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Un solo mondo N. 3/ SETTEMBRE 2016 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE www.dsc.admin.ch Giovani e futuro Il potenziale ancora inespresso di 1,8 miliardi di giovani Egitto Un apparato statale che frena lo sviluppo Flussi finanziari illeciti La fuga di capitali dissangua i Paesi poveri

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Un solo mondoN. 3/ SETTEMBRE 2016LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONEwww.dsc.admin.ch

Giovani e futuro Il potenziale ancora inespresso di 1,8 miliardi di giovani

EgittoUn apparato statale che frena lo sviluppo

Flussi finanziari illecitiLa fuga di capitali dissangua i Paesipoveri

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Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

Sommario

3 Editoriale4 Periscopio26 Dietro le quinte della DSC34 Servizio 35 Nota d’autore con Omar Ba 35 Impressum

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenziadello sviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri(DFAE), è l’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è unapubblicazione ufficiale in senso stretto; presenta, infatti, unapluralità di opinioni. Gli articoli pertanto non esprimono sempre il punto di vista della DSC e delle autorità federali.

D S C

F O R U M

O R I Z Z O N T I

C U L T U R A

D O S S I E R GIOVANI E SVILUPPO6 Creare opportunità per i giovani

Nove giovani su dieci vivono in Paesi in via di sviluppo. Sono un potenziale enorme per lo sviluppo economico e sociale

12 Pianificare il percorso verso il futuroIntervista a Suzanne Grant Lewis, direttrice dell’International Institute for Educational Planning dell’UNESCO

14 Da sfollati a piccoli imprenditoriIn un campo profughi in Kenya, un progetto svizzero dà la possibilità ai giovani di seguire una formazione professionale

16 Prospettive migliori per Viengsavanh In Laos, un progetto di sviluppo svizzero-tedesco permette ai giovani svantaggiati di imparare un mestiere

17 Fatti e cifre

18 Un esercito di funzionari improduttiviL’Egitto si è posto degli ambiziosi obiettivi di sviluppo. Per raggiungerli entro il 2030 dovrà operare dei dolorosi tagli all’apparato statale

21 Sul campo con...Romain Darbellay, capo uscente dell’Ufficio della cooperazione svizzera al Cairo

22 «Chi sarà il prossimo?»Come molti altri giovani ha disertato i locali di voto in occasione delle elezioni del presidente e del parlamento egiziani: Sara Khorshid spiega perché

27 1100 miliardi di dollari persiI flussi finanziari illegali sono un problema soprattutto per i Paesi in via di sviluppo. Per superarli, l’impegno della Svizzera è fondamentale

30 La magia del Caño CristalesCarta bianca: la colombiana Ana María Arango descrive uno dei più bei fiumi al mondo e parla del rischio che incombe sulla regione in cui scorre

31 «Muoiono soltanto le culture che non si aprono»Intervista allo scrittore della Mauritania Mbarek Ould Beyrouk che nei suoi libri accompagna i lettori negli accampamenti dei beduini e nelle oasi del Sahara

23 Acqua potabile per tuttiNelle zone rurali della Moldova, 14000 abitazioni sono collegate a una fognatura e 40000 persone hanno acqua corrente in casa grazie al sostegno della Svizzera

24 La Mongolia e i suoi animali da reddito La riforma del sistema veterinario, realizzata grazie al sostegno della DSC, permetterà di migliorare la salute di milioni di animali e di esportare la loro carne

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3Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

Editoriale

«I giovani sono il nostro futuro»; questa frase viene ripetuta a iosa durante le cerimonie di consegna deidiplomi oppure quando si sottolinea l’importanza diinvestire nella formazione. È un’espressione che diprimo acchito sembra banale e forse anche piuttostoscontata. Se viene continuamente citata nelle più di-sparate occasioni significa però che il suo messaggiova ben oltre il semplice senso letterale delle parole.

Questa frase significa infatti che solo se li prepariamoin maniera accurata per affrontare l’avvenire, i giovanidi oggi, ossia i cittadini di domani, sapranno trovaredelle soluzioni ai nuovi problemi o a quelli che noi ab-biamo lasciato loro in eredità. Questa constatazione è tutt’altro che triviale e ci porta immancabilmente a fare un bilancio provvisorio dei nostri investimentinei futuri politici, scienziati, leader economici, cittadinie consumatori.

Nell’ambito delle sue attività, la DSC si interessa inmodo particolare della situazione dei giovani neiPaesi in via di sviluppo. E da questo fronte arrivanobuone notizie. Negli ultimi 25 anni, nell’Africa subsa-hariana è stato possibile dimezzare il numero di bam-bini che non frequenta la scuola elementare. È undato incoraggiante anche se non dice nulla sulla qua-lità dell’insegnamento. Nello stesso arco di tempo siè ridotta della metà la mortalità infantile mondiale. Inmolte regioni del pianeta questa evoluzione è unaconseguenza diretta del netto miglioramento dei ser-vizi sanitari di base, un settore su cui la DSC concen-tra parte dei suoi sforzi.

D’altro canto, a livello globale oltre 70 milioni di per-sone di età compresa tra i 18 e i 24 anni non hannoun lavoro e spesso nemmeno la speranza che in unfuturo non troppo lontano questa situazione difficileda un punto di vista sociale e psicologico cambi.Nell’Africa subsahariana, 300 milioni di bambini tra i sette e i dodici anni avranno bisogno, nei prossimianni, di un impiego che oggi ancora non c’è. Fra que-

sti milioni di bambini e giovani senza una reale pro-spettiva ci sono molti rifugiati e sfollati interni. I gio-vani di un campo profughi siriano in Giordania mihanno raccontato che i loro problemi principali sonol’inattività e la sensazione di perdere il treno della vita.

In quest’ambito la Svizzera ha molto da offrire ai Paesipartner della sua cooperazione allo sviluppo grazie aun sistema di formazione (professionale) efficace; unmodello che gode di un’eccellente reputazione inter-nazionale. Per tale motivo, nei prossimi quattro annila DSC aumenterà del 50 per cento l’impegno in que-sto settore. Durante i miei viaggi per verificare di persona i progetti in atto, ad esempio nel Laos o inRuanda, ho potuto convincermi di persona dell’effi-cacia del nostro approccio di tipo duale all’apprendi-stato. Spesso occorre prima di tutto abbattere i pre-concetti nei confronti della formazione professionalerispetto agli studi universitari. Dove si riesce a supe-rare questa iniziale barriera, i successi non tardano adarrivare.

Desideriamo migliorare anche le prospettive dei gio-vani rifugiati. Lo facciamo, ad esempio, offrendo ai ra-gazzi del campo profughi di Kakuma, in Kenya, il co-siddetto percorso «Skills for Life». Per non mettere arischio l’accettazione del campo fra la popolazione lo-cale, che potrebbe sentirsi svantaggiata rispetto aiprofughi, il progetto è aperto anche ai giovani auto-ctoni, altrettanto bisognosi di formazione.

In questo senso, la massima «i giovani sono il nostrofuturo» è, per la DSC, molto più di una frase retorica:è un vero e proprio programma.

Manuel SagerDirettore della DSC

(Traduzione dal tedesco)

Un intero programma contenuto in una sola frase

DSC

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Patrick Frilet/hemis.fr/laif

The Fred Hollows Foundation

Sven Torfinn/laif

Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

Periscopio

Carburante o cibo?( jlh) «Fuel or Food?»: è questo l’interrogativo analizzato inun recente studio dell’Università della Virginia, negli StatiUniti. Nel mondo, dal tre al quattro per cento dei terreni edell’acqua utilizzati per le colture agricole, per esempiomais e soia, serve a produrre biocarburanti. Questi ultimiassicurano circa il quattro per cento del fabbisogno dicombustibile nel settore dei trasporti. Secondo le stime, i terreni così impiegati fornirebbero cibo a sufficienza pernutrire circa 280 milioni di persone, ossia quasi un terzodella popolazione mondiale che oggi soffre la fame. In fu-turo, la destinazione delle risorse agricole sarà sempre piùoggetto di accese dispute. Da qui al 2050 la popolazionemondiale crescerà fino a sfiorare i nove miliardi di persone.Nello stesso lasso di tempo la politica ambientale punta ad aumentare la quota dei biocarburanti. Per i ricercatoridell’Università della Virginia è quindi fondamentale e ur-gente investire nello sviluppo e nella produzione di biocar-buranti della seconda e terza generazione (rifiuti biologicida un lato e coltura di alghe dall’altro). Questi ultimi infattinon sono in concorrenza con la produzione di alimentari.www.virginia.edu (Fuel or Food)

Dare scacco a cecità e sordità( jlh) Piccolo, leggero, conve-niente, autonomo da un puntodi vista energetico ed efficiente;è l’identikit di un nuovo appa-recchio per i test della vista edell’udito che ha tutte le cartein regola per trovare un’ampiadiffusione nei Paesi in via di svi-luppo. Un gruppo di ricercatoriha sviluppato questo strumentodel peso di soli 18 grammi, de-nominato Arclight, su incaricodella Fred Hollows Foundation,una fondazione australiana che siadopera per la lotta contro leforme evitabili di cecità.L’apparecchio è già stato testatocon successo in Australia,Etiopia, Kenya e Tanzania. Costacirca otto dollari e sbalordisceper la semplicità della sua co-struzione: lente di ingrandi-mento, luce LED, batteria cari-cabile con energia solare o viacavo USB, dispositivo per l’e-same del condotto uditivo.Arclight permette di individuaretempestivamente la presenza dimalattie quali la congiuntivite,l’otite o la cataratta. Entro la finedell’anno sarà lanciato un nuovomodello sul mercato.www.hollows.org

Il diabete miete vittime soprattutto a Sud (bf ) Secondo l’Organizzazionemondiale della sanità (OMS), dal1980 il numero di diabetici nelmondo si è quadruplicato, pas-sando da 108 milioni a circa 422milioni. Nel suo primo rapportoglobale sul diabete, l’organizza-zione indica che da tempo questa malattia del metabolismo

Gli ostacoli alle pari opportunità(bf ) In Africa vivono oltre 600milioni di donne. Sono soprat-tutto loro a gestire l’economiadomestica e ad avere una fun-zione chiave nella produzione di

alimenti. Più del 43 per centolavora nell’agricoltura e rivesteun ruolo centrale nella produ-zione di miele, di latte, nell’alle-vamento di pesci, nell’acquicol-tura e nella vendita di prodottidi artigianato artistico e di der-rate alimentari. Eppure la paritàfra i sessi è ancora lungi dall’es-sere una realtà. Il 26° Verticedell’Unione africana, tenutosi a fine gennaio ad Addis Abeba, cui hanno partecipato i massimirappresentanti di tutti i 54 Paesiafricani, si è svolto all’insegnadei «diritti umani con un’atten-zione particolare ai diritti delle

donne». Si è discusso sulle mag-giori sfide che ostacolano le pariopportunità per le donne afri-cane: l’esclusione economica, unsistema finanziario che favoriscela discriminazione, un accessoinsufficiente all’istruzione, laviolenza contro le donne, le tra-dizioni culturali pericolose per la salute, l’esclusione delle donnedai colloqui di pace.

Reddito di base anziché aiutoallo sviluppo?( jlh) In Svizzera, la proposta diun reddito di base incondizio-nato è stata nettamente bocciatanel giugno scorso: l’iniziativa ha ottenuto il consenso di unvotante su cinque. A livello in-ternazionale la rivendicazionerimane più che mai attuale.Nell’ambito di un progetto pi-lota, dal 2016 in Kenya 6000persone che vivono in povertàestrema riceveranno per diecianni un reddito di base incondi-zionato, versato a scadenze rego-lari attraverso lo smartphone. Lapromotrice del progetto è laONG americana «GiveDirectly»,che vi destinerà circa 30 milionidi dollari. L’organizzazione èconvinta che un aiuto «in con-tanti» sia meno burocratico, piùdignitoso e molto più efficacedell’aiuto allo sviluppo tradizio-nale. Infatti, i beneficiari po-tranno decidere da soli comeutilizzare i soldi ricevuti. Un ap-proccio che dovrebbe favoriregli investimenti nei mercati lo-cali, rafforzando l’economia e lestrutture regionali. L’organizza-zione non intende lasciare nullaal caso: documenterà e control-lerà la sua iniziativa, in cui riponegrandi speranze. Sono in molti aseguire con interesse il progetto,tra questi anche la Banca mon-diale e la Commissione dell’UE.Queste ultime sperano di rica-vare elementi chiave per appro-fondire il dibattito sul reddito di base incondizionato.www.givedirectly.org

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Le Figaro Magazine/laif

Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

Disegno di Jean Augagneur

non è più solo un problema deiPaesi ricchi. Secondo i datidell’OMS, nel 2012 1,5 milionidi persone sono morte per leconseguenze dirette del diabete.L’80 per cento viveva in Paesicon reddito medio o basso, poi-ché proprio in questi Stati moltepersone non possono permet-tersi i farmaci e la malattia non è

diagnosticata o lo è solo quandoè già a uno stadio molto avan-zato. Stando agli esperti, l’ali-mentazione malsana, il conse-guente sovrappeso e la man-canza di attività fisica sono i principali responsabili di questadisfunzione che ha come conse-guenza una quantità eccessiva di zucchero nel sangue. L’OMS

sostiene che se non si adotte-ranno delle contromisure, al piùtardi nel 2030 il diabete sarà frale sette principali cause di morteal mondo. www.who.int (Report on Diabetes)

Energia pulita giorno e notte(bf ) Il villaggio di pescatori diCaleta San Marcos, nel Nord delCile, punta all’autarchia energe-tica. Grazie alla produzione dellecentrali solari e idriche locali in-tende soddisfare il proprio fab-bisogno di energia entro il 2020.La piccola località costiera sfrut-terebbe così la sua particolareposizione geografica.Approfittando della intensa radiazione solare, una centralefotovoltaica pompa l’acqua dalPacifico in un serbatoio ubicatoin una conca naturale sopra lascogliera. La costruzione di unacentrale idrica consente di rime-

diare alla produzione disconti-nua legata allo sfruttamento del-l’energia solare e garantisce unaproduzione elettrica sufficienteanche di notte. Il progetto sem-bra fatto su misura per il Cile,Paese caratterizzato da lunghecoste, da scogliere e dal desertodi Atacama con la sua forteesposizione solare. Entro il 2050,il Paese vuole coprire il 70 percento del suo fabbisogno conenergie rinnovabili. ValhallaEnergia, l’azienda promotricedell’iniziativa, è stata recente-mente insignita del premio na-zionale per l’innovazione, pro-mosso dal Ministero cileno perl’economia. «Progetti come que-sto potrebbero aiutare il Cile adaffermarsi come pioniere delletecnologie verdi», sostiene con-vinto il capoprogetto JuanAndrés Camus. www.valhalla.cl

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6 Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

DOSSIER

Creare opportunità per i giovaniLa Terra è abitata da giovani: sono 1,8 miliardi. Il 90 per centovive nei Paesi in via di sviluppo. Secondo gli esperti, grazie aloro il mondo dispone di un potenziale straordinario per il suoprogresso economico e sociale. Rimane però un grande pun-to interrogativo: Quali strade possono percorrere per diventa-re adulti? Di Jens Lundsgaard-Hansen.

Un abitante del pianeta su quattro ha meno di 24anni, nei Paesi meno sviluppati è uno su tre. Sonoadolescenti e giovani da valorizzare subito, duran-te il cammino per diventare grandi, e non soloquando avranno raggiunto l’età adulta; è questa latesi sostenuta dall’UNICEF.Ma le sfide sono titaniche. Quasi il 90 per cento

dei giovani vive in un Paese in via di sviluppo. Lapercentuale di minori è tendenzialmente maggio-re dove la povertà è più diffusa, gli investimenti nell’istruzione e nella salute sono più carenti e le disparità tra i generi particolarmente spiccate. «Dobbiamo assolutamente concentrare il nostroimpegno sui giovani per raggiungere la visione di

Leggere e far di conto non basta per trovare un posto di lavoro. Fin dai primi anni di scuola è importante trasmettere aigiovani delle competenze sociali e creative, come qui a Kampala, in Uganda.

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Barbara Dom

brow

ski/laif

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Tadej Znidarcic/Redux/laif

Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

Giovani e sviluppo

uno sviluppo sostenibile post 2015», sostiene Babatunde Osotimehin, direttore del Fondo delleNazioni Unite per la popolazione (UNFPA). Nonpossiamo farci sfuggire queste opportunità; dob-biamo coglierle ora.

Gli ostacoli all’autorealizzazioneGli attori della cooperazione allo sviluppo sonoconcordi su quali siano le sfide principali per i gio-vani: la salute e la prevenzione, la protezione so-ciale, la partecipazione, l’istruzione e la formazio-ne, i posti di lavoro.

Dividendo demografico Secondo il concetto di «di-videndo demografico», laforte presenza di giovani sipuò tradurre in opportunitàper i Paesi in via di svilup-po soltanto se sono rispet-tati alcuni parametri: ridu-zione della mortalità infan-tile (accesso ad acqua,cibo e servizi sanitari), di-minuzione del tasso dellanatalità (soprattutto graziealla contraccezione), au-mento della percentuale di popolazione attiva e im-piego del suo potenzialeeconomico (investimentinella formazione, salute).Tra il 1965 e il 1995, laCorea del Sud e Singaporehanno vissuto una fortecrescita economica grazieanche al dividendo demo-grafico. In Africa, soprat-tutto in quella subsaha-riana, il potenziale sarebbeenorme; per il momento èrimasto però inespresso.

La separazione non è netta e l’interazione tra i variambiti è molto articolata. È così anche con la sa-lute e la prevenzione. Secondo l’Organizzazionemondiale della sanità (OMS), soltanto il 10 per cen-to dei giovani uomini e il 15 per cento delle gio-vani donne sa se è portatore del virus HIV. È unasituazione che può essere imputata a un’informa-zione insufficiente sui pericoli di contrarre la ma-lattia. Solo il 22 per cento delle donne tra i 15 e i22 anni ha accesso ai contraccettivi, quota che rag-giunge il 60 per cento tra le donne che hanno piùdi trent’anni. Inoltre, una donna su tre che oggi hatra i 20 e i 24 anni convive o si è sposata quandoaveva 18 anni; una percentuale che in Nepal, Niger o Mali oscilla tra il 50 e il 70 per cento. Leragioni sono soprattutto culturali, sociali ed eco-

Al mondo circa 250 milioni di bambini non sanno né leggere né eseguire dei calcoli molto elementari, nonostante piùdella metà siano andati a scuola almeno quattro anni.

nomiche. Le conseguenze sono drammatiche. Dauna parte le gravidanze e i parti precoci implica-no importanti rischi per la salute, dall’altra la vitadi queste ragazze subisce spesso una profonda rot-tura con il passato: sovente vengono interrotti unaformazione professionale o un curricolo scolasti-co che non verranno mai più ripresi. Fra le giova-ni donne che frequentano una scuola secondaria imatrimoni precoci sono sei volte meno frequentie le gravidanze in giovane età si riducono di trevolte rispetto alle ragazze che vanno a scuola solofino alle elementari.

Senza infanzia e prospettiveDiscriminazione, sfruttamento e abusi di vario tipospingono molte persone – anche e soprattutto gio-vani – ai margini della società. Se le ragazze sonosovente vittime di abusi sessuali, i ragazzi entranoa far parte di bande violente o sono reclutati comebambini soldato. Secondo le stime dell’ONU sono170 milioni, pari all’undici per cento, i bambini aprestare lavoro minorile, 21 milioni sono costrettial lavoro forzato, il 12 per cento dei migranti nelmondo ha tra i 10 e i 24 anni. Sono statistiche chepresentano una situazione fatta di stenti e che evi-denziano quali conseguenze ha l’emarginazione suibambini e sui ragazzi. L’organizzazione umanitaria Terre des hommesSvizzera si occupa proprio di queste giovani vite.

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Helena Schaetzle/laif

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Né impiegati né studentiI «NEET» («Not inEmployment, Education orTraining») sono giovani chenon lavorano e non parte-cipano a nessun ciclo diistruzione o di formazione.In altri termini: sono inattivie spesso senza alcunaprospettiva. Il rapportodella Banca mondiale sullosviluppo globale 2013stima a 620 milioni i NEET,con una percentuale piùgrande in città che in cam-pagna. In Pakistan, India oTurchia vi fanno parte piùdonne che uomini. In altriPaesi come il Ghana, il Cileo l’Ucraina non ci sonoquasi differenze tra ra-gazze e ragazzi.

Formare i cittadini del futuroOltre a proteggere i giovani discriminati e a rischio,è importante favorire il loro coinvolgimento atti-vo nella società. La partecipazione può essere mi-gliorata attraverso canali molto diversi fra loro,come i diritti umani, la democrazia, l’istruzione dibase e la formazione professionale. In Etiopia, adesempio, Helvetas promuove l’organizzazione diparlamenti della gioventù dove i ragazzi discutonosu temi politici. «In questo modo acquisiscono no-zioni pratiche sul sistema politico del Paese e ven-gono preparati ad assumere in futuro delle respon-sabilità», spiega Benjamin Blumenthal, responsabi-le del servizio Governance & Peace presso l’ONGsvizzera. In tal modo, anche la generazione più vec-chia può toccare con mano il funzionamento di unparlamento. La digitalizzazione e internet offrono nuove op-portunità di partecipazione al dibattito pubblico.Le possibilità non sono però uguali per tutti. Neiricchi Paesi europei quasi il 90 per cento dei ra-gazzi tra i 15 e i 24 anni ha dimestichezza con ap-parecchi e strumenti digitali, mentre a livello mon-diale è una competenza che possiede solo un gio-vane su tre e addirittura solo uno su diecinell’Africa subsahariana. Avere la possibilità di na-vigare in internet significa accedere all’informa-zione, ossia a programmi di formazione, offerte

«La povertà, la discriminazione e la guerra turba-no profondamente i più giovani, rendendoli par-ticolarmente vulnerabili alla violenza che caratte-rizza l’ambiente in cui vivono. Il sostegno psico-sociale è una componente molto importante deinostri progetti perché permette di affrontare que-sti traumi». Tutte le giovani vittime sono state private della loroinfanzia, dei loro diritti e della possibilità di deci-dere autonomamente del proprio destino. Molte fi-niscono nelle grinfie della criminalità. Ed è pro-prio su questo aspetto che fa leva il progetto dellaDSC «Projoven», promosso in Honduras. Ai gio-vani delle grandi favelas viene data la possibilità disvolgere una formazione professionale di breve du-rata, ad esempio come meccanico di moto, fale-gname o parrucchiera. L’obiettivo è di rafforzare isistemi formativi e di dare maggiori opportunitàdi trovare un impiego dignitoso e di ricevere unreddito a questi ragazzi. Per loro l’alternativa è farparte di una gang e di farsi così trascinare nel vor-tice della violenza. Altrove, la DSC concentra i suoi sforzi su un altrogruppo di giovani svantaggiati: con il progetto«Skills for Life» intende dare nuove opportunità siaai profughi del campo di Kakuma, nel Nord delKenya, sia agli autoctoni che vivono nei dintorni,anche per evitare tensioni.

Affinché i giovani abbiano buone possibilità di accedere al mondo del lavoro, il sistema formativo deve collaborare conl’economia e la società. Nell’immagine alcuni apprendisti in un ospedale in Sri Lanka.

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P. Crooker/Archivolatino/laif

Pieter Ten Hoopen/VU/laif

Holland. Hoogte/laif

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Giovani e sviluppo

La discriminazione e gli abusi nei confronti dei bambini e dei giovani hanno varie forme: il lavoro minorile in Bolivia, i ma-trimoni precoci in India o il reclutamento di bambini soldato in Indonesia.

d’impiego o tematiche riguardanti la salute. È unbagaglio di conoscenze che può cambiare la vita.Secondo il rapporto sullo sviluppo umano 2015delle Nazioni Unite, poco più di tre miliardi di per-sone hanno accesso a internet. Se i Paesi più po-veri avessero le stesse opportunità di collegarsi alweb dei Paesi più ricchi, si potrebbero creare 140milioni di nuovi impieghi, di cui 40 milioni in Afri-ca e altri 65 milioni di India. «Quando i giovaniterminano la scuola, devono sapere dove trovare le informazioni e distinguere tra i contenuti affi-dabili e quelli che non lo sono. Devono impararea osservare il mondo con spirito critico», spiega Suzanne Grant Lewis, direttrice dell’InternationalInstitute for Educational Planning (IIEP) dell’U-NESCO. Anche questo aspetto si ricollega diret-tamente a internet e al sapere digitale.

Occorrono 600 milioni di nuovi impieghi La formazione e l’occupazione dei giovani che siaffacciano sul mondo del lavoro sono le sfide mag-giori. Nel suo rapporto sullo stato della popola-zione nel mondo 2014, l’ONU stima che per ri-durre la disoccupazione giovanile e assorbire il flus-so di giovani lavoratori che premono sul mercatooccupazionale sarà necessario creare 600 milioni dinuovi posti di lavoro nei prossimi dieci anni. Attualmente, il 40 per cento dei disoccupati uffi-ciali è costituito da giovani. Nei Paesi in via di svi-luppo, il 60 per cento dei giovani è senza lavoro,non ha una formazione o ha un’occupazione pre-caria, soprattutto nei settori con un salario basso ein cui non c’è quasi alcuna protezione sociale. Ilsolo lavoro, di per sé, non è sufficiente: occorronoimpieghi dignitosi e produttivi. Nel suo rapporto

Lavoro non è uguale a lavoro I dipendenti salariati almondo sono circa 1,6 mi-lioni. Un numero quasiuguale di persone lavoranel settore agricolo osvolge un’attività indipen-dente. 1,5 miliardi di impie-gati hanno una situazionelavorativa «fragile», a causadi condizioni incerte e diun salario basso. Inoltre,820 milioni di personeguadagnano meno di 2dollari al giorno. Nei Paesiin via di sviluppo la forma-zione e l’economia infor-mali, come la mancanza diun contratto di lavoro o delcontrollo dello Stato, sonopiù la regola che l’ecce-zione. A livello mondiale,quasi l’80 per cento degliuomini e meno della metàdelle donne ha un lavoro.

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Sven Torfinn/laif

Swisscontact

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Finanziare la formazioneTra i 40 e i 50 milioni difranchi del budget dellaDSC confluiscono ognianno nella formazione pro-fessionale, mentre dai 60ai 70 milioni vengono de-stinati all’istruzione dibase. Questi finanziamenticomprendono anche ilcontributo al Partenariatoglobale per l’educazione(GPE). La DSC concentrale sue attività sui gruppi dipersone svantaggiate af-finché possano accederea offerte formative simili aquelle proposte inSvizzera, come la forma-zione plurilingue o i sistemidecentralizzati. Il Consigliofederale intende aumen-tare del 50 per cento ifondi da destinare all’istru-zione di base e alla forma-zione professionale nel pe-riodo 2017-2020.

sulle tendenze globali dell’occupazione 2016, l’Or-ganizzazione internazionale del lavoro (ILO) esi-ge maggiori sforzi «per affrontare le iniquità attra-verso più occupazione e impieghi migliori». In altre parole, il lavoro va ben al di là della meradimensione economica: può rafforzare la parità digenere, facilitare la partecipazione nella società, va-lorizzare le persone e infondere in loro un sensodi dignità. «Il lavoro dà ai giovani una posizione nel-la società e un’esistenza sicura, crea le premesse perfondare una famiglia e condurre una vita autono-ma», spiega Philip Puyo, responsabile UNICEFpresso la DSC.Tra il periodo dei giochi spensierati e il momen-to della scelta di una professione ci sono gli annidella formazione scolastica. È un capitolo fonda-mentale in cui vengono gettate le basi per il futu-ro. Secondo un sondaggio mondiale dell’ONU, una«buona formazione» ha l’assoluta priorità fra i gio-vani, ancor più della salute o della sicurezza ali-mentare. Non è un caso che l’Agenda 2030 per unosviluppo sostenibile includa nei suoi obiettivi ri-guardanti l’istruzione non soltanto i bambini, maanche tutti i giovani. Per quanto i progressi riguardanti l’accesso all’i-struzione a livello elementare delle bambine e dei

Le competenze digitali e l’accesso a internet, ossia a un’importante fonte del sapere, sono fondamentali affinché i giovani possano esprimere il loro potenziale. Nell’immagine un’aula di informatica in Kenya.

bambini siano innegabili, i segnali riguardanti laqualità della formazione sono purtroppo meno in-coraggianti. Al mondo 250 milioni di ragazzi nonsanno né leggere, né fare di conto, anche se più del-la metà è andato a scuola almeno quattro anni.Non basta sedersi in un banco per imparare, ser-vono infrastrutture, strumenti didattici e insegnanticompetenti. Inoltre, molti bambini e giovani ab-bandonano prematuramente il loro percorso for-mativo perché la scuola è troppo cara o è troppolontana oppure perché devono contribuire al sostentamento della famiglia. «Il passaggio tra unlivello e l’altro è un momento difficile che dob-biamo sostenere con misure adeguate», affermaPhilip Puyo, ricordando che la Svizzera può met-tere a disposizione la sua articolata esperienza. «Nelnostro Paese abbiamo un sistema formativo flessi-bile, conosciamo il plurilinguismo, permettiamo ilpassaggio tra una formazione e l’altra, buone con-nessioni tra i livelli d’istruzione. Sono tutte com-petenze che facciamo confluire nel dialogo poli-tico con i nostri Paesi partner», spiega Valérie Liechti, esperta di formazione presso la DSC cheattualmente sta riorientando la sua strategia in materia di istruzione. «Uno degli obiettivi centra-li è quello di collegare meglio l’istruzione di base

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Johann Rousselot/laif

Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

Giovani e sviluppo

I parlamenti della gioventù, come questo in Etiopia, promuovono le competenze civichee sociali e preparano i giovani ad assumersi delle responsabilità.

e la formazione professionale, oggi ancora troppodisgiunte, mentre dovrebbero formare un’unità».

Sviluppare le capacità giuste Nonostante tutto, né la scuola, né la formazionesono una garanzia di successo. Spesso la formazio-ne non trasmette le capacità adeguate per avere unapossibilità sul mercato del lavoro. «Prendendo a mo’di esempio il sistema duale di formazione profes-sionale svizzero cerchiamo di associare sistemi formativi, economia e società nei nostri progetti»,spiega Brigitte Colarte-Dürr, esperta di formazio-ne professionale presso la DSC. Un esempio con-creto è il progetto VELA realizzato in Laos checomprende una formazione artigianale, borse distudio per i giovani svantaggiati e l’adeguamentoa standard moderni del settore dell’istruzione. Le circostanze sono diverse, ma gli obiettivi ri-mangono uguali per i progetti della DSC attuatinell’ambito dell’occupazione giovanile nei Balca-ni occidentali. «In Albania, Bosnia e Kosovo, i gio-vani seguono un’istruzione di base e un apprendi-stato. Tuttavia, spesso la loro formazione non sod-disfa le esigenze del mercato del lavoro. Nei nostriprogetti coinvolgiamo le piccole e medie impreseper definire programmi di formazione ed offrire

stage pratici», spiega Alex Widmer del settore Bal-cani occidentali. Le attività comprendono anche laconsulenza professionale, offerte di coaching pergruppi svantaggiati, come i rom, e accordi tra le au-torità locali e il settore privato volti a creare postidi tirocinio e di lavoro. «Cerchiamo di essere pre-senti laddove le autorità locali sono desiderose dimigliorare la formazione professionale. Lo scopo èdi integrare la nostra esperienza e i nostri model-li formativi nei sistemi locali di formazione pro-fessionale. È l’unico modo per ottenere risultati ad ampio raggio», afferma Brigitte Colarte-Dürrspiegando le linee generali dei progetti di forma-zione professionale. «La giovinezza è il periodo in cui tutto è possibi-le», scrive l’UNICEF nel suo rapporto sulla con-dizione dell’infanzia nel mondo. Sta di fatto, però,che le opportunità non piovono dal cielo. Per al-cuni sono a portata di mano, per altri un lontanomiraggio. Sarà fondamentale permettere a tutti diguardare al futuro con uguale ottimismo. ■

(Traduzione dal tedesco)

Il sapere da solo nonbastaSe i giovani non trovano un impiego e l’economialamenta la carenza di lavo-ratori qualificati, ciò è do-vuto molto spesso al fattoche la domanda e l’offertadi competenze non coinci-dono. La Banca mondialeha sviluppato «STEP», unprogramma in grado di rafforzare la crescita e laproduttività. Cofinanziatodalla Segre-teria di Statodell’economia (SECO) con1,5 milioni di franchi, il pro-gramma pone l’attenzionesu cinque fasi della vita;dall’infanzia all’età adulta.Oltre a trasmettere le co-noscenze, il percorso favo-risce altre competenze,come il lavoro in gruppo, la creatività o l’innovazione,altrettanto importanti peravere successo nella vita. www.worldbank.org(Stepping Up Skills)

Un progetto della DSC promuove l’apprendistato nel set-tore della ristorazione in Albania.

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Malte Jaeger/laif

Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

Pianificare il percorso verso il futuro

Suzanne Grant Lewisè direttrice dell’Internatio-nal Institute for EducationalPlanning dell’UNESCO.Titolare di un dottoratopresso l’Università diStanford, negli Stati Uniti,vanta oltre 25 anni diesperienza nell’ambito del-l’istruzione nei Paesi in viadi sviluppo, soprattutto perquanto riguarda le politichee i piani di formazione inAfrica. Suzanne GrantLewis ha insegnato politi-che internazionali dell’edu-cazione all’Università diHarvard, ha lavoratopresso organizzazioni filan-tropiche private, ha svilup-pato e diretto programmidi ricerca nell’ambito dellaformazione e ha vissutonegli Stati Uniti, in Kenya,Tanzania, Namibia, Malawie Francia.

Troppi giovani non sanno né leggere né far di conto alla finedel loro percorso formativo. La pianificazione e il dialogo sonola chiave per migliorare il sistema educativo nei Paesi in via di sviluppo, sostiene Suzanne Grant Lewis, direttrice del-l’International Institute for Educational Planning dell’UNESCO. Intervista di Jens Lundsgaard-Hansen.

Il 90 per cento dei giovani vive in Paesi in viadi sviluppo e sogna un lavoro e un futuro. Èun sogno che può divenire realtà?Suzanne Grant Lewis: La sfida è enorme. In al-cuni Paesi ci si augurava che l’aumento della po-polazione giovane potesse tradursi in un cosiddet-to dividendo demografico. Ma in molti Stati l’im-pulso economico è insufficiente. Ci si è resi contoche non è per nulla facile raggiungere questo divi-dendo. Serve una formazione di qualità che ri-sponda in maniera adeguata alle reali necessità.

Grazie agli Obiettivi del millennio, nei Pae-si in via di sviluppo ci sono stati progressi alivello di formazione. Questi progressi sonotraducibili in impieghi e occupazione?La gente pensa talvolta che la formazione sia la so-luzione a ogni problema occupazionale. Ma l’istru-zione non crea impieghi. L’interrogativo è piutto-sto un altro: Le nostre scuole preparano i ragazzi allavita? Se analizziamo la questione da vari punti divista, la risposta è purtroppo no. Per questo motivodobbiamo fare il possibile affinché la formazionescolastica favorisca l’accesso al mondo del lavoro.

Che cosa non sta funzionando?Quando terminano la scuola molti adolescenti nonsanno né leggere né fare di conto. C’è un eviden-te problema di qualità che ha gravi ripercussioni sulfuturo dei ragazzi. Senza conoscenze basilari di let-tura, scrittura e calcolo, i giovani difficilmente tro-veranno un lavoro e potranno provvedere al pro-prio sostentamento. Sarà altrettanto difficile rag-giungere obiettivi sanitari o comprendere imutamenti climatici.

Dobbiamo, dunque, concentrarci maggior-mente sull’istruzione di base?Certo, ma nel contempo dobbiamo considerareanche altri aspetti della formazione. Nelle tappe fi-nali del percorso scolastico ci si rende conto che ilmondo fuori dall’aula è cambiato. E allora è neces-sario chiedersi quali siano le competenze sociali elogiche richieste agli studenti. I giovani devono im-parare a osservare il mondo che li circonda con spi-rito critico.

È al mondo digitale che sta pensando?Sì. Per i giovani la formazione digitale è importan-te tanto quanto l’accesso alle informazioni digitali.Ma stiamo parlando anche di valori sociali e di sen-so civico globale. I giovani devono essere consci diavere dei diritti e delle responsabilità. L’istruzionenon deve prepararci per una sola professione, devepredisporci a imparare in continuazione, per tuttala vita.

Come si passa dalla teoria alla pratica, ossiaa una formazione scolastica che sappia dav-vero preparare i giovani?La mia risposta è: pianificazione. È la competenzaessenziale dell’International Institute for Educatio-nal Planning (IIEP). Una pianificazione sistemati-ca comprende un dialogo sulle priorità con il mon-

La scuola – nell’immagine siamo in Costa d’Avorio – pre-para davvero i bambini alla vita fuori dall’aula?

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Nick Hannes/laif

13Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

Giovani e sviluppo

Attivo in tutto il mondo Fondato nel 1963, l’Inter-national Institute for Edu-cational Planning (IIEP) con sede a Parigi e filiali a Buenos Aires e Dakar offre ai Paesi membri pro-grammi di formazione ecooperazione tecnica, sioccupa di ricerca applicatae mette a disposizionepiattaforme di conoscenza,quali la pubblicazione di libri e altri documenti, unabiblioteca, attività di e-lear-ning. L’IIEP gestisce ancheil portale di formazionePlanipolis (piani e politichedi formazione) e recente-mente ha lanciato unnuovo portale didattico.Per il periodo 2014-2017,la DSC contribuirà alle atti-vità dell’IIEP con sei milionidi franchi. www.iiep.unesco.org

do politico del Paese. Per prima cosa occorre ana-lizzare il sistema formativo esistente: Quali sono ipunti di forza e quali le lacune? Ci sono delle di-suguaglianze, ossia disparità tra i generi? Nello stes-so tempo non dobbiamo dimenticare i divari re-gionali e le differenze tra i gruppi linguistici e le fa-sce di popolazione emarginate presenti in moltiPaesi. Per definire le priorità dobbiamo individua-re e comprendere tutte queste disuguaglianze.

È un’analisi che ci dà la possibilità di stabi-lire un piano attuabile?No. Dobbiamo convincere le persone nei vari mi-nisteri a parlare tra di loro. Troppe pianificazioni as-somigliano a una lista della spesa. Non basta defi-nire le priorità. Dobbiamo stabilirle in base ai mez-zi finanziari disponibili e coinvolgere tutti gli attori,inclusi insegnanti e genitori, perché a loro spetteràil compito di trasformare in realtà questo piano. Lamia esperienza mi insegna che spesso la pianifica-zione è buona, a fare difetto è l’attuazione.

Che importanza ha la formazione professio-nale?Se si vuole migliorare la formazione professionale,occorre progettualità. In molte regioni del pianetala formazione professionale non è molto sviluppa-ta. Per questo motivo, nel novembre 2015 abbiamolanciato in Burkina Faso, Costa d’Avorio, Maurita-nia e Senegal il nuovo programma «Pefop»; è unapiattaforma destinata a enti pubblici e privati cheintendono promuovere l’apprendistato. Inoltre, con

In India, ma anche in numerose altre regioni nel mondo, la formazione professionale non è ancora sufficientemente sviluppata ed è poco orientata alla pratica.

la nostra iniziativa sosteniamo direttamente i go-verni di questi Paesi.

Una pianificazione sistematica della forma-zione non può fare a meno di dati concreti. La nostra pianificazione segue delle strategie e de-gli obiettivi. E naturalmente vogliamo sapere comearrivarci. Una pianificazione necessita dunque di unmonitoraggio. Noi aiutiamo i governi a creare que-

sti sistemi e ad analizzare i dati raccolti, affinché sia-no in grado di esaminarli e, se necessario, di modi-ficare gli obiettivi.

Quale impatto hanno avuto i programmi IIEP?Nel 2014 e nel 2015 l’IIEP ha istruito all’incirca1500 pianificatori nell’ambito della formazione, il47 per cento dei quali provenivano dall’Africa. Il 36per cento erano donne. Un migliaio di impiegatiministeriali hanno ricevuto un coaching diretto sulposto di lavoro. Vari gruppi di pianificatori dellaCambogia hanno seguito un programma di for-mazione qui a Parigi. Più tardi questi esperti ci han-no chiesto se eravamo disposti a creare con loro unpiano di formazione nel loro Paese. Così, insiemea loro abbiamo adattato i programmi e la docu-mentazione alle loro particolari esigenze. Rafforza-re le istituzioni di formazione locali fa parte dellanostra strategia affinché i progressi favoriscano losviluppo di un elevato numero di persone. ■

(Traduzione dall’inglese)

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Sven Torfinn/laif

Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

( jlh) Nel campo profughi di Kakuma, nel Kenyasettentrionale, vivono 185000 persone; sono po-co più degli abitanti della città di Basilea. Origi-nariamente costruito per ospitare 40000 rifugiati,negli ultimi anni ha accolto un numero sempremaggiore di profughi in fuga dai conflitti nel vici-no Sudan del Sud. «In questo momento la permanenza media in uncampo profughi è di 17 anni», ricorda MartinaDurrer, incaricata di programma per il Corno d’A-frica presso la DSC. L’esodo forzato di migliaia dipersone da catastrofe umanitaria transitoria si tra-sforma con il passare degli anni in una condizionedi precarietà permanente. Questa situazione ob-bliga gli attori umanitari a unire l’aiuto umanita-rio e la cooperazione allo sviluppo. Oltre ad acqua,cibo e medicinali, gli sfollati hanno bisogno di prospettive, di un’occupazione e di un reddito per

Nel campo profughi di Kakuma, nel Nord-ovest del Kenya, vivono circa 185000 persone, tra cui molti giovani. Alcuni vi sono addirittura nati ed è quindi necessario dare loro la possibilità di imparare un mestiere.

Da sfollati a piccoli imprenditoriLe regioni di frontiera del Kenya ospitano due enormi campi profughi: quello di Dadaab e quello di Kakuma. In quest’ultimo,con il progetto «Skills for Life» la DSC dà la possibilità a migliaiadi giovani di seguire una formazione professionale e trasmet-te loro competenze sociali ed economiche. Il loro futuro di-ventata così meno nero.

non dipendere completamente dagli aiuti esterni.Il progetto della DSC a Kakuma trasmette alle persone competenze pratiche affinché affrontinomeglio e con maggiore autonomia la vita, sia al-l’interno del campo, sia nel caso di un rimpatrio.

Né indennizzi né pasti gratuiti «Sovente, i campi profughi nelle regioni periferi-che si trasformano in punti nodali per l’economiadella regione», spiega Martina Durrer. È così an-che a Kakuma. Per la popolazione locale, che spes-so se la passa peggio degli stessi sfollati nei campi,ciò può avere dei vantaggi. Infatti, con i profughisi sviluppano mercati, commercio e infrastrutture.Ma il campo entra anche in competizione per lagestione delle risorse naturali come l’acqua o la le-gna da ardere. Inoltre, di regola i profughi non pos-sono integrarsi nel mercato del lavoro locale, così

600000 sfollati in KenyaSecondo l’Alto commissa-riato delle Nazioni Uniteper i rifugiati (UNHCR), nel2015 le persone costrettealla fuga (richiedenti l’asilo,rifugiati nel mondo e sfollatiinterni) erano circa 65 mi-lioni, mai così tanti dall’ul-timo conflitto mondiale.Turchia, Pakistan, Libano,Iran, Giordania, Etiopia eKenya ne ospitano il mag-gior numero. In Kenyasono 600000: 356 000 vi-vono nel campo profughidi Dadaab, 185000 aKakuma. A livello mon-diale, due terzi dei profughie degli sfollati non vivonotuttavia in campi, ma inzone urbane. Anche que-ste situazioni pongono iPaesi d’accoglienza e leautorità locali dinanzi aenormi sfide perché de-vono garantire un’assi-stenza di base a livello diistruzione, servizi sanitari e occupazione.

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Joao Silva/NYT/Redux/laif

Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

Giovani e sviluppo

I giovani del campo profughi e quelli che vivono nei dintorni seguono una formazione professionale e acquisiscono importanti competenze pratiche per diventare dei piccoli imprenditori.

come la popolazione autoctona non ha accesso aiservizi di assistenza forniti agli sfollati. Per allentare le tensioni, il progetto «Skills for Life»a Kakuma è aperto sia agli sfollati sia alla gente del posto e coinvolge in egual misura donne e uomi-ni. La partecipazione al progetto è facoltativa, nonci sono né indennizzi né pasti gratuiti; a contare è unicamente la voglia di migliorare la propria si-tuazione.Per il progetto, la DSC collabora sul posto con part-ner locali e internazionali. La gestione operativa del

progetto è affidata alla fondazione svizzera Swiss-contact, attiva da diversi decenni nella formazioneprofessionale nei Paesi in via di sviluppo. «La sfidaconsiste nell’adeguare gli approcci della formazio-ne professionale duale al contesto locale del Paesepartner», spiega Katrin Schnellmann di Swisscon-tact. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite peri rifugiati (UNHCR) è un altro partner importantedel progetto. A livello internazionale, all’UNHCRcompete la gestione dei campi profughi e l’ap-provvigionamento dei rifugiati; inoltre coordina illavoro delle altre organizzazioni attive in loco.

Formare piccoli imprenditori Dopo aver svolto un’analisi di mercato coinvol-gendo le autorità locali e il settore economico, nel-l’autunno del 2013 è stata avviata la fase pilota delprogetto, conclusa nell’estate 2016. L’iniziativa pre-vede una formazione informale a basso costo in-centrata sul «learning by doing». Il nocciolo delprogetto è costituito dai gruppi di praticanti, don-ne e uomini, che hanno interessi, età, formazioneanaloghi, provenienti sia dal campo profughi sia daivillaggi vicini.In totale gli apprendisti possono scegliere tra do-dici indirizzi professionali: dall’agricoltura all’edi-lizia, dalla gestione dei rifiuti alla riparazione dicomputer e cellulari, dalla lavanderia alla tessitura.Ogni gruppo di studio si dedica a una specializza-zione. Nel contempo gli studenti frequentano una

formazione di base in lettura, scrittura e calcolo, eun laboratorio di competenze economiche e so-ciali, come l’imprenditorialità, la gestione finan-ziaria, la salute e la prevenzione. L’obiettivo è di of-frire una formazione completa affinché i parteci-panti possano conseguire rapidamente un redditoal termine della formazione e, nel caso ideale, fon-dare una piccola impresa con altri membri delgruppo di studio. Per qualche mese dopo il corsovengono seguiti da un mentore, che li accompa-gna gradualmente verso l’indipendenza imprendi-

toriale. La formazione dura da quattro a cinquemesi. I partecipanti la lasciano con un buon baga-glio di conoscenze e con un certificato in tasca.

Siamo sulla buona stradaDa una valutazione indipendente realizzata nel2015 e dall’analisi svolta dal gruppo di gestione –governo locale, ONU, organizzazioni partner ebeneficiari – è emerso che la fase pilota sta dandoottimi risultati. Ad esempio si sono ottenuti eccel-lenti voti per la formazione nei gruppi di studio,dove la quota di donne sfiora il 55 per cento. Laprossima fase del progetto durerà dai due ai tre anni e permetterà di imparare dalle esperienze e di consolidare i metodi di formazione. «È bello constatare che diversi gruppi di studio delprogetto si sono già riuniti in piccole imprese», sirallegra Martina Durrer. Alcuni gruppi hanno ot-tenuto dei contratti importanti, ad esempio per lagestione dei rifiuti nel campo profughi o la ma-nutenzione dell’infrastruttura IT del governo lo-cale. «Al termine della prossima fase, grazie al pro-getto pilota di Kakuma dovremmo finalmente dis-porre di un modello di formazione professionaleinformale che potrà essere duplicato in manieramodulare in altri gruppi di sfollati. Siamo davverosulla buona strada», conclude Martina Durrer. ■

(Traduzione dal tedesco)

DSC

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16 Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

Mosaico etnicoIl Laos ha una popola-zione di circa sette milionidi abitanti. Se in passatoquest’ultima poteva es-sere suddivisa in tregrandi gruppi etnici, laoloum, lao theung e laosoung, con numerosi sot-togruppi, oggi i gruppisono ufficialmente 49.Con oltre 40000 persone,i suay sono fortementerappresentati nella provin-cia di Salavan, nel Sud delPaese. I suay apparten-gono al gruppo linguisticodei mon-khmer. Anche fra le varie lingue ci sonodiversi grandi gruppi, con-traddistinti da dialetti diffe-renti e definiti soprattuttodalla regione in cui si tro-vano.

( jlh) «Grazie alla formazione di sarta svolta nellascuola di Salavan, ora posso confezionare vestiti,gonne e camicie anche senza una macchina per cu-cire», spiega la diciannovenne Viengsavanh, cresciu-ta in una famiglia suay. Con i risparmi fonderà unapiccola impresa e si guadagnerà da vivere. Oltre a Viengsavanh, altri 300 studenti hanno fre-quentato la scuola professionale della provincia diSalavan. L’istituto offre corsi di assistente di cucina,elettronica, edilizia, carpenteria, cucito e formazio-ni per la riparazione di piccoli motori, per la colti-vazione di piante e l’allevamento di animali. In to-tale sono dodici le scuole professionali e tecnicheaffiliate al progetto lanciato nel 2014 dall’agenzia tedesca per lo sviluppo GIZ su mandato della DSC e del governo tedesco, in stretta collaborazio-ne con il ministero dell’istruzione del Laos, le au-torità locali e il mondo economico.

Favorire i gruppi svantaggiati In Laos due terzi della popolazione vivono conmeno di 2 dollari al giorno. Il 70 per cento dellepersone attive lavora nell’agricoltura. 300000 lao-tiani hanno un lavoro nella vicina Thailandia, men-tre in Laos sono 100000 i lavoratori stranieri, poi-ché manca la manodopera specializzata. Ed è pro-

L’apprendistato di addetto di cucina offre a queste giovani del Laos maggiori opportunità nel mercato del lavoro.

Prospettive migliori per ViengsavanhUna formazione artigianale, borse di studio per giovani svan-taggiati e la riforma del settore formativo: è questo il cuore di un progetto di formazione professionale in Laos, sostenutoda Svizzera e Germania. L’obiettivo è di colmare la lacuna di manodopera specializzata nel Paese.

prio qui che il progetto intende intervenire. «La GIZfornisce le competenze necessarie a uno sviluppoeconomico sostenibile», spiega Andrea Siclari, re-sponsabile di programma presso la DSC. «La Sviz-zera opera maggiormente a livello di riduzione del-la povertà e a favore delle minoranze etniche». Entro il 2018, 2000 giovani completeranno la loroformazione professionale con un periodo di prati-ca in azienda. Altri 10000 giovani appartenenti aigruppi di popolazione più svantaggiati – il 45 percento sono donne – avranno concluso un ciclo diformazione breve. La formazione «on the job» è unodei tre elementi chiave del progetto. «Altrettanto im-portante è l’assegnazione di borse di studio per igruppi di popolazione sfavoriti, che in questo modo riescono ad accedere a formazioni struttu-rate», spiega Barbara Jäggi Hasler, sostituta direttri-ce dell’Ufficio della cooperazione della DSC nelLaos. «Con il nostro progetto sosteniamo anche lariforma del settore della formazione professionalein Laos». Nel Paese del Sud-est asiatico le forma-zioni professionali tecniche non godono di moltoprestigio e il progetto potrebbe contribuire a cam-biare questa idea. ■

(Traduzione dal tedesco)

Phoonsab Thevongsa/DSC

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Giovani e sviluppo

Fatti e cifrePiù anziani qui, più giovani là In Europa, lo «sviluppo demografico» è sinonimo di invecchiamento, nei Paesi in via di sviluppo ha un significato ben diverso. Le diffe-renze sono evidenti se si paragonano le percentuali di giovani al di sotto dei vent’anni – sono il 10 per cento della popolazione in Europacontro il 26 per cento in Africa – e delle persone di età compresa tra i 45 e i 65 anni – il 14 per cento in Europa, il 6 per cento in Africa. Ne consegue che i due continenti devono affrontare sfide demografiche completamente diverse.

Cifre chiave • La maggior parte della popolazione mondiale ha meno di 30 anni. In 17 Paesi in via di sviluppo la metà delle persone ha addirittura meno di 18 anni.

• A livello mondiale, in media 39000 ragazze sotto i 18 anni vengono date in sposa ogni giorno.

• 1 miliardo di persone lavora nell’agricoltura; 500 milioni di famiglie contadine producono oltre l’80 per cento delle derratealimentari globali.

• In Europa, il 25 per cento delle imprese indica una carenza di competenze («skills») della manodopera sul mercato del lavoro; nell’Africa subsahariana e nell’Asia orientale tale quota è del 40-50 per cento.

• Il 46 per cento della popolazione attiva mondiale occupa im-pieghi poco produttivi e con una protezione sociale insuffi-ciente. Nell’Asia meridionale e nell’Africa subsahariana questa quota è del 70 per cento.

• A livello mondiale, oltre 100 milioni di giovani tra i 15 e i 24 anni sono analfabeti.

I giovani reclamano una formazione Con un sondaggio globale online realizzato su un campione dipersone di tutte le età, le Nazioni Unite hanno voluto cono-scere quali erano i desideri e le priorità della gente per il pe-riodo post-2015 e per la definizione dell’Agenda 2030 per unosviluppo sostenibile. 7,5 milioni di giovani sotto i 30 annihanno preso parte all’inchiesta. Per loro la priorità va data allaformazione, al secondo e al terzo posto ci sono il migliora-mento dei servizi sanitari e delle offerte d’impiego.www.myworld2015.org

Fonti e link• «Rapporto sullo sviluppo umano 2015» del PNUD www.undp.org (hdr, Work for human Development)

• «La condizione dell’infanzia nel mondo 2011» dell’UNICEF www.unicef.org

• «Lo stato della popolazione nel mondo 2014 – La forza di 1,8 miliardi: adolescenti e giovani possono trasformare il futuro» del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione UNFPA, www.unfpa.org

• «Rapporto sulle tendenze globali dell’occupazione 2016» dell’Organizzazione internazionale del lavoro ILO www.ilo.org (World Employment Social Outlook)

Europa 2016: il 13,3 per cento della popolazione ha menodi 25 anni.

Africa 2016: il 30,1 per cento della popolazione ha meno di25 anni. Fonte: www.populationpyramid.net

UOMINI DONNE UOMINI DONNE

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Claudia Wiens

18 Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

ORIZZONTI

Ad ogni ospite di Stato che lo visita l’Egitto pre-senta la sua visione 2030, illustrata per la prima vol-ta in occasione di una conferenza economica inter-nazionale a Sharm el-Sheikh con l’aiuto di graficicolorati e immagini da sogno. L’Egitto del 2030 èuno Stato civile, democratico, moderno, in cui lepersone vivono una vita sicura, stabile e felice. Il tas-so di crescita è del dodici per cento (oggi si aggirasul 3,5 per cento), l’aliquota dell’economia privataè passata dal 60 al 75 per cento, la disoccupazione èdiminuita dal 13 al 5 per cento e la povertà si è pra-ticamente dimezzata, scendendo dal 26,3 al 15 percento.

Più danni che beneficiPer raggiungere questi obiettivi ambiziosi occorro-no anzitutto enormi investimenti. Ma il clima at-tuale non è certo molto propizio. Da anni econo-misti e organizzazioni internazionali vedono nelladisfunzione dell’amministrazione pubblica il mag-giore ostacolo al processo di riforma. In parole po-

Migliaia di dossier rimangono inevasi nel centro amministrativo a Giza, nei pressi del Cairo. I cittadini si devono rivolgerea questo ufficio per ottenere un permesso di costruzione o l’autorizzazione per avviare un’attività.

vere: i danni sono maggiori dei benefici a causa del-la lentezza del sistema e della corruzione dilagante.La burocrazia non è solo una grande seccatura nella vita quotidiana di ogni singolo cittadino, macomplica soprattutto la vita agli uomini d’affari congravi conseguenze sulla competitività dell’econo-mia. Ci vogliono 189 giorni per registrare una dit-ta individuale. L’iter burocratico comprende ben 86tappe e costa più di 1000 franchi. «Il governo deve lottare contro la corruzione e con-tro abitudini di lavoro antiquate. Ancora oggi, nel-l’era della digitalizzazione, il funzionario scartabel-la le pagine di un fascicolo vecchio di trent’anni allaricerca di informazioni per comunicare alla perso-na presentatasi allo sportello che deve recarsi in unaltro ufficio». È la scena descritta in una lettera al direttore di un giornale e che è possibile vivere dipersona; basta dare un’occhiata nei sotterranei delministero dell’agricoltura al Cairo. Nei bui locali,percorsi da interminabili corridoi e intasati di cen-tinaia di migliaia di fascicoli, brulicano innumere-

Un esercito di funzionariimproduttiviGli obiettivi di sviluppo dell’Egitto per il 2030 sono ambiziosi. A ostacolarne il raggiungimento c’è però un esercito di settemilioni di impiegati statali. Servono riforme capaci di snellirel’apparato pubblico, bloccate per il momento dalla paura di per-dere privilegi di lunga data. Di Astrid Frefel, Il Cairo*.

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Dana Smillie/Polaris/laif

Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

Egitto

L’Egitto in sintesi

NomeRepubblica Araba d’Egitto

Capitale Il Cairo (circa 20 milioni diabitanti)

Superficie 1001450 km² – di cui soloil 4% è fertile (i territorilungo il Nilo e sul Delta delNilo).

Popolazione Circa 90 milioni, la metà dietà inferiore ai 24 anni

Lingua Arabo

Religione90% musulmani (sunniti) 10% cristiani (soprattuttocopti ortodossi)

Speranza di vita Uomini: 71 anniDonne: 76 anni

PovertàCon un prodotto internolordo di 3210 dollari procapite, l’Egitto fa parte deiPaesi con un reddito me-dio basso. Circa il 25 percento della popolazionevive al di sotto della sogliadi povertà di due dollari al giorno.

Economia Dalla rivoluzione nella pri-mavera del 2011, il turismoquale motore dell’econo-mia ha smesso completa-mente di funzionare. Soloin questo settore sonoscomparsi 900000 posti di lavoro. Il tasso di cre-scita è del 3,5 per cento.

voli impiegati. In Egitto, la burocrazia significa fun-zionari pubblici. L’amministrazione ne conta settemilioni. Ciò significa che un funzionario statale è alservizio di soli 13 cittadini; sono pochissimi se para-gonati ad altri Paesi. In Indonesia il rapporto è di 1 a 54, in Marocco di 1 a 38 e in Malesia di 1 a 21.I salari degli impiegati divorano quasi un terzo delbilancio pubblico e solo negli ultimi tre anni il loronumero è aumentato del 16 per cento.

Surrogato della politica sociale «Questa burocrazia è il retaggio di 60 anni di go-verno ed economia di stampo socialista. È soprat-tutto grazie all’apparato statale che l’industrializza-zione e la modernizzazione hanno conosciuto il pro-gresso. Dopo la sconfitta nella guerra contro Israelenel 1967, sono stati intrapresi vari sforzi volti a mi-gliorare le condizioni sociali della popolazione e aridare credibilità allo Stato. Ma le risorse sono sem-pre limitate. La politica socialista ha fatto sì che l’ap-parato di governo si occupasse in maniera partico-lare delle lacune. E questo ha spalancato le porte allacorruzione», spiega l’economista Sherif al-Diwany,illustrando l’evoluzione storica.«Malgrado i primi passi verso un’apertura e il mag-gior spazio accordato al settore privato, il successoeconomico non si è tradotto in realtà neanche sot-to Mubarak negli anni Novanta. In compenso sisono assunte ancora più persone nei servizi pubbli-ci. Ancora oggi, la politica sociale si fa attraverso ilsettore pubblico. Con l’inasprimento della crisi eco-

Nelle grandi città dell’Egitto, nell’immagine siamo al Cairo, la popolazione scende sempre più spesso in strada per esprimere il suo malcontento o per protestare contro la politica del presidente al-Sissi.

nomica e della concorrenza da parte delle forze dimercato, che diventano sempre più forti, la pubbli-ca amministrazione ha dovuto proteggere sé stessa.La sopravvivenza è diventata la sua ragion d’essere»,commenta la situazione attuale al-Diwany, già di-rettore del WEF. La visione patriarcale dello Stato, risalente ai tempidel presidente Nasser, è radicata nella memoria col-lettiva. Un impiegato statale ha in pratica la garan-

zia di non essere licenziato e gode così di una cer-ta sicurezza, anche se la remunerazione è scarsa. Ilsalario minimo ammonta a 1200 sterline (circa 150franchi). Lo stipendio massimo è fissato a 35 voltetanto, dunque 42000 sterline (5250 franchi). Esisteun vero e proprio mercato per questi posti di lavo-ro. Qualche tempo fa un mio conoscente ha sbor-sato circa 2000 franchi svizzeri per ottenere un po-sto in un ministero. In seguito non vi si è recato spes-so. I suoi soldi li guadagna facendo l’autista privato. Fino agli anni Ottanta, i laureati delle università statali avevano il posto di impiegato statale garanti-to. Dopo la rivoluzione del 2011, i diversi governihanno reagito alle proteste, offrendo un contratto fisso a 600000 impiegati a tempo parziale. Ancoraoggi chi ha conseguito un master o un dottorato puòinvocare un decreto del 2002 che garantisce il di-ritto all’assunzione. A intervalli regolari decine di exstudenti si riuniscono davanti alla sede del governonel centro del Cairo per rivendicare il diritto a unimpiego statale con tanto di salario garantito.

Mar Rosso

Sudan

Egitto

Il Cairo

Libia

Mare Mediterraneo

ArabiaSaudita

GiordaniaIsraele

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Jonathan Alpeyrie/Polaris/laif

20 Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

Ne basterebbero un milione?Tutti sono concordi sulla necessità di riformare il ser-vizio pubblico. Il presidente Abdelfattah al-Sisi inpersona ha messo in allarme gli impiegati statali,quando in un discorso ha dichiarato che un milio-ne di impiegati sarebbero sufficienti. Ha poi corret-to il tiro, dicendo in un’altra occasione che si po-trebbe fare a meno di un quarto dei funzionari. Nonsi tratta di cifre campate in aria. Al-Diwany propo-ne di prendere come metro di paragone la Turchia,Paese simile per dimensione e popolazione. Que-st’ultimo occupa 600000 impiegati. Persino il re-sponsabile dell’amministrazione centrale ha confer-mato che la metà dell’effettivo non è produttivo. Ilprimo passo, tuttavia, non sarà quello di tagliare po-sti di lavoro, bensì di professionalizzare e sfruttare me-glio le risorse umane. Per raggiungere questo obiettivo occorre una stra-tegia per riformare l’amministrazione pubblica. Nonbasta combattere i sintomi, come si è soliti fare nel-la politica egiziana, indica il ministro della pianifi-cazione Ashraf al-Arabi. Con una nuova legge sivuole dotare il Paese di un’amministrazione più ef-ficace, professionale, trasparente, equa e flessibile. In futuro, l’accento sarà posto sul perfezionamentoe sulla qualifica professionale. Gli impieghi nel set-tore pubblico dovranno essere assegnati conside-rando le qualifiche dei candidati, mediante bandi diconcorso centralizzati, per evitare discriminazioni efavoritismi. Anche le promozioni si dovranno basa-re sulle prestazioni. Secondo il nuovo sistema sala-riale, l’80 per cento del salario dovrà essere fisso e almassimo il 20 per cento sarà variabile. Oggi spessovale proprio il contrario. Anche i licenziamenti sa-ranno possibili, anche se a questo proposito gli osta-coli rimangono importanti. I criteri adottati negliuffici delle risorse umane dell’economia privata do-vranno valere anche per lo Stato.

Un quarto circa degli egiziani vive al di sotto della soglia di povertà e sbarca il lunario con meno di due dollari al giorno.

Il MogammaIl Mogamma è un palazzoamministrativo di 14 pianiche troneggia sulla piazzaTahrir, nel centro del Cairo.È anche il simbolo per ec-cellenza della burocraziaegiziana e non di rado è ilprotagonista di opere sati-riche. È un edificio che sirifà allo stile modernista,completato nel 1949 an-cora ai tempi di Re Faruk.È in questo grattacielo che vengono rilasciati, adesempio, i permessi disoggiorno. 30000 impie-gati pubblici lavorano nelpalazzo e ogni giorno 100000 visitatori cercanodi farsi strada da unosportello all’altro. Standoai piani dell’amministra-zione distrettuale delCairo, entro metà 2017 il Mogamma sarà sgom-brato per decongestionareil traffico nel centro città. I vari ministeri dovrebberomettere a disposizionedelle sedi alternative. Sista ancora cercando unanuova destinazione reddi-tizia per l’immobile.

Elogi per la nuova legge Gli economisti hanno elogiato il nuovo progetto dilegge, perché ci si augura che sia in grado di favori-re la creazione di un settore professionale competi-tivo. Tuttavia non sono mancate le proteste dei di-retti interessati. I funzionari statali temono di per-dere i loro privilegi di lunga data. Finora eranoabituati a ricevere tutti un giudizio positivo al 100per cento e dunque la promozione automatica infunzione dell’anzianità di servizio. Come in ogni ri-forma, anche in questo caso vi saranno vincitori eperdenti, ma i primi sono la maggioranza; al-Diwanyne è convinto. Secondo le sue stime, circa il dieciper cento degli impiegati approfitta della corruzio-ne – che lui preferisce chiamare rendita – per arro-tondare. Il restante 90 per cento aspetta un posto delgenere, che possa dischiudere questa opportunità.Ma i perdenti sono ben organizzati. L’analisi dell’e-conomista è confermata dai funzionari del fisco, in-clini a scendere in piazza. L’attuazione di questa riforma richiederà molti annie una ferma volontà politica, perché per tradizionegli impiegati statali egiziani sono anche una colon-na portante del regime. Alcuni direttori dell’ammi-nistrazione stanno già sperimentando di propria iniziativa approcci positivi per cercare soluzionicreative. E i laureati in egittologia hanno chiestospontaneamente che in futuro i posti di lavoro sia-no aggiudicati ai più bravi attraverso un concorsopubblico. ■

*Astrid Frefel è da 16 anni corrispondente per il MedioOriente. Vive al Cario da dove scrive per vari media inSvizzera e in Austria.

(Traduzione dal tedesco)

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21Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

Sul campo con… Romain Darbellay, capo uscente dell’Ufficio della cooperazionesvizzera al Cairo

Egitto

Sostenere la transizioneAll’indomani dellaPrimavera araba, laSvizzera ha lanciato unprogramma di coopera-zione per accompagnare ilMarocco, la Tunisia, laLibia e l’Egitto nel difficileprocesso di transizione. Ilprogramma è attuato daquattro uffici federali e siconcentra su tre ambitiprioritari: la democratizza-zione e i diritti umani, losviluppo economico, lamigrazione. In Egitto, laSvizzera sostiene i difen-sori dei diritti umani, pro-muove la creazione dipiattaforme di dialogo ed èimpegnata per migliorarel’accesso dei cittadini alleinformazioni. In campoeconomico si concentrasul ripristino delle infra-strutture urbane e sullacreazione di occupazione.In materia di migrazionecontrolla che in prigione imigranti abbiano accessoalle cure di base e aiuta leautorità nell’elaborazionedi una legislazione ade-guata.

DSC

Ogni giorno, verso le 18, la porta del mio ufficiosi apre da sola con uno scatto. Secondo me questostrano fenomeno è dovuto al calo della tempera-tura, che crea una tensione tra l’ambiente internoe quello esterno. Alcuni colleghi credono inveceche sia lo spettro della Villa Mosseri a palesarsi. Inpassato questo edificio, circondato da un vasto par-co, apparteneva a un ricco banchiere ebreo del Cai-ro. Quando nel 2011 abbiamo allestito i nostri uf-fici, i responsabili della manutenzione ci hanno det-to che era abitata dal fantasma di Hélène Mosseri,la terza moglie del proprietario, scomparsa tragi-camente nel 1952.

Scherzando, rassicuro i colleghi: «Non c’è motivodi temere il fantasma. Hélène è sicuramente feliceche si ridia vita alla sua dimora». In effetti orga-nizziamo regolarmente grandi riunioni nell’ex salada ballo, in particolare con i nostri partner della so-cietà civile. Villa Mosseri si è trasformata in un luo-go dove è possibile discutere, condividere idee,esprimersi liberamente senza temere di essere spia-ti dalla polizia. In Egitto alcune attività, come la

promozione del dialogo politico e dei diritti uma-ni, sono molto rischiose. Del resto, uno dei nostripartner è stato arrestato lo scorso ottobre e si tro-va ancora in detenzione preventiva.

I nostri progetti si concentrano nell’Alto Egitto,una zona rurale isolata. Per raggiungerla, mi piaceprendere il treno notturno che risale la valle delNilo. Il viaggio dura quattordici ore. Normalmen-te ci si sveglia a Luxor. Si attraversa la campagnaegiziana all’alba, osservando i contadini già inten-ti a lavorare nei campi. Verso le dieci il treno arri-va ad Assuan, la porta dell’Africa.

Il Nilo attraversa undici Paesi africani, ma le loropopolazioni non hanno praticamente nessun con-tatto tra loro. Una situazione che intendiamo cam-

«In Egitto alcune attività, come la pro-mozione del dialogopolitico e dei dirittiumani, sono molto

rischiose».

biare con uno dei nostri progetti. L’idea è di cre-are canali di dialogo per musicisti e studenti pro-venienti dagli Stati rivieraschi, organizzando stageresidenziali per artisti, concerti e attività accade-miche. Questo progetto dal forte impatto simbo-lico trae origine da un malinteso. Il suo iniziatore,un musicologo egiziano, è venuto un giorno a Villa Mosseri; cercava sostegno finanziario. L’ho ri-cevuto credendo che fosse un’altra persona… Ma ho trovato la sua idea talmente straordinaria che gli abbiamo fornito i mezzi per concretizzarla.

Molte delle nostre attività riguardano il settore idri-co. Aiutiamo gli agricoltori a rinnovare e a man-tenere autonomamente i canali d’irrigazione; sonoinfrastrutture fatiscenti delle quali lo Stato non sioccupa più da decenni. I coltivatori si organizza-no in associazioni per gestire insieme la distribu-zione dell’acqua. Questo progetto sostiene circa6000 famiglie rurali che grazie al nostro aiuto sonoriuscite ad aumentare la produzione e quindi le loroentrate. A renderlo possibile è stato un funziona-rio pragmatico che senza badare alle formalità ciha dato il permesso di occuparci dei canali, ben-ché, secondo la legge, l’unico a poterlo fare è il go-verno.

Il mio mandato scadrà quest’estate, poi assumeròla direzione dell’Ufficio della cooperazione di Tu-nisi. A dire il vero, avrei preferito rimanere qui an-cora un po’ per completare alcuni progetti in cor-so e per vedere quale direzione prenderà il processodi transizione. Lasciare l’Egitto proprio ora che ilPaese è in piena trasformazione mi dà la sensazio-ne di scendere da un treno in corsa. ■

(Testimonianza raccolta da Jane-Lise Schneeberger; traduzione dal francese)

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Shawn Baldw

in/NYT/Redux/laif

Sono una donna egiziana che non riesce a rela-zionarsi né con i neoricchi alto-borghesi, né conla maggioranza della popolazione del Paese. Coni primi mi sento insicura e a disagio. Mi criticanoapertamente o indirettamente perché mi oppon-go alle autorità. Inebriati dalla retorica cospirati-va del presidente, mi accusano di essere «un’agen-te» che lavora per «le forze straniere» con lo sco-po di «mettere in ginocchio» l’Egitto.

L’altro giorno, prima di recarmi all’e-stero per una conferenza sui dirittiumani, ho detto a mio figlio di non rac-contare ai compagni che ero in viag-gio, perché la nostra comunità odia i di-ritti umani e chi discute di politica congli «estranei». Non sono paranoica, maleggendo i commenti su Facebook soquale opinione hanno gli altri di me.Non hanno fatto il mio nome, ma leloro descrizioni mi calzano a pennel-lo. Non sono sorpresa perché non fan-no altro che ripetere esattamente ciòche il presidente continua a predicare.

Per fortuna sono solo una minoranzache si distingue però per il suo com-portamento malvagio. Prima della ri-voluzione del 2011, a cui ho parteci-pato, molti di loro approfittavano del-la corruzione che imperversava nelPaese. Altri sono «puliti», ma voglionolasciare tutto com’è perché ogni cam-biamento politico potrebbe strapparlidal loro attuale agio. Oppure hannopaura che «l’Egitto diventi come la Siria o l’Iraq»,se si permette a quelli come me di criticare aper-tamente le autorità.

Il secondo gruppo invece mi disprezza per altrimotivi. Si tratta di milioni di persone che stando

«Chi sarà il prossimo?»alle statistiche ufficiali e internazionali vivono aldi sotto della soglia di povertà. Questa gente temeche la rivoluzione, durante la quale scandivo «panee giustizia sociale», li faccia precipitare in una po-vertà ancora più nera. Ai loro occhi, io vivo nellabambagia e appartengo a quella cerchia di perso-ne ben istruite, che svolge professioni fuori dallaloro portata e che guadagna a sufficienza per per-mettersi buone scuole e per assecondare i capric-ci dei figli. La maggioranza della popolazione con-

duce una vita ben diversa. Per loro ab-biamo fatto la rivoluzione, promet-tendo miglioramenti e soluzioni, maitrasformati in realtà. Il fruttivendolo al-l’angolo, la signora che pulisce gli spo-gliatoi della piscina dove i miei figlivanno a lezione di nuoto e la donnadelle pulizie del nostro pediatra mi di-cono tutti la stessa cosa: «Almeno la-sciate la situazione così com’è, senzacausare altra miseria. Soffriamo già ab-bastanza e vogliamo solo vivere e la-sciar vivere».

Anche se mi sento isolata fra i duefronti, non sono completamente sola.La maggior parte dei giovani – sonoun quarto della popolazione – sostie-ne la rivoluzione in modo sia attivoche passivo. Gli osservatori locali e in-ternazionali delle elezioni presiden-ziali nel 2014 e di quelle parlamenta-ri nel 2015 confermano all’unisonoche i giovani hanno disertato le urne.Neanche io ho votato. Era un modo

per dire di no. Negli ultimi anni, in particolare dal2013 in poi, i militari hanno stretto la presa sui set-tori politici ed economici e la politica è diventa-ta ancora più brutale. Votare in un contesto del ge-nere avrebbe aiutato il regime a mascherare que-sto desolante quadro della situazione e avrebbeconferito legittimità alle pseudo elezioni. Il silen-zio ci unisce, ma non ci fa sentire meglio. Infatti,giorno dopo giorno apprendiamo che un altroamico è stato arrestato o è stato fatto sparire. Il cer-chio si sta chiudendo; ognuno ha un amico, un familiare o sa che un amico di un amico è statoarrestato o è stato perquisito senza motivo per stra-da. Siamo in molti a soffrire di depressione o del-la sindrome del sopravvissuto che nonostante pos-sa trascorre le sue notti a casa è attanagliato dalla paura. E continuo a chiedermi: «Chi sarà il pros-simo?». ■

(Traduzione dall’inglese)

Sara Khorshid

è una giornalista e

opinionista egiziana che

negli ultimi 13 anni ha

scritto molto sull’Egitto e

sulle relazioni fra Islam

e Occidente. Collabora

con il New York Times,

The Guardian, Al Shorouk

Egyptian daily, Alara-

biya.net, Al-Monitor,

Jadaliyya e con molti

altri media.

Una voce dall’Egitto

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23Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

DSC

La cenerentoladell’EuropaCon una superficie di 34000 km2 e 3,5 milioni di abitanti, la RepubblicaMoldova è uno dei Paesipiù piccoli e poveridell’Europa. Il reddito na-zionale lordo pro capite èdi circa 2000 dollari statu-nitensi e quasi il 21 percento della popolazionevive con meno di 4,30 dol-lari al giorno. Si calcola checirca un milione di moldovilavori all’estero; le loro ri-messe ammontano a quasi1,6 miliardi di dollari, pari al20 per cento del PIL delPaese. A rallentare la cre-scita economica ci pensaanche il conflitto irrisolto in Transnistria, dove c’èun’importante produzioneindustriale. Dal 1990, laTransnistria è uno Stato defacto indipendente, non ri-conosciuto dalla Moldovae dalla comunità interna-zionale.www.eda.admin.ch (Paesi, Moldova)

(lb) All’indomani della dissoluzione dell’Unionesovietica, le ex Repubbliche sovietiche hannotroncato il cordone ombelicale che le collegava algoverno centrale di Mosca. Così ha fatto anche laMoldova. Dall’indipendenza nel 1991, lo Stato dell’Europaorientale si trova in un difficile processo di tran-sizione. A farne le spese è anche il sistema di ap-provvigionamento dell’acqua potabile che nel cor-so degli anni è stato trascurato, soprattutto nelleregioni rurali del Paese. «La situazione era di-sastrosa», spiega Thomas Walder, responsabile diprogramma della DSC. «Eravamo alle porte del-l’Europa, eppure sembrava di essere in uno Statoin via di sviluppo in Africa. In molti villaggi, l’ac-qua era imbevibile e se c’erano, i servizi igienicierano spesso in uno stato pietoso».Era una situazione che comprometteva grave-mente la salute degli abitanti e che favoriva la dif-fusione di malattie. Per questo motivo, nel 2001,l’Aiuto umanitario della Svizzera ha avviato unprogetto volto a collegare le comunità rurali delcentro a fonti d’acqua potabile e a creare dei si-stemi di smaltimento delle acque reflue. In ottoanni, in collaborazione con le comunità e le im-prese locali si sono realizzati una ventina di im-pianti di approvvigionamento idrico decentraliz-zati. Ma non solo. Nei villaggi sono state fondate

delle cooperative di utenti, creando così le basi per responsabilizzare la popolazione e per garan-tire il buon funzionamento delle canalizzazioni sullungo termine.

Da aiuto umanitario a progetto di sviluppoIn una seconda fase, dal 2009 al 2014, l’interven-to umanitario si è trasformato in un progetto disviluppo. La DSC ha incaricato la ONG elveticaSKAT di proseguire con la costruzione delle con-dutture dell’acqua potabile e di un sistema igieni-co-sanitario. Dal 2014, circa 40mila persone han-no l’acqua corrente in casa, 14mila abitazioni sonodotate di toilette dignitose e in una cinquantinadi scuole sono stati installati gabinetti a secco Eco-san. Visti gli ottimi risultati ottenuti, il governo del-la Moldova ha chiesto alla Svizzera di lanciare unaterza fase, che dovrebbe concludersi nel 2019.«L’obiettivo principale sarà di rafforzare le com-petenze locali e di trasferire il sapere al ministeroresponsabile affinché garantisca una gestione sullungo periodo degli impianti», illustra Walder, checonclude elogiando il progetto poiché segue unosviluppo ideale: dall’aiuto umanitario, alla coope-razione bilaterale per finire nella trasmissione del-le conoscenze alle autorità locali. ■

Acqua potabile per tuttiAll’inizio del 21° secolo, nelle zone rurali della Moldova era qua-si impossibile trovare un rubinetto da cui spillasse acqua po-tabile o una toilette dignitosa. Grazie a un progetto promossodalla DSC, oltre 40000 persone hanno ora l’acqua corrente incasa e 14000 abitazioni sono collegate a una fognatura.

Nel villaggio di Serpeni, nel distretto Anenii Noi, la popolazione locale e un ingegnere controllano il nuovo sistema d’approvvigionamento dell’acqua potabile.

DSC (2)

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24 Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

Degrado da sfrutta-mento eccessivoNel 1990, all’indomanidella caduta del regime co-munista, la Mongolia con-tava 25 milioni di animalida reddito. Con la privatiz-zazione del bestiame, untempo di proprietà delloStato, il loro numero èquasi triplicato. La quantitàsproporzionata di capi dibestiame esercita un’e-norme pressione sui pa-scoli, la cui vegetazionenon riesce più a rigene-rarsi. Secondo le stime, dal70 all’80 per cento dei ter-reni dell’altopiano è degra-dato. Per lottare controquesto fenomeno, la DSCha lanciato un progetto perincoraggiare la gestionecollettiva dei pascoli daparte degli allevatori.Organizzati in gruppi, i pa-stori stabiliscono piani digestione sostenibile e sal-vaguardano maggiormentele risorse vegetali, graziealla rotazione stagionaledei pascoli, alla messa amaggese e alla recinzionedei terreni destinati allaproduzione di fieno.

La Mongolia e i suoi animali da redditoSull’altipiano mongolo vengono allevati dai 60 ai 70 milioni di capi di bestiame; animali che potrebbero placare la fame dicarne della Cina se godessero di una salute migliore. Una ri-forma del sistema veterinario realizzata con il sostegno dellaDSC permetterà di prevenire e combattere le numerose malat-tie che colpiscono gli animali da reddito.

DSC

( jls) Circa 180000 famiglie di allevatori, pari a qua-si un terzo della popolazione mongola, sono noma-di e si spostano con le loro mandrie nelle steppe. Se-condo le stime possiedono tra i 60 e i 70 milioni dianimali (capre, pecore, mucche, yak, cavalli e cam-melli), un numero di capi mai raggiunto prima.Il bestiame è esposto a varie malattie. La cattiva sa-lute degli animali ha molteplici ripercussioni nega-tive. Innanzitutto causa mancate entrate per gli al-levatori, giacché le bestie malate sono meno pro-duttive. Inoltre, le zoonosi (malattie trasmissibiliall’uomo) sono una minaccia per la salute pubblica.Infine, i problemi sanitari del bestiame ostacolanol’esportazione di prodotti di origine animale. LaMongolia potrebbe produrre molta più carne diquella necessaria a nutrire i suoi tre milioni di abi-tanti. Lo Stato dell’Asia orientale vorrebbe espor-tarla, in particolare verso la Cina, ma gli importato-ri impongono condizioni molto restrittive.

Reagire più rapidamente«Il governo della Mongolia sa che per esportare car-ne deve disporre di un sistema veterinario efficien-te», dice Daniel Valenghi dell’Ufficio della coopera-zione svizzera a Ulan Bator. Tuttavia, le strutture attuali, molto centralizzate, non consentono di con-trollare in modo sistematico la salute del bestiame edi reagire tempestivamente per evitare lo sviluppodi un focolaio epidemico in un distretto. Dal 2008,la DSC aiuta la Mongolia a riorganizzare e renderepiù efficace il suo sistema veterinario.Uno degli obiettivi del progetto è l’adeguamento delquadro legislativo. Con il supporto di esperti sviz-zeri, il ministero dell’agricoltura ha elaborato unanuova legge relativa alla salute degli animali, attual-mente in discussione in parlamento. «Con la prece-dente normativa, ereditata dal regime sovietico, loStato si occupava di ogni aspetto del settore veteri-nario», spiega Daniel Valenghi. «In futuro gli alleva-

In Mongolia, la formazione dei veterinari è ora incentrata maggiormente sulle competenze pratiche e sui veri bisognidegli allevatori. Inoltre, i curricoli professionali sono stati adeguati agli standard internazionali.

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25Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

tori avranno maggiori responsabilità. Ad esempio,spetterà loro e non più allo Stato vaccinare le greg-gi». La nuova legge definisce i compiti dei vari at-tori a tutti i livelli, creando una catena gerarchica cheparte dal ministero dell’agricoltura e termina conl’allevatore. In questo modo il sistema veterinariopotrà reagire più rapidamente alle epidemie.

Lotta contro due epizoozieGli esperti svizzeri hanno inoltre sostenuto lo svi-luppo di strategie che permetteranno di controlla-

La lotta contro le malattie animali migliora anche il reddito delle famiglie di allevatori, debella le patologie trasmissibiliall’uomo e facilita l’esportazione di carne verso la Cina.

re più efficacemente la brucellosi e l’afta epizooti-ca. «Ci siamo concentrati su due sole epizoozie, mamolto diffuse. Il nostro piano d’intervento dovreb-be fungere da modello per lottare contro altre ma-lattie», spiega Geneviève Contesse, incaricata di pro-gramma presso la DSC. Il progetto ha rafforzato lecapacità dei servizi veterinari cui spetterà il compi-to di trasformare in realtà le linee guida.Per quanto riguarda la brucellosi, una malattia tra-smissibile all’uomo, la strategia mira a sradicarla en-tro il 2020, combinando due misure: la prima è in-centrata sulla vaccinazione del bestiame, la secondasulle campagne di sensibilizzazione per incentivaregli agricoltori a proteggersi dal contagio. Il proget-to promuove il controllo degli animali affinché tut-ti i capi vengano vaccinati. «Se in un Paese è pre-sente la brucellosi, significa che il suo sistema vete-rinario non funziona adeguatamente, poiché questazoonosi può essere estirpata facilmente», spiega Da-niel Valenghi. La strategia poggia sul concetto «OneMedicine – One Health», che implica la collabora-zione tra medicina veterinaria e umana.

Controllare gli spostamentiL’afta epizootica, una malattia spesso benigna cheguarisce spontaneamente, pone invece problemi so-prattutto in vista di una futura esportazione, prose-

gue Daniel Valenghi: «Le vacche ammalate produ-cono meno latte, il che non è così grave in un Pae-se dove ogni allevatore possiede in media 155 be-stie. Ma essendo una malattia altamente contagiosa,la loro carne non può essere esportata nei Paesi incui il virus è stato debellato. L’obiettivo del proget-to è di istituire nella regione occidentale della Mon-golia una zona protetta dall’afta epizootica». Questostatuto sanitario, indispensabile per poter esportarecarne, viene assegnato dall’Organizzazione mondialedella sanità animale sulla base di una procedura di

valutazione. Per ottenerlo la Mongolia dovrà con-trollare gli spostamenti delle greggi e delle mandrie,impedire ogni contaminazione e definire un pianod’emergenza in caso di focolai della malattia.

Migliorare la formazione La terza componente del progetto riguarda la formazione dei veterinari. La facoltà di biotecno-logie veterinarie (SVMB) di Ulan Bator è stata sottoposta a una valutazione esterna. «Da questo studio è emerso che l’istruzione era troppo teoricae lontana dalla realtà», osserva Geneviève Contesse.«Al termine della formazione i veterinari non di-sponevano delle competenze necessarie per svolge-re efficacemente il loro lavoro sul campo». In colla-borazione con alcuni esperti svizzeri e britannici laSVMB ha riformato il programma di studi, con-centrandoli maggiormente sulla pratica e sui biso-gni effettivi. Ha migliorato i metodi d’insegnamen-to e rafforzato le competenze dei docenti. I nuovicurricoli sono ora conformi agli standard interna-zionali. Inoltre, i promotori del progetto hanno so-stenuto l’acquisto di attrezzature e la realizzazione,accanto alla scuola, di una stalla destinata al lavoropratico. ■

(Traduzione dal francese)

DSC (2)

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Bertrand Rieger/hemis.fr/laif

Ted Wood/Aurora/laif

Thom

as Haugersveen/VU/laif

Dietro le quinte della DSC

Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

stente con il sostegno delCentro internazionale per il recupero dei beni sottratti(ICAR), che ha sede a Basilea,e sulla realizzazione di campa-gne di sensibilizzazione attra-verso i mass media. Fra le numerose misure previste, ilprogetto si propone anche dipromuovere elevati standardsociali e ambientali nel settoreprivato, in collaborazione conil Patto mondiale delle NazioniUnite, e una gestione azien-dale sostenibile.Durata del progetto: 2016-2018Budget: 3 milioni di CHF

Formazione dei giovani(scwau) L’Albania registra untasso di disoccupazione moltoelevato. Sono soprattutto igiovani a non trovare un im-piego a causa di un sistema diformazione professionale chenon prepara gli studenti allereali esigenze del mercato dellavoro. Dallo scorso mese dimaggio, la DSC sostiene unprogetto di riforma promossodal governo. L’obiettivo è difavorire la trasmissione dimaggiori competenze profes-sionali nei settori economici inespansione, quali il turismo,l’edilizia e l’industria tessile.Alla fine della loro formazione,i circa 8500 giovani coinvoltinel progetto avranno tutte lecarte in regola per accedere almondo del lavoro. Durata del progetto: 2016-2019Budget: 6,3 milioni di CHF

Servizi sanitari di qualità(tne) Nonostante i recentisforzi tesi a riformare l’approv-vigionamento dei servizi dibase, il settore sanitario inKosovo presenta ancora pa-recchie lacune. I pazientimeno abbienti devono pagaredi tasca propria oltre il 40 per

Violenza domestica(bm) In Mongolia, il boom mi-nerario degli ultimi dieci anniha creato squilibri e ha gene-rato una significativa trasfor-mazione della società, con unconseguente aumento dellaviolenza contro le donne, unfenomeno favorito anche dal-l’abuso di bevande alcoliche.Nonostante l’adozione nel2004 di una legge contro laviolenza nei confronti delledonne, il numero delle vittimeè ancora elevato. Di recente,la Svizzera ha sostenuto unprogetto volto a favorire l’applicazione della legge.Quest’ultimo sostiene in parti-colare lo Stato nella raccoltadi dati affinché sia possibilefar rispettare la normativa esviluppare dei servizi adeguatie di qualità. L’iniziativa dovràinoltre favorire la sensibilizza-zione della popolazione edelle istituzioni su questo problema.Durata del progetto: 2016-2020Budget: 4 milioni di CHF

Lotta alla corruzione(bm) La corruzione continua a frenare lo sviluppo inTanzania. Nonostante l’istitu-zione nel 2007 di un servizionazionale di prevenzione e dilotta, il Paese fatica a conte-nere questo malcostume. LaDSC intende favorire la realiz-zazione di un ambiente istitu-zionale e sociale che pro-muova la riduzione dellacorruzione nel Paese dell’Afri-ca orientale. L’iniziativa è fo-calizzata sul rafforzamentodelle capacità del servizio esi-

cento delle cure mediche, unasituazione che spesso impedi-sce loro di far capo ai servizisanitari. Nell’ambito di un pro-getto sostenuto dalla DSCvengono rafforzate le compe-tenze tecniche del personaleinfermieristico. La collabora-zione con svariati attori dellasanità pubblica consentirà a600000 persone di beneficiaredi un accesso migliore ai ser-vizi sanitari e di prestazioni diqualità.Durata del progetto: 2016-2019 Budget: 6,55 milioni di CHF

Protezione del clima(sauya) Il progetto CapaCITIESsostiene quattro città indianenei loro sforzi per ridurre leconseguenze negative dellarapida urbanizzazione. Grazieal sostegno della DSC, le au-torità saranno in grado di mi-gliorare la loro pianificazioneurbana, di mettere in atto dellemisure volte a ridurre le emis-sioni di gas a effetto serra e diprepararsi agli inevitabili effettidei mutamenti climatici. Perraggiungere questi obiettivisarà necessario svilupparenuove strategie di gestionedei rifiuti, dell’acqua, dei tra-sporti e del consumo energe-tico degli edifici. Le città sonole maggiori responsabili delleemissioni di gas a effettoserra. Con questo progetto laDSC contribuisce a rendere losviluppo urbano più sosteni-bile, come indica l’undicesimoobiettivo dell’Agenda 2030.Durata del progetto: 2016-2019Budget: 4,98 milioni di CHF

Lotta alla malnutrizione(kiv) La vita di donne e bam-bini nello stato del Rakhaing,sulla costa occidentale delMyanmar, è a volte appesa a un filo a causa della totaleassenza di servizi di base. Unprogetto di Azione Contro laFame (ACF), sostenuto dallaDSC, favorisce l’accesso allecure per la malnutrizioneacuta e lo sviluppo di solu-zioni volte a risolvere l’insicu-rezza alimentare cronica. Abeneficiare di questa iniziativasaranno soprattutto personedenutrite, in particolare 11000bambini e oltre 2600 gestantie donne che allattano.Durata del progetto: aprile-dicembre 2016Budget: 385 418 CHF

Acqua potabile(kiv) L’Aiuto umanitario dellaDSC ha inviato alcuni espertinelle regioni colpite dal fortesisma che il 16 aprile 2016 hascosso l’Ecuador. Il personalesvizzero ha distribuito taniched’acqua, kit per l’igiene personale e pastiglie di cloroper igienizzare l’acqua aChamanga, Muisne e Peder-nales. In quest’ultima citta-dina, la costruzione di due im-pianti che regolano il dosaggiodel cloro ha permesso di ripri-stinare l’approvvigionamentodi acqua potabile per i 27000abitanti. La Svizzera ha anchesostenuto alcune unità mobilidella Croce Rossa ecuado-riana e colombiana che forni-vano acqua potabile ai villagginei pressi di Chamanga.Inoltre, gli esperti del Corposvizzero di Aiuto umanitariohanno collaborato con orga-nizzazioni internazionali. Durata del progetto: maggio 2016Budget: 1,6 milioni di CHF

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FORUM

1100 miliardi di dollari persi Riciclaggio, evasione fiscale, corruzione e manipolazione deiprezzi: i flussi finanziari illegali danneggiano soprattutto i Paesi in via di sviluppo. La Svizzera, in quanto piazza finan-ziaria e centro nevralgico del commercio in materie prime, vuole contrastare questo fenomeno. Di Fabian Urech.

«I Panama Papers sono solo l’inizio», sostiene con-vinto Tom Cardamone. Per il direttore di Global Fi-nancial Integrity (GFI), una ONG americana, le ul-time rivelazioni rispecchiano la sconfitta della poli-tica nella lotta contro i flussi finanziari illegali globali.«In questo caso stiamo parlando degli affari di unsolo studio legale in un solo Paese; figurarsi dunquela portata a livello globale». Stando alle stime, le somme di denaro che vengo-no trasferite in modo illegale sono enormi. E sonosoprattutto i Paesi in via di sviluppo e i Paesi emer-genti a soffrire a causa di questa emorragia finan-ziaria. Secondo gli ultimi calcoli di GFI, nel 2013 ilvolume degli illicit financial flows (IFF) ammontava a1100 miliardi di dollari. Si tratta di un importo digran lunga superiore a quello stanziato per l’aiutoallo sviluppo: denaro di cui questi Paesi avrebberourgentemente bisogno per il loro sviluppo.

Secondo i calcoli dell’organizzazione umanitariaChristian Aid, i governi dei Paesi in via di sviluppoavrebbero a disposizione ogni anno circa 160 mi-liardi di dollari di gettito fiscale, se il denaro che costituisce i flussi illegali restasse al loro interno efosse tassato correttamente. Per il momento non siintravede però un’inversione di tendenza: stando aGFI, il volume degli IFF globali aumenta ogni annodel 6,5 per cento. «Questi flussi monetari verso l’e-stero sono l’ostacolo maggiore per lo sviluppo deiPaesi più poveri», spiega Cardamone.

Freno allo sviluppo sostenibile Favoriti dalla globalizzazione e dalla liberalizzazio-ne dei traffici finanziari globali, negli ultimi tren-t’anni i flussi monetari illeciti hanno conosciuto unacrescita esponenziale. I metodi e le pratiche per tra-sferire illegalmente denaro da un Paese all’altro sono

La scoperta dei Panama Papers ha svelato pubblicamente i flussi finanziari illeciti e ha fatto balzare in prima paginala capitale dello Stato centroamericano.

A breve un rapporto delConsiglio federale Il Consiglio federale pre-senterà, presumibilmenteancora quest’anno, unrapporto sulla problema-tica dei flussi finanziarisleali e illeciti provenientidai Paesi in via di sviluppo.Il rapporto fornirà una pa-noramica esaustiva, illu-strando in quale misura lapiazza finanziaria elvetica ela Svizzera, quale Paese incui hanno sede molte mul-tinazionali commerciali,siano coinvolte nella pro-blematica. Inoltre, il testoindicherà i rischi per la re-putazione della Svizzera,descriverà quale posizioneassumerà il Consiglio fede-rale a livello internazionalerispetto a questa que-stione e come intende ar-ginare questi flussi di de-naro illecito in futuro. Ilrapporto spiegherà anchecome la Svizzera collabo-rerà a livello internazionalenella lotta contro i flussi fi-nanziari sleali e illeciti.

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Kadir van Lohuizen/Noor/laif

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solo una delle cause. Riciclaggio, evasione fiscale,corruzione e manipolazione dei prezzi nell’ambitodelle transazioni commerciali sono i reati più fre-quenti. Il sistema comprende però anche certe modalità di trasferimento che, pur non essendo vietate, frenano lo sviluppo. Pensiamo, ad esempio,ad alcune misure di ottimizzazione fiscale. Negli ultimi anni è aumentata la consapevolezza inmerito agli effetti negativi per lo sviluppo sosteni-bile dei flussi finanziari illeciti. A essere toccati daquesto fenomeno sono sia i Paesi industrializzati siaquelli in via di sviluppo. Arginare gli IFF è stato per-ciò un importante punto all’ordine del giorno del-la Conferenza per il finanziamento dello sviluppotenutasi l’anno scorso ad Addis Abeba, in Etiopia. Neldocumento finale, la comunità internazionale si èimpegnata a raddoppiare entro il 2030 i propri sfor-zi per combattere i flussi finanziari illeciti. La «so-stanziale riduzione dei flussi finanziari illeciti» è sta-ta inserita anche nell’Agenda 2030 per uno svilup-po sostenibile. Per Werner Thut, esperto di questioni politiche presso la DSC, si tratta di segnali importanti. «La ne-cessità di agire è ampiamente riconosciuta sia a livello internazionale sia in Svizzera». Per quantoriguarda l’entità dei flussi e le definizioni rimango-no ancora molte questioni da chiarire, ma è evidenteper tutti che l’ambiziosa agenda per uno svilupposostenibile non potrà essere attuata senza un freno aquesti trasferimenti di capitali.

Sforzi internazionali In alcuni Paesi e nell’UE le rivelazioni degli ultimianni hanno portato a un inasprimento dei control-li e delle leggi per eliminare almeno le scappatoiegiuridiche più importanti. A livello internazionale,l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppoeconomico (OCSE) è stata uno dei pionieri in que-sto campo. Nell’ambito dell’iniziativa anti-BEPS,l’OCSE ha elaborato delle raccomandazioni perimpedire il trasferimento degli utili delle società in-ternazionali nei paradisi fiscali. Per Alex Cobham, direttore della ricerca del Tax Ju-stice Network, le informazioni acquisite grazie ai Pa-nama Papers danno nuovo slancio agli sforzi già in-trapresi. «La dichiarazione dei rapporti di proprietàeconomica o lo scambio automatico di informa-zioni, derisi ancora alcuni anni fa, oggi occupano iprimi posti fra le priorità dell’agenda internaziona-le», sostiene Cobham. Eppure per l’esperto fiscale viè ancora un enorme divario fra le esigenze e l’at-tuazione pratica. «Le dichiarazioni d’intenti sonobuone, ma lasciano ancora aperte molte domandesu come verranno tradotte in realtà».

Il ruolo della Svizzera Intanto per Cobham è chiaro che la Confederazio-ne ha un ruolo decisivo nella lotta contro gli IFF.«La Svizzera è tutt’ora uno dei centri del traffico glo-bale di capitali, in particolare nel contesto del com-mercio di materie prime e dei valori patrimoniali

La Nigeria è uno degli Stati più ricchi di materie prime. I flussi finanziari illeciti lasciano la popolazione nella povertà più nera.

Il salasso dell’AfricaIl continente più povero èquello più interessato dalfenomeno del trasferi-mento illegale di capitali.Ogni anno, stando all’ONGamericana Global FinancialIntegrity, gli Stati africaniperdono circa il sei percento del proprio potereeconomico a causa degliIFF. Nei Paesi ricchi di ma-terie prime, come laNigeria, questa emorragiadi denaro è ancora più vi-stosa. L’anno scorso variPaesi africani hanno riven-dicato la costituzione diun’agenzia dell’ONU percombattere la frode fiscale.Ma la maggior parte deiPaesi industrializzati habocciato la proposta.

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Eric Lafforgue/Invision/laif

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nascosti». Nella classifica «Financial Secrecy Index»del Tax Justice Network, la Confederazione occupaancora il primo posto. Quale importante piazza bancaria che opera a livello globale, la Svizzera è particolarmente espostaa questo fenomeno. «In quanto centro finanziario ePaese con un basso tasso fiscale, la Svizzera, insiemead altri Paesi, fa sì che il deflusso delle già scarse ri-sorse finanziarie dai Paesi in via di sviluppo sia digran lunga maggiore all’importo complessivo del-l’aiuto allo sviluppo, così almeno dicono le stime»,osserva Pio Wennubst, vicedirettore della DSC. Negli ultimi anni, la Svizzera si è data parecchio da

fare per contrastare il problema dei flussi finanziariilleciti. Per esempio inasprendo una legge sul rici-claggio di denaro, con varie misure contro la cor-ruzione e procedure per il rimpatrio dei capitali deipotentati. Inoltre, la Svizzera si è impegnata ad at-tuare entro il 2018 l’accordo OCSE sullo scambioautomatico delle informazioni fiscali (SAI), nonchéle principali convenzioni anti-BEPS.

Il trasferimento illegale di denaro, nell’immagine siamo nelSomaliland, priva i Paesi delle fondamentali entrate fiscali.

Per sistemi fiscali equi Il progetto anti-BEPS èstato lanciato dal G-20.L’obiettivo è di bloccare la sottrazione di risorse alfisco da parte dei grossigruppi multinazionali. Nel2012, l’OCSE è stata inca-ricata di elaborare delle mi-sure contro la cosiddettaerosione della base impo-nibile e il trasferimento de-gli utili verso i paradisi fi-scali («Base Erosion andProfit Shifting»). Le racco-mandazioni e i nuovi stan-dard minimi sono stati pre-sentati lo scorso autunnoal G-20 che li ha sostenutia livello politico. In Svizzerale di-sposizioni anti-BEPSdovranno essere introdotte in parte nell’ambito dellaterza riforma sull’imposi-zione delle imprese.

«Strategia della zebra»?«Nella lotta contro i fondi neri, la Svizzera ha fattoprogressi», conferma Dominik Gross, esperto di po-litica internazionale e finanziaria presso AllianceSud. Tuttavia, ciò vale soprattutto nei confronti deiPaesi ricchi del Nord. Il Consiglio federale e il Par-lamento seguono una «strategia della zebra», sostie-ne Gross. «Mentre dai Paesi industrializzati dovreb-bero affluire in Svizzera solo fondi puliti, le banchesvizzere sono sempre ancora molto attrattive per glievasori fiscali di molti Paesi africani». In generale,alla maggior parte degli Stati occidentali manca lavolontà di introdurre un regime fiscale globale cheprenda in considerazione le esigenze dei Paesi in viadi sviluppo, indica Gross. Andrew Ertl dell’Associazione svizzera dei ban-chieri respinge le accuse. La Confederazione è fra iprimi Paesi ad aver adeguato il suo settore finanzia-rio agli standard internazionali. «La Svizzera vantauna lunga tradizione nella lotta contro il riciclaggio.Dopo la crisi economica di alcuni anni fa, il setto-re finanziario ha ulteriormente intensificato i suoisforzi», afferma il giurista. «Le nostre banche sotto-stanno a numerose disposizioni relative agli obbli-ghi di diligenza che reggono il confronto a livellointernazionale». Per Ertl le cause dei flussi finanzia-ri illeciti vanno cercate nei Paesi di origine.

Coerenza politica Le organizzazioni per lo sviluppo sono concordi nel-l’affermare che in futuro ci si concentrerà ancora dipiù sulla tematica degli IFF. L’importante sarà coor-dinare gli interessi di politica economica con quel-li volti a favorire lo sviluppo, anche se non perse-guono sempre gli stessi obiettivi. «Per un impiegoefficace dei mezzi già limitati destinati dalla Svizze-ra all’aiuto allo sviluppo occorrono delle soluzionipolitiche coerenti – proprio nei settori in cui la pre-senza Svizzera ha un ruolo significativo a livello internazionale», dichiara Werner Thut della DSC. Nel nuovo messaggio sulla cooperazione interna-zionale della Confederazione per il periodo 2017-2020 è stato riservato un capitolo essenziale alla coerenza politico-economica.Tom Cardamone del Global Financial Integrityguarda con ottimismo a questa tendenza: «La vocedella Svizzera in questo settore è una voce impor-tante. Se la Svizzera collabora ad arginare i flussi fi-nanziari illeciti, i Paesi in via di sviluppo trarrannodei vantaggi molto più significativi di qualsiasi aiu-to allo sviluppo fornito dalla Confederazione». ■

(Traduzione dal tedesco)

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Anna María Arango

Gil Giuglio/hem

is.fr/laif

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La magia del Caño Cristales

Carta bianca

Un po’ di anni fa il nome dellaregione colombiana dellaMacarena, situata nel diparti-mento di Meta, era noto a moltipoiché i media riportarono deltentativo di avviare un processodi pace tra lo Stato e le forze armate rivoluzionarie dellaColombia. Nonostante il falli-mento di quei negoziati, ilmondo aveva scoperto un para-diso degno di un racconto diGabriel García Márquez.

Nella Sierra de la Macarena,piena di vita e dove l’aria è lim-pida, convergono quattro delleprincipali regioni dell’Americalatina: l’Orinoquia, l’Amazzo-nia, le Ande e la Guyana. E pro-prio lì, in mezzo alle forestepluviali, ai boschi e alle pianureerbose dell’Amazzonia, nasce unpiccolo fiume che riunisce tuttii colori dell’arcobaleno.

Questo fiume è il CañoCristales. Anche se raggiunge amalapena i 100 chilometri dilunghezza e una larghezza disoli 20 metri è considerato dagliscienziati di tutto il mondo unambiente fondamentale per lostudio della fauna selvatica delpianeta. Il suo corso ospita circa Ana María Arango vive e la-

vora a Bogotà. Nella capitalecolombiana è conosciuta dalvasto pubblico come giornali-sta, moderatrice e politologadel popolare programma tele-visivo «El primer Café», diffusodall’emittente Canal Capital.La trasmissione affronta inmaniera ironica temi politici ed’attualità. Negli ultimi anni,Ana María Arango si è impe-gnata nell’ambito della coope-razione internazionale allo sviluppo, della gestione del-l’informazione, dei diritti umanie dell’aiuto umanitario.«Prima di tutto sono un’inse-gnante ed è l’attività che pre-ferisco», afferma Ana MaríaArango, che insegna scienzepolitiche all’UniversidadExternado de Colombia diBogotá. «Insegnare non è soloil mio lavoro, ma anche il miohobby».

12000 specie vegetali, 63 di rettili, 43 di mammiferi e 420famiglie di uccelli, di cui 23 arischio di estinzione. Una ric-chezza vegetale e animale che lohanno trasformato in un luogodi studio privilegiato dalla co-munità scientifica internazio-nale.

Il paesaggio è di una bellezzaindescrivibile, la natura ricoprequasi tutto di un verde intensoe le cascate circostanti rinfre-scano l’aria tropicale. Il verogioiello della Sierra è però ilfiume Caño Cristales.

Come nel disegno di un bam-bino, le acque del fiume passanodal turchese acceso al viola pro-fondo, dal verde erba al rossovivo, fino ad assumere le sfuma-ture del giallo all’orizzonte.L’artefice di questa magia èun’alga endemica, la Macareniaclavigera, che insieme alle roccesedimentarie del letto del fiumecrea un paesaggio ineguagliabilee ricco di angoli meravigliosi.

Grazie al suo alveo roccioso, ilCaño Cristales è tutto un susse-guirsi di rapide, cascate e pozzicaratterizzati da forme e colori

straordinari che si possono os-servare a occhio nudo grazie all’acqua cristallina.

Le formazioni rocciose chedanno forma al corso del fiumee la topografia dell’intera re-gione sono tra le più antiche del pianeta: hanno più di 1,2miliardi di anni e fanno partedel Massiccio della Guyana, chepartendo dal Brasile passa dagliStati della Guyana e delVenezuela.

Non lontano dal Caño Cristalessi trovano siti archeologici conincisioni rupestri e pittogrammirealizzati dalle popolazioni indi-gene precolombiane che abita-vano nella regione. La gentedella zona conosce bene questidisegni e quando li presenta aituristi li arricchisce con raccontidei propri antenati che, senzanulla togliere al loro valore ealle emozioni trasmesse, sono si-curamente più immaginari chereali.

In fondo ci si aspetterebbe chequesta meraviglia della natura,che ogni anno attira migliaia dituristi colombiani e stranieri,desse l’impulso a una fiorenteattività turistica; purtroppo nonè così. Le guide sono scolari ocontadini, gli alberghi sono rarie modesti e l’offerta di ristorantiè molto limitata.

Benché questa zona offra note-voli opportunità di sviluppo e il governo locale promuova deiprogetti volti a sviluppare il settore turistico nel rispetto delprezioso ambiente, sull’interaregione incombe un rischio im-minente: l’attività mineraria. Le caratteristiche geologichedella zona, che ne determinanol’immenso valore ecologico, lasciano supporre che il sotto-suolo celi giacimenti minerari e petroliferi.

Per adesso il Caño Cristales èsalvo e offre ai viaggiatori un’e-sperienza unica, salvo nei seimesi della stagione secca in cui i turisti non possono ammirarnele meraviglie per evitare checalpestino la Macarenia clavigera,compromettendo l’esplosione di colori che rende questofiume il più bello al mondo. ■

(Traduzione dallo spagnolo)

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Gil Giuglio/hem

is.fr/laif

Derwal Fred / hemis.fr

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CULTURA

Lo scrittore mauritano Mbarek Ould Beyrouk accompagna i suoi lettori in ac-campamenti e oasi del Sahara dove i beduini vivono secondo tradizioni ance-strali e descrive le tensioni tra queste tribù nomadi e la società urbana. Il suoultimo romanzo «Le tambour des larmes» ha ottenuto il premio Kourouma 2016.A colloquio con Jane-Lise Schneeberger.

Lei ha già vinto diversipremi letterari. Che signifi-cato ha per lei il premioKourouma che le è statoconferito lo scorso mese diaprile al Salone internazio-nale del libro di Ginevra? Mbarek Ould Beyrouk: Sonomolto felice di questo riconosci-mento, innanzitutto perché ilpremio è divenuto nel corso de-gli anni uno dei riconoscimentipiù prestigiosi della letteraturafrancofona. Poi perché porta ilnome dello scrittore ivorianoAhmadou Kourouma, del qualeapprezzo molto la scrittura.Infine amo molto la città diGinevra, che avevo già visitato in un’edizione precedente delSalone internazionale del libro.

Lei è uno dei pochi scrittorifrancofoni della Mauritania.Perché ha scelto di scriverein questa lingua?

netrano e finiscono sempre percompletarsi, in un certo senso,per abbracciarsi. Tutti abbiamopaura di ciò che apportano gli altri, perché spesso temiamo diperdere le nostre radici.Dobbiamo ricordare che muo-iono soltanto le culture che nonsi aprono. In me continua a vi-vere una parte del mio essere be-duino. Non la nascondo, e nonme ne vergogno. Questa non mi

impedisce nemmeno di essereuno scrittore francofono e diavere amici in tutto il mondo.

Lei, beduino? Ma è una per-sona sedentaria, ha semprevissuto in città. I beduini, per definizione, conduconouna vita nomade…L’essere beduino è più di unostile di vita. È un’arte di vivere,una cultura, un modo di conce-

Mio padre era un docente fran-cofono. Insegnava francese aibambini beduini, pensando difornire loro nello stesso tempoun’arma per la libertà. A dodicianni mi sono innamorato di que-sta lingua quando ho incontratoper la prima volta Victor Hugo.La lettura dei «Miserabili» mi haappassionato per tutti i tre mesidelle vacanze estive. Da alloraquesto amore non è mai svanito.Ovviamente sono molto legatoalla mia lingua madre, l’hassaniya,e alla cultura profondamente me-ticcia del mio popolo. La lettera-tura francese mi ha anche inse-gnato che le culture non siscontrano, ma si abbracciano.

Che cosa intende dire?Quando si incontrano, le culturesuscitano dapprima rifiuti e in-comprensioni fra gli individui e i gruppi sociali. Nello stessotempo si influenzano, si compe-

«Muoiono soltanto le culture che non si aprono»

«Quando si incontrano, le culture suscitano dapprimarifiuti e incomprensioni».

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Michael Runkel/robertharding/laif

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tica. È innegabile: si tratta di duevisioni completamente diverse.Generalmente i beduini conside-rano gli abitanti delle città per-sone timorose, ripiegate su séstesse e senza onore. Le trovanotroppo ricche, troppo grasse,troppo avide; insomma buonesolo per essere saccheggiate.Invece agli occhi dei cittadini, ibeduini sono dei predoni, dei fal-liti, dei barbari senza né fede néistruzione. Oggi questi duemondi sono costretti a convivere,a interagire, in quanto condivi-dono lo stesso spazio. Infatti, inMauritania l’essere beduino insenso fisico sta scomparendo. I nomadi diventano sedentari e vengono a vivere in città.Quindi, sì: le due culture fini-ranno per fondersi. D’altronde,

loro vecchi schiavi; continuano acredersi superiori. Inoltre, glischiavi liberati hanno spesso pro-blemi di integrazione. Sono ilproletariato urbano, giacché lamaggior parte di essi non è an-dato a scuola e non ha dunquenessuna istruzione.

«Le tambour des larmes» (Il tamburo delle lacrime,ndt) racconta la storia diRayhana, una giovane donnabeduina che viene sedotta daun ingegnere di passaggio.Per evitare il disonore, la ma-dre la costringe ad abbando-nare il figlio alla nascita e leimpone un matrimonio for-zato. Questo racconto pre-senta la situazione attualedelle donne in Mauritania?

pire il mondo. Appartengo a unatribù con una lunga tradizionenomade nel Sahara, che com-merciava e portava al pascolo isuoi animali in una zona che siestendeva dal Sud del Marocco a Timbuctù, nel Mali. Oggi abi-tiamo in città, ma la nostra cul-tura vive ancora in noi. Conti-nuiamo a pensare e ad agirecome beduini.

Ed è proprio questa societàtribale che lei dipinge splen-didamente nei suoi libri.Descrive costumi, codici an-cestrali, confrontandoli con ilmondo moderno delle città.Anche queste due culture fi-niranno per abbracciarsi?La contrapposizione tra moder-nità e vita beduina è molto an-

nella vita quotidiana si può giàosservare un certo ravvicina-mento.

Nelle parole di uno dei suoipersonaggi, la città è anche illuogo «dove gli schiavi tro-vano la libertà» dopo esserefuggiti dagli accampamenti.Qual è la portata di questapratica, che sembra persisterein Mauritania?Vi ho fatto allusione per esigenzenarrative, ma in realtà la schiavitùè praticamente scomparsa.Quando ero giovane c’era an-cora, nonostante i numerosi trat-tati che la vietavano, fra i quali ilpiù celebre risale al 1980. Questapratica ha però lasciato dei segniprofondi. Molti ex padroni nonhanno rapporti alla pari con i

«Oggi abitiamo in città, ma la nostra cultura vive ancora in noi».

Clive Shirley/laif

Michael Runkel/robertharding/laif

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Candace Feit/Nyt/Redux/laif

Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

Poco a poco le cose stanno cam-biando, ma si possono ancora in-contrare casi come quello diRayhana. Mettere al mondo unbambino al di fuori del matrimo-nio rimane qualcosa di inaccetta-bile; è una vergogna sbattuta infaccia alla famiglia e all’intera co-munità. In gioco c’è l’onore dellatribù. L’onore è un valore cardinefra i beduini. L’usanza vuole che lo si lavi con il sangue. ARayhana hanno portato via ilbambino, ma il clan avrebbe an-che potuto uccidere entrambi.Talvolta succede ancora.

E per quanto riguarda i ma-trimoni combinati?Nelle società tribali la ragazzanon ha voce in capitolo riguardoalla scelta del suo futuro marito.

È la famiglia che decide il primomatrimonio. Ma se la moglievuole il divorzio, generalmentel’ottiene. Può poi scegliere libera-mente il secondo marito. Difatto, nel Sahara le donne go-dono di maggiore libertà che inaltre regioni africane. Ad esem-pio, il popolo del deserto nonconosce la poligamia e ha un rispetto assoluto della donna. Un uomo non ha il diritto dipicchiare o insultare la moglie. È perfino previsto dal contrattodi matrimonio.

Lei è anche giornalista. Nel1988 ha fondato il primogiornale indipendente dellaMauritania. Da allora, comeè cambiato il panorama me-diatico?

Si è notevolmente diversificato.La stampa scritta ha ora una mi-riade di testate. Inoltre, negli ul-timi anni sono emerse molte sta-zioni radio e televisive private.Stanno proliferando anche i sitid’informazione online. Oggiquesta grande abbondanza me-diatica sembra naturale, ma finoal 1988 avevamo un unico gior-nale: il quotidiano governativo«Chaab».

La libertà di stampa, di cuilei è stato un fervente soste-nitore, si può considerare acquisita?Sì, i giornalisti possono lavorareliberamente. Ma la professione siè evoluta in maniera un po’ anar-chica e c’è ancora parecchio dafare per organizzarla. Il problema

principale è la mancanza di for-mazione: oggi chiunque può au-toproclamarsi giornalista. In uncontesto del genere le violazionideontologiche sono all’ordine delgiorno. Come altrove in Africa, lalibertà di stampa prende talvoltala piega della vendetta. Capitache i media pubblichino accusesenza avere in mano nessunaprova. E poi, nemmeno questoambiente è immune alla corru-zione. Alcuni giornalisti non esi-tano a decantare le virtù di uo-mini politici in cambio diqualche mazzetta. Detto questo,ci sono anche professionisti seriche fanno un lavoro irreprensi-bile. ■

(Traduzione dal francese)

«Tutti abbiamo paura di ciò che apportano gli altri, perché spesso temiamo di perdere le nostre radici».

Beyrouk, al secolo Mbarek Ould

Beyrouk, è nato nel 1957 ad Atar,

nel Nord della Mauritania. Dopo gli

studi di legge si è dedicato al

giornalismo. Nel 1988 ha fondato

«Mauritanie demain», la prima te-

stata giornalistica indipendente del

Paese. Ha diretto l’Agenzia mauri-

tana d’informazione e ha fatto parte

dell’Alta autorità per i mezzi audio-

visivi e l’informazione, per poi rico-

prire la carica di Segretario gene-

rale del Ministero della gioventù e

dello sport. Dal giugno 2015 è con-

sulente del Presidente per le que-

stioni culturali e sociali. Beyrouk

pubblica racconti sulla stampa lo-

cale da quando aveva 25 anni.

Buona parte di questi racconti è

stata riunita nella raccolta «Nou-

velles du désert» (2009). Beyrouk

ha al suo attivo anche tre romanzi:

«Et le ciel a oublié de pleuvoir»

(2006), «Le griot de l’émir» (2013)

e «Le tambour des larmes» (2016).

Sam

uel Aranda/NYT/Redux/laif

Gil Giuglio/hem

is.fr/laif

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Flurina Rothenberger

Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

ServizioEsposizioni

Musica

Fuggire (ann) Sfollati, perseguitati, disperati, con la speranza disopravvivere e di trovare altrove una vita migliore. Almondo, le persone in fuga sono oltre 65 milioni; è una cifra che supera di sette volte la popolazione dellaSvizzera e che continua a crescere, giorno dopo giorno.In questo momento stiamo vivendo la peggiore crisiumanitaria dalla Seconda guerra mondiale. I suoi effettisi sono fatti sentire anche in Europa. Non dobbiamoperò dimenticare che la maggior parte dei profughi hacercato rifugio nei Paesi vicini. Chi sono? Cosa li haspinti a fuggire? Quali sono le loro prospettive? La mo-stra «Fuggire» dà la parola a donne, bambini e uomini af-finché possano raccontare la loro storia. Ma narra anchele vicende di collaboratori dell’aiuto umanitario che intutto il mondo si adoperano per la stessa causa. E quelledei responsabili in Svizzera cui tocca decidere a chi dareil diritto all’asilo e a chi negarlo.«Fuggire», Museo nazionale svizzero, Zurigo, dal 29.10

tropical e pixel, di poesia tradi-zionale latinsong e soundelec-tronics all’insegna della coolnesscontemporanea. Un beat di as-soluta precisione stilistica, spessodal tocco metallico, crea mo-menti di suspense in un quadroarmonioso di suoni soavementeipnotici. E sopra ogni cosa planaelegante la voce leggermentemelancolica, calda e chiara diCéu. Quest’ultima propone me-lodie leggere cantate in porto-ghese, da ascoltare idealmented’estate, durante l’ora blu dopoil tramonto.Céu: «Tropix» (Six Degrees/Indigo)

Tappeto musicale(er) È acuta e carismatica la vocedel cantante senegalese BaabaMaal, un viaggiatore in spazi sonori quasi infiniti. «TheTraveller» è il titolo del nuovo

Fare la spola fra due continenti (bf ) La fotografa FlurinaRothenberger vive su una sortadi altalena che oscilla tra dueculture. È nata in Svizzera, ma è cresciuta in Costa d’Avorio.

Attraverso una personale moda-lità narrativa dimostra che nonesiste un’idea sola sull’Africa, matante visioni di un unico conti-nente. Ecco perché per la zuri-ghese il detto africano «se la le-pre ascolta solo la iena, nonsaprà mai com’è in realtà il bu-falo» è intriso di saggezza. Nella mostra al PhotoforumPasquart di Bienne, FlurinaRothenberger presenta imma-gini di una realtà africana lon-tana dagli stereotipi e dai luoghicomuni. La fotografa ha puntatoil suo obiettivo su aspetti locali,immediati. L’esposizione riper-corre le sue esperienze vissutenel corso degli ultimi dieci annidurante i suoi viaggi privati e dilavoro.

Flurina Rothenberger, PhotoforumPasquart di Bienne, dal 18.9 al20.11, www.photoforumpasquart.ch

Viaggio nel mondo della cooperazione internazionale (bf ) Chi lavora nella coopera-zione internazionale (CI) nonabbraccia solo una professione,bensì svolge un’attività movi-mentata e appagante, che ri-chiede flessibilità e apertura neiconfronti dei cambiamenti.Quali ostacoli, domande e tema-tiche incontrano le persone cheintraprendono questo viaggio?Quali decisioni devono pren-dere durante il loro percorsoprofessionale? Quali sono le at-tuali sfide per la CI? Il «Forumcinfo 2016», che si tiene il 28ottobre a Berna, è la fiera sviz-zera del lavoro nella coopera-zione internazionale e nellostesso tempo una piattaforma diinformazione, networking e pia-nificazione della carriera profes-sionale. Organizzazioni, datori dilavoro e conferenze pubblichepropongono a giovani leve eprofessionisti navigati una pano-ramica sulle novità intorno allacooperazione internazionale epermettono loro di allacciarecontatti con gli operatori attivinei più svariati campi della CI. «Forum cinfo 2016», 28 ottobre,Stade de Suisse, Berna; per il programma dettagliato e ulteriori informazioni: www.cinfo.ch

Per l’ora blu(er) Da una decina di anni, la36enne cantante e cantautricebrasiliana Céu, al secolo Mariado Céu Whitaker Poças, entusia-sma le platee internazionali conla sua irrefrenabile creatività che si esprime nell’abbinamentodella sua seducente arte sonoracon nuovi e sorprendenti im-pulsi musicali. I dodici brani delsuo quarto album prodotto instudio, intitolato «Tropix», lo dimostrano. La compilation è un cocktail poco ortodosso di

album che il 63enne, star difama mondiale e conosciutocome l’«usignolo africano», haregistrato a Londra e a Dakardopo una pausa creativa di seianni. L’artista e libero pensatore,noto anche per il suo impegnosociale e politico, canta in pulaar,la lingua del suo popolo tukulor.Nelle sue canzoni racconta delpotere della lingua, della guerrae della pace. Il suo canto sor-prende per la capacità di intrec-ciare vari stili musicali, creandoun tappeto formato da un orditodi musica roots, desert rock epop e da una trama di raffinatevoci corali e di strumenti tradi-zionali quali il kora, il flautopeul o il djembe, arricchita conarmoniosi effetti di tracce elet-troniche. Questo sound affasci-

Eventi

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35Un solo mondo n.3 / Settembre 2016

Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affari esteri(DFAE)

Comitato di redazione:Manuel Sager (responsabile)George Farago (coordinazione globale)Marie-Noëlle Paccolat, Beat Felber, Pierre Maurer, Nicole Merkt, Christina Stucky,Özgür Ünal

Redazione:Beat Felber (bf – produzione)Luca Beti (lb), Jens Lundsgaard-Hansen (jlh),

Jane-Lise Schneeberger (jls), Fabian Urech (fu),Ernst Rieben (er)

Progetto grafico: Laurent Cocchi, Losanna

Litografia e Stampa:Vogt-Schild Druck AG, Derendingen

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentita previaconsultazione della redazione e citazione dellafonte. Si prega di inviare una copia alla redazione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente (solo in Svizzera) presso: DFAE, Servizio informazioni, Palazzo federale Ovest, 3003 Berna

E-mail: [email protected]. 058 462 44 12Fax 058 464 90 47www.dsc.admin.ch

860215346

Stampato su carta sbiancata senza cloro per la protezione dell’ambiente

Tiratura totale: 51200

Copertina: Giovani a Nairobi, in Kenya;Sven Torfinn/laif

ISSN 1661-1683

Nota d’autore

Dipingere sotto i manghi

Omar Ba, pittore senegalese residente in Svizzera, vincitoredello Swiss Art Award 2011,collabora con diverse galleried’arte a Parigi, Londra e Milano.

A Ginevra ho tutto ciò che miserve per esprimere al meglio lamia arte. Regolarmente sento peròil bisogno di tornare alle origini.Ecco perché trascorro tre o quat-tro mesi all’anno in Senegal. Perme è importante ritrovare gli amicid’infanzia, condividere la quotidia-nità con i miei concittadini, riviverele loro difficoltà, le loro sofferenze.La mia famiglia possiede una pian-tagione di manghi vicino a Dakar,dove coltiviamo anche ortaggi bio-logici. Ed è proprio lì che sto co-struendo un atelier e un’abita-zione. Poiché la mia pittura mibasta per vivere, tutto quello chefrutta questo campo è distribuito apersone bisognose. Questo viavaitra la Svizzera e il Senegal mi aiutaa mantenere il mio equilibrio inte-riore. È anche una fonte di ispira-zione. I miei quadri fanno spessoriferimento a rapporti Nord-Sud, a guerre o alla povertà. Per sco-prire una parte della storiadell’Africa vi consiglio la visionedel film «Ceddo» di OusmaneSembène, in cui si ricorda la pene-trazione dell’islam e del cristiane-simo in un continente affezionatoalle proprie tradizioni animiste.

(Testimonianza raccolta da Jane-Lise Schneeberger)

ldd

Libri

Film

nante, è sinonimo di un’armoniadensa che invita a immergervisie a volte a canticchiare.Baaba Mal: «The Traveller»(Marathon Artists/rough trade)

Primavera incompiuta(bf ) La tunisina Leyla Bouzid è una giovane cineasta che havissuto in prima persona laPrimavera araba. Il suo primolungometraggio «Appena aprogli occhi» ha avuto un enormesuccesso in Tunisia. Nel film dàvoce a chi come lei aveva ripo-sto grandi speranze nella rivolu-zione e nel contempo dissipaqualsiasi illusione, ricordandoche purtroppo alla primaveranon è seguita l’estate. Tunisi, poco prima delle som-mosse: la 18enne Farah ha ap-pena dato gli esami di maturità ela famiglia già la vede con il ca-mice bianco di medico. Lei pre-ferisce però cantare in un com-plesso rock ed esprime con testipolitici la sua ribellione nei con-fronti di una società che le stastretta. Leyla Bouzid disegna ilritratto vibrante di una giovanedonna che lotta contro le strut-ture maschiliste e che dopo averspiccato il volo verso la libertà sischianta sul suolo della realtà. È un film esplosivo con un mes-saggio che supera i confini dellaTunisia. È una pellicola che favedere quanto dovrebbero essere radicali e profondi i cam-biamenti, quanto è lunga la strada che porta a una società libera, anche in un Paese pro-gressista come la Tunisia.

«A peine j’ouvre les yeux» di LeylaBouzid; lungometraggio 2015;www.trigon-film.org

Il soul boy di Kibera(dg) Il 14enne Abila vive aKibera, in una gigantesca bidon-ville di Nairobi. Una mattinatrova suo padre accovacciato inun angolo mentre mormoraconfuso che una donna gli harubato l’anima. Abila decide disalvarlo. Con l’aiuto dell’amicaShiku riesce a rintracciare ladonna misteriosa che avrebberubato l’anima al padre. Lei glidà sette compiti da svolgere en-tro il giorno dopo. E così iniziaper lui e l’amica una corsa con-tro il tempo e un viaggio avven-turoso attraverso la baraccopolidella sua città. Il film keniota«Soul Boy» è stato girato da giovani cineasti negli slum diNairobi. Oltre a raccontare unastoria che tiene con il fiato so-speso, il lungometraggio offre al pubblico uno spaccato dellavita quotidiana di Kibera perchéla racconta con gli occhidell’Africa. «Soul Boy» ha rice-vuto diversi riconoscimenti, fracui il premio del pubblico alFestival internazionale del Filmdi Göteborg nel 2010.

«Soul Boy» di Hawa Esuman, lungometraggio in tedesco,Kenya/Germania 2010, (da 12 anni); disponibile online nell’offerta video on demand VOD e come DVD; per informazioni: éducation21, tel. 031 321 00 22,www.filmeeinewelt.ch

«L’Africa si libererà da sola»(fu) Ancora oggi, per moltil’Africa è un blocco monolitico,quasi incomprensibile, apparen-temente condannato a restareper sempre povero, sottosvilup-pato e vulnerabile di fronte allecatastrofi. Alex Perry, per tantianni corrispondente dall’Africaper la rivista «Time», nel suo libro più recente vuole correg-gere questa visione: «Dopo se-coli di sottomissione, oggil’Africa si trova in una fase diautoaffermazione». I Paesi afri-cani, così sostiene l’americano, si stanno emancipando dalle in-fluenze spesso patriarcali prove-nienti dall’estero, da regimi eco-nomici nocivi, dall’aiuto allosviluppo, dai sedicenti piani diprogresso universali. Perry riescea tracciare un quadro variopintoe differenziato del continente. Imomenti più forti del libro sonoquelli in cui l’autore raccontadei suoi incontri con venditoriambulanti, informatici, signoridella guerra. Sono racconti piut-tosto disillusi, che danno l’im-pressione che l’ottimismo del-l’autore si ispiri più a undesiderio che alla realtà.«In Afrika: Reise in die Zukunft»di Alex Perry, S. Fischer, 2016

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«La gente pensa talvolta che la forma-zione sia la soluzione a ogni problemaoccupazionale. Ma l’istruzione noncrea impieghi». Suzanne Grant Lewis, pagina 12

«La maggior parte dei giovani egiziani – che sono un quarto dellapopolazione – sostiene la rivoluzionein modo sia attivo che passivo». Sara Khorshid, pagina 22

«La Svizzera è tutt’ora uno dei centridel traffico globale di capitali, in parti-colare nel contesto del commercio di materie prime e dei valori patrimo-niali nascosti». Alex Cobham, pagina 28