UN SENTIMENTO DISTRUTTIVO: L’INVIDIA – SERPENTI IN UFFICIO

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Anche nei luoghi di lavoro serpeggia l’invidia. Il collega non è mai una persona meritevole che ottiene una promozione o un aumento per i risultati che ha prodotto, ma è sempre un abile intrallazzatore che con manovre più o meno lecite si è conquistato la benevolenza del capo, ha sfruttato una cordata o si è appropriato di meriti altrui. Chi è riuscito a salire la scala gerarchica è sempre e comunque una persona con i contatti giusti, con i “santi in paradiso” che lo hanno protetto e accompagnato nell’ascesa ai vertici del potere. L’invidioso si logora e si rode dentro perché si sente privato di lucenti privilegi che gli altri hanno: ciò che determina l’invidia è il sentirsi privo, ingiustamente depauperato fin dalla nascita, di vantaggi che sono stati accordati ad altri. L’invidioso non riesce a vedere ciò che ha avuto, vede solo ciò che non ha e che pensa gli sia stato negato o tolto in favore di qualcuno che magari era meno meritevole. Sempre secondo l’analisi transazionale si sente in una posizione non ok mentre tutti gli altri privilegiati gli appaiono come ok, ma non può ammettere apertamente la propria sensazione di inadeguatezza: constata la propria impotenza, la confronta con gli orpelli dell’altro e non può che logorarsi sentendosi vittima di una sorte malefica.

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PSICOLOGIA

l’invidioso, per il quale lui è l’unicoad essere onesto.

Sentirsi vittime in un mondo ingiusto Per dirla con l’analisi transazionale,lui è l’unico per bene, l’unico ok, in unmondo di persone che non lo sono,cioè sono non ok. Dimentica che se-condo il codice l’imputato è innocen-te fino a prova contraria e non si con-cede neppure il beneficio del dubbio:preferisce considerarsi circondato daladri e sfruttatori e considerarsi unavittima perenne piuttosto che riflet-tere sul fatto che forse il suo modo divedere il mondo non è del tutto cor-retto o – quanto meno – è troppo as-solutistico. Nel bene e nel male gli al-tri sono più potenti, più ricchi, piùbelli, più fortunati: questa considera-zione, col suo ripetersi in ogni occa-sione e in ogni momento, diventa tal-mente assillante da logorare.

Ci si rode senza osservare bene la realtà Il rodere insistente dell’invidianon lascia spazio a momenti di sol-lievo: non c’è scampo, non ci si puòfidare di nessuno, occorre stare

L’invidia è ovunque, anche nei luoghi di lavoro. Agli occhidell’invidioso tutti, tranne lui, sono profittatori. Ma se siriesce a non farsi sopraffare da questo sentimento nega-tivo, potenziando la fiducia in se stessi, ecco che si passaa una situazione in cui l’invidioso e l’invidiato si riscatta-no. Nasce così l’autostima, che può garantire una vera si-curezza interiore e un clima aziendale più produttivo

Ida Bona

Ida Bona è psicologa econsulente aziendale.

“Il potere logora solo chi nonce l’ha”: questa famosa frasedi Andreotti è la più accura-

ta e completa descrizione dell’invi-dia. Infatti include l’oggetto dell’in-vidia, l’effetto che l’invidia fa su chila prova e la molla che provoca l’in-sorgere di un simile sentimento.Agli occhi di molti il potere, così co-me il suo equivalente, il denaro, as-somiglia alla bacchetta magica dellefavole infantili: è lo strumento checonsente di superare tutte le diffi-coltà, di aprire tutte le porte, di met-tersi al riparo da qualsiasi male. Chiha potere ha tutto: può avere ciò chevuole con un semplice cenno dellamano o una minima allusione all’og-getto del desiderio e ottenere chetutti si prodighino per realizzare i de-sideri del signore e padrone. Non cisi chiede quali fatiche abbia dovutosopportare per conquistarlo o anchesolo per mantenerlo: oggi ce l’ha equesto basta.

Un problema che risale all’infanziaQuesto modo di immaginare i van-taggi del potere deriva da vissutiche risalgono alla prima infanzia,

epoca nella quale l’attenzione ditutti è concentrata sul nuovo nato,specie nella società odierna checonsidera il bambino un piccoloprincipe al quale tutto sembra es-sere dovuto. Il vago ricordo deipropri vissuti di onnipotenza e so-prattutto il constatare l’onnipoten-za delle nuove generazioni siproietta su chi detiene il potere,grande o piccolo che sia, e lo ren-de oggetto di invidia.

Agli occhi dell’invidioso sono tutti ladri Chi ha potere ha denaro e chi hadenaro ha potere. Agli occhidell’invidioso tutti, tranne lui, so-no profittatori e in questo modo sisono costruiti la loro ricchezza:l’amministratore del condominioruba facendosi dare le percentualidai fornitori, il politico ruba ven-dendo privilegi, le industrie ruba-no facendo confezioni di prodottiche non possono essere usati finoall’ultima goccia. Sono esempi diaffermazioni che possono ancheavere un loro fondo di verità mache diventano paranoiche nella ge-neralizzazione assoluta che ne fa

UN SENTIMENTO DISTRUTTIVO: L’INVIDIA

Serpenti in ufficio

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sempre in guardia perché il profit-tatore è sempre in agguato. Non sipuò pienamente godere il sole sul-la spiaggia perché il bagnino cercadi lucrare su ogni granello di sab-bia e spremere quanto più può ilbagnante: la sua vita sembra unpiacevole ozio continuo perché sidimentica la fatica di pulire e ra-strellare la sabbia ogni mattina, ilpeso degli ombrelloni e dellesdraio da mettere al riparo ogni se-ra, il costo delle attrezzature e il ri-schio delle mareggiate. È vero chelavorando quattro mesi campa perun anno, ma quei mesi non sonocerto una passeggiata!Anche la vista del politico che go-de di enormi privilegi è fonte di ro-dimento per l’invidioso. Soprattut-to perché dimentica la fatica diconquistarsi un elettorato, la noiadelle sedute al Parlamento e dei di-scorsi vuoti da pronunciare e quan-to meno da ascoltare, il correre dauna piazza all’altra o il presenziarea cerimonie, le mani da stringere ei sorrisi da dispensare a tutti, sem-pre che non ci sia anche un veroideale per il quale si combatte e chesi vorrebbe vedere realizzato. Chi

fa politica si sobbarca la vacuità ela retorica delle parole in nome deldesiderio di fare qualcosa di utileper gli altri e dell’impegno per lacausa nella quale crede.

L’invidia in azienda Anche nei luoghi di lavoro serpeg-gia l’invidia. Il collega non è maiuna persona meritevole che ottie-ne una promozione o un aumentoper i risultati che ha prodotto, maè sempre un abile intrallazzatoreche con manovre più o meno leci-te si è conquistato la benevolenzadel capo, ha sfruttato una cordatao si è appropriato di meriti altrui.Chi è riuscito a salire la scala ge-rarchica è sempre e comunque unapersona con i contatti giusti, con i“santi in paradiso” che lo hannoprotetto e accompagnato nell’asce-sa ai vertici del potere.L’invidioso si logora e si rode den-tro perché si sente privato di lucen-ti privilegi che gli altri hanno: ciòche determina l’invidia è il sentirsiprivo, ingiustamente depauperatofin dalla nascita, di vantaggi che so-no stati accordati ad altri. L’invi-dioso non riesce a vedere ciò che ha

avuto, vede solo ciò che non ha eche pensa gli sia stato negato o tol-to in favore di qualcuno che maga-ri era meno meritevole. Sempre se-condo l’analisi transazionale si sen-te in una posizione non ok mentretutti gli altri privilegiati gli appaio-no come ok, ma non può ammette-re apertamente la propria sensazio-ne di inadeguatezza: constata lapropria impotenza, la confrontacon gli orpelli dell’altro e non puòche logorarsi sentendosi vittima diuna sorte malefica.

Lamentele e maldicenze Come opportunamente sottolineaAlberto Fedel nel libro L’era dellosqualo bianco, non ci si pone la do-manda corretta, e cioè cosa fare peruscire da questa situazione di svan-taggio, ma ci si limita a crogiolarsinel proprio vittimismo, appagatodal lamentarsi o dal recriminare. Spesso, anzi, ci si indigna e si in-veisce contro il mondo, ulterior-mente favorito in questo atteggia-mento dalla possibilità di utilizzaremodelli televisivi per i quali un di-battito e un’esposizione di opinioninon ha valore se non è accompa-gnata da invettive: l’indignazione eil moralismo che si associano a ognipresa di posizione sono spesso an-ch’essi frutto dell’invidia. Quantopiù io mi indigno, tanto più in realtàio ti invidio e ti auguro sciagure, eviceversa: la radice latina di questovocabolo mostra la connessione trail non sentirsi all’altezza (in-dignus)e il cercare di valorizzarsi attaccan-do l’altro ed esprimendo con vee-menza la rabbia per la propria ina-deguatezza. Chi si sente sicuro di sépuò manifestare il proprio dissensoe la disapprovazione per ciò che ve-de usando la ragione e senza biso-gno di ricorrere a manifestazioniplateali di indignazione.

Prima di condannare cercare una spiegazione L’invidioso, come giustamente fanotare Fedel, essendo focalizzatosu ciò che l’altro ha e lui non ha, cioèsui propri limiti, non solo non cer-ca alternative e si limita a �

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confronti del collaboratore: anchechi ha un ruolo di comando deve asua volta godere della fiducia dellepersone che coordina, le quali de-vono sentirsi sicure di lui. La fidu-cia si conquista col tempo e col pro-prio comportamento: solo un capoche dimostri di avere delle qualitàsul piano personale (etico) e sulpiano professionale, che sia coe-rente nell’utilizzo della delega, chesi batta con coraggio per difenderei propri uomini e si comporti inmodo equo con tutti può chiederea chi lavora con lui di credere nel-le sue idee e di seguirlo se non incapo al mondo per lo meno fino altraguardo più vicino.

La capacità di guardarsi nello specchio La fiducia dell’altro nei miei con-fronti riconferma la fiducia che perprimo io devo avere verso di me: èla base di un corretto senso di au-tostima, che nasca da una consi-derazione non partigiana delle pro-prie risorse e dei propri limiti, ac-cettati in nome della coerenza conse stesso e dell’armonia fra vita in-teriore e comportamento esterno. Conoscere le caratteristiche che micontraddistinguono, saperle utiliz-zare a tempo debito e nella misuraopportuna, sapersi proporre obiet-tivi realistici e valutare i propri ri-sultati rispetto alle aspettative, sen-tirsi adeguato in ciò che si fa e nonpresumere di essere quello che nonsi è, riuscire ad ammettere difficoltàed errori senza per questo sentirsitroppo sminuito, sono tutti aspettidi una corretta autostima che puògarantire una vera sicurezza inte-riore tale da consentire di affronta-re tutti gli “squali” che possano in-festare il mare dell’esistenza. �

BBiibblliiooggrraaffiiaa:: Alberto Fedel, L’era dello squalobianco, Il Sole 24 Ore, 2007. Daniel Ofman, Lequalità autentiche, Franco Angeli 2007. Mario

Perini, L’organizzazione nascosta, Franco An-

geli 2007. Giorgio Piccinino, Il piacere di lavo-rare, Erickson 2006. Gary Hamel, Il futuro delmanagement, Etas 2008; Isabella Poggi, Lamente del cuore, Editore Armando, 2008.

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piangersi addosso, ma dimenticaanche che un approccio basato sulpensare “se l’ha fatto avrà le suebuone ragioni” potrebbe innescareuna spirale di fiducia. La ricerca diuna spiegazione prima di tranciareuna condanna facilita i rapporti congli altri, spesso inducendoli a ri-cambiare un sentimento positivoinvece che una corrente di ostilità,passando così a una situazione incui entrambe le persone sono ok.

Nutrire fiducia per sé e per gli altri Nutrire fiducia è l’altra facciadell’ispirare fiducia: solo se si con-cede fiducia alle persone la si può

ottenere. Il leader che utilizza que-sto strumento crea all’interno delproprio ambiente di lavoro un cli-ma positivo, nel quale le personecollaborano e si sentono valorizza-te e non oggetto di attacchi di-struttivi da parte degli altri. Tutto ciò è oggi ancora più impor-tante in quanto le imprese devonoaffrontare una competizione esa-sperata con la concorrenza per laconquista del cliente. Fedel rappre-

senta bene il mondo attuale utiliz-zando la metafora “andare a cacciadello squalo bianco”: non ci si puòpiù limitare a “pescare le trote” co-me si faceva nell’epoca della primaindustrializzazione in cui bastavaprodurre con efficienza, o “insegui-re i salmoni” come succedeva neglianni ’80-’90, nei quali bastava esco-gitare nuove soluzioni organizzati-ve più efficaci. Nel mondo attualesolo il capo che sappia crearsi unasquadra riuscirà ad affrontare le dif-ficoltà del mercato e ottenere risul-tati superiori alla somma dei con-tributi individuali.

Riconoscere il valore nell’altro L’atteggiamento di fiducia valorizzachi lo nutre e chi ne è oggetto: io pos-so permettermi di avere fiducia per-

ché sono sicuro di avere corretta-mente valutato la persona alla qualemi rivolgo, che a sua volta è valoriz-zata dalla fiducia che io dimostro neisuoi confronti. La fiducia non è il cre-dere a tutto dello sprovveduto: è ilnutrire un sentimento positivo per-ché riconosco nell’altro una personadotata di capacità, competenze, va-lori in grado di realizzare gli obietti-vi che le vengono affidati.Non c’è solo la fiducia del capo nei

PSICOLOGIA

Per vivere in un ambiente di lavoro sereno bisogna combattere l’invidia con la fidu-cia in se stessi e negli altri, così da creare maggiore autostima e di conseguenza unagiusta sicurezza interiore.