Un maestro del Rinascimento LORENZO LOTTO NELLE … · Un maestro del Rinascimento ... ricercato...

29
1 Un maestro del Rinascimento LORENZO LOTTO NELLE MARCHE Reggia di Venaria Reale (TO), 9 marzo – 7 luglio 2013 a cura di Gabriele Barucca Indice Presentazione – Fabrizio Del Noce e Alberto Vanelli 2 Introduzione – Gabriele Barucca 3 Lorenzo Lotto. Biografia e percorso artistico – Gabriele Barucca 10 Lorenzo Lotto e la Marca d’Ancona - Peter Humfrey 14 I pannelli di sala 19 Elenco delle opere con immagini 26

Transcript of Un maestro del Rinascimento LORENZO LOTTO NELLE … · Un maestro del Rinascimento ... ricercato...

1

Un maestro del Rinascimento

LORENZO LOTTO NELLE MARCHE

Reggia di Venaria Reale (TO), 9 marzo – 7 luglio 2013

a cura di Gabriele Barucca

Indice

Presentazione – Fabrizio Del Noce e Alberto Vanelli 2 Introduzione – Gabriele Barucca 3 Lorenzo Lotto. Biografia e percorso artistico – Gabriele Barucca 10 Lorenzo Lotto e la Marca d’Ancona - Peter Humfrey 14 I pannelli di sala 19 Elenco delle opere con immagini 26

2

Presentazione della mostra Anche per il 2013 La Venaria Reale presenta un’importante programmazione di eventi e mostre che attestano la volontà del Consorzio di continuare a posizionare la Reggia come una grande prestigiosa sede di progettazione culturale che organizza ed ospita iniziative di respiro non solo nazionale. L’intento per quest’anno è quello di proporre la visita al luogo, già di per sé straordinario, della Reggia come l’occasione per compiere anche un vero e proprio “viaggio” nelle bellezze artistiche e peculiarità storiche dell’Italia che tutto il mondo ci ammira ed invidia, e che non valorizziamo mai a sufficienza. La mostra su Lorenzo Lotto nelle Marche, allestita nelle Sale delle Arti ai Piani Alti della Reggia con lo straordinario affaccio sui Giardini, è la prima tappa di questo ideale tour. Si tratta di una mostra preziosa e raffinata, dedicata a uno dei più grandi ed intensi interpreti del nostro Rinascimento, un omaggio all’artista più vicino alla sensibilità e alle inquietudini contemporanee attraverso un ricercato affascinante percorso nella produzione marchigiana del pittore. Per quanto avvincenti l’idea e il progetto, non è stato però semplice cogliere l’opportunità di “incastonare” i capolavori di Lotto nello “scrigno” della Venaria: per questo vogliamo ringraziare, tra gli altri, la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche con la Soprintendenza ai Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici, la stessa Regione Marche, MondoMostre e il curatore Gabriele Barucca con Lorenza Mochi Onori e Maria Rosaria Valazzi: la loro collaborazione è stata fondamentale e imprescindibile per la realizzazione di tutta l’iniziativa.

Fabrizio Del Noce Presidente La Venaria Reale

Alberto Vanelli Direttore La Venaria Reale

3

Introduzione alla mostra Gabriele Barucca La possibilità di organizzare a Venaria Reale (TO), negli splendidi spazi della Reggia Sabauda, una piccola esposizione di opere d’arte legate alle Marche, offre l’occasione per riunire alcuni capolavori di Lorenzo Lotto (Venezia, circa 1480 – Loreto, circa 1556), scelti tra quelli riconducibili ai vari soggiorni nelle città delle Marche o a committenze marchigiane. Una mostra d’occasione, dunque, che intende costituire l’omaggio all’artista cinquecentesco più vicino alla sensibilità e alle inquietudini contemporanee da parte di due istituzioni culturali, la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici e Etnoantropologici delle Marche e la Reggia di Venaria Reale. Veneziano, Lorenzo Lotto trascorse quasi tutta la vita lontano dalla città natale, ai suoi giorni ancora una delle più straordinarie capitali della civiltà occidentale, che però non lo aveva mai capito e apprezzato abbastanza e che preferiva l’opera dei suoi grandi coetanei Giorgione, Palma il Vecchio e Tiziano. Così la sua esistenza errabonda e inquieta lo portò spesso lontano da Venezia e fu segnata da soggiorni più o meno prolungati a Treviso, a Roma, a Bergamo e, soprattutto, nelle cittadine delle Marche. E qui a Loreto il grande pittore ormai vecchio e solo si stabilì definitivamente nel 1552 divenendo due anni dopo oblato presso la Santa Casa, sotto la protezione del veneziano Gaspare de Dotti, governatore apostolico, e vi morì fra la fine del 1556 e i primi mesi dell’anno seguente. La decisione di scegliere per questa mostra alcuni dipinti di seducente bellezza di Lorenzo Lotto è dettata principalmente da due ragioni. La prima ragione risiede proprio nella qualità straordinaria di queste opere del pittore veneziano, riscoperto dalla critica novecentesca dopo secoli di oblio - la prima monografia di Berenson è del 1895 - e finalmente riconosciuto come uno degli interpreti e artefici più sensibili e profondi del suo tempo, la seconda nel fatto che Lorenzo Lotto rappresenta una delle testimonianze più alte e significative dell’intensità dei rapporti culturali tra Venezia e le Marche. Di fatto, almeno fino a tutto il Cinquecento Venezia ha inequivocabilmente rappresentato per la Marcha anconetana uno dei principali, fortissimi poli di attrazione. Numerosi contributi di studio hanno affrontato i diversi aspetti del rapporto tra Venezia e l’area adriatica, in particolare marchigiana. Questo fenomeno di carattere essenzialmente economico e sociale determinò almeno fino al XVI secolo un’osmosi culturale tra le città della Marca e Venezia, che trova riscontro ancora oggi, nonostante le innumerevoli dispersioni, nella realtà di un tessuto artistico locale caratterizzato profondamente dalla notevole densità di “presenze veneziane” o più generalmente venete, distribuite su tutto il territorio marchigiano. Lorenzo Lotto non si limitò ad inviare nella Marcha le sue opere bensì vi soggiornò ripetutamente nel corso della sua esistenza, scegliendola di fatto come sua terra d’elezione. I dipinti selezionati intendono proprio documentare i diversi momenti di questo intenso legame tra l’artista e la regione adriatica e insieme consentono di tracciare un’affascinante sintesi delle componenti della poetica lottesca, di seguire insomma il cammino della sua arte, la ben rilevabile evoluzione stilistica nel corso della sua carriera. Le dimensioni limitate della mostra in oggetto consentono comunque di illustrare, sebbene in forma sintetica, anche i diversi temi caratterizzanti della produzione del pittore, vale a dire quello dominante della pittura di devozione, di destinazione sia pubblica sia privata, della ritrattistica e delle allegorie di carattere secolare. Ma andiamo per ordine. Il primo riscontro documentario certo della presenza di Lotto nella regione risale al giugno del 1506 quando figura a Recanati per firmare con i domenicani della città il contratto per la pala d’altare dello loro chiesa. Era già considerato un “pictor celeberrimus” a Treviso dove in quel periodo stava lavorando. Ma il suo apprendistato artistico era probabilmente avvenuto a Venezia forse nella bottega di Alvise Vivarini e comunque fortemente suggestionato dall’opera di Giovanni Bellini e di Cima da Conegliano. Sono questi i dati di stile che si riscontrano anche nel primo stupefacente capolavoro di Lotto per le Marche, appunto il Polittico di San Domenico di Recanati datato 1508, ma già iniziato nell’autunno del 1506. Il soggiorno recanatese del Lotto, che parte proprio in quel momento, si deve certo alla commissione del polittico per i Domenicani della città ma probabilmente anche perché il pittore

4

sperava di ottenere ulteriori importanti incarichi derivanti dalla possibilità di allacciare contatti importanti a Loreto, città vicina a Recanati, centro di pellegrinaggio tenuto in gran considerazione dal papa Giulio II. Di fatto da Recanati Lotto, favorito forse dall’intermediazione del vescovo della città Teseo De Cuppis, venne convocato a Roma, dove in data 8 marzo e 18 settembre 1509 riceve due pagamenti anticipati per pitture ancora da eseguire nelle camere attigue alla biblioteca degli appartamenti papali in Vaticano. L’inserimento del pittore nel contesto romano, dominato da Raffaello, non ebbe l’esito da lui sperato. L’opera di Lotto non piacque a Giulio II, e così il pittore decise di lasciare Roma e di tornare probabilmente a Recanati, dove è comunque documentato già nell’aprile del 15101. Ma il contatto a Roma con Raffaello non fu privo di conseguenze nella produzione lottesca successiva. Gli esiti della meditazione sull’opera del pittore urbinate sono evidenti in due grandi pale d’altare databili intorno al 1511-12, la Trasfigurazione di Cristo di Recanati e la Deposizione di Cristo di Jesi, nonché nell’affresco (ora staccato) in San Domenico a Recanati con San Vincenzo Ferrer in gloria. Quest’ultima opera, dopo un attento restauro condotto per l’occasione, viene presentato in mostra a documentare questo momento creativo del Lotto in terra marchigiana subito dopo l’esperienza romana accanto a due tavolette di questo stesso periodo. Si tratta di autentiche gemme, straordinari capolavori giovanili del Lotto: la Giuditta con la testa di Oloferne della collezione BNL di Roma e la tavoletta votiva del San Giacomo pellegrino, proveniente dal piccolo Oratorio di San Giacomo a Recanati, ed ora nella locale Pinacoteca Civica di Villa Colloredo Mels. Quest’ultimo dipinto è stato a ragione riconosciuto dalla critica come uno dei capolavori emblematici nel percorso iniziale del pittore più originale e bizzarro emerso nella Venezia del Cinquecento. Il modo in cui è definito lo sfondo paesaggistico e la monumentalità classica della figura del santo, nonostante le sue piccole dimensioni, denunciano il momento di più stretta consentaneità con Raffaello, come nella Deposizione di Jesi, confermando la datazione del nostro dipinto negli anni fra il 1511 e il 1513. La suprema e moderna libertà nel giocare con lo spazio e le disparità dimensionali tra primo piano e sfondo, che conferendo maestosità al san Giacomo fanno sembrare questa figura nelle riproduzioni fotografiche molto più grande del vero, anticipano gli effetti raggiunti dai grandi incisori seicenteschi come Francesco Villamena e Jacques Callot. Alla seconda metà degli anni venti sono databili le due tavole con l’Angelo annunciante e la Vergine annunciata, oggi nella Pinacoteca Comunale di Jesi. E’ questo il periodo tra la fine del fortunato soggiorno bergamasco – nella città orobica il pittore soggiornò quasi continuativamente dal 1513 al 1525 - e il rientro a Venezia del Lotto, che proprio in quegli anni rinsalda nuovamente i suoi rapporti con i committenti marchigiani e specialmente jesini. Peraltro già nel 1523, quando ancora risiedeva a Bergamo, si era recato a Jesi per firmare il contratto per la Pala di santa Lucia, di fatto dipinta a Venezia e consegnata a Jesi solo nel 1532. Le tavolette jesine con l’Annunciazione, presenti in mostra, costituivano gli scomparti laterali di una pala frammentaria, realizzata per un altare della chiesa dei Minori Conventuali di San Floriano a Jesi, nel cui convento furono rinvenute nel 1861. Memorabili sono le figure dei due protagonisti che appaiono improvvisamente dall’oscurità, legate visivamente dalla ricomposizione nei due scomparti di un ambiente domestico unitario dove si svolge la scena, suggerito da alcuni particolari come l’uscio aperto alle spalle dell’Angelo da cui filtra la luce che illumina appena la stanza, l’inginocchiatoio con i libri, la vetrata dell’oculo e la tenda verde annodata dietro alla figura della Madonna. La luce che investe i due personaggi li colpisce sul davanti, come la luce artificiale di una ribalta, che concentra l’attenzione sulla mano destra alzata dell’Angelo, sublime trasposizione visiva dell’”angelica salutazione”, sul viso della Vergine e sul gesto delle sue mani, esprimenti la sua conturbazione dopo aver udite le parole dell’Angelo. In questa figura Lotto raggiunge in virtù di una stesura pittorica superlativa uno dei vertici supremi della sua arte: una creatura come nessuna altra celestiale che si fa visione materiale, segnando con la sua ombra il pavimento della stanza. La cronologia dei pannelli superstiti della paletta jesina è generalmente circoscritta tra il 1525 e il 1527; l’esecuzione delle opere sarebbe pertanto avvenuta nel periodo di passaggio tra l’attività bergamasca del Lotto, segnata dal Polittico di Ponteranica, e il suo rientro a Venezia, denso di commissioni destinate alle Marche, come per

1 Castellana 2009, pp. 131-140.

5

esempio la Pala di Santa Lucia di cui s’è detto e la Pala di San Francesco al Monte, sempre a Jesi, firmata nel 1526. Le due splendide tele che seguono nel percorso espositivo hanno formato e dimensioni grossomodo simili ed erano destinate alla devozione privata, in origine esposte probabilmente su di un piccolo altare domestico. In entrambi i dipinti Lotto declina in maniera distinta il prediletto tema mariano in una complessa orchestrazione figurale. Si tratta della Sacra Famiglia con santa Caterina d’Alessandria, firmata e datata 1533, dell’Accademia Carrara di Bergamo dove pervenne nel 1829 dalla collezione del conte Guglielmo Lochis, e della Madonna col Bambino e i santi Giovacchino, Anna e Girolamo, degli Uffizi, firmata e datata 1534. Entrambi i dipinti appena citati sono stati dunque realizzati nel biennio in cui non sono noti documenti riguardanti il luogo di residenza del pittore. Il 15 gennaio 1533 Lotto fece a Venezia il suo primo testamento, in cui lascia intendere di essere in procinto di partire2. Quale sia stata la sua destinazione e quando realmente si mise in viaggio non è dato sapere però con certezza. E’ probabile comunque che il pittore si sia recato già nel corso del 1533 nelle Marche, dove l’anno prima aveva inviato a Jesi l’importante Pala di santa Lucia e dove è documentato un suo trasferimento da Loreto a Jesi nell’agosto del 1535. Le due tele in questione sono caratterizzate da volumi lucidamente integri e dal colore lustro e acceso. La Sacra Famiglia con santa Caterina d’Alessandria fu probabilmente dipinta da Lotto non appena arrivato nelle Marche da Venezia nel 1533. La sottile inquietudine che turba i volti dei personaggi e agita come in un vortice i loro movimenti, quasi per un oscuro presagio, si scioglie nel sereno e stupefacente paesaggio dello sfondo, incorniciato da una folta siepe di piante vere, di cui si possono identificare le specie botaniche, che non è azzardato identificare in un tratto della costa adriatica a sud del monte Conero, con il fiume Potenza che sfocia nel mare. All’anno successivo del dipinto ora a Bergamo risale l’altra splendida tela raffigurante la Madonna col Bambino e i santi Giovacchino, Anna e Girolamo, una differente versione allargata del tema mariano caro al pittore, risolto con sempre rinnovate soluzioni compositive e con esiti particolarmente felici. Il dipinto pervenne alla Galleria degli Uffizi dalla collezione del Gran Principe Ferdinando dei Medici. Fra le prestigiose commissioni pubbliche degli anni di questo secondo prolungato soggiorno marchigiano del Lotto che si protrarrà fino alla fine del 1539 sono riconducibili in mostra due straordinarie testimonianze. La prima è costituita dalla grande tela con San Cristoforo tra i santi Rocco e Sebastiano già nella basilica di Loreto e oggi nel museo attiguo, opera non datata ma collocabile intorno al 1535. Quasi alla fine di questo soggiorno marchigiano del pittore è databile invece l’altra opera pubblica, vale a dire la pala raffigurante la Madonna col Bambino incoronata dagli angeli e con i santi Stefano, Giovanni Evangelista, Mattia e Lorenzo (pala dell’Alabarda). La tela, oggi nella Pinacoteca Civica di Ancona, è ricordata dal Vasari, il quale informa che fu eseguita per la chiesa di Sant’Agostino di Ancona. E’ firmata ma non datata ed è collocabile cronologicamente intorno al 1538, anno in cui Lotto è documentato ad Ancona. La composizione e la concezione luminosa del dipinto rivelano un momento di alta tensione religiosa, e mostrano stilisticamente un certo avvicinarsi del Lotto al gusto lagunare, e in particolare alla pittura di Tiziano. Ma si deve ricordare anche che la pala anconetana giustificò l’inserimento di Lorenzo Lotto tra i ‘pittori della realtà’ precedenti di Caravaggio, secondo un’intuizione di Roberto Longhi (1929): “O se volete vedere a che punto il Lotto, ne’ momenti più sobri e meno melici, sia vero e semplice di forma, e allora precaravaggesco, guardate il San Lorenzo della pala di Ancona, proprio formato dal lume, come farà il Caravaggio cinquant’anni dopo.” La Pala dell’Alabarda è giunta ai nostri giorni mutila; in origine era completata dalla predella e da una lunetta. Della predella non si hanno notizie mentre la lunetta, raffigurante lo Spirito Santo e gloria di angeli, è stata fortunatamente individuata nel 1994 presso il convento dei Domenicani di Ancona, ed è ora esposta alla Pinacoteca cittadina. Prima di presentare le opere selezionate per illustrare la produzione degli ultimi anni di Lotto, è bene accennare alla questione dei riflessi della sua arte nelle Marche a partire proprio dagli anni

2 Cortesi Bosco 1998, pp. 7-73.

6

Trenta, periodo in cui il pittore soggiornò a lungo nella regione accogliendo presso di sé alcuni giovani intenzionati ad imparare “l’arte del dipinger”, come lui steso ricorda. I rapporti spesso conflittuali del maestro con i collaboratori e gli apprendisti, l’influenza della sua attività marchigiana sulla pittura locale contemporanea e dei tempi successivi apre un campo di ricerche, la cui esplorazione qui sarebbe fuori luogo affrontare; ma non si può non ricordare una sintetica, quanto puntuale, considerazione di Zeri che a tal proposito scrive: ”l’eco del Lotto sui pittori locali fu assai scarso e irrilevante, limitandosi qua e là ad alcune citazioni del tutto superficiali e fuori di ogni contesto logico: tra l’altro, nessuno tentò di accostarsi alla tecnica lottesca, o di studiare il suo impasto e il suo incomparabile modo di servirsi del pennello.”3 Fra i tanti che si accostarono al pittore e poi regolarmente lo abbandonarono dopo poco tempo, un solo pittore rimase sostanzialmente legato al maestro veneziano per tutta la vita: è Durante Nobili da Caldarola4. Il rapporto tra i due iniziò probabilmente intorno al 1535, quando Durante, che allora aveva all’incirca venticinque anni, si accostò al Lotto arricchendo così la sua formazione artistica principiata nella bottega caldarolese di suo padre Nobile di Francesco da Lucca. La tela della collegiata di San Martino a Caldarola, presente in mostra, firmata e datata “Durans Fecit, 1535”, testimonia senza dubbi la vicinanza in quel periodo di Durante Nobili al pittore veneziano, che nello stesso anno firmò la pala con la Madonna in gloria col Bambino e i santi Andrea e Girolamo per la chiesa di Sant’Agostino di Fermo, oggi in collezione privata romana5. E’ così puntuale il rimando compositivo a quest’opera lottesca nella paletta di Caldarola, dove Durante sostituisce soltanto i santi inginocchiati in adorazione con le figure dei santi medici Cosma e Damiano, da aver suggerito a Zampetti di riconoscere con una sicurezza invero eccessiva la mano del Lotto nella conduzione della tela6, del resto molto apprezzata dalla stessa comunità di Caldarola, che rivolse un pubblico elogio a Durante. Certamente in questa consonanza c’è molto di più che l’imitazione compositiva, ma il livello qualitativo della pittura di Durante, che qui peraltro è insolitamente sostenuto, non riesce ad avvicinarsi alla concentrazione espressiva che caratterizza i protagonisti della tela fermana e a raggiungere gli effetti sofisticati nella resa luministica e nelle scelte cromatiche del prototipo lottesco. In ogni modo Durante da quel momento restò sempre in contatto con Lotto. Il loro fu un rapporto di collaborazione professionale, attestato da diverse annotazioni sul Libro di spese diverse del veneziano, ma anche di familiarità e forse di amicizia affettuosa: è Durante nel giugno del 1548 ad occuparsi della messa in opera nella chiesa di Santa Maria di Mogliano della pala di Lotto con l’Assunta, spedita da Venezia ad Ancona via mare; due anni dopo quando Lotto torna nelle Marche per realizzare la grande Assunta di San Francesco alle Scale di Ancona, Durante è al suo fianco “per dorature e picture”. Il pittore di Caldarola è nuovamente vicino al veneziano nel suo ultimo ritiro lauretano. L’11 luglio 1553 Lotto annota che “maestro Durante pittor da Caldarola vene a servirmi senza altro acordo o pato” e in particolare lo aiutò nell’ornamento “finto di marmo e dorato” di un San Girolamo, destinato al cardinale protettore della Santa Casa di Loreto, Rodolfo Pio da Carpi. Ma, non ancora terminata l’opera, Durante chiese a Lotto di poter tornare a casa per far visita alla sua donna malata, promettendo “di tornar a tempo” per finire l’ornamento del dipinto per il cardinale. Non mantenne la promessa e Lotto fu costretto ad annotare nel suo Libro di spese diverse: “partì il 10 agosto … e non tornò … E se si grana, non è in mia consienza, attento li comodi soi in danno mio”7. Tornando al Lotto, appartengono alla fase finale della sua attività per le Marche (circa 1548-1556/57) le ultime opere selezionate, che si collocano ai vertici della produzione lottesca di quel tempo. Com’è noto, la letteratura ha indugiato sulla qualità calante della mano dell’artista nei suoi anni tardi. Questa affermazione è generalmente giustificabile ed è indubbio che Lotto aveva raggiunto nella sua produzione giovanile fino a quella del tempo pieno della maturità ciò che riteneva il destino della pittura: essere lo specchio immutabile della bellezza esaltante che l’universo offre anche nelle cose più semplici. Proprio perché apparentemente costretta ad

3 Zeri 1982, p.190; ried. in Zeri 2000, p. 268. 4 Cicconi 2007, pp. 24-25; 5 G.C.F. Villa in Lorenzo Lotto 2011, pp. 132-133, con bibliografia precedente. 6 P. Zampetti, in Lorenzo Lotto nelle Marche 1981, pp. 332-334. 7 Sul rapporto fra Lotto e Durante Nobili, cfr. da ultimo Chiappini di Sorio 2009, pp. 246-253.

7

obbedire alla verità e alla natura, la sua pittura esprimeva in questo confronto col reale quotidiano la propria libertà, fino a raggiungere momenti di autentica esaltazione inventiva. Dopo le esperienze trascorse, l’inquietudine da cui era stato preso in tanti momenti, i molti viaggi che aveva affrontato, i luoghi che aveva attraversato, le persone che aveva incontrato, i ritratti che aveva realizzato, e che in passato gli avevano finanche rallegrato la vita, Lotto si ritira nelle Marche dove trascorse i suoi ultimi anni a partire dal 1549, restringendo sempre di più i confini della sua visione. La sua vecchiaia diventa il tempo della solitudine, del silenzio e della concentrazione. Ma l’indebolirsi della vista e il progressivo isolarsi non gli impedirono di elaborare una sempre più cosciente meditazione sui principi e le regole della pittura, pervenendo in alcuni casi ad esiti sconcertanti che sembrano annunciare gli sviluppi futuri della pittura europea. La sezione delle opere dell’ultima fase comprende una teletta raffigurante l’Allegoria della Fortuna infelice abbattuta dalla Fortezza, ora a Loreto, commissionata in origine come “coperto” per il ritratto di Dario Franceschini da Cingoli. L’opera si configura come una vera e propria impresa, ed esemplifica quella produzione lottesca di allegorie profane destinate ad una ristretta ed eletta clientela di umanisti colti e in grado di cogliere il complesso intreccio di significati simbolici trasmessi da questo genere di dipinti. Tra le opere tarde dalla stesura pittorica di qualità magistrale e al passo con le novità della pittura veneta contemporanea spiccano in mostra le due piccole tele raffiguranti rispettivamente San Sebastiano e San Rocco. La prima, pubblicata per la prima volta dal Boschetto nel 19538, è in collezione privata e pertanto ancora poco conosciuta. E’ stata presentata al pubblico una sola volta all’esposizione recanatese su Lorenzo Lotto nel 1998. In quella occasione Lucco9 ha proposto di riconoscerla come un frammento superstite dell’”opera de San Rocho de la Madona Santa Maria Posatora”, un dipinto nel quale figuravano un “San Sebastiano e San Rocho con quelle altre cose che parerà a me per il meglio”, che Lotto si impegnava ad eseguire il 25 ottobre 1549, in Ancona, per Piera de Moneco e un gruppo di gentildonne del luogo, e che risultava saldato il 27 aprile del 1550.10 Il riconoscimento del San Sebastiano con parte dell’opera tarda ricordata nel Libro di spese diverse era avvalorato, secondo lo studioso, dall’aspetto bassanesco di quel cielo serotino, percorso di nuvole, e ispirato, come nel Ritratto di fra’ Gregorio Belo da Vicenza del 1547 (New York, Metropolitan Museum), dalla Pala di Angarano del giovane Jacopo Bassano, terminata entro i primi di marzo del 1547, che Lotto ebbe certamente modo di vedere prima di partire da Venezia per Ancona nel 1549. La seconda, resa nota da Humfrey nel 200711, è stata acquistata subito dopo dallo Stato sul mercato antiquario e destinata alla Galleria Nazionale delle Marche di Palazzo Ducale di Urbino, fino a quel momento priva di opere di uno dei protagonisti più rappresentativi dell’arte nelle Marche12. Il ritrovamento del San Rocco, subito indicato come pendant del San Sebastiano, ha consentito di ricomporre idealmente l’opera per la chiesa di Santa Maria Posatora di Ancona, che lo stesso Lotto non cita mai come una pala, ma che era evidentemente costituita dalle due telette di devozione pensate dal pittore per essere esposte una accanto all’altra. Sarà estremamente interessante e utile agli studiosi per formulare più fondati giudizi poter vedere riaccostati per la prima volta in una esposizione pubblica i due dipinti, uniti dallo stesso sfondo costituito da un lembo di paesaggio con colli ondulati e prati fioriti, e dallo stratagemma visivo inventato dal pittore che fa debordare sulla tela con San Sebastiano un lembo della calza color rosa-violaceo che san Rocco si è sfilato per mostrare il bubbone. Accanto alle due telette in questione accresce la suggestione degli accostamenti l’esposizione della grande pala con San Cristoforo fra i santi Rocco e Sebastiano, prima opera del Lotto per il Santuario di Loreto. Probabilmente per desiderio delle stesse committenti anconetane, Lotto replicò fedelmente nelle effigie dei due santi depulsores pestilentiae, proprio le stesse figure che aveva posto ai lati del San Cristoforo nella pala lauretana

8 Banti, Boschetto 1953, pp. 79, 87. 9 M. Lucco, in Lorenzo Lotto a Recanati 1998, pp. 69-71. 10 Libro dei Conti, ed. Zampetti 1969, pp. 166-167, 169. 11 Humfrey 2007, pp. 63-66. 12 Mochi Onori 2010, pp. 18-20.

8

realizzata intorno al 153513. Del resto è documentato il successo di questa invenzione lottesca: di recente è riapparso alla luce fortuitamente nella chiesetta di Santa Maria delle Grazie a Monte San Martino, nell’alto maceratese, un affresco, datato 1536, in cui il pittore Giovanni Andrea De Magistris, padre di quel Simone destinato a divenire, insieme al citato Durante Nobili, uno dei pochi epigoni del Lotto nelle Marche, riprende fedelmente proprio la figura lottesca del san Rocco della pala di Loreto, a pochi mesi dalla sua realizzazione14. Se il San Rocco e il San Sebastiano rappresentano quella parte di produzione senile del Lotto, in cui la qualità resta assai alta ma innegabilmente la spinta inventiva sembra affievolirsi e le composizioni ripropongono idee già collaudate, le due ultime opere marchigiane esposte, l’inedito Cristo morto sorretto dagli angeli in collezione privata, certo appartenente al tempo dell’ultimo ritiro lauretano, e la Presentazione di Gesù al Tempio di Loreto, circonfusi di dolente poesia, contraddicono questa tendenza e toccano anzi i vertici assoluti della creatività dell’artista nei suoi anni estremi. In particolare, la Presentazione di Gesù al Tempio è un dipinto giustamente famoso, una tra le più struggenti opere lottesche per la forza emotiva che sa ancora trasmettere. La consunzione formale e materica che caratterizza la stesura pittorica si manifesta anche nelle scelte cromatiche caratterizzate dal prevalere di toni austeramente smorzati, per contro vivacizzati dalla raffinatezza di alcuni particolari esecutivi come le profilature di luce a segnare i panneggi delle vesti dei personaggi. Anche le espressioni dei protagonisti, quasi illuminati da una visione spirituale tutta interiore, sono una toccante dichiarazione della personale fede religiosa del vecchio pittore, giunto al capolinea della sua esistenza terrena. E noi oggi scorgiamo in quel non finito la straordinaria modernità e la fresca bellezza della sua visione, degna di Manet e Degas.

Gabriele Barucca Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed

Etnoantropologici delle Marche

13 Il prototipo, per quanto riguarda la figura del san Sebastiano, è comunque costituito dal dipinto firmato e datato 1531, proveniente da Castelplanio, presso Jesi, e oggi negli Staatliche Museen di Berlino. Sulla questione cfr. M. Lucco, in Lorenzo Lotto a Recanati 1998, pp. 69-71. 14 Barucca 2010, pp. 96-107.

9

Bibliografia per esteso F. Zeri, Lotto e il ciclone Borgia, in Mai di traverso, Milano 1982. F. Cortesi Bosco, Autografi inediti di Lorenzo Lotto: il primo testamento (1531) e un codicillo (1533), in “Bergomum”, XCIII, 1998, 1-2, pp. 7-73. R. Cicconi, Caldarola al tempo dei De Magistris, in Simone De Magistris. Un pittore visionario tra Lotto e El Greco, a cura di V. Sgarbi, catalogo della mostra (Caldarola 2007), Venezia 2007, pp. 21-35. S. Castellana, Un nuovo documento per Lorenzo Lotto a Recanati, in “Kronos”, 12, 2009, pp. 131-140. I. Chiappini di Sorio, Amore, devozione o plagio di Durante Nobili un “creato” di Lorenzo Lotto, in Lorenzo Lotto e le Marche. Per una geografia dell’anima, a cura di L. Mozzoni, atti del convegno internazionale di studi (Recanati, Jesi, Monte San Giusto, Cingoli, Mogliano, Ancona, Loreto, 14-20 aprile 2007), Firenze 2009, pp. 246-253. G. Barucca, Affreschi ritrovati nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Monte San Martino: un’aggiunta a Giovanni Andrea De Magistris e un’ipotesi per Andrea Boscoli, in “Rimarcando”, 4, 2009 (2010), pp. 96-107. F. Zeri, Diario marchigiano. 1948-1988, Torino 2000.

10

Lorenzo Lotto: biografia e percorso artistico Gabriele Barucca La vita e la carriera artistica di Lorenzo Lotto (Venezia, circa 1480 – Loreto, circa 1556) sono singolarmente ben documentate. Ciò non si deve, come per la maggior parte dei protagonisti dell’arte italiana del Rinascimento, alle biografie del Vasari, che anzi gli riserva un breve profilo marginale nella seconda edizione delle Vite del 1568, bensì a un corpus considerevole di opere superstiti, spesso firmate e datate nel corso della sua lunga carriera, e a quanto di scritto egli ci ha lasciato. In particolare si tratta della corrispondenza che Lotto intrattenne da Venezia con i governatori della confraternita della Misericordia di Bergamo, in relazione ai disegni per un ciclo di tarsie (1524-1532), il testamento del pittore, redatto nel 1546, e, soprattutto, il Libro di spese diverse, una sorta di registro accurato dei conti che Lotto tenne negli ultimi due decenni della sua esistenza (1538-56), ritrovato nel 1892 presso l’Archivio della Santa Casa di Loreto. Lorenzo Lotto nacque a Venezia in una data imprecisata intorno al 1480, come si deduce dal testamento del 1546, in cui dichiara di avere “circha anni sessantasei”. Era dunque quasi coetaneo di Giorgione e di Tiziano, i due grandi protagonisti della scena artistica della città lagunare, originari però di località periferiche del vasto dominio veneziano della terraferma, rispettivamente Castelfranco Veneto e Pieve di Cadore. La formazione del Lotto si ipotizza sia avvenuta nella città natale forse nella bottega di Alvise Vivarini e comunque fortemente suggestionata dall’opera di Giovanni Bellini e di Cima da Conegliano, ma egli figura la prima volta come pittore in alcuni documenti legali trevigiani fra il 1503 e il 1506. A Treviso, dove forse doveva già trovarsi dal 1498, Lorenzo Lotto godette della protezione del vescovo locale, Bernardo de’ Rossi. E’ anche grazie a questo potente patronato che il giovane pittore ottenne prestigiose commissioni che gli consentirono di sperimentare tutti i generi pittorici in seguito da lui prediletti lungo il corso dell’intera carriera, nonché di guadagnarsi una consolidata fama tanto da essere definito in un documento del 1506 “pictor celeberrimus”. Di questi anni sono strepitosi ritratti, quadretti con allegorie profane e religiose, monumentali pale d’altare. Tra i primi vanno ricordati il Busto di donna (Giovanna de’ Rossi vedova Malaspina?) a Digione, il Ritratto del vescovo Bernardo de’ Rossi (Napoli, Museo di Capodimonte), il Busto di giovane con lucerna di Vienna. Delle allegorie profane che ebbe modo di realizzare in questo periodo, per un’eletta clientela di umanisti eruditi, vanno menzionate l’Allegoria degli appetiti dell’anima razionale e Laura in Valchiusa (“Sogno di fanciulla”), entrambe a Washington. Tra i dipinti per la devozione privata va citato il San Girolamo nella selva del Louvre. Quanto alle pale d’altare quella di Santa Cristina del Tiveron è databile tra il 1504 e il 1505, mentre quella con l’Apparizione della Vergine ai santi Antonio abate e Ludovico da Tolosa nel duomo di Asolo è datata 1506. Il 17 giugno di quell’anno Lotto è a Recanati per firmare con i domenicani il contratto per la pala d’altare dello loro chiesa. Nell’autunno si trasferisce da Treviso a Recanati, dove nel 1508 firma e data il Polittico di San Domenico (ora nel Museo Civico di Recanati), primo di una serie di capolavori che il Lotto realizzò per le cittadine delle Marche. Da Recanati, favorito forse dall’intermediazione del vescovo della città Teseo De Cuppis, Lotto venne chiamato a Roma per lavorare alla decorazione del nuovo Appartamento Pontificio, nel Palazzo Vaticano, commissionata da papa Giulio II. In data 8 marzo e 18 settembre 1509 Lotto riceve due pagamenti anticipati per pitture ancora da eseguire nelle camere attigue alla biblioteca del pontefice. L’inserimento del pittore nel contesto romano, dominato da Raffaello, non ebbe l’esito da lui sperato. L’opera del Lotto non piacque al papa, e così il pittore decise di lasciare Roma e di tornare probabilmente a Recanati, dove è comunque documentato già nell’aprile del 1510. Ma il contatto a Roma con Raffaello non fu privo di conseguenze nella produzione lottesca successiva. Gli esiti della meditazione sull’opera del pittore urbinate sono evidenti in due grandi pale d’altare databili intorno al 1511-12, la Trasfigurazione di Cristo di Recanati e la Deposizione di Cristo di Jesi, nonché nell’affresco (ora staccato) in San Domenico a Recanati con San Vincenzo Ferrer in gloria. Un nuovo capitolo si apre intanto nella vita dell’inquieto pittore che nei primi mesi del 1513 decise di trasferirsi a Bergamo, allora in territorio veneziano, colà chiamato per realizzare l’imponente Pala Martinengo, destinata alla chiesa domenicana dei Santi Stefano e Domenico, opera terminata e

11

datata nell’anno 1516 e ora custodita nella chiesa di San Bartolomeo. A Bergamo, terra di confine tra la Repubblica di Venezia e il ducato di Milano, Lotto entrò in contatto con una realtà figurativa del tutto nuova, caratterizzata in particolare dalla forte persistenza dell’influsso bramantesco e leonardesco. Il periodo trascorso a Bergamo, che va dal 1513 al 1525, fu uno dei più sereni e prolifici dell’esistenza tormentata del pittore veneziano, ammirato e ricercato da committenti pubblici e privati. Ebbe infatti il sostegno di importanti famiglie locali i cui esponenti furono effigiati dal Lotto in memorabili ritratti singoli, doppi ritratti e ritratti integrati entro il più ampio contesto del quadro sacro. Basti ricordare il doppio ritratto del medico Giovanni Agostino della Torre con il figlio Nicolò (Londra, The National Gallery), il ritratto di Lucina Brembate (Bergamo, Accademia Carrara), i doppi ritratti di Messer Marsilio Cassotti e la sua sposa Faustina (Madrid, Museo del Prado) e dei Coniugi dell’Ermitage. Quanto ai ritratti di committenti inclusi nelle composizioni di soggetto sacro vanno citati quello frontale di Niccolò Bonghi, testimone alle Nozze mistiche di santa Caterina (Bergamo, Accademia Carrara) e quello di Elisabetta Rota, ammessa alla contemplazione del Commiato di Cristo dalla Madre, superbo dipinto datato 1521 che si trovava in casa Tassi a Bergamo (ora Berlino, Gemäldegalerie). Lungo il corso del suo soggiorno bergamasco, Lotto licenzia altre pale d’altare per chiese della città e del contado: nel 1521 data sia la Madonna in trono e santi per la chiesa di Santo Spirito, sia la Madonna in trono e santi per la chiesa di San Bernardino in Pignolo, l’anno successivo il Polittico di Ponteranica; di poco successiva è la Trinità per la chiesa di Sant’Alessandro della Croce. Negli stessi anni realizza inoltre numerosi dipinti destinati alla pietà domestica: per esempio, sono datate 1522 la Madonna col Bambino e i santi Giovanni Battista e Caterina (Costa di Mezzate, collezione privata) e la Santa Caterina d’Alessandria, dell’anno seguente è la tavoletta con la Natività (entrambe a Washington, National Gallery of Art). In questo periodo Lotto intraprese anche il ciclo di affreschi più impegnativo della sua carriera: vale a dire quello dell’oratorio Suardi di Trescore, a pochi chilometri da Bergamo, dove realizza un complesso programma iconografico incentrato su episodi della vita di santa Brigida d’Irlanda e di santa Barbara, titolari dell’oratorio, e connotato dall’immensa figura del Cristo-Vite. Nello stesso anno 1524, iscritto sugli affreschi di Trescore, Lotto iniziò a lavorare ad un altro prestigioso incarico: la realizzazione dei cartoni per la serie di tarsie per gli stalli del coro di Santa Maria Maggiore a Bergamo, poi magistralmente realizzate dall’intagliatore Giovanni Francesco Capoferri. La realizzazione dei cartoni vide il Lotto impegnato a lungo dopo la partenza per Venezia avvenuta l’anno successivo. Almeno per sette anni il pittore intrattenne rapporti epistolari con i governatori del Consorzio della Misericordia, committenti dell’opera; ci sono pervenute trentanove sue lettere scritte da Venezia che costituiscono una preziosa testimonianza non solo in merito alla conduzione dell’opera e alle scelte iconografiche tratte dal Vecchio Testamento, ma anche riguardo alla sue vicende personali, al suo carattere ansioso e alla sua personalità tormentata. Nel 1525 Lotto lasciava la città orobica per tornare a vivere a Venezia, dove, nonostante le esperienze artistiche maturate e la fama acquisita nei fortunati anni bergamaschi, la sua attività fu essenzialmente confinata all’ambito delle commissioni private. Realizzò ritratti e quadri destinati alla devozione domestica per ricchi collezionisti della società veneziana. Tra questi va ricordato il facoltoso uomo d’affari Andrea Odoni, del quale il Lotto dipinse nel 1527 uno straordinario ritratto, ora nelle collezioni della Casa Reale inglese ad Hampton Court. L’unico incarico pubblico che Lotto ottenne a Venezia in questo periodo è costituito dalla pala con San Nicola in gloria con i santi Giovanni Battista e Lucia del 1527-29, commissionatagli dalla Scuola dei Mercanti per la chiesa di Santa Maria dei Carmini. Al suo rientro a Venezia Lotto aveva trovato alloggio nel convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo. Qui, secondo quanto stabiliva nel suo testamento del 1546, intendeva essere sepolto con l’abito dell’ordine. In questo convento domenicano, dove si tenevano “publice dispute contra la fede et sacri dogmati”, il pittore entrò certamente in contatto e strinse amicizia con personaggi di cui erano note inflessioni eterodosse, animatori nella città lagunare di quella stagione di più larga diffusione e consenso per dottrine religiose connesse alla Riforma luterana. Le amicizie assiduamente coltivate dal Lotto si trovano soprattutto fra i gioiellieri, categoria professionale che a Venezia annoverava tra i propri membri spesso i sospettati o processati dall’Inquisizione. Tra questi vanno citati i fratelli Carpan, in

12

particolare Bartolomeo, forse identificabile nel personaggio effigiato nel Triplice ritratto di Vienna, databile intorno al 1530. Nel corso degli anni trenta Lorenzo Lotto rinsalda i rapporti con i committenti marchigiani, che non si erano peraltro mai interrotti. Infatti nel 1523, quando ancora risiedeva a Bergamo, si era recato a Jesi per firmare il contratto per la Pala di santa Lucia, di fatto dipinta a Venezia e consegnata a Jesi solo nel 1532. Probabilmente nel 1527 aveva spedito da Venezia a Jesi la tavola datata 1526 con la Madonna in trono col Bambino e i santi Giuseppe e Girolamo e nella cimasa San Francesco e santa Chiara per la chiesa di San Francesco al Monte nonché il trittico ora smembrato di cui restano i pannelli laterali con l’Annunciazione, destinato alla chiesa dei Minori Conventuali di San Floriano. Tutte queste opere jesine sono oggi nella Pinacoteca cittadina. Non è sicura la data del trasferimento di Lotto da Venezia alle Marche. Nel gennaio del 1533 in un testamento scritto a Venezia, lascia intendere una sua imminente partenza. Nell’agosto del 1535 è documentato il viaggio da Loreto a Jesi dove il pittore va a dipingere la “cona” per la cappella dei Signori nel Palazzo dei Priori, lavoro soltanto iniziato ma probabilmente mai concluso. La permanenza nella regione adriatica si protrae fino al 1540 quando alla fine di gennaio decise di rimpatriare a Venezia. Non sappiamo esattamente dove fissò la sua residenza, è comunque documentata la sua presenza ad Ancona e a Macerata. In questi anni l’intensa attività del pittore per i committenti marchigiani è segnata dal susseguirsi di straordinari capolavori connotati da geniali invenzioni didascaliche e da una narrazione quasi ingenua, favolosa e insieme di accostante familiarità. Opere che ben si adattano allo spirito dei luoghi, al clima di affetti e di semplicità nei rapporti umani che si respira nella vita sociale. Certo si tratta di ambienti intellettualmente meno sofisticati di quelli veneziani, ma anche meno costrittivi e più disponibili ad accogliere e apprezzare le sperimentazioni lottesche di una pittura non in linea con alcuno dei canoni figurativi dominanti. Nascono così memorabili pale d’altare: la Visitazione di Jesi, la Crocifissione di Monte San Giusto ancora entro la sua splendida cornice dorata progettata dallo stesso artista, il San Cristoforo tra i santi Rocco e Sebastiano di Loreto, l’Annunciazione di Recanati, la Pala dell’Alabarda di Ancona e, infine, la Madonna del Rosario di Cingoli. Come s’è detto, alla fine di gennaio del 1540 Lotto rientrò a Venezia; per un certo tempo lo ospitò un cugino, l’avvocato Mario d’Arman; è questo il periodo in cui dipinse la pala con l’Elemosina di sant’Antonino, terminata nel 1542 e collocata su un altare della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. Ma la sua pittura a Venezia risultava ormai superata nel clima nuovo che si respirava dopo le visite dei pittori manieristi fiorentini Francesco Salviati (1539) e Giorgio Vasari (1541-42). Così Lotto in cerca di rinnovata fortuna decise di trasferirsi a Treviso, dove abitò dal 1542 al 1545, ospite nella casa di Giovanni dal Saon. Ma questo nuovo soggiorno trevisano, a differenza di quello giovanile, non fu altrettanto fortunato. Alla fine del 1545 il pittore tornò a Venezia. Del 1547 è il toccante ritratto di Fra’ Gregorio Belo di Vicenza (New York, The Metropolitan Museum), appartenente all’ultimo periodo della ritrattistica lottesca e commovente manifesto dell’intensa quanto tormentata religiosità del Lotto. Nel 1548 inviò a Mogliano nelle Marche la pala con la Madonna in gloria e santi per la chiesa di Santa Maria di Piazza. L’anno seguente Lotto ottenne l’ordinazione di una grande Assunzione della Vergine per San Francesco alle Scale ad Ancona; così lasciò Venezia per realizzare la pala d’altare sul posto. Forse aveva intenzione di tornare alla fine di questo lavoro nella città natale ma la consapevolezza di un’emarginazione professionale crudelmente sottolineata dai sarcasmi di Pietro Aretino, che nell’aprile del 1548 gli aveva scritto una lettera di singolare perfidia, e probabilmente la preoccupazione per l’avvio del primo processo per eresia a carico di Bartolomeo Carpan, suo fraterno amico, lo convinsero a rimanere nelle protettive Marche. Anche qui però la sua parabola professionale volgeva al declino. Nella celebre asta di sedici suoi dipinti, e di trenta cartoni per le tarsie di Bergamo, tenuta nell’agosto del 1550 nella Loggia dei Mercanti di Ancona, rimase quasi tutto invenduto. Nell’agosto del 1552 si stabilì a Loreto e, “per non andarmi avolgendo più in mia vechiaia”, come ebbe a scrivere, l’8 settembre 1554 fece atto di oblazione perpetua presso la Santa Casa, nelle mani del veneziano Gaspare de Dotti che alla carica di governatore apostolico affiancava quella di commissario del Sant’Uffizio nella Marca anconetana. Peraltro l’ultimo ritiro nel santuario mariano lascia intravedere un suo sofferto ritorno in seno all’ortodossia cattolica.

13

Contestualmente l’anziano pittore modificava il precedente testamento del 1546 che stabiliva la volontà di essere sepolto a Venezia e s’impegnava a dedicare il resto della sua vita al servizio della Santa Casa. E qui tra la fine del 1556 e i primi dell’anno seguente finì i suoi giorni. Un ultimo capolavoro illumina l’attività estrema del pittore a Loreto. Si tratta della trepida e modernissima Presentazione al tempio del 1556, che faceva parte del ciclo di tele con storie dell’infanzia di Cristo, in origine poste sopra gli stalli del coro dell’abside della basilica lauretana. E’ alle espressioni dei protagonisti di quest’opera, quasi illuminati da una visione spirituale tutta interiore, che il vecchio pittore, giunto al capolinea della sua esistenza terrena, affida il suo testamento spirituale e insieme la testimonianza ultima della sua geniale libertà creativa.

14

Lorenzo Lotto e la Marca d’Ancona Peter Humfrey La prima notizia certa della presenza di Lorenzo Lotto nelle Marche risale al giugno 1506 quando giovane e ambizioso pittore di circa venticinque anni si mise in viaggio dalla nativa Venezia verso Recanati per firmare il contratto della più importante commissione fino ad allora ricevuta: il monumentale polittico per l’altar maggiore della chiesa di San Domenico (fig.1). Mezzo secolo dopo, nell’inverno del 1556/7, il pittore morirà solo a poche miglia di distanza come oblato della comunità religiosa della Santa Casa di Loreto. Negli anni compresi tra queste due date la sua carriera artistica lo portò a lavorare in molti centri artistici tra loro lontani, da Roma a Bergamo, a Venezia e Treviso, ma visse e lavorò nella Marca d’Ancona, o, più precisamente, nelle molte città dell’area adriatica nelle attuali province di Ancona e di Macerata per periodi più lunghi che in ogni altra regione d’Italia. Inoltre, perfino quando risiedeva a Bergamo o Venezia, mantenne stretti rapporti con i committenti marchigiani per i quali lavorò a lungo. Senza dubbio grazie alla rete di committenti, colleghi e amici che negli anni riuscì a costruirsi nella regione egli giunse a considerarla come la sua vera patria spirituale. La regione in cui Lotto trascorse gli ultimi otto o nove anni della sua esistenza è anche quella oggi più ricca di sue opere d’arte15. Disponiamo di poche informazioni sicure sui primi anni di Lotto e sulla sua educazione artistica. La critica si è divisa nel riconoscere il suo maestro in Giovanni Bellini oppure in Alvise Vivarini; certamente le sue opere più antiche risentirono dell’influsso di entrambi questi importanti pittori della Venezia del Quattrocento, pur entro la straordinaria individualità e originalità che il suo stile mostrò fin dall’inizio. Nato intorno al 1480, è probabile che abbia dato avvio alla sua carriera di artista indipendente al principio del nuovo secolo. Tra il 1503 e il 1506 è documentato a Treviso, città che lo attrasse soprattutto per l’attivo mecenatismo del suo vescovo, Bernardo de’ Rossi. Talvolta si è supposto, sulla base di una frase ambigua in un documento datato solo tre giorni prima della firma del contratto, il 20 giugno, a Recanati, che Lotto avesse già lavorato in quel territorio, nel qual caso egli avrebbe già visitato le Marche tra il 1500 e il 150316, poco dopo aver completato il suo apprendistato; finora comunque non è stato possibile identificare alcuna opera databile al tempo di questo ipotetico, precocissimo soggiorno nella regione. In ogni caso la decisione del giovane Lotto di rinunciare ad una carriera potenzialmente di successo a Venezia o Treviso per recarsi nelle Marche appare perfettamente comprensibile. Esistevano infatti fin dai tempi antichi stretti rapporti commerciali e culturali tra la Serenissima e il territorio adriatico dello Stato della Chiesa e fin dal Trecento gli artisti veneziani avevano inviato i loro dipinti d’altare in molte città marchigiane. Benché per i pittori fosse una pratica corrente quella di inviare le opere dal luogo di residenza, piuttosto che eseguirle sul posto, Carlo Crivelli si stabilì ad Ascoli Piceno circa nel 1468, trovando molte occasioni di lavoro in tutta la zona. Similmente anche Lotto potrebbe aver supposto – giustamente, come poi si è visto- che il territorio intorno ad Ancona potesse offrire tante possibilità di ricevere commissioni almeno quanto il Veneto. Inoltre, anche se Recanati era certamente piccola e provinciale a confronto con una grande metropoli come Venezia, Lotto era sicuramente ben consapevole della sua vicinanza a Loreto, il santuario mariano che godeva del particolare favore di papa Giulio II in cui Luca Signorelli e Melozzo da Forlì avevano eseguito opere importanti tra il 1470 e il 1480; era logico per lui aspettarsi che questa prossimità avrebbe potuto produrre fruttuosi contatti con membri della curia papale.

15 Per un resoconto aggiornato sulla vita e le opere di Lotto e per la bibliografia vedi Lorenzo Lotto 2011. Gli ultimi interventi sulla sua attività nelle Marche sono Mozzoni Paoletti 1996 e Lorenzo Lotto nelle Marche 2007. 16 Coltrinari 2007, pp. 48-65.

15

Perciò, poco dopo aver sistemato i suoi affari a Treviso nell’ottobre del 1506, Lotto si trasferì a Recanati, dove fu ospitato nel convento di San Domenico fino al completamento del suo grande e complesso polittico, che in origine comprendeva anche una predella, e quindi probabilmente fin verso la fine dell’ estate del 150817. I committenti dell’opera erano i frati domenicani, ma anche il Comune dette un sostanziale contributo per la sua esecuzione, a condizione che la macchina d’altare includesse le immagini dei patroni della città, Flaviano e Vito. Indubbiamente la scelta del polittico, un formato già fuori moda a quel tempo a Venezia, potrebbe essere stata determinata non tanto dal bisogno di conformarsi al gusto provinciale del luogo, quanto di dare forma coerente ad un complesso programma iconografico che avrebbe dovuto riflettere interessi pontifici, politici e dei domenicani. Tuttavia, mentre i polittici marchigiani precedenti mancavano generalmente di unità e profondità spaziale, Lotto riuscì a conferire alla sua idea compositiva tutti i caratteri di una moderna Sacra Conversazione veneziana. Sebbene l’attuale cornice in stile rinascimentale risalga solo al 1912, è chiaro che, come nelle più recenti pale d’altare veneziane di Giovanni Bellini e Alvise Vivarini, la struttura della cornice originale probabilmente riprendeva quella dell’architettura classicheggiante dei tre pannelli principali, integrandosi con essi in modo da rafforzare l’illusione di uno spazio simile a quello di una cappella al centro, con due ambienti annessi su entrambi i lati. I contorni netti e l’affollarsi asimmetrico delle figure, insieme ai movimenti tesi e contratti sembrano più richiamarsi ad Alvise Vivarini che a Bellini. Allo stesso tempo è invece tipico di Lotto il contrasto tra la generale intonazione malinconica, che riflette quella della Pietà nella cimasa e il dettaglio divertente degli angioletti sul gradino del trono, che si ritraggono come spaventati dall’ingresso di San Domenico. Caratteristica del pittore è anche l’attenzione per i dettagli dei gioielli e degli oggetti metallici e l’osservazione della realtà delle cose: del modo in cui per esempio, i nastri elaborati del costume di san Vito sono tenuti insieme da un laccio e si annodano tra loro, o di come le ali degli angioletti crescono dalle loro spalle. Una volta terminato il polittico incontrò un’entusiastica approvazione pubblica e poco dopo Lotto ricevette l’incarico di eseguire altre due pale d’altare per chiese conventuali locali: la Trasfigurazione (Recanati, Museo civico), per il monastero benedettino di Santa Maria di Castelnuovo, appena fuori Recanati e la Deposizione per il convento francescano di San Floriano a Jesi, a circa quaranta chilometri da Recanati (fig. 2)18. Quest’ultimo fu commissionato a Lotto nell’ottobre del 1511 dalla prima di molte confraternite laiche per le quali il pittore avrebbe lavorato nella sua lunga carriera marchigiana e la Trasfigurazione, sebbene non datata, sembrerebbe di poco precedente. Resta comunque difficile tracciare con esattezza gli spostamenti di Lotto tra il 1508 e la sua prima presenza documentata a Bergamo nel maggio del 1513. Nel 1509 era a Roma, come documentano due pagamenti da parte della tesoreria papale per lavori nei Palazzi Vaticani per affreschi nel soffitto dell’ambiente oggi denominato Stanza di Eliodoro. Questo soggiorno romano viene tradizionalmente interpretato come uno degli episodi più disastrosi della carriera del pittore che, a seguito della conferma di Raffaello come capomastro delle stanze, se ne tornò rapidamente nel contesto provinciale e meno competitivo delle Marche. Più recentemente tuttavia si è discussa l’ipotesi che per sei interi anni, dal 1508 al 1514, Roma sia stata il principale luogo di residenza di Lotto; che per tutto questo tempo egli sia stato il principale assistente di Raffaello e che infine tutti i vari documenti che attestano la sua presenza durante questo periodo a Recanati, Jesi e Bergamo si riferiscano in realtà a brevi visite intraprese per discutere e organizzare commissioni che poi sarebbero state condotte a termine subito (come presumibilmente nel caso dell’affresco con San Vincenzo Ferrer a Recanati, cat. 00 ), oppure a lunga distanza di tempo19. Qualunque siano state le circostanze esatte della sua esperienza romana, le due pale d’altare marchigiane del 1510- 1512 circa mostrano chiaramente l’impatto dell’arte di Raffaello. Spesso si è notato per esempio, come la composizione della Deposizione sia ispirata liberamente alla versione raffaellesca dello stesso soggetto dipinta nel 1507 per San Francesco a Perugia (Roma, Galleria Borghese). Anche la scelta dei colori, i rossi vivi, i rosa, i verde smeraldo e i gialli assomiglia a

17 Vedi G.C.F. Villa in Lorenzo Lotto 2011, pp. 100-105, scheda n. 3. 18 Vedi Mozzoni, Paoletti 1996, pp. 24-34. 19 Vedi Nesselrath 2007, pp. 22-37.

16

quella di Raffaello mentre si allontana dalla gamma più scura e più ricca, più tipica di Venezia, della fase preromana. Del resto era logico aspettarsi che al momento di affrontare per la prima volta soggetti narrativi, Lotto avesse guardato a colui che era già riconosciuto come maestro supremo della composizione drammatica, con cui aveva lavorato in stretta prossimità. Tuttavia qui e nella Trasfigurazione – ma anche nella predella che rappresenta l’Assunzione della Vergine - un raffaellismo pronunciato di stile e di motivi è combinato con un pathos e un espressionismo del tutto anti-raffaelleschi, evidenti in alcuni dettagli come l’uomo che regge il sudario con i denti o Giovanni che stringe i pugni sotto il mantello. In entrambe le opere le figure curiosamente tarchiate appaiono agitate e tormentate e l’uso complesso e armonioso che Raffaello fa del contrapposto, dilatandolo nello spazio, si trasforma in scomode contorsioni svolte su un singolo piano. Considerato il talento eccezionale di Lotto come ritrattista, già evidente nei primi anni a Treviso e pienamente manifestatosi più tardi a Bergamo e Venezia, sorprende che egli abbia dipinto relativamente pochi ritratti durante il suo primo soggiorno nell’Italia centrale – o anche nei due successivi periodi nelle Marche. Non mancano tuttavia opere di grande qualità dipinte per la devozione privata, molte delle quali sono presenti in questa mostra (cat.00, 00,00). Tali opere mostrano una stretta affinità stilistica con le pale d’altare documentate del periodo, ma è molto difficile o addirittura impossibile identificarne i committenti, o perfino definire se esse siano state dipinte in qualche luogo delle Marche o a Roma. Per due decenni dopo il 1513 Lotto si stabilì a Bergamo e poi a Venezia, e la sua attività marchigiana non riprese fino al 1533. Ma anche in questo periodo di assenza egli mantenne i contatti con la Marca e continuò ad accettare commissioni a lungo termine, qualche volta recandosi sul posto per discutere e stabilire gli accordi contrattuali. Nel 1523 per esempio, ritornò a Jesi da Bergamo per un altro importante incarico per la chiesa di san Floriano, la Pala di santa Lucia (Jesi, Pinacoteca civica), che tuttavia completò solo nel 1532 e in una lettera del 1527 dice di aver appena inviato nelle Marche da Venezia “due palle finite con li soi ornamenti seu anchone”, probabilmente identificabili con due ulteriori commissioni da Jesi, la Vergine in trono con san Giuseppe e san Girolamo (Jesi, Pinacoteca civica) e i due pannelli dell’Annunciazione (cat.00), ma in quell’occasione il pittore dovette rinunciare ad accompagnare l’opera a causa dell’epidemia di peste diffusasi nella regione. Similmente, è noto che l’enorme Crocifissione commissionata da Niccolò Bonafede, vescovo di Chiusi per la chiesa del suo feudo di Monte San Giusto (ancora in situ), fu eseguita quasi interamente a Venezia tranne che per il ritratto del donatore, eseguito sul posto. Benché Lotto avesse ottenuto un considerevole successo nella sua città natale durante il periodo in cui vi risiedette tra il 1526 e il 1533, soprattutto come ritrattista, la sua decisione di abbandonare Bergamo per tornare a Venezia potrebbe essere stata determinata dalla considerazione pratica che fosse molto più facile trasportare grandi dipinti nelle Marche via mare da Venezia piuttosto che via terra attraverso il nord ovest della Penisola. Nella primavera del 1533, comunque, presumibilmente allo scopo di rispondere in modo più efficace alla persistente domanda di sue opere da parte dei committenti marchigiani, Lotto tornò nella regione, rimanendovi per altri sei anni. In questo secondo lungo periodo di attività nella Marca, oltre ad installare la Pala di Santa Lucia a Jesi e la Crocifissione a Monte san Giusto, egli eseguì due delle pale d’altare esposte in questa mostra, rispettivamente per Loreto (cat.00) e per Ancona (cat.00), come anche la Madonna in gloria col Bambino e i santi Andrea e Girolamo per Sant’Agostino di Fermo, la Madonna del Rosario per Cingoli, commissionata nel 1537 (Cingoli, chiesa di san Domenico) e l’Annunciazione di Recanati (fig. 3). Quest’ultimo dipinto che nel corso del secolo passato è divenuto una delle più celebri e più amate opere di Lorenzo Lotto, fu commissionato per la Fraternità di Santa Maria sopra Mercanti per il proprio piccolo oratorio nella piazza principale, probabilmente intorno al 153420 . Dati caratteristici di questa fase del suo sviluppo stilistico sono la gamma limitata dei colori, le ombre pallide, la gestualità rigida e le figure

20 Vedi E. Francescutti in Lorenzo Lotto 2011, pp. 128-131, scheda n. 13.

17

relativamente sottili con piccole teste - in contrasto con il colore ricco, il chiaroscuro deciso e la condotta pittorica libera del precedente periodo veneziano. L’inusuale scelta compositiva di collocare la Vergine frontalmente e di mostrare l’angelo mentre entra nella stanza alle sue spalle aveva già dei precedenti, tra i quali Tiziano, ma l’interpretazione di Lotto di questa ben nota storia evangelica è assolutamente personale, per non dire idiosincratica. Egli interpreta la sua Vergine non come la futura Regina dei Cieli, ma come una ragazza timida e spaventata, quasi immersa nel ricordo delle parole del Vangelo di Luca: “A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto”, mentre la serietà del volto pallido dell’angelo che concentra la sua attenzione su Maria è un carattere tipico di quell’insieme di sincera schiettezza e di toccante ingenuità che distingue l’intera raffigurazione dell’evento. L’episodio centrale del gatto spaventato, che forse simboleggia la messa in fuga del male, aggiunge un tocco di ‘humour’ paradossale alla scena. Come avvenne nel primo periodo marchigiano, il numero di piccoli dipinti religiosi datati intorno alla metà degli anni Trenta, compresa la Sacra Famiglia con Santa Caterina d’Alessandria del 1533 (cat.00), e la Vergine col Bambino con i santi Anna, Gioacchino e Girolamo del 1534 (cat.00), o databili allo stesso momento per motivi stilistici dimostrano che la domanda di opere di tal genere non diminuì durante il secondo soggiorno nella regione. Databile probabilmente a questo periodo è almeno un ritratto potentemente espressivo, quello oggi nella Galleria Borghese (fig. 4) che perciò potrebbe rappresentare un committente marchigiano21 . A differenza dei ritratti del periodo veneziano, l’enfasi è posta sui contorni, e il tratto instabile che definisce il costume nero serve a sottolineare lo stato d’animo malinconico del modello. Verso l’inizio del 1540 Lotto era di ritorno a Venezia e nei successivi nove anni risiedette là e a Treviso. Da questo momento fino alla morte la sua carriera è indubbiamente ben documentata grazie all’eccezionale sopravvivenza del suo libro dei conti per questo periodo, il Libro di Spese Diverse. Da ora in poi risultano meticolosamente registrati non solo i suoi spostamenti e le sue commissioni, ma anche i suoi pensieri personali e i suoi sentimenti. Lotto diveniva in quel tempo sempre più consapevole del sorgere di una nuova generazione di pittori veneziani che facevano apparire superato il suo modo di dipingere ed essendo scapolo e privo di familiari stretti divenne sempre più solitario e vittima della depressione. La sua originaria intenzione di stabilirsi permanentemente a Venezia cambiò poco dopo il 1549 quando fece ritorno ad Ancona per dipingere una monumentale Assunzione della Vergine per la chiesa di San Francesco alle Scale (fig.5); tre anni dopo si trasferì definitivamente a Loreto. In qualche modo i continui trasferimenti di Lotto nel decennio finale della sua esistenza – almeno sette tra il 1546 e il 1554 – furono motivati, come all’inizio della sua carriera, da solide motivazioni professionali; ma molto più di prima i suoi continui mutamenti di direzione sembrano essere stati guidati dall’instabilità del suo stato mentale. Durante questi ultimi anni continuò a ricevere importanti commissioni pubbliche – la tarda pala d’altare per Ancona e un’altra, oggi perduta, per il Duomo di Jesi sono tra le più grandi che egli abbia mai dipinto- , ma risulta tuttavia chiaro che le difficoltà personali e le umiliazioni pesarono sempre più sulla sua anima. C’è di fatto un innegabile pathos, così come un senso di stanchezza nella sua annotazione nel Libro alla data del 15 agosto 1554: “Per non andarmi avolgendo più in vecciaia, ho voluto quetar la mia vita in questo sancto loccho”22. Pur tenendo conto delle attuali cattive condizioni dell’opera, l’Assunzione di Ancona non può essere considerata niente altro che un fallimento. A parte la condotta pittorica fiacca, dovuta in buona parte al primo allievo di Lotto, Durante Nobili e ad altri assistenti di studio, la composizione è debole e superficiale. L’intervallo spaziale tra la zona superiore e inferiore crea una fatale discontinuità compositiva e compromette il tentativo di dare grandezza eroica alle figure e alle

21 Vedi E. Dezuanni in Lorenzo Lotto 2011, pp. 226-227, scheda n. 42. 22 Libro di Spese Diverse, ed. 1969, p. 151.

18

nuvole tempestose. Tuttavia in questo terzo periodo finale nelle Marche Lotto riesce ancora a rimanere fedele a se stesso nella pittura in scala minore del ritratto e dei dipinti per la devozione privata. Un esempio sorprendente della ritrattistica tarda di Lotto è il Balestriere (cat. 00), dipinto ad Ancona uno o due anni più tardi, nel 1551-52; qui la posa è come sempre fortemente indicativa del carattere e l’espressione del viso rivela una vita interiore di pensiero. Nell’agosto del 1552, il pittore settantenne si ritirò a trascorrere i suoi ultimi anni nel santuario mariano di Loreto. Aveva già preso contatto con il governatore, il protonotario apostolico Gaspare de Dotti, un veneziano, che gli assicurò vitto e alloggio, una stanza per dipingere, un assistente per aiutarlo, in cambio di lavori occasionali per la Basilica. Tra questi vi è anche una serie di tele raffiguranti episodi dell’Infanzia di Cristo, che avrebbero dovuto essere collocate nell’abside al di sopra degli stalli del coro. Molte di queste tele sono di qualità mediocre e la loro esecuzione va attribuita principalmente o interamente ai vari allievi e assistenti che lavorarono con Lotto in questo periodo. Almeno una della serie, tuttavia, la Presentazione al tempio (cat.00), è un capolavoro che rappresenta una testimonianza commovente dei suoi ultimi pensieri di pittore. In contrasto con l’iconografia tradizionale del soggetto, la Vergine e Simeone non sono collocati simmetricamente e in dimensioni maggiori al centro della composizione, ma quasi casualmente su un lato, mentre l’anziana profetessa Anna osserva attentamente dall’altro lato. Con sconcertante originalità, l’altare centrale è sostenuto da piedi umani. Il colore non ha più la brillantezza delle prime opere, ma appare smorzato e appannato, come visto attraverso una nebbia luminosa; le figure sono come disarticolate e sembrano quasi brancolare. E’ molto commovente la tenerezza con cui la Vergine inginocchiata solleva il Bambino verso l’anziano devoto al quale “lo Spirito Santo […] aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore” (Luca 2:26) e che ora alza gli occhi al cielo in segno di ringraziamento. E’ come se Lotto si identificasse in Simeone, come se anche lui dicesse, con questo dipinto “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace” (Luca 2:29).

19

PANNELLI DI SALA INGRESSO La mostra è un omaggio a Lorenzo Lotto, uno dei più eccentrici ed inquieti interpreti del Rinascimento. Riscoperto dalla critica novecentesca dopo un lungo oblio è attualmente riconosciuto come uno degli artefici più sensibili e profondi del suo tempo e allo stesso tempo il più vicino alla sensibilità e alle inquietudini contemporanee per la libertà dell’invenzione artistica. I dipinti selezionati per l’esposizione (ampliamento di quella da poco conclusasi a Mosca presso il Museo Puškin) intendono documentare i diversi momenti dell’intenso legame tra l’artista veneziano e le Marche e insieme consentono di tracciare un’affascinante sintesi delle componenti della poetica lottesca, di seguire insomma il cammino della sua arte e la ben rilevabile evoluzione stilistica nel corso della sua carriera. Le opere marchigiane dell’artista veneziano segnano, infatti, uno dei momenti più importanti della sua poetica e del Cinquecento italiano. La mostra illustra inoltre, sebbene in forma sintetica, i diversi temi caratterizzanti della produzione del pittore, vale a dire quello dominante della pittura di devozione, di destinazione sia pubblica sia privata, della ritrattistica e delle allegorie di carattere profano. E’ suddivisa in quattro momenti cronologici, corrispondenti ai ripetuti viaggi e soggiorni dell’artista nelle Marche: dal 1506 al 1512, dal 1525 al 1527, dal 1533 al 1540 e infine il quarto e ultimo periodo dal 1549 al 1556, corrispondente al ritiro nella Santa Casa di Loreto, fino alla morte. Una sezione finale, dedicata alla ritrattistica, intende infine rappresentare i principali centri toccati negli anni del suo solitario peregrinare da un luogo all’altro, sempre con la voglia di rimettersi in viaggio. “IO LAURENTIO LOTO PICTOR VENETIANO…” LORENZO LOTTO Venezia ca 1480 – Loreto ca 1556 Lorenzo Lotto nasce a Venezia intorno al 1480, come si deduce dal testamento del 1546 in cui dichiara di avere “circha anni sessantasei”. Figura per la prima volta come pittore in alcuni documenti trevigiani fra il 1503 e il 1506; a Treviso gode della protezione del vescovo, Bernardo de’ Rossi, di cui esegue uno splendido ritratto. Nel 1506 inizio il primo soggiorno nelle Marche, dove si trasferisce per realizzare il Polittico per la chiesa di San Domenico a Recanati. Nel 1509 è chiamato a Roma per dipingere negli appartamenti papali in Vaticano, ma il suo lavoro non incontra i favori di Giulio II e nel 1510 torna a Recanati, dove licenzia opere in cui si manifesta l’influsso di Raffaello, conosciuto a Roma. Nel 1513 si apre un nuovo capitolo nella vita dell’inquieto pittore che, chiamato per realizzare la Pala Martinengo per l’altare maggiore della chiesa dei Santi Stefano e Domenico, si trasferisce a Bergamo: prende così avvio un proficuo periodo di attività presso la città orobica, allora passata definitivamente sotto la dominazione di Venezia. Nel 1525 Lotto lascia Bergamo per tornare a vivere a Venezia, dove alloggia presso il convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo e realizza varie opere per la committenza marchigiana. Nel 1533 è nuovamente documentato nelle Marche, dove rimane fino all’inizio del 1540 e in questo secondo periodo marchigiano realizza celebri capolavori quali la Crocifissione di Monte San Giusto, l’Annunciazione di Recanati, la Madonna del Rosario di Cingoli. Rientrato a Venezia, in seguito si trasferisce nuovamente a Treviso, dove abita dal 1542 al 1545, per poi tornare nella città lagunare. A partire dal 1540 la vita dell’artista è più documentata grazie al Libro di spese diverse, dove registra meticolosamente sia i fatti privati sia quelli relativi alla sua attività di pittore. Nell’estate del 1549 giunge ad Ancona, chiamato per realizzare la pala con l’Assunta per la chiesa di San Francesco alle Scale. Non rivedrà più la sua Venezia e, trascorsi nelle Marche gli ultimi anni

20

di vita, muore verso la fine del 1556 nella Santa Casa di Loreto, dove aveva trovato rifugio come oblato perpetuo dal 1554. SALA 1 “O Lotto come la bontà buono, e come la virtù virtuoso” (Pietro Aretino, Lettere, Libro IV, 1548) IL PRIMO PERIODO MARCHIGIANO E L’INFLUENZA DI RAFFAELLO (1506 – 1512) Benché l’attività di Lotto sia ampiamente documentata, la motivazione che lo spinse, nel 1506, ad abbandonare le terre della Serenissima, chiamato dalla comunità domenicana di Recanati non è nota. Probabilmente la speranza di ottenere contatti con la curia romana attraverso la vicina Loreto, centro di pellegrinaggio tenuto in gran considerazione dal papa Giulio II, oppure il lauto compenso pattuito per il suo primo stupefacente capolavoro marchigiano: il Polittico di San Domenico realizzato per l’altar maggiore della chiesa di San Domenico di Recanati (ora al Museo Civico), realizzato tra il 1506 e il 1508. Di fatto da Recanati Lotto venne convocato a Roma, dove nel corso del 1509 sono documentati pagamenti per i suoi lavori negli appartamenti papali in Vaticano; ma l’inserimento del pittore nel contesto romano, dominato da Raffaello, non ebbe l’esito da lui sperato. L’opera del Lotto non piacque a Giulio II, e così il pittore decise di lasciare Roma, per tornare nuovamente in terra marchigiana. I riflessi della conoscenza dell’opera di Raffaello segnano profondamente i lavori realizzati a ridosso dell’esperienza romana: di cui le opere esposte in sala sono tre straordinari esempi.

Le opere esposte in sala: Nell’affresco con San Vincenzo Ferrer in gloria, eseguito nuovamente per i domenicani di Recanati il 1510 e il 1512, Lotto ci propone l’iconografia più ricorrente del santo spagnolo: come protagonista assoluto della scena, appare a figura intera con il braccio energicamente alzato a indicare l’Altissimo, il motto dell’Apocalisse tracciato sul testo che sorregge. L’impostazione richiama modelli raffaelleschi, con rimandi diretti al gesto di Platone nella Scuola di Atene della Stanza della Segnatura e ai putti della Poesia e della Giustizia, rievocati negli angeli bambini del Ferrer. Allo stesso modo influenze raffaellesche si ravvisano nella tipologia della Giuditta con la testa di Oloferne, che riprende, anche se non esente da una personale interpretazione, il prototipo della musa Talia del vaticano Parnaso. La tavola dai toni smaltati è generalmente ricondotta alle Marche anche in virtù della contemporaneità stilistica con la Deposizione di Jesi, datata 1512. Autentica gemma del periodo giovanile di Lotto è la tavoletta votiva del San Giacomo pellegrino, proveniente dal piccolo Oratorio di San Giacomo a Recanati. Il primo piano è interamente occupato dall’imponente sagoma scorciata dell’apostolo, mentre alle sue spalle la veduta si dilata, fino a interrompersi contro il profilo di uno sperone roccioso su cui si staglia una cittadina murata, forse Porto Recanati oppure Loreto, col celebre santuario. A Loreto, meta di viaggio e di pellegrinaggio, sembrerebbe alludere anche la piccola immagine della Vergine lauretana posta sul cappello accanto alla conchiglia, simbolo stesso del santo ed elemento distintivo del pellegrino. L’immagine del viandante pellegrino a piedi nudi sulla terra sassosa, malinconico e affaticato, può essere interpretata come metafora dell’artista e la città turrita come dimensione simbolica del ritorno dell’artista nelle Marche.

21

SALA 2 “[Lorenzo Lotto] Fu tenuto molto valente nel colorito, leccato e pulito nella gioventù, e dilettossi di finire le cose sue” (Vasari, Vite dei più eccellenti …., Firenze 1550) La committenza marchigiana dal 1525 al 1527 Probabilmente ancora tramite i domenicani Lotto si aggiudica a Bergamo la realizzazione della grande Pala Martinengo, destinata alla chiesa di San Bartolomeo, che si trasforma per lui in uno straordinario "biglietto da visita". Il periodo trascorso a Bergamo, che va dal 1513 al 1525, diventa così uno dei più sereni e prolifici dell’esistenza tormentata del pittore veneziano, ammirato e ricercato da committenti pubblici e privati, con una clientela privata che annovera le più importanti famiglie patrizie. Per loro comincia a realizzare opere da cavalletto: ritratti fra i più belli del Cinquecento, diverse opere di devozione privata e pale d'altare, tra cui il Polittico di Ponteranica (1522), in cui appare “la più squisita immagine d’angelo che Lotto ci abbia lasciato” (Berenson). Tra fine del fortunato soggiorno bergamasco e il rientro a Venezia, quindi tra il 1525 e il 1527, Lotto rinsalda nuovamente i suoi rapporti con i committenti marchigiani e specialmente jesini. Appartengono a questo momento le due piccole tavole esposte in sala.

Le opere esposte in sala: Eseguito a ridosso dell’attività bergamasca, Il dittico dell’Annunciazione è da sempre considerato uno dei capolavori di Lotto nelle Marche, per l’originalità dell’invenzione e l’alta qualità esecutiva. Le due tavolette costituivano gli scomparti laterali di una pala frammentaria, realizzata per un altare della chiesa dei Minori Conventuali di San Floriano a Jesi, nel cui convento furono rinvenute nel 1861. Memorabili sono le figure dei due protagonisti che appaiono improvvisamente dall’oscurità, legate visivamente dalla ricomposizione nei due scomparti di un ambiente domestico unitario dove si svolge la scena, suggerito da alcuni particolari come l’uscio aperto alle spalle dell’Angelo da cui filtra la luce che illumina appena la stanza, l’inginocchiatoio con i libri, la vetrata dell’oculo e la tenda verde annodata dietro alla figura della Madonna. La luce che investe i due personaggi li colpisce sul davanti, come la luce artificiale di una ribalta, che concentra l’attenzione sulla mano destra alzata dell’Angelo, sublime trasposizione visiva dell’”angelica salutazione”, sul viso della Vergine e sul gesto delle sue mani, esprimenti la sua conturbazione dopo aver udite le parole dell’Angelo. In questa figura Lotto raggiunge in virtù di una stesura pittorica superlativa uno dei vertici supremi della sua arte: una creatura come nessuna altra celestiale che si fa visione materiale, segnando con la sua ombra il pavimento della stanza.

22

SALE 3 e 5 “O se volete vedere a che punto il Lotto […] sia vero e semplice di forma, e allora precaravaggesco, guardate il San Lorenzo della pala di Ancona, proprio formato dal lume, come farà il Caravaggio cinquant’anni dopo” [Roberto Longhi, Quesiti caravaggeschi, 1929] Il secondo periodo marchigiano: 1533 – 1540 Nel 1525, dopo oltre 20 anni di assenza, Lotto lascia Bergamo per tornare a vivere a Venezia, dove l’astro nascente di Tiziano, con la sua pittura sensuale e gioiosa, gli preclude però i favori della committenza. Fortunatamente il lavoro gli viene garantito ancora una volta dalla provincia, da Bergamo soprattutto per la quale elabora i disegni colorati per le tarsie del coro di Santa Maria Maggiore e dalle Marche, verso cui indirizza imponenti pale d’altare, come la Pala di Santa Lucia, di fatto dipinta a Venezia e consegnata a Jesi solo nel 1532. Nel corso degli anni trenta il pittore rinsalda nuovamente i rapporti con le terre marchigiane, dove è documentato dall’estate del 1533 all’inizio del 1540. In questo periodo si susseguono le più prestigiose commissioni nella regione, nelle quali Lotto sembra dotato di un’invenzione prodigiosa e di un’inesauribile capacità creativa nel variare sulle immagini sacre.

Le opere esposte in sala: Il dipinto con la Sacra Famiglia e santa Caterina d’Alessandria, ora all’Accademia Carrara di Bergamo, fu realizzata, all’arrivo di Lotto nelle Marche nel 1533, per un committente tuttora ignoto. Ricorrendo ad un’impostazione inedita rispetto alla consueta iconografia, Lotto fa ruotare la scena spostando il punto di osservazione verso destra fino a presentarci Maria girata di fianco, con san Giuseppe improvvisamente al centro della composizione e una giovanissima santa Caterina inginocchiata di profilo. Il Bambino è colto in un sonno tormentato, simbolica prefigurazione della Passione, cui alludono il velo bianco sollevato come un sudario da san Giuseppe e la lunga pietra di sarcofago che taglia col suo spigolo tutto il primo piano. La sottile inquietudine che turba i volti dei personaggi e agita come in un vortice i loro movimenti, quasi per un oscuro presagio, si scioglie nel sereno e stupefacente paesaggio dello sfondo in cui si può forse identificare un tratto della costa adriatica a sud del monte Conero, con il fiume Potenza che sfocia nel mare. Allo stesso periodo, affrontato da Lotto con vitalità rinnovata, appartiene l’altra splendida tela con la Madonna col Bambino e i santi Giovacchino, Anna e Girolamo, firmata e datata 1534, ora alla Galleria degli Uffizi di Firenze, proveniente dalla collezione del Gran Principe Ferdinando dei Medici.

23

SALA 5 … segue: Il secondo periodo marchigiano: 1533 – 1540

Le opere esposte in sala: Straordinaria testimonianza degli anni del secondo soggiorno marchigiano è la Pala dell’Alabarda, eseguita per la chiesa di Sant’Agostino di Ancona. Giunta ai nostri giorni mutila, in origine era completata dalla predella e da una lunetta (ora Ancona, Pinacoteca Civica). L’opera fu realizzata tra il 1538 e 1539, per un cittadino anconetano, tale Simone di Giovannino de’ Pizoni con l’intento di rievocare una pagina drammatica della storia civica: la breve e spietata tirannia imposta nel 1532 dal Cardinale Legato Benedetto Accolti. San Simone Giuda, in primo piano a destra (eponimo del committente), reca un’alabarda capovolta e spezzata ad indicare l’usurpatore sconfitto (l’alabarda era l’arma dei lanzichenecchi tedeschi, utilizzata dalle guardie del corpo del cardinal Accolti). Al termine della drammatica tirannia e il progressivo rientro degli esuli, tra cui lo stesso committente, l’opera lottesca si pone come quindi come metafora del riscatto e della riappropriazione della libertà cittadina. La composizione e concezione luminosa del dipinto rivelano un momento di alta tensione religiosa e mostrano stilisticamente un certo avvicinarsi di Lotto alla pittura di Tiziano. La grande pala d’altare, di chiara impronta votiva, con San Cristoforo tra i santi Rocco e Sebastiano, fu dipinta intorno al 1535 per la chiesa di Santa Maria di Loreto. Vasari la ricorda come antecedente all’ultimo periodo lauretano del pittore “essendo Lorenzo vecchio […] se n’andò alla Madonna di Loreto, dove già aveva fatto una tavola a olio, che è in una cappella…” (1568). Al centro è Cristoforo, il santo traghettatore, con lo svolazzante manto rosso dalle caratteristiche tinte acide e squillanti e sulle spalle Gesù Bambino benedicente; sulla riva lo attendono i santi Rocco e Sebastiano, fin dal Quattrocento invocati e venerati contro la peste. La figura di San Cristoforo, protettore dei viandanti, è strettamente legata al santuario di Loreto, da sempre meta di pellegrinaggi e devozione. L’apprezzamento della tela e la fortuna del tema furono alla base di numerose repliche lottesche. La piccola tela raffigurante San Rocco, dalla stesura pittorica di qualità magistrale, e il pendant raffigurante San Sebastiano rappresentano la parte superstite di un’immagine votiva, documentata nel 1549, per la Chiesa di Santa Maria di Posatora, presso Ancona, descritta dallo stesso Lotto nel Libro di spese diverse con “San Rocco e San Sebastiano venerati dalla committente e altre gentildonne”. Probabilmente per desiderio delle stesse committenti, Lotto replica fedelmente nelle effigie dei due santi protettori contro la peste, le stesse figure che aveva posto ai lati del San Cristoforo di Loreto.

24

SALA 6 “Lotto non ci ha mai dato un’opera più meravigliosa dal punto di vista psicologico; ed altrettanto si può dire della sua materia pittorica, usata con una modernità che richiama certi modi degli impressionisti. […] E’ insomma uno dei capolavori di Lotto, e forse una delle pitture più “moderne” dipinte da un pittore del Rinascimento” (B. Berenson, 1955) “Per non andarmi avolgendo più in mia vechiaia ho voluto quetar la mia vita in questo santo loco” L’ULTIMO PERIODO (1549 - 1556) Alla fine di gennaio del 1540 Lotto rientra a Venezia, dove rimane per due anni, accasandosi da un nipote. Vive quel periodo con un certo prestigio, spendendo molto denaro, ma per diverse ragioni la vita familiare piega verso rapporti più difficili da sostenere. Va allora a Treviso dove cambia molte abitazioni e garzoni di bottega, produce tanto ma è sempre meno pagato e sempre più emarginato. Dal 1545 lascia definitivamente Treviso, dove ha pochi clienti, e torna a Venezia. Poi altri viaggi nelle Marche: è ad Ancona nel 1550, dove, stanco e impoverito, decide di tentare una lotteria ma vende solo sette quadri. E’ un uomo solo e deluso, sull'orlo della miseria, il Lorenzo Lotto che l'8 settembre 1554 si fa oblato alla Santa Casa di Loreto “Solo, senza fidel governo, et molto inquieto nella mente”. Vivrà ancora due anni attivi e forse più sereni, dipingendo per i confratelli del grande santuario. In una data di fine autunno del 1556, si spegne, solo con le ombre dei suoi ultimi, commoventi dipinti.

Le opere esposte in sala: La Presentazione di Gesù al Tempio della Santa Casa di Loreto è una tra le più struggenti e più sorprendentemente moderne opere di Lotto per la forza emotiva che sa ancora trasmettere. La consunzione formale e materica che caratterizza la stesura pittorica, condotta dalla mano incerta e tremolante dell’artista ormai anziano e miope, si manifesta anche nelle scelte cromatiche, caratterizzate dal prevalere di toni smorzati. In un’angosciante abside deserta e ombrosa la Madonna presenta a Simeone il Gesù Cristo, mostrandone la sua natura divina, mentre la profetessa Anna indicando in direzione dei piedi che sostengono l’altare, intende ricordarne anche la natura umana e mortale. Probabilmente l’anziano personaggio barbuto che entra nel coro è Lotto settantacinquenne, seguito dall’ombra di un’esistenza turbata da inquietudini relgiose. La teletta raffigurante l’Allegoria della Fortuna infelice abbattuta dalla Fortezza, si configura come una vera e propria impresa, ed esemplifica quella produzione lottesca di allegorie profane destinate ad una ristretta ed eletta clientela di umanisti colti e in grado di cogliere il complesso intreccio di significati simbolici trasmessi da questo genere di opere. Nell’immagine della Fortuna infelice inabissata dalla Fortezza, che riassume in sé, negli attributi della lorica verde e della tunica rossa, le virtù dell’Audacia e della Determinazione, si può leggere un testamento spirituale dell’artista che esorta a non farsi abbattere dalle avversità.

25

SALA 7 “Nessuno riesce a cogliere la dolcezza degli sguardi, la verità di un personaggio, come Lorenzo lotto” (Bernard Berenson) I RITRATTI L’ultima sezione è dedicata alla ritrattistica, uno dei temi dominanti dell’itinerario biografico e stilistico di Lotto, sia per la quantità dei ritratti eseguiti, sia soprattutto per l’alta qualità pittorica espressa in tale genere. Ritratti di rara bellezza e intensità narrativa che costituiscono un saggio straordinario delle capacità di Lotto nel fissare la verità dei personaggi rappresentati, rifuggendo da ogni idealizzazione classicheggiante e aulica. La penetrante indagine della realtà e l’incisiva introspezione psicologica caratterizzano la modernità della ritrattistica lottesca, ricca di attributi, elementi simbolici e nuove invenzioni figurative. Furono suoi committenti non solo gli esponenti della nobiltà e della borghesia di provincia, ma pure mercanti e artigiani. Le quattro opere qui presentate, realizzate in luoghi e momenti diversi lungo l’intera attività di Lotto, ci accompagnano in un viaggio tra Bergamo, Venezia, Treviso e le Marche, raccontandoci anche la vita e gli incontri dell’inquieto maestro nel corso del suo solitario peregrinare.

Le opere esposte in sala: Nel superbo ritratto notturno di Lucina Brembate, dipinto a Bergamo nel 1523, l’identità della giovane e compiaciuta gentildonna dall’enigmatico sorriso, quasi una Gioconda leonardesca, è rivelata dal gioco a rebus delle lettere CI, inscritte nella falce lunare che compare in alto a sinistra, tra le sillabe della luna (LU-CI-NA), allusiva alla dea Diana Lucina (protettrice delle partorienti), e dallo stemma nobiliare della famiglia Brembati (sull’anello all’indice della mano sinistra della dama, poggiata sulla pelliccia di donnola). L’opera è in stretto rapporto con il coevo quadro devozionale di destinazione privata, Le nozze mistiche di Santa Caterina del 1523, tra i più celebri dipinti del soggiorno bergamasco, con lo straordinario ritratto del donatore, il mercante Niccolò Bonghi, padrone di casa del pittore (sullo sfondo, al posto del riquadro grigio ora visibile, vi era in origine dipinta una finestra aperta sul paesaggio). Seguono tre ritratti maschili, emblematici della poetica lottesca: il Ritratto di domenicano del convento di san Zanipolo (il frate tesoriere Marcantonio Luciani?), intento a compilare un libro di conti, sul bancone accanto a chiavi e monete, dipinto nel 1526 a Venezia (dove Lotto fu ospitato proprio presso il convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo). Appartiene al secondo soggiorno a Treviso il Ritratto di gentiluomo con guanti (il ricchissimo notaio Liberale da Pinidello), del 1543, tra i capolavori della ritrattistica rinascimentale. Infine, testimonia la matura produzione marchigiana l’ultimo Ritratto di balestriere del 1551-52, dipinto dal pittore settantenne, gravato dalle difficoltà economiche, in scambio dei lavori di falegnameria ricevuti dall’artigiano (cornici ed altro), ritratto mentre mostra la balestra a pallottole (poggiate sul tavolo) costruita per la caccia ai volatili: è il “mastro Batista balestrier de la Rocha Contrada” ricordato dallo stesso Lotto nel suo Libro di spese diverse.

ELENCO delle OPERE per SEZIONE

5

n. inv

misure cornicemateria

San Giacomo Maggiore (San Giacomo Pellegrino) Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Recanati, Museo Civico Villa Colloredo Mels (già nell'Oratorio di San Giacomo) - propr.

01: PRIMO PERIODO01.01 sezione sotto-sezione

18

n. inv

misure cornicemateria

Giuditta con la testa di Oloferne Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Roma, Collezione BNL Gruppo BNP Paribas

01: PRIMO PERIODO01.02 sezione sotto-sezione

9

n. inv

misure cornicemateria

San Vincenzo Ferrer in gloria Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Recanati, Chiesa di San Domenico

02: PRIMO PERIODO01.03 sezione sotto-sezione

3a

n. inv

misure cornicemateria

inv. P. 3

Dittico dell'Annunciazione: Angelo Annunciante Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Jesi (AN), Pinacoteca Comunale - Palazzo Pianetti

02: SEC. META' ANNI 2002.01 sezione sotto-sezione

3b

n. inv

misure cornicemateria

inv. P. 4

Dittico dell'Annunciazione: Vergine Annunciata Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Jesi (AN), Pinacoteca Comunale - Palazzo Pianetti

02: SEC. META' ANNI 2002.02 sezione sotto-sezione

2

n. inv

misure cornicemateria

inv. n. 81 LC 00185

La Sacra Famiglia con Santa Caterina d'Alessandria Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Bergamo, Accademia Carrara

03: 1533/ 153903.01 sezione sotto-sezione

Leonardo. Il genio, il mito pagina 1La Venaria Reale 18/02/2013

ELENCO delle OPERE per SEZIONE

13

n. inv

misure cornicemateria

Madonna col bambino e santi Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Firenze, Galleria degli Uffizi

03: 1533/ 153903.02 sezione sotto-sezione

1

n. inv

misure cornicemateria

inv. n. 30 - inv. comunale n.

Pala dell'Alabarda - Madonna col Bambino e i SantiStefano, Giovanni Evangelista, Simone Zelota e

Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Ancona, Pinacoteca Civica "F. Podesti" - Palazzo Bosdari

03: 1533/ 153904.01 sezione sotto-sezione

15

n. inv

misure cornicemateria

I Santi Cristoforo, Rocco e Sebastiano Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Loreto (AN), Museo Antico Tesoro della Santa Casa - Delegazione Pontificia per il

03: 1533/ 153904.02 sezione sotto-sezione

7

n. inv

misure cornicemateria

San Rocco Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Urbino, Galleria Nazionale delle Marche - Palazzo Ducale

03: 1545/ 155604.03 sezione sotto-sezione

10

n. inv

misure cornicemateria

San Sebastiano Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Bologna, Collezione privata

03: 1545/ 155604.04 sezione sotto-sezione

14

n. inv

misure cornicemateria

La Fortuna infelice abbattuta dalla Fortezza Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Loreto (AN), Museo Antico Tesoro della Santa Casa - Delegazione Pontificia per il

04: 1545/ 155605.01 sezione sotto-sezione

Leonardo. Il genio, il mito pagina 2La Venaria Reale 18/02/2013

ELENCO delle OPERE per SEZIONE

13

n. inv

misure cornicemateria

Cristo morto sorretto dagli angeli Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Urbino, Collezione privata

04: 1545/ 155605.02 sezione sotto-sezione

4

n. inv

misure cornicemateria

Presentazione di Cristo al tempio Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Loreto (AN), Museo Antico Tesoro della Santa Casa - Delegazione Pontificia per il

04: 1545/ 155605.03 sezione sotto-sezione

12

n. inv

misure cornicemateria

Madonna in gloria e i santi Cosma e Damiano inadorazione

Durante Nobili e Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 -Loreto, 1557)

Caldarola (MC), Chiesa si San Martino, sagrestia

04: 1545/ 155605.04 sezione sotto-sezione

11

n. inv

misure cornicemateria

Ritratto di Lucina Brembati Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Bergamo, Accademia Carrara

05: I RITRATTI06.01 sezione sotto-sezione

22

n. inv

misure cornicemateria

Nozze mistiche di santa Caterina con il donatoreNiccolò Bonghi

Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Bergamo, Accademia Carrara

05: I RITRATTI06.02 sezione sotto-sezione

21

n. inv

misure cornicemateria

Ritratto di domenicano del convento di San Zanipolo(Marcantonio Luciani ?)

Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Treviso, Musei Civici

05: I RITRATTI06.03 sezione sotto-sezione

Leonardo. Il genio, il mito pagina 3La Venaria Reale 18/02/2013

ELENCO delle OPERE per SEZIONE

17

n. inv

misure cornicemateria

Ritratto di gentiluomo con guanti (Liberale daPinidello)

Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Milano, Pinacoteca di Brera

05: I RITRATTI06.04 sezione sotto-sezione

19

n. inv

misure cornicemateria

Ritratto di Balestriere Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557)

Roma, Pinacoteca Capitolina

05: I RITRATTI06.05 sezione sotto-sezione

Leonardo. Il genio, il mito pagina 4La Venaria Reale 18/02/2013