionerappresenta uno sprone a fare ancora meglio diquanto si è già fatto. Una sfida stimolante che sen-to di poter accettare.

Il tema di questo numero di Un solo mondo mi riporta ai tempi in cui ero ancora direttore del Centro internazionale per lo sminamento umani-tario di Ginevra e mi recavo spesso nella regionedel Mekong. Munito del titolo di ambasciatore,protetto dall’equipaggiamento da sminatore, lo zai-

no in spalla, intento a attraversare sotto il sole co-cente un campo minato.

Come nessun altro luogo al mondo Laos, Cambo-gia e Vietnam portano profonde tracce dei passaticonflitti. Quasi fossero cicatrici, mine e proiettiliinesplosi inquinano il paesaggio. Le guerre di untempo si sono però scavate un loro spazio anchenella mente della gente e rappresentano ancoraoggi un peso per lo sviluppo sociale ed economi-co delle regioni rurali.

Per fortuna le cose stanno cambiando. I successiraggiunti nella lotta contro la povertà e nell’appli-cazione delle riforme economiche hanno avviatouna trasformazione della regione. Stanno emer-gendo nuove forme di cooperazione. E la coope-razione svizzera fornisce il suo contributo a questocambiamento. ■

Martin Dahinden Direttore della DSC

(Tradotto dal tedesco)

Contano i risultati pratici

Opinione DSC

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Un solo mondo n.3 / Settembre 200822

Jemara è situata nel nord dello Stato indiano delChhattisgarh, a 25 chilometri da Pali, in una re-gione boschiva collinosa. Senza essere collegati aduna rete pubblica, i 617 abitanti di Jemara hannola corrente elettrica – sufficiente per 90 economiedomestiche, l’illuminazione stradale e la scuola. L’elettricità è prodotta da un gasifier, un impiantoin cui la legna brucia così lentamente da produrredel gas che, pulito, è convogliato in un motore chefa funzionare il generatore. «Questa tecnologia rac-chiude un enorme potenziale. A Jemara il sistemafunziona da tre anni. Ma può essere ulteriormenteaffinato. La ricerca prosegue», spiega Jean-BernardDubois, responsabile del Programma globale perl’ambiente presso la DSC.

Impegno pluriennale in materia d’ambienteLa tecnologia dei gasifier è solamente una delle tante fonti d’energia rinnovabili che la DSC sta testando in collaborazione con partner indiani.L’obiettivo: fornire alla popolazione rurale un’e-nergia a prezzo abbordabile e, per di più, ecologica.«Cambiamenti climatici ed energia – entrambihanno un’importante dimensione legata alla po-vertà. In quest’ambito i più poveri hanno doppia-

mente bisogno del nostro sostegno. Lo sviluppopresuppone l’accesso all’energia. A sua volta, inun’epoca di cambiamenti climatici, quest’ultimanon deve rappresentare un carico supplementareper l’ambiente», spiega Christoph Graf, capo dellasezione DSC Asia meridionale. La Svizzera sostie-ne l’India dagli anni Novanta nello sviluppo di tec-nologie rispettose dell’ambiente. Un esempio: la collaborazione con il TERI, un isti-tuto il cui direttore Rajendra K. Pachauri ha otte-nuto, lo scorso anno, il Premio Nobel per la pacein qualità di presidente del Comitato intergover-nativo per i cambiamenti climatici dell’ONU. Conil sostegno della Svizzera, il TERI e l’ONG Deve-lopment Alternative hanno sviluppato svariati pro-grammi in materia energetica. Ad oggi, oltre uncentinaio di PMI attive nella fabbricazione di mat-toni e di vetro nonché in fonderie sono passate atecnologie efficienti dal punto di vista energetico.Già negli anni Novanta, quando il dibattito am-bientale ruotava attorno al buco nell’ozono, laSvizzera commercializzò – in collaborazione conl’azienda industriale indiana Godrei – frigoriferiprivi dei famigerati clorofluorocarburi, o CFC, gasdannosi per lo strato di ozono. Questo tipo di im-

Dalla legna al gas all’elettricità

L’India è in piena espansione. Lo Stato che un tempo era l’asi-lo dei poveri, sta diventando una potenza economica. Eppure,400 milioni di persone vivono ancora immerse nella povertà.Una contraddizione che rappresenta una sfida anche per gli at-tori dello sviluppo. Su questo sfondo la Svizzera riorganizza ilsuo impegno in India – con un accento particolare sul clima el’energia. Di Marie-Thérèse Karlen*. Svizzera e India: una

collaborazione con unfuturoLa Svizzera sostiene l’Indiasin dal 1958. La DSC è at-tiva in questo paese dal1963 con programmi princi-palmente volti a migliorarele condizioni di vita e i dirittidei gruppi di popolazionepoveri. In collaborazionecon partner indiani sonostati ottenuti notevoli risul-tati, fra l’altro in ambito agricolo e nello sviluppo dinuove ecotecnologie. Oggil’India non è più soltantouna potenza politica, maanche economica. Alla lucedi questa evoluzione, laSvizzera sta progressiva-mente riducendo il suo im-pegno finanziario e riorien-tando il sostegno all’India.Oltre al tema fondamentaledell’energia e del clima, laDSC si concentrerà in fu-turo sulla gestione del sa-pere, le collaborazioni Sud-Sud e il buongoverno. Entroil 2010, l’attuale volume deifinanziamenti passerà da 16 milioni (2007) a 8 milionidi franchi l’anno.

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Un solo mondo n.3 / Settembre 2008 23

Solo una persona suquattro beneficia delboom economicoCon una popolazione di1,1 miliardi di abitanti,l’India è la democrazia piùpopolosa del pianeta. Nellospazio sud-asiatico è unodegli attori politici più in-fluenti. Anche a livello inter-nazionale sta accrescendola propria autorevolezza,unitamente ad altri paesiemergenti. Il boom econo-mico degli anni Novantaprosegue senza sosta.L’economia indiana cresceannualmente del 7-9 percento. Il rovescio della me-daglia? Del boom benefi-ciano solamente 260 mi-lioni di persone, ovvero unquarto della popolazione. Il 60 per cento degli indianivive ancora di agricoltura,settore che nel 2007 haprodotto solamente il 17,5per cento del reddito nazio-nale lordo. L’India è tuttorail paese con il maggior nu-mero di poveri: 385 milionidi persone vivono ancoracon meno di un dollaro algiorno. Negli ultimi anni lasottoalimentazione deibambini sotto i cinque anniè passata dal 45 al 47 percento (Cina: 8 per cento;Zimbabwe: 13 per cento).

Fascino Svizzera-India (bf) Nel suo libro «La co-opération entre la Suisse et l’Inde - Au-delà des cli-chés de la pauvreté et dumiracle économique», ilpubblicista e già direttore di Alliance Sud RichardGerster contempla la co-operazione allo sviluppo da differenti angolazioni,documenta esperienze,successi e sconfitte dellacooperazione del passatoe illustra le prospettive fu-ture. «La coopération entre laSuisse et l'Inde - Au-delàdes clichés de la pauvretéet du miracle économique»,Richard Gerster, EditionsFavre, Losanna

povertà. Non ha più bisogno di sostegno finanzia-rio nel senso tradizionale. Ciò che occorre al pae-se è soprattutto un know-how specifico».

Un partenariato equilibrato Il «rapporto tra pari» fra la Svizzera e l’India (veditesto a margine) racchiude opportunità per en-trambi i partner. Christoph Graf ripone grandi spe-ranze nel riorientamento: «La DSC attua un nuo-vo approccio. Un programma tematico trasferibi-le anche in altri paesi in via di sviluppo progrediti.L’ideale sarebbe, naturalmente, che ciò avvenisse at-traverso una collaborazione Sud-Sud», precisa Graf.«Non bisogna però ignorare certi segnali. Il fattoche il know-how indiano sia trasferito in Bangla-desh è una possibilità non tanto remota. Una col-laborazione tra India e Pakistan dovrebbe essere piùdifficile». Concentrando il suo impegno sul clima e l’ener-gia, la DSC sostiene l’emergente gigante indianonella ricerca di fonti energetiche alternative – uti-li, in primo luogo, alle popolazioni dell’India ru-rale. Ma anche la stessa DSC ne approfitta, giacchéil nuovo approccio le consente di maturare nuoveesperienze e allacciare nuovi contatti. E, infine, laDSC partecipa alla risoluzione di un problema glo-bale: i cambiamenti climatici – che, si sa, non si fer-mano dinanzi a nessuna frontiera geopolitica, néquella indiana, né quella svizzera. ■

*Marie-Thérèse Karlen è incaricata di programma presso la sezione Politica di sviluppo della DSC. Ha visitato la regione per un viaggio di servizio.

(Tradotto dal tedesco)

pegno ha favorito l’acquisizione di una ricca espe-rienza in materia ambientale e la creazione di unafitta rete di partner a livello di ricerca, industria,ONG e ambienti governativi.

Energia per 125 mila villaggi indiani «Nel corso di decenni la Svizzera ha stabilito unimportante rapporto di fiducia con l’India ed è oggiconsiderata un partner di grande credibilità», spie-ga François Binder che dirige l’ufficio di coordi-namento DSC a Nuova Delhi. Ufficio alla cui por-ta recentemente ha bussato l’indiana NTPC (Na-tional Thermal Power Corporation). Questa aziendastatale è il più grosso produttore di energia in India.Rifornire d’energia una nazione con un miliardodi abitanti è un compito immane: l’India importail 70 per cento del suo attuale fabbisogno energe-tico, ed è la terza nazione mondiale produttrice digas ad effetto serra. Al contempo, 125 mila villag-gi sono ancora privi di elettricità. Una situazioneche non cambierà così presto, dato il loro consi-derevole isolamento. L’NTPC è dunque alla ricer-ca di soluzioni per rifornire i villaggi più povericon fonti energetiche decentralizzate rinnovabili.La DSC è chiamata a sostenere l’azienda sia perquanto concerne la produzione energetica trami-te biomassa (come la tecnologia gasifier) sia a livel-lo di energia idraulica.«Collaborazioni di questo tipo offrono alla Svizze-ra interessanti opportunità, aprono nuove porte. InIndia occorrono oggi soprattutto nuove tecnolo-gie ecologiche e socialmente compatibili», spiegaChristoph Graf. Un’opinione condivisa anche daFrançois Binder a Delhi: «Il governo indiano di-spone di enormi risorse per affrontare la lotta alla

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Un solo mondo n.3 / Settembre 200824

( jls) Come molti altri edifici di Voinjama, capo-luogo della contea di Lofa, l’ospedale Tellewoyan èstato completamente distrutto durante la guerra.Ma era l’unica istituzione di riferimento per unaregione di circa 440 mila abitanti. All’inizio del2006 la DSC ha deciso di ripristinare la struttura,ampliarla e rimetterla in servizio. I lavori realizza-ti da imprese locali con la supervisione di un ar-chitetto svizzero, sono stati parzialmente ostacola-ti dalle difficoltà d’accesso a Voinjama, tagliata fuo-ri dal resto del paese durante la stagione dellepiogge. L’ospedale ha aperto i battenti il 1° maggio scor-so, giorno in cui ha accolto nove pazienti e il pri-mo bambino – battezzato Tellewoyan – è venutoal mondo nel reparto maternità. La DSC si è im-pegnata a finanziare il funzionamento dell’istitu-zione per i prossimi cinque anni. «Il governo libe-riano non ne ha i mezzi. Non ha neppure il per-sonale necessario, considerato che il paese contasoltanto trenta medici. Ci sostituiamo dunque tem-poraneamente allo Stato, ma nel corso dei prossi-mi anni il governo assumerà poco per volta le re-dini dell’infrastruttura», spiega Thomas Frey, inca-ricato di programma per la Liberia presso la DSC.

L’organizzazione International Medical Corps, che ha ricevuto il mandato di gestire l’ospedale, si avvale della collaborazione di medici kenioti edetiopi.

Collegare i dispensari all’ospedale Parallelamente, la Svizzera aiuta la contea di Lofaa rafforzare la sua rete di cure sanitarie primarie,che conta quaranta basi sanitarie molto isolate. Unsistema di comunicazione è stato stabilito tra que-sti dispensari di campagna e l’ospedale. Informatovia radio, il Tellewoyan potrà così inviare la sua am-bulanza per assistere taluni pazienti. Un altro aspet-to del programma concerne il ripristino di picco-le strade di servizio invase dalla vegetazione. È tut-tavia a piedi che la maggior parte dei pazienticontinuerà ad essere evacuata verso Voinjama. Co-loro che non possono camminare sono trasportatidai loro attraverso la foresta su barelle di fortuna.Il viaggio fino al capoluogo può durare molti giorni. ■

(Tradotto dal francese)

Ritorno dei rifugiati Quella di Lofa, nell’estremonord della Liberia, è statauna delle contee più dura-mente colpite dalla guerra.Praticamente tutti gli abi-tanti sono fuggiti nelle na-zioni limitrofe o in altre re-gioni del paese. Tornata la pace, i profughi hannofatto ritorno ai villaggi abordo di autocarri messi adisposizione dalle NazioniUnite. La DSC ha subitosostenuto l’azione delle organizzazioni umanitarieinternazionali che hannogarantito il rimpatrio e lareintegrazione dei profughie degli sfollati. Dal 2006 si è anche impegnata inmodo diretto nella ricostru-zione della Liberia, con-centrandosi sulla contea di Lofa. Oltre al ripristinodell’ospedale Tellewoyan,al sostegno del sistemasanitario e al rifacimento di strade, il suo programmabilaterale fornisce un con-tributo alla ricostituzione discuole, fornendo nel con-tempo lavoro ad artigianilocali: diversi falegnamisono stati incaricati di fab-bricare i banchi, e dellesarte confezionano uniformiper gli scolari.

Più grande e più bello di prima Dopo quattordici anni di guerra civile che l’ha lasciata senza in-frastrutture, la Liberia ricostruisce il suo sistema sanitario conil sostegno della comunità internazionale. Anche l’Aiuto umani-tario svizzero partecipa a quest’impegno; ha infatti finanziato lacostruzione di un ospedale a Voinjama, nel nord del paese, dicui garantirà il funzionamento per cinque anni.

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La riorganizzazione dellaDSC( jtm) La DSC sarà radicalmenteriorganizzata. È quanto ha annunciato il nuovo direttoreMartin Dahinden a inizio giu-gno, a circa un mese dall’inizio del suo mandato. La DSC saràcosì meglio preparata a imple-mentare la strategia di politica di sviluppo perseguita dalConsiglio federale. Obiettivodella riforma è rendere la DSCpiù efficiente e migliorarne l’o-peratività. La sua presenza sulterreno va rafforzata e agli ufficidi cooperazione va assegnatamaggiore responsabilità.I servizi dei paesi, il settore tematico e l’ambito multilateraledella cooperazione allo sviluppoconfluiranno in un nuovo orga-nismo dotato di strutture diret-tive più snelle, intese a garantirela coerenza operativa. Sarà inol-tre perseguito un miglioramentodella cooperazione con altri servizi del DFAE e

dell’Amministrazione federale,soprattutto per valorizzare le conoscenze già acquisite. La riorganizzazione risponde allesollecitazioni mosse dall’organodi controllo della DSC e dalParlamento. Non si prevede percontro, una riduzione nel nu-mero del personale. Tra i colla-boratori, gli intenti riorganizza-tivi hanno suscitato per lo piùcommenti positivi, anche se sussiste una certa necessità dichiarimenti.La riorganizzazione comporta,tra l’altro, una sorta di focalizza-zione tematica. La DSC intendeagire con maggiore intensitànell’ambito della cooperazionebilaterale, proprio dove si evi-denziano le competenze di basedella Svizzera: come ad esempionel campo del buongoverno, del sistema educativo e della gestione della risorse naturali.Inoltre sono sempre più le sfideglobali, quali quelle del cambia-mento climatico, delle migra-

zioni e della sicurezza alimen-tare, a suscitare l’interesse daparte delle istituzioni.

Il programma di ricambiodella DSC (vuc) La DSC sta per effettuareuna valutazione del suo pro-gramma di ricambio. Un pro-gramma che da parecchi annioffre ai giovani la possibilità diacquisire un’esperienza profes-sionale nel campo della coope-razione internazionale. Gli JuniorProfessional Officers (JPO), dicirca 30 anni d’età, debbono disporre di un titolo universitarioo equivalente e di un’esperienzaprofessionale post-laurea di al-meno un anno. L’obiettivo èquello di preparare personecompetenti in grado di entrarenella DSC e nelle sue organizza-zioni di partenariato, e di fornirloro un’esperienza operazionalesia in sede che nei paesi didestinazione. La formazionedegli JPO consiste in un anno

passato in Svizzera – presso lasede della DSC o di un’organiz-zazione non governativa – seguito da due o tre anni all’e-stero, nell’ambito di un progettoo di un ufficio di cooperazionedella DSC, in seno ad una ONGo un’organizzazione internazio-nale. Ogni anno, sono circa unaquarantina di giovani a trovarsiin uno o l’altro stadio del loroimpegno. Parecchi JPO sonostati ingaggiati dalla DSC al termine della loro formazione:negli ultimi nove anni, si è trat-tato di 44 giovani, fra i quali 31donne; gli altri si sono ripartitinelle organizzazioni internazio-nali o in seno ad ONG. La DSCprocederà presto ad una valuta-zione del suo programma di ri-cambio. Per questa ragione nonci saranno ulteriori reclutamentifino a quando non saranno resinoti i risultati della valutazione.L’ultimo gruppo comprende 11donne e 4 uomini.

Dietro le quinte della DSC

(bf) In linea di massima e a prescindere dal settore, nello svol-gimento di un progetto si distinguono i quattro processi piani-ficazione, realizzazione, monitoraggio e valutazione: si inizia daun’idea da tradurre in realtà, verificando costantemente se si stamantenendo la rotta giusta. Infine si esamina se l’obiettivo è sta-to raggiunto. Il monitoraggio consiste nel vigilare sull’anda-mento del processo, sulla base di indicatori predefiniti, o nel crea-re le premesse idonee, affinché il processo possa essere correttose non si sviluppa come previsto. Per assicurare un monitorag-gio efficace, già al momento della pianificazione si definisconodegli indicatori valutabili in un momento successivo, per esem-pio a riguardo di finanze, risorse umane, materiale eccetera. Vi-sto in questa ottica, non esiste monitoraggio senza pianificazionee senza indicatori. E, infatti, la DSC già in fase di pianificazio-ne predispone un sistema di monitoraggio a maglie più o menofitte, a seconda del programma o del progetto. Sul piano finan-ziario, i pagamenti ad esempio sono seguiti da vicino ed esa-minati con cadenza mensile. Sotto il profilo dei risultati, inve-ce, una verifica mensile spesso non è sensata, visto che il pro-getto darà i primi frutti solo in un futuro più lontano – bastipensare ad esempio ad un progetto sanitario o di formazione.In linea di massima, nel definire un sistema di monitoraggio oc-

Che cos’è… il monitoraggio?

corre riflettere anche sul rapporto costi-benefici. Infatti, le espe-rienze pratiche ci insegnano che i sistemi di monitoraggiotroppo complessi a lungo andare creano poco valore aggiunto.

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Un solo mondo n.3 / Settembre 200826

ler della sezione Lavoro e reddito della DSC, «chegli Obiettivi del Millennio non possono essere rag-giunti unicamente dal settore pubblico. Il coinvol-gimento del settore privato assume dunque un’im-portanza fondamentale». Tuttavia, nella DSC si saanche che con partenariati di questo tipo ci si muo-ve sul filo del rasoio. Per questo, l’acronimo PPP è stato completato con la D di Development (svi-luppo). Oggi la formula si chiama Public Private Development Partnership. «Per noi combattere la povertà rimane fra gli obiet-tivi di sviluppo con priorità assoluta, anche nei par-tenariati», afferma Simon Junker, collega di Keller.«Nel nostro approccio lo sviluppo riveste un’im-portanza centrale ed è un elemento determinantenella valutazione delle possibilità di istaurare unrapporto di partenariato». E Peter Tschumi, capo-sezione, completa: «I modelli di partenariato pub-blico-privato devono fornire un valore aggiuntodeterminante per lo sviluppo. È un requisito mi-nimo».

Un’assicurazione per i poveri A titolo di esempio positivo per illustrare come puòconfigurarsi un partenariato di questo tipo, i re-

Gli argomenti a favore di un partenariato fra isti-tuzioni statali ed economia privata nella coopera-zione allo sviluppo sono evidenti. Il coinvolgi-mento di nuovi donatori privati disposti a soste-nere economicamente la lotta alla povertà faràaumentare i flussi di denaro; sarà possibile sfrutta-re le sinergie e integrare i progetti di sviluppo conl’economia reale. I progetti hanno così maggioripossibilità di riuscire a autofinanziarsi a medio ter-mine, senza dover più dipendere da ulteriori sov-venzioni. I critici temono invece una strumentalizzazionedella cooperazione che in ultima analisi giovereb-be soprattutto all’economia privata del mondo in-dustrializzato, anziché ai poveri. «Dopo il falli-mento della politica d’integrazione portata avantidalla Banca mondiale e dal FMI nei paesi in via disviluppo, ora con l’aiuto dei partenariati pubblico-privato si tenta di esportare il modello economicooccidentale nei paesi del Sud», dichiara l’econo-mista e giornalista Gian Trepp interpellato sui PPP,attualmente tanto elogiati.

Obiettivi del Millennio sono a rischio «Oggi è dato per certo», sostiene invece David Kel-

Partenariati pubblico-privato:chi ne trae maggior profitto?

Le iniziative di sviluppo contraddistinte dalla sigla Public Pri-vate Partnership (PPP) vanno per la maggiore. Ma questi par-tenariati fra istituzioni di diritto pubblico ed economia privatapermettono veramente di vincere la lotta contro la povertà? DiGabriela Neuhaus.

Partenariati pubblico-privatoL’agenzia tedesca per losviluppo GTZ definisce ipartenariati pubblico-pri-vato «progetti in cui gli in-teressi di economia azien-dale delle imprese sonocombinati a obiettivi di po-litica di sviluppo», in altreparole modelli di partner-ship fra istituzioni statali edeconomia privata nella co-operazione allo sviluppo.

PPDP e la DSCDa anni, nell’ambito dellapromozione aziendale neipaesi partner, la DSC col-labora con privati locali. Laricerca attiva di possibilitàdi collaborazione congrandi imprese svizzere eaziende transnazionali è invece più recente. A talescopo la DSC si orientaalla tendenza lanciata daONU e Global Compact diistituire una collaborazionepiù stretta fra le agenziepubbliche di aiuto allo svi-luppo e l’economia percombattere la povertà conmaggior efficacia. La stra-tegia 2008 della DSC defi-nisce obiettivi e condizioniquadro per le iniziative di Public Private Develop-ment Partnership, affinchépossa utilizzare in modopiù mirato tali nuove for-mule e strumenti di colla-borazione pubblico-privatanel settore dello sviluppo.A tale proposito è impe-gnata sia in quanto part-ner, sia come mediatriceper la promozione di parte-nariati e reti nella coopera-zione allo sviluppo.www.sdc.admin.ch/it/Pagina_iniziale/Temi/Economia_ed_occupazione/Collaborazione_col_settore_privato

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sponsabili della DSC citano un progetto pensatoper la promozione di microassicurazioni nei paesiin via di sviluppo e nei paesi soglia, proposto allaDSC dal Gruppo internazionale di assicurazioniZurich Financial Services. Sulla scorta delle prime esperienze maturate dallesocietà affiliate del Gruppo Zurich in Bolivia, Ve-nezuela e Messico con proposte assicurative perbassi redditi, si voleva elaborare una soluzione perquesto segmento di clientela da integrare nell’of-ferta globale del gruppo. «Ci siamo accorti ben pre-sto che questo tipo di microassicurazioni richie-dono un know-how specifico, inoltre non aveva-mo accesso ai ceti della popolazione previsti qualitarget della nuova offerta. Ecco perché ci siamo ri-volti alla DSC», spiega Urs Schwartz, promotoredel progetto. All’inizio il dialogo si preannunciava difficile per-ché gli interessi dei futuri partner sembravanotroppo distanti. «Noi puntiamo al profitto – se ab-biamo lanciato le microassicurazioni non è in pri-ma linea perché vogliamo fornire un aiuto allo svi-luppo», dichiara Urs Schwartz. Completamente di-versa invece l’ottica della DSC, per lei lemicroassicurazioni costituiscono uno strumentoche può contribuire alla minimizzazione dei rischiper i ceti più poveri della popolazione. Ecco perché la DSC ha dichiarato di essere inte-ressata al progetto, ma solo a condizione che dopotre anni, a conclusione del progetto, le nuove co-noscenze acquisite nel corso della collaborazionesiano rese pubbliche.

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Biglietto da visita della DSC Una condizione condivisa anche dall’Organizza-zione internazionale del lavoro (OIL), terzo part-ner coinvolto nel progetto. «La collaborazione conun gruppo multinazionale come Zurich FinancialServices ci ha permesso di elaborare una casisticache va al di là dei singoli paesi e degli esempi in-dividuali. Inoltre, con aziende di questa dimensio-ne si può lavorare con grande efficacia – sono di-sposte a correre rischi finanziari considerevoli e ainvestire risorse», spiega lo specialista dell’OILCraig Churchill, chiaramente soddisfatto del pro-getto. Anche alla Zurich si parla di una «situazio-ne win-win», nonostante l’azienda sia obbligata apubblicare le competenze acquisite in materia dimicrofinanza elaborate congiuntamente alla DSCe all’OIL. «La partnership con la DSC e l’OIL ciapre molte porte e ci conferisce credibilità nei con-fronti di ONG, governi e autorità di vigilanza del-le assicurazioni», afferma Urs Schwartz. «Questo affare non andava concluso», critica inve-ce Trepp. Un sistema di microassicurazione svilup-pato da un’azienda occidentale quale parte inte-grante del suo modello d’affari non soddisfa i requisiti richiesti ad un progetto di sviluppo soste-nibile. «Quando lo Stato instaura un sodalizio conl’economia privata, bisogna chiedersi chi ne traemaggior profitto. Nel caso in questione ne appro-fitta il Gruppo Zurich. Infatti, questa compagniapraticamente statunitense, trae un guadagno d’im-magine notevole dalla collaborazione con un entestatale svizzero quale la DSC».

La DSC e dodici grandiimprese svizzere alimen-tano il budget dellaSwiss-South Arican Co-operation Initiative(SSACI). Questo partena-riato pubblico-privatopermette a dei giovani diseguire una formazioneprofessionale nei settoridella meccanica, del tu-rismo (a sinistra), dell’in-formatica o della sanità(pagina seguente).

Filantropia e «Businesswith the Poor»L’impegno di privati nellalotta contro la povertà rispecchia una tendenza globale e non si manifestasolo nella collaborazionecon partner pubblici.Imprenditori importanti,quali Bill Gates o StephanSchmidheiny dispongonodi un grosso potenziale fi-nanziario e con le loro fon-dazioni filantropiche inter-vengono attivamente nellacooperazione allo sviluppo.Ditte internazionali che in-vestono in paesi in via di sviluppo assumonospesso e in modo miratoanche un ruolo attivo nellaricostruzione dell’econo-mia e dell’infrastruttura lo-cali – non da ultimo perchétali miglioramenti produ-cono effetti positivi anchesull’andamento dei loro affari. E, infatti, il WorldBusiness Council forSustainable Development(WBCSD) con lo slogan«Business with the Poor»propaga l’investimento «nei poveri» in quanto op-portunità commerciale ed’investimento sostenibilee promettente.www.wbcsd.org

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Contributo delle aziende alla responsabi-lità sociale La buona reputazione e il know-how della DSCin materia di politica di sviluppo rivestono un’im-portanza centrale anche per la Swiss-South Afri-can Co-operation Initiative SSACI: creata nel2001, questa PPDP costituisce la base che ha per-messo di elaborare un ampio ventaglio di proget-ti di sviluppo nei settori della formazione profes-sionale e della promozione delle microaziende inSudafrica. Il programma denota chiaramente le ca-ratteristiche inconfondibili della DSC e della suapolitica di sviluppo e nel 2007 è stato insignito dalgiornale sudafricano di economia «Big News» delpremio per «la miglior partnership nell’ambito del-lo sviluppo imprenditoriale». «La DSC è stata la forza motrice che ha permessoalla SSACI di affermarsi e tutt’oggi è il finanziato-re più importante, visto che sostiene la metà dellespese globali», spiega Ken Duncan, amministrato-re dell’iniziativa. L’altra metà delle spese è suddivi-

sa tra dodici grosse aziende svizzere, tutte presentiin Sudafrica con succursali. «Non si può dire chele attività della SSACI rientrino effettivamente nelcore business delle aziende coinvolte», spiega SimonJunker riferendosi alla differenza rispetto al pro-getto di microassicurazione. «I nostri partner ade-riscono all’iniziativa perché desiderano fornire uncontributo nell’ambito delle loro responsabilità so-ciali». Ma anche su questo fronte l’impegno non è ali-mentato esclusivamente da considerazioni altru-istiche: una parte delle società svizzere coinvoltenella SSACI, per esempio, ha già collaborato conil regime ai tempi dell’Apartheid e in seguito haavuto qualche problema di legittimazione. «Per leaziende aderire alla SSACI non significa solo gua-dagnarci in termini di reputazione. A lungo termineserve anche ad assicurarsi personale qualificato. Inquesto senso gli interessi dei privati sono pratica-mente identici all’obiettivo di sviluppo perseguitodalla DSC, che è la lotta alla povertà», dice DavidKeller. Anche a livello di contenuto, la partnership offrenuove possibilità, aggiunge Duncan: «Un grossovantaggio della SSACI è la sua funzione di puntod’incontro di filosofie provenienti dal settore pub-blico e da quello privato. Si è creato ad esempioun forum di discussione a cui partecipano rappre-sentanti di entrambi i settori, che si impegnano perlo sviluppo sociale ed economico del paese». ■

(Tradotto dal tedesco)

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Attraversa le vie senza vederenulla attorno a sé. La stanchezzadella disoccupazione è così pe-sante a portare! Che gli dianocampi da arare, ignami e patatecoperti di terra da strappare daicampi, e si sentirà rinvigorito.Pieno di una stanchezza buona,quella che porta la fame e in se-guito il sonno. Non quella cheti fa girare in tondo, in questacapitale di disgrazia, in cui vi-vacchia da sette anni. Daquando la terra devastata nonpuò più nutrirli.

A casa sua, nell’unica stanza cheospita sua moglie e i suoi trebambini, lascia ogni giorno lafame e la speranza. La speranzadi rientrare la sera con qualchesoldo in tasca, con un sacchettodi panini, quelli che sua figliaKatia adora tanto, o semplice-mente con un pacchetto di bi-scotti rotondi dalla densa mol-lica capace di riempirevelocemente le pance.

Questa speranza rende ognigiorno i suoi passi più pesanti,poiché sa che ancora una voltalo distruggerà. Sente già i lorosguardi riempirsi di delusione edi rancore quando supererà ilcancello della vecchia cortedove altri diseredati hanno,come lui, costruito alla meno

peggio delle bicocche dall’ariainfelice come la loro. Vede la de-solazione invadere i loro occhi,e ogni volta prova un tuffo alcuore.

La notte sua moglie non si girapiù verso di lui. Il suo ventretondeggiante la imbarazza, e ilcuore non c’è più. Da quando èstato licenziato dalla fabbricadove impacchettava maglie d’u-niforme, da quando esce ognigiorno alla ricerca di un lavoro,sua moglie si gira di rado versolui.

È disposto a fare qualunquecosa pur di non sentirsi cosìinutile e impotente. Lui che, aquindici anni, cominciava lagiornata nei campi con il buon-giorno dei primi raggi di sole ela terminava con la carezza delvento sulla camicia inzuppata easciugata al ritmo della roncolalubrificata a dovere. Certo, avevaconosciuto la fame, ma maiquesto stato di disperazionesecco e grezzo che ti lascia di-sorientato, rabbioso e cattivo.

Sì, si sente pronto a fare qualun-que cosa. Vuole ritrovare la fidu-cia dei suoi bambini, vedere ilviso di Katia meravigliarsi guar-dandolo. Vuole sentire contro dilui la rotondità del ventre di sua

moglie, sentire muoversi questobambino che hanno fatto.L’ultimo, hanno giurato – comeavevano giurato prima della na-scita di Katia. Ma come dire dino alla vita, alla speranza chequesto nuovo essere farà la dif-ferenza, porterà fortuna e usciràvincitore dalla battaglia controla miseria?

Io, la scrittrice, vedo il padre difamiglia esitante di fronte a unapanetteria, l’alta sagoma spez-zata, appoggiata alla vetrina.L’odore del pane gli riempie gliocchi di lacrime. Stringe i pu-gni. Gli occhi selvaggi fannopaura alla signora che esce dalnegozio con le borse in mano eche, con un movimento istin-tivo di protezione, tira a sé ilbraccio del nipote. Per un se-condo, il padre di famiglia si os-serva attraverso gli occhi delladonna. China il capo, poi si al-lontana dalla panetteria e daisuoi odori proibiti.

L’orologio della vicina cappellasuona i dodici rintocchi di mez-zogiorno, sacralizzando la famedel giorno e il fallimento dellamattinata. Nessuna opportunitàd’impiego, nessuna possibilità dicibo. Nessuna prospettiva. Il pa-dre di famiglia avanza in mezzoalla via. Inebetito, la bocca seccaper tutti i pasti non consumati,contempla i veicoli che gli cor-rono incontro. Non è tanto lamorte che lo tenta, ma l’obliodella sconfitta, il riposo. ■

(Tradotto dal francese)

Il padre di famiglia

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Évelyne Trouillot, di naziona-lità haitiana, nasce nel 1954 a Port-au-Prince, dove risiedea tutt’oggi. Autrice di racconti,poesie, favole e romanzi, èanche professoressa di fran-cese presso l’UniversitàStatale e un’università privata.Évelyne Trouillot ha pubblicatoromanzi e raccolte di novelle e di poesie in francese e increolo, nonché un saggiosull’infanzia e lo Stato di dirittoad Haiti intitolato Restituerl’enfance (Haïti SolidaritéInternationale, 2002). Il suo romanzo Rosalie l’infame (initaliano alle ed. Gorée, 2006)ha ottenuto nel 2004 il Prix dela romancière francophone, a Grenoble, e la sua primaopera teatrale Le Bleu de l’îleha vinto ex aequo il primo premio al Prix Beaumarchaisdes Écritures théâtrales de laCaraïbe del 2005.

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genitori. Molti Africani nutronotimori infondati riguardo allavaccinazione. Sono numerosi acredere che se mandano la figliaa scuola, non si sposerà o nonrispetterà il marito. Per superarele loro reticenze porto il mioesempio: ho ricevuto una buonaistruzione, eppure sono sposatada vent’anni con un uomo cherispetto.

Lei si batte attivamente perl’istruzione delle ragazze, elei stessa ha anche creatouna fondazione che assegnaborse di studio ad adole-scenti svantaggiate. Come è nata l’idea? Nell’ambito della campagnadell’UNICEF «Tutte le ragazzea scuola» ho avuto l’occasionedi percorrere numerosi paesi

Un solo mondo: SignoraKidjo, dal 2002 è ambascia-trice itinerante dell’ UNI-CEF. Perché ha scelto di impegnarsi per questa orga-nizzazione?Angélique Kidjo: Durante lamia infanzia, mia madre mi trascinava verso gli autocarridell’UNICEF per farmi vacci-nare. Lo detestavo, ma senza la

sua insistenza probabilmenteavrei contratto una malattiamortale come la poliomielite ola difterite. Il mio ruolo di am-basciatrice mi permette di resti-tuire all’Africa parte di ciò cheho ricevuto, essendo cresciuta in una famiglia che conosceval’importanza dei vaccini, dell’i-giene e dell’istruzione. A miavolta, ho voluto convincere altri

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«L’educazione - una questionedi vita o di morte»Attraverso la sua musica e il suo impegno sul campo, la cantante beniniana An-gélique Kidjo si batte contro tutti i mali che opprimono l’Africa. Questa star del-la world music denuncia il razzismo, l’ingiustizia o l’emigrazione forzata, accor-dando una priorità assoluta all’istruzione, principale leva dello sviluppo. Intervi-sta di Jane-Lise Schneeberger.

«Una donna che ha frequentato la scuola, conosce i suoi diritti».

« Parlo spesso con i giovaniche mi confessano il lorosmarrimento di fronte a unavvenire senza sbocchi».

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africani e di parlare con moltigenitori, incoraggiandoli a sco-larizzare le loro figlie, ciò chehanno puntualmente fatto.Alcuni anni più tardi mi sonoresa conto che molte di questescolare erano costrette a inter-rompere la formazione al ter-mine della quinta elementare,vuoi per mancanza di denaro,vuoi perché lo Stato non for-niva le necessarie strutture edu-cative. Ciò mi ha indotto acreare, nel maggio del 2007, lafondazione Batonga, che finan-zia la formazione secondaria esuperiore di adolescenti moltopovere, orfane dell’AIDS o disabili. L’anno scorso abbiamoaccordato borse di studio a 430ragazze in Benin, Sierra Leone,Camerun, Etiopia e Mali. Siamoanche impegnati nella costru-zione di scuole secondarie.

Purtroppo gli Stati africani nonfanno il loro dovere in materiad’insegnamento. Eppure, sul no-stro continente, l’istruzione èuna questione di vita o dimorte. Ad esempio, se la gente èistruita bada a non lasciare del-l’acqua stagnante la notte inprossimità dell’abitazione, per-ché sa che attira le zanzare ano-feli, che veicolano la malaria.Una donna che ha potuto usu-fruire di un’educazione scola-stica conosce i propri diritti. Hail coraggio di rifiutare rapportisessuali non protetti da preser-vativo. Sa che occorre bollirel’acqua prima di versarla nel biberon di un poppante. Forseavrà persino il coraggio di op-porsi ad un matrimonio precocedella figlia. In taluni paesi bam-bine di otto anni sono date inmoglie a degli ottantenni. Si

tratta di pedofilia bell’e buona!Questa tradizione deve scompa-rire.

L’escissione è un’altrausanza di cui sono vittimele ragazze in Africa. Come èpossibile evolvere le menta-lità in quest’ambito?L’escissione fa, anch’essa, partedelle tradizioni nefaste che im-pediscono all’Africa di evolveree che occorre assolutamentesradicare. Contrariamente all’i-dea largamente diffusa, nonsono soltanto gli uomini cheperpetuano questo rito, ma an-che le infibulatrici, alle qualiquesta pratica procura un red-dito e una posizione sociale. Sitratta dunque di sensibilizzarequeste donne e aiutarle a indi-rizzarsi verso altre attività, adesempio, concedendo loro mi-

crocrediti. Se una dopo l’altra le infibulatrici cambieranno la-voro, questa usanza scomparirà,e un giorno, i genitori recalci-tranti non troveranno più nes-suno disposto a mutilare le lorofiglie.

La sua popolarità le conferi-sce una certa influenza suigiovani in Africa. Qualemessaggio vuole dar loro?Parlo spesso con i giovani chemi confessano il loro smarri-mento di fronte a un avveniresenza sbocchi. Hanno voglia difare qualcosa della loro vita, masi urtano alla mancanza di vo-lontà politica di governi che sene infischiano del benesseredella popolazione. Non si puòrimproverare a questi giovani discoraggiarsi e volere emigrare,lo fanno spesso mettendo a re-

«Non si può rimproverare a questi giovani di scorag-giarsi e volere emigrare».

«Il mio timore è che le lorofrustrazioni degenerino inviolenza».

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pentaglio la loro stessa vita. Iotento d’incoraggiarli ad essereattivi nel loro paese, a fare pres-sione sulle autorità per ottenerecambiamenti strutturali e legi-slativi. Il mio timore è che leloro frustrazioni degenerino inviolenza. Giovani disperati sonoprede facili per gli integralisti islamici che vogliono destabiliz-zare il mondo.

Cosa si può fare per preve-nire una simile evoluzione?Occorrerebbe mettere in guar-dia i giovani dal terrorismo,spiegare loro che Osama binLaden non si batte certo per ga-rantire loro una vita migliore.Ma ahimé, né i paesi occiden-tali, tanto meno i governi localifanno il benché minimo sforzoper informare su questo tema.D’altronde, in Africa questo èun vero problema: le informa-zioni non circolano. I regimi alpotere sanno bene che è più fa-cile manipolare degli analfabetiche individui istruiti e infor-mati. Non conosciamo neppurela nostra storia. Sono cresciutanel Benin ignorando quasi tuttodella segregazione razziale.Quanto alla schiavitù, sono ve-

nuta a conoscenza della sua esi-stenza a nove anni vedendo unafotografia di Jimi Hendrix. Hochiesto a mia nonna da dove ve-niva questo nero che non par-lava come gli africani. La gene-razione attuale non conoscenulla della schiavitù.

Occorre rilanciare il dibat-tito su questo tema? Lei èfavorevole ai risarcimenti?Non c’è mai stato dibattito sullaschiavitù. Al contrario: si è volu-tamente fatto un lavoro di am-nesia. Sono convinta che nonprogrediremo finché nonavremo realmente affrontato la questione. Quanto alla logicadei risarcimenti, non la approvo.Nessuna somma di denaro puòcancellare una simile abomina-zione. In compenso occorrelottare contro le ripercussionidella tratta dei neri. Oggi an-cora, i neri sono consideraticome cittadini di terza classe neipaesi in cui furono portati conla forza i loro antenati. Occorreanche prevenire la rinascita dipratiche schiaviste. Qualunquepaese sia tentato di ricorrervi –come fu il caso della Mauritania– deve sapere che sarà messo al

bando dalla comunità interna-zionale.

Per terminare, cosa nepensa dell’aiuto allo svi-luppo concesso all’Africa?Alcuni vi vedono unospreco, osservando che lapovertà non arretra.Bisogna riconoscere che finoral’aiuto concessoci non ha datomolti risultati. Buona parte deifondi è confluita su conti pri-vati. In Africa la corruzione co-stituisce un freno allo sviluppo.Essendo impossibile debellarla, idonatori dovrebbero definirecriteri di trasparenza migliori ericonoscere anche la parte di re-sponsabilità delle compagnieoccidentali che assecondano lacorruzione. Occorre inquadraremeglio l’aiuto internazionale.Gli importi destinati a progettidi sviluppo devono essere sotto-posti a un controllo molto rigo-roso. E i governi beneficiari de-vono sapere che se non portanola prova di realizzazioni con-crete, i crediti non saranno rin-novati. ■

(Tradotto dal francese)

Angélique Kidjo nasce nel1960 a Ouidah (Benin) in unafamiglia di nove figli. All’età disei anni aderisce alla compa-gnia teatrale diretta dalla madre.Appena adolescente canta nellaband musicale dei fratelli, poi in quella del liceo. Il suo primodisco Pretty la fa conoscere intutta l’Africa occidentale. A 23 anni si trasferisce a Parigi.Diventa la cantante del gruppotedesco Pili-Pili, con il quale re-gistra parecchi album. Nel 1988inizia la carriera di solista. In collaborazione con il marito, ilbassista e compositore JeanHébrail, produce una decina dialbum, fra cui una trilogia cheesplora le radici africane dellamusica degli Stati Uniti (Oremi),del Brasile (Black Ivory Soul) edei Caraibi (Oyaya!). L’ultimo in ordine di tempo, Djin Djin, ha ricevuto nel marzo 2008 ilGrammy per il miglior album di world music contemporanea.Angélique Kidjo risiede a NewYork dal 1998. Canta in fran-cese, in inglese e in diverse lingue africane.

«In Africa la corruzione costi-tuisce un freno allo sviluppo».

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Cinque «corti» dal Caucasomeridionale ( jtm) Con il progetto «Avanti»,la DSC ha infuso nuova vitanella cinematografia del Caucasomeridionale. Dal 2003 ad oggi –tra film, documentari e corto-metraggi – sono ben 47 i lavoricreati in Georgia, Armenia edAzerbaigian. Dopo il crollodell’Unione Sovietica, la cine-matografia sud-caucasica – riccadi tradizione – era praticamentegiunta al collasso. Le sovvenzionistatali non c’erano più e le capa-cità istituzionali andavano perse,mentre nello stesso tempo cre-scevano le esigenze tecniche poste dalla produzione cinema-tografica. Sul mercato, con l’ina-ridirsi della produzione culturaleautoctona, furono le produzionirusse ed americane a prendere ilpredominio. Per rinvigorire l’identità multiculturale della regione, e rimettere in piedi la cinematografia locale, la DSC –insieme alla Fondazione losan-nese «Focal» – lanciò il progetto«Avanti». Uno dei prodotti ditale progetto è un DVD concinque cortometraggi di giovaniautori, che fanno un ritratto pieno di umore e passione dellarealtà della loro patria.Il DVD «South Caucasus», sottoti-toli in inglese e russo, può essere ordinato presso la DSC [email protected] – i primi 50 esemplari verranno consegnatigratuitamente.

Film del Mondo in periferia (hel) Le Giornate del film delmondo, della cittadina grigio-nese di Thusis, hanno la fama dipiccolo ma atteso evento cine-matografico. Saranno proiettati

film e documentari dall’Americalatina, Africa, Asia e Svizzera.Sarà presente a Thusis, fra glialtri, anche l’ecuadoriana TaniaHermida, una regista politica-mente schierata, che proietterà ilsuo primo film, «Qué tan lejos»,al quale sono stati assegnati nu-merosi riconoscimenti. Questoroadmovie, che racconta di unaturista e di una ecuadoriana cheinseguono i loro sogni, ha avutoun grande successo in Ecuador.Invitata a Thusis è stata anche lagiovane regista Ishtar Yasin, con«El Camino», il suo primo filmpremiato due volte a Friburgo.Questa pellicola, incentratasull’emigrazione, narra il destinodi due bambini nicaraguensi,vittime impotenti dello sfrutta-mento. Anche Ulrich Tilgner,giornalista televisivo, autore didocumentari, noto esperto delletematiche del vicino oriente e propugnatore del dialogo fra le diverse culture, sarà personal-mente presente a Thusis.XVIII Giornate del Film, Thusis, dal 5 al 9 novembre 2008.Informazioni e programma: www.kinothusis.ch

Cambogia, memoria visiva I giornali occidentali parlavanodella Cambogia ancora primache divenisse una rinomata metaturistica: dapprima la guerra; poii campi di sterminio ed il re-gime del terrore dei Khmerrossi. Dal 1993, pur con grandeesitazione, cerca di farsi strada lademocrazia. È, questo, lo sfondoche il regista cambogiano RithyPanh usa per il suo film «Un soiraprès la guerre». Il suo sguardo èvolto ai giorni del dopoguerra, aquella fragile fase in cui le per-sone, ancora intente a elaborareil passato, devono reimparare aaffrontare il quotidiano. Il filmtratta di una giovane donna dioggi, e racconta, con intensi flashback, episodi del 1992. Perritrovare se stessa, dovette per-dere il suo amore. Rithy Pahn ci

mostra quanto sia divenuto diffi-cile, dopo gli anni del terrore edella guerra, il vivere in una me-ravigliosa terra, in cui la gente èpiù abituata all’idea della morteche non a quella della vita.I film di Rithy Panh «Un soiraprès la guerre» e «Les gens de la rizière», così come il ritrattodella pièce teatrale «Les artistesdu théâtre brûlé» sono disponi-bili come DVD (con sottotitoliin tedesco e francese) presso laTrigon-film. Ordinazioni ed informazioni: 056 430 12 30 oppure www.trigon-film.org

Il grande mercatoNella periferia della capitale delMozambico, il dodicenne Paitovende bignè per contribuire alsostentamento della famiglia. Maora deve andare a comprare dellafarina per sua madre. Nel nego-zio non ne hanno più. Quindi siinventa un nuovo commercio, lavendita di singole sigarette. CosìPaito insegue il miraggio di unpiccolo guadagno, ma un ladrogli ruba il pacchetto. Disperato,il giovane si dirige verso il cen-tro, dove incontra il coetaneoXano. I due tentano, con le piùsvariate attività, di guadagnare unpo’ di denaro. «O grande bazar»,di Licinio Azevedo, è un filmper ragazzi agile e dalla strutturadi documentario che comunicaimpressioni del vivere quotidia-no in Mozambico ed impres-siona per la freschezza dellacreatività e della vivacità delleidee dei due giovani. Un filmche ha fatto incetta di riconosci-menti, fra gli altri quale migliorecortometraggio al Festival inter-nazionale del film di Durban nel

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meditativi ma anche vigorosistacchi. A tutto ciò contribui-scono fra le altre le robuste vocidelle sorelle Cherokee del trioWalela, le Blackfire, la sessanta-settenne, leggendaria cantanteBuffy Sainte-Marie e la cantanteirokese Joanne Shenandoah.Quando quest’ultima propone il poema da lei dedicato allanonna e accompagnato da unaritmata ninnananna, allora è armonia musicale pura!Various: «Think Global: NativeAmerica» (World MusicNetwork/Musikvertrieb)

Marocco, Madagascar, Mali (er) «3MA»: dapprima sta per 3 stati africani: Marocco,Madagascar e Mali. Il 3 segnalache si tratta del progetto di untrio di celebri artisti internazio-nali per strumenti a corda. Dal Marocco viene Driss ElMaloumi, che suona il liuto a braccio corto oud, dalMadagascar proviene Rajery,con la sua cetra di bambù e, dal Mali, viene il griot BallakéSissoko con la sua arpa-liutokora. Il trio mette in scena unincontro musicale durante ilquale gli accordi dei loro stru-menti si intrecciano in orna-menti sonori dolcemente fluidied ondeggianti. Le loro dita saltellano con virtuosa rapiditàsulle corde, ed a volte acca-rezzano il loro strumento conamore, oppure battono il ritmosulla sua cassa armonica. È così che, nelle nostre orecchie,si insinuano fini danze di cordecon suoni spumeggianti e pas-saggi limpidi e pulsanti e, comebis, affascinanti canti maschili.Questa musica melodica e armoniosa, con i suoi intensimomenti sonori unisce tradi-zione africana e attuale musicadel mondo in un progetto musi-cale contemporaneo del tuttoparticolare.Rajery, Ballaké Sissoko & Driss ElMaloumi: «Projet 3MA» (Contre

Jour – Harmonia Mundi/DisquesOffice).

Purificazione interiore(er) Sono immagini sonore estrose ed affascinanti, quelle cuilei dà vita: fra queste, troviamosuoni melodici e di percussione,di strumenti cinesi quali lozheng (una cetra a 25 corde), ilcosiddetto violino dalla testa dicavallo, tamburi e gong che siabbinano ad un sound di im-pronta elettronica occidentalecome il drum 'n' bass, trip hop eclub-beats . Il tutto sfocia in unosquisito intreccio di ethno-pop.La sua originale voce femminiletesse con un chiaro timbro gut-turale, talvolta con il sapore disoul, e talvolta accompagnata da profonde voci da monaco untappeto sonoro pieno di varie-gati motivi. In modo originale la cantante multistrumentale, ametà mongola, a metà cinese, SaDingding supera i limiti idioma-tici e presenta le canzoni del CDdel suo debutto europeo «Alive»in sanscrito, mandarino, tibetanoed in un’altra lingua da lei stessainventata. La cantante di fedebuddhista ha ricevuto l’impor-tante BBC World Music Award

per il felice ed originale estrocompositivo e per la sua pas-sione per la ricerca musicale, coni quali la 25enne intende, senzaribellioni di sorta, spianare l’ac-cesso alla sua cultura ed a quellache definisce la «purificazioneinteriore».Sa Dingding: «Alive» (WrasseRecords/Musikvertrieb)

Fare di più – ma fare il giusto!(bf ) A scadenze più o meno regolari, l’efficacia della coope-razione allo sviluppo è messa in dubbio. Ora chiede la parolaqualcuno che non solo è ingrado di parlare di ciò, ma daanni si occupa intensamentedella problematica. Peter Niggliè un esperto e autore di pa-recchi studi sull’Africa. Dal 1998è anche responsabile di AllianceSud, la comunità di lavoronell’ambito dello sviluppo for-mata dai sei grandi enti umani-tari svizzeri. Nel suo libro «DerStreit um die Entwicklungshilfe»Peter Niggli evidenzia ciò che lacooperazione allo sviluppo puòrealizzare e ciò che non è ingrado di fare, ci dice perché gli Obiettivi di sviluppo delMillennio sono utili e perché il«Fare di più – ma fare il giusto»,che è poi il sottotitolo del suolibro, sia di gran lunga la via mi-gliore e più attendibile, che nonarrivare a condannare in via diprincipio la cooperazione allosviluppo. Niggli esorta a nonperdere di vista i limiti dellacooperazione e evidenzia inoltrecome una gran parte dei finan-ziamenti allo sviluppo siano colpevolmente utilizzati per salvaguardare gli interessi deipaesi donatori.«Der Streit um die Entwicklungs-hilfe», di Peter Niggli,Rotpunktverlag Zurigo, 2008

Nelle montagnedell’Afghanistan(bf ) Fu a fine luglio 1986 che

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2006 e Premio del pubblico alfestival «Cinémas d'Afrique» diAngers nel 2007.«Il grande mercato – O grande bazar», di Licinio Azevedo,Mozambico 2006. Film documen-tario, 56 minuti, DVD, portoghese e tedesco, sottotitoli: d/f/e, visionedai 10 anni di età; distribuzione:Educazione e sviluppo, tel. 031 389 20 21,[email protected];Informazioni e consulenza: Film per un solo mondo, tel. 031 398 20 88, www.filmeeinewelt.ch

Finissime armonie (er) È davvero straordinaria, la musica dei nativi americani.Essa riflette in maniera quasimagica la saggezza innata nellavita degli indiani d’America, laloro spiritualità e l’amore per la natura. Ciò si avverte negli elegiaci suoni di flauto che si librano sui rombi di burrasca del musicista navajo R. CarlosNakai. Suoni questi che – comegli altri che si incontrano all’ap-proccio con le antiche tracce,meditative e a tratti anche unpo’ rock, del sound indiano – si meritano l’ascolto soprattuttoper le voci, graziose, cristalline,terrose, morbide e rauche che si sviluppano in tanti, tranquilli,

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Didier Lefèvre lasciò il Pakistanper recarsi a Parigi. Qui, incon-trò un’equipe di Medici SenzaFrontiere e l’accompagnò inAfghanistan, nel cuore crudeledel conflitto fra l’UnioneSovietica ed i Mujahiddin.Successivamente Lefèvre tornòaltre sette volte in Afghanistan,«per incontrare gli amici e docu-mentare i cambiamenti». I duevolumi che ne sono sorti utiliz-zano il fumetto e la fotografiaper narrare i viaggi del fotore-porter francese. Lefèvre hamesso a disposizione le foto,mentre i disegni ed i testi sonodi Emmanuel Guibert. DidierLefèvre, morto nel 2007 di infarto, ha avuto con il suo «LePhotographe» un sorprendentesuccesso internazionale. Il se-condo volume, pubblicato inotto lingue, è stato venduto inoltre 200 mila copie. «Il fotografo» primo e secondo vo-lume, di Guibert/Lefèvre, Lizard-Edizioni

«Focus»: acqua - fonte di ogni vita( jtm) La Conferenza annualedella Cooperazione svizzera conl’Europa dell’Est avrà luogo il 7 novembre nella Landhaus diSoletta, sulle rive dell’Aare. El’acqua è anche il tema del con-vegno. Acqua da bere, per irrigare e per creare energia, un elementoindispensabile per lo sviluppo.L’acqua non è soltanto fonte di vita, bensì anche causa diconflitti, quando ad esempio lasua distribuzione non funziona,o l’utilizzazione non è organiz-zata in modo efficiente e ri-spettosa dei bisogni. Ciò vale in particolare per Tagikistan,Kirghizistan ed Uzbekistan, cheper un’utilizzazione efficientedelle risorse idriche dipendonograndemente da un dialogo chefunzioni a dovere. Come è possibile, nell’ottica delprocesso di sviluppo dell’Asiacentrale, utilizzare al meglio l’ac-qua? Quale contributo fornisceil programma idrico svizzero, pilastro portante dell’impegno di SECO e DSC nella regione?Questi temi-chiave saranno ap-profonditi, con relazioni, contri-

buti video e workshop, da esperti svizzeri e provenientidall’Asia centrale. L’evento, coningresso gratuito, è aperto a tuttigli interessati.«Focus», Conferenza annuale dellaCooperazione svizzera con l’Europadell’Est, si terrà il 7 novembre nellaLandhaus di Soletta.

A proposito di lavoronell’ambito della coopera-zione internazionale Non è solo la cooperazione in-ternazionale allo sviluppo (CIS)ad evidenziare cambiamenti,bensì anche le esigenze poste acoloro che in essa operano: chesi tratti di cooperazione allo svi-luppo o di aiuto umanitario, chesia un’organizzazione dell’ONUo una ONG, agli esperti dellacooperazione allo sviluppo èchiesto oggi altro e spesso anchepiù di quanto non avvenisse inpassato. Contemporaneamente si ampliala concorrenza per questo ge-nere di posti, considerato che ilmercato del lavoro è sempre piùglobale. Ma come sarà il mercatodel lavoro futuro nell’ambitodella cooperazione internazio-nale? Quali sono le tendenze in questo settore e con quali esi-genze dovranno confrontarsi infuturo gli specialisti nel campodella cooperazione? Domandeposte al centro del programma«Profilo del professionista di do-mani» ospitato dall’edizione diquest’anno del Forum Cinfo di

Bienne. È qui che, il 6 settem-bre, si incontreranno un migliaiodi esperti – e di intenzionati a divenirlo – con l’intento discambiarsi informazioni e met-tersi in rete. Circa 90 organizza-zioni svizzere ed internazionalisaranno presenti con un lorostand informativo. Forum Cinfo: 6 settembre nelKongresshaus di Bienne;www.cinfo.ch

Gli esperti del DFAE sono avostra diposizioneDesiderate un’informazione diprima mano sulla politica esterasvizzera? Relatori e relatrici delDipartimento Federale degliAffari Esteri (DFAE) sono a disposizione di classi scolastiche,associazioni ed istituzioni perconferenze e discussioni sui nu-merosi temi della politica estera.Il servizio è gratuito, ma può essere fornito soltanto all’in-terno dei confini nazionali; inoltre, dovranno presenziare almeno 30 partecipanti per ogni evento programmato. Ulteriori informazioni: Servizioconferenze DFAE, Servizio infor-mazioni, Palazzo federale West,3003 Berna; tel. 031 322 31 53 o 031 322 35 80; fax 031 324 90 47/48; e-mail: [email protected]

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Servizio

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Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affariesteri (DFAE)

Comitato di redazione:Harry Sivec (responsabile) Catherine Vuffray (coordinamento globale) Joachim Ahrens (ahj) Gabriela Spirli (sgq)Jean Philippe Jutzi (juj)

Barbara Fournier (for)Thomas Jenatsch (jtm)Beat Felber (bf)Andreas Stauffer (sfx)

Redazione:Beat Felber (bf – produzione)Gabriela Neuhaus (gn) Maria Roselli (mr)Jane-Lise Schneeberger (jls) Ernst Rieben (er)

Progetto grafico: Laurent Cocchi, Losanna

Litografia: Mermod SA, Losanna

Stampa: Vogt-Schild Druck AG, Derendingen

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentita previa consultazione della redazione e citazione della fonte. Si prega di inviare una copia alla redazione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente (solo in Svizzera) presso: DSC, Media e comunicazione, 3003 Berna,Tel. 031322 44 12Fax 031324 13 48E-mail: [email protected]

860192226

Stampato su carta sbiancata senza cloro per la protezione dell’ambiente

Tiratura totale: 53 000

Copertina: Delta del Mekong, Vietnam; Hemispheres/laif

ISSN 1661-1683

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Nella prossima edizione:

Dalla Conferenza di Monterrey 2002, il finanziamento dello sviluppo èoggetto di discussione a livello mondiale e prende forme sempre piùconcrete. Queste vanno dalla mobilitazione di risorse locali e interna-zionali fino al recupero dei fondi di potentati. Il nostro dossier presenta i risultati finora ottenuti, le nuove tendenze, i meccanismi innovativi e lequestioni tuttora controverse in materia di finanziamento dello sviluppo.

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