Un nativo tipografico - Bulzoni Editore...il libro tipografico: in corso d’opera ne di-stribuisce...

1
14 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 26 GIUGNO 2016 U n dialogo, che si immagina ambientato nel 1506 alla corte di Urbino, tratta il tema della formazione del vero cortigia- no: nel primo libro vengono il- lustrate le sue qualità fisiche e morali; nel secondo libro si affrontano le occasioni in cui queste qualità si possono realizzare al meglio; nel terzo viene descritta la ver- sione femminile del cortigiano e cioè la «donna di palazzo»; nel quarto e ultimo viene messo in gioco il rapporto tra corti- giano e principe e l’amore platonico. Il Libro del Cortegiano è un’opera com- plessa, lungamente elaborata da Baldas- sare Castiglione e uscita pochi mesi pri- ma della morte del suo autore (1528). Per studiare quella specie di oggetto miste- rioso che ebbe subito un successo dirom- pente in tutta Europa, al filologo Amedeo Quondam non sono bastati i quindici an- ni che servirono al Castiglione per com- porre la sua opera. Ora, dopo varie edi- zioni intermedie, ci siamo: per Bulzoni ha pubblicato in tre volumi la prima edi- zione, il manoscritto di tipografia e uno studio su come il Cortegiano divenne li- bro a stampa: prima opera letteraria a su- bire un editing pesante. Professor Quondam, chi è Castiglio- ne per la cultura europea a lui contem- poranea? «È “il formator del cortigiano”, come lo definisce Ariosto nel 1518, quando Castiglione è ancora in alto mare con la scrittura della sua opera, a riprova della fama che la circonda prima ancora che sia stampata (lo sarà solo dieci anni dopo), e questo perché è il primo libro che “dà forma” al nuovo soggetto istituzionale che sta connotando le dinamiche storiche delle moderne corti d’Europa: il cortigiano, appunto, sempre più necessario nell’economia politica dei principati nuovi. Dopo secoli di tradizioni de principe è la prima volta che un libro parla del cortigiano, e proprio negli stessi anni in cui dei nuovi principi ragiona Machiavelli. Il Cortegiano diventa subito un grande libro europeo, con numerose traduzioni ovunque. Nessun altro libro non narrativo in prosa, e in volgare, di questa stagione, nessun “trattato”, insomma, ha una diffusione di queste proporzioni». A cosa va attribuito il difficile rap- porto degli italiani con il «Cortegia- no»? «È stato il paradigma ottocentesco del- la nostra storia letteraria (e “civile”) a da- re sostanza ideologica alla narrazione del senso profondo dell’identità nazionale della nuova Italia. E se a proposito di un mantovano come Castiglione l’origine del nostro rapporto difficile con la Corte e il Cortigiano può essere rappresentato dal grido di Rigoletto “Cortigiani, vil raz- za dannata”, questo paradigma conserva ancora qualche residuale efficacia: basti pensare alle persistenti difficoltà nei confronti delle culture del Barocco, o alla questione sempre aperta dello “spagno- L’intervista Il filologo Amedeo Quondam pubblica i risultati di un lungo studio su un capolavoro europeo Il Cortegiano Un nativo tipografico di PAOLO DI STEFANO L’opera stampata nel 1528 da Baldassarre Castiglione fu la prima a subire un pesante editing: 23 mila modifiche Libri Narrativa, saggistica, poesia, ragazzi, classifiche Gli americani si chiedono se Donald Trump possa essere la persona giusta per la Casa Bianca. Per molti street artist la risposta è no. Ron English lo ha ritratto a New York con una testa smisurata, come l’ego del candidato; i Paintsmiths hanno raffigurato a Bristol un bacio tra lui e Boris John- son (ex sindaco di Londra), che ricorda quello tra Breznev e Honecker sul muro di Berlino. Solo il risultato elettorale di novembre dirà se l’esorci- smo rappresentato dalle opere avrà funzionato. { Sulla strada di Davide Francioli Esorcismo per Donald IL CLAN DESTINO di DEMETRIO PAOLIN B reve storia del talento (Mondadori, 2015) di Enrico Macioci racconta il movimento oscuro e repentino dall’adolescenza all’età adulta. Lo fa con uno stile mai stucchevole e artefatto, raccontandoci una storia di calcio e amicizia. L’io narrante, scrittore e in crisi con la moglie, torna a L’Aquila alla ricerca di qualcosa che non sa definire. Vive una sorta di inquietudine e crede che la ragione sia da ricercare nella sua adolescenza. In questi giorni di totale atonia racconta la grande amicizia con Michele, un rapporto che trova la sua ragione d’essere nel calcio, ma ancora di più in quella strana sostanza che aleggia intorno alle loro vite: il talento. Michele è descritto come una sorta di dio, è un giocatore tanto bravo da non accorgersi di quel dono. Il protagonista — che è di volta in volta l’amico, l’avversario, il testimone/ martire della bellezza delle giocate di Michele — è consapevole della sua bravura e dei suoi limiti. E sapendo che mai sarà come l’amico, decide di abbandonare il calcio per la scrittura, altro suo bernoccolo adolescenziale. In Breve storia del talento aleggia un senso di perdita, di lascito e di morte. Macioci sembra suggerirci che il talento sia ciò che rimane dopo tutto lo spreco di una vita vissuta. Il talento è sottrazione, che è poi la cifra stilistica della prosa di Macioci: una scrittura misurata nell’aggettivazione, precisa nel descrivere il movimenti dei corpi come quelli dell’animo. Una prosa che non cerca il colpo a effetto, ma che si mette al servizio della storia che vuole raccontare con cura e dedizione. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il talento di riconoscere il talento L’adolescenza senza colpi a effetto Breve storia del talento di Enrico Macioci è stato pubblicato da Mondadori l’anno scorso DOMENICA 26 GIUGNO 2016 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 15 lismo” e della “decadenza” (anche mora- le) italiana, o ancora al luogo comune dell’invidia della Riforma (figli, noi italia- ni, di un Dio minore, perché non abbia- mo avuto Lutero). Ritengo che sia un’anomalia tutta nostra, rispetto alle narrazioni identitarie delle altre nazio- ni». Lei usa aggettivi iperbolici a propo- sito del libro e a proposito della sua storia: in cosa consiste questa eccezio- nalità? «Mi sembra un’irresponsabile follia non essere stati in grado di cogliere l’ec- cezionalità del caso del Cortegiano. Parlo di follia perché non credo che nella cul- tura italiana ed europea sia disponibile una documentazione tanto ampia relati- va all’elaborazione di un’opera che si estende nell’arco di quasi quindici anni dal primo abbozzo (interamente autogra- fo) fino all’ultimo manoscritto entrato in tipografia, su cui lavorarono l’editor (co- me diciamo oggi), prima, e il composito- re poi. Sono in tutto cinque i manoscritti che avrebbero potuto essere da tempo croce e delizia per gli amanti degli scarta- facci o delle varianti d’autore. Ma per lun- go tempo hanno vinto Rigoletto e la favo- la triste e paranoica della decadenza ita- liana». Un «case study» sul rapporto tra te- sto e libro: in che senso? E quali sono i grandi casi analoghi di altre letteratu- re? «Il caso del Cortegiano è straordinario perché testimonia in presa diretta cosa accadde in tipografia nel 1528, documen- tando, parola dopo parola, come da quel manoscritto licenziato da Castiglione sia nato il Cortegiano tipografico che prese poi le strade del mondo. Anche da questo punto di vista non conosco altri casi che possano avere la stessa rilevanza, com- presa la datazione così alta: i più noti so- no infatti quelli del first folio di Shake- speare o della prima edizione del Quijo- te. In questo caso, invece, possiamo vede- re come (e quanto) lavorarono in stretto contatto l’editor e il compositore: ciascu- no per la sua parte introduce modifiche sull’ultima volontà dell’autore, e sono una quantità che mi sembra stupefacente (oltre 23 mila), e poco conta che siano per lo più varianti formali e non sostan- ziali, perché, nel suo assumere corpo di libro, il Cortegiano avverte che il passag- gio in tipografia è una fase “calda”, molto “calda”, e così pone problemi di grande impatto: è un caso unico o è così per mol- ti, se non tutti, i libri a stampa?». Si mette in gioco la cosiddetta ultima volontà dell’autore... «L’ultima volontà dell’autore è da sem- pre un tabù filologico e critico: mi sem- bra singolare che questi problemi siano oggi presenti a proposito degli scrittori contemporanei, ma ben poco frequentati per i secoli precedenti. Il lavoro che ho fatto sulla prima edizione del Cortegiano vorrebbe insomma essere una sorta di monumento al lavoro oscuro delle tante mani che per secoli concorsero (e con- corrono), indipendentemente dalla vo- lontà d’autore, a far nascere un libro tipo- grafico, formando un’asimmetrica dop- pia coppia: l’autore e i suoi copisti da una parte, il revisore editoriale e il composi- tore dall’altra, e sono questi due i media- tori ultimi e decisivi che portano l’opera dell’autore nelle mani del lettore». Qual è stata la genesi editoriale del- l’opera di Castiglione? E la triangola- zione Roma Venezia Spagna come ha giocato? «Castiglione è un gentiluomo letterato che di professione fa l’ambasciatore: per formazione classicistica non ha l’urgenza di pubblicare e, come tanti della sua ge- nerazione, non ha ancora familiarità con il libro tipografico: in corso d’opera ne di- stribuisce generosamente copie mano- scritte, e prima ancora che trovi il suo as- setto finale. Ma quando è in Spagna si rende conto che qualcuno potrebbe pira- tare il suo libro. Decide pertanto di strin- gere i tempi e di inviare a Venezia il ma- noscritto finale, ma solo dopo avere defi- nito il contratto con l’editore e avere con- fermato la necessità di affidare l’opera alla revisione di un esperto di quel volga- re che sta diventando la norma anche (e soprattutto) in tipografia e che per un parlante lombardo è ancora una faticosa conquista». L’intervento normalizzatore dell’edi- tore a cosa tendeva esattamente? Quali sono gli interventi più significativi? «Castiglione è consapevole delle gravi lacune del suo volgare che intende aspi- rare a una eloquente eleganza. Anche nella scelta del revisore deve avere avuto una parte diretta, perché Giovan France- sco Valier è letterato autorevole, nel 1528, e ben noto negli ambienti culturali: non è certo un lavorante dell’officina aldina, ma un freelance probabilmente a contratto per prestazione occasionale. Il suo com- pito è quello tipico di ogni editor: norma- lizzare, normalizzare, normalizzare, sulla base di quella grammatica del volgare che Bembo, e non solo lui, aveva codifica- to. E dunque interviene su tutti gli aspetti instabili della fonetica e della morfolo- gia, in particolare di quella del verbo: raddrizza tutte le forme ormai impratica- bili, ma così facendo ci consente anche di prendere atto di quanto si perda, e per sempre, nella voce originaria dell’auto- re». La dedica è una sorta di rivalsa d’or- goglio del lombardo Castiglione? In che senso? «È un orgoglio che vorrebbe masche- rare le manipolazioni della propria lin- gua nativa: dirsi lombardo, gridarlo, sa- pendo bene che non è più così. Vi ricono- sco la drammatica consapevolezza dei costi che occorre accettare per diventare “normali” ed entrare nei circuiti della moderna comunicazione, che per essere “italiana” non potrà più essere “lombar- da” o di altra piccola patria». Essere un «nativo tipografico» signi- ficava avere una nuova idea di autore... «Sarà così per la generazione di Areti- no, ma non lo è ancora per un umanista come Castiglione che pretende che il suo libro sia stampato nel grande formato “in folio” e contribuisce alle spese di stampa: ma fu subito un bestseller, nei formati ta- scabili e nei gradevoli caratteri corsivi. A riprova di come un autore possa capire poco dell’opera che ha scritto». Chi sono Valier e Ruscelli? E che ruo- lo ebbero? «Valier è un letterato di valore che si presta a fare l’editing del manoscritto cercando di normalizzarne le tante oscil- lazioni: una figura di prestigio che po- trebbe essere una sorta di nume tutelare degli editor di tutti i tempi. Ruscelli è un dirigente editoriale, diremmo oggi, di va- stissime competenze, responsabile di tanta produzione libraria del Cinquecen- to, un personaggio chiave che finalmente è al centro degli interessi degli studiosi». Infine, chi ha scritto il «Cortegia- no»? «La domanda vuole essere paradossa- le, con l’obiettivo però di sollecitare l’at- tenzione alla complessità dei processi che trasformano il testo d’autore (con le sue volontà) in libro tipografico: processi collaborativi, come ho detto, a più mani, e con manipolazioni certamente neces- sarie ma che devono restare nascoste (e questo ancora fino a poco tempo fa: il la- voro dell’editor come lavoro vergognoso per l’autore; e ora quanti outing!). Il caso del Cortegiano, se intanto consente di fa- re piena luce su cosa accadde in tipogra- fia a Venezia nel 1528, illumina anche i più ordinari modi con cui per secoli sono stati stampati i libri». © RIPRODUZIONE RISERVATA L’iniziativa L’editore Bulzoni pubblica Il Libro del Cortegiano di Baldassarre Castiglione, a cura di Amedeo Quondam, in tre volumi indivisibili: 1. La prima edizione, pagine 483; 2. Il manoscritto di tipografia, pagine 558; e il volume a firma di Quondam L’autore (e i suoi copisti), l’editor, il tipografo, pagine 632 (e 150) L’umanista Baldassarre Castiglione (1478-1529), umanista, letterato e diplomatico, fu al servizio di Francesco II Gonzaga a Mantova e poi alla corte di Guidobaldo da Montefeltro a Urbino, e ne trasse materia per Il Libro del Cortegiano, sulle regole e gli usi della corte rinascimentale. Fu ambasciatore, prete dopo la morte della moglie e divenne nunzio pontificio a Madrid nel 1527 Il curatore Amedeo Quondam (nella pagina accanto) è professore emerito di Letteratura italiana alla Sapienza di Roma. La giuria del premio Viareggio Rèpaci gli ha appena assegnato il Premio Viareggio alla carriera 2016. Ha fondato vari istituti come Adi, Associazione degli Italianisti Italiani, e Bibit (Biblioteca italiana) i ILLUSTRAZIONE DI ANNA RESMINI

Transcript of Un nativo tipografico - Bulzoni Editore...il libro tipografico: in corso d’opera ne di-stribuisce...

  • 14 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 26 GIUGNO 2016

    Un dialogo, che si immaginaambientato nel 1506 alla cortedi Urbino, tratta il tema dellaformazione del vero cortigia-no: nel primo libro vengono il-lustrate le sue qualità fisiche e morali; nelsecondo libro si affrontano le occasioniin cui queste qualità si possono realizzareal meglio; nel terzo viene descritta la ver-sione femminile del cortigiano e cioè la«donna di palazzo»; nel quarto e ultimoviene messo in gioco il rapporto tra corti-giano e principe e l’amore platonico.

    Il Libro del Cortegiano è un’opera com-plessa, lungamente elaborata da Baldas-sare Castiglione e uscita pochi mesi pri-ma della morte del suo autore (1528). Perstudiare quella specie di oggetto miste-rioso che ebbe subito un successo dirom-

    pente in tutta Europa, al filologo AmedeoQuondam non sono bastati i quindici an-ni che servirono al Castiglione per com-porre la sua opera. Ora, dopo varie edi-zioni intermedie, ci siamo: per Bulzoni ha pubblicato in tre volumi la prima edi-zione, il manoscritto di tipografia e unostudio su come il Cortegiano divenne li-bro a stampa: prima opera letteraria a su-bire un editing pesante.

    Professor Quondam, chi è Castiglio-ne per la cultura europea a lui contem-poranea?

    «È “il formator del cortigiano”, comelo definisce Ariosto nel 1518, quando

    Castiglione è ancora in alto mare con lascrittura della sua opera, a riprova dellafama che la circonda prima ancora chesia stampata (lo sarà solo dieci annidopo), e questo perché è il primo libroche “dà forma” al nuovo soggettoistituzionale che sta connotando le dinamiche storiche delle moderne cortid’Europa: il cortigiano, appunto, semprepiù necessario nell’economia politica deipr incipat i nuovi . Dopo secol i ditradizioni de principe è la prima volta cheun libro parla del cortigiano, e proprionegli stessi anni in cui dei nuovi principiragiona Machiavelli. Il Cortegianodiventa subito un grande libro europeo,con numerose traduzioni ovunque.Nessun altro libro non narrativo in prosa,e in volgare, di questa stagione, nessun

    “trattato”, insomma, ha una diffusione diqueste proporzioni».

    A cosa va attribuito il difficile rap-porto degli italiani con il «Cortegia-no»?

    «È stato il paradigma ottocentesco del-la nostra storia letteraria (e “civile”) a da-re sostanza ideologica alla narrazione delsenso profondo dell’identità nazionaledella nuova Italia. E se a proposito di unmantovano come Castiglione l’originedel nostro rapporto difficile con la Cortee il Cortigiano può essere rappresentatodal grido di Rigoletto “Cortigiani, vil raz-za dannata”, questo paradigma conservaancora qualche residuale efficacia: bastipensare alle persistenti difficoltà neiconfronti delle culture del Barocco, o allaquestione sempre aperta dello “spagno-

    L’intervista Il filologo Amedeo Quondam pubblica i risultati di un lungo studio su un capolavoro europeo

    Il CortegianoUn nativo tipograficodi PAOLODI STEFANO

    L’opera stampata nel 1528 da Baldassarre Castiglionefu la prima a subire un pesante editing: 23 mila modifiche

    Libri.Narrativa, saggistica, poesia, ragazzi, classifiche

    Gli americani si chiedono se Donald Trump possa essere la persona giusta per la Casa Bianca. Per molti street artist la risposta è no. Ron English lo ha ritratto a New York con una testa smisurata, come l’ego del candidato; i Paintsmiths hanno raffigurato a Bristol un bacio tra lui e Boris John-son (ex sindaco di Londra), che ricorda quello tra Breznev e Honecker sul muro di Berlino. Solo il risultato elettorale di novembre dirà se l’esorci-smo rappresentato dalle opere avrà funzionato.

    {Sulla stradadi Davide FrancioliEsorcismo per Donald

    IL CLANDESTINO

    di DEMETRIO PAOLIN B reve storia del talento (Mondadori,2015) di Enrico Macioci racconta ilmovimento oscuro e repentino dall’adolescenza all’età adulta. Lo fa con uno stile mai stucchevole e artefatto, raccontandoci una storia di calcio e amicizia. L’io narrante, scrittore e in crisi con la moglie, torna a L’Aquila alla ricerca di qualcosa che non sa definire. Vive una sorta di inquietudine e crede che la ragione sia da ricercare nella sua adolescenza. In questi

    giorni di totale atonia racconta la grande amicizia con Michele, un rapporto che trova la sua ragione d’essere nel calcio, ma ancora di più in quella strana sostanza che aleggia intorno alle loro vite: il talento. Michele è descritto come una sorta di dio, è un giocatore tanto bravo da non accorgersi di quel dono. Il protagonista — che è di volta in volta l’amico, l’avversario, il testimone/ martire della bellezza delle giocate di Michele — è consapevole della

    sua bravura e dei suoi limiti. E sapendo che mai sarà come l’amico, decide di abbandonare il calcio per la scrittura, altro suo bernoccolo adolescenziale. In Breve storia del talento aleggia un senso di perdita, di lascito e di morte. Macioci sembra suggerirci che il talento sia ciò che rimane dopo tutto lo spreco di una vita vissuta. Il talento è sottrazione, che è poi la cifra stilistica della prosa di Macioci: una scrittura misurata nell’aggettivazione, precisa nel descrivere il movimenti dei corpi come quelli dell’animo. Una prosa che non cerca il colpo a effetto, ma che si mette al servizio della storia che vuole raccontare con cura e dedizione.

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

    Il talento di riconoscere il talentoL’adolescenza senza colpi a effetto

    Breve storia del talento di Enrico Macioci è stato pubblicato da Mondadori l’anno scorso

    DOMENICA 26 GIUGNO 2016 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 15

    lismo” e della “decadenza” (anche mora-le) italiana, o ancora al luogo comunedell’invidia della Riforma (figli, noi italia-ni, di un Dio minore, perché non abbia-mo avuto Lutero). Ritengo che sia un’anomalia tutta nostra, rispetto allenarrazioni identitarie delle altre nazio-ni».

    Lei usa aggettivi iperbolici a propo-sito del libro e a proposito della suastoria: in cosa consiste questa eccezio-nalità?

    «Mi sembra un’irresponsabile follianon essere stati in grado di cogliere l’ec-cezionalità del caso del Cortegiano. Parlodi follia perché non credo che nella cul-tura italiana ed europea sia disponibileuna documentazione tanto ampia relati-va all’elaborazione di un’opera che si estende nell’arco di quasi quindici annidal primo abbozzo (interamente autogra-fo) fino all’ultimo manoscritto entrato intipografia, su cui lavorarono l’editor (co-me diciamo oggi), prima, e il composito-re poi. Sono in tutto cinque i manoscrittiche avrebbero potuto essere da tempocroce e delizia per gli amanti degli scarta-facci o delle varianti d’autore. Ma per lun-go tempo hanno vinto Rigoletto e la favo-la triste e paranoica della decadenza ita-liana».

    Un «case study» sul rapporto tra te-sto e libro: in che senso? E quali sono igrandi casi analoghi di altre letteratu-re?

    «Il caso del Cortegiano è straordinarioperché testimonia in presa diretta cosaaccadde in tipografia nel 1528, documen-tando, parola dopo parola, come da quelmanoscritto licenziato da Castiglione sianato il Cortegiano tipografico che presepoi le strade del mondo. Anche da questopunto di vista non conosco altri casi chepossano avere la stessa rilevanza, com-presa la datazione così alta: i più noti so-no infatti quelli del first folio di Shake-speare o della prima edizione del Quijo-te. In questo caso, invece, possiamo vede-re come (e quanto) lavorarono in strettocontatto l’editor e il compositore: ciascu-no per la sua parte introduce modifichesull’ultima volontà dell’autore, e sonouna quantità che mi sembra stupefacente(oltre 23 mila), e poco conta che sianoper lo più varianti formali e non sostan-ziali, perché, nel suo assumere corpo dilibro, il Cortegiano avverte che il passag-gio in tipografia è una fase “calda”, molto“calda”, e così pone problemi di grandeimpatto: è un caso unico o è così per mol-ti, se non tutti, i libri a stampa?».

    Si mette in gioco la cosiddetta ultimavolontà dell’autore...

    «L’ultima volontà dell’autore è da sem-pre un tabù filologico e critico: mi sem-bra singolare che questi problemi sianooggi presenti a proposito degli scrittoricontemporanei, ma ben poco frequentatiper i secoli precedenti. Il lavoro che hofatto sulla prima edizione del Cortegianovorrebbe insomma essere una sorta dimonumento al lavoro oscuro delle tantemani che per secoli concorsero (e con-corrono), indipendentemente dalla vo-lontà d’autore, a far nascere un libro tipo-grafico, formando un’asimmetrica dop-pia coppia: l’autore e i suoi copisti da unaparte, il revisore editoriale e il composi-tore dall’altra, e sono questi due i media-tori ultimi e decisivi che portano l’operadell’autore nelle mani del lettore».

    Qual è stata la genesi editoriale del-l’opera di Castiglione? E la triangola-zione Roma Venezia Spagna come hagiocato?

    «Castiglione è un gentiluomo letteratoche di professione fa l’ambasciatore: performazione classicistica non ha l’urgenzadi pubblicare e, come tanti della sua ge-nerazione, non ha ancora familiarità conil libro tipografico: in corso d’opera ne di-stribuisce generosamente copie mano-scritte, e prima ancora che trovi il suo as-

    setto finale. Ma quando è in Spagna sirende conto che qualcuno potrebbe pira-tare il suo libro. Decide pertanto di strin-gere i tempi e di inviare a Venezia il ma-noscritto finale, ma solo dopo avere defi-nito il contratto con l’editore e avere con-fermato la necessità di affidare l’operaalla revisione di un esperto di quel volga-re che sta diventando la norma anche (esoprattutto) in tipografia e che per unparlante lombardo è ancora una faticosaconquista».

    L’intervento normalizzatore dell’edi-tore a cosa tendeva esattamente? Qualisono gli interventi più significativi?

    «Castiglione è consapevole delle gravilacune del suo volgare che intende aspi-rare a una eloquente eleganza. Anche nella scelta del revisore deve avere avutouna parte diretta, perché Giovan France-sco Valier è letterato autorevole, nel 1528,e ben noto negli ambienti culturali: non ècerto un lavorante dell’officina aldina, maun freelance probabilmente a contrattoper prestazione occasionale. Il suo com-pito è quello tipico di ogni editor: norma-lizzare, normalizzare, normalizzare, sullabase di quella grammatica del volgareche Bembo, e non solo lui, aveva codifica-to. E dunque interviene su tutti gli aspettiinstabili della fonetica e della morfolo-gia, in particolare di quella del verbo:raddrizza tutte le forme ormai impratica-bili, ma così facendo ci consente anche diprendere atto di quanto si perda, e per sempre, nella voce originaria dell’auto-re».

    La dedica è una sorta di rivalsa d’or-goglio del lombardo Castiglione? Inche senso?

    «È un orgoglio che vorrebbe masche-rare le manipolazioni della propria lin-gua nativa: dirsi lombardo, gridarlo, sa-pendo bene che non è più così. Vi ricono-sco la drammatica consapevolezza dei costi che occorre accettare per diventare“normali” ed entrare nei circuiti dellamoderna comunicazione, che per essere“italiana” non potrà più essere “lombar-da” o di altra piccola patria».

    Essere un «nativo tipografico» signi-ficava avere una nuova idea di autore...

    «Sarà così per la generazione di Areti-no, ma non lo è ancora per un umanistacome Castiglione che pretende che il suolibro sia stampato nel grande formato “infolio” e contribuisce alle spese di stampa:ma fu subito un bestseller, nei formati ta-scabili e nei gradevoli caratteri corsivi. Ariprova di come un autore possa capirepoco dell’opera che ha scritto».

    Chi sono Valier e Ruscelli? E che ruo-lo ebbero?

    «Valier è un letterato di valore che sipresta a fare l’editing del manoscrittocercando di normalizzarne le tante oscil-lazioni: una figura di prestigio che po-trebbe essere una sorta di nume tutelaredegli editor di tutti i tempi. Ruscelli è undirigente editoriale, diremmo oggi, di va-stissime competenze, responsabile ditanta produzione libraria del Cinquecen-to, un personaggio chiave che finalmenteè al centro degli interessi degli studiosi».

    Infine, chi ha scritto il «Cortegia-no»?

    «La domanda vuole essere paradossa-le, con l’obiettivo però di sollecitare l’at-tenzione alla complessità dei processiche trasformano il testo d’autore (con lesue volontà) in libro tipografico: processicollaborativi, come ho detto, a più mani,e con manipolazioni certamente neces-sarie ma che devono restare nascoste (e questo ancora fino a poco tempo fa: il la-voro dell’editor come lavoro vergognosoper l’autore; e ora quanti outing!). Il casodel Cortegiano, se intanto consente di fa-re piena luce su cosa accadde in tipogra-fia a Venezia nel 1528, illumina anche ipiù ordinari modi con cui per secoli sonostati stampati i libri».

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

    L’iniziativaL’editore Bulzoni pubblica

    Il Libro del Cortegianodi Baldassarre Castiglione,

    a cura di Amedeo Quondam,in tre volumi indivisibili:

    1. La prima edizione, pagine483; 2. Il manoscritto di

    tipografia, pagine 558; e ilvolume a firma di Quondam

    L’autore (e i suoi copisti), l’editor,il tipografo,

    pagine 632 (e 150)L’umanista

    Baldassarre Castiglione(1478-1529), umanista,

    letterato e diplomatico, fu alservizio di Francesco II

    Gonzaga a Mantova e poi allacorte di Guidobaldo da

    Montefeltro a Urbino, e netrasse materia per Il Libro del

    Cortegiano, sulle regole e gli usidella corte rinascimentale.

    Fu ambasciatore, prete dopo lamorte della moglie

    e divenne nunzio pontificioa Madrid nel 1527

    Il curatoreAmedeo Quondam (nella

    pagina accanto) è professoreemerito di Letteratura italiana

    alla Sapienza di Roma. Lagiuria del premio Viareggio

    Rèpaci gli ha appenaassegnato il Premio Viareggioalla carriera 2016. Ha fondato

    vari istituti come Adi,Associazione degli Italianisti

    Italiani, e Bibit(Biblioteca italiana)

    i

    ILLUSTRAZIONEDI ANNA RESMINI