Un grande cuore di Figlia e di Madre

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0 ALESSIO MARTINELLI Un grande cuore di Figlia e di Madre MARIA DOMENICA MANTOVANI Piccole Suore della Sacra Famiglia

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ALESSIO MARTINELLI

Un grande cuore

di Figlia e di Madre

MARIA DOMENICA MANTOVANI

Piccole Suore

della Sacra Famiglia

1

UN GRANDE CUORE DI FIGLIA E DI MADRE MARIA DOMENICA MANTOVANI

2

“Voi mi sarete testimoni” (Atti 1,8)

3

ALESSIO MARTINELLI, O.F.M.

UN GRANDE CUORE

DI FIGLIA E DI MADRE

MARIA DOMENICA MANTOVANI

Confondatrice

delle Piccole Suore della Sacra Famglia

(1862-1934)

PICCOLE SUORE DELLA SACRA FAMIGLIA

4

Seconda edizione

Visto. Si stampi

+ Giuseppe Amari, Vesc. di Verona

Verona, 15 dicembre 1987

Casa Madre e Generalizia

Via G. Nascimbeni, 6

37010 Castelletto di Brenzone (VR)

Grafiche Dehoniane, Bologna. Gennaio 1988

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PRESENTAZIONE

A leggere le pagine che seguono si può rimanere sorpresi, e

domandarsi se è questa una biografia o una cronaca; Più facilmente,

magari, chiedersi che c'è poi di straordinario in questa vicenda, che

ha per scenario un bel paese sul Garda e per protagonisti un parro-

co zelante, alquanto personale in certi suoi atteggiamenti, e una

buona, brava ragazza, cui poi se ne aggiungono tant'altre ...

E diciamo pure che di fatto non è questa una biografia, né,

tanto meno, il profilo di una bella figura di anima generosa, quale fu

madre Maria Mantovani; direi meglio che, neppure a volerlo, po-

trebbe esserlo ... Perché la vita, anche la vita spirituale, della Man-

tovani è talmente legata alla vita spirituale del Fondatore, il Servo di

Dio mons. Giuseppe Nascimbeni; e non solo nell'opera esteriore, ma

tutto il processo spirituale dell'una e dell'altro sono così profonda-

mente congiunti al sorgere e agli sviluppi dell'Istituto delle Piccole

Suore della Sacra Famiglia, che una biografia contenuta nei consue-

ti canoni non può stendersi.

Occorre dunque leggere queste pagine così; come la storia di

una famiglia - una grande operosa famiglia - nata dallo zelo genero-

so e dal senso di profonda paternità e di delicata maternità di due

anime semplici e illuminate: e cresciuta ed educata ad opere molte-

plici e mirabili con mano ferma e cuore comprensivo da quel Padre

e da quella Madre.

Nel quadro della spiritualità di mons. Nascimbeni madre Ma-

ria Mantovani, pur conservando una sua personalità e un suo tim-

bro, si plasma e si forma con docilità generosa, semplice e ad un

tempo consapevole, così da non detrarre mai alla sua fermezza e

all'autorevolezza del suo governo.

E con la sua vita interiore e l'impegno di santità, coltivati fin

dall'inizio nel clima pastorale di un'umile parrocchia, si fondono con

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la vita religiosa della Comunità e, lungi dal disperdersi, vi trovano

arricchimento concreto.

È forse questa meravigliosa assimilazione dell'attività este-

riore nella vita interiore, che impedisce da un lato, o almeno vela,

straordinari itinerari spirituali, quali spesso scorgiamo, con nostro

ammirato gaudio, nelle anime Più elette; ma è ancora quella stessa

assimilazione ad offrire a tutti l'esempio di una vita cristiana, ordi-

naria nelle sue manifestazioni e pur solidamente ancorata in Dio e

tutta animata dal suo Spirito.

Aspetto profondo questo, che si riflette sullo spirito e gli at-

teggiamenti della Congregazione; la quale nasce e cresce così, come

una famiglia di buone figliole semplici e umili, pronte a tutti i lavori

e in tutti veramente brave, senza complicazioni di sorta, serene

nell'ubbidienza e ardite nelle opere, perché unite cordialmente al Si-

gnore.

Così, leggendo pagina per pagina il volume, si ha talvolta

l'impressione di un distendersi eccessivo su particolari modesti e

spesso simili, quasi di un ripetersi di Piccole cose ...

Ma giunti alla fine, si resta, da un lato, ammirati di fronte ad

una tanto vasta ed efficiente costruzione, realizzata con questi mezzi

apparentemente poveri; e, dall'altro, si è presi da incanto per il pa-

norama di un'anima materna tanto ricca e tanto semplice, tanto ope-

rosa e tanto serena. E si è portati a pensare al Vangelo: alla sempli-

cità incantevole e alla energia operante di quelle pagine.

Infatti lo spirito e la vita di madre Maria Mantovani, come

quelli di mons. Nascimbeni, come lo spirito e la vita dell'Istituto delle

Piccole Suore della Sacra Famiglia, non hanno altra ispirazione e

altro alimento che lo spirito di Gesù.

Bologna, 24 agosto 1963.

† GIACOMO LERCARO

Arcivescovo di Bologna

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Prefazione dell'Autore

Quando ricevetti l'incarico di preparare la vita di madre Maria

Mantovani, fui preso da un senso di incertezza, quasi di trepidazione.

La Mantovani era morta da oltre cinque lustri; molte delle consorelle,

che la conobbero da vicino, erano passate all'eternità; e le prime delle

viventi che interrogai, pur dimostrandosi ammiratissime di madre

Maria, riferivano identiche impressioni che potevano riempire tutt'al

più una decina di pagine. Iniziai nondimeno la consultazione delle

fonti e man mano che procedevo nell'indagine, la figura della Manto-

vani acquistava rilievo e s'ingrandiva.

La vita di madre Maria Mantovani - come lascia supporre il sotto-

titolo del volume - è intimamente legata alla vita del parroco e fonda-

tore mons. Giuseppe Nascimbeni e s'inserisce nello spirito e nella vi-

ta dell'Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, cui dettero

inizio e vigore queste due grandi anime. La parte che la Provvidenza

ha affidato alla Mantovani in questa mirabile storia è determinante,

sebbene venga svolta nascostamente, con naturalezza - come quella

di una buona madre accanto a figlie buone, che ella stessa guida lun-

go il nuovo meraviglioso cammino.

Percorrendo il ciclo dei primi quarant'anni dell'Istituto, che si

chiude appunto con la morte della Confondatrice, s'incontrano date,

persone e vicende, non sempre di rilievo, ma in realtà notevoli pur

esse, onde mettere in luce i tempi e gli ambienti nei quali visse la

Madre. E nel volerle riferire, il racconto si dilunga e lo scritto prende

quasi l'andatura del documentario. Ma appunto questo - m'è parso -

era il compito di chi, per primo, componeva un libro attorno alla

Confondatrice delle suore di Castelletto: raccogliere e ordinare

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i documenti prima che diventassero irreperibili, e su di essi ordire la

trama del racconto e riprodurre la fisionomia del personaggio, dando

sempre la preferenza alle testimonianze. Dal presente volume, co-

scienziosamente documentato, altri potranno scegliere e dire o scri-

vere più speditamente della Madre Confondatrice e dell'Istituto, se-

condo le circostanze e i propri gusti.

Una preoccupazione, sopra tutte, è stata presente nella stesura di

queste pagine: presentare, per quanto era dato, il volto, il vero volto

di madre Maria. E per raggiungere tale intento, l'esposizione crono-

logica dei fatti viene sospesa, e il lettore s'inoltra in panorami nuovi -

quasi altrettanti studi monografici - che mettono in rilievo i tratti ca-

ratteristici, inconfondibili, della protagonista. Ciò può aver nociuto

alla fluidità e al nesso della narrazione e forse ha dato luogo ad inevi-

tabili ripetizioni. In compenso, il ritratto di madre Maria ne è uscito

più completo ed evidente.

La vita interiore della Mantovani non può essere descritta nella

sua interezza. Vediamo la Madre camminare spesso sulle vette dell'e-

roismo, ma ignoriamo i nascosti sentieri che ve l'hanno condotta. Ad

eccezione di due taccuini, ai quali per qualche anno affida i propositi

da sottoporre all'approvazione del Padre Fondatore, non restano di lei

altri scritti intimi che ne scandiscano le interiori ascensioni. Non ab-

biamo diari spirituali, scritti dalla Madre o dai suoi confessori o da

persone che la seguivano da vicino, come invece si hanno di altre

fondatrici; e manca pure un epistolario tra la Mantovani e il Nascim-

beni, che la dirigeva anche nelle vie dello spirito: salvo qualche bre-

ve periodo, essi vissero sempre a Castelletto, l'uno vicino all'altra.

Eppure il mondo interiore di madre Maria doveva essere estre-

mamente bello e ricco, se le esterne irradiazioni - a sentire i testimoni

erano tanto luminose e tanto edificanti.

Sostando per alcuni giorni a Castelletto sul Garda, presso la Casa

Madre dell'Istituto, e osservando la vita che si svolge

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negli attuali grandiosi edifici, dopo che si conoscono le modeste pro-

porzioni e le vicende del primitivo convento, vien fatto di pensare ad

un'altra remota contrada e ad un'umile casetta ...

Il richiamo alla Famiglia di Nazareth non è suggerito soltanto dal-

la denominazione propria delle Piccole Suore ovvero dalle raffigura-

zioni, artistiche o semplicemente devozionali, sparse un po' ovunque

negli ambienti della Casa Madre... Ma i nomi di Gesù, Giuseppe,

Maria vengono ripetuti più volte al giorno nelle preghiere, scandite a

voce alta in chiesa, nei corridoi e nei cortili e soprattutto si ha l'im-

pressione che, a Castelletto, la Sacra Famiglia sia presente col suo

spirito di lavoro sereno e di continua preghiera. Questa è l'impronta

caratteristica, essenziale, che mons. Giuseppe Nascimbeni e madre

Maria Mantovani - anche i nomi ricalcano l'analogia - hanno inteso

dare al loro Istituto.

E a vedere questa vita semplice ed operosa, intensamente nutrita

di soprannaturale, viene nell'animo un desiderio, che sale sul labbro

come un augurio, quasi una preghiera: che le figlie siano sempre de-

gne del Padre e della Madre; che la fiaccola, accesa dai Fondatori e

trasmessa sino al presente, si mantenga vigorosa anche in futuro.

Castelletto sul Garda, 4 agosto 1963.

A.M.

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Avvertenza per la seconda edizione

Questa seconda edizione, salvo qualche leggero ritocco, conserva

l'impronta e l'andatura della prima, perché intende mantenerne intatte

le motivazioni e le modalità: narrare cioè le vicende «quotidiane» di

un rigoglioso Istituto di vita consacrata, mettendone in luce il Padre

fondatore e in primo luogo la Madre confondatrice.

Da questa storia «feriale», narrata con tono dimesso ma attento,

giungono indicazioni e stimoli per una vita evangelicamente ispirata,

fedele ai valori del passato e aperta alle istanze dei tempi nuovi.

La recente apertura del Processo Cognizionale diocesano (10 feb-

braio 1987), in vista della beatificazione e canonizzazione di madre

Maria Domenica Mantovani, oltre a insignirla del titolo ufficiale di

Serva di Dio, rende opportuna la riproposta dei suoi esempi e delle

sue virtù a edificazione di tutta la Chiesa.

Bologna, 8 dicembre 1987.

A.M.

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INTRODUZIONE

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PRELIMINARI

Nel firmamento della santità «un astro è differente da un altro a-

stro» (1 Cor 15,41); ogni santo ha la «sua» nicchia. Dio, creando,

non si ripete mai. Ciascun uomo, che viene in questo mondo, incarna

un'idea eterna, perfetta, unica, che Dio ha concepito in un movimento

d'infinito amore. Ogni santo ha, dunque, una fisionomia interiore tut-

ta propria e riceve una particolare missione da svolgere sulla terra.

Compito principale del biografo è di mettere in luce questi aspetti

caratteristici del personaggio, del quale intraprende a narrare la sto-

ria. Il tempo e i luoghi nei quali il protagonista è vissuto, le opere da

lui compiute, gli scritti lasciati, le testimonianze di quanti lo conob-

bero; aiutano a scoprirne il vero volto, il «suo»: quello che lo con-

traddistingue da tutti gli altri.

L'agiografia s'inserisce tra due eternità. Dietro la scorta delle fonti,

lo scrittore deve intuire i disegni di Dio e descrivere il cammino per-

corso dal santo per realizzarli.

Il «volto» della Mantovani

Madre Maria Domenica Mantovani dell'Immacolata di Lourdes

(1862-1934) fu data da Dio in aiuto a mons. Giuseppe Nascimbeni

(1851-1922), parroco di Castelletto sul Garda e fondatore di un Isti-

tuto religioso femminile. Dai quindici sino al settantunesimo anno, la

sua vita s'inserisce sempre più perfettamente nella vita e nell’attività

del Servo di Dio.1 Ella

1 Il Servo di Dio Giuseppe Nascimbeni sarà «beatificato» prossimamente, il 17 aprile

dell'anno 1988.

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collabora con lui nelle molteplici attività parrocchiali, anticipando

pagine insigni di cooperazione laicale all'apostolato gerarchico. As-

sieme a lui fonda e dirige uno degli istituti più fiorenti, che la Prov-

videnza ha fatto sorgere in Italia nella seconda metà del secolo XIX.

Sono due astri, il Nascimbeni e la Mantovani, spuntati l'uno a po-

chi chilometri dall'altro; e per più anni salirono all'orizzonte, l'uno

ignorando l'altro. Nel giorno designato Dio li fece incontrare. Da

quel momento la loro vita si orientò verso identici ideali; la loro luce

si fece più splendente e più feconda la loro comune operosità, che

durò per alcuni decenni, fino a quando si ritrovarono, assieme, in Co-

lui che li aveva accesi per la sua gloria e per il bene di molte anime.

Accanto ad essi e col medesimo orientamento, centinaia di pianeti

vennero e prendere il loro posto. Poi giunsero altri, poi altri ancora; e

s'è formata una costellazione che si espande sempre più nel firma-

mento della Chiesa, moltiplicando le opere di bene iniziate dai Fon-

datori. È l'Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, del qua-

le il Nascimbeni è il «Padre» e la Mantovani la «Madre».

Il metodo seguito

V'è modo e modo nel narrare la storia d'un personaggio. E poiché

la vita di ciascun uomo presenta particolari aspetti che la differenzia-

no da quella di tutti gli altri uomini, si dovrebbe dedurre che, nell'e-

sporla, non si danno metodi del tutto uguali. Due, tuttavia, prevalgo-

no: il metodo cronologico e il metodo sistematico.

Il primo segue passo passo il santo, dall'infanzia sino alla morte e

glorificazione finale. Gli avvenimenti vi hanno uno spiccato rilievo

perché fanno da scenario all'attività dell'eroe, che costituisce di prefe-

renza l'oggetto del racconto.

Il secondo metodo, il sistematico, si occupa principalmente del

mondo interiore del santo. I fatti vengono narrati, non

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tanto nell'ordine cronologico, ma nella loro funzione rivelatrice ed

esplicativa. In quanto, cioè, manifestano all'esterno la ricchezza inte-

riore del protagonista: gl'intenti che lo hanno determinato ad operare,

le sue virtù, le note distintive della sua personalità che sono studiate

con particolare compiacimento.

Le due maniere di procedere, prese separatamente, hanno pregi e

difetti. Questi possono essere eliminati dall'intreccio e fusione d'en-

trambi i metodi. È quanto abbiamo cercato di fare nel presentare la

vita di madre Maria Domenica Mantovani dell'Immacolata di Lour-

des.

Madre Maria fu confondatrice e prima superiora generale. Il suo

governo durò per più di quarant'anni, dagl'inizi incerti dell'Istituto si-

no al suo perfetto consolidamento. Gli avvenimenti esteriori hanno,

dunque, un notevole significato e debbono essere ricordati nella loro

successione cronologica.

Ma la missione della Confondatrice non si esaurisce all'esterno,

nel saggio governo della Congregazione che man mano aumenta di

numero e di operosità. La Mantovani ha ricevuto da Dio un compito

che va oltre le vicende esterne, e supera altresì i tempi e i luoghi nei

quali ella visse ed operò. Dio l'ha scelta quale modello ideale di suo-

ra, secondo i bisogni e gl'intenti del parroco di Castelletto mons. Giu-

seppe Nascimbeni. Col suo esempio e con le sue parole, la Confon-

datrice rimane la maestra impareggiabile di tutte le suore. Nessuna,

più di lei, fu tanto devota del Fondatore; nessuna fu più docile alle

sue paterne direttive. E tuttavia dette qualcosa anche lei al Padre.

Non solo l'esterna collaborazione, che fu totale sino alla morte. Ne

sostenne altresì l'animo nei momenti difficili e ne rese più completa

l'azione pastorale, governando l'Istituto da lui fondato con inesauribi-

le bontà di madre.

Divisione dell'opera

Gl'intenti dello storico determinano l'uso delle fonti e la scelta del

materiale; il metodo ne regola il coordinamento e la distribuzione.

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Nelle prime due parti del libro seguiamo l'ordine cronologico de-

gli avvenimenti, che vanno dall'infanzia della Mantovani fino al suo

ingresso in convento (I), e dai primi passi nella vita religiosa alla vi-

gilia della morte (Il). La vita della Confondatrice s'intreccia con la

storia eroica dell'Istituto, al quale sapientemente presiede, da princi-

pio assieme con il Fondatore, poi da sola per altri dodici anni.

Narrate le vicende esterne, avvicineremo più intimamente il nostro

personaggio, presentandolo, anzi tutto, quale ritratto perfetto della

Piccola Suora, che educa le suddite più con gli esempi che con i di-

scorsi (III). Essendo rimasta a capo della Congregazione per più di

quarant'anni, madre Maria è pure la maestra autorevole di tutte le

consorelle, superiore e suddite, alle quali trasmette inalterati gl'inse-

gnamenti del Fondatore (IV). Tutta la vita della Mantovani è animata

da due grandi amori: la devozione al Padre Fondatore (V), al quale

resta fedele sino alla morte, «come una bambina»; l'affetto filiale

verso la Madonna, in particolare verso l'Immacolata di Lourdes (VI).

Dove la Confondatrice porta la sua impronta e prende l'iniziativa,

è nel modo di guidare l'Istituto. Lo regge cioè a lungo, con mano for-

te ad imitazione del Padre, ma principalmente con cuore di madre

(VII). E «madre» resta ancora nel nostalgico ricordo delle suore che

l'hanno conosciuta. Le numerose testimonianze confermano che la

Confondatrice fu essenzialmente madre per le figliuole che Dio le

mandava, madre tenera, comprensiva, premurosa: «la Madre».

Riprenderemo infine il racconto esterno (VIII), ricordando gli ul-

timi giorni di madre Maria, la morte santa e i solenni funerali. Sulla

terra la Mantovani coltivò, con particolare predilezione, l'umiltà e il

nascondimento; da quando è morta, Dio e gli uomini glorificano la

sua vita virtuosa, che noi ci accingiamo a narrare.

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LE FONTI

Le fonti che ci hanno guidato nello stendere la vita di madre Maria Mantovani

sono dirette e indirette, orali e scritte. Le scritte si dividono in stampate ed inedite;

le inedite, in manoscritte (originali) e dattiloscritte.

Le fonti dirette, naturalmente, hanno maggior valore; in particolare diamo la

precedenza agli «scritti» della Madre, ove, nelle diverse circostanze e in tanti modi,

la scrittrice rivela se stessa. Seguono le «testimonianze» sulla Madre, orali e scritte,

lasciateci da persone che l'hanno conosciuta da vicino, ed alcune per lungo tempo.

Altre notizie sono state desunte dall' «archivio» della Casa Madre, mentre i «li-

bri della Congregazione» contengono la legislazione e lo spirito che informò la vita

di madre Maria e che ella trasmise alle figlie. Le «pubblicazioni» che parlano del

servo di Dio mons. Giuseppe Nascimbeni e dell'Istituto delle Piccole Suore della

Sacra Famiglia, contengono notizie preziose per la biografia della Confondatrice;

meritavano, quindi, d'essere consultate.

Diamo pertanto l'elenco delle fonti,distribuendole secondo i criteri e l'ordine cui

abbiamo accennato.

I - SCRITTI DELLA MADRE

A – INEDITI

1. Propositi.

1) Su fogli separati. a. Lettera al Padre Fondatore dell'Il marzo 1894.

b. Proponi menti fatti negli esercizi spirituali dell'anno 1895.

c. Proponimenti fatti negli esercizi della primavera 1902.

d. Proponimenti d'incerta data, visti ed approvati da don L. Marini.

2) Primo taccuino. Dalla primavera del 1909 al 21 giugno 1917.

Formato 116X 67; pp. 58.

3) Secondo taccuino. Dal luglio 1917 al maggio 1918. Formato 127 X 81;

pp. 16.

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2. Corrispondenza. 1)

A suor Fortunata Toniolo. Una settantina di lettere, alcune d'incerta data.

2)

Al Padre Fondatore e a suor Fortunata Toniolo. Da Bologna, ove è riceve

rata presso una casa di cura, la Madre scrive a Castelletto dal 2 settembre

al 25 ottobre 1920. Lettere 7, cartoline con notizie 21.

3)

A diverse persone. Lettere, cartoline, biglietti personali, immagini o santi-

ni nel cui retro la Madre scrive esortazioni ed auguri. 3.

Promemoria per gli esercizi spirituali. Su fogli di quaderno; pp. 17.

4

Avvertimenti per le superiore. Quaderno; pp. 14.

5.

Scritti vari. Ricordi a chiusura degli esercizi, avvertimenti, consigli, ecc. Su

fogli separati e di varie dimensioni.

6.

Appunti presi dalle «letture» della nostra carissima madre generale suor

Maria dell'Immacolata. Dal 15 settembre 1933 al 25 gennaio 1934. Taccuino;

formato146 X 112; pp. 12. Durante le istruzioni della Madre, la novizia suor

Gian Maria Piva, entrata nel 1932, prendeva appunti conservati in seguito

come prezioso ricordo.

7.

«Letture» della reverendissima Madre durante gli esercizi. Dattiloscritto; pp.20

Durante gli esercizi, il Fondatore era solito tenere istruzioni alle suore eserci-

tanti; così la Confondatrice, dopo la morte del Padre. Suor Solidea Calliari,

entrata nel 1924, ha ordinato questi appunti; essi giovano per la conoscenza

dei temi trattati e del modo con cui venivano trattati.

B – STAMPATI

1. Lettere circolari. Inviate a tutte le suore e alcune riservate alle superiore.

Sono stampate dalla tipografia interna dell'Istituto. Molte, purtroppo, non sono

più reperibili. Quelle conservate vanno dal 26 agosto del 1910 al 13 dicembre

del 1933.

2. Vari stampati. Su fogli separati, sul «Nazareth», su «La voce del Padre»,ecc.

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II - TESTIMONIANZE SULLA MADRE

A – ORALI

1. Inchiesta. L'abbiamo fatta nell'infermeria di Castelletto nel dicembre del 1961.

Le suore interrogate non erano state preavvertite. Esse concordavano nel rileva-

re l'umiltà della Madre, la sua semplicità, la carità materna, la docilità asso-

luta al Fondatore, lo spirito di fede e di abbandono alla volontà di Dio, la devo-

zione alla Madonna Immacolata, ecc.

2. Altre testimonianze orali. Raccolte in altre occasioni e in diversi luoghi.

B – SCRITTE

1. SUOR AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria della venerata Madre

Confondatrice. Due quaderni; pp. 56, 22.

2. SUOR DIODATAPAPA, Petali, ossia profilo della madre Maria dell'Imma-

colata. Due quaderni; complessivamente, pp. 367.

3. Altre testimonianze scritte. Numerose, e per lo più lasciate da suore che

hanno conosciuto direttamente la Madre.

III - DALL'ARCHIVIO DELLA CASA MADRE

A – MANOSCRITTI

1. Memorie del nostro Istituto. Quaderno; pp. 20.

2. Promemorie dell'Istituto. Dall'epoca della fondazione al 1917. Quaderno; pp.

3. Promemorie per la storia dell'Istituto. Della guerra e degli ospedali militari.

Quaderno; pp. 14.

4. Diario giornaliero. Quaderni:

1) Dall'8 novembre 1917 all'Il febbraio 1918; pp. 20.

2) Dal 2 settembre 1918 al 21 gennaio 1922; pp. 74.

3) Diario della malattia del Padre. Dal 3 ottobre 1918 al 21 gennaio

1922; pp. 60.

4) Dall'11 novembre 1933 al 31 agosto 1935; pp. 155.

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5. Cronaca.

1) Dal 1931 al 1939. Formato grande; pp. 189.

2) Dal 1948 al 1953. Formato grande; pp. 548.

B - DATTILOSCRITTI

1. Documenta. Raccolta di documenti e scritti che riguardano il Fondatore, la

Confondatrice e l'Istituto; pp. 137.

2. Miscellanea. Raccoglie documenti, notizie, scritti e predica bili del servo di

Dio mons. Giuseppe Nascimbeni; alcuni documenti interessano la Confonda-

trice madre Maria Mantovani; pp. 131.

IV - I LIBRI DELLA CONGREGAZIONE

1. Le Costituzioni. Costituzioni della Congregazione delle Piccole Suore della Sa-

cra Famiglia di Castelletto di Brenzone (Verona), Castelletto di Brenzone, Tip.

interna dell'Istituto, 1942. Formato 150 X 95; pp. 112.

2. Il Direttorio. Direttorio dell'Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia di

Castelletto di Brenzone (Verona), Castelletto di Brenzone, Tip. interna dell'Isti-

tuto, 1944. Formato 145 X 94; pp. 119.

3. Il manuale di preghiere. Preghiere per le Piccole Suore della Sacra Famiglia in

Castelletto di Brenzone, ed. 7, Vicenza, M. Giuliani, 1954. Formato 135 X 90;

pp. 412. Ebbe diversi ritocchi e aggiornamenti. L'edizione da noi citata si divi-

de in preghiere e pratiche da compiersi ogni giorno, ogni settimana, ogni mese,

ogni anno.

4. Il calendario. Oltre al santo o la festività del giorno, annuncia gli anniversari

della morte di consorelle e della fondazione delle case; indica le pratiche parti-

colari di quel giorno; contiene massime, raccomandazioni, avvertenze, ossequi,

giaculatorie, ecc.

5. Il Padre e la Madre ci parlano ... Castelletto di Brenzone (Verona), Tip. interna

dell'Istituto, 1972. Formato 160 X 115; pp. 204.

6. Il carisma dell'Istituto Piccole Suore della Sacra Famiglia, Castelletto di Bren-

zone (Verona), [1983]. Formato 170 X 120; pp. 96.

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V - PUBBLICAZIONI OVE SI

PARLA DELLA MADRE E DELL'ISTITUTO

A - BIOGRAFIE DEL FONDATORE

1. GIUSEPPE TRECCA, Monsignor Giuseppe Nascimbeni, Castelletto di

Brenzone (Verona), Tip. interna dell'Istituto, 1932. Formato 218 X 140;

pp. 564

2. GIULIO DALDOSS, O.F.M., Monsignor Giuseppe Nascimbeni e l'Istituto

delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, Torino-Roma, Marietti, 1942.

Voll. 2; formato 195 X 120; pp. XII-412, IV-856.

3. GIULIO DALDOSS, O.F.M.], Breve vita del servo di Dio mons. Giusep-

pe Nascimbeni, ed. l, Bologna, Tip. Sordomuti, 1956. Formato177 X 132;

pp. 94. - Ed. 2, Verona, Scuola Grafica don Bosco, 1961. Formato 208 X

150; pp. 92.

4. ANGELO LEONARDO BODRATO, [O.F.M.], «Anima Nobile»: Mons.

Giuseppe Nascimbeni, Fondatore delle Piccole Suore della Sacra Fami-

glia,Castelletto di Brenzone (Verona), Tip. interna dell'Istituto, 1948. For-

mato 167 X 120; pp. 30.

5. ANTONIO MAURO, Il Servo di Dio Giuseppe Nascimbeni. Fondatore

delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, precursore del rinnovamento

conciliare, Padova, Ed. Messaggero, 1978. Formato 180 X 130; pp. 190.

6. ALESSANDRO PRONZATO, Il diritto di chiamarsi Padre. Profilo di

Mons. Giuseppe Nascimbeni, Fondatore delle Piccole Suore della Sacra

Famiglia, Torino, Ed. Gribaudi, 1980. Formato 210 X 140; pp. 304.

7. ANTONIO M. ALESSI, Cuore di Padre. Mons. Giuseppe Nascimbeni,

Collo «Pionieri», Leumann (Torino), Elle Di Ci, /s.d./. Formato 170 X

120 pp. 32.

8. FERNANDO BEA, «Sono padre e basta!», Cenni Biografici su don Giu-

seppe Nascimbeni, parroco e fondatore delle Piccole Suore della Sacra

Famiglia, Roma, Arti grafiche Meglio, /s.d.!. Formato 210 X 155; pp. 32.

B - NUMERI UNICI

1. [1908]. Nazareth: Castelletto sul Garda oggi in gran festa per l'inaugura-

zione della nuova chiesa parrocchiale [9 maggio 1908]; pp. 4.

22

[1910]. Nella festa del Padre: 1885 - 30 gennaio - 1910. Formato grande;

pp. 4. Il servo di Dio mons. Nascimbeni celebrava, in quel giorno, il XXV

di parrocchialità in Castelletto.

2. [1912]. Al Padre, [Castelletto 3 marzo 1912]. Formato grande; pp. 6. Uscì

in occasione della nomina a «Protonotario Apostolico» del Fondatore.

3. [1914]. Nazareth. All'Immacolata di Lourdes nella sua Grotta a Castelletto

sul Garda riprodotta magnificamente dalla vera Grotta di Lourdes [13 di-

cembre 1914]; pp. 8.

4. [1917]. Sei novembre 1892-1917: XXV anno dalla Fondazione dell'Istitu-

to delle Piccole Suore della Sacra Famiglia in Castelletto di Brenzone sul

Garda. Formato grande; pp. 20.

5. [1923]. Ritorna. Nella traslazione del Padre: 24 ottobre 1923. [Castelletto

di Brenzone (Verona), Tip. interna dell'Istituto, 1923]. Formato 192 X

144; pp.

6. [1942]. Quasi oliva speciosa in campis, L'Istituto delle Piccole Suore della

Sacra Famiglia nel 50° Anniversario della sua Fondazione: 6 nov. 1892 -

6 nov. 1942, Castelletto di Brenzone (Verona), Tip. interna dell'Istituto,

1942. Formato 280 X 144; pp. 76.

7. [1967]. Piccole Suore della Sacra Famiglia di Castelletto sul Garda (Ve-

rona). 1892-1967: A 75 anni dalla Fondazione, Genova, Arti grafiche

Marconi, 1968. Formato 290 X 210; pp. 172.

9. [1974]. Le Piccole Suore della Sacra Famiglia di Castelletto sul Garda.

1949-1974: Da 25 anni in Argentina, Malcesine (Verona), Tip. Andreis,

1975. Formato 300 X 208; pp. 160.

C - RIVISTE E GIORNALI

1. Narareth. Periodico mensile di propaganda religiosa, poi di educazione

cristiana. Vivente il Fondatore, era la pubblicazione ufficiale della parroc-

chia di Castelletto e dell'Istituto delle Piccole Suore; dopo la morte del

Servo di Dio, divenne la rivista della Congregazione. Dal 1950 ospita un

foglio che interessa la «Nuova Casa Gioiosa», sede delle scuole medie e

magistrali parificate. Esce dall'agosto del 1906.

23

2. La voce del Padre. Pubblicazione mensile di formazione religiosa, ad uso

interno dell'Istituto. Dal maggio 1922 al dicembre 1929.

3. Giornali. L'Osservatore Romano, L'Avvenire d'Italia, Il Gazzettino, ecc.

D - ALTRE PUBBLICAZIONI

1. ALESSIO MARTINELLI, O.F.M., Pio Istituto di cura «madre Fortunata

Toniolo del Santo Crocifisso», Bologna, Casa Regionale «S. Pio X»,

1961. Formato 184 X 135; pp. 158.

2. GIOVANNI BATTISTA GASPARINI, Suor Maria Luigina (Rosa Casta-

gna) delle Piccole Suore della S. Famiglia di Castelletto del Garda (Vero-

na), Castelletto di Brenzone, Tip. interna dell'Istituto, 1942. Formato 175

X 115; pp. 94.

3. [GIUSEPPE SPERANZINI], Santa memoria. Catina Andreoli operaia di

Cristo, Bologna, Tip. Azzoguidi, [1931]. Formato 213 X ISO; pp. 289.

4. ANTONIO M. ALESSI, Cuore di Madre: Suor Maria Domenica Manto-

vani, Coll. «Pionieri», Leumann (Torino), Elle Di Ci, 1985. Formato 170

X 120; pp.

24

25

DATI PRINCIPALI

1862, 12 novembre Nascita a Castelletto di Brenzone (Verona).

1862, 13 novembre Battesimo.

1870, 12 ottobre Cresima.

1874, 4 novembre Prima Comunione.

1886, 8 dicembre Festa dell'Immacolata. Davanti alla statua della Madon-

na, presente il parroco don Giuseppe Nascimbeni, la

Mantovani emette il voto di perpetua verginità.

1892, 4 ottobre Con altre quattro giovani aspiranti, la Mantovani inizia il

noviziato presso le Terziarie Francescane di Verona.

1892, 4 novembre Vestizione e Professione.

1892, 5 novembre Ritorno festoso a Castelletto.

1892, 6 novembre Solenne inaugurazione dell'Istituto delle Piccole Suore

della Sacra Famiglia.

1893, 11 febbraio Festa della B. Vergine di Lourdes. Vengono accolte le

prime due aspiranti, cugine della Confondatrice.

1894, 1° novembre Entra nell'Istituto, undecima, suor Fortunata Toniolo del

Santo Crocifisso.

1895, maggio Viene aperta la prima filiale a Tiarno Superiore (Trento)

La Madre resta colà alcune settimane per avviare la casa.

1898, l° giugno Muore la prima consorella, suor Pia Strapparava. È an-

cora novizia, e prima di morire emette i santi voti.

1903, 1° gennaio Revisione e rinnovata approvazione delle Costituzioni

da parte della curia di Verona. L'Istituto conta 105 suo-

re: 10 sono già passate all'eternità.

1908, 9 maggio Solenne inaugurazione della nuova chiesa parrocchiale

di Castelletto

1910, 26 agosto L'Istituto ottiene il Decreto di lode.

1911, 24 maggio Festa di Maria Ausiliatrice. Il Fondatore e la Confonda-

trice sono ricevuti dal papa S. Pio X.

1911, 15 dicembre Il Fondatore viene nominato «Protonotario Apostolico».

26

1914, 13 dicembre Inaugurazione della Grotta della B. Vergine di Lourdes

costruita nell'orto della Casa Madre.

1915-1918 Prima guerra mondiale. Alcune Piccole Suore sono in-

ternate; case requisite. Circa 170 suore prestano servizio

in più di venti ospedali militari.

1916, 31 dicembre Mons. Giuseppe Nascimbeni è colpito, per la prima vol-

ta, dalla paralisi.

1917, 6 novembre Venticinquesimo dell'Istituto.

1919, 18 giugno Il Padre, la Madre, suor Fortunata Toniolo e altre quattro

suore vanno a visitare la grande casa di Trento. È l'ulti-

ma visita che il Fondatore compie, dopo la quale egli

non uscirà più da Castelletto.

1921, 6 luglio Muore santamente suor Pia Ruffo, maestra delle novi-

zie intima confidente della Madre.

1921, 28 novembre Il Padre celebra per l'ultima volta.

1922, 21 gennaio Morte del Fondatore. Prima di entrare in agonia, egli

imparte una speciale benedizione alla Confondatrice,

che che resta sola a capo della Congregazione.

1923, 24 ottobre Traslazione della salma del Padre. Dal cimitero comuna-

le viene portata nell'artistico mausoleo, che la Confonda-

trice ha fatto erigere nell'orto della Casa Madre, presso

la Grotta di Lourdes.

1924, 13 ottobre Eletta Superiora Generale a pieni voti, la Mantovani

viene confermata in carica dalla Congregazione dei Re-

ligiosi.

1926, 7 agosto Inaugurazione dell'infermeria dell'Istituto.

1927, 15 novembre La Mantovani viene rieletta e confermata Superiora Ge-

nerale.

1931, 25 novembre Festa delle «Mille e due». Le Piccole Suore viventi han-

no raggiunto quel numero; le morte sono 158.

1932, 3 giugno Approvazione definitiva dell'Istituto e temporanea delle

nuove Costituzioni; esse verranno approvate definitiva

mente il lo aprile 1941.

1933, 20 marzo Inaugurazione del nuovo grandioso noviziato.

1933, 16 novembre Ancora una volta la Mantovani viene rieletta Superiora

Generale.

1934, 27 gennaio La Madre è colpita da febbri influenzali.

1934, 2 febbraio Festa della Purificazione di Maria. Verso sera la Con-

fondatrice chiude la giornata terrena; 179 figlie l'hanno

preceduta nell'altra vita.

1934, 6 febbraio Solenni funerali. La salma resta esposta nella chiesa

cimiteriale di S. Zeno per altri sette giorni, dopo i quali

viene tumulata nel cimitero comunale di Castelletto.

27

1953, 29 settembre La salma della Confondatrice viene esumata. Sono pre-

senti circa 400 suore.

1953, 3 ottobre Nella cappella del cimitero delle Piccole Suore, adiacen-

te a quello comunale, vengono collocate provvisoria-

mente le spoglie della Madre.

1954, II marzo Muore suor Fortunata Toniolo, seconda Superiora Gene-

rale rimasta in carica dal 1934 al 1952. Il 15 dello stesso

mese vengono esumate le salme di suor Teresa Brighenti

e suor Anna Chiarani, due delle prime quattro suore. Il

giorno 17 le spoglie di madre Maria, di suor Fortunata,

di suor Teresa e suor Anna vennero definitivamente tu-

mulate nella cappella cimiteriale, la quale accoglieva il

15 dicembre 1960 la salma di suor Giuseppina Nascim-

beni, l'ultima delle prime quattro suore. Quivi, in avve-

nire, verranno pure tumulate tutte le Superiore Generali

della Congregazione.

1959, 2 febbraio XXV anniversario della morte di madre Maria. La casa

di Colà di Lazise (Verona), che ospita le suore anziane

della Congregazione, viene denominata: «Istituto madre

Maria dell'Immacolata».

1959, 12 luglio Durante il convegno per le suore addette all'insegnamen-

to della dottrina cristiana, tenuto a Castelletto dal 5 al 12

luglio, viene commemorata madre Maria Mantovani

come «Prima insegnante di catechismo dell'Istituto».

1962, 12 novembre Primo centenario della nascita di madre Maria. Essendo

in pieno svolgimento la prima sessione del Concilio Vati

cano II, i solenni festeggiamenti sono rimandati; si cele-

bra, tuttavia, la fausta data tanto a Castelletto che nelle

case filiali.

1968, 21 febbraio Durante un'adunanza di Consiglio della Congregazione,

si parla della opportunità di iniziare le pratiche in ordine

alla Causa di Beatificazione e di Canonizzazione di ma-

dre Maria Domenica Mantovani.

1984, dicembre Si inviano lettere a tutti i Vescovi delle diocesi e ai Par-

roci dei paesi in cui operano od operarono le Piccole

Suore, sollecitando la raccolta di eventuali scritti della

Madre o di documenti che la riguardano.

1986, 6 giugno Le Responsabili della Congregazione incontrano il Ve-

scovo di Verona e chiedono il suo consenso e la sua col-

laborazione per l'avvio delle pratiche canoniche. Il Ve-

scovo si dichiara molto favorevole.

28

1986, 25 novembre Anche gli Ecc.mi Ordinari della Conferenza Episcopale

Triveneta esprimono parere positivo.

1987, 10 febbraio Nella cappella della Casa Madre in Castelletto sul Garda

si svolge la prima sessione del Processo Cognizionale

diocesano. È presente Sua Ecc. Mons. Giuseppe Amari,

Vescovo di Verona.

1987, 12 novembre Traslazione delle spoglie mortali della «Madre», dalla

cappella cimiteriale dell'Istituto all'artistico mausoleo,

che dal 1923 al 1984 ha custodito la salma del «Padre».

29

PARTE PRIMA

DISCEPOLA E COLLABORATRICE

(1862 - 1892)

30

31

INCONTRI PROVVIDENZIALI

Quando don Giuseppe Nascimbeni entrava in Castelletto di Bren-

zone sul Garda quale vicario cooperatore del vecchio don Donato

Brighenti, Domenica Mantovani stava per compiere i quindici anni.

Erano due anime predestinate. Il tempo avrebbe rivelato loro la

comune missione, alla quale Dio le chiamava. Assieme, esse avreb-

bero compiuto grandi cose.

Le opere di Dio noi le ammiriamo dopo che sono state realizzate.

Dio le prevede e se ne compiace da tutta l'eternità.

Tra le opere meravigliose che la Provvidenza ha suscitato in Italia

nell'ultimo scorcio del secolo XIX, v'è anche l'Istituto delle Piccole

Suore della Sacra Famiglia, del quale don Giuseppe Nascimbeni è il

Fondatore e Domenica Mantovani la Confondatrice: il «Padre» e la

«Madre».

Il giovane prete veniva da S. Pietro di Lavagno (Verona), ove a-

veva trascorso il primo triennio del suo ministero, dedicandosi in

prevalenza all'insegnamento nelle scuole comunali ed alla educazio-

ne della gioventù. L'innata bontà d'animo e le singolari doti del mae-

stro, messe a servizio d'un ardente zelo sacerdotale, attirarono ben

presto la devota ammirazione del popolo e la compiacenza dei supe-

riori. E quando si rese palese l'opportunità di dare un valido aiuto al

parroco di Castelletto, già avanzato negli anni e affaticato, la scelta

cadde sul Nascimbeni, che entrò ufficialmente in paese il 2 novembre

1877.

Non aveva ancora compiuto i 27 anni, poiché era nato il marzo

1851 in Torri del Benàco, a pochi chilometri da Castelletto. Era figlio

unico di Antonio e Amedea Sartori,

32

cristiani esemplari. Falegname e capobanda, lui; lei filatrice, donna

di casa e di chiesa.

Dal padre il Nascimbeni ereditò l'amore alla musica ed apprese

l'arte del costruire (a Castelletto eresse una nuova casa al Signore e

fabbricò un convento alle novelle suore; per i parrocchiani ottenne

l'acquedotto, l'oleificio, la posta); dalla madre attinse la bontà spon-

tanea e generosa e l'amore alle cose di Dio. Il lago con le sue tempe-

ste improvvise e le sue bonacce, i monti ineguali ed aspri che gli fan-

no corona, influirono sul temperamento del ragazzo, tenace nelle im-

prese e franco nel tratto, pronto allo sdegno e al rimprovero, facile a

placarsi e a perdonare.

Terminate lodevolmente le scuole elementari a Torri, Giuseppe

Nascimbeni andò a Verona per continuare gli studi. Per un anno fu

allievo del celebre collegio «Mazza» e frequentava le scuole del se-

minario. La votazione finale non fu così brillante come si pretendeva

dagli alunni dell'Istituto Mazza, ed il Nascimbeni, assieme a molti al-

tri, venne licenziato.

Fu un momento duro, quello, che segnò una pausa d'arresto nella

carriera del giovane studente, il quale era incerto se continuare o tor-

narsene in paese, a lavorare nel campicello e nella bottega del padre.

L'indecisione durò pochi mesi, e nell'autunno dello stesso anno il Na-

scimbeni fece ritorno in città. Frequentava di giorno il collegio «Ac-

coliti»; dormiva, la notte, presso una casa privata.

L'alunno ben presto si riebbe dall'umiliazione subita presso il

Mazza. Ripartì questa volta deciso. Volontà e intelligenza lo sosten-

nero. Raggiunse subito i primi. E primo fu in liceo e in teologia, me-

ritandosi appunto il primo premio. Né soltanto si distingueva nello

studio. Bontà, franchezza, ordine in tutto e pietà profonda completa-

vano il personaggio e ne predicevano il futuro.

Durante il corso liceale maturò la vocazione al sacerdozio. Il Na-

scimbeni vestì l'abito talare in Torri, 1'8 dicembre 1869. Nell'agosto

successivo ebbe la tonsura e gli ordini minori. Fu

33

ordinato suddiacono il 10 agosto 1873, diacono il 28 febbraio 1874; e

il 9 agosto dello stesso anno ricevette l'ordine sacro dal vescovo (poi

cardinale) di Verona, mons. Luigi di Canossa. Sei giorni dopo, festa

dell' Assunta, era al paese natìo per celebrarvi la prima messa solen-

ne. Il padre, la madre e tutto il popolo tripudiavano; ma più di tutti il

novello sacerdote.

Dopo le feste e le legittime emozioni di quei giorni, don Nascim-

beni venne destinato a S. Pietro di Lavagno. Di qui, com'è stato det-

to, venne trasferito in Castelletto di Brenzone, sul versante opposto

del Baldo.

Nel nuovo campo di lavoro c'era molto da fare e da rifare. Il gio-

vane sacerdote si mise all'opera con l'entusiasmo dei suoi ventisette

anni, quando tutto il mondo è un campo pronto alla seminagione e un

mare che invoca le reti.

Pure a Castelletto insegnò nelle scuole comunali, ove riportò ordi-

ne e disciplina ed ebbe modo di avvicinare la gioventù del paese, an-

che la più lontana e restia. Soprattutto si adoperò, nella sua qualità di

curato cooperatore, per ridare vita alle vecchie istituzioni languenti,

quali: l'oratorio maschile, le Figlie di Maria, la Compagnia del San-

tissimo, le Quarantore; ne introdusse altre per la prima volta: le Ma-

dri Cristiane, il Terz'Ordine di S. Francesco, la Confraternita della

Madonna del Carmine. Il parroco nutriva stima e fiducia verso il gio-

vane curato; lo lasciava fare ed approvava.

Nell'approssimarsi della Pasqua 1884 don Brighenti salì sui monti,

a confessare un parrocchiano ammalato. Ammalò egli pure, e poco

dopo fu colpito da tisi galoppante. Il 27 giugno dello stesso anno mo-

rì santamente, edificando i parrocchiani.

Il curato, che l'aveva assistito con amorevole dedizione durante la

malattia, gli successe nel governo della parrocchia il 25 gennaio

1885. La resse per trentasette anni con zelo intrepido, con l'abilità del

saggio amministratore, con il cuore dell'amico fedele e la bontà del

padre di famiglia. Alla sua morte, avvenuta il 21 gennaio 1922, Ca-

stelletto era completamente

34

rinnovato, nel suo volto esterno e nell'animo dei suoi abitanti.

Fin da quando era entrato in paese nel novembre del 1877, il cura-

to era stato colpito dal comportamento pio di una giovane parroc-

chiana. Al vederla ebbe come un presentimento, quasi un misterioso

richiamo: quella giovane - non sapeva ancora in che modo e in quale

misura - l'avrebbe compreso ed aiutato.

Veniva costei puntualmente alla santa messa tutte le mattine, e tut-

te le mattine faceva la comunione. Sostava a lungo, raccolta in pre-

ghiera, davanti all'altare del Santissimo e ai piedi della Madonna. Poi

puliva la chiesa e metteva ordine nella sagrestia. Alla domenica era

accompagnata da altre ragazze, e sorvegliava i fanciulli durante il ca-

techismo e le sacre funzioni. Tutti le volevano bene in paese, tutti ne

dicevano bene. Si chiamava Domenica Mantovani.

35

CAPO PRIMO

NEL MONDO

La giovane era nata a Castelletto circa quindici anni prima, il 12

novembre 1862, da Gian Battista e Zamperini Prudenza. Era il primo

fiore, sbocciato da quell'unione benedetta. Poi vennero altri: Maria e

Andrea.

Ad attendere la nascitura, oltre ai giovani sposi, v'era il nonno pa-

terno e molti parenti. Quando arrivò, si fece gran festa, a motivo del-

la sua venuta.

Il giorno appresso venne portata in chiesa e il curato don Michele

Braghi le amministrò il battesimo. La grazia santificante si accese,

come un sole, in quella piccola anima predestinata; e sembra che da

allora quel sole non si sia spento mai, non abbia subito alcuna eclissi

sino al tramonto della giornata terrena, allorché andò ad accrescere lo

splendore del paradiso.

Fanciulla predestinata

La casa che accolse la neonata, adagiata, assieme con altre, sulle

pendici del monte, distava pochi minuti dal centro del paese. Era di-

sadorna e umile, come quasi tutte le case di allora, che riproducevano

la povertà, la rudezza e la vita stentata degli abitanti.

V'era però tanta ricchezza di fede in casa Mantovani, e tanta pro-

pensione a volersi bene e a fare del bene. «La povera Prudenza» dice

una testimone «era una donna all'antica» (il che vuole significare:

possedeva le virtù che mancano a molte

36

donne moderne); “era una donna di chiesa.”1 E cosi il marito Gian-

battista. Così il nonno, già inoltrato negli anni quando giunse la pri-

mogenità, che spesso gli sederà accanto per sentirlo parlare della sto-

ria sacra e della vita dei santi.

La bambina crebbe dunque, sana nell'anima e nel corpo, in grem-

bo a questa famigliuola di costumi semplici, laboriosa, profondamen-

te onesta.

Quando la piccola Meneghina (ché cosi la chiameremo tutti, sino

a quando prenderà il velo e diventerà “la Madre”) comincia a fre-

quentare la scuola, da tempo conosce la via della chiesa. Scuola,

Chiesa, Casa riassumono tutta la fanciullezza della futura Confonda-

trice.

Chi la conobbe attesta che a scuola “era brava”, “aveva tutti die-

ci!”.2 Era anche buona e mite, senza pretese e sussiego, piuttosto

schiva e silenziosa già da allora, e si faceva rispettare.

A casa l'attendeva la sorella Maria, cui Domenica faceva da ma-

dre, come più tardi farà da madre anche al fratello Andrea. Poi biso-

gna aiutare la mamma; e sembra di vederla ancora “graziosissima nel

suo costumino da contadina, scalza all'estate, con gli zoccoletti

all'inverno, col fazzoletto a fiori annodato alla nuca, andar sul monte

a coglier legna portare l'umile pasto al Babbo, rastrellare i fieno, la-

vorare. Sempre attiva sotto lo sguardo materno; sempre col sorriso

della pace sul bruno e simpatico viso.” 3

Difetti ne aveva anche lei. Era talvolta permalosa e piangeva

quando commetteva sbagli ed era ripresa dalla mamma. Con i fratel-

lini era risoluta e spesso comandava a bacchetta”, anticipando quella

fermezza di carattere e quell'energia che, unita a bontà di madre, use-

rà con le suore.

1 Testimonianza della signora Dora Zecchini. 2 Suor Diodata Papa, Petali, ossia profilo della Madre Maria dell’Immacolata, p. 33 3 Ivi, p. 35.

37

Le sarebbe piaciuto continuare gli studi come più tardi fatta suora,

avrebbe desiderato prendere il diploma di maestra per rendere più ef-

ficace la sua missione di educatrice. Ma la povertà della famiglia ed

il bisogno che c'era di lei in casa non le permisero di abbandonare,

per andare a studiare in città.

In compenso cresceva all'aria libera dei campi, tra il verde degli

ulivi, dirimpetto al lago riposante, dedita a tutti i lavori della donna

di casa, dei quali sarà maestra impareggiabile a tutte le suore.

Sui i tredici anni la ragazza ebbe una crisi. Cessò il sorriso che

brillava costantemente sul volto luminoso. “non mangiava, era me-

sta; non voleva star sola in casa...”. A produrre quel turbamento, oltre

l'età, c'entrasse anche il demonio. Più tardi diventa suora ed esperta

nelle vie dello spirito, confidava: “non so cosa fosse, ma ero molto

inquieta; mi sentivo fastidiosa; avevo paura a star sola perché mi ve-

niva in mente il diavolo. Allora andavo a pascolare le caprette o la

mucca e in mezzo al campo mi sentivo spinta a puntarmi su la cami-

cina tante immaginette... tutti i santi che trovavo nei libri del nonno;

e mi segnavo e dicevo orazioni. A far così la paura mi passava e mi

tranquillizzavo. Più tardi, in convento, capii che quello era lavoro del

diavolo”.

Lo spirito malefico aveva presagito qualcosa sul futuro della fi-

gliola? Certo la Madonna, che ella già onorava con singolare affetto,

vegliava maternamente. La crisi passò presto. La ragazza riprese il

suo sorriso contenuto e sereno, come prima. Il sole era riapparso.

Giovinezza virtuosa

Quando la mantovani, quindicenne, avvicino il curato don Na-

scimbeni era un terreno pronto ad essere lavorato come un giardino

in primavera. Il giardiniere cominciò subito a coltivarla.

4 Ivi,pp.42 – 43.

38

Da principio il lavoro rimase nascosto, noto soltanto a Dio; più

tardi, anche gli uomini ne videro e colsero i frutti. Fin da bambina la

Mantovani pregava molto e bene. Pregava con la mamma, col nonno,

da sola. In chiesa, tra le mura domestiche, in aperta campagna. Più

avanti, con il permesso della mamma, le piacerà radunare in casa o

nella sua camera altre ragazze per addestrarle nei lavori di donna, per

edificarle con buone letture, e per pregare.

Allorché si mise sotto la direzione del Nascimbeni, la giovane de-

dicava già più ore del giorno alla preghiera. Oltre la messa e la co-

munione quotidiane, attendeva alle altre pratiche che vengono rac-

comandate alle anime generose: la meditazione, l'esame di coscienza,

la recita del santo rosario, la visita a Gesù presente nel tabernacolo,

l'esercizio continuato della presenza di Dio. Il maestro, già provetto

nelle vie dell'orazione, ebbe il compito di confermare il programma

della discepola e d'incoraggiarla a perseverare.

«Quando pregava, sembrava un angelo, un serafìno».5 Si racco-

glieva tutta, s'accendeva in volto, parlava a Dio o alla Madonna con

cuore semplice e puro, e non si stancava. Un giorno una bambina ri-

mase colpita dall'atteggiamento della Domenica che stava pregando

in chiesa, e le scappò detto ingenuamente: «A voi, quando pregate, vi

si infiammano perfino gli occhi, che sembrano come quelli del Cuor

di Gesù!».6 La giovane si fece seria, e seria guardò la ragazzetta, la

quale s'allontanò per un momento temendo un rimprovero. La Man-

tovani le proibì di pronunciare ancora siffatte parole; la ragazza pro-

mise, si avvicinò di nuovo e si fece la pace.

Coltivando con fedeltà la preghiera, questa giovane generosa s'i-

noltrava, di giorno in giorno, nel mondo dello spirito e prendeva lena

per praticare le virtù cristiane. La fede aumentava in lei ognor più,

comunicando al suo intelletto la giusta

5 Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria della venerata Madre Confondatrice, I, p.20. 6 Ivi, p. 21.

39

visione delle creature e degli avvenimenti Cresceva altresì il gusto

della vita interiore e per le cose di Dio Con fede si accostava al con-

fessionale, ogni settimana; con fede e docilità seguiva le direttive del

padre spirituale...

Egli sovente metteva alla prova la virtù della figlia. La rimprove-

rava fortemente per cose da nulla. La mortificava ad alta voce, fa-

cendosi udire anche da altre persone; poi impartiva ordini che co-

stringevano la Mantovani a presentarsi in pubblico, davanti alla gen-

te. La discepola s'adattava con risolutezza ai metodi austeri del mae-

stro, ma non sempre riusciva a tenere nascosta l'interna lotta. Le sue

guance, che di solito erano pallide, s'alteravano in quei frangenti e

«prendevano il colore della fiamma».7 Il disagio aumentava allorché

doveva passare sulla piazza, tra la gente, subito dopo la bufera. La

cosa era ormai nota in paese; e quando la giovane si faceva vedere in

pubblico con la faccia rossa e compunta, si deduceva che il parroco

l'aveva strapazzata, ingiungendole di presentarsi in pubblico ridotta a

quel modo. Qualche donna compiangeva la figliuola; gli uomini, per

lo più, ridevano e facevano commenti ad alta voce. Ma il parroco te-

neva duro nei suoi metodi, e duro teneva la giovane nel seguirli, con

evidente scapito del suo orgoglio e della vanità caratteristica nelle

ragazze: che era appunto l'obiettivo prefisso.

In famiglia

Anche a casa la Mantovani veniva rimproverata, ma per altri mo-

tivi e con stile diverso. La rimproverava il fratello Andrea, la sorella

Maria, e talvolta, con più dolcezza però, perfino la mamma. La ra-

gione principale di quelle riprensioni proveniva dal fatto che, secon-

do loro, Domenica stava troppo

7 Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria della venerata Madre Cofondatrice, II, p.9.

40

a lungo in chiesa. Che nei giorni festivi andasse alla messa e pren-

desse parte a tutte le funzioni, era una cosa tanto naturale sulla quale

non c'era nulla da ridire: facevano così tutte le brave ragazze del pae-

se. Ma che tutti i giorni, e più ore del giorno, se ne stesse fuori di ca-

sa, era un disordine che non doveva essere tollerato. In particolare si

faceva sentire il fratello Andrea che, di ritorno dai campi, qualche

volta non trovava subito pronto il desinare o gli pareva che la polenta

non fosse stata salata a sufficienza. Allora cominciavano i rimbrotti,

e ci andava di mezzo anche la mamma perché non interveniva a met-

tervi rimedio. La sorella Maria teneva bordone alle lagnanze del fra-

tello; la madre invece, appunto perché era la madre, ora dava ragione

ad Andrea ora difendeva la Domenica.

Il padre non c'era più. Una otite atroce gli aveva stroncato la vita

in tre giorni. Anche il nonno, il caro maestro e il confidente dell'in-

fanzia, era morto. Se fosse stato presente, egli avrebbe capito la gio-

vane e ne avrebbe preso le difese. Ma era passato a miglior vita, la-

sciando un vuoto incolmabile nel cuore della nipote. Con dolce di-

sinvoltura ella sapeva incassare di fronte alle rampogne del fratello e

della sorella; stava zitta, e pertanto teneva fede al suo programma.

Di buon mattino, quando la campana suonava l'Ave Maria, la

Mantovani era in strada verso la parrocchia. Dopo le devozioni, puli-

va la chiesa, ornava gli altari, oppure insegnava la dottrina ai ragazzi,

o faceva l'una e l'altra cosa. Rincasava verso le dieci o le undici, e si

metteva tosto al lavoro con alacrità, cercando di ricuperare in intensi-

tà quanto aveva perduto in estensione. Acceso il focolare vi appen-

deva il paiuolo; e quando alzava il bollore, vi faceva scendere la fari-

na gialla per la polenta che, in quei paesi e a quei tempi, veniva a so-

stituire il solito pane bianco. La preoccupazione di fare presto e bene

non distraeva la giovane massaia, che sapeva custodire il raccogli-

mento e la grazia del mattino; e mentre rimenava la polenta, ripeteva

a Gesù e alla Madonna le cose dette in chiesa, certo con più ordine e

posatezza, poche ore prima.

41

Il ripeterle adesso, frammezzo al tramestio delle faccende, le dilatava

l'anima e la rendeva felice. Quando era giunto il momento di scodel-

lare, la famigliuola era pronta per mettersi a tavola, ed era allora

principalmente che la cuoca poteva venire investita dai famosi rim-

proveri.

Consumato il pasto, la figliola governava le stoviglie, Dopo di

che, durante i lavori grossi, usciva anche lei nel campo. Se non pote-

va competere con le braccia robuste di Andrea, non era però da meno

di Maria nel maneggiare la zappa o il rastrello o la vanga. Anche da

suora terrà cari questi attrezzi della sua giovinezza; solo più tardi, di-

venuta superiora generale di molte suore e per ordine del Fondatore,

abbandonerà a malincuore il lavoro della terra. Qualche uscita

nell'orto del convento la farà ancora, sino alla morte, per osservare

come procedono i lavori o per raccogliere gli ortaggi che occorrono

in cucina.

Per lo più Domenica restava in casa, mentre Andrea e Maria erano

fuori con la mamma, al lavoro. Attendeva alla biancheria: lavava, sti-

rava, rattoppava i panni sdruciti, ne confezionava dei nuovi, ricama-

va. Lavorava da sola o con altre ragazze del paese, e smetteva soltan-

to verso sera, quando il suono dell' Ave Maria avvertiva che era tem-

po di scendere in chiesa per il rosario. A funzione terminata, la Man-

tovani sostava ancora alquanto. Un'ultima intesa con la Madonna.

Uno sguardo più prolungato e più dolce al Tabernacolo, prima di u-

scire. Era il commiato della sera e l'anticipazione, col desiderio,

dell'incontro che si sarebbe rinnovato nella comunione del mattino.

La cena era più breve e frugale del pranzo. Poi si riprendeva il la-

voro. Le ultime ore del giorno erano dedicate alla preghiera e a pie

letture. La sorella Maria era già assopita che Domenica vegliava an-

cora. Essa «non andava a letto senza aver pregato per tutti quelli che

ne avevano bisogno».8

8 Suor DIODATA PAPA, Petali, p. 60.

42

Continuava a pregare mentre si adagiava, serenamente, accanto alla

sorella. Quando il sonno meritato sopraggiungeva, mancavano poche

ore all'appuntamento con l'Amato.

La chiesa

Col passare degli anni l'animo di Domenica Mantovani si orienta-

va sempre più verso la chiesa. Ivi c'era Lui, il Prescelto tra tutti i figli

di donna. Ivi c'era l'altare bello con la statua della santa Vergine, che

sembrava messa la apposta per concedere le sue grazie e per dispen-

sare a tutti il suo sorriso. In chiesa c'era il confessionale cui la giova-

ne accedeva regolarmente ogni settimana, con tanta devozione e rac-

coglimento, per detergere la coscienza da ogni benché piccola mac-

chia, per ricevere nuova luce e forza dalle parole del suo venerato

padre e maestro.

Per tutti questi motivi la Mantovani non poteva non amare, con

particolare dilezione, la chiesa del suo paese. E se il dovere non l'a-

vesse richiesta altrove, accanto alla mamma e ai fratelli, sarebbe ri-

masta ancora a lungo tra quelle mura benedette.

Veniva in chiesa non solo per ricevere, ma anche per dare, e so-

prattutto per darsi. Si donava in tanti modi, e le sembrava di dare po-

co per tutto quello che continuamente riceveva.

Le testimonianze sono concordi nel celebrare l'amore della giova-

ne Mantovani per la casa di Dio. In verità, ella poteva fare sue le pa-

role del salmista: «O Signore, io amo il decoro della tua casa» (Sal-

mo 25, 8).

Anzi tutto ne curava la pulizia. Spesso lavava il pavimento della

chiesa, facendosi aiutare da qualche ragazza volonterosa. Le premeva

che non mancassero mai i fiori freschi su gli altari, e d'estate cambia-

va l'acqua tutti i giorni. Seguendo la graduatoria del cuore, l'altare del

Santissimo doveva avere i fiori più belli, poi veniva quello della

Madonna, e infine gli altri altari.

43

Scorgendo le attitudini e lo spirito di dedizione della figliuola, il

parroco le affida la biancheria della chiesa. La Meneghina pensava a

tutto: ai sacerdoti, ai chierichetti, agli altari. Lavava, stirava, aggiu-

stava i pezzi bisognosi di riparazione, inamidava i corporali e prepa-

rava ad arte le cotte. Nei giorni assegnati veniva distribuita o mutata

la biancheria, a norma di un particolare calendario: ogni due mesi e-

rano cambiate le tovaglie di tutti gli altari, i camici dei sacerdoti e i

corporali; gli amitti, due volte al mese; i purificatoi, ogni settimana.

Speciale premura aveva la Mantovani per la biancheria degli alta-

ri. Voleva che le tovaglie fossero pulite, come desiderava fosse sem-

pre monda la propria coscienza al cospetto di Dio. Se qualcuna pre-

sentava qualche macchia, veniva subito sostituita.

Occorrevano berrette da prete ai sacerdoti che venivano a Castel-

letto per gli uffici funebri. La Mantovani ne confezionò diverse di

varie dimensioni. I sacerdoti invitati rimasero contenti e si congratu-

lavano con il parroco don Nascimbeni, il quale poteva disporre, per

la sua chiesa, d'una giovane cosi ingegnosa e compita.

Bastava che il parroco esprimesse un desiderio, un progetto qual-

siasi in favore della chiesa, che la Mantovani dava tosto la sua gene-

rosa collaborazione. Per raggiungere l'intento, «non badava alla fati-

ca, alle noie, e talvolta anche alle critiche, ma subito si metteva all'o-

pera».9

Era pure industriosa nell'escogitare nuove iniziative, onde sovve-

nire alle necessita della chiesa povera. Per più anni, con il consenso

della mamma, coltiva il seme di bachi da seta che, al tempo giusto,

distribuiva presso buone famiglie. Ripassava poi a raccogliere i boz-

zoli che, con l'aiuto di buone donne e ragazze (che in paese tutte si

prestavano volentieri), venivano trasformati in seta. Si lavorava di

domenica, dopo aver

9 Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 13.

44

ascoltato insieme la messa e con la dovuta licenza. Il ricavato veniva

disposto a beneficio della chiesa.

Risoluta ormai di abbandonare il mondo, la Mantovani desiderava

lasciare un dono-ricordo alla sua chiesa parrocchiale, ove aveva rice-

vuto tante grazie, ove la sua anima era fiorita in sapienza e bontà.

Pensò di preparare delle tovaglie per tutti gli altari. Si mise per tempo

all'opera, raccogliendo attorno a sè le Figlie di Maria più affezionate.

Ci vollero due anni prima che fossero pronte, perchè si lavorava solo

nei giorni festivi. Quell'incarico era ritenuto un premio. Perciò le ra-

gazze lavoratrici dovevano mostrarsi esemplari, ed essere presenti

non solo alla santa messa del mattino, ma non dovevano mancare al-

l'oratorio e a tutte le sacre funzioni. «Oh! come tutte facevamo volen-

tieri questo lavoro» dichiara una di esse, «sapendo che doveva servi-

re per abbigliamento nella casa del Signore; ed anche per godere la

buona compagnia di quest'anima santa, la quale spesso ci raccontava

tante belle cosette per innamorarci sempre più ad amare Gesù». Le

tovaglie riuscirono ottimamente. Ne furono entusiasti tutti, parroco e

parrocchiani. Fu «un dono molto caro e assai gradito».10

Per qualche particolare ricorrenza la Mantovani improvvisava al-

tari e addobbi di buon gusto, che incontravano il gradimento della

gente.

Era in special modo impegnata durante la settimana santa nel pre-

parare il Sepolcro, che veniva adornato con un centinaio di lumi a o-

lio; i quali, nel venerdì santo, servivano ad onorare il Cristo Morto, e

restavano accesi sino all'alba del sabato seguente. L'olio era stato

questuato nel paese dalla Mantovani e da qualche altra brava ragazza.

Se ce n'era d'avanzo, veniva destinato alla lampada del santissimo

Sacramento.

Questo impegno per allestire altari e addobbi ebbe il suo epilogo

nel gennaio del 1891. Il parroco don Nascimbeni aveva manifestato il

desiderio di erigere un altare provvisorio nel

10 Ivi, pp. 15-16.

45

mezzo della chiesa e di sovrapporvi il quadro della Sacra Famiglia.

La Mantovani si dette d'attorno con ardore e grande letizia. In breve

tempo l'altare era eretto, bello oltre il previsto. Era circondato da ceri;

altri lumi, posti più in basso, venivano portati dalle famiglie. Vi ri-

mase per tutto il mese di gennaio. Durante la santa messa la Manto-

vani leggeva ad alta voce delle preghiere, composte appositamente

dal parroco per onorare e invocare la Sacra Famiglia.

Fu quello l'ultimo anno che la figliuola trascorse nel mondo. Nel

gennaio successivo le prime quattro suore erano da poco ospiti nel

piccolo convento, quando festeggiarono la Sacra Famiglia, dalla qua-

le la giovane pianticella prendeva nome, esempio e protezione.

Bambini

Anche i paesani più trascurati nei loro doveri religiosi amavano la

Mantovani. Persino i pochi ostili alla chiesa sentivano una venerazio-

ne particolare per lei e ne dicevano bene. Quest'unanime benevolenza

traeva origine prevalentemente dal fatto che la giovane voleva bene a

tutti i bambini del paese e ne curava, per quanto le era dato, l'educa-

zione cristiana e civile.

Quantunque non avesse potuto conseguire diplomi, la giovane a-

veva tutte le qualità della maestra buona e valente. Ben presto s'im-

pose a tutti, nonostante l'età precoce; sapeva farsi voler bene, ma riu-

sciva altresì ad arrivare dove voleva arrivare.

Quando era tempo di giocare, ci si divertiva e la Mantovani dava

il suo contributo alla comune allegria. In chiesa però bisognava stare

composti, devoti e attenti alla spiegazione del catechismo. Il parroco

otteneva la disciplina con parole più energiche, con metodi sbrigativi,

alla militare. La Mantovani ci metteva più tempo, perché camminava

per le vie del cuore; ma infine anch'essa arrivava e vinceva la batta-

glia contro i più riottosi, lasciando dietro di sé minor numero di con-

tusi e feriti.

46

Nei giorni festivi insegnava il catechismo ed esigeva che gli alun-

ni sapessero la lezione assegnata. In tal modo li seguiva tutto l'anno

per accertarsi che, esaurito il programma, fossero degni di passare al-

la classe superiore. Con particolare sollecitudine preparava le bimbe

alla prima comunione, mentre il parroco curava i fanciulli.

Il pomeriggio del sabato era dedicato alla confessione dei bambi-

ni. La Mantovani si faceva vedere per tempo in parrocchia. Sorve-

gliava chi entrava e chi usciva di chiesa, perché tutto procedesse con

ordine. Preparava quelle tenere anime a ricevere con profitto il sacra-

mento della misericordia, raccomandando una grande sincerità e il

vivo dolore delle proprie colpe, «perché senza questo dolore» diceva,

«il Signore non perdona i peccati».11

Ai confessati insegnava a reci-

tare con devozione la penitenza imposta dal confessore.

Presiedeva alla comunione dei fanciulli. Voleva che la preparazione

e il ringraziamento fossero fatti in comune. Pertanto essa stessa leg-

geva le preghiere ad alta voce, con fede e fervore, spiccando bene le

parole per essere compresa da tutti.

Il continuo contatto della giovane con tutti i fanciulli del paese, ne

accresceva la stima e l'ascendente presso i genitori. Questi, sovente,

chiedevano informazioni sulla condotta dei figliuoli e facilmente se-

guivano i consigli che loro impartiva la maestra di catechismo.

La Mantovani ebbe modo di rivelare le innate doti didattiche, al-

lorché venne a mancare l'ottima insegnante del paese, Antonia Gaio-

ni, della quale si parlerà più avanti. Colpita da tisi in forma grave,

costei dovette abbandonare l'insegnamento durante l'anno scolastico.

Venne sostituita dalla Mantovani per due mesi, sino al termine delle

scuole. Il parroco don Nascimbeni, che per più anni aveva insegnato

nelle scuole comunali di S. Pietro di Lavagno e di Castelletto,

11 Il Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 17.

47

assisteva la maestra improvvisata e le dava opportune direttive. Agli

esami finali la Mantovani ebbe parole di elogio da parte del regio i-

spettore e degli scrutatori per l'ottima riuscita degli alunni, che furo-

no promossi tutti alle rispettive classi superiori.

Malati e poveri

Altre due categorie di persone attiravano l'attenzione e le solleci-

tudini di Domenica Mantovani: i malati e i poveri. Li amava per una

inclinazione quasi connaturale in lei, ed ancora perché i malati e i

poveri erano i beniamini del parroco.

Quando don Nascimbeni non poteva andare di persona al capezza-

le dei parrocchiani infermi, mandava questa sua figliuola spirituale; e

il conforto arrecato da costei, sebbene di diversa natura e sapore, non

era inferiore alla serenità che portava nelle case la presenza del par-

roco.

In quei tempi di vita stentata non mancavano poveri e bisognosi in

Castelletto. Don Giuseppe Nascimbeni era oltre modo sensibile verso

questi suoi figliuoli, provati dalla miseria. Faceva sacrifici d'ogni ge-

nere e spesso si privava del necessario, per andare incontro alle loro

indigenze.

La Mantovani camminava nella scia del parroco, accanto al quale

il suo amore per i poveri crebbe e diventò industrioso. Più volte si la-

vorò anche di domenica, sotto la direzione della giovane, con l'inten-

to di aiutare qualche famiglia veramente bisognosa.

Questo amore per i malati e per i poveri del paese verrà coltivato e

irradiato anche in convento. Allora l'umile figlia del povero Gian

Battista e della Prudenza verrà chiamata e sarà davvero «la Madre».

Madre, non solo delle numerose suore che, quasi per un miracolo i-

natteso, le verranno accanto da ogni parte d'Italia; madre altresì del

suo paese; madre, in particolare, dei bambini, dei malati, dei poveri.

48

CAPO SECONDO

LA VOCAZIONE

Dove la Mantovani trovavasi al suo posto, come fiore nella pro-

pria aiuola, era tra le Figlie di Maria. Vi entrò per tempo, poco dopo

la prima comunione. In seguito divenne direttrice, carica che tenne

sino a quando prese il velo.

Era questa una delle istituzioni parrocchiali che più stavano a cuo-

re a don Nascimbeni, ben persuaso che per migliorare una parrocchia

bisogna far leva sulle ragazze di oggi, che saranno le fidanzate, le

spose e le mamme di domani. La via più spedita per ottenere l'inten-

to, quando non esisteva ancora l'Azione Cattolica, era appunto quel-

la: trasformare le figlie di Eva in Figlie di Maria, di nome e di co-

stumi.

Per operare questa trasformazione il parroco non si risparmiava:

catechismi appropriati, conferenze, ritiri, direzione spirituale, feste

precedute da tridui... Voleva poi che il regolamento non fosse soltan-

to stampato sulla carta, ma che venisse osservato scrupolosamente da

tutte le iscritte. Se qualcuna sgarrava, e per di più era recidiva, non

c'era scampo: veniva irreparabilmente espulsa. Doveva essere consi-

derato come un onore ed un impegno, preso davanti alla comunità

parrocchiale, l'appartenere alle Figlie di Maria.

Tra le Figlie di Maria

Per quasi quindici anni don Nascimbeni fu coadiuvato in questo

apostolato da Domenica Mantovani. Se l'ascendente di costei era

grande presso tutti i parrocchiani, lo fu in particolar modo

49

nei confronti delle Figlie di Maria. Tutte si trovavano bene con lei,

essa si trovava bene con loro.

Era, nondimeno, esigente con le socie. Quando qualcuna mancava

all'oratorio, la direttrice voleva saperne il motivo; e se le ragioni non

risultavano chiare, andava lei stessa nelle case a informarsi presso i

genitori.

Più che chiedere, essa dava a quelle brave figliuole. Dava la parte

migliore di sé: le sue preghiere fervorose, il buon esempio, i suoi

saggi consigli. Il bene che loro portava la rendeva ingegnosa nel

prendere sante iniziative. Durante il carnevale, per esempio, faceva

preparare commedie e altri giuochi innocenti, perché le ragazze stes-

sero allegre senza esporsi a pericoli. D'estate, a scuola finita, le pren-

deva in casa sua, teneva lezioni di cucito e di ricamo, per sottrarre le

scolare all'ozio e alla strada, ove c'era da imparare più il male che il

bene.

Le esortava ad ascoltare tutti i giorni la santa messa, a ricevere

spesso i sacramenti, a coltivare una tenera devozione alla Madonna.

A tutte raccomandava la fuga delle cattive compagnie e quel compor-

tamento serio, che serve da siepe e da ornamento alla gioventù in fio-

re.

Né curava le anime soltanto. Si preoccupava ancora della salute di

quelle figliuole. Se ne vedeva qualcuna triste e dimagrita, ne chiede-

va, con discrezione, la causa.

Se era necessario, andava lei stessa dalla mamma della ragazza,

per raccomandargliela e per suggerire di portare la figliuola dal me-

dico. Visitava le malate, alle quali portava qualche dono e la sua pa-

rola rasserenante.

Nelle Figlie di Maria, com'era naturale, la Mantovani trovava le

migliori collaboratrici per le sue sante imprese. Tutte si prestavano a

gara e con generosità. A premio della loro diligenza e quale incita-

mento a far sempre meglio, dopo lunghe ore di lavoro, venivano di-

spensate certe merendine, che contribuivano ottimamente ad unire il

dolce all'utile. Il parroco finanziava, la Mantovani predisponeva, e le

ragazze consumavano quella grazia di Dio con un appetito invidia-

50

bile e con quella chiassosa allegria che è propria della loro età.

Tra le Figlie di Maria ve n'erano alcune più assidue e affezionate,

che poi presero il velo nel conventino delle Piccole Suore. Una di co-

storo andava spesso in casa della Mantovani per godere della sua

compagnia. Talvolta s'intratteneva con lei anche la notte, specialmen-

te la domenica. Le dolci e sante conversazioni si prolungavano pure

sotto le coltri, sino a notte inoltrata. La sera precedente il giovedì

santo del 1890 le due amiche si riunirono, come di solito, e andarono

a riposare insieme. Si parlò, anzi tutto, dei dolori del Redentore e del-

la sua Madre santissima; poi, quasi inavvertitamente, il discorso cad-

de sulla vocazione religiosa, sulla gioia di appartenere totalmente a

Gesù, anticipando con il desiderio la vita che avrebbero condotto in

convento. Quando suonarono le tre del mattino, le figliuole stavano

ancora parlando. Bisognava alzarsi a quell'ora per preparare i cento

lumi a olio, che dovevano adornare il Sepolcro. Scesero frettolosa-

mente in chiesa, fresche come non mai, e riuscirono a disporre tutto

prima che la gente entrasse.

Antonia Gaioni

Una santa amicizia legava la Mantovani alla giovane maestra di

Castelletto, Antonia Gaioni. Si erano conosciute sino dall'infanzia;

col passare degli anni s'intesero sempre meglio. Le teneva unite una

identica squisita sensibilità spirituale, una comune aspirazione verso

il bene, un medesimo geloso amore per la purezza. Erano due anime

gemelle, che si aprivano l'una all'altra con estrema semplicità e con-

fidenza, si riposavano l'una nell'altra; poi pregavano insieme, e riu-

sciva loro più facile incontrarsi, nella comune preghiera, con la Ma-

donna e con Gesù.

La Gaioni era uno di quei fiori rari, che Dio lascia sulla terra per il

tempo necessario allo sboccio. Ben presto li viene a

51

prendere con sollecitudine gelosa, quasi temendo che il mondo ne

sciupi il profumo e l'incanto. Il parroco aveva grandi disegni su l'ot-

tima insegnante, ma Dio aveva i suoi. Il fiore era sbocciato e pronto

per il paradiso. Reclinò su lo stelo, dolcemente, consunto in breve

tempo da mortale etisia, il 25 luglio 1888.

Durante la malattia, oltre a sostituirla nella scuola, la Mantovani

assisté la maestra con delicatissimo affetto, sino al giorno dell'addio.

La Gaioni andò in cielo, portando con sé il profumo della sua gio-

vinezza intemerata. La Mantovani restò ancora a lungo sulla terra,

giglio tra le spine, attorno al quale vennero a cercare protezione tanti

altri gigli.

Il voto di verginità

È la conclusione logica, quasi necessaria, cui perviene una giovi-

nezza pura che si orienta decisamente verso Dio. Gli esegeti dei no-

stri tempi che mettono in dubbio il proposito della Madonna di resta-

re di Dio, tutta e solo di Dio attraverso una donazione verginale, di-

mostrano, oltre tutto, di essere poco informati sulla psicologia reli-

giosa femminile.

Il proposito di essere tutta di Dio solo maturò in voto nell'anima

della Mantovani all'età di 24 anni, nel 1886. Come data della sua do-

nazione fu scelto 1'8 dicembre, per mettere il candido fiore sotto la

protezione della Regina dei vergini.

In quella circostanza venne inaugurata una nuova statua di Maria

Immacolata, che fu portata solennemente in processione dalle Figlie

di Maria, «con gioia, festa e trionfo».1 La loro direttrice era raggiante

d'incontenibile gioia. «In quel giorno teneva un colorito insolito, ro-

seo, facendo così trasparire la vera gioia paradisiaca»,2 che le vibrava

nell'anima.

1 Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 7. 2 2 Ivi, p. 8.

52

La cerimonia del voto si svolse nell'intimità della chiesa e nel si-

lenzio, ai piedi della Immacolata. Soltanto il parroco e confessore

presenziava. Compiuto l'atto di totale consacrazione, la giovane fir-

mò un documento che venne controfirmato dal Padre spirituale. Lo

scritto dice:

Alla Gloria di Dio e dell'Immacolata Vergine Maria.

Questo giorno, 8 dicembre anno corrente 1886, davanti all'imma-

gine del Santo Crocifisso e dell'Immacolata Vergine Maria, ho fatto

voto di perpetua verginità; non però nelle mani del Sommo Pontefi-

ce, ma in quelle del mio confessore che ora è anche parroco di que-

sta chiesa, cioè il M. R. don Giuseppe Nascimbeni, che era persona-

mente presente a questo mio atto irrevocabile per parte mia, non già

per parte del mio confessore.

In fede di che appongo la mia firma unitamente a quella del mio

confessore.

Mantovani Domenica

Castelletto, li 8 dicembre 1886.

In fede di quanto sopra appongo la mia firma.

Nascimbeni don Giuseppe

parroco

La colomba, ad ali spiegate, aveva preso il suo volo.

Soltanto più tardi, attraverso incertezze ed avvenimenti imprevedibi-

li, la Provvidenza le avrebbe indicato su quale ramo doveva posarsi,

per dar inizio alla sua missione materna, a gloria di Dio e per il bene

di innumerevoli anime.

Quale via scegliere?

Prima e dopo l'8 dicembre del 1886 ci furono proposte di matri-

monio.

Una ragazza così compita, piena di buon senso ed intraprendente,

doveva attirare l'attenzione dei giovani di Castelletto

53

e dei dintorni. Qualcuno fece sapere alla Mantovani le proprie inten-

zioni, ma ben presto dovette persuadersi che non c'era nulla da spera-

re. Anche per lei non mancarono quelle persone dabbene, prodighe

nel dare pareri. Alla gioventù, le quali vedono nel matrimonio la mi-

glior sistemazione della donna e la conclusione suprema di tutti gl'i-

deali.

«No, no» rispondeva secca la Mantovani, «mi go altre intenzioni,

nò vòi saoérghene»? 3

E le intenzioni della giovane erano quelle che la portarono ai piedi

dell'Immacolata, 1'8 dicembre dell'anno 1886, per votare a Dio la sua

verginità.

Da quando s'era consacrata alla Vergine Maria, la Mantovani era

diventata più silenziosa e raccolta; pregava più a lungo e con cre-

scente interiorità. La grazia lavorava incessantemente in quell'anima

ben disposta. Lo spirito si raffinava, la coscienza diventava più pura,

aumentava la fede.

Non mancarono giornate buie. Ci furono lotte interiori che si pro-

trassero per degli anni. Persistevano dubbi tormentosi sulla vocazio-

ne. Doveva prendere la via del chiostro o restare nel mondo, presso

la famiglia e la parrocchia? A casa c'era la mamma, rimasta preco-

cemente vedova e bisognosa di aiuto, di sostegno, di conforto. Nel

paese c'erano tanti bimbi da educare, ragazze da assistere e preparare

al domani, poi vecchi e malati da soccorrere e confortare. Quale via

scegliere?

Da tempo la giovane aveva acquistata la certezza che Dio la vole-

va tutta, e quel darsi generoso alla famiglia e alla parrocchia non le

bastava più. Anelava ad una donazione totale, di sé e del suo tempo,

e le pareva che nel mondo questo ideale fosse irraggiungibile. Pregò

con più fervore, si consigliò, decise. Sarebbe stata suora, in convento,

tra le canossiane.

Quando rivelò il suo proposito in famiglia, fu uno schianto per tut-

ti. La buona mamma Prudenza non poteva rassegnarsi a perdere la

sua primogenita, la creatura più cara che aveva

3 «No, no; io ho altre intenzioni: non ne voglio sentir parlare».

54

sulla terra. Andrea e Maria, quasi indispettiti a motivo della decisio-

ne presa dalla sorella, le andavano dicendo: «Tu sei senza cuore.

Vuoi andare distante ... Che ti abbiamo fatto, noi? Chi ti proibisce di

andare in chiesa, di fare quello che vuoi ... ».4 Proprio dai familiari,

anche se sono buoni cristiani, sorgono di solito opposizioni e sbarra-

menti, che vorrebbero ostacolare il passo alle vocazioni più generose.

La figliuola soffriva, pregava con più insistenza, affidava il suo

avvenire alla Madonna: la Madonna ci avrebbe pensato. Dal canto

suo era ormai matura. Se fosse stato necessario, si sentiva pronta a

soffocare tutte le voci del cuore. Sarebbe andata anche lontano, per

sempre, qualora Dio l'avesse chiamata.

Queste pene interiori della Mantovani venivano a coincidere con

altri avvenimenti, che toccavano il parroco e il paese. All'insaputa

degli uomini, la Provvidenza dirigeva ogni cosa, fortiter et suaviter,

per raggiungere i suoi intenti.

Quando la causa della giovane fu portata dai familiari davanti al

parroco don Nascimbeni, egli disse con tono autoritario: «Ti te staré

chi, perché semo boni anca noaltri a farse le suore»? 5

Il cielo si era rasserenato per tutti. La giovane Mantovani, assieme

con altre giovani, avrebbe preso il velo, ma restando nel paese natìo,

Sarebbe stata la prima pianticella d'una rigogliosa piantagione che,

con l'andar degli anni, dalla remota contrada di Castelletto di Bren-

zone verrebbe trapiantata in Italia e nel mondo.

4 Suor DIODATA PAPA, Petali, p. 97. 5 «Tu starai in paese, perché siamo capaci anche noi di farei le suore».

55

PARTE SECONDA

CONFONDATRICE

E PRIMA SUPERIORA GENERALE

(1892 – 1934)

56

57

LE MISTERIOSE VIE

DELLA PROVVIDENZA

L'idea di aprire in parrocchia una casa di religiose venne per tem-

po in mente a don Giuseppe Nascimbeni. Già dalle prime esperienze

di ministero, nelle mansioni di vicario cooperatore, si era reso conto

delle molteplici necessità del paese. Eletto parroco sul principio

dell’'anno 1885, sentì più pressanti quelle esigenze, e con il senso

della nuova responsabilità s'accrebbe in lui il desiderio di provveder-

vi.

I numerosi bambini del paese, la gioventù bisognosa d'istruzione

religiosa e di educazione morale, il decoro della casa del Signore e le

sacre funzioni, i malati, i poveri e i vecchi invocavano la presenza di

persone generose che, alle dipendenze del parroco, lo rappresentasse-

ro nei diversi ambienti. Solo così il pastore sarebbe stato presente al

suo gregge, per conoscere tutti, per guidare tutti, per porgere aiuto a

tutti.

Il problema andava affrontato con decisione e in maniera definiti-

va. A lungo andare il parroco non poteva fare affidamento sulla col-

laborazione di alcune buone giovani, quali la Mantovani, per far

fronte a tutte le necessità della parrocchia.

Esse conservavano legami e doveri verso la famiglia; e quand'anche

il parroco ne avesse potuto disporre con una certa libertà, sul più bel-

lo, esse venivano meno o per andare a marito o per ritirarsi in con-

vento e menarvi una vita di consacrazione più stabile e sicura.

Sembra che l'esempio del santo Curato d'Ars abbia Suggerito al

parroco di Castelletto l'idea di chiamare in paese alcune suore. Prima

o poi quella soluzione sarebbe emersa da sé, come la più ovvia ed ef-

ficace: l'unica che avrebbe assicurato al parroco una collaborazione

valida e permanente.

58

Ben presto, dunque, don Nascimbeni si orientò in quella direzione, e

non si dette pace fin tanto che non ebbe le suore nella parrocchia.

Egli allora era ben lontano dal pensare che, proprio da queste in-

digenze paesane e circoscritte, la Provvidenza prendeva le mosse per

condurre lui, il povero parroco d'una contrada dispersa nella campa-

gna veronese, a fondare una nuova congregazione religiosa, la quale

oggi conta 260 case con circa duemila membri. 1

È una storia che merita d'essere raccontata, perché spiega il sorge-

re di questo rigoglioso Istituto e perché, a fatti avvenuti, disvela con

sorprendente evidenza le vie misteriose che Dio segue per attuare i

suoi disegni.

1 Questi dati si riferiscono agli anni 1963 e 1964.

59

CAPO PRIMO

LA FONDAZIONE

(1892)

Prima di accompagnare il parroco di Castelletto alla porta di nu-

merosi istituti in cerca di suore, diamo uno sguardo a quanto egli ha

vicino a sé, nell'ambito della sua parrocchia. Pensiamo a quel gruppo

di ottime giovani, dal quale spunterà, come nucleo vitale, la nuova

pianta. Tra esse due si distinguono per l'esemplarità dei costumi, per

la fedeltà alla vita interiore e per lo spirito di dedizione: la Gaioni e

la Mantovani.

La pianta in embrione

Fino dal 1885 don Nascimbeni aveva posato lo sguardo su quelle

Figlie di Maria, che erano più assidue all'oratorio e si dimostravano

più sensibili ai desideri del parroco. Le organizzò quasi in congrega-

zione religiosa, componendo per esse un regolamento di vita che si

ispirava alla regola delle Figlie di S. Angela Merici o delle orsoline

viventi in famiglia.

Si accettavano aspiranti che avessero raggiunto almeno il sedicesi-

mo anno di età; a diciotto anni erano ammesse al noviziato, a ventitré

professavano. Prima del noviziato e della professione le candidate

erano sottoposte ad un rigoroso esame, perché alla «santa compagni-

a»dovevano appartenere soltanto le degne e stabili nei loro propositi.

Tutte le mattine, prima della messa, le Figlie di S. Angela dove-

vano trovarsi in chiesa, davanti all'altare della Madonna,

60

al posto loro assegnato. Recitavano ad alta voce gli atti preparatori

alla santa comunione, così pure il ringraziamento; ad ora opportuna

si teneva l'oratorio.

Le ascritte si obbligavano «a tutte quante le opere della carità spi-

rituali e corporali, all'assistenza reciproca diurna e notturna alle ma-

late, e a vestir le morte, acciocché il cador verginale non restasse

neppur materialmente offuscato».1

Per il buon nome della compagnia, dovevano astenersi dal parte-

cipare alle sagre, a meno che non avessero ottenuto un regolare per-

messo. Era poi richiesta una docilità assoluta alle proposte del parro-

co e della direttrice; le ribelli ed ostinate sarebbero state espulse

quanto prima.

«Aggiungendo novene per la Vergine, mesi di S. Giuseppe e di mag-

gio, si vede la [futura] congregazione abbozzata».2

Il primo nucleo era formato dalle seguenti giovani: Antonia Gaio-

ni, maestra del paese, che assunse la carica di direttrice; Domenica

Mantovani, vice direttrice sino alla morte della Gaioni, poi direttrice;

seguono Domenica Brighenti, sorella di don Francesco Brighenti,3

Caterina Nascimbeni, Angela ed Elisabetta Togni. In seguito altre se

ne aggiunsero, che la Mantovani attirò alla compagnia «col suo e-

sempio, con la sua dolcezza e carità, e soprattutto col suo spirito di

preghiera».4

Da questo mistico giardino, che lo zelo intraprendente di un santo

sacerdote ha piantato e coltiva con particolare cura, usciranno cinque

delle prime sei Piccole Suore della Sacra Famiglia. Prima di chiuder-

si entro le mura del chiostro, quale primizia e fondamento del nuovo

istituto, queste giovani si

1 Dal Regolamento per le Figlie di S. Angela, scritto dal servo di Dio don Giuseppe Nascimbeni. 2 GIUSEPPE TRECCA, Monsignor Giuseppe Nascimbeni, Castelletto di Brenzone (Verona), Tip.

interna dell'Istituto, 1932, p. 165. - In seguito quest'opera viene citata tra parentesi nel testo stesso, con la sigla «T.».

3 Don Francesco Brighenti, nato a Castelletto, fu maestro nelle scuole elementari del paese. Nelle

ore libere dagl'impegni scolastici, si prestava a collaborare col Nascimbeni nel ministero parrocchiale. 4 Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 4.

61

addestreranno alla vita religiosa e nelle opere di apostolato, sotto la

direzione del parroco don Nascimbeni e di Domenica Mantovani.

Senza saperlo, questi sono già il «Padre» e la «Madre» della futu-

ra congregazione.

Il primo progetto fallito

Sul principio don Nascimbeni pensava di far fronte ai bisogni del-

la parrocchia, istituendo in paese la compagnia delle Figlie di S. An-

gela. Gli pareva, questa, la soluzione più facile e desiderabile, perché

con essa egli avrebbe avuto la possibilità di formare queste figliuole

sulla sua stessa misura, per averle collaboratrici fedeli nelle opere

parrocchiali.

Il gruppo era formato sino dal 1885; bisognava assicurargli la vita.

Il parroco si consigliò con il p. Luigi Perez, superiore dei Filippini di

Verona, che nel novembre del 1886 era stato a Castelletto per un cor-

so d'esercizi ed aveva esaminato le probande. Il p. Perez si era già ri-

volto, inutilmente, alle canossiane e alle superiore delle orsoline di

Brescia e di Verona, perché aprissero una casa a Castelletto; ed ora,

sollecitato dallo scritto di don Nascimbeni, rispondeva che bisognava

«dar tempo al tempo», poiché non erano «cose da trattare per strada

ferrata». Faceva poi sapere che la superiora di Verona «consigliava

di mettere in noviziato due o più delle sue giovani o a Verona o a

Brescia, perché quivi educate potessero poi con qualche altra più an-

ziana, venire a Castelletto a fare la fondazione». «Ad ogni modo»

concludeva il p. Perez, «vostra reverenza può mandare due delle sue

figlie a Verona o a Brescia per gli esercizi spirituali; e accenni pure

alle ragioni per cui le manda a questo ritiro».5

5 Lettera del p. Perez, scritta 1'8 settembre 1887.

62

«Il piano era segnato: innestare le sei giovani a una pianta ricono-

sciuta, poi ritirarle, come margotto, in paese» (T., p. 167). Era questa

la via tracciata dalla Provvidenza; ma prima di arrivare alla meta,

passarono altri cinque anni di incertezze, di speranze e delusioni.

Poco dopo la risposta del p. Perez, il parroco si rivolse al cardinale

Luigi di Canossa, vescovo di Verona, impetrando l'autorevole media-

zione del porporato presso il vescovo di Brescia, ove risiede la casa

madre delle orsoline.

In questa mia parrocchia di S. Carlo di Castelletto sei giovani, tra le quali la si-

gnorina maestra comunale, sentendosi dal Signore chiamate a fare del bene ed una

specie di missione alle giovani del paese, avrebbero desiderio ardentissimo di fon-

dare in esso l'istituto delle orsoline secondo la regola genuina di S. Angela Merici,

sotto la direzione immediata della superiora di detta compagnia in Brescia. È per

questo che io domanderei a vostra eminenza il permesso e l'aiuto d'effettuare il più

presto possibile questo loro desiderio, interponendosi presso sua eccellenza mons.

Vescovo di Brescia a ottener tanta grazia.6

Il cardinale Luigi di Canossa passò la lettera al vescovo di Bre-

scia, che la portò a conoscenza di suor Maddalena Girelli, superiora

delle orsoline, autorizzandola ad aggregare il gruppo di Castelletto

sul Garda. La Girelli scrisse direttamente a don Nascimbeni, in data

12 dicembre 1887: Reverendo signor Arciprete: Da sua eccellenza mons. Vescovo nostro ho avuto

permesso e invito di accettare fra le Figlie di S. Angela anche sei buone giovani di

Castelletto. A me e alle compagne non resta che stender loro la mano e unirei con

fraterna carità. Saremo liete di secondare i loro santi desideri. Pregherò S. Angela a

infondere il suo spirito in questo drappello di sue figliuole. Certo non mancherà di

benedirle e di premiare chi con tanto zelo coopera al loro bene.

Don Nascimbeni rispondeva subito alla precedente, invitando la

Girelli a Castelletto, ed accludeva una lettera delle sei

6 Lettera di don Nascimbeni, 30 novembre 1887.

63

aspiranti che ringraziavano la superiora di Brescia e chiedevano d'es-

sere ammesse al noviziato, pur restando, secondo la regola delle or-

soline, nelle rispettive famiglie. Al 22 dello stesso mese la superiora

scriveva al parroco: Non so da quanto tempo esse abbiano la regola per dar loro la medaglia. Sic-

come però so che vostra reverenza va da tempo coltivando queste pianticelle elette

e parmi che tutte abbiano passati i venti anni, si potrebbe combinare o per il 27

gennaio, festa di S. Angela per Brescia, o in quei dì che vostra reverenza crederà

opportuno. Bisognerà nominare la sostituta e parmi sarà la Gaioni, che è maestra.

Da lei dipenderanno, come vuole S. Angela, da buone figliuole e con semplicità, ed

essa sarà gelosa della fedele osservanza, e dipenderà poi da vostra reverenza nei

casi dubbi. La compagnia di Brescia farà quel poco che può, se crederà mandarne

qualcuna agli Esercizi dopo Pasqua. La Gaioni e la Mantovani vennero dunque inviate a Brescia per gli

esercizi e per mettersi a contatto con la superiora. Nel frattempo don

Zeno Veronesi 7 vice rettore del collegio di Desenzano, mise a dispo-

sizione della nascente compagnia la casa che possedeva in Castellet-

to.

Tutto sembrava avviato verso una felice conclusione e il paese a-

vrebbe avuto finalmente un gruppo di orsoline interne,8 allorché la

sostituta superiora ammalò gravemente e, dopo tre mesi, morì il 25

luglio 1888. La giovane maestra stava preparando il corredo per

quando sarebbe entrata in convento. La morte troncò i suoi sogni e

quelli del parroco.

Quella giovinezza e quei sogni spenti erano il primo contributo di

dolore, che accoglieva e fecondava il germe della futura pianta.

7 Nato a Castelletto, don Zeno Veronesi trascorse la sua vita a Desenzano. Fu vice direttore del con-

vitto municipale per 32 anni, cioè sino alla morte, che lo colpiva Improvvisamente la notte tra il 6 e il 7

aprile del 1921. Il Nazareth lo chiama «principalissimo benefattore» dell'Istituto, «più che amico, fratel-lo del nostro veneratissimo mons, Fondatore»: 15 (aprile 1921) p. 4.

8 La regola di S. Angela Merici permette che alcuni membri del «gruppo» si organizzino in vita

comune, mentre gli altri vivono presso le rispettive famiglie.

64

Gli «Ziparei»

L'immatura morte della Gaioni sconvolse l'animo e i piani del par-

roco. A ridargli animo e fiducia nell'impresa concorse un fatto inatte-

so, che assicurava per il futuro l'appoggio della Provvidenza. Colla-

boratori di essa erano i coniugi Gian Battista Togni e Domenica Bri-

ghenti, soprannominati gli Ziparei. «Agiati, provetti, senza eredi vol-

lero impiegare i loro averi in opere pie» (T., p. 169). Quando seppero

delle intenzioni del parroco, decisero di lasciarsi reciprocamente i lo-

ro beni che, messi insieme, si aggiravano attorno alle trentamila lire.

Alla morte dell'ultimo coniuge, la somma doveva passare al nuovo

istituto. Tuttavia ponevano due condizioni: che l'opera avesse inizio

subito, mentr'essi erano ancora in vita, e che si occupasse dei malati

della parrocchia.

«Fu con la previsione di questo contributo, che il parroco prese

animo di chiedere a vari istituti, e con l'anticipazione di parte della

somma, che cominciò l'edificio di Casa Madre» (ivi) .

Su l'esempio del Padre, le Piccole Suore della Sacra Famiglia con-

servano perenne gratitudine verso gli Ziparei che, con la loro dona-

zione cospicua, hanno concorso alla fondazione dell'Istituto.9

Nuovo contributo di amarezze e di dolore

Le vocazioni c'erano, e promettenti. Gli Ziparei fornivano i mezzi.

Mancava una maestra diplomata da mettere a capo del gruppo. La

Mantovani era ottima sotto tutti i rapporti, ma non aveva la patente

cui tanto teneva il parroco. I fatti poi gli dettero torto e dimostrarono

ancora una volta che, per le opere

9 La signora Domenica Brighenti morì piamente il 16 maggio 1897, all'età di 85 anni. Otto mesi do-

po, il 27 gennaio del 1898, venne raggiunta dal marito che aveva compiuto gli 82 anni.

65

di Dio, i titoli di studio contano se e nella misura in cui egli intende

valersene.

Nell'autunno del 1888 don Nascimbeni si ritirò in solitudine pres-

so i suoi parenti Franceschini, a Maderno, per rimettere in sesto lo

spirito. Durante quel soggiorno, gli si presentò per consiglio una gio-

vane maestra, rimasta vedova con tre piccole creature, la quale inten-

deva abbandonare il mondo per farsi suora.

Don Nascimbeni credette d'aver trovato la persona attesa; approvò

il proposito della vedova, e le promise che l'avrebbe accettata egli

stesso, appena fosse aperta la casa nella sua parrocchia.

«Tornato raggiante a Castelletto, comunicò alle aspiranti, che a-

veva trovato la Pace: era il cognome della maestra; e mandò il dì se-

guente la Mantovani da mons. Bacilieri, vescovo coadiutore, per dir-

gli l'eureka» (T. p. 172).

Meno frettoloso del parroco, il vescovo permise l'accettazione con

la condizionale che la vedova sistemasse prima i suoi figliuoletti. Ciò

si dimostrò impossibile e si dovette concludere che, per provvedere

alla pace della signora Pace, bisognava lasciarla in pace, affinché po-

tesse attendere all'educazione dei due figli e della figlia.

«Alla delusione si aggiunse la desolazione. Mentr'egli s'affaticava

a cercare la madre della nuova famiglia, Iddio prima di concederglie-

ne la paternità, volle da lui il sacrificio della [propria] madre» (ivi).

Amadea Sartori morì all'improvviso di attacco apoplettico, assente il

figlio. Egli ne fu costernato. Il sole parve oscurarsi; soltanto la rasse-

gnazione cristiana rendeva sopportabile quel vuoto imprevisto.

La delusione subita con la maestra Pace e ancor più lo schianto

per la repentina perdita della mamma sembrano aver causato un arre-

sto, quasi uno smarrimento sul cammino che stava percorrendo don

Nascimbeni. Ma ben presto egli si riebbe, più deciso di prima.

Quel nuovo contributo di amarezze e di dolore rendeva più solide

le fondamenta su le quali, fra poco, sarebbe sorto il nuovo edificio.

66

Istanze e ripulse

Presso l'archivio della Casa Madre, a Castelletto, viene conservato

un abbondante carteggio, che va dal maggio del 1891 al marzo del

1892. Esso si svolge tra il parroco don Nascimbeni e una quindicina

di istituti femminili di vita attiva, che sono pregati di mandare alcune

suore a Castelletto per aprire una casa o addirittura un noviziato. Le

vicende di questo interessante carteggio sono narrate dettagliatamen-

te dai primi due biografi del Servo di Dio.10

Ci limiteremo pertanto a

indicare le linee generali che emergono da questa corrispondenza.

Senza dubbio il richiedente poneva delle condizioni, che ne ren-

devano oltremodo difficile l'accettazione. Esse erano le seguenti:

1) Che non fossero inviate più di due suore da principio, una delle

quali doveva essere maestra patentata;

2) Che le giovani della parrocchia venissero accettate e formate

nel prescelto istituto, poi tornassero in paese e vi restassero sino alla

morte;

3) Che le suore dipendessero in tutto dal parroco;

4) Che in seguito fosse aperta a Castelletto una casa di noviziato;

5) Che le suore pensassero al proprio sostentamento, almeno nei

primi tempi;

6) Che i soggetti fossero santissimi, superiori ad ogni elogio.

Il parroco interpellò, personalmente o per mezzo di sacerdoti suoi

amici, diversi istituti, tra i quali: le Figlie della Carità di Torino, le

Suore di Maria Bambina di Milano, le Sorelle della Misericordia di

Verona, le Suore di Maria Ausiliatrice di

10 GIUSEPPE TRECCA, Mons. Giuseppe Nascimbeni, pp. 174-190; GIULIO DALDOSS, O.F.M.,

Monsignor Giuseppe Nascimbeni e l'Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, II, Lo spirito religioso, Torino, Roma, Marietti, 1942,

pp. 69-79. - In seguito l'opera del p. Daldoss viene citata nel testo, tra parentesi, con la lettera «D.».

67

Torino, le Madri Pie di Ovada (Novi Ligure), le Terziarie Domenica-

ne di Ferrara, le Suore Mantellate di S. Piero Agliano (Pistoia), le

Benedettine di Seregno; nell'anno 1892 trattò con le Terziarie Fran-

cescane o Elisabettine di Padova e con le Figlie di S. Anna, fondate

da suor Rosa Gattorno.

Alcuni degli istituti interpellati non avevano soggetti disponibili

entro breve tempo; altri tergiversavano, mentre il parroco aveva fret-

ta; altri infine rispondevano con risolutezza che le condizioni poste

erano inaccettabili. In tal senso si esprimeva da Roma la Gattorno, il

7 marzo del 1892: «Sono oltremodo dolente di dover dare alla signo-

ria vostra reverendissima una risposta negativa, poiché le condizioni

ch'ella espone, malgrado il mio rincrescimento, non posso proprio

accettarle».

Particolare menzione merita l'Istituto della Sacra Famiglia, sorto a

Cannaiola di Trevi nella diocesi di Spoleto. Il fondatore don Pietro

Bonilli, morto santamente a 94 anni il 5 gennaio del 1935, era legato

da intima amicizia a don Giuseppe Nascimbeni. Entrambi parroci,

entrambi bisognosi di suore per sanare la parrocchia, entrambi fonda-

tori di una istituzione religiosa che prende nome dalla Sacra Fami-

glia. Lo spirito e le opere del parroco di Cannaiola rivelano singolari

affinità con lo spirito e le opere del parroco di Castelletto.11

Fallite le trattative con la Gattorno, don Nascimbeni si rivolse

all'amico di Spoleto, invitandolo a Castelletto per un triduo in onore

della Sacra Famiglia, che allora veniva solennizzata la III Domenica

dopo Pasqua. Don Bonilli venne, esaminò la vocazione di Domenica

Mantovani, si disse disposto ad accettarla a Cannaiola per il novizia-

to; finito il quale, ella avrebbe fatto ritorno a Castelletto con altre due

suore.

«Naturalmente don Nascimbeni, prima di concludere, chiese assi-

curazioni all'arcivescovo di Spoleto, il quale, non avendo ancora le

suore emesso i voti, scrisse al cardinale di

11 GIULIO DALDOSS, Mons. Giuseppe Nascimbeni, pp. 79-94. Il servo di Dio don Pietro Bonilli

verrà «beatificato» il 24 aprile 1988.

68

Verona non essere prudente affidarsi al nuovo istituto appena sorto

nel 1888» (T., p. 189).

Fu questo l'ultimo tentativo e l'ultimo fallimento. Quando ormai

sembravano esaurite tutte le risorse umane, era vicina l'alba della

nuova istituzione.

Il consiglio di mons. Bacilieri

Nel lungo carteggio cui abbiamo accennato nelle precedenti pagi-

ne, vi sono tre lettere di suor Emilia Luti, superiora delle Mantellate

di S. Piero Agliano presso Pistoia. L'ultima conclude le trattative

ch'erano in corso con il parroco di Castelletto, lamentando «con di-

spiacere» che non si sia potuto combinare nulla. «Si vede» prosegue

la lettera «che Iddio, negli imperscrutabili suoi disegni, ha destinato

altrimenti. Quando però sarà l'ora da lui stabilita tutto, io dico, si po-

trà stabilire. Un'opera santa è necessario sia combattuta, così ben si

può intendere che è opera di Dio ... Dunque coraggio e speranza».12

Le pratiche fallite e le molte delusioni non piegarono don Giusep-

pe Nascimbeni. Egli poneva tutta la sua fiducia nella Provvidenza ed

era ben certo che, se l'idea veniva da Dio, al tempo segnato Dio l'a-

vrebbe realizzata. Ciò che importava era mettersi su le vie di Dio ed

eseguirne i misteriosi disegni. Per meglio conoscerli, moltiplicò le

preghiere e fece pregare più fervorosamente le aspiranti. Poi scese a

Verona, dal vescovo coadiutore mons. Bacilieri, per informarlo sulle

trattative andate a monte e per chiedere consiglio.

«Se nissuni ve le dà» rispose decisamente il vescovo, «fèvele vu

come voli»,

La soluzione di mons. Bacilieri tagliò il nodo gordiano, che l'umil-

tà del parroco rendeva ancor più intricato. Egli infatti

12

Lettera di suor Emilia Luti, 22 dicembre 1891.

69

accampava la sua insufficienza; ma «il vescovo replicò che coltivasse

le buone giovani del paese, poi le mandasse a Verona e costerebbe

meno; educate, le ritirasse, e il convento sarebbe fatto» (T., p. 192).

Quelle parole risolute e risolutive, dette in quelle circostanze, era-

no «consiglio, ispirazione, comando» (D., p. 98). Il parroco le inter-

pretò in tal senso; «tornò deciso di fare, e senz'altro si mise all'opera»

(ivi).

Prima di mettersi su la nuova strada, don Nascimbeni volle infor-

mare il pastore della diocesi, il cardinale Luigi di Canossa, perché il

cammino fosse approvato e benedetto. Il porporato rispose:13

Non possiamo non tributare le debite lodi al suo zelo con cui ella si propone di

aprire un piccolo convento di monache, che si dedichino in vario modo al bene di

codesta parrocchia. Ma non vorremmo che ella si mettesse in una intrapresa supe-

riore alle sue forze; mentre se la prima erezione di questo istituto incontra difficol-

tà, bisogna considerare che altre e continue difficoltà sorgeranno dal dovere sta-

bilmente provvedere l'istituto stesso, e procurargli una stabile dotazione. Non dubi-

tiamo che prima di dar mano efficace all'opera, del resto assai buona, vorrà mettere

in pratica il consiglio: sede et computa ... Quanto a noi, nulla possiamo darle; che

se volessimo estenderei fuori città, ci sarebbe impossibile aiutare tanti istituti citta-

dini e bisognosi.

Il parroco computò; e poiché i conti non tornavano si rivolse «a

sacerdoti, a ricchi, ad amici» (T., p. 193), diffondendo 277 appelli in

tutta Italia. L'istanza diceva:

Il Signore che mi ispirò il pensiero di fondare nella mia parrocchia un'opera di

cristiana carità, destinata, spero, a portare preziosissimi frutti e duraturi, è anche

quello che m'incuora di fare appello ai più caritatevoli, come a necessari cooperato-

ri nell'attuazione del progetto. Consisterebbe in una pia adunanza di ottime giovani

chiamate a ritirarsi dal mondo per attendere, sotto regolamento già approvato

dall'autorità ecclesiastica di

13 Lettera del card. Luigi di Canossa, del 15 giugno 1892: in Documenta. Raccolta di documenti e

scritti che riguardano il Fondatore, la Confondatrice e l'Istituto, p. 21.

70

questa diocesi, a promuovere in parrocchia e fuori qualunque opera che riguarda il

benessere materiale e morale del povero popolo.

In particolare le opere sarebbero: istruzione anche religiosa, lavoro, assistenza

agli infermi, direzione di una cucina economica per i più bisognosi, e un piccolo

ricovero di povere orfane.

Ecco in sostanza l'opera divenuta ormai l'idea della mia vita ed alla cui attua-

zione, dopo maturo esame, dietro il consiglio di prudentissime persone e l'approva-

zione dei miei ecclesiastici superiori, io sono risoluto di dedicare tutte le mie forze.

Senonché, per le critiche circostanze delle mie condizioni economiche e la po-

vertà del mio parrocchiale beneficio, la fondazione è condizionata all'aiuto della

divina Provvidenza e al generoso concorso dei buoni.

Ora che Dio mi voglia aiutare, ho incrollabile fiducia; e così pure che non mi

mancherà la generosa cooperazione delle persone provvedute di mezzi. Tale con-

vinzione e fermissima fiducia poi non potrebbe essere maggiore per ciò che riguar-

da la sua egregia persona, a cui ho l'onore di rivolgermi con la presente, invocando

ne protezione ed aiuto ...14

L'iniziativa fruttò la somma incoraggiante di lire 6282, cui anda-

vano aggiunte lire 2555 prese a mutuo. Ma il parroco, da alcuni mesi,

s'era già messo al lavoro. «Certo dell'esito e forte di 3200 lire che gli

Ziparei anticiparono, vendendo un prato, cedendo libretti o crediti

per veder cominciata l'opera, s'era già accinto alla fabbrica, la quale

doveva servire o per la Sacra Famiglia di Spoleto o per la sua» (T., p.

194).

Il conventino

Don Nascimbeni, in verità, aveva fretta. Le speranze e le delusioni

degli ultimi mesi avevano accresciuta la sua impazienza. Già nella

primavera del 1892 presagiva che, entro l'anno, qualcosa si sarebbe

concluso. Com'era naturale, pensò anzi tutto di preparare la casa:

qualcuno l'avrebbe abitata.

Cercato invano del terreno fabbricabile, decise di costruire sul be-

neficio della parrocchia; e presi gli accordi con la curia e la fabbrice-

ria, iniziò i lavori.

14 Primo appello per la fondazione dell'Istituto: in Documenta, p. 22.

71

La gente del paese, ancora ignara delle intenzioni del parroco, si

domandava perché fossero atterrati gli olivi della prebenda parroc-

chiale. Anche il padre dell'arciprete, il signor Antonio, andava ripe-

tendo al figlio: No sté a butar zo quei olivi. Ma poi, capita la cosa,

dall'opposizione passò alla collaborazione, e «fu di Casa Madre il

primo architetto e il costruttore» (T. p. 194). Lavorò con intelligenza

e gran lena, assistito dal capomastro Battistoni. Nell'agosto, quando il

parroco diffondeva gli appelli in tutta Italia invocando aiuto per la e-

rigenda congregazione, la piccola abitazione era pressoché ultimata.

Prima che l'edificio fosse abitato, vi presero possesso la semplicità

e la povertà, tra le cui braccia sarebbero state accolte e allevate le fu-

ture inquiline. Così volle il parroco fondatore. Così esigeva il volto

della novella Congregazione che, ispirandosi alla Sacra Famiglia,

doveva avere una culla non molto dissimile dalla casetta di Nazareth.

«Eppure» scrive una delle prime suore «come torna caro ricordare

la semplicità, la ristrettezza di quella casa fatta per sole 10 suore, a-

vente un posticino per tutte anche nella piccola cappella senza pan-

che, ma pur tanto devota, con quel piccolo tabernacolo di legno, al

quale più volte con l'umile confidenza di spose amanti si batteva per

averne grazie o vi facean rinchiudere biglietti e suppliche per forti bi-

sogni, e si passavano ore di giorno e di notte».15

Le candidate a Verona

Il nido era pronto; mancavan le colombe. E il costruttore del nido,

vedendolo ancora vuoto, diceva scherzosamente al figlio: Don Bepo,

fé la gabia, ma non savì che osei mètarghe. 16

15 Il passo della suora anonima è riportato da don GIUSEPPE TRECCA, Mons. Giuseppe Nascim-

beni, p. 16. 16 «Don Giuseppe, fate la gabbia, ma non sapete quali uccelli metterei».

72

Le colombe, invece, eran vicine, desiose di rinchiudersi là dentro,

per amore: appunto perché tra quelle sacre mura come a Betlemme,

come a Nazareth - avrebbero trovato l'Amore.

Da tempo le candidate s'erano confidate il geloso segreto, e conti-

nuavano a parlarne tra di loro nelle ore di maggiore intimità. Negli

ultimi mesi seppero dal loro parroco e padre spirituale che i tempi e-

rano ormai maturi. Lo Sposo è alle porte: Venite ad nuptias! Ed esse,

con gioiosa tenerezza, stavano preparando il corredo.

«Quella ch'emèrgeva su tutte senza confronti e per età e per senno

e per ogni più eletta virtù, era Domenica Mantovani, la giovane se-

condo il cuor di Dio e del Nascimbeni, la quale era preparata a tutta

prova, e dava di sé il più sicuro affidamento. Era nei suoi trent'anni,

nella pienezza della sua vita, matura di senno e di propositi; ma d'una

semplicità d'animo, d'una pietà così viva, d'una virtù così trasparente,

d'una docilità e d'un'obbedienza così piene, d'una dedizione di sé così

intera, quale il Padre non avrebbe meglio saputo immaginare e desi-

derare» (D., p. 109).

Veniva poi Domenica Brighenti, sorella di don Francesco. Essa

«fu per qualche tempo nel collegio delle canossiane di Verona, e al

suo ritorno in famiglia riuscì sempre di molto aiuto alla Mantovani

nella sorveglianza alle ragazze. Si poteva dire perciò cresciuta nello

stesso spirito e informata allo stesso ideale» (D., p. 115).

La terza giovane che anelava darsi tutta al Signore, sotto la guida

del venerato parroco, «era l'umile e pia Caterina Nascimbeni, che

visse sempre fino allora ritirata e nascosta, intenta solamente alla ca-

sa e alla chiesa: un'anima bella, chiamata a illuminare ed edificare

con lo splendore delle sue virtù e dei suoi esempi la moltitudine di

sorelle spirituali che Dio le avrebbe presto concesse» (D., p. 115). La

Nascimbeni morì per ultima, carica di anni e di meriti, il 12 dicembre

1960.

Le prime aspiranti erano dunque tre, e tutte del paese. Un'altra

venne dal trentino; si chiamava Chiarani Augusta. Una quinta,

73

proveniente da Bassano, non poté annidarsi, perché lo zio prete ven-

ne a prelevarla quando stava per emettere i voti.

Le ultime due vocazioni erano giunte a Castelletto, chiamate dal

parroco. Egli infatti, oltre a chiedere aiuti finanziari con la circolare

del 10 luglio, aveva lanciato un appello per giovani generose che in-

tendessero consacrarsi a Dio nell'erigendo istituto. Merita d'essere ri-

cordata la vocazione a «Piccola Suora della Sacra Famiglia» di Au-

gusta Chiarani, la quale ce ne offre una splendida descrizione:

Nella festa dell'Assunzione del 1892, trovandomi a Trento, ricevei un pacco

contenente dei manoscritti dell'arciprete di Castelletto e di Domenica Mantovani.

Non conoscevo né l'uno né l'altra, ma il cuore mi die' un balzo. Essendo ormai l'ora

di cena, appena mi fu possibile, mi ritirai in camera e, chiusi per bene usci e impo-

ste, lessi, rilessi e meditai sino alle tre del mattino: era un abbozzo di regole per le

future suore.

Subito di buon mattino, senza neppure avere chiusi gli occhi, mi recai alla chie-

sa delle canossiane per la santa messa e per la comunione e insieme per confidare

alla mia maestra, madre Angelina, il mio segreto e la mia risoluzione di portarmi

prima dal p. Serafino Inama, dal quale m'erano stati inviati gli scritti, e poi a Ca-

stelletto.

Già fin da dodici anni sentii l'invito al chiostro e col consiglio di un padre cap-

puccino, mio cugino, più tardi missionario in Africa, emisi il voto di verginità. Il p.

Serafino conosceva molto bene la mia inclinazione alla vita religiosa, e quegli

scritti da lui speditimi furono per me come la stella dei Magi.

Ancora quella mattina del 16 agosto, confortata da Gesù Eucaristi-co e assicu-

rata dalla parola della maestra, alle ore sette partii dalla stazione di Trento alla vol-

ta di Arco, tutta immersa nel mio ideale. Ad evitare incontri di conoscenti, essendo

io nata in quel di Arco, presi sentieri di campagna acquosi e sconosciuti; e, sebbene

con grande difficoltà, mi recai al convento francescano della Madonna delle Gra-

zie, dove chiesi con ansia del p. Serafino, dal quale fui anche benevolmente accolta

e incoraggiata. Egli mi disse d'essere stato a Castelletto a predicare, e d'essere stato

incombenzato da quello zelante parroco di portar seco quegli scritti per farli arriva-

re tra le mani di qualche giovane inclinata alla vita religiosa. E il padre pensò di

mandarli a me, nella speranza che facessero per il caso mio.

Confermata così anche da lui nella mia risoluzione, scesi tosto a Riva, ma per

due giorni mi fu impossibile imbarcarmi sul piroscafo. Finalmente potei partire, e

arrivata al deserto paesello di Castelletto, mi recai tosto alla chiesa in mezzo a uno

stuolo di bambine che si trovavano sul porto.

74

Dopo una visita a Gesù in Sacramento e all'altare della Madonna e di S. Vin-

cenzo, chiesi a una delle bambine d'esser condotta all'arciprete, e quelle tutte in-

sieme chiamarono: - Meneghina! Meneghina!

Era la futura Generale dell'Istituto della Sacra Famiglia: una giovane dimessa

che ordinava gli arredi dell'altare, e mi ricordava all'aspetto e ai modi una Teresina

Zanetti del mio paese, morta qualche anno prima in concetto di santarella.

Ella mi condusse premurosamente all'arciprete. Con una franchezza che non

avevo mai avuto, gli dissi che volentieri avrei fatto parte del suo istituto. In poche

parole si conchiuse subito che entro un mese sarei tornata per unirmi alle altre tre.

Passò il mese, venni e mi ci trovo ancora.17

Il gruppo delle candidate, con in testa la Mantovani, era pronto.

Guidato dal parroco di Castelletto, ai primi di ottobre di quell'anno

scese a Verona, per il grande esperimento che mons. Bacilieri aveva

consigliato.

Presso le Terziarie Francescane

Quale campo di prova e di addestramento fu scelto il convento più

povero della città. Era quello delle Terziarie Francescane, posto sulla

via Antonio Pròvolo, basso e disadorno: gli fanno contrasto il «mo-

numentale convento dei Minori a S. Bernardino» e i «colossali istituti

dei sordomuti e di don Bosco» (T., p. 197).

Fu abitato fin dall'anno 1523 dalle Terziarie Francescane, che si

organizzarono colà a vita comune, sotto la direzione dei frati minori.

La gelosa fedeltà alla regola di S. Francesco, quantunque addolcita

dalle modifiche di Leone XIII e di Pio XI, custodisce ancor oggi tra

quelle mura l'osservanza e il buono spirito. «Con la clausura e la le-

vata notturna si

17 Dai Ricordi di suor Anna Chiarani, scritti il 30 maggio del 1917. Li abbiamo trascritti dall'edizio-

ne che ne ha fatto il p. GIULIO DALDOSS, Mons. Giuseppe Nascimbeni, pp. 116-118. Nel manoscritto suor Anna aggiunge, tra altre notizie: «Ricordo che la prima buona impressione avuta della reverendis-

sima Superiora Generale mai si smentì per tutto il corso di questi 25 anni».

75

osservava e si osserva la più stretta povertà evangelica, che fa di

quell'umile ed eletta comunità francescana uno dei più fiorenti cena-

coli di vita religiosa» (D., pp. 120-121).

Quivi furono accolte le giovani aspiranti, «per compiere il loro

breve ma proficuo tirocinio, e ricevere il loro battesimo religioso» (i-

vi, p. 121).

Non era conveniente sottoporle a tutto il rigore della regola fran-

cescana; e perciò vivevano segregate dalla comunità e prendevano

parte soltanto agli esercizi di pietà diurni. Ma fu bastante, dicono, per

far loro apparire comoda e sontuosa la vita a Castelletto. L'ottima su-

periora, suor Giuseppina Pellegrini, le formava alla vita religiosa con

quotidiane istruzioni; la maestra suor Elisabetta Baletti teneva lezioni

su la educazione delle bambine, e suor Chiara Vidi insegnava i lavo-

ri.

«Nelle ore libere, le cinque si preparavano la veste nuziale»

(T., p. 199).

La Regola

Mentre le figliuole venivano educate alla vita conventuale, il par-

roco non perdeva tempo. A Castelletto, con l'aiuto del padre, arreda-

va la nuova abitazione che avrebbe ospitato le suore; a Verona affi-

dava la stesura completa delle costituzioni a mons. Pio Vidi, tornato

dalla Cina, ove era stato per lungo tempo vicario apostolico dello

Chen-Si.

Un primo abbozzo delle costituzioni, secondo lo spirito del Na-

scimbeni, era il regolamento che egli stesso aveva redatto per le Fi-

glie di S. Angela. «Ma dacché fu adottata la regola francescana, si

rimise prudentemente nelle mani dei competenti per arrivare alla

compilazione d'una regola compenetrata dallo spirito francescano e

di suo pieno gradimento» (D., p. 122). Se la regola restava quella

comune a tutte le famiglie religiose appartenenti al Terz'Ordine Re-

golare di S. Francesco, le costituzioni dovevano adeguarsi allo spirito

e alle opere del nuovo istituto e dargli una fisionomia propria.

76

Il parroco aveva già pregato il suo amico domenicano p. Vincenzo

Nardelli di Roma, perché gli preparasse un sunto delle «regole delle

Terziarie», adattandole alla istituzione nuova. Il francescano mons.

Pio Vidi, coadiuvato da suor Elisabetta Baletti e dalla sorella suor

Chiara, le ritoccò e completò. Don Nascimbeni le presentò al vesco-

vo di Verona per l'approvazione, intitolandole: Regole e Costituzioni

delle Suore Terziarie Francescane della Sacra Famiglia in Castellet-

to di Verona (1893).

Esse subirono altre modifiche e adattamenti, in conformità alle

nuove leggi disciplinari. Il 10 gennaio 1903 furono di nuovo appro-

vate dal vescovo di Verona, il cardinale Bartolomeo Bacilieri, che

era succeduto al cardinale Luigi di Canossa. Sette anni dopo, sotto il

pontificato di S. Pio X, la Congregazione dei Religiosi emanava il

Decreto di lode (26 agosto 1910). Pio XI le approvò temporaneamen-

te il 3 giugno 1932, vivente ancora la confondatrice madre Maria

Mantovani; Pio XII le confermava definitivamente il 10 aprile del

1941. Portano il seguente titolo: Costituzioni della Congregazione

delle Piccole Suore della Sacra Famiglia di Castelletto di Brenzone

(Verona).

Di esse don Nascimbeni era «animatore, interprete, vindice»

(T., p. 201); madre Maria Mantovani ne fu il ritratto vivente.

Vestizione e Professione

Le cinque aspiranti, rinchiuse a Verona, avevano superato felice-

mente la prova. Il tempo fissato per il loro breve noviziato stava per

scadere. A Castelletto il nido era pronto; pronte le regole, pronta la

veste: non restava che indossarla e giurare fedeltà eterna allo Sposo.

Il 4 novembre, festa di S. Carlo Borromeo, protettore di Castellet-

to, fu scelto per lo sposalizio. A meglio disporre le candidate, «il se-

rafico p. Luigi Morando delle Stimmate, poi arcivescovo di Brindisi»

(T., p. 203) tenne un corso di esercizi

77

spirituali. Furono giornate d'intensa emozione, di gioiosa riconoscen-

za, di propositi generosi.

Un avvenimento triste parve adombrare la luminosa e dolce leti-

zia. «La vigilia, improvvisamente giunse il sacerdote, zio della gio-

vane di Bassano, e assolutamente la ricondusse a casa» (ivi). Le quat-

tro rimaste s'aggrapparono più tenacemente all'ideale e intensificaro-

no il loro fervore per supplire al vuoto che aveva lasciato la compa-

gna partita.

Finalmente giunse l'alba del grande giorno. «Biancovestite, con

nastri ai fianchi e ghirlande in capo, entrarono in chiesa accompagna-

te dalle Suore [Terziarie]. Qui attendevano, con padri francescani di

S. Bernardino, mons. Pio Vidi e il vescovo coadiutore mons. Baciliri.

Nell'angolo a sinistra in presbiterio, un prete, inginocchiato, con la

faccia tra le palme, irrorata da lagrime di gioia» (ivi) , pregava.

Il parroco di Castelletto stava per diventare «Fondatore» e «Pa-

dre». Domenica Mantovani, in ginocchio, devotamente raccolta nella

candida veste, era la primogenita tra le primogenite.

Alle 8 mons. Bacilieri iniziò il santo sacrificio, durante il quale le

postulanti si comunicarono. Terminata la messa, deposero la veste

secolare e indossarono il nuovo abito che, nel multiforme mondo del-

le religiose, doveva contraddistinguere le Piccole Suore della Sacra

Famiglia.

Con l'abito nuovo presero anche il nuovo nome di spose. Domeni-

ca Mantovani si chiamò suor Maria, Domenica Brighenti suor Tere-

sa, Caterina Nascimbeni suor Giuseppina, Augusta Chiarani suor

Anna.

Alla vestizione tenne dietro, immediatamente, la professione. Ciò

potrà recar meraviglia, poiché tra la vestizione e professione intercor-

rono, di solito, uno o due anni. «Nel caso nostro» osserva il p. Dal-

doss «come più o meno accade all'inizio d'ogni istituzione, non si po-

teva parlare di vero noviziato, non esistendo ancora l'istituto. E poi

non se ne avvertiva neppure il bisogno. La lunga attesa, che fu conti-

nua preparazione, il mese di severo tirocinio presso le suore

78

Francescane potevano essere più che sufficienti per ritenerle prepara-

te alla professione. Non manca poi quasi mai in tali casi l'opera diret-

ta del Signore a dare compimento all'opera imperfetta dell'uomo... È

proprio di tutte le anime sante il conseguire in breve tempo ciò che

per altri occorrono degli anni» (D., p. 131).

Anche in seguito, per provvedere alle necessità delle filiali, il Fon-

datore abbreviò il noviziato a molte delle aspiranti; eppure lo spirito

e le virtù delle figlie autenticavano le rare doti pedagogiche del Pa-

dre. Si era ai primordi dell'Istituto, nella fase carismatica e di grande

fervore, vivente ed operante il Fondatore. Più tardi, aumentando le

vocazioni e le opere, ci si adeguò alla sapiente legislazione della

Chiesa che, per garantirne l'efficienza e la durata, disciplina i movi-

menti religiosi, allorché dallo stato eroico iniziale entrano nell'alveo

della normalità.

Subito dopo vestite, le quattro fecero, dunque, la professione.

Suor Maria, superiora, professò davanti al vescovo mons. Bacilieri;

le altre tre, a loro volta, emisero i voti temporanei nelle mani della

loro superiora.

Con quell'atto solenne veniva ufficialmente celebrata la nascita

del nuovo Istituto. Il granello di senape scendeva nella sua zolla e

conforme alle parole augurali di mons. Pio Vidi, che tenne il discorso

di circostanza, ben presto sarebbe cresciuto e diventato grande albe-

ro.

La storia corrispose all'augurio.

Ritorno a Castelletto

Il giorno appresso, accompagnate dal Fondatore, le nuove profes-

se si recarono per tempo dal cardinale Luigi di Canossa.

Il venerato presule le accolse paternamente; volle celebrare per esse

nella cappella episcopale; le comunicò, rivolse parole d'augurio e

d'incoraggiamento, le benedisse e consegnò il primo regolamento.

79

Dall'episcopio tornarono in via Antonio Pròvolo, dalle loro madri,

maestre e benefattrici. Le ringraziarono ancora una volta. Un ultimo

abbraccio, l'ultima promessa d'un reciproco ricordo nella preghiera,

poi le quattro si misero in viaggio verso il nuovo nido.

Ravvolte nella sacra divisa, inghirlandate come novelle spose, con

una palma nella destra, attraversarono le vie di Verona, e per ferrovia

e in piroscafo giunsero a Castelletto verso le quattro pomeridiane. A

riceverle, assieme con le autorità, c'era tutto il paese che s'era riversa-

to sul porto. Quando apparvero le quattro suore, ricondotte in paese

dal parroco, un fremito di commozione pervase tutti: fu un'acclama-

zione generale. Pareva un drappello di trionfatrici che, col loro capi-

tano in testa, tornavano a casa dopo una guerra vinta.

Nell'aria festosa s'udì lo scoppio dei mortaletti; la banda suonò le

note più belle e le campane squillavano a distesa.

Molte ragazzette, vestite di bianco, tenendo un giglio in mano, anda-

rono incontro alle spose novelle. Tutte le donne di Castelletto, in

quella sera d'entusiasmo, desideravano d'esser la madre d'una delle

quattro suore; alcune giovani, che aspiravano di già al convento, si

strinsero con più affetto alloro ideale; e molti uomini, quasi senza sa-

perlo, erano presi da un'arcana tenerezza che li rendeva migliori. Pri-

ma di loro e più di tutti era commosso il santo parroco: i suoi occhi

buoni, in quella circostanza, erano più umidi e infocati.

«Anche dai paesi limitrofi» era accorsa molta gente «per assistere

a questo ingresso, che davvero non poteva essere né più espansivo,

né più dimostrativo, né più lieto, né più solenne». 18

Dal porto il popolo confluì nella chiesa parrocchiale. Il francesca-

no p. Serafino Inama, venuto dal santuario della Madonna delle Gra-

zie presso Arco a tenere un corso di missioni, rivolse alle suore l'au-

gurio e il saluto del paese.

18 Dai Ricordi di suor Anna Chiarani, una delle quattro.

80

«Dopo il Te Deum e la benedizione, si diede nell'oratorio un'acca-

demia dalle giovani, istruite dal pio curato don Giovanni Danese»

(T., p. 204).

Quindi le suore furono accompagnate alla loro dimora. «Sulla

porta d'entrata una ragazzetta, vestita di bianco, con nastro celeste ai

fianchi» (è una testimone che scrive), recitò parole affettuose e pre-

sentò su un vassoio le chiavi della casa alla superiora.19

Le quattro ne

presero possesso.

Madonna povertà le aveva precedute.

6 novembre 1892

In questo giorno venne inaugurato ufficialmente l'Istituto. Era do-

menica, e in paese si festeggiava il patrono S. Carlo Borromeo. Con i

parrocchiani al completo, erano convenuti molti sacerdoti della rivie-

ra. Le novelle suore rendevano, quell'anno, più solenne la festa del

Titolare primario e più intensa la gioia di tutti i cuori.

Alla cerimonia d'inaugurazione, il p. Inama salì sul pulpito e ri-

volse al parroco e alle suore queste memorande parole:

Vi sono giorni della vita in cui si oblia che questa terra è un esilio, giorni splen-

didi e ricchi di gioie celesti, simili a benefiche oasi fra l'arsura d'infocato deserto.

Ed oggi è uno di questi per te, reverendo Signore, poiché vedi compita l'opera

che è palpito del tuo cuore, vita della tua vita. Queste novelle spose di Cristo sono

figlie tue. Tu le iniziasti nella via del-l'amore e del sacrificio, e giustamente ti bèi

d'una nobile e santa soddisfazione ...

Mira la fronte verginale delle tue figlie, sulla quale è trasfuso un raggio di gau-

dio divino, ascolta i battiti del loro cuore, essi danno il palpito dell'amore e del sa-

crificio, che le rende pronte ad immolarsi su la pietra di qualunque altare, pur che

vi sia un tapino da consolare, un misero a cui tergere una lacrima. Oh, le vedrai sul

campo della carità slanciarsi animose e impavide, angeli di pace e conforto, a ver-

sare il balsamo della consolazione nell'animo del fratello sofferente, a sollevare

l'infelice, a ricondurre con la parola della pietà e del perdono il traviato, a instillare

nei cuori innocenti l'amore di Dio e

19 Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 29.

81

le purissime speranze del cielo, non cercando della fatica altra ricom-pensa che

Gesù e la sua croce, delizia e santa follia dei veri amanti di Dio.

Oh vergini sacre, che ora compiste le nozze con l'amor crocifisso, non v'aspet-

tate di percorrere una via seminata di fiori. No, i vostri mistici sponsali furono ce-

lebrati sul Golgota, e il vostro tal amo è il duro legno imporporato del Sangue pre-

zioso del vostro Sposo divino. Non vi sgomenti tale pensiero; chi ama Gesù, gusta

gioie ascose e celesti tra gli stenti e le pene; sua aspirazione è il patire, e un'anima

amante, quel giorno in cui non può stendersi sulla croce, lo chiama inutile e vuoto.

Simili alla colomba noetica siate apportatrici di pace al paese, dove il Signore

vi chiama a piantare la vostra tenda. Amate, amate assai; l'amore nulla teme, ed è

più forte della morte stessa. E quando allo scoglio della prova sentirete la natura

fremere e indietreggiare, correte a ritemprarvi ai piedi del santo Tabernacolo. È là

dove si formano gli eroi di Cristo. E siccome l'esempio è stimolo potente al bene,

dopo aver fissato lo sguardo sul vostro modello, il divin Nazareno, seguite gli e-

sempi del vostro degnissimo padre e pastore, e si rianimerà il vostro coraggio a

proseguire per il sentiero dell'abnegazione e del sacrificio. Il vostro nulla anziché

intimorirvi vi appresti vigore, poiché Dio si compiace adoperare i più deboli stru-

menti perché meglio apparisca la sua potenza, e non v'è nessuno al mondo di cui

non si possa servire nel compimento dei suoi disegni; non v'è bassezza ch'egli non

possa innalzare, non languore che non possa ingagliardire, non oscurità che non

possa illuminare.

E tu, zelante e degnissimo ministro del Signore, accetta il voto che le figlie del

Poverello d'Assisi ti fanno con tutta l'espansione del cuore. Possa la tua santa fon-

dazione mettere salde radici, prosperare e produrre frutti copiosi tra il gregge affi-

dato alle tue cure. Possa come l'evangelico granello di senape svilupparsi meravi-

gliosamente, e qual albero gigantesco raccogliere all'ombra dei suoi rami innume-

rabili fi-glie, che dando esempio di una vita intemerata, umile, operosa, siano di

edificazione al prossimo, di gloria al Signore, e corona immarcescibile a te lassù

nel cielo, ove regna sovrana quella carità che si eter-na con Dio (D., pp. 204-206).

Finita la cerimonia, dalla chiesa si passò in canonica per il pranzo.

In una tavola a parte sedevano le quattro suore col loro superiore.

Durante il banchetto suor Anna, la giovane venuta dal trentina, con

voce commossa chiamò «Madre» suor Maria e «Padre» l'arciprete.

Quei due nomi, «Madre» e «Padre», pronunciati per la prima volta

e in quella giornata di sante emozioni, erano oltre modo dolci al pala-

to di suor Anna, più di qualsiasi vivanda.

82

CAPO SECONDO

DALLA FONDAZIONE

AL DECRETO DÌ LODE

(1892-1910)

Il giorno stesso della inaugurazione dell'Istituto, furono assegnati

le cariche e gli uffici. La superiora, madre Maria, fu scelta, com'era

naturale, quale maestra delle future vocazioni; suor Teresa venne e-

letta vicaria, guardarobiera, portinaia; suor Giuseppina, cuoca e cam-

panellaia; suor Anna, maestra di lavoro e stiratrice.

I primi passi

Al lunedì, 7 novembre, il p. Serafino Inama eresse la Via crucis

nell'oratorio del conventino, poi le quattro religiose si misero all'ope-

ra. Da principio svolsero la loro missione a favore del paese, «apren-

do l'asilo e una scuola di lavoro, assistendo gli infermi a domicilio,

aiutando il parroco nell'istruzione religiosa e nell'oratorio e ricreato-

rio festivo, nonché nel tener ordine e pulizia in chiesa»

(T., pp. 206-207).

Madre Mantovani aveva già atteso a queste molteplici opere,

quand'era ancora in famiglia. Ora, fatta suora, vi si dedicava con più

libertà, efficacemente coadiuvata dalle tre consorelle. Quella era la

loro mansione e la loro vita.

Più tardi, con l'arrivo di nuove vocazioni, si dette vita a «un rudi-

mentale ricovero, allogando in casa della madre di suor Teresa, due

vecchie di Fiemme, una di Brenzone e un vecchio di Castelletto. Alla

morte dei due ultimi, il ricovero venne

83

presso la canonica e poi nella casa degli Ziparei quando morì il pro-

prietario. Ma allora l'assistenza si fece da suore e da novizie, che le

prime [suore] ormai emigravano nelle filiali» (T., p. 207).

Don Nascimbeni pensava altresì ai sacerdoti infermi e in riposo.

Anzi, proprio per loro aveva intenzione di fondare una casa di ritiro,

e ne parlò con il vescovo di Verona. Sulle prime pareva che qualcosa

si dovesse fare, di comune accordo con un altro sacerdote, don Baldo

di Ronco. Poi la Provvidenza chiamò il parroco di Castelletto a lavo-

rare in altri campi.

Il suo progetto «doveva esser messo ad effetto, dopo qualche an-

no, per merito di alcuni benefattori insigni, in Verona stessa con la

erezione della Casa del Clero» (D., p. 234). Quasi a premiare le sue

sante intenzioni ed il suo interessamento, le sue figlie spirituali da

decenni vi prestano amorosa assistenza. Dal canto suo don Nascim-

beni volle ospitare per due anni, dal 1893 al 1895, un venerando con-

fratello, don Carlo Consolini. Non poté fare di più.1

A Castelletto s'era contenti e orgogliosi d'avere finalmente le suo-

re. Quando comparivano in pubblico o si recavano in chiesa per le

sacre funzioni, erano ossequiate dai buoni fedeli e molti si affidavano

alle loro preghiere.

Le bambine e le giovani continuavano ad avvicinare la Mantova-

ni, con la libertà e la confidenza d'un tempo; e tuttavia, vedendola ora

avvolta nel sacro abito, provavano una certa soggezione, erano prese

da un vago senso di mistero, che incuteva devozione e rispetto. Del

resto, fin da quando la rividero in paese vestita a quel modo, gli abi-

tanti di Castelletto non la chiamavano più la Meneghina, ma «suor

Maria», «la Superiora»; poi per quarantadue anni, cioè sino alla mor-

te, ella divenne sulla bocca di tutti «madre Maria», «la Madre».

1 Ne abbiamo parlato in un'altra pubblicazione: Pio Istituto di cura «madre Fortunata Toniolo del

Santo Crocifisso», Bologna, Casa Regionale «S. Pio X», 1961. Formato 184 x 135; pp. 158.

84

Dopo il parroco, non ci fu altra autorità più grande in paese; non c'era

una persona più consultata ed ascoltata di lei; non ci fu un cuore che

desse maggior conforto del suo. Per questo madre Maria Mantovani

ha potuto fare tanto bene a Castelletto e nei dintorni, per questo fu

tanto amata.

Nel segno di madonna povertà

Sul principio la vita entro le mura del piccolo convento era disa-

giata; mancavano i mezzi. Le suore seppero far fronte, con eroico

spirito di adattamento e di distacco, alle ristrettezze di quei primi an-

ni di collaudo. Le precedeva con l'esempio il Fondatore, che si misu-

rava in tutto e spesso si privava del necessario. Il fervore della pre-

ghiera le sosteneva; il lavoro delle proprie mani, protratto sovente si-

no a tarda notte, arrotondava il tenue compenso che il paese povero

passava alle religiose.

Ma in quel clima di evangelica povertà, serenamente vissuta sotto

lo sguardo della santa Famiglia di Nazareth, la giova ne pianta met-

teva radici vigorose e diventava ognor più stabile e feconda. Le voca-

zioni allevate in quei tempi di penuria seppero poi adattarsi a tutte le

occorrenze, anche quando furono chiamate a prestar la loro opera in

paesi poveri ed in ambienti vecchi e mal ridotti.

La vita santamente povera delle Terziarie Francescane, rinchiuse a

Verona entro le mura della clausura, si riverberava nella Casa Madre

e nelle filiali delle Piccole Suore della Sacra Famiglia. La lezione ap-

presa in un mese fu sommamente efficace per un'intera generazione.

85

«Sarà come un grano di senape ... »

Il buon esempio delle prime suore fu contagioso. Al vederle tutti i

giorni così liete e fervorose, altre giovani del paese, che già vagheg-

giavano la vita del chiostro, decisero di abbandonare il mondo e di

unirsi alle quattro. Sotto lo stesso tetto, vicine all'Ospite Divino, a-

vrebbero condiviso la preghiera ed il lavoro, le gioie e le pene, a ser-

vizio di Dio e del prossimo. Le prime a bussare alla porta del con-

vento furono Angela e Maddalena Brighenti. Erano due cugine, im-

parentate per giunta con le tre suore di Castelletto. Delle prime sei

Piccole Suore della Sacra Famiglia, cinque erano cugine e crebbero

in paese. Fin da ragazze furono Figlie di Maria, poi di S. Angela Me-

rici; adesso operavano sotto le insegne della Sacra Famiglia e di S.

Francesco d'Assisi. Il parroco era il padre vigile ed il maestro incom-

parabile delle loro anime. Domenica Mantovani, senza saperlo, aveva

influito decisamente su tutte. Portate al bene per natura e per voca-

zione, esse subirono il fascino del suo comportamento, sempre pio e

riservato; ne ammiravano lo zelo instancabile con cui serviva la chie-

sa ed il paese. Dal momento che la cugina s'era fatta suora, vollero

andare con lei e seguirla nella via della immolazione.

Angela e Maddalena entrarono l'11 febbraio 1893, festa della B.

Vergine di Lourdes. Erano passati appena tre mesi dal trapianto del

pollone, da Verona a Castelletto, che già spuntavano le prime gem-

me. Angela non aveva raggiunto i vent'anni, essendo nata il 17 mag-

gio 1873; Maddalena, venuta alla luce il 18 dicembre 1874, aveva

superato da poco i diciotto. «Furono accompagnate [al convento] dal-

le loro mamme, e vennero ricevute dai venerati Fondatori, che offri-

rono loro un caffè», servito dalla Madre Generale.2

Quelle due postulanti aumentarono la gioia già intensa tra quelle

sacre mura, come quando in famiglia sopraggiunge una

2 Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 31.

86

nuova creatura ardentemente attesa. In particolare era contenta madre

Maria, che le accolse come prezioso dono, ricevuto in custodia dal

Padre Fondatore. Con solerte premura e con gran cuore «le amava, le

educava, le istruiva».' Era la primavera della sua gioconda maternità.

Poi vennero altre, poi altre ancora. Dal paese, dalla provincia ve-

ronese, da tutta l'Italia.

Il pollone s'era fatto albero, e cresceva in altezza ed allargava i

rami di mano in mano che nuove vocazioni venivano a posarsi sulla

pianta. Il Padre la coltivava intensamente; la Madre collaborava, a

suo modo, all'opera del Fondatore. Il suo lavoro era più delicato e na-

scosto. Il Padre agiva allo scoperto: tracciava programmi, impartiva

direttive, faceva richiami, infliggeva penitenze. Massimamente a ca-

pitolo la sua voce tuonava e metteva a nudo l'operato d'ogni suora. E

se c'era bisogno di potature e rimondature, egli potava senza miseri-

cordia. Se qualche ramo, dopo tutto quello che s'era fatto per lui, non

dava frutti, veniva tagliato recisamente. Perché tenerlo, secco ed in-

fecondo, sulla pianta?

Le mezze misure al Padre non andavano. Quelle giovani che non

erano risolute di mettercela tutta, particolarmente quelle che erano

disobbedienti e permalose fuor di misura, potevano risparmiarsi la

fatica di andare a Castelletto: in convento non ci sarebbero rimaste.

Madre Maria, come diremo più diffusamente altrove, coltivava la

pianta: con altri metodi. Con l'esempio, anzi tutto, e con grande cuo-

re. Anche il Padre amava le figliuole, e molto; allorché qualcuna la-

sciava il chiostro, perché ribelle e incorreggibile, si turbava profon-

damente e ne soffriva sino a piangere. L'amore della Madre, tuttavia,

era meno irruente e tempestoso; e proprio per questo la sua parola

scendeva a fondo negli animi, era più rasserenante e sempre efficace.

87

Eppure entrambi erano necessari alla coltivazione della pianta.

L'opera del Fondatore s'integrava con quella della Confondatrice, e

viceversa. E intanto l'albero cresceva.

Nel 1893 l'Istituto contava sei suore, nel 1894 undici, venti nel

1895, l'anno seguente ventitré; nel 1897 erano trent'una, quaranta-

quattro nel 1898, cinquantaquattro l'anno appresso; alla fine del 1900

salirono a sessantacinque; poi sempre di più. Di anno in anno, con un

crescendo costante, la famiglia delle Piccole Suore aumentava, con

gioioso ed umile stupore del Padre e della Madre.

Chi mai l'avrebbe pensato? Chi avrebbe osato predire al parroco di

Castelletto, quando inutilmente bussava alla porta di tanti istituti in

cerca di alcune suore per la sua parrocchia: «Tu non avrai soltanto

qualche suora in paese; tu diventerai padre d'una gloriosa e numerosa

famiglia di vergini; a te verranno molti altri sacerdoti e persino dei

vescovi, per richiedere l'opera preziosa delle tue figlie»?

Madre Fortunata Toniolo

Prima di tener dietro all'espansione dell'Istituto, che da Castelletto

si dirama nelle filiali e moltiplica le opere assistenziali in Italia e

all'estero, è necessario accennare ad un benemerito personaggio, che

di questo sviluppo è uno degli artefici più operosi. La sua vita longe-

va è strettamente legata alle vicende della Congregazione. Dopo il

Padre e la Madre, è la terza persona che emerge, con più spiccata e-

videnza, nella gloriosa storia della Congregazione.

Tutte le Piccole Suore della Sacra Famiglia intendono che noi vo-

gliamo parlare di madre Fortunata Toniolo del Santo Crocifisso.

Era entrata undecima nell'Istituto, il 10 novembre del 1894. Aveva

superato i ventisette anni, quando mise piede in Convento. Non era

troppo giovane, perché si potesse dubitare della sua assennatezza ed

esperienza; né troppo adulta, perché non riuscisse a farsi piccola alla

scuola del Fondatore e

88

apprenderne, con assoluta docilità, i paterni insegnamenti. Visse an-

cora per sessant'anni, prodigandosi incessantemente per l'Istituto che

l'aveva accolta. Affiancò l'opera dei Fondato-ri, quand'erano ancora

in vita; la continuò per altri diciotto anni, con fedeltà gelosa ed amo-

rosa, quand'essi vennero a mancare.

Veniva dalla terra padovana, ove era nata a Boccon di vò l'11 giu-

gno del 1867. Aveva un'indole forte, una volontà tenace, l'animo ret-

to e sincero a tutta prova. Ignorava i sotterfugi e le mezze misure.

Una volta che s'era data la parola, o a Dio o al prossimo, bisognava

fare di tutto per mantenerla. Ci mise un po' di tempo per piegarsi alla

volontà del suo padre e maestro, appunto perché aveva una natura

indomita ed impulsiva. Ben presto però si persuase che, in competi-

zione col Fondatore, bisognava arrendersi: o piegarsi o spezzarsi. Si

piegò con dolce condiscendenza, seppe superarsi, e ne fu contenta. Il

Padre la mise in strada, nella strada giusta ch'ella avrebbe dovuto

percorrere; l'assisté, con affetto, nei primi passi. Poi ella partì decisa,

né deviò o rallentò la corsa.

Prima di farsi religiosa, aveva esercitato la professione d'infermie-

ra presso l'ospedale civile di Padova, distinguendosi per abilità ed

impegno. Era apprezzata e ben voluta, aveva davanti a sé un avvenire

sicuro. Lasciò tutto e tutti, per assecondare l'impulso della grazia che

la invitava nel chiostro. E venne a Castelletto, quando la vita nel pic-

colo convento era assai stentata, quando ancora restavano incerte le

sorti della nuova congregazione. Ne visse tutte le vicende, nei giorni

lieti e nei momenti dolorosi, con simpatia di figlia e con passione di

madre.

Fin dai primi giorni il Fondatore s'accorse del dono che Dio gli

aveva fatto, mandandogli la Toniolo. Coltivò pianticella con partico-

lare cura. Tagliò energicamente quanto andava tagliato, insegnò co-

me si fa a produrre molti frutti, fortificò il tronco e i rami contro i

venti e le tempeste future. Come la Mantovani, anche la Toniolo si

lasciò coltivare; e pur avendo un'indole ed una missione tanto diverse

dalla Confondatrice,

89

anch'essa seppe diventare uno strumento validissimo nelle mani del

Fondatore.

Egli se ne servì fino dai primi anni. Le affidò cariche delicate e la

tenne informata su l'andamento della Congregazione; poi l'assunse

accanto a sé, testimone delle sue virtù e delle sue opere, amorosa e-

secutrice delle sue volontà.

Per molto tempo la Toniolo fu assistente, economa e vicaria gene-

rale. A nome del Padre e della Madre, girò per le filiali, di città in cit-

tà. Visitava, controllava, favoriva le opere in corso, altre ne suggeri-

va o avviava. Prudente e saggia, stimata dalle autorità che avvicina-

va, ferma nelle decisioni prese, era inflessibile quando doveva difen-

dere l'operato dei Fondatori o gl'interessi della Congregazione.

Alla morte della madre Maria Mantovani, avvenuta il 2 febbraio

del 1934, le successe nel governo dell'Istituto. Fu rieletta nell'ottobre

del 1939 per un altro sessennio, durante il quale dovette soffrire mol-

to, a motivo della seconda guerra mondiale. Sperava d'esser messa in

disparte onde prepararsi a ben morire, e invece fu rieletta Superiora

Generale per una terza volta, all'età di settantanove anni.

Durante il suo lungo governo, la Toniolo seppe conservare accesa

e valida la fiaccola che i Fondatori le avevano lasciato in eredità. Era

aperta ai nuovi problemi e seppe affrontarli con metodi nuovi; aggio-

rnata sempre, senza lasciarsi prendere la mano da modernismi insani.

Avviò molte suddite agli studi, sia nel campo infermieristico come in

quello dell'insegnamento. Aprì una scuola-convitto per infermiere re-

ligiose a Bologna; inaugurò la «Nuova Casa Gioiosa» a Castelletto

per scuole media e magistrale parificate; ricostruì, più spazioso ed e-

legante, l'Istituto «Cuore Immacolato di Maria» presso Porta Nuova

(Verona), che i bombardamenti avevano atterrato. Per le malate biso-

gnose di assistenza sanatoriale provvide la casa di cura «Sacra Fami-

glia» ad Arco di Trento. Affrontò il problema delle vocazioni, isti-

tuendo l'apostolinato presso la Casa Madre. Mandò alcune suore in

missione, prima in Abissinia e poi in Argentina, lanciando la sua

Congregazione

90

alle conquiste missionarie. Sotto la sua mano solerte ed esperta, la

pianta ch'ella aveva ereditato dal Padre e dalla Madre mise radici più

profonde, si consolidò, allargò i rami in diverse direzioni e dette frut-

ti abbondanti. I Fondatori non avrebbero potuto desiderare una erede

più degna e fedele.

Nell'ottobre del 1952 fu convocato il capitolo generale presso la

Casa Madre, e la Toniolo ottenne il meritato riposo. Si ritirò nell'in-

fermeria della Congregazione, tra le consorelle malate. Il distacco dal

mondo, il silenzio e la preghiera le comunicarono una pace nuova,

impressero al suo volto una serenità e compostezza solenne, edifican-

te. Le multiformi sofferenze degli ultimi anni purificarono la sua ani-

ma eletta. Quando sopraggiunse sorella morte, l'11 marzo 1954, la

trovò straordinariamente ricca di meriti e matura per il cielo.

La storia che riprendiamo a narrare è anche la storia di madre For-

tunata Toniolo, perché ricorda le vicende di cui ella fu spettatrice e

spesso attrice; più ancora, perché è la storia di quella famiglia spiri-

tuale, che la Toniolo amò di singolare e appassionato amore e servì

con magnanima dedizione sino all'ultimo dei suoi giorni.4

La primogenita delle filiali

Nel maggio del 1895 alcune delle sorelle, cresciute nel nido che il

padre del Fondatore aveva edificato presso la chiesa parrocchiale,

presero il volo verso la prima filiale. Le accompagnava la povertà, la

semplicità, l'umile sentire di sé, e un gran desiderio di fare del bene.

Questi, gli insegnamenti e la consegna del Padre. Erano destinate a

Tiarno Superiore, di sopra a Riva, nella provincia di Trento.

4 Per più ampie informazioni su madre Fortunata Toniolo, rimandiamo alla nostra pubblicazione già

ricordata sopra, alla nota I di questo capo.

91

L'annuncio della primogenita recò immensa gioia nella piccola

comunità di Castelletto, quasi quanto la fondazione della Madre. Don

Nascimbeni volle solennizzare, a modo suo, il grande evento; e anzi

tutto scrisse al cardinale Luigi di Canossa, perché la primogenita ve-

nisse alla luce con il consenso e la benedizione del vescovo. Il cardi-

nale rispose con una lettera d'encomio e d'incoraggiamento che meri-

ta d'essere riportata, perché testimonia autorevolmente la stima e la

benevolenza che godeva di già il novello Istituto, a Verona e altrove.

Siamo lieti delle notizie che ci dà sull'andamento di cotesto Istituto della Sacra

Famiglia, e ripetiamo i nostri voti che con la benedizione del Signore possa esso

sempre conservare quello spirito, del quale fin ora si appalesò informato, e che gli

è pegno sicuro di vita rigogliosa e di verace prosperità.

Indizio di questo felice avvenire è certamente il fatto che l'opera del medesimo

Istituto è ormai apprezzata anche in altre parrocchie, come lo prova l'unanime voto

espresso dalla popolazione di Tiarno Superiore, perché le sue suore andassero a

stabilirsi anche in quella parrocchia. Lungi quindi da noi l'apporre il veto al deside-

rato impianto in una nuova casa del suo pio Istituto in quella parrocchia, ché anzi

di gran cuore l'approviamo, ed accompagniamo con la nostra benedizione le suore

che all'uopo saranno da lei destinate. Starà poi in lei mettersi in relazione e di com-

piere le pratiche di dovere e convenienza con il reverendissimo ordinario di Trento

dal quale Tiarno dipende.

Intanto di gran cuore a lei ed a tutto cotesto suo Istituto, benediciamo.5

A Tiarno le Piccole Suore di Castelletto erano già conosciute. V'e-

rano state due di esse, nella primavera e nell'autunno del 1893, man-

datevi dal Padre a questuare. Durante il secondo soggiorno, s'imbat-

terono in un tale che aveva una gamba malata, e gliela curarono amo-

revolmente. Per riconoscenza verso le sue benefattrici, l'uomo dalla

gamba inferma ne disse bene davanti a tutti. Ricevettero doni, in de-

naro e in generi. Il sagrestano regalò delle patate, e poiché le suore

misero avanti la difficoltà del trasporto, si offrì a farlo lui stesso fino

a Riva.

5 Lettera del cardo Luigi di Canossa del 16 aprile 1895, trascritta in Documenta, p. 42.

92

Alla sera ebbero noie da parte di due gendarmi austriaci, che vollero

sapere chi erano e da dove venivano quelle suore mendicati. Né ave-

vano torto, poiché pochi giorni prima due donne, travestite da suore,

andavano in giro nei dintorni imbrogliando la gente. Una delle due

suore riuscì a farsi conoscere, ed ebbero pace; al mattino erano già in

corriera per il ritorno, che si presentarono di nuovo i due gendarmi

per fare altre domande e verifiche. Tanto bastò perché il Fondatore

decidesse di non mandare più le sue suore alla questua. La provvi-

denza venne per altre vie.

A Tiarno, dunque, le Piccole Suore eran note. E quando una ve-

dova signora, volendo ricordare le nozze della figlia, pensò di aprire

un asilo in paese, il sagrestano suggerì di chiamare a dirigerlo le suo-

re di Castelletto. A tal fine la signora mise a disposizione una casa

con orto e cortile, e intanto invitò a Tiarno don Nascimbeni per il

giorno dello sposalizio, che fu celebrato il 29 aprile 1895.

«Compiuto il rito, furono ultimate le trattative fissando l'assegna-

mento alle suore, il loro compito per i bimbi, l'istruzione religiosa, la

veglia agli ammalati, e la data d'ingresso» (T., p. 237).

Pochi giorni dopo si partiva da Castelletto alla volta di Tiarno.

Una cerimonia solenne e piena di significato precedette la partenza

delle prime suore per la prima filiale. Tutta la comunità si radunò nel

piccolo oratorio, ove la suora designata superiora della nuova casa si

prostrò a terra e congiunse le mani. Con voce autoritaria e commossa

il Fondatore lesse la formula, da lui composta alcuni giorni prima, la

quale ha il tono grave d'un comando e la solennità d'una investitura.

Con la mia autorità di tuo Superiore legittimo e Padre spirituale, in virtù di san-

ta obbedienza ti comando di abbandonare questo paese, questa casa e tutte queste

tue care sorelle, per andare in qualità di M. R. Madre Superiora nel paese di Tiarno

Superiore, per fondarvi ivi e dirigere nel nome della Sacra Famiglia una casa filiale

a questa e potere poscia con la santità e con l'ardentissimo zelo promuovere ogni

bene, sia spirituale sia temporale, di quelle povere anime che aspettano dall'opera

tua il paradiso. Nella speranza

93

che accetterai volentieri e avrai nessunissima difficoltà, t'impartisco la mia povera

benedizione.6

Al porto s'era radunato tutto Castelletto per salutare le partenti.

Partecipava anche la banda che suonava festosa, come quando giun-

sero, da Verona, le prime quattro suore. La dirigeva il signor Anto-

nio, il babbo dell'arciprete, che da quando il suo «don Bepo» era di-

ventato il fondatore dell'Istituto, si riteneva quasi il nonno di tutte le

suore e pensava d'aver diritto alla gioia di prestar loro dei servigi,

ogni qual volta se ne offriva l'occasione. La musica e la presenza dei

Fondatori, che accompagnavano a Tiarno le suore, temperarono l'ac-

corata mestizia del distacco.

Quando i viaggiatori sono in piroscafo, hanno davanti a sé tutto il

panorama di Castelletto che s'allontana lentamente. Il Baldo, gigante

maestoso, domina tutti gli altri monti. Gli presta vassallaggio perpe-

tuo l'altopiano di Prada che d'estate ospita contadini e bestiame, men-

tre più giù, in processioni disordinate, scendono gli ulivi verso la mi-

tezza del lago. Dal folto verde primaverile sporgono le case povere,

dai tetti neri, sotto i quali vivono persone conosciute e amate. Ma il

gruppo più fitto di abitazioni preme verso la chiesa parrocchiale co-

me figli attorno alla madre che invocano amore e protezione. A sini-

stra, il campanile fa da sentinella alla chiesa e veglia su l'ultima arri-

vata. È la casa delle suore, la nuova casa paterna e materna, la casa

della seconda vita. Ora i ricordi si affacciano più pressanti e più cari,

mentre nel petto sul quale brilla al sole mattutino il medaglione pro-

gramma delle Piccole Suore, il cuore batte tumultuosamente; ma alla

presenza del Fondatore la voce delle figlie partenti ammutolisce, co-

me se fosse impedita dalla commozione o trattenuta da un segreto

pudore.

Don Nascimbeni volle condurre le suore a Verona, a prendere

commiato e la benedizione dal cardinale Luigi di Canossa e dal ve-

scovo coadiutore mons. Bartolomeo Bacilieri.

6 Dall'originale, che in calce porta la data del 24 aprile 1895.

94

Quando fu davanti al coadiutore provò un sentimento improvviso di

soddisfazione, che stava a mezza via tra la compiacenza in sé (ché

anche i santi han le loro debolezze) e la gratitudine verso Dio. Tre

anni prima, da solo, il parroco aveva fatto il viaggio medesimo, da

Castelletto a Verona, per comunicare a mons. Bacilieri la melanconi-

ca notizia dei suoi ripetuti insuccessi. Allora sarebbe stato felice

d'importare alcune suore in paese; adesso era lui, e per giunta fonda-

tore e padre, che provvedeva all'esportazione.

Passando da Trento, la comitiva andò ad ossequiare il principe ve-

scovo; poi, per Mori e Riva, giunse a destinazione. Anzi tutto s'andò

in chiesa, a ricevere la benedizione del Santissimo; di qui passarono

al palazzo delle benefattrici per il pranzo, e finalmente alla casa delle

suore.

«L'impressione, l'accoglienza, il trattamento, la dimostrazione di

stima e d'affetto sorpassarono ogni aspettativa» (D., p. 416). Il Padre,

ch'era rimasto per alcuni giorni a Tiarno a sorvegliare i primi passi

della neonata, scriveva soddisfattissimo a Castelletto: «Pregate per

noi e per questa nostra nuova fondazione che promette di fare ottima

riuscita, se le continuerà l'attuale benedizione del Signore».7 Poi ri-

prese la via del ritorno, lasciando lassù per un mese la Superiora Ge-

nerale in aiuto alle suore designate. La Madre, che intanto scriveva

lettere affettuose alle figlie rimaste nel nido, pareva una rondine che

insegnava la tecnica del volo ai primi rondinini. A Castelletto la so-

stituiva suor Fortunata Toniolo. Da Tiarno continuavano a giungere

ottime notizie:

Qui tutto va a gonfie vele ... Tutto il giorno e perfino la notte vengono persone

a portare roba e denari. Si resta confusi. Non sappiamo neppure come ringraziare

il Signore. Si tocca proprio con mano che, chi si abbandona interamente nelle ma-

ni della Provvidenza, è Più ricco di colui che possiede milioni e milioni.8

7 Lettera del Padre, scritta da Tiarno il 14 maggio 1895. 8 Lettera della Madre, scritta da Tiarno, senza data.

95

Ai primi di giugno don Nascimbeni si fece vedere di nuovo a

Tiarno, portando con sé un'altra suora, per consentire alla Generale di

far ritorno alla Casa Madre. Egli ebbe altre testimonianze d'ammira-

zione e di gratitudine, ed anche offerte. Tutto questo riempiva di

grande consolazione il suo animo di fondatore novizio.

Col tempo, però, mutaron le cose. Il Padre ebbe le prime sorprese

ed amarezze. Le signore che avevano messo i piedi nella casa delle

suore a titolo di benefattrici, non avevano intenzione di ritirarli. Co-

me donna Prassede, erano larghe nel dar pareri e volevano far trion-

fare le proprie idee. Insomma, da patrone pretendevano diventar pa-

drone.

Molte cose il Padre avrebbe tollerato, ma non mai che altri, mas-

simamente se di sesso debole, comandasse in casa delle sue figlie.

Nell'agosto dello stesso anno scriveva rammaricato:

Le Signore T., arrivate fin dal primo agosto, hanno villanamente negata l'udien-

za alle nostre suore. Si può dare di peggio? Che sortirà? Non lo so; certo è che né

io né il mio Istituto vogliamo essere umilissimo schiavo di nessuno, e voglio anzi

la mia libertà di fare quel che voglio, specialmente nella destinazione delle suore.

Piuttosto che cedere, io sono nella ferma risoluzione di levare le suore da Tiarno.9

Ci volle abilità e buon volere per rimettere a sesto le cose.

Per breve tempo però, ché, strada facendo, sorsero altre difficoltà e

dispiaceri. Non ultimo quello recatogli da una suora che, nella critica

congiuntura, «si rese tanto arrendevole da ascoltare più Tiarno che

Castelletto, e con l'idea di regola più perfetta, fece secessione, e sotto

l'egida della protettrice istituì novo asilo a Bezzecca» (T., p. 241), di-

stante pochi chilometri.

La prima filiale dunque, dopo un avvìo così promettente, ebbe la

vita difficile e stentata. Quando poi le suore ammalarono per l'insalu-

brità del clima, e una di esse morì, il Fondatore decretò la morte an-

che della primogenita delle filiali.

9 Lettera del Padre, scritta da Castelletto il 5 agosto 1895.

96

Essa non aveva compiuto i dodici anni. E come accade non di ra-

do ai primogeniti, aveva recato ai Fondatori parecchie consolazioni,

molte preoccupazioni e dispiaceri. Più dispiaceri che consolazioni.

La secondogenita

L'arrivo di nuove vocazioni alla Casa Madre determina l'apertura

di nuove case. Il moltiplicarsi delle figlie aumenta le filiali. Ed au-

mentano anche le iniziative e le opere; come pure crescono, per i

Fondatori, i problemi e le preoccupazioni, le gioie e le pene. Intanto

il bene si diffonde, da Castelletto ad altri paesi, con quella paziente e

perseverante tenacia che caratterizza le opere di Dio.

Dopo Tiarno le Piccole Suore si diressero a Gargnano, di fronte a

Castelletto, sulla riviera bresciana. La filiale di Gargnano doveva ve-

nire alla luce prima e vantare l'onore della primogenitura, poiché era-

no già avviate le trattative fin dal 1893. Invece venne aperta dopo la

sorella trentina ed ebbe vita brevissima, perché le mancava il neces-

sario per poter vivere.

Castelletto era povero, ancor più povero Gargnano. Povertà con-

giunta a povertà, poteva sembrare un argomento validissimo per

strappare alla Provvidenza il miracolo. Ma don Nascimbeni, che alla

fede entusiasta accoppiava la saggezza dei santi, questi miracoli non

li pretendeva. Non voleva tentare il Signore.10

Insomma, a narrarla in

breve, a Gargnano le cose andarono a questo modo.

Le prime pratiche furono aperte dall'arciprete di quel paese nel

giugno del 1893. Egli venne a Castelletto a domandar

10 Nel poscritto alla lettera del 18 aprile 1893, che il Padre inviava da Brescia alla Confondatrice,

scrive: «Quanto all'accettare quella donnetta, andiamo adagio, molto adagio. Mi pare che speri con mol-

ta facilità. Abbiamo messe troppe pentole a bollire ... Non mi pare tempo opportuno per accettarla. Ba-

sta, fermiamoci e facciamo punto fermo per ora, per non tentare la Provvidenza».

97

suore, soprattutto per l'assistenza alle ragazze. Ripartì «soddisfattis-

simo» e «tutto pareva combinato», quando «il diavolo» ci volle

«mettere, come sempre, le corna». Così scriveva il Fondatore novello

alle suore che questuavano nel trentino. A Gargnano volevano una

maestra patentata: come appunto, a suo tempo, don Nascimbeni pre-

tendeva per la sua parrocchia. Ma la nuova Congregazione, sbocciata

da pochi mesi, non ne aveva neppure per Castelletto.

Trascorsi tre anni, il parroco di Gargnano si fece vedere di nuovo

e «persuase il Padre a mandar [le suore] perché si unissero colà a una

buona maestra che nel frattempo aveva aperta una scuola di lavoro e

avrebbe dato alloggio e vitto; poi il buon esito procurerebbe contri-

buzioni dal paese per rendere stabile la filiale» (T., p. 242). Si partiva

dunque da una situazione malcerta per giungere poi alla sistemazione

certa e definitiva, attraverso gl'incerti che sarebbero sorti per strada.

La conclusione era ottimista e più ampia delle premesse. Il 22 marzo

1896, guidate dal Padre e dalla Madre, tre suore salparono per Gar-

gnano.

Da principio sembrava che le cose s'avviassero bene, conforme ai

conti fatti in antecedenza. Quando però venne il Padre a controllare il

bilancio, i conti non tornavano, ed egli disse con franchezza all'arci-

prete: «Per le oche, andiamo male; 60 lire di debito e tutto sull'incer-

tezza! Se alcuno non si interessa almeno per il vitto, io agli esercizi

devo trattenerle». E le trattenne.

I parrocchiani di Gargnano furono dolentissimi per la perdita delle

suore, in particolar modo le ragazze. Lo attesta anche il Padre quando

scrive il 3 novembre dello stesso anno: «Da Gargnano continuano le

consolanti notizie per riguardo del rincrescimento che si sente ancora

da quelle ragazze per la partenza delle nostre suore».

Il profumo dei fiori preziosi continua ad aromatizzare l'ambiente,

ancorché ne siano rimossi. Quello lasciato dietro di sé a Gargnano

era il profumo di Casa Madre.

98

La terzogenita

Più solida e più fortunata delle due sorelle maggiori è la terza fi-

liale tuttora vivente. E se non può gareggiare con tutte le sorelle ve-

nute dopo, delle quali alcune - come a Trento, a Verona, a Bologna, a

Padova - sono veramente splendide, molte ne lascia dietro di sé per

floridezza e per meriti. Ci basta narrarne la nascita fortunosa e i primi

passi, ché a volerne descrivere la lunga vita e le opere occorrerebbe

un libro.

Stiamo parlando di Arcole, reso celebre dalla battaglia di Napole-

one e che oggi si disputano la provincia civile di Verona e la diocesi

di Vicenza.

Nella primavera del 1896 don Nascimbeni era salito al santuario

mariano di Monte Berico, portando con sé le prime suore. Era questa

una ricreazione spirituale, alla quale il parroco di Castelletto rimase

affezionato finché si mantenne in forze. Quando poi le forze gli ven-

nero meno, si faceva spingere in carrozzella davanti alla Grotta della

Madonna di Lourdes, ch'egli aveva fatto costruire nel giardino della

Casa Madre; e lì, ai piedi della Bianca Signora, sostava a lungo e con

devoto ricordo rifaceva gl'itinerari mariani di un tempo. Anche quan-

do andava in giro per le filiali, il Padre non mancava di fare qualche

deviazione ai vicini santuari. Andava dalla Madonna a raccomandar-

le - con un fervore più intenso del consueto - se stesso, le figlie, e le

opere dell'Istituto. Quando se ne offriva l'occasione e a premio della

loro generosità, il Fondatore prendeva con sé le suore, desideroso che

pur esse partecipassero alla gioia e alla grazia di quei devoti pellegri-

naggi. D'altra parte, perché privarle di quella consolazione spirituale,

dal momento che, dopo essersi intrattenute con la Madonna nelle sue

residenze d'onore, le figlie tornavano a casa più liete, più fervorose e

laboriose?

Quando dunque i pii pellegrini di Monte Berico furono sul treno

per il ritorno, s'imbatterono in don Luigi Rossi, dotto e zelante arci-

prete di Arcole. Costui aveva in animo di chiamare le suore nella sua

parrocchia, per l'assistenza ai bambini e alle

99

giovani. La presenza delle suore nello stesso scompartimento gli ri-

cordò i bisogni di Arcole; la divisa nuova che le viaggiatrici indossa-

vano gli prestò lo spunto per avviare il discorso con il confratello di

Castelletto.

«Saprebbe dirmi a che congregazione appartengono le suore lì

avanti?»

«Mah! hanno un vestito diverso dalle congregazioni conosciute».

«Scusi; pensavo che lei dovesse conoscerle, perché pareami fosse-

ro salite con lei».

Per don Nascimbeni il dialogo doveva finirli, lasciando nell'inco-

gnito l'appartenenza delle suore dalla nuova divisa, ma l'altro inten-

deva proseguire, e cominciò a celebrare le benemerenze delle suore

che prestano servizio nelle parrocchie. Il panegirico anticipato rive-

lava l'urgenza del bisogno e prediceva il futuro.

Il sincero interessamento e lo zelo di don Luigi Rossi indussero il

Nascimbeni a dichiararsi il fondatore di quelle suore e a decidere l'a-

pertura di una filiale ad Arcole.

Ci venne infatti con due suore e la Madre Generale, il 14 aprile di

quell'anno, dopo un viaggio fortunoso. Sul lago i viaggiatori furono

assaliti da una furiosa tempesta e soffrirono il mal di mare; a terra

vennero sorpresi dall'acqua e dalla gradine; a Verona passarono una

notte scomoda e quasi insonne. La trionfale accoglienza ch'ebbero

nel paese di destinazione fece dimenticare i disagi dell'andata.

Anche ad Arcole, come a Tiarno e a Gargnano, gl'inizi furono in-

certi e difficili. L'indigenza sofferta nei primi anni a Castelletto, qua-

si per irresistibile simpatia, collaudò le prime filiali.

Le suore alloggiarono alla meglio in canonica, in attesa che fosse

pronta la loro abitazione. Pertanto si misero al lavoro, attirandosi la

benevolenza e le offerte del paese. Alcune persone facoltose e rino-

mate concorsero con largizioni cospicue, mentre il farmacista passa-

va gratuitamente i medicinali.

100

«In breve la casa, povera come di solito allora, fu ultimata e i sa-

crifici e lo zelo dell'arciprete, i risparmi, gli aiuti fecero crescere l'i-

stituzione da asilo a ricovero, orfanotrofio, calzificio, scuola di lavo-

ro» (T., p. 245).

Da quell'aprile del 1896 ai nostri giorni, decine e decine di Piccole

Suore della Sacra Famiglia si sono susseguite ad Arcole, prodigando-

si nelle multiformi attività. Ed è motivo di edificazione e di gioia

pensare al gran bene che hanno operato nel paese e nei dintorni, per-

ché quasi tutti, dai bambini dell'asilo e orfanotrofio ai vecchi del ri-

covero, hanno goduto della benefica presenza delle suore.

Tutto questo bene ha avuto origine da quel lontano pellegrinaggio

al santuario della Madonna di Monte Berico e dall'incontro provvi-

denziale di due santi sacerdoti

Le altre sorelle

Abbiamo accennato alle origini e alle vicende delle prime tre filia-

li. Una è sorta nella provincia di Trento, l'altra in quella di Brescia, la

terza nella diocesi di Vicenza.

Di comune hanno gl'inizi umili ed incerti, contrassegnati col cri-

sma di madonna povertà. Rispecchiano i tempi d'oro della Congrega-

zione, quando la semplicità e lo spirito di sacrificio delle prime suore

impressero un sigillo indelebile all'Istituto. Non che quello spirito di

modestia e d'adattamento sia venuto meno dopo, allorché le nuove

iniziative ed i tempi mutati richiesero un sano aggiornamento nella

tecnica del lavoro. Tuttavia, pur adattandosi alle esigenze nuove, le

Piccole Suore ripensano con nostalgia ai tempi eroici in cui vissero le

sorelle maggiori, quando la carenza dei mezzi umani rendeva più vir-

tuosa la vita e più edificante l'esempio.

A compensare le strettezze dei primi anni c'era la presenza del

Fondatore, che animava le figlie con la sua fede gagliarda e con il

suo instancabile zelo. C'era la Confondatrice, che precedeva tutte nel-

la fedeltà all'ideale, che ammaestrava le inesperte ed addolciva le a-

sprezze coi suoi modi materni.

101

Le prime filiali, inoltre, vennero aperte in parrocchie di campagna.

Fin da principio le Piccole Suore della Sacra Famiglia furono impe-

gnate nell'educazione dei bambini poveri e rozzi, nell'assistenza alle

ragazze di casa od operaie, bisognose d'apprendere un lavoro onesto

per affrontare con onestà la vita. Per quanto la disponibilità del tem-

po lo consentiva, le suore curavano anche i malati e i vecchi del pae-

se, visitandoli spesso e prestando assistenza a domicilio. Bimbi, gio-

ventù, infermi e vecchi, e per lo più gente povera del popolo: erano

queste le categorie di persone più vicine al cuore di don Nascimbeni

e per le quali volle le suore nella sua parrocchia. Anche la madre Ma-

ria Mantovani prediligeva i bambini, assisteva le giovani, visitava .i

malati e i vecchi di Castelletto. Poi vennero le figlie e le filiali; ma

ovunque le Piccole Suore assistevano ed assistono, di preferenza, i

bambini e le ragazze, curano i malati e i vecchi. È questo il fine spe-

cifico della vigorosa Congregazione, la quale appunto si propone:

a) L'educazione e istruzione cristiana della gioventù femminile, specialmente

delle figlie dell'operaio.

b) L'assistenza degli informi, sia negli ospedali, sia nelle case private, sopra tut-

to in caso di epidemia, e qualsiasi altra assistenza in casi urgenti, per opere di cari-

tà. c) L'opera delle Missioni.11

L'attività missionaria, che tanto stava a cuore ai Fondatori, è co-

minciata più tardi, nell'anno 1940, quando reggeva la Congregazione

madre Fortunata Toniolo. Però anche nelle filiali, aperte in Abissinia

prima e poi nell' Argentina, le suore prestano la loro opera a favore

dei bimbi, delle ragazze, dei vecchi e dei malati.

Nell'azione generosa delle figlie, sparse nelle 260 filiali, la carità

del servo di Dio mons. Giuseppe Nascimbeni e della madre Maria

Mantovani sopravvive ancor oggi, oltre il tempo e lo spazio. È la sto-

ria del granello di senape, del quale

11 Costituzioni, parte I, c. l, n. 2.

102

parlarono il cardinale Luigi di Canossa, mons. Pio Vidi e P. serafino

Inama, quando assistettero alla nascita dell’Istituto. Il Piccolo seme

s’e fatto pianta rigoglioso che oggi, attraverso le figliare, si espande

in tutta Italia e all’estero.

Accanto ai rami tuttora in vigore, altri erano spuntati e dettero

frutti per un po’ di tempo, come le prime case di Tiarno e di Gargna-

no. Ebbero la vita più. Ebbero la vita più o meno lunga, più o meno

stentata; e al tempo giusto furono tolti dall’albero, onde permette alla

linfa di correre in altre parti, ove urgeva il bisogno o più abbondante

era la fruttificazione.

Mutano i tempi, e coi tempi mutano le persone e le istituzioni.

Mancanza quasi assoluta di mezzi o impossibilità di attendere alle

pratiche religiose (ché pure nella suora di vita attiva non può avere

malta trascurando Maria)affrettarono il declino. Le due guerre mon-

diali, inoltre, hanno provocato la chiusura di numerose filiali; le suo-

re tornate alla Casa Madre furono inviate a rinvigorire le attività delle

case esistente o ad aprirne altre.

Asili, orfanotrofio, collegi e scuole parificate, ospedale, case di

cura, ricoveri,… sarebbe vano lo sforzo di chi presumesse descrivere

tutto il bene operato in questi luoghi benedetti prima di tutto perché

le Piccole Suore, ad imitazione dei Fondatori e delle sorelle della

prima generazione, il bene preferiscono farlo, anzi che documentarlo

sulle riviste e sui libri, e se oggi intendono riesumare e fissare sulla

carta quei tempi eroici, lo fanno a scopo di edificazione, quale ecci-

tamento a ben operare, valido per sé e per le consorelle future. Che in

oltre riuscirebbe ad elencare il bene che diffondono attorno a sé cen-

tinaia e centinaia di religiose, quando curano nei bambini la vita in

fiore, quando assistono le giovani che affrontano i problemi della vi-

ta, quando leniscono con la loro presenza le sofferenze dei ammalati,

quando la loro letizia interiore e la costante amorevolezza rende ai

vecchi più serena l’attesa della morte?

Certo, come in tutte le imprese umane anche le più generose, non

mancate debolezze e cedimenti. Le vicende

103

delle filiale riproducono, in parte, la vita delle figlie. Ci furono di

quelle che, dopo aver posto mano all’aratro con entusiasmo si volta-

rono indietro; dopo aver immolato su l’altare la propria esistenza, a

servizio di Dio e del prossimo, l’offerta e tornarono alla vita facile. A

fianco del soldati valorosi che si battono gagliardamente sino alla fi-

ne, non mancano mai i disertori e i vinti, che vengono meno per e-

saurimento e forse perché non hanno temuto abbastanza il nemico.

Parlando delle glorie d’una famiglia religiosa, vogliamo ricordare

anche questo aspetto triste, anche non deve recar meraviglia. D’altra

parte, la defezione di poche, che lasciano il convento, rende più lumi-

nosa la generosità delle molte che restano fedeli all’ideale.

Rinnovata approvazione delle Costituzione

Il secondo decennio dell’Istituto si apre con l’approvazione defini-

tiva delle costituzioni da parte della curia di Verona.

Al Cardinale Luigi di Canossa era succeduto, a reggere la diocesi,

il cardinale Bartolomeo Bacilieri. Fin da quando era vescovo coadiu-

tore, il Bacilieri era stato il confidente e il consigliere di Don Na-

scimbeni ed aveva assistito con simpatia alla nascita della congrega-

zione. Anche in seguito si interessò delle Piccole Suore della Sacra

Famiglia, e quando alcuni sacerdoti troppo zelanti riferirono a Vero-

na notizie non vere o comunque esagerate a carico del Fondatore,

mons. Bacilieri lo difese, appunto perché conosceva a fondo lo zelo e

la rettitudine del parroco di Castelletto.

La diffusione dell'Istituto in altre diocesi e il moltiplicarsi delle at-

tività rendevano opportuna la revisione delle Costituzioni: compito

che spettava di diritto alla curia di Verona. Il cardinale Bacilieri chie-

se informazioni presso gli ordinari delle diocesi, in cui le Piccole

Suore tenevano filiali. Suggerì alcune modifiche, altre erano state

chieste dal Fondatore. E quando le Costituzioni ritoccate erano pron-

te, le trasmise a Castelletto,

104

accompagnandole con il seguente scritto compiacente ed augurale:12

Nell'atto di trasmetterle le Costituzioni di codesto Istituto da lei fondato delle

«Piccole Suore della Sacra Famiglia», abbiamo la consolazione di poterle dire che,

dopo averne preso accurato esame, ben volentieri le approviamo. Vogliamo insie-

me rallegrarci con lei per la inaspettata espansione conceduta dal Signore al novel-

lo Istituto in questi primi anni di prova, e per il buono spirito di cui si mostrano in-

formate le suore, come apparisce dalle onorifiche testimoniali loro rilasciate dai

molti reverendi parroci nella giurisdizione dei quali si sono finora stabilite.

Faccia Iddio con la sua grazia che quest'opera, come il grano di senape dell'E-

vangelo, cresca e si sviluppi sempre meglio. alla maggiore sua gloria, ad onore del-

la Sacra Famiglia e al benessere materiale e morale delle nostre popolazioni.

L'Istituto contava centocinque suore; dieci erano morte. Aveva

aperto una ventina di filiali, distribuite nelle seguenti diocesi: Bre-

scia, Mantova, Milano, Trento, Verona, Vicenza.

Il Decreto di lode

Avuta l'approvazione dalla curia veronese, si pensò a Roma per

ottenere quella pontificia. Il Fondatore pregò e fece pregare a lungo

le suore onde conseguire l'alto riconoscimento, che avrebbe conferito

stabilità e prestigio all'Istituto.

Le pratiche si protrassero per alcuni anni, durante i quali le com-

petenti autorità seguirono da vicino gli sviluppi e lo spirito della no-

vella Congregazione. L'aumento continuo delle suore e delle filiali,

ed ancor più le buone informazioni fornite dagli ordinari interpellati,

indussero la Congregazione dei Religiosi a concedere il Decreto di

lode il 26 agosto del 1910. Il giorno seguente, la decisione dei mem-

bri consultori fu confermata dal papa S. Pio X; e il 7 settembre, vigi-

lia della Natività di Maria, venne stilato il venerato documento e

spedito a Verona. In esso

12 Lettera del card Bacilieri del l° gennaio 1903, trascritta in Documenta, p. 44.

105

si rileva con compiacimento la rapida espansione dell'Istituto che, in

meno di vent'anni, conta 64 case e 320 membri.

Il fausto avvenimento allietò tutta la Congregazione. La Superiora

Generale, madre Maria, ne era stata informata prima ancora che

giungesse il decreto e subito scrisse a tutte le suore una circolare, che

comincia cosi:13

Carissime nella Sacra Famiglia: Alleluia, Alleluia, Alleluia!

Evangelizo vobis gaudium magnum. Vi do una consolante notizia.

Esultiamo, che i nostri voti finalmente sono adempiuti. Ieri, festa

dell'Immacolato Cuore di Maria, ci giunse da Roma la lieta notizia

dell'Approvazione.

L'autorevole riconoscimento da parte della Chiesa sospinge le

suore verso l'ideale, mediante l'osservanza fedele dei santi voti e del-

la Regola:

Ora la Chiesa ci considera una sua gemma, una sua gloria, e ci

annovera nella schiera numerosa di tanti altri santi istituti. Essa a-

spetta da noi il massimo bene in mezzo alla società; ma perché non

abbia a rimanere delusa nelle sue speranze, dobbiamo tener di mira

lo scopo principale del nostro Istituto ch 'è quello della santificazio-

ne propria per mezzo dei santi voti di povertà, castità, obbedienza ...

Amiamo dunque, stimiamo, osserviamo scrupolosamente la nostra

Regola, e teniamola come sacro deposito.

All'impegno di fedeltà alle regole approvate, si associa la gratitu-

dine verso il Padre della Congregazione e il proposito di seguirne

gl'insegnamenti:

A chi dobbiamo questa nostra felicità? A colui che diede alla

Chiesa quest'opera santa, al nostro amatissimo e veneratissimo Pa-

dre. Congratuliamoci con lui, che l'opera sua ha trovato grazia da-

vanti a Dio e alla Chiesa,

13 La circolare non porta la data; dal testo s'arguisce che fu scritta il 28 agosto.

106

e da qui in avanti teniamo come oracolo ogni sua parola, ogni con-

siglio, ogni comando che esce dalla sua bocca. Apprezziamo le sue

correzioni, le ammonizioni, i rimproveri, i castighi, perché lui è de-

stinato dalla Provvidenza a lavorare, raddrizzare, fortificare, perfe-

zionare l'opera da lui fondata e da Dio voluta per l'opportunità dei

tempi.

In particolar modo dovevano esser rese grazie a Dio, datore d'ogni

bene, e pertanto la Madre continua:

Non potete immaginare come esultassero ieri sera i nostri cuori.

Abbiamo dato sfogo alla nostra immensa felicità con rallegramenti

improvvisati, abbiamo esposto il SS. Sacramento e cantato solenne-

mente il Te Deum. Così voi pure rallegratevi e di cuore ringraziate il

Signore.

Poiché la Congregazione aveva pregato con tanta insistenza per

ottenere il riconoscimento pontificio, era doveroso adesso rendere

grazie insieme e in maniera solenne. Con tali intenzioni la Superiora

dispone che, nella cappella della Casa Madre, resti esposto il Santis-

simo per 36 ore consecutive, dalle 6 del 15 settembre alle 18 del 16.

Anche le sorelle, che si trovano nella filiali, debbono unirsi a questo

coro di lode e di ringraziamento, impegnandosi ciascuna a passare tre

ore in preghiera davanti al santo Tabernacolo.

Poi la Madre conclude lo scritto col grido d'esultanza con cui l'a-

veva iniziato, rinnovando l'incitamento ad una vita santa:

Alleluia, Alleluia, Alleluia! Con la santità della vita rendiamoci

dunque degne della grazia preziosissima ottenuta, e raddoppiamo lo

zelo, l'energia, il vigore, per glorificare la Sacra Famiglia e per con-

correre con tutte le nostre forze alla salvezza delle anime, alla pro-

sperità e alla santificazione del nostro Istituto.

I festeggiamenti esteriori furono rimandati alla prima decade di

novembre, quando a Castelletto si sarebbe commemorato il 111 cen-

tenario della canonizzazione di S. Carlo

107

Borromeo, patrono primario del paese. Essi durarono tre giorni, con

larga partecipazione del clero e di fedeli. A rendere più solenni le

funzioni intervenne mons. Adamo Borghini, vescovo ausiliare di Fer-

rara.

L'ultimo giorno fu dedicato a commemorare l'approvazione ponti-

ficia delle Costituzioni. Dalle case filiali, in rappresentanza di tutte le

suore, erano convenute a Castelletto le superiore. Il vescovo ospite

tenne un solenne pontificale nella cappella dell'Istituto. Poi discorsi,

canti, preghiere; rallegramenti rivolti al Fondatore e alla Confonda-

trice, gioia su tutti i volti, e propositi di rinnovata fedeltà all'ideale.14

14 Questa condivisa esultanza viene documentata dalla rivista dell'Istituto, il Nazareth, nei numeri

di ottobre, novembre e dicembre dell'anno 1910

108

CAPO TERZO

L'ISTITUTO DAL 1910 AL 1914

A colmare la gioia per l'ottenuto Decreto di lode, pochi mesi dopo

i Fondatori furono ricevuti in privata udienza dal Romano Pontefice.

Il colloquio si protrasse per venti minuti, e fu cordialissimo. Il Santo

Padre chiese informazioni su l'Istituto, e volle sapere il numero delle

suore e delle filiali e quali attività svolgevano; esortò, quindi, a lavo-

rare alacremente a gloria della Sacra Famiglia e per la salvezza delle

anime.

Il compiacimento del papa S. Pio X

Prima di accomiatarli, il papa strinse affettuosamente la mano al

Fondatore, concedendogli la facoltà d'impartire la benedizione papale

ai fedeli di Castelletto e a tutte le suore della Congregazione; poi be-

nedisse lui e la Madre Generale, e intese benedire anche tutti i mem-

bri e le opere dell'Istituto. Riferendo il fatto, che viene definito «la

più cara, la più consolante, la più preziosa delle notizie», il Nazareth

cosi commenta:

Quali sentimenti di profonda venerazione, di vivissimo affetto, d'intensa grati-

tudine, d'immensa gioia provassero in quei venti minuti i nostri reverendissimi Su-

periori, solo Gesù benedetto poté comprenderli interamente... Furono istanti tanto

dolci e commoventi che a parole non si possono esprimere. Essere ai piedi del Vi-

cario di Cristo!... Parlare con Lui... sentire quella voce dolcissima che scuote tutte

le fibre dell'animo... essere da Lui benedetti... Quale felicità! quale grazia straordi-

naria!... Possiamo dire con tutta verità che in quei venti indimenticabili minuti, che

resteranno

109

indelebili nei nostri cuori e nella storia dell'Istituto, i nostri amatissimi Superiori si

scordarono di essere in terra e pregustavano le dolcezze del paradiso.1

Né sono parole vuote o esagerate, queste. Per chi ha fede, e i ve-

nerati Fondatori - dicono - ne avevano tanta, avvicinare il papa è av-

vicinare, quasi sensibilmente, Dio. D'altra parte, era la prima volta

che il Padre e la Madre della Congregazione s'inginocchiavano da-

vanti al Padre comune e affidavano, a lui e ai successori di lui, tutte

le figlie presenti e future.

Quel primo incontro avvenne sotto gli auspici della Madonna.

S'era difatti in maggio, nel giorno 24 del mese, festa di Maria Au-

siliatrice.

Il Padre è nominato «Protonotario Apostolico»

Prima che si chiudesse l'anno 1911 giunse da Roma un augusto

documento del santo Padre, che conferiva «al diletto Figlio Giuseppe

Nascimbeni» la dignità di Protonotario Apostolico? 2

L'onorificenza fu sollecitata dalla curia di Verona, in particolare

dal cardinale Bartolomeo Bacilieri, a giusto riconoscimento delle be-

nemerenze che s'era acquistato il Parroco e il Fondatore.

A tale nomina plaudirono i confratelli della diocesi, esultarono i

buoni parrocchiani di Castelletto, in particolar modo ne fu lieta la

Congregazione. Nell'opera del Padre venivano riconosciute e lodate

anche le figlie. Infatti la motivazione più valida per il conferimento

del titolo, proveniva dall'aver egli «fondato a bene e a vantaggio del-

la Chiesa, non badando a cure e spese, la pia ed utile Congregazione

delle Piccole Suore della Sacra Famiglia».

1.Nazareth, 6 (giugno 1911) p. l. 2.Il biglietto della Segreteria di Stato, col quale don Giuseppe Nascimbeni, parroco di Castelletto sul

Garda, viene elevato alla dignità di «Protonotario Apostolico», porta la data del 15 dicembre 1911: cf. Acta Apostolicae Sedis, 4 (1912) 134.

110

Dopo il Decreto di lode, dopo la privata udienza concessa ai Fon-

datori da S. Pio X, era questo il terzo riconoscimento pontificio che

veniva alla distanza di pochi mesi. Il Fondatore e l'Istituto non pote-

vano desiderare un collaudo più paterno ed autorevole.

E poiché il titolo avrebbe contribuito alla gloria della Sacra Fami-

glia e a vantaggio della Congregazione, il Padre si sottopose all'imba-

razzo che gli procuravano gli onori. Accettò dunque e ringraziò il

cardinale Bacilieri, pur dichiarandosi, nella lettera inviata, «umiliato

nel fango delle mie molte e grandi miserie».

Accettò il titolo e accettò la festa, che venne celebrata con grande

solennità il 3 marzo del 1912. Ma non tollerava che le sue figlie, in

base al titolo, lo chiamassero Monsignore. «Che monsignore» prote-

stava «chiamatemi padre!».

«Pochi giorni prima della festa il maresciallo di Malcesine, venuto

a Castelletto e incontrato un prete per la strada, gli chiese:

- Saprebbe dirmi che cosa faranno domenica?

- Mah! credo si faccia una funzione per le anime del purgatorio.

- Come? Mi han detto che si festeggia l'arciprete per l'onorificen-

za datagli dal Papa.

- Cosa vuole che a Roma si occupino di questo parroco di campa-

gna?

- Scusi, mi fa meraviglia che un prete disconosca i meriti di chi è

stimato da tutti. Chi è lei, per favore?

- Il parroco, e niuno mi conosce meglio di me.

Il maresciallo alzò la mano alla visiera e salutò militarmente» (T.,

p. 423).

Nonostante le resistenze del Parroco, paese e Istituto si dettero la

mano per solennizzare convenientemente l'onorificenza che il Padre

comune aveva conferito alloro «Padre». Il cappellano don Angelo

Zamperini dirigeva i preparativi nella parrocchia; in convento presie-

deva la madre Maria Mantovani. «Il paese pavesato presentava un

aspetto insolito; per tutto

111

un affaccendarsi... e il Padre rideva dell'imbarazzo generale, quasi

non si trattasse di lui. Pensava solo ad utilizzare la festa per rendere

migliori i figli».3

Infatti, per l'occasione, organizzò un triduo solenne ad onore della

Sacra Famiglia. E al mattino della festa i parrocchiani s'accostarono,

unanimi di numero e di sentimenti, alla comunione, perché sapevano

che quello era il modo più efficace per rendere felice il festeggiato.

«Assistevano, nel bianco costume, quasi diaconesse, le suore».4

Il neo-Protonotario prestò giuramento e venne vestito con le inse-

gne dal delegato del cardinale Bacilieri; poi celebrò il primo pontifi-

cale. Con i parrocchiani e il clero dei dintorni, partecipavano le suo-

re, gli asili di Torri e di Castelletto, le orfanelle, le confraternite nelle

caratteristiche divise, gli oratori al completo. Più che del Padre, pare-

va la festa dei figli.

All'armonia dei cuori dovevano corrispondere le musiche della

banda e lo scoppio dei fuochi artificiali, che a Castelletto entravano

nei programmi delle grandi solennità, dopo le funzioni in chiesa. Il

maltempo costrinse a rimandare al lunedì le luminarie e il giubilo se-

rali.

Il paese festeggiò alla domenica il Parroco, il dì seguente le suore

celebrarono il Fondatore. Egli dovette ripetere il pontificale nella

cappella dell'Istituto alla presenza di tutte le superiore che la Madre

Generale aveva convocato per la circostanza. A pranzo sedette a ta-

vola cordialissimo, circondato dalle suore e dalle orfanelle. Era il

pranzo del «Padre» con le figlie, e con le figliuoline delle figlie: il

Fondatore si sentiva al suo posto. Si sentiva al suo posto anche du-

rante l'accademia pomeridiana, nella quale recitarono i bambini

dell'asilo e le orfanelle, mentre due suore - a nome proprio e di tutte

le consorelle - dissero al venerando festeggiato le cose più belle e più

vere.

3 Nazareth, 7 (marzo 1912) p. lo 4 Ivi.

112

Chi però aveva maggiormente tripudiato in quei giorni di comune

esultanza, era la Madre Generale. Nell'intimità del suo cuore ella po-

teva abbandonarsi alla gioia, senza timore di uscire dal suo ambito

nascondimento o di cedere alla vanagloria. Era la festa del «Padre»:

del padre suo e delle sue figlie, che in quei giorni veniva degnamente

onorato. E quegli onori provenivano dal Papa, dal cardinale di Vero-

na, dai sacerdoti del vicariato, dalle autorità, dai parrocchiani, da tut-

ti. Queste dimostrazioni di stima e di affetto, tributati al «Padre», fa-

cevano un gran bene alla «Madre», molto più che se fossero stati resi

a lei; e nel suo cuore di figlia devotissima s'accrebbe il desiderio di

collaborare incondizionatamente col Fondatore, a gloria della Sacra

Famiglia e per l'incremento dell'Istituto.

La vita dell'Istituto in questi anni

Il tempo che intercorre tra il 1910 e il 1914 è dei più floridi nella

storia della Congregazione.

Il Decreto di lode e l'udienza concessa ai Fondatori dal Romano

Pontefice avevano riempito tutti i cuori d'un sincero entusiasmo. Le

suore sparse nelle filiali gareggiavano con le sorelle rimaste a Casa

Madre, nello spirito interiore e nell'operosità, per appagare le aspetta-

tive del papa e dei vescovi, nelle cui diocesi prestavano la loro opera.

La elevazione del Fondatore alla dignità di Protonotario Apostolico

aveva rinvigorito quell'entusiasmo e quei generosi propositi.

Il Padre sessantenne, ancora vigoroso e intraprendente, aveva rag-

giunta la piena maturità e come parroco e come fondatore. Eretta ed

abbellita la nuova chiesa, nuovi il campanile e l'abitazione del parro-

co, rianimate le confraternite già esistenti ed altre opportunamente

introdotte ... non c'era che da seminare nel solco laboriosamente sca-

vato. I corsi di catechismo, le assidue predicazioni, le conferenze

specializzate, le feste e le devozioni, i sacramenti frequentati, e anzi

tutto l'esempio e lo zelo del parroco avevano riformato i parroc-

113

chiani. Il volto del paese era cambiato, mentre l'Istituto che in esso

teneva la Casa Madre e il noviziato gli apportava lustro e rinomanza.

Il popolo di Castelletto andava orgoglioso del suo pastore, e il pasto-

re sfruttava l'ascendente goduto per condurre tutti al bene.

Anche come fondatore, don Nascimbeni trascorreva gli anni più

belli e fecondi. Ampliata la Casa Madre, si pensò all'erezione d'una

cappella, capace di accogliere le suore che, in occasione degli eserci-

zi spirituali, tornavano a Castelletto, accanto al Padre e alla Madre.

La santità personale maturata con gli anni e l'esperienza fatta a

contatto con le figlie davano al maestro abilità e prestigio. Ed abile e

deciso, dopo le incertezze e gli abbagli dei primi tempi, egli era altre-

sì nel governo delle filiali.

Nella formazione delle suore e nella direzione dell'Istituto, il Pa-

dre trovava un aiuto validissimo nella Confondatrice e in suor Fortu-

nata Toniolo. La prima aveva toccato i cinquant'anni, l'altra aveva

superato i quaranta. Entrambe in forze, entrambe animate da fatti-

va devozione verso il Fondatore, tutte e due provette nel compito as-

segnato. Madre Maria seguiva da vicino le suore e sorvegliava la col-

tura delle nuove pianticelle che man mano venivano a Castelletto, a

prendere il loro posto nel giardino della Congregazione. Suor Fortu-

nata peregrinava da una casa all'altra, per trasmettere ordini o prende-

re informazioni.

V'erano poi ottime superiore, sorelle della prima ora, ch'erano cre-

sciute accanto ai Fondatori nel clima del primitivo fervore. Oltre a

dirigere le attività della casa, erano intente a mantenere vivo nelle fi-

glie il buono spirito. E a fianco delle superiore lavoravano suddite

esemplari, prive forse d'istruzione e di apparenze, ma semplici e do-

cili come bambine, laboriose e generose nel dono di sé. Con l'esem-

pio, con il lavoro e la preghiera edificavano il prossimo e facevano

prosperare le opere dell'Istituto.

Vescovi e parroci esprimevano, ammirati, sensi di compiacenza e

gratitudine. Ma più ambito e cercato era il compiacimento

114

di Dio, che intanto moltiplicava le vocazioni. Le vocazioni, a loro

volta, aumentavano la trepida gioia del Padre e della Madre, intenti a

formare, sul proprio stampo, le figlie.

La crescita delle figlie consentiva l'apertura di nuove filiali. Infat-

ti, dal 1910 al 1914, ne sorsero una quarantina, in Italia e nella Sviz-

zera. Molte di esse, tuttora esistenti, hanno avuto notevole importan-

za nella vitalità dell'Istituto.

Questi anni sereni, che sanno di primavera e di sole, vengono rat-

tristati prima dalla guerra mondiale, poi dalla malattia e progressiva

inoperosità del Fondatore che dal pieno meriggio declina, lentamen-

te, verso il tramonto.

115

CAPO QUARTO

DURANTE LA GUERRA MONDIALE

(1914-1918)

Inumana, micidiale, venne la guerra a portar via la serenità sul

volto di tutti. Venne a strappare dal focolare i figli, i mariti, i padri, e

li portò sui fronti: a combattere, a uccidersi, a morire.

Scoppia la guerra

Scoppiò il 28 luglio del 1914, quando l'Austria mobilitava contro

la Serbia; poi l'una dopo l'altra, quasi trascinate da una forza inelutta-

bile, le nazioni corsero alle armi: e l'Europa si ridusse ad un immenso

arsenale, a un campo di battaglia, a un cimitero. Paesi invasi, case e

beni distrutti, cittadini deportati; e sui fronti, morti e feriti a milioni.

Ma perché? A sentire i capi di allora, tutti avevano ragione; ognuno

rivendicava il diritto di impugnar le armi, di dichiararsi nemico a

qualcuno, di ferire e di uccidere.

Così, per quattro anni e dei mesi si protrasse «l'inutile strage»: e

per due decenni fu detta «la guerra mondiale», ma oggi la chiamiamo

«la prima guerra mondiale», per raffronto con l'altra (1940-1945),

che fu ancor più feroce e letale.

Le Piccole Suore della Sacra Famiglia, come tante altre congrega-

zioni religiose, furono travolte nella tormenta. L'Istituto aveva molte

filiali nei territori contesi, a Trento, a Trieste, nel Veneto. All'inizio

della guerra, parecchie case furono inevitabilmente chiuse e trasfor-

mate in caserme od ospedali militari, disperse le suore o arruolate

come infermiere.

116

Suore internate

Quando entrò nel conflitto l'Italia, le suore italiane che si trovava-

no ancora sul territorio austriaco furono arrestate e internate nei cam-

pi di concentramento dell'Austria e della Boemia. Ebbero umiliazio-

ni, subirono disagi d'ogni genere, soffrirono la fame, il freddo, l'im-

mondizia dei treni e delle baracche, ora benvolute ora maltrattate.

Unico conforto: assistere alla messa e ricevere Gesù, e far del bene ai

compagni di sventura.

Il Fondatore, che tanto si dava pensiero per tutti i parrocchiani

chiamati alle armi, trepidava ancor più per le figlie lontane. Le segui-

va continuamente, con il ricordo e con la preghiera, e quando riusci-

va, anche con la parola confortatrice e gli aiuti. Cosi la Madre Gene-

rale.

Dopo mesi di stenti e di peripezie, attraverso la Svizzera, le inter-

nate rividero l'Italia e tornarono a Castelletto, dal Padre e dalla Ma-

dre. Cessarono per esse le angustie e le trepidazioni e fu indescrivibi-

le la gioia di ritrovarsi insieme nel tepore di Casa Madre, come nei

tempi più belli.

A servizio dei feriti

I soldati si cimentavano sui campi e nelle trincee. Le Piccole Suo-

re della Sacra Famiglia combattevano anch'esse, a modo loro e con le

loro armi. Pregavano, anzi tutto, e facevano pregare perché cessasse

il flagello. Assistevano i bimbi di morti e dispersi in guerra, accogli-

endoli negli orfanotrofi della Congregazione. Massimamente poi si

prodigavano negli ospedali militari, a favore dei feriti che giungeva-

no dal fronte.

Abbiamo già detto che diverse case, situate nelle zone del conflit-

to, furono adibite a raccogliere feriti. Alcuni ospedali, ove prestavano

assistenza le suore di Castelletto, da civili divennero militari. Altri,

costituiti all'uopo, vennero affidati alle nostre suore. In tutto furono

ventitrè stabili, oltre i provvisori,

117

con 170 suore per circa 10.000 degenti che si rinnovavano di conti-

nuo.1

Per mettere a disposizione delle autorità sanitarie quelle 170 con-

sorelle, tutta la Congregazione s'era sacrificata. Già nel settembre del

1915, pochi mesi dopo l'entrata dell'Italia in guerra, la Madre Gene-

rale scriveva alle superiore locali:

Vi domandiamo una grandissima carità. Ci sono domandate con-

tinuamente suore per l'assistenza dei feriti; fino adesso ci siamo ac-

comodati in qualche modo. Ma in seguito sarà un affar serio, man-

candoci il personale... Quindi è necessario che ci aiutiate voi, inge-

gnandovi alla meglio e facendo con qualche suora di meno. Questa

fiorita carità, pensate come ve la renderà quel Gesù che tiene conto

perfino d'un bicchier d'acqua dato al prossimo per amor suo?2 Poco

dopo la Madre insisteva: Nell' ora presente non c'è opera più prezio-

sa, più santa, Più necessaria, dell'assistenza ai poveri feriti? 3

Le superiore corrisposero generosamente; e pertanto s'intensificò

questo «lavoro assiduo, senza sosta, per il corpo e l'anima, per ri-

spondere alle esigenze della vocazione, dei medici, dei superiori, dei

cappellani, degl'infermi, senza esagerazioni di zelo o preferenze:

trincea senza miraggio di gloria quaggiù, col pericolo di tisi, tifo, co-

lera e d'altre infezioni ben più gravi» (T., p. 477). Per prevenire

quest'ultime, la Madre nelle circolari e le superiore locali si racco-

mandavano di frequente e davano, alle figlie più giovani ed inesper-

te, i suggerimenti opportuni.

Prudenza e carità erano le armi con le quali la Piccola Suora con-

duceva la sua battaglia, accanto ai soldati feriti. La carità poi andava

oltre i corpi lacerati dalle pallottole o dalle granate; voleva giungere

ai cuori esasperati per consolarli, e si proponeva di curare le anime

sovente più malate dei corpi.

1 Per notizie più dettagliate, vedi GIUSEPPE TRECCA, Mons. Giuseppe Nascimbemi, pp. 477-

489. 2 Circolare del 3 settembre 1915. 3 Circolare del 14 ottobre 1915.

118

Molti soldati e ufficiali erano stati chiamati alle armi dopo una

giovinezza inquieta. La guerra non li aveva resi migliori, anzi aveva

inaspriti gli animi, allontanandoli da Dio. Più d'uno aveva perso la

fede; o se la fede non era spenta, mancava la pratica religiosa e l'ob-

bedienza al decalogo. Dal fronte i feriti venivano portati negli ospe-

dali militari, disfatti nel corpo e nello spirito. Dopo mesi di guerra, di

disagi, d'insidie e di ferocia, la suora simboleggiava per essi la pace e

l'amore fraterno, e ridava fiducia nella vita. La sua amorevolezza

premurosa faceva pensare alla mamma e alle sorelle lontane, mentre

l'abito religioso e la condotta intemerata inducevano a rimpiangere

gli anni dell'innocenza. In tal modo la grazia di Dio si faceva strada

in quelle anime bruciate. Dopo anni di sbandamenti, molti soldati

andavano a confessarsi; poi tornavano dalla suora infermiera, per

ringraziarla, per dirle che avevano ritrovato se stessi e che avevano

tanta pace nel cuore.

Ci furono conversioni insigni che suscitarono scalpore e commenti;

ma per lo più il bene rimase nascosto nel segreto delle coscienze, no-

to soltanto a Dio e agl'interessati.

Questa attività umanitaria e religiosa, a bene dei corpi e delle ani-

me, durò quattro anni quanto la guerra. E pur lavorando per Dio solo,

le Piccole Suore ebbero ringraziamenti ed encomi da parte delle au-

torità militari e sanitarie. Direttori d'ospedali e medici, in documenti

autorevoli,4 elogiano «la carità cristiana», «lo spirito di sacrificio»,

«la rara abnegazione», «la disciplina e il contegno irreprensibile»,

«l'amore veramente materno», con cui le Piccole Suore della Sacra

Famiglia, dislocate nei diversi ospedali militari, si prodigarono a ser-

vizio del prossimo e della patria.

4 Alcuni di questi documenti sono trascritti da GIUSEPPE TRECCA, Mons. Giuseppe Nascimbeni,

pp. 486-488.

119

La generosa prestazione nelle altre case

Alla generosità delle sorelle addette all'assistenza dei soldati feriti

o infetti faceva degno riscontro la generosità delle sorelle rimaste

nelle filiali. Per esse il lavoro s'era raddoppiato. Molto personale, e

sovente il più qualificato, era stato richiesto per il servizio negli o-

spedali militari. Si dovette pertanto provvedere alla meglio, sovrac-

caricando di lavoro le suore rimaste. Anzi che scemare, l'attività au-

mentava di giorno in giorno. Bisognava ospitare profughi, assistere i

figli dei richiamati, alloggiare le orfane di guerra; occorreva dispen-

sare refezioni, confezionare calze, fasce e vestiario per i soldati e per

i profughi. La ristrettezza e la povertà dei nuovi locali (i migliori era-

no stati requisiti o ceduti volontariamente) rendevano più penosa la

quotidiana fatica.

Eppure si lavorò con lena e con quello spirito di sacrificio che gli

anni tristi della guerra esigevano. Si lavorò con umiltà e disinteresse,

con intenti nobili, secondo lo spirito dell'Istituto e gl'insegnamenti

che giungevano dalla Casa Madre.

Da Castelletto infatti, con le parole e con gli esempi, le sorelle

delle filiali venivano di continuo edificate. Qui fin dal giugno del

1915 fu costituita un'ambulanza gratuita; la chiesa vecchia fu ceduta

ai soldati, ai quali furono dati «brande, lana, indumenti, carta e cera

per scaldaranci» (T., p. 491) . Le cucine economiche funzionavano

per preparare il vitto ai bambini dell'asilo, poi anche ai figli dei ri-

chiamati. Col tempo s'intensificò l'operosa attività assistenziale. Ve-

nivano curati i feriti di passaggio; la casa degli Ziparei fu trasformata

in lazzaretto per gli infettivi; la canonica nuova, con l'arredamento

nuovo, venne messa a disposizione del comando militare.

Con la disfatta di Caporetto crebbero i feriti e i profughi, e aumen-

tò altresì la generosa prestazione nelle filiali e a Castelletto, ove si di-

stribuivano indumenti e viveri. La Madre Generale, come una suora

qualunque, s'aggirava in cucina tra le pentole, «guardava, assaggiava,

suggeriva quello che era più conveniente»; all'occorrenza «rimbocca-

va le maniche, metteva

120

il grembiule»,5 poi prendeva il mestolo in mano per dispensare zuppe

e minestre calde. I soldati ne erano commossi; ed uno di loro, dopo

alcuni decenni, rammentava ancora «la Madre» già defunta, e diceva

ad una Piccola Suora della Sacra Famiglia: Quando mandate vostra Madre su gli altari? Che santa! Mi sembra ancora ve-

derla. Quanta carità in quel cuore! Quando siamo passati durante la guerra del

quindici, ci ha sfamati tutti. Se non era lei, in quel giorno saremmo morti di fame.

La vostra Madre la tengo sempre presente nel mio cuore, e non scorderò mai la sua

bontà.6

Il Signore benediceva tutta quella operosità che le Piccole Suore

svolgevano a favore dei bisognosi negli ospedali militari, nelle filiali

e presso la Casa Madre. Nonostante quei tempi tormentati, le voca-

zioni crescevano e la Congregazione continuava la sua marcia d'e-

spansione. Dal 1915 al 1918 furono aperte una ventina di filiali in di-

verse diocesi d'Italia. Altre sedici s'aggiunsero nel triennio successi-

vo, che si chiude con la morte del Fondatore.

5.Testimonianza di suor Adeodata Livio, entrata nel 1916. Durante la guerra, la Livio fu addetta ai

lavori di cucina presso la Casa Madre. 6.Testimonianza di suor Adina Petroselli, entrata nel 1927.

121

CAPO QUINTO

MALATTIE E MORTE

DEL FONDATORE

(1916-1922)

L'attività instancabile di mons. Giuseppe Nascimbeni s'arrestò, per

parecchie settimane, quando stava per compiere i sessantasei anni.

Le fatiche apostoliche, le veglie, le preoccupazioni, i dispiaceri, ed

ultima e più infausta la guerra che mise in pericolo i parrocchiani, le

figlie e le filiali, ne logorarono la robusta fibra.

Il primo attacco del male

Il 31 dicembre del 1916 il Padre si sentì venir meno, e si temette

di perderlo. Fu una trepidazione generale, una comune costernazione.

La Madre ne dava subito il triste annunzio alle figlie disperse nelle

filiali, e ordinava preghiere.

Con immenso strazio vi partecipiamo che il nostro carissimo Pa-

dre è aggravato. Recitate per lui le preghiere della raccomandazione

dell'anima. Scongiurate la Sacra Famiglia a farcelo guarire.1

Giunsero telegrammi da ogni parte; personaggi illustri mandarono

lettere di cordoglio; qualche suora offrì la propria

1 Circolare del 31 dicembre 1916.

122

perché fosse salva la vita del Fondatore. Nella cappella dell'Istituto e

nella chiesa parrocchiale fu esposto il Santissimo, e si pregò giorno e

notte. Le suppliche di Castelletto s'incrociarono con le preghiere che

si elevavano al cielo da tutte le filiali; e vennero esaudite. Dopo tre

giorni dall'attacco apoplettico, mons. Nascimbeni era fuori pericolo,

e la Madre Generale scriveva tosto alle suore lontane:

Desiderosa di sollevarvi dall'angoscia che giustamente vi oppri-

me, mi affretto a parteciparvi che il nostro amatissimo Padre, per

grazia della Sacra Famiglia, di Gesù Sacramentato e della cara Im-

macolata di Lourdes, ha superato la crisi del male ed ora è in via di

miglioramento? 2

La ripresa fu costante, ma lenta, e ciò manifesta la gravità del ma-

le. Nel Nazareth di febbraio si comunica:

Il nostro veneratissimo Padre Fondatore va sempre più meravi-

gliosamente migliorando. Il prossimo mese di marzo, che è pure il

mese consacrato dalla Chiesa in modo particolare all'inclito patrono

S. Giuseppe di cui l'illustrissimo Monsignore degnamente porta il

nome, lo vedrà nuovamente all'altare con riconoscenza e giubilo di

tutti. 3

Neppure in marzo il Padre fu in grado di alzarsi per celebrare. So-

lo verso la fine di aprile la Madre poteva comunicare alle suore: «il

carissimo Padre va sempre più guadagnando in salute e certo prestis-

simo celebrerà la santa messa. Potete immaginare quanto siamo con-

tente ... ».4

L'infermo infatti riprese a celebrare il giorno 26 dello

stesso mese, festa della Madonna del Buon Consiglio. La Madre per-

tanto si affrettava a porre un poscritto in calce alla medesima lettera,

nel quale diceva:

Mentre la circolare va in macchina, commosse ed esultanti della

gioia Più intensa, vi notifichiamo che oggi 26 aprile, alle ore 7 anti-

2 Circolare del 3 gennaio 1917. 3 Nazareth, 12 (febbraio 1917) p. 3. 4 Circolare del 24 aprile 1917.

123

meridiane, il carissimo Padre per la prima volta celebrò la santa

messa nella sua camera. Ringraziamone assieme all'onnipotente Ge-

sù vivo nella SS. Eucaristia, la nostra cara Immacolata di Lourdes e

il nostro potentissimo patriarca S. Giuseppe, e recitiamo per tre

giorni il Te Deum. 5

Il venticinquesimo dell'Istituto

A rendere più piena la gioia per la ricuperata salute del Padre, po-

chi mesi dopo l'Istituto celebrava il venticinquesimo di fondazione.

S'era in guerra; non era opportuno vestirsi a festa, mentre la madre

patria era in lutto. Quei giorni di giubilo inoltre, per fatale coinciden-

za, vennero a cadere nei momenti più tristi, quando le nostre truppe

ripiegavano a Caporetto.

Da mesi era stato fissato il programma dei festeggiamenti; poiché

il programma non sconveniva con i gravi avvenimenti in corso, ven-

ne eseguito a Castelletto e nelle filiali nella prima decade del novem-

bre 1917. Nel darne l'annuncio ufficiale alle sorelle lontane, l'assi-

stente generale suor Fortunata Toniolo, a nome anche delle consiglie-

re generali, sottolineava lo spirito col quale andava celebrata la fausta

ricorrenza:

Carissime nella Sacra Famiglia: Certo non occorre la nostra de-

bole parola per animarle a prepararsi bene per le prossime solenni

feste del venticinquesimo del nostro carissimo Istituto, perché tutte

sappiamo che passato una volta non ritorna più. Verrà il cinquante-

simo, ma di noi più vecchie ben poche ce ne saranno; quindi tutte a-

nimate da un vero spirito di unione, di amore, di concordia, giacché

abbiamo l'immensa straordinaria grazia di avere i nostri carissimi e

reverendissimi Superiori Generali, specialmente il nostro carissimo

e santo Padre Fondatore, riscaldiamoci fortemente tutte di santo en-

tusiasmo per prepararci il meglio possibile a queste sante feste, ono-

rando nelle persone dei nostri reverendissimi Superiori l'immagine

viva e parlante della Sacra Famiglia.1

5 ivi. 6 Circolare particolare del 17 luglio 1917.

124

Con l’intento di rinnovare gli animi, furono indetti diversi corsi di

esercizi spirituali, nonostante che la guerra rendesse difficile

l’afflusso delle suore alla Casa Madre. L’ultimo fu dedicato alle su-

periore locali che presenziarono poi, a nome di tutte le suore, ai fe-

steggiamenti di novembre.

L’iniziativa più caratteristica presa in quella occasione fu la fonda-

zione d’un orfanatrofio per venticinque bambine, dai tre ai sei anni e

preferibilmente orfane di guerra. Vennero chiamate « Le orfanelle

dell’Immacolata di Lourdes » e portavano una particolare divisa,

consistente in una veste bianca e fascia azzurra. Nel regolamento per

l’accettazione, inviato alle superiore locali, la Madre Generale illu-

strava il significato e le finalità dell’iniziativa:

Il Pio Istituto della sacra Famiglia, in Castelletto sul Garda, a)

per ricordare il suo primo venticinquesimo dalla fondazione, b) per

onorare sempre più la cara Immacolata di Lourdes in questo suo

santuario, 7

c) e per moltiplicare azioni di grazie al Cielo, per il no-

stro mons. Superiore e per tutti coloro che beneficarono e benefiche-

ranno il Pio Istituto medesimo, dal giorno 6 novembre 1917, epoca

del fausto avvenimento, raccoglie in posti completamente gratuiti, 25

orfanelle, che prenderanno il nome Le orfanelle della Immacolata di

Lourdes.8

Da Desenzano e da Peschiera le venticinque fanciulline giunsero

in piroscafo a Castelletto il 5 novembre. A riceverle scesero al porto

la Madre Generale, le suore e «le orfanelle di S. Giuseppe», ch’erano

appunto 19 come, dopo pochi mesi saranno 19 «gli artigianelli di S.

Giuseppe a Toscolano. La Madre, «vestita in bianco», baciò le picci-

ne una ad una «distribuendo caramelle a tutte»; affacciato alla fine-

stra della M

7 E’ la Grotta della B. di Lourdes, eretta nel 1914 nell’orto della Casa Madre. Se ne parlerà più a-

vanti. 8 Regolamento per l’accettazione gratuita di 25 orfanelle, prendendole da tutti i paesi dove abbia-

mo le nostre case filiali, come monumento perenne a Maria SS. Immacolata di Lourdes, a perpetuare la

memoria del 25mo anniversario del nostro Pio Istituto della Sacra Famiglia dalla sua fondazione 6

novembre 1892.

125

canonica, il Padre sventolava il fazzoletto. Un'orfanella di S. Giusep-

pe dette il benvenuto alle arrivate, esclamando: Viva le nostre sorel-

line! Le altre batterono le mani e per cinque volte gridarono: Evviva!

Poi ci fu la processione. Dietro il crocifisso venivano le orfanelle;

seguivano le probande, le novizie, le suore professe. Venticinque an-

ni prima, nello stesso giorno, inghirlandate come regine, venivano

accompagnate processionalmente le prime quattro suore.

Dalla chiesa si passò alla sala capitolare, ove le piccole ospiti rice-

vettero di nuovo il saluto e dalla Madre furono presentate al Padre.

Nel refettorio nuovo fatto per loro vennero servite da sei suore bian-

covestite. In quel giorno erano loro al centro delle attenzioni e della

festa.

Nel pomeriggio il Padre e la Madre, accompagnati dalle suore,

portarono le innocenti davanti alla Grotta e le consacrarono alla Ma-

donna. Da quel momento le venticinque si chiamarono ufficialmente

«Le orfanelle dell'Immacolata di Lourdes», e passarono sotto una

particolare protezione della Confondatrice. Quelle figliuoline ci tene-

vano al loro nome e alla loro divisa, e fin d'allora pensavano d'aver

diritto a un posto di predilezione nel gran cuore della Madre Genera-

le. Dietro il suo esempio e per restarle figlia per sempre, più d'una,

fatta grandicella, decise di consacrarsi al Signore. Dall'orfanotrofio

passò in noviziato.

Prima che giungesse lo stormo delle orfanelle, s'era lavorato ala-

cremente per preparare il nido: oratorio, refettorio, dormitorio; le

suore delle filiali avevano contribuito mandando corredini o impe-

gnandosi a mantenere un'orfanella. Altri lavori erano stati eseguiti

per rinnovare ed ampliare i locali della Casa Madre, onde renderli

capaci di ospitare il numero crescente di suore con le molteplici atti-

vità.

Il 4 novembre, festa del patrono S. Carlo Borromeo, ricordava la

professione religiosa delle primogenite, fatta a Verona nella chiesa

delle Terziarie Francescane. Allora le Piccole Suore erano quattro,

adesso circa 500, delle quali 200 erano presenti

126

in quei giorni a Castelletto. Alla gioia delle vive dal cielo prendevano

parte le 53 sorelle defunte, che in terra avevano servito il Signore

dietro gli esempi e le direttive dei Fondatori.

I festeggiamenti più solenni furono fissati per il 6 novembre, gior-

no anniversario della fondazione. Le 200 suore presenti si erano spi-

ritualmente preparate con un corso di esercizi, con ore di adorazione,

con propositi di rinnovamento interiore. Alloro fervore rispondevano

le preghiere e i propositi delle sorelle rimaste nelle filiali.

Quando il Padre s'appressò all'altare per il solenne pontificale, le

figlie furono prese da particolare commozione. Pochi mesi prima tut-

ta la Congregazione trepidava per la sua vita; ora egli era lì, davanti a

tutte le superiore, nella maestà degli abiti prelatizi. Fra pochi istanti,

a nome suo e di tutto l'Istituto, avrebbe offerto a Dio il sacrificio del-

la lode e del ringraziamento.

Un posto distinto era stato assegnato alla Confondatrice e alle tre

sorelle della prima ora, che nell'abito solenne di adoratrici, inghirlan-

date come quando giunsero da Verona, ricevettero la comunione dal

Fondatore e rinnovarono davanti a lui i santi voti. In quel momento

augusto, nel gaudio e nei propositi della Madre erano racchiusi il

gaudio e i propositi di tutte le figlie.

«Nella sala capitolare, all'agape, sotto il bassorilievo della Sacra

Famiglia, se ne ammirava l'immagine viva: il Padre (Giuseppe), la

Madre (Maria) e fra essi l'orfanellina, per Gesù che disse: Chi acco-

glie un pargolo accoglie me».9

9.Il passo è tolto dal numero unico, pago 17, che don Trecca curò per la circostanza. La pubblica-

zione porta questo titolo: SEI NOVEMBRE 1892-1917: XXV anno dalla Fondazione dell'Istituto delle

Piccole Suore della Sacra Famiglia in Castelletto di Brenzone sul Garda. Col suo stile originale don Trecca descrive Castelletto, campo di lavoro di mons. Nascimbeni e cul-

la dell'Istituto; parla del Padre, parroco e fondatore; illustra l'Istituto, del quale ricorda le origini, descri-

ve la Casa Madre, enumera le cento filiali; riporta le congratulazioni e gli elogi che eminenti personalità hanno espresso in occasione del venticinquesimo; chiude ricordando le 53 suore morte e la Madre vi-

vente.

127

Nel pomeriggio gli asili di Torri e di Castelletto e le orfanelle di S.

Giuseppe inneggiarono nel teatrino al Padre, alla Madre, alle suore,

all'Istituto e al suo venticinquesimo, con canti e recite di poesie e

drammi.

Il dì seguente fu dedicato alle sorelle morte, e s'andò al cimitero

per i suffragi. A pranzo furono serviti 25 poveri del paese.

Le orfanelle, le morte, i poveri: queste opere di misericordia spiri-

tuale e corporale, assieme all'esposizione dei lavori (pizzi, merletti,

ricami, corredi, ecc.) eseguiti per la circostanza dalle suore e dalle

bambine, riassumevano la venticinquenne storia dell'Istituto.

Furono giornate di ringraziamento a Dio, di santi propositi e di

schietta gioia, quelle dedicate a commemorare il venticinquesimo.

Esse rimasero memorabili nella storia della Congregazione: come

una sosta di meritato riposo, dopo tanto lavoro; come un'oasi di fre-

sco e di quiete, goduta per alcuni giorni all'ombra degli ulivi di Casa

Madre, mentre non molto lontano rumoreggiava, sempre minacciosa,

la guerra.

La «spagnola»

Nata durante la guerra e a causa della guerra, la «spagnola» ne

continuò gli orrori anche dopo l'armistizio. La moría fu tale che, di-

cono, fece più vittime la «spagnola» delle armi. Fu un nemico morta-

le, senza nome e senza trincea, che assaliva soldati e civili nelle città

e nei paesi. Tutti hanno avuto familiari o parenti tra i colpiti dall'ine-

sorabile morbo, e chi ne uscì illeso, si reputò fortunato come se fosse

scampato da un comune naufragio. Ogni giorno si portavano morti al

cimitero, e per non impressionare i vivi, in molti paesi venne proibito

il lugubre suono della campana.

Castelletto era stato risparmiato dalle armi, ma venne colpito, co-

me tanti altri paesi, dalle misteriose febbri. L'epidemia infuriò

nell'autunno del 1918 e si protrasse sino ai primi

128

mesi del 1919. Raggiunse una fase acuta ai primi di ottobre 1918,

alla distanza di poche settimane dall'armistizio, allorché presso la

Casa Madre, tra suore e orfanelle, le ammalate erano quarantasette.

Anche il Fondatore, già infermo e sofferente per il recente attacco

che abbiamo ricordato sopra, venne colpito dalla «spagnola», che lo

indebolì ancor più e gli tolse la gioia di poter celebrare la messa. La

Madre Generale, come soleva fare in simili frangenti, raccomandò il

venerato infermo alla protezione dell'Immacolata di Lourdes e alle

preghiere delle suore.

Il 19 gennaio del 1919 l'Istituto celebrava con grande solennità la

festa della Sacra Famiglia. La cappella «era tutta addobbata, e la gio-

ia, l'esultanza appariva sul volto» di tutti.10 Quella comune letizia era

motivata altresì dall'avvenimento, che viene riferito dalle brevi cro-

nache di Casa Madre. In quel giorno, infatti, esse annotano:

Solennità di grandissimo e straordinario entusiasmo per l'intero Istituto, perché

proprio oggi, festa della Sacra Famiglia, il reverendissimo Padre, salvato e miglio-

rato miracolosamente dall'epidemia della spagnola, per la prima volta dopo la peri-

colosa malattia infettiva celebrò esultante la santa messa [in camera]. Questi sono

veri prodigi e miracoli dell'Onnipotente, ottenuti per la gran fede della reverendis-

sima Madre!11

Si ammala la Madre Generale

Mentre il Padre e le suore ammalate stavano rimettendosi dalla

«spagnola», venne la volta della Madre. Si mise in letto il 29 genna-

io, e il 10 febbraio il medico scoprì i sintomi delle famose febbri.

Dopo pochi giorni la Generale era di nuovo in piedi, ma rimase mol-

to abbattuta e si trascinò per altri due mesi senza riacquistare le forze.

10 Nazareth, 14 (gennaio 1919) p. 3. 11 Diario della malattia del Padre: 19 gennaio 1919, p. 10.

129

Il 7 aprile giunse dall'ospedale militare di Peschiera un tenente

medico, che visitò i Fondatori, dichiarando inguaribile il Padre men-

tre per la Madre prescrisse dei forti ricostituenti.

Visita alla filiale di Trento

Un avvenimento lieto venne a rasserenare l'atmosfera della Casa

Madre, resa assai triste dall'incerta salute dei Fondatori. Dopo tre an-

ni e mezzo d'infermità, il Padre lasciava Castelletto e si recava a far

visita alla grande casa di Trento, che non aveva più visto da quando

era scoppiata la guerra. Lo accompagnavano la madre Mantovani e

suor Fortunata Toniolo. Per il viaggio aveva provveduto il generale

Ferrari della Prima Armata, che mandò la macchina personale e l'au-

tista. S'era in pena per timore che il Padre infermo fosse sopraffatto

dalla fatica, ma il viaggio riuscì benissimo. A Trento i venerati

Fondatori ebbero accoglienze calorose da parte delle 20 suore e dei

l00 orfanelli, ch'erano tornati dai campi di concentramento della Bo-

emia, della Moravia e della Stiria. Alle dimostrazioni di affetto il Pa-

dre si commosse e versò lacrime di consolazione. Durante il soggior-

no nella città redenta, ricevette visite da persone illustri, che veniva-

no a riverirlo e a congratularsi.

Quella fu l'ultima visita del Fondatore alle filiali. Tornato a Ca-

stelletto, si raccolse sempre più in se stesso, assorto in continua pre-

ghiera, per prepararsi al grande viaggio che l'avrebbe portato in cielo.

Di giorno in giorno, con peggioramenti e riprese, andava lentamente

aggravandosi. L'8 novembre fu assalito da un accesso di diabete. Il

30 di dicembre, alla vigilia del terzo anniversario dell'attacco apo-

plettico, ebbe una ricaduta e si comunicò per viatico. Non era però la

fine. Mancavano due anni al tramonto.

130

La Madre in cura a Bologna

La Madre Confondatrice continuava a star poco bene, né riusciva

a riaversi dalla prostrazione in cui l'aveva lasciata la «spagnola».

Nell'agosto del 1920 fu consigliata di recarsi a Milano per un control-

lo presso uno specialista. Tanto lo specialista che altri medici consul-

tati riscontrarono un forte deperimento organico e stanchezza nervo-

sa; prescrissero pertanto alla paziente un assoluto riposo. La Madre

obbedì. A malincuore lasciò a Castelletto il Fondatore in quelle pre-

carie condizioni di salute e si recò a Bologna, presso la villa Baruz-

ziana, ove prestavano assistenza le sue suore.

Le cure durarono due mesi e furono efficacissime, poiché la Ma-

dre Generale riprese il suo delicato lavoro, reso tanto più necessario

ora che il Fondatore, distaccandosi sempre più dalle cose e dagli av-

venimenti, si avviava verso la fine.12

Vi furono episodi commoventi durante la malattia del Padre e del-

la Madre, i quali ci rivelano la carità mirabile che univa queste due

anime elette. Li ricorderemo altrove, quando illustreremo i rapporti

filiali della Confondatrice nei riguardi del Fondatore.

Suor Pia Ruffo

«Una perdita gravissima, una di quelle perdite che difficilmente si

riparano, subiva l'Istituto nostro ai 6 di luglio per la morte di suor Pia

dell'Addolorata». 13

Con queste parole il Nazareth del luglio 1921 iniziava il profilo

spirituale della suora defunta. Da anni era maestra

12 Nel novembre la Madre scriveva: «Ritornata a Casa Madre il 30 ottobre, m'affretto a notificarvi,

a vostra consolazione, che sono quasi del tutto ristabilita ... del resto per grazia specialissima della Sacra

Famiglia e della taumaturga Immacolata di Lourdes ho già ripreso la direzione generale dell'Istituto»:

Circolare dell' 11 novembre 1920. 13 Nazareth, 16 (luglio 1921) p. 3.

131

delle novizie, ed oggi è la patrona del noviziato. Abbiamo sentito

molte suore anziane che la ricordano ancora e ne parlano con partico-

lare venerazione.

Quando morì mancavano quattro giorni al suo quarantesimo anno,

poiché era nata a S. Pietro di Lavagno, nella diocesi di Verona, il 10

luglio 1881. Era l'unica bimba fra i numerosi fratellini, vivacissima,

energica ed intraprendente quasi come loro. A contatto con le allieve

del convitto diretto dalle signore Morandi a Verona, dove fu mandata

a continuare gli studi, la Ruffo prese la sua vera fisionomia, «riflessi-

va e insieme dolce e delicata».

Ben presto la ragazza si sentì chiamata alla vita religiosa e decise

di farsi suora. Ma quando, terminati gli studi, pensava di entrare tra

le canossiane, i familiari si opposero ostinatamente. Il diniego causò

una crisi spirituale nella figliuola. «Dapprima fu una lotta interna,

nascosta; poi una prostrazione fisica e morale che finì in una malattia

strana accompagnata da agitazioni, turbamenti e scrupoli d'ogni spe-

cie, col timore della dannazione per la vocazione non corrisposta»

(D., p. 742).

Le tribolazioni purificarono l'anima della giovane e indussero la

madre a far di tutto perché la figlia tornasse serena. La Provvidenza

dispose che, ad assistere la Ruffo malata, fossero chiamate le suore di

Castelletto. Di qui ebbe inizio la sua vocazione di Piccola Suora della

Sacra Famiglia.

Quand'era inferma, la Ruffo conobbe lo spirito dell'Istituto attra-

verso le suore che l'assistevano; convalescente, venne a Castelletto e

conobbe personalmente il Fondatore. Gli aprì l'animo col candore

d'una bimba e con l'ansia del disperso che cerca la strada. Il Padre in-

tuì, la rassicurò, le aprì le porte dell'Istituto verso la fine del novem-

bre 1907, e la vestì 1'8 dicembre dello stesso anno.

La figliuola aveva trovato la sua via e tanta tranquillità di spirito.

Ancora novizia assisteva le orfanelle, poi fu data in aiuto alla maestra

delle novizie; dopo la professione (1909), ne divenne maestra e tale

rimase sino al 22 aprile del 1919, cioè

132

sino a quando, sofferente, si mise in letto per non alzarsi più. Anzi,

rimase anche allora maestra impareggiabile, con l'esempio e col con-

siglio, perché il suo letto si trasformò in una cattedra, cui accedevano

novizie e suore per essere illuminate e confortate.

«Umile, docile, nascosta a tutti, sempre ilare, sempre uguale a se

stessa: modello alle consorelle presenti, indefessa avvocata delle as-

senti» (D., p. 744); ma soprattutto era mamma delle anime che man

mano le venivano affidate. Le seguiva da vicino, ne intuiva i bisogni,

leggeva nei loro cuori inesperti le pene e le tentazioni contro la voca-

zione, e pertanto le prendeva vicino al suo per ridare la pace e la si-

curezza.

Non ebbe mai una florida salute; e il suo spirito, come quello dei

grandi mistici, era sovente oppresso da aridità e desolazioni. Quando

si mise in letto, afflitta da misteriosi mali che non accennavano a la-

sciarla, i superiori temettero di perderla. Nella circolare del 15 gen-

naio 1920 la Madre Generale si rivolse a tutte le sorelle della Con-

gregazione e domandò speciali preghiere.

Raccomando tanto tanto alle vostre preghiere la nostra buona e

cara maestra suor Pia che, poveretta, va sempre peggiorando. Le

novizie, probande e oblate facciano qualche preghiera speciale, ac-

ciò la Sacra Famiglia e la nostra taumaturga Immacolata ce l'ab-

biano a ritornare in salute, almeno come nel passato, per il bene del

nostro caro noviziato.

Il Signore aveva altri disegni su questa santa creatura e la tenne in

letto, in preda a misteriose pene di corpo e di spirito. Soltanto l'obbe-

dienza cieca al confessore riusciva a lenire l'animo esasperato.

Suor Pia Ruffo era devotissima della Vergine Addolorata, alla

quale era stata consacrata dalla mamma prima ancora di venire alla

luce. La sofferenza la stringeva ancor più alla Madre dei Dolori; di

giorno e di notte, durante le lunghe ore d'insonnia, mentre le sorelle e

le novizie dormivano, la maestra restava con la cara Madre Addolo-

rata, ai piedi della croce.

133

La sera del 5 luglio 1921 suor Pia aggravò e si credete imminente

la fine. Fu chiamato in fretta il confessore, mentre le suore e le novi-

zie accorsero al letto dell'inferma, piangendo e pregando. Al mattino,

dopo aver ricevuto la comunione, essa aveva detto alle sorelle pre-

senti: «Oggi deve avvenire qualche cosa: non mi abbandonino». Pre-

sagiva forse quanto sarebbe accaduto la sera?

Mentre il confessore, le suore e le novizie pregano attorno al letto,

la moribonda apre gli occhi luminosi e li fissa in un punto, esclaman-

do: «Ah!... ah!... ah!... », come se vedesse qualcosa di indicibilmente

bello.

«Cosa vedi?» chiede la madre Generale, che le è accanto, ed ella

vincendo la naturale ritrosia:

«La Madonna, Madre, la Madonna! ... »

«Cosa dice?» ripiglia la Madre «cosa ti raccomanda?»

«Umiltà, Madre, e distacco da tutto».

«Pregala per me, affinché mi ottenga la grazia di farmi santa» le

dice l'Assistente.

«Sì, Madre» risponde l'ammalata, «sì».

«Ed anche per me» aggiunge il confessore.

«Sì, Padre, sì ... »

«Come la vedete, la Madonna?» le domanda.

«Addolorata!»

«Col Figlio morto sulle ginocchia?»

«No» risponde la veggente, «ma solamente con le sette spade».

Ci fu una breve pausa. Tutti i presenti erano emozionati e

sospesi come se, all'improvviso, fossero stati portati in un mondo ar-

cano, pieno di mistero. Poi la morente, con voce soavissima, «Dolce

Cuor del mio Gesù» prese a cantare «fa che io T'ami sempre più».

«Ripeté l'aspirazione ancora due volte e con tale melodia, da sembra-

re, più che umana, angelica creatura. Dopo di che, chiuse gli occhi e

ritornò allo stato normale».14

14 Nazareth, 16 (luglio 1921) p. 4.

134

Il confessore le ingiunse di benedire le novizie presenti. La mae-

stra, debolissima, obbedì.

Il mattino seguente ricevette, per l'ultima volta, il santo viatico.

Alle 14 e 30, «dopo tre ore di penosissima agonia», dolcemente spi-

rò.

Suor Pia «ha lasciato un gran vuoto nella nostra Casa e in ogni

cuore» scriveva la Madre Generale tre giorni dopo «perché essa, dal

suo letto, era tutta a tutte, per tutte aveva sempre una parola di con-

forto e di saggio consiglio». 15

Chi più di tutti aveva sofferto per quella perdita, era lei stessa, la

Madre Generale. Una santa amicizia, un comune sentire, una mutua

confidenza, univano suor Pia alla Confondatrice. A rendere ancor più

intima la loro unione concorsero tre comuni e grandi amori: la devo-

zione alla Madonna, la venerazione per il Padre Fondatore, l'amore

alle novizie.

Di suor Pia Ruffo il direttore spirituale don Luigi Zanoni, vicario

foraneo di Brenzone, tracciò questo profilo: «Un angelo di verginale

purezza, un vaso di sincera e profonda umiltà, un Giobbe d'invitta ed

inalterabile pazienza, un serafino d'amore; in breve: una santa!».16

Identiche parole, come il lettore si renderà conto, possono essere

usate per tratteggiare la figura spirituale di madre Maria Mantovani.

Nella Madre, ancora per tredici anni, sopravvivono il candore, l'umil-

tà e la bontà della figlia spirituale e maestra delle novizie.

15 Circolare del 9 luglio 1921. 16 Cf. Quasi oliva speciosa in campis. L'Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia nel 5Omo

Anniversario della sua Fondazione: 6 nov, 1892-6 nov. 1942, Castelletto di Brenzone (Verona) 1942, p, 38,

Due mesi dopo la morte di suor Pia Ruffo, lo scrittore don Cesare Martinetti ne ricordava la santa

vita con parole commosse, vedi: Nazareth, 16 (settembre 1921) p. 3.

135

Il Padre peggiora

Gli anni che tengono dietro alla prima guerra mondiale, sono dei

più tribolati per la Congregazione delle Piccole Suore di Castelletto

sul Garda.

«Il buon Dio prova in modo straordinario il caro nostro Istituto!»

scriveva la madre Mantovani nel 1920, invitando le suore alla pre-

ghiera e alla fiducia nel Signore e nella «nostra cara Vergine Imma-

colata di Lourdes»; ed esponeva le cause di queste comuni sofferen-

ze.

Oltre l'infermità lunghissima del reverendissimo mons. Padre,

della maestra delle novizi,17 della poca salute mia e dell'Assistente,18

si sono purtroppo ammalate molte suore di tifò, polmonite ed altre

malattie infettive, parecchie delle quali gravemente e con poca spe-

ranza di guarigione.19

La Madre e tutta la Congregazione trepidavano soprattutto per il

Fondatore. Da quando era stato colpito, non riusciva più a rimettersi

in salute. A momentanee riprese che facevano sperare in una perfetta

guarigione, si avvicendavano gravi ricadute che lo portavano sull'orlo

della tomba. Più volte si temette di perderlo.

Nell'ottobre del 1920, dopo un'estate incerta che aveva messo in

allarme i medici e le suore, il Fondatore si ristabilì quasi inaspettata-

mente. L'assistente suor Fortunata, che in quei giorni sostituiva la

Madre Generale,20 si affrettò a darne la consolante notizia alle sorelle.

Con l'animo esultante vi notifico che, contro ogni umana aspettativa e previsio-

ne di tutti noi e dei nostri medici curanti, i quali ci avevano dichiarato che il reve-

rendissimo mons. Padre sarebbe stato ormai un povero

17 Suor Pia Ruffo. 18 Suor Fortunata Toniolo. 19 Circolare del 19 agosto 1920. 20 Madre Maria Mantovani si trovava in cura, presso una clinica di Bologna.

136

infermo cronico, il 15 corrente, con immensa consolazione di tutte, ha celebrato la

santa messa e verso le Il antimeridiane andò al santuario a visitare la nostra tauma-

turga Immacolata di Lourdes. Nel ritorno, commosso sino alle lacrime, si recò nel-

la sua cappella,21 ed aperto il tabernacolo, fece voto di andare a Lourdes con parte

delle sue figlie, se Gesù Sacramentato, per l'intercessione della Vergine sua Madre,

gli farà la grazia della completa guarigione.22

Verso la fine di ottobre tornava da Bologna la Madre Generale,

rimasta colà due mesi per rimettersi in salute. Alla gioia della sua

completa guarigione s'aggiungeva il conforto di trovare il Fondatore

«proprio bene», com'ella si esprimeva nella circolare dell' Il novem-

bre. «Malgrado la cruda stagione» aggiungeva la Madre «egli celebra

sempre la santa messa e verso le 10 antimeridiane, quasi tutti i giorni,

dà la benedizione col SS. Sacramento. Anche questa è una grazia

specialissima della nostra miracolosa Immacolata di Lourdes.23

Sebbene il Padre stesse allora benino, non era però ristabilito in

maniera tale da affrontare il viaggio per Lourdes, secondo il voto fat-

to, né più vi potrà andare.

Passarono altri mesi, durante i quali il venerando infermo non mi-

gliorò, né peggiorò a tal punto da far credere imminente la fine. Se

non tutti i giorni, spesso almeno egli riusciva a celebrare, ed era que-

sta la sua più grande consolazione.

Soffrì molto quando morì la maestra delle novizie suor Pia Ruffo,

il 6 luglio 1921; egli la stimava grandemente e si confidava spesso

con questa santa creatura. Pochi giorni dopo fu preso da un collasso,

dal quale tuttavia si riebbe; ma il 28 novembre dello stesso anno ce-

lebrò per l'ultima volta.

Il 31 dicembre cadeva il quinto anniversario «della gravissima

malattia» che aveva colpito il Servo di Dio. «Facciamo specialissime

preghiere di ringraziamento» scriveva la Madre

21 Negli ultimi anni mons. Nascimbeni aveva ottenuto l'indulto di conservare il Santissimo nella

cappellina, ch'egli aveva fatto costruire vicino alla camera da letto. 22 Circolare scritta dall'assistente suor Fortunata Toniolo, il 18 ottobre 1920. 23 Circolare dell'Il novembre 1920.

137

«alla nostra taumaturga Immacolata di Lourdes, per averlo salvato da

morte sicura»; e chiedeva inoltre preghiere «perché il buon Dio»

conservasse il caro infermo «fino alla più tarda età».24 Con tali inten-

zioni la Generale aveva disposto che nella cappella dell'Istituto si

pregasse di continuo, davanti al Santissimo esposto, dalla sera del 30

alla sera del 31 dicembre.

Le consorelle delle filiali si raccolsero in preghiera la sera del 30,

dalle ore 21 alle 22, e un'altra ora il giorno seguente. In tutte le case

poi fu fatta celebrare una santa messa.

Madre e figlie facevano violenza al cielo per strappare il miracolo,

ma la carriera terrena dell'amatissimo Padre era giunta al suo traguar-

do. Egli aveva trafficato saggiamente i talenti ricevuti: con la pre-

ghiera, col lavoro, con la sofferenza. Era ormai imminente l'arrivo

del Padrone, che avrebbe introdotto il servo fedele nel gaudio eterno.

Santa morte del Fondatore

Il 13 gennaio del 1922 mons. Nascimbeni fu preso da un accesso

di febbre, che lo costrinse a mettersi a letto. Era l'inizio della fine. Il

medico di Torri, chiamato, praticò sul paziente un salasso per impe-

dire congestioni.

Il giorno 18 il Padre fece la comunione per viatico, così nei giorni

seguenti. Verso le ore 10 chiese l'assoluzione e con gran fervore, ri-

spondendo alle formule del rito, ricevette l'olio santo. Gli venne am-

ministrato dal fedele cappellano don Angelo Zamperini, presso il

quale mons. Nascimbeni soleva confessarsi spesso negli ultimi anni.

Per tre giorni, dietro invito del cappellano, si tenne un'ora di ado-

razione nella chiesa parrocchiale. Suore, orfanelle e popolo s'unirono

in preghiera, raccomandando al Signore il carissimo Fondatore e Par-

roco.

24 Circolare del 19 dicembre 1921.

138

Pertanto l'infermo andava sempre più peggiorando. Conservava,

tuttavia, la lucidità della mente e recitava di continuo giaculatorie.

Verso la sera del 19 le suore s'adunarono nella stanza del Padre e re-

citarono ad alta voce il rosario intero. Durante la notte fu udito grida-

re dalla suora che l'assisteva:

«Viva la morte!»

«Perché?» chiese la suora.

«Perché è il principio della vita!»

Il giorno 20 l'ammalato s'aggrava ancor pm, pur conservando la

conoscenza e la serenità dello spirito. Chiede e riceve tutte le benedi-

zioni in articulo mortis, annesse alle 32 confraternite cui si era iscrit-

to. Durante tutta la giornata continua a rifugiarsi nel segno della cro-

ce che ripete sovente su se stesso, a benedire i parrocchiani, in parti-

colare quelli che gli fanno visita; benedice le suore presenti, le assen-

ti, le novizie, le orfanelle, i peccatori ... tutti coloro per i quali,

quand'era in forze, aveva lavorato, pregato e sofferto.

«La sera, verso le 8, diede una specialissima benedizione alla Ma-

dre Generale, e le promise di pregare tanto per lei in paradiso. Poi ri-

peté la benedizione a tutte le suore, anche delle filiali, alle novizie e

alla loro maestra. Verso le 9 si aggravò con prostrazione di forze e si

assopì.

Alle 11 e 30 precise entrò per tre ore in penosa agonia. Don Ange-

lo per tutto quel tempo, recitò le preghiere degli agonizzanti a cui ri-

spondevano tutte le suore, venute ad assistere alla morte. Quando il

moribondo apriva gli occhi, don Angelo sospendeva per impartirgli

l'assoluzione.

Ad un tratto il viso del Padre si trascolorò, in un vivo rossore. Fis-

sava gli occhi in alto e abbassava tre volte il capo, in segno di pro-

fonda riverenza per quindici volte. Gli apparivano forse le scene dei

quindici misteri del rosario, ch'era stata la sua vita?» (T., p. 523).

Alle 2 e 30 del giorno 21 gennaio 1922, nel bacio del Signore,

mons. Nascimbeni spirò. Mancavano due mesi al suo settantunesimo

anno di età.

139

I funerali

Sebbene prevista e attesa da tempo con dolorosa rassegnazione, la

morte di mons. Giuseppe Nascimbeni suscitò un'ondata di cordoglio.

«È morto il Padre!» dicevano a Casa Madre le figlie, quasi si risve-

gliassero da un sogno funesto. «È morto il Padre» si ripeteva a Ca-

stelletto e nei dintorni, e in tutti i paesi della riviera, suscitando un

fremito unanime di commozione, echeggiò il triste annuncio: «È

morto il Padre!».

Quella espressione, che tante ne racchiudeva, e quella comune co-

sternazione erano l'elogio più eloquente del defunto.

Personaggi illustri, sacerdoti, suore accorse dalle filiali, amici, fe-

deli di Castelletto e dei paesi vicini cominciarono a sfilare davanti al-

la venerata salma, che rimase esposta per tre giorni. Da molte parti

d'Italia giunsero all'Istituto e alla Madre Generale lettere di condo-

glianza e moltissimi telegrammi di cardinali, arcivescovi, vescovi, ed

altre personalità.

Alle ore 9 del 27 gennaio ebbero inizio i riti funebri. Il vicario fo-

raneo di Brenzone fece le esequie e l'arciprete di Negrar, don Angelo

Sempreboni, lesse l'elogio funebre. Poi s'aprì il corteo.

«Il paese tutto, il comune rappresentato dal sindaco Silvio Batti-

stoni, dal segretario e dal consiglio intero; rappresentanze dei comuni

di Torri, Peschiera, Malcesine e dei giornali cattolici di Verona e

Brescia; 180 suore anche dalle filiali; orfanelle da tutti gli orfanotro-

fi, 36 sacerdoti: direttore didattico, maestri, scuole, asili; la banda di

Malcesine, il carro con gualdrappata quadriga mostravano nel minu-

scolo villaggio l'importanza del defunto» (T., p. 525).

A renderne più benedetta la memoria, in quel giorno furono bene-

ficati i poveri di Castelletto ed altri istituti bisognosi.

Al cimitero l'abate di S. Zeno dette l'assoluzione e l'ultimo addio

al defunto, la cui salma venne deposta nell'edicola delle suore. Per

breve tempo però il Padre rimase tra le figlie morte, perché le vive lo

vollero di nuovo accanto a sé, presso la Casa Madre.

140

Sembrava loro che, riportandone con sé le venerate spoglie, a-

vrebbero ricordato con più facilità gl'insegnamenti del Fondatore ed

avrebbero goduto più largamente la benevolenza del Padre.

Amorosa esecutrice di questa comune aspirazione fu la confonda-

trice madre Maria Mantovani. Ma poiché questo suo interessamento

testimonia filiale devozione al Fondatore, parleremo altrove della

tomba ch'ella fece erigere al Padre nell'orto del convento, presso la

Grotta della B. Vergine di Lourdes.

141

CAPO SESTO

DOPO LA MORTE DEL FONDATORE

(1922-1934)

Quando venne a mancare mons. Nascimbeni, madre Maria Man-

tovani aveva superato i 59 anni e da una trentina reggeva la Congre-

gazione, sotto la guida illuminata del Fondatore. Era piena d'espe-

rienza, di saggezza e di virtù. Era la donna forte che, anzi tutto, seppe

rassegnarsi alla perdita del Padre, benché fosse la prima a sentire lo

strazio della separazione. Scriveva dieci giorni dopo la morte di lui:

Ben potete comprendere come e quanto si sia scongiurato l'onni-

potente Iddio ad allontanare da noi l'amaro calice e lasciarci ancora

il venerato Padre, ma purtroppo dovemmo tutte chinare il capo e ri-

petere con lo schianto nel cuore il doloroso fiat!. .. Carissime, è pro-

prio giunta l'ora del grande sacrificio! ...

A capo della Congregazione senza il Padre

Con eguale fortezza d'animo e spirito di sacrificio, la Mantovani si

dedicò al bene della Congregazione, che il Fondatore le aveva lascia-

to in eredità. Era la prima pianticella e la più curata del mistico giar-

dino. Salvo qualche breve periodo trascorso fuori di Castelletto a

fondare nuove filiali o a visitare quelle già aperte, era vissuta sempre

nella Casa Madre, superiora solerte e amatissima. Conosceva, dun-

que,

1 Circolare del 31 gennaio 1922.

142

tutte le suore. Tutte s'erano aperte, chi più e chi meno, con lei durante

il noviziato e quando tornavano alla Casa Madre per gli esercizi spi-

rituali. Conosceva pure le filiali e i problemi che le riguardavano. Al-

la scuola del Fondatore non aveva imparato soltanto a santificare se

stessa e le suddite, ma aveva appreso altresì a reggere la Congrega-

zione con mano forte e materna.

Nel governo esterno dell'Istituto la Mantovani era coadiuvata

dall'assistente suor Fortunata Toniolo, saggia, dinamica, devotissima

del Padre e amante della Congregazione. Questo duplice amore, al

Padre e alla Congregazione, impegnò a fondo queste due anime elet-

te. Quand'era vivo il Fondatore, erano le sue braccia; morto, ne di-

vennero le fedeli eredi. Insieme e con identici ideali lavorarono anco-

ra a lungo, sebbene in campi diversi e con diversa natura; poi, venuta

meno la Confondatrice, suor Fortunata Toniolo le successe nel go-

verno della Congregazione, che resse per ben diciotto anni, sino

all'ottobre del 1952. I dodici anni che vanno dalla morte del Fondato-

re (1922) a quella della Confondatrice (1934) sono illuminati da que-

sti due personaggi.

E sono, anzi tutto, anni tribolati per l'Istituto. V'erano stati profeti

di malaugurio che avevano predetto la rovina della pianta, allorché

sarebbe venuto a mancare il coltivatore. Dopo la morte di questi,

sembrava che altri si fossero impegnati a realizzare quelle profezie.

A conti fatti, invece, risultarono false. L'albero restò in piedi, sebbe-

ne non potesse sottrarsi alle folgori e agli scrosci della tempesta. A

sostenerlo c'era in cielo la protezione del Fondatore, e in terra l'umil-

tà e la fede gagliarda della Confondatrice.

Sono pure anni di progresso e di grandi realizzazioni. Aumentano

le suore e si aprono nuove filiali. Crescono i fabbricati attorno alla

Casa Madre: sorge prima la infermeria per le sorelle ammalate

(1926), poi il noviziato nuovo (1933), per una coltura più adeguata

delle numerose vocazioni. Si pensa anche alle sorelle defunte, e ven-

gono avviate le pratiche per ottenere dal comune un cimitero proprio.

143

E sono, infine, anni di meritate consolazioni per le Piccole Suore

della Sacra Famiglia. La prima delle quali fu l'essere state chiamate

per la cucina, durante il conclave per la elezione del papa Pio XI. La

Madre Generale si compiaceva dell'avvenimento nella circolare del

21 febbraio 1922 (da un mese era morto il Fondatore):

Sua Santità Pio XI ha ricevuto in udienza privata tutte le nostre

suore, che hanno prestato servizio in Vaticano, e diede in particolare

a me e a tutte voi la santa benedizione. Del servizio prestato dalle

nostre suore nella cucina del conclave, sono rimasti tutti soddisfat-

tissimi; ne sia lode alla Sacra Famiglia. È stato certamente il nostro

Padre a procurarci tale soddisfazione. Tutti a Roma non hanno che

da congratularsi con noi, per essere state scelte all'onorifico incari-

co di allestire il vitto ai conclavisti.

L'ambito incarico venne rinnovato nel 1939, durante il conclave

che portò sul soglio pontificio il cardinale Eugenio Pacelli.

Confermata Madre Generale (1924 e 1927)

Una delle consolazioni più desiderate dalle Piccole Suore della

Sacra Famiglia era procurata dagl'incontri con la Madre. Il trattare

con lei faceva bene allo spirito: dissipava i dubbi, leniva i crucci, e

infondeva nuove energie da impegnare, ciascuna al proprio posto, a

gloria del Signore e per il bene dell'Istituto.

Da quando poi era scomparso il Fondatore, tutte le suore rivolsero

i loro sguardi su la Confondatrice. Essa rappresentava gl'ideali del

Padre, ne era una vivente incarnazione, ed aiutava le suddite a tradur-

li in pratica, giorno per giorno, col suo esempio e con la sua bontà.

Era dunque un dono insigne averla superiora e madre. Se fosse di-

peso da loro, le suore di Castelletto avrebbero scelta la Mantovani

quale superiora generale a vita. Invece bisognava

144

adeguarsi alle norme disciplinari della Chiesa e procedere all'elezio-

ne della Madre Generale e del suo consiglio. Si tenne pertanto il ca-

pitolo, e com'era da prevedersi, venne eletta a pieni voti la Confonda-

trice. Occorreva tuttavia la conferma da parte della Congregazione

dei Religiosi, poiché la Mantovani era rimasta superiora per più di

trent'anni. La conferma venne, valida per un triennio.

Quando giunse da Roma il decreto, la Madre scrisse alle suore,

manifestando i sentimenti da cui era animata in quella circostanza.

La Sacra Famiglia, per gli alti ed imperscrutabili suoi fini, ha

scelto me quale collaboratrice del venerato «Padre» per fondare l'I-

stituto; ed ora la conferma vuole ch'io stia ancora al governo del

medesimo. Credetemelo, carissime, io me ne riconosco affatto inde-

gna ed inetta a tale ufficio, ma confidando nell'aiuto divino, dirò con

S. Paolo: Tutto posso in Colui che mi conforta (FiI4, 13). Di più, sa-

pendo che il Signore si serve dei soggetti Più inetti e Più oscuri per

fare opere grandi, e ciò per far risaltare maggiormente la sua divina

onnipotenza ed anche perché si attribuisca a Lui solo tutto l'onore e

la gloria, me ne sto tranquilla, sicura che l'Istituto, essendo opera di

Dio, sarà provveduto e guidato da Lui. lo farò di gran cuore tutto

quello che mi sarà possibile per guidare santamente l'Istituto, cioè

secondo lo spirito del nostro Fondatore, che è spirito di preghiera, di

umiltà, di semplicità, di sacrificio e di vera sottomissione ed intima

unione fraterna. Ma voi pregate tanto, tanto, tanto per me.2

Il 15 novembre del 1927 fu aperto di nuovo il capitolo generale,

presieduto dal delegato vescovile mons. Zenati. Anche questa volta

venne eletta unanimamente la Confondatrice, che nella relazione ste-

sa per le suore su lo svolgimento e le decisioni del capitolo, riferiva:

Il reverendissimo mons. Delegato rimase soddisfattissimo per l'u-

nione che ha riscontrato nell'Istituto. Prima di partire, Pieno d'entu-

siasmo,

2 Circolare del 23 dicembre 1924.

145

ci disse: «Parto contento perché ho toccato con mano che le Piccole

Suore della Sacra Famiglia sono unite non solo di cuore, ma pure di

mente e di volontà».3

Nello stesso documento, a comune consolazione, la Madre ricor-

dava che «fra professe, novizie e converse» le Piccole Suore avevano

raggiunto il numero di 800.

Approvazione temporanea delle Costituzioni (1932)

Una grande consolazione ebbe la Madre Confondatrice negli ulti-

mi anni del suo lungo generalato: dopo il riconoscimento giuridico

da parte dello Stato,4 l'Istituto fu riconosciuto definitivamente dalla

Chiesa, la quale, inoltre, approvò temporaneamente le nuove Costitu-

zioni. La grazia venne il 3 giugno del 1932, festa del S. Cuore di Ge-

sù; ma da molto tempo era desiderata, e tutte le suore, dietro ripetuto

invito della Madre, avevano pregato e offerto dei sacrifici per otte-

nerla.

Mentre le suore pregavano e si mortificavano, persone influenti si

prestarono con lodevole zelo per sollecitare l'approvazione. La Rego-

la e le Costituzioni delle Piccole Suore della Sacra Famiglia erano

state rivedute ed approvate nel 1910, quando l'Istituto ottenne il De-

creto di lode. Ora però si rendeva necessaria un'ulteriore revisione,

arrecando quegli opportuni mutamenti, che le avrebbero adeguate al-

la nuova legislazione canonica e ai tempi nuovi. Qualche modifica

infatti ci fu, sia nell'abito religioso che nella vita disciplinare. Venne-

ro temperati anche gli esercizi di pietà; in particolare furono ridotte le

preghiere vocali.

Di giorno in giorno s'aspettava l'autorevole riconoscimento, e più

di tutte era impaziente la Madre, che prendeva lo spunto da quella

comune attesa per esortare le figliuole a far sempre meglio.

3 Circolare del 28 novembre 1927. 4 Con regio decreto del 20 novembre 1930.

146

Giorno e notte sospiro il momento di potervi annunciare la lieta

notizia: l'approvazione. Affrettiamo questo evento, con la fervorosa

preghiera, mortificazione, atti di virtù. Allora faremo feste grandi e

straordinarie, a gloria della Sacra Famiglia. Dette feste, Piene di

giocondità segneranno un'epoca nei nostri cuori e nella storia dell'I-

stituto?5

Ai primi di giugno del 1932 giunse da Roma il telegramma che

annunciava la sospirata approvazione. Lo spediva mons. Erminio Vi-

ganò, prelato per la emigrazione, che, dopo aver sollecitato il decre-

to, s'affrettava ora a dame il lieto annuncio alla Superiora Generale di

Castelletto.6

Quando giunse il telegramma, la Madre fu presa da grande entu-

siasmo, e «non vedendo alcuno cui comunicarlo subito», con la sua

abituale semplicità s'attaccò alla campana e «suonò a lungo, dicendo

che non poteva aspettare a comunicare tale notizia».7

Con identica gioia e semplicità la Mantovani dava relazione di

come si fossero svolte a Casa Madre le feste di ringraziamento a Dio

per un tanto dono.

La domenica del 5 giugno fu grande giornata di entusiasmo per

Casa Madre! Si cantò solennemente due volte il Te Deum, e sem-

brandoci così grande la grazia dell'approvazione, si continuava a

leggere e rileggere il telegramma per timore d'aver letto male. Tutte

eravamo commosse; e mentre dal labbro delle giovani suore usciva-

no parole di giubilo e di evviva, che s'univano all'argentino suono di

tutte le nostre campanelle, le consigliere, le ufficiali, le anziane con

me non seppero per qualche minuto articolar sillaba per la gioia, e

avevano gli occhi velati di pianto riconoscente e filiale. Figuratevi!

In quell'istante vedemmo chiaro come

5 Circolare del 14 dicembre 1931. 6 Mons. Erminio Viganò stimava grandemente la Confondatrice delle Piccole Suore di Castelletto;

più volte prestò i suoi uffici presso le Congregazioni romane. Fu presente ai funerali della Madre, le cui virtù esaltò in un commosso discorso tenuto alle suore davanti alla bara dell'Estinta.

7 Testimonianza di suor Amedea Dal Zotto, entrata nel 1916.

147

Dio si compiacque e benedì l'umile opera del venerato Padre ed

anche quella che per quarant'anni svolse la Piccola Suora della Sa-

cra Famiglia ... Ringraziate voi pure il Signore, cantando il Te

Deum due volte nel giorno stesso in cui arriverà questa circolare?8

Poco dopo giunsero da Roma la Regola e le Costituzioni rivedute

ed aggiornate. La Madre Generale s'affrettò a spedirne una copia a

ciascuna suora; e parlando della Regola, con il suo stile semplice e

persuasivo, esortava tutte le suore «a studiarla, impararla a memoria,

meditarla e praticarla», a imprimerla «ben bene nella mente e nel

cuore», a trasformarla «in succo e sangue ... ». Era stato appunto

questo il suo programma, durante i quarant'anni di vita religiosa; ed

ora che l'approvazione pontificia confermava autorevolmente questo

metodo di vita, la Madre lo proponeva alle figlie come il più grande

tesoro, lasciato dal Fondatore a lei e a tutte le suore.

La festa delle «Mille e due»

Alcuni mesi prima dell'approvazione pontificia, il cuore della Ma-

dre era stato allietato da un altro avvenimento. Le Piccole Suore della

Sacra Famiglia avevano superato il numero 1000. Era un episodio,

nella storia della Congregazione, che andava convenientemente so-

lennizzato. L'Istituto non aveva ancora compiuto i quarant'anni, e le

suore erano di preciso mille e due. La gioia quindi d'aver toccato quel

numero era, se non doverosa, legittima almeno; e mentre il Fondatore

faceva festa in cielo con le morte, la Confondatrice tripudiava in terra

insieme alle figlie vive.

Ella pertanto dettò un programma per quella ricorrenza, e non

mancò di prescrivere il menù che doveva essere servito a tavola in

tutte le filiali. Sono cose che meritano d'essere

8 Circolare del 16 luglio 1932. 9 Circolare del 12 ottobre 1932.

148

ricordate, a nostra edificazione, perché rivelano la semplicità, il tratto

bonario e materno della Confondatrice che dava una particolare im-

pronta a tutta la Congregazione.

Per grazia della Sacra Famiglia, abbiamo raggiunto il numero di

mille e due. Secondo la promessa fattavi, il 25 novembre prossimo

venturo, giorno di S. Caterina, faremo festa. A pranzo e a cena reci-

teremo il Te Deum per ringraziare il Signore dei tanti favori elargiti

fin qui. Lo stesso giorno con rinnovato fervore ascolteremo la santa

messa (e a Casa Madre sarà cantata), faremo la santa comunione e

un'ora di adorazione, implorando dal cielo nuove benedizioni e pro-

sperità sul nostro caro Istituto, affinché crescendo di numero, cresca

altresì in santità. Poi l'evviva in refettorio. Ecco il menù: gnocchi,

arrosto e patatine fritte, formaggio, dolce, frutta, bottiglie, durante il

pasto vino comune, caffè. Va bene cosi?10

La festa fu celebrata, secondo le materne direttive, in tutte le case.

E in quell'occasione qualche suora lasciò libero il passo alla fantasia

e poetò. Le poesie, naturalmente, portano come titolo «I gnocchi» e

vengono indirizzate alla Madre. Il verso non sempre corre, così pure

la rima; in compenso c'è tanta cordialità, immediatezza e candore.

E tutte queste cose, per chi conosce gli ambienti religiosi, hanno il

loro valore e portano i loro frutti. Sono soste di sana allegria, che di-

stendono gli animi ed alleggeriscono la quotidiana fatica; sono mo-

menti d'incontri e di effusioni, che affratellano gli spiriti e li rendono

più pronti al dovere.

Ancora Superiora Generale (1933)

Le consolazioni e le feste, cui abbiamo accennato, non debbono

far credere che la Madre Generale non incontrasse

10 Circolare del 6 novembre 1931.

149

difficoltà e dispiaceri nel governo della crescente Congregazione.

Se la Confondatrice non avesse sofferto, non sarebbe stata degna di

vivere al fianco del Fondatore, non sarebbe diventata «la Madre» del-

le Piccole Suore della Sacra Famiglia.

L'abbandono in Dio e il fiducioso ricorso alla Madonna Immaco-

lata mitigarono le sofferenze, ma non le distrussero; e se il virtuoso

silenzio della Madre riuscì a nascondere molte pene anche alle per-

sone più intime, le pene c'erano, molteplici e pungenti.

Abbiamo già accennato alle persecuzioni cui andò incontro l'Isti-

tuto, dopo la morte del Fondatore. La prima a subirne i contraccolpi

era la Superiora Generale, assieme alla sua vicaria suor Fortunata To-

niolo. Pazienza, preghiera, umiltà, fortezza d'animo, furono le armi

che portarono la Congregazione alla vittoria; ma intanto bisognò im-

pugnarle, per lungo tempo.

Altre difficoltà sorsero col passar degli anni. La costruzione della

infermeria per le suore malate venne ostinatamente contrastata.

Quando furono inoltrate le pratiche per ottenere un proprio cimitero

accanto al comunale, il podestà di allora non ne volle sapere e biso-

gnò aspettare il successore.

Furono pure tempi incresciosi quelli che tennero dietro al falli-

mento della cassa rurale, che il servo di Dio mons. Nascimbeni aveva

fatto sorgere a Castelletto. La Madre ebbe a soffrire molto a motivo

di quella vicenda, tanto più che v'era coinvolto il nuovo parroco. Essa

fu anche magnanima, perché cercò di collaborare nel sanare il disse-

sto finanziario, assumendosi a nome dell'Istituto l'onere dell'acquisto

del fabbricato, la cui costruzione aveva inciso molto sullo sbilancio

della stessa cassa rurale.

Vi furono altre pene, più intime, che la Madre portò nascoste nel

suo cuore e che manifestava solo al Signore e alla Madonna. Voglia-

mo alludere alle lettere che giunsero in questi tempi, dove l'irriveren-

za è pari alla viltà dello scrittore (o scrittrice) anonimo. Un sacerdote

poi si lasciò impressionare da qualche suora dall'animo inquieto, e si

sentì in dovere di

150

ammonire e minacciare la Madre Generale, predicendo cose apo-

calittiche per l'Istituto, qualora non si fosse dato retta ai suoi avver-

timenti. Lo scrittore, di certo, era in buona fede; ma aveva il torto

d'essere stato ingenuo, quando scambiò lo stato d'animo di qualcuna -

soggetti del genere non mancano mai con l'andamento generale di

tutta la Congregazione.

La Madre leggeva quelle lettere con umiltà; se le poneva sul cuore

come un cilizio, che pur ferendola le faceva bene; poi le nascondeva

sotto il manto dell'Immacolata che teneva nel suo studio. Al di là di

tutte le nubi e le folgori, predette in quegl'ignobili scritti, la Manto-

vani vedeva il volto sorridente della Madonna e tirava avanti fiducio-

sa. Il tempo le dette ragione, e quelle lettere, conservate ancor oggi in

archivio, stanno a testimoniare l'umiltà dignitosa e l'eroismo della de-

stinataria.

La Mantovani ebbe occasione di soffrire ancora, quando venne

rieletta superiora per l'ultima volta. Poco dopo morì.

Fu indetto il capitolo per il 15 novembre del 1933, e di nuovo gli

occhi delle vocali si posero, quasi istintivamente, su la Confondatri-

ce; ma non tutti. Poiché la Madre era stata superiora per più di qua-

rant'anni consecutivi, era necessaria una speciale dispensa da Roma

per essere confermata. Mentre pertanto si attendeva la risposta della

Congregazione dei Religiosi, alcune figliuole, peraltro «brave e buo-

ne», ebbero l'idea di scrivere a Roma, chiedendo che la Madre non

venisse confermata. Il ricorso era fuori posto e del tutto ingiustifica-

to. Roma infatti chiese informazioni, appurò, decise, confermò la

Madre.

Quando mons. Erminio Viganò telegrafò da Roma, il 7 dicembre

1933, che la Mantovani era stata riconfermata, le suore esultarono e

la segretaria di allora, suor Solidea Calliari, annotava nelle cronache

dell'Istituto: «La Madonna trionfa - il demonio è vinto».11

11 Cronaca dal 1931 al 1939: 7 dicembre 1933, p. 22.

151

Quel trionfo e quell'esultanza furono moderati dalla Madre, che

voleva ridurre al minimo l'umiliazione delle dissidenti.

Mancavano poche settimane alla sua morte. In quei giorni, nelle

«letture» che teneva alle novizie, la Madre parlava spesso della «cro-

ce». 12

Le anime tribolate sono le predilette di Gesù; 13

Le croci che Dio manda vengono sempre dalla sua misericordia;14

La croce è il tesoro prezioso che dobbiamo amare e abbrac-

ciare;15

La croce è la filosofia dei grandi,16

Perciò era stata la «sua» filosofia. Senza rendersene conto, la

Mantovani tesseva il più bello elogio a se stessa, e indicava la strada,

attraverso la quale l'umile Meneghina, cresciuta ai piedi del Baldo,

dirimpetto al lago di Garda, era diventata «la Madre»: madre feconda

d'una vigorosa falange di vergini che, sotto le insegne della Sacra

Famiglia, operavano tanto bene nella Chiesa e nella società.

Il nostro astro è ormai al tramonto. Ma prima che si spenga, dob-

biamo ammirarne l'intimo splendore. Dobbiamo entrare più adde tro

nello studio della Cofondatrice e prima Superiora Generale delle Pic-

cole Suore di Castelletto. Riprenderemo la narrazione della sua vita

esteriore più avanti, nella parte ottava di questo libro, quando ne ri-

corderemo gli ultimi giorni e il pio transito.

12 I passi seguenti sono desunti da un taccuino personale di «appunti», presi dalla novizia Gian Ma-

ria Piva durante le istruzioni della Madre. Essi portano il seguente titolo: Appunti presi dalle «letture»

della nostra carissima madre generale suor Maria dell'Immacolata. Taccuino di pp. 12.

La Piva era entrata nell'Istituto nel 1932, ed ebbe modo di conoscere da vicino la Confondatrice du-rante il postulato e il noviziato.

13 Dalla lettura del 25 gennaio 1934, p. 12. Fu l'ultima istruzione che la Confondatrice tenne alle

novizie. 14 Dalla lettura del 23 gennaio 1934, p. 12. 15 Dalla lettura del 20 gennaio 1934, p. 12. 16 Dalla stessa lettura,' p. 12.

152

153

PARTE TERZA

RITRATTO

DELLA PICCOLA SUORA

154

155

MAESTRA SENZA PATENTE

Il parroco di Castelletto don Giuseppe Nascimbeni andava in cer-

ca d'una «maestra patentata», da mettere a capo della casa religiosa

che intendeva aprire in paese. Da principio posò gli occhi sulla Gaio-

ni, insegnante comunale e aspirante alla vita di convento. La morte

venne a portar via la giovane e le speranze del parroco. Egli credette

in seguito d'aver trovato la persona adatta nella maestra Pace, vedova

e madre di tre figlioletti, desiderosa anch'essa di consacrarsi al Signo-

re. Il vescovo di Verona esigeva la sistemazione della prole, prima di

accordare alla vedova il permesso d'entrare in convento, e la Pace ri-

mase nel mondo, ad allevare le sue creaturine. Quando il parroco si

rivolse ai diversi istituti in cerca di suore per la parrocchia, pretende-

va che uno dei soggetti designati, possibilmente la superiora, posse-

desse il diploma di maestra.

Che la figlia del povero Gian Battista e della Prudenza avesse atti-

tudine e inclinazione allo studio, lo hanno asserito i parenti. l Ed è al-

trettanto vero, com'ella ebbe a dire più volte, che avrebbe continuato

volentieri gli studi, dopo la terza elementare, se la situazione familia-

re l'avesse permesso. Quando poi dovette sostituire l'amica Gaioni

per due mesi nell'insegnamento delle scuole comunali, la Mantovani

rivelò singolari doti didattiche. Ma il diploma non l'aveva.

Eppure il Servo di Dio dovette ripiegare su di lei, e metterla a ca-

po del drappello di giovani che scendeva a Verona, presso le Terzia-

rie Francescane. In tal modo la Mantovani diveniva, per ufficio, mae-

stra delle prime suore e delle prime novizie; e

1 Suor DIODATA PAPA, Petali, pp. 33 e 36.

156

maestra ideale rimase per tutta la vita, sia nelle «letture» che teneva

alle figlie convenute a Castelletto per gli esercizi spirituali, sia nelle

istruzioni alle novizie cui parlava spesso, quasi tutti i giorni.

La sua dottrina non fu appresa dai libri, ma dal contatto con Dio

per mezzo della preghiera e dalla quotidiana esperienza della vita.

Perciò era una dottrina concreta, immediata, sommamente efficace,

perché corroborata dall'esempio. La presenza della Madre, la sua

condotta era l'insegnamento più continuo e persuasivo. Per vivere la

loro vocazione, le suore di Castelletto non avevano che da imitare la

vita della Confondatrice.

Prima di entrare in convento, la Mantovani aveva già vissuto l'i-

deale della Piccola Suora come l'intendeva don Nascimbeni. La sua

anima era un terreno vergine, un campo aperto, che si lasciava arare

in tutte le direzioni e a qualsiasi profondità. Divenuta religiosa, si mi-

se ciecamente nelle mani del Fondatore come «molle cera»: egli

v'impresse il ritratto della Piccola Suora.

157

CAPO PRIMO

UMILTÀ E SEMPLICITÀ

Nel 1904 suor Gerarda Melloni,1 residente nella filiale di Pedesca-

la (Vicenza), ricevette un telegramma dal Fondatore, che le ingiun-

geva di recarsi a Verona; ivi era attesa dalla Madre Generale. Insie-

me sarebbero andate a Roma, ove la Melloni aveva un fratello reden-

torista, ordinato sacerdote da pochi giorni. La suora era commossa e

doppiamente felice, e perché avrebbe compiuto quel viaggio in com-

pagnia della Madre e perché fra poco si sarebbe incontrata con il fra-

tello, dalle cui mani avrebbe ricevuto, per la prima volta, la santa

comunione.

Polenta fredda e formaggio

Dalla stazione di Verona le due suore partirono alle ore 20. Prima

delle 24 la Mantovani chiese all'accompagnatrice se aveva preso con

sé qualcosa da mangiare. Il viaggio da Verona a Roma è assai lungo,

e all'inizio del secolo ancor più, poiché il treno v'impiegava circa se-

dici ore. La Madre dunque invitava la suora a prendere un boccone

prima della mezzanotte, perché dopo dovevano osservare lo stretto

digiuno eucaristico, onde poter fare la comunione all'arrivo.

Messa sossopra dal telegramma inatteso ed emozionata al pensie-

ro che fra poco avrebbe visto il fratello divenuto

1 Entrata nel 1899.

158

sacerdote, la Melloni aveva scordato il viatico. La Madre Generale,

invece, s'era provvista. Aprì la borsa, estrasse della polenta e un pez-

zo di formaggio e ne fece parte alla suora. Con disinvolta semplicità,

Madre e figlia consumarono quella polenta fredda e quel formaggio.

Doveva apparire una scena da «Fioretti». Povertà, umiltà, sempli-

cità, quella notte, viaggiavano insieme verso Roma.

«L'umiltà in persona»

Le virtù che caratterizzano la Confondatrice delle suore di Castel-

letto, sono l'umiltà e la semplicità. I documenti scritti e le testimo-

nianze orali vi insistono con la frequenza d'un ritornello: «umile e

semplice», «umiltà e semplicità».

Queste due virtù si richiamano a vicenda e sono intimamente lega-

te. Se l'umiltà è il volto della verità nei rapporti dell'anima con Dio,

la semplicità è il volto dell'umiltà di fronte agli uomini.

Nella vita di madre Maria Mantovani le due virtù spiccano in gra-

do eminente e le conferiscono una fisionomia tutta propria, incon-

fondibile.

Stando alle testimonianze delle suore che la conobbero da vicino,

la Confondatrice aveva «tanta umiltà»,2 era «molto umile»,3 «umilis-

sima»,4era «un'anima umilissima»,5 era «la santa dell'umiltà»,6 «il ri-

tratto dell'umiltà»:7 era «l'umiltà in persona».8

Tutte le suore che abbiamo interrogato, con queste e simili espres-

sioni, hanno celebrato l'umiltà della Madre.

2 Testimonianza di suor Basilissa Manfrin, entrata nel 1912. 3 Testimonianza di suor Zita Tibaldi, entrata nel 1902. 4 Testimonianza di suor Onorina Tartaglia, entrata nel 1900. 5 Testimonianza di suor Zelandas Del Pozzo, entrata nel 1913. 6 Testimonianza di suor Aurea Meneghini, entrata nel 1910. 7 Testimonianza di suor Gian Maria Piva, entrata nel 1932. 8 Testimonianza di suor Romana Fedrigo, entrata nel 1903.

159

Con l'aiuto del Padre

Domenica Mantovani non era nata umile: lo divenne con gli anni.

Per natura era sensibilissima e facile a risentirsi quando veniva umi-

liata. Fin da giovane dovette ingaggiare una dura battaglia contro se

stessa, per conquistare la virtù della santa umiltà.

Nell'arduo combattimento era guidata da un valente stratega, che

le indicò le armi più efficaci e la sorresse, per molti anni, sino alla

completa vittoria. Oltre che alla grazia di Dio e alla propria tenacia,

la Mantovani deve a don Nascimbeni la conquista di quella rara mo-

destia, in cui la videro avvolta le figlie che vennero dopo. Il Fondato-

re non risparmiò la Fondatrice. Volendo erigere il nuovo Istituto sulla

santa umiltà, s'adoperò perché la prima suora e la prima superiora ne

fosse un modello vivente.

D'altra parte, egli conosceva il soggetto prescelto. Sapeva che la

Mantovani si sarebbe piegata sempre, senza spezzarsi, ed avrebbe

preso quella forma che il modellato re intendeva darle. Da tempo, in-

fatti, la discepola s'era messa alla scuola del futuro Fondatore e ne

seguiva gl'insegnamenti con assoluta docilità.

Resa a discrezione

C'è una lettera della Mantovani, indirizzata al Padre, che ha parti-

colare significato per quanto stiamo dicendo. Fu scritta quindici mesi

dopo la fondazione dell'Istituto, quando la piccola comunità, raccolta

in ritiro, si disponeva a rinnovare i voti. In quell'occasione la superio-

ra scrisse al Fondatore una lunga lettera, nella quale chiedeva perdo-

no per le «innumerevoli mancanze d'ogni genere», commesse nei

quindici mesi «passati in questa santa casa», cioè in convento; e pro-

seguiva:

Carissimo Padre: adesso però voglio rimediare a tutto. Voglio

che i

160

santi esercizi segnino l'epoca del mio vivere fervoroso nella vita re-

ligiosa. lo sento una fame ardentissima della divina parola. Desidero

proprio saziarmi, imbevermi tutta e che tutte le istruzioni e medita-

zioni mi vadano in sangue, allo scopo di diventar santa e presto san-

ta.

Fra le tante virtù che intendo acquistare in questi santi esercizi,

due principalmente mi stanno a cuore: cioè, una profonda e massic-

cia e sincera umiltà, e la mortificazione. Questo è quanto ardente-

mente desidero.

Carissimo Padre, la prego di aiutarmi molto in tutto, massima-

mente nell'acquisto dell'umiltà. Sì, non mi risparmi in niente. Mi

umilii, mi mortifichi, tagli, rompa il mio amor proprio senza pietà.

Mi dia penitenze, come crede opportune: io ne sono contenta. Ad i-

mitazione dell'orefice, che mette l'oro nel crogiuolo perché venga

purificato, così io mi metto nelle sue mani perché per mezzo delle

umiliazioni mi purifichi da qualunque atto di superbia, di amor pro-

prio, di stima di me stessa.

Non dico però che a questi atti io resterò impassibile, no; confes-

so la mia debolezza: l'amor proprio se ne risentirà, ma non importa.

La parte superiore, cioè la volontà, combatterà codesti risentimenti,

finché si avvezzerà a desiderare le umiliazioni?9

Per diventare veramente umile, la Confondatrice si metteva dun-

que nelle mani del Padre e lo autorizzava, per iscritto, ad umiliarla, a

imporle penitenze, a mortificarla anche in pubblico. Il Servo di Dio,

che da tempo dirigeva i suoi colpi in tal senso, fu ben lieto di questa

resa a discrezione e tosto si mise con impegno ad espellere il nemico,

ossia l'orgoglio, da quell'anima eletta.

Il Padre “umilia” la Madre

Riprensioni, penitenze, umiliazioni, e di solito alla presenza delle

suore riunite, furono le armi usate più di frequente. Il luogo scelto

per il combattimento era il «capitolo», durante il

9 Lettera al Padre Fondatore, scritta l' 11 marzo 1894.

161

quale il Fondatore istruiva le suore con conferenze o letture, cor-

reggeva i difetti, comunicava avvisi, impartiva ordini. Qualsiasi av-

venimento poteva offrire il pretesto per «correggere» la Madre. Ella

non veniva risparmiata neppure alla presenza delle novizie e delle

pro bande, ed un giorno le fu imposto di baciare loro i piedi.

La superiora doveva dare il buon esempio ed esser pronta ed esat-

ta in tutto. Mancò un giorno all'orario. Il Fondatore mandò in giro

una suora, con candela accesa, in cerca della Madre. «Era quasi mez-

zogiorno di una giornata estiva, piena di sole».

Altra volta la Madre si trovava nell'orto, quando suonò il segnale

per l'atto comune in cappella; tardò alcuni minuti secondi, e giunse

ultima. «Il Padre l'attese alla balaustra: la richiamò con fortezza da-

vanti alla comunità, a tutte poi impose d'esser puntualissime agli atti

comuni per lo spazio d'una settimana, senza che venisse suonata la

campana. La Madre non proferì una parola di scusa, e fu prontissima

a sottomettersi e a umiliarsi».

La prova poteva aver luogo davanti alla gente del paese, che pe-

raltro non si meravigliava, perché conosceva lo stile del Padre e la

virtù della Madre. Un anno dopo la fondazione, furono eseguiti dei

lavori in convento. Un muratore aveva lasciato una cassa fuori posto

e lordata da malta indurita. Il parroco ordinò alla superiora di portare

la cassa vicino al lago e lavarla. Ci volle del tempo per rammollire la

calce secca. Dalla strada la gente osservava la Madre, che immergeva

la scopa nell'acqua e la menava avanti e indietro su la cassa. «E noi

suore, ch'eravamo in sei, stavamo per obbedienza alla finestra [del

convento] con il Fondatore, per osservarla. lo ho pianto» continua la

narratrice «perché volevo ottenere di fare io stessa tale lavoro, per ri-

sparmiare alla Madre quella

10 Testimonianza di suor Amedea Dal Zotto. 11 Testimonianza di suor Agnella Vezzoli, entrata nel 1915.

162

umiliazione; ma non mi fu concesso. La Madre tornò tutta giuliva in

mezzo a noi, con la cassa pulita».12

Allo scopo di esercitarla nell'umiltà, per più anni il Fondatore af-

fidò alla superiora l'ufficio di sagrestana nella cappella del convento.

Essa preparava l'altare, accendeva e spegneva le candele, provvedeva

il fuoco; poi, durante le funzioni, rimaneva inginocchiata sul pavi-

mento, ad agitare il turibolo. «E questo accadeva anche quando erano

presenti persone altolocate, ecclesiastiche e civili».13

Una «bella cotta» per il Padre ...

A volte il rimprovero giungeva imprevisto e pungente, ma la supe-

riora era pronta ad accettarlo e ad umiliarsi. Era allenata da anni a

questi combattimenti dello spirito, ed aveva appreso l'arte di vincere

se stessa con facilità e quasi con gioia.

In un pomeriggio dell'anno 1905 il Fondatore stava facendo lo

spoglio della corrispondenza assieme ad alcune suore. Ad un tratto

chiese:

«Dov'è la Madre?»

«È in comunità che fa ricreazione con le suore» gli fu risposto.

«Manda tela a chiamare» ordinò, e quando la Madre si fece avanti,

disse con veemenza: «Non sai che c'è la posta da sbrigare?»

«Eccomi, Padre» rispose la Mantovani.

«No, adesso va via, non so che farne di te».

Con calma, la Madre se ne va; ma poco dopo ricompare, si mette

in ginocchio e dice: «Perdoni, Padre, un'altra volta sarò più pronta».

Ma il Padre di rimando: «Via di qua, non sei altro che di peso alla

comunità».

12 Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, II, pp. 16-17. 13 Ivi, p. 21.

163

La Madre si alza, e con umiltà e serenità conferma: «Ha ragione,

Padre; mi perdoni», e s'allontana.

Partita la superiora, il Padre si rivolse alle suore presenti e disse:

«Avete visto l'obbedienza, la serenità e l'umiltà della vostra Madre?

Ebbene, così imparate anche voi: questo è l'esempio».14

Le ultime parole attenuano l'asprezza dell'episodio e manifestano

le intenzioni del Fondatore e la virtù singolare della Confondatrice,

già tanto provetta in quel genere di prove.

Un altro giorno la superiora venne chiamata in mezzo alla sala ca-

pitolare, durante la riunione delle suore. Intuì cosa stava per accadere

e si mise tosto in assetto di battaglia: si prostrò in ginocchio, a mani

giunte, mite «come un agnellino». Cessato lo scroscio, «senza dar se-

gno di risentimento», chiese perdono al Padre. Le suore erano com-

mosse, e qualcuna, nascostamente, piangeva. La Madre invece, «tutta

giuliva», come se il Fondatore l'avesse liberata da un peso, tornò alle

sue solite occupazioni. Il Padre allora, rivolgendosi alle suore, rilevò:

«Ecco l'esempio di vera umiltà, che voi tutte dovete ricopiare. Avete

visto: nessun risentimento sul suo viso; imparate anche voi». La te-

stimone dichiara: «A tutte rimase sempre impresso quell'esempio».15

Nei primi anni il Fondatore teneva il «capitolo» tutti i giorni, alle

ore nove, nel piccolo refettorio della comunità. Fino da allora era so-

lito «rimproverare»)a Madre, ed un giorno le ingiunse, «per peniten-

za», di lavorare durante le riunioni; soltanto a lei venne impartito

quest'ordine. La Madre «cominciò a lavorare una cotta con uncinetto.

Dopo qualche mese, la cotta era ultimata, ed essa la presentò al Pa-

dre, dandola a lui in dono». La cotta «è riuscita bellissima e lavorata

con finezza».16

In quel dono, lavorato «con finezza», c'era tutta l'anima

14 Testimonianza di suor Cesarina Gardari, entrata nel 1904. 15 Testimonianza di suor Letizia Fondrieschi, entrata el 1900. 16 Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, II, pp. 15-16.

164

della Mantovani, che a quel modo intendeva esprimere la sua ricono-

scenza a chi l'aiutava sì gagliardamente a diventare umile e mite.

La pratica dell'umiltà

Tutto il comportamento della Madre era umile: l'incedere, l'atteg-

giamento del volto, il tratto, la conversazione, i lavori cui di solito

attendeva.17 L'umiltà era diventata la sua seconda natura. Davanti a

chiunque ed in ogni circostanza la Mantovani appariva mite e mode-

sta, senza sforzi o ricercatezze.

E tuttavia, questo comportamento dimesso era congiunto ad una

rara gravità, che incuteva rispetto e devozione in quanti l'avvicinava-

no. La Madre era umile, ma non trascurata; sentiva bassamente di sé,

senza essere pusillanime; all'occorrenza, sapeva fare la voce forte e

prendere risoluzioni energiche, e quando impartiva un ordine, voleva

che fosse eseguito.

Raramente, però, la superiora dovette ricorrere alle parole dure ed

imporsi con autorità. Sapeva ottenere quanto voleva ottenere, senza

far pesare il suo comando, con dolcezza e con bontà, da mamma. E

come mamma si dava a tutti. Alle suore, che avevano problemi da

esporre e difficoltà da superare; alle novizie, pronte agli entusiasmi e

altrettanto facili a smarrire la strada e a perdersi d'animo; alle orfa-

nelle, ch'erano la sua predilezione. Persino la gente del paese, anche

la più rozza e povera, quando aveva bisogno di consigli e di aiuti,

andava dalla «Madre». «Tutti venivano trattati alla stessa maniera»,18

con cuore largo e con semplicità.

Semplice e bonario era pure il linguaggio. Se con le persone

17 «In tutto, nelle parole, nel tratto, si vedeva e spiccava questa grande virtù»: Testimonianza di

suor Felicissima Ferrario, entrata nel 1909. 18 Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta, entrata nel 1916.

165

di riguardo la Madre usava modi signorili, con le sue suore e con la

gente del popolo andava alla buona, senza mai essere volgare, e nella

conversazione inseriva certe espressioni dialettali, che la rendevano

colorita ed efficace.

Nell'orto

Madre Maria amava i lavori umili. Aveva una preferenza per l'or-

to e per la cucina, e non ci fu verso di toglierla del tutto da quelle oc-

cupazioni. Curava altresì le bestie: «i polli, i conigli, ed anche i maia-

li».19

Nell'anno 1905 giunsero a Castelletto «due grandi personaggi di

Trento». Salutato il parroco in canonica, chiesero di riverire la Supe-

riora Generale. Il Fondatore li accompagnò in convento e fece chia-

mare la Madre. «Nella sua umiltà e semplicità» essa «venne subito e

si presentò con il grembiule da lavoro e le mani sudicie». I due visi-

tatori stesero la destra per ossequiarla, ma essa si schermi dicendo:

«Scusino, sto concimando i cavoli». Quando fu licenziata dal Padre,

fece un inchino agli ospiti e tornò nuovamente al suo lavoro. I due

signori erano ammirati. «Questa è una santa» dicevano tra sé, e al

Padre: «Quanto siamo rimasti edificati per la sua prontezza alla

chiamata e per la sua umiltà"20

Ma poi la Mantovani dovette abbandonare quei lavori. Col cresce-

re delle suore e delle filiali, aumentarono anche le visite di vescovi,

di sacerdoti ed altri personaggi, che venivano a Castelletto a trattare

con il Fondatore e con la Superiora Generale. Certo, la Madre non

poteva presentarsi ai forestieri vestita a quella maniera: con le mani-

che rimboccate, con il grembiule da lavoro e gli zoccoli ai piedi. In-

somma, a lungo andare non si potevano accordare gl'impegni della

Superiora

19 Testimonianza di suor Carizia DaelIi, entrata nel 1911. 20 Testimonianza di suor Valeria Malpeti, entrata nel 1905.

166

Generale con le occupazioni dell'ortolana. Per ordine del Fondatore,

la Madre smise di lavorare nell'orto, per essere più pronta a ricevere

decorosamente quanti venivano a Castelletto; ma non s'arrese com-

pletamente. Se le era stato proibito di prendere in mano la vanga e la

zappa e restare a lungo nell'orto, poteva andarvi, almeno di sfuggita,

per dare un'occhiata ai lavori in corso o per cogliere la verdura. Giu-

lia Giardini, oblata, ricorda che poche ore dopo il suo ingresso in

convento, fu avvicinata da una suora. «Vien con mi» le disse. Usci-

rono nell'orto, «a cavar le terze»,21 Poco dopo la Giardini seppe che

quella suora era la Madre Generale.

In cucina

Dove la Madre si faceva vedere più spesso era in cucina. Vi anda-

va subito dopo la colazione a dare direttive, poi tornava verso le un-

dici per controllare se tutto procedeva a dovere. «Le piaceva assag-

giare le vivande, per assicurarsi che erano buone e al punto»;22 diceva

infatti: «alle suore si fa sempre il mangiare buono».23 In cucina «sa-

peva far di tutto»;24 insegnava alle probande e alle novizie, che veni-

vano iniziate ai segreti dell'arte culinaria. C'erano poi delle specialità

di cui la Madre aveva l'esclusiva. Particolarmente da quando fu aper-

ta la infermeria presso la Casa Madre, la Generale entrava spesso in

cucina e preparava alle suore malate certe qualità di dolci, che sor-

prendevano per la loro originalità e recavano grande conforto alle

consumatrici.

Faceva tutto con naturalezza e con impegno, tanto che, chi l'aves-

se vista, l'avrebbe scambiata per la capocuoca. Anche quando l'Istitu-

to si ampliò e le suore superarono il migliaio, la Superiora Generale

21 Testimonianza di Giardini Giulia, oblata, entrata nel 1912. 22 Testimonianza di suor Anania De Lai, entrata nel 1930. 23 Testimonianza di suor Gerosa Perego, entrata nel 1925. 24 Testimonianza di suor Pasqua Faccioli, entrata nel 1907.

167

continuò ad entrare in cucina, più volte al giorno.

«Nel 1931» scrive una suora «mi trovavo per un po' di tempo nella

Casa Madre. Un giorno entrai in cucina un'ora prima del pranzo, e

trovai, come di consueto, la reverendissima madre Maria che menava

la mestola in una grande pentola ed assaggiava le minestre, trasci-

nando le sue lunghe maniche sopra i vari tegami. «Madre» dissi

«proprio lei qui in cucina a mescolare la minestra ... perché non

manda un'altra?». Con il suo consueto sorriso, la Madre rispose: «E

che ci perdo a far questo? Non sono sempre la Madre? E poi questo è

mio dovere: il lavoro nobilita». Così dicendo, uscivamo dalla cucina,

ed io le andavo pulendo la manica, sporca di minestra. «Lascia stare,

mi disse, che non fa niente».25

A ricreazione

La semplicità e bonomia della Mantovani esplodevano in sana al-

legria, durante la ricreazione.

Queste pause di sollievo e di fraterno ritrovo, che le leggi mona-

stiche saggiamente prescrivono, giovano a distendere i nervi e a ridar

lena allo spirito.

A Castelletto erano desiderate, perché in quei momenti tutte le

suore potevano vedere la Madre e scambiare una parola con lei. Ella

pertanto faceva di tutto per non mancare alla ricreazione, e voleva

che tutte le suore vi prendessero parte.

I suoi modi erano così semplici, così sinceri, da guadagnarsi l'a-

nimo di tutte. A ricreazione si doveva stare allegre, e la Madre usciva

in parole argute e in scherzi piacevoli, che contribuivano grandemen-

te alla comune letizia. Spesso estraeva dalla tasca caramelle e confet-

ti e li distribuiva alle suore,

25 Testimonianza di suor N.N.

168

che l'attorniavano con amore e venerazione. Più che la Superiora Ge-

nerale, appariva in quei momenti «una bambina», circondata da bim-

be affettuose.

«Quando si andava alla ricreazione» confessa una di esse «gode-

vamo vedere la sua semplicità. Mi faceva proprio crescere l'amore

alla preghiera e al sacrificio».26 L'effetto santo conferma la santità di

quelle ricreazioni, trascorse in compagnia della Confondatrice.

In visita alle filiali

Identica serenità diffondeva attorno a sé, allorché la Mantovani

andava a visitare le filiali. In tali occasioni era avvicinata dai sacer-

doti e dalle autorità locali, ma con tutti conservava il suo contegno

modesto, franco, ed aperto.

Non disdegnava le festicciole ch'erano state organizzate in onore

della Madre Generale. Vi presenziava con entusiasmo; assisteva alle

recite dei bambini dell'asilo o ai drammi rappresentati dalle giovani

della parrocchia, e batteva le mani con compiacente partecipazione.

Quando poi andava in mezzo ai bimbi o alle ragazze, sembrava iden-

tificarsi con loro, sebbene non venisse mai meno alla sua connaturale

gravità.

Tutti restavano edificati dal comportamento semplice e buono del-

la Madre Generale; accanto a lei si sentivano migliori.

Elogio riassuntivo

La vita della Confondatrice era, dunque, profumata di umiltà e di

semplicità. La sua indole mite e popolana offri l'argilla adatta; la gra-

zia e l'educazione impartita dal Fondatore

26 Testimonianza di suor Donatilla Donà, entrata nel 1917.

169

le dettero l'impronta: ne uscì il ritratto vivente della Piccola Suora.

Umile e semplice: questa è la fisionomia propria di madre Maria

Mantovani. Tale la riconobbero quanti trattarono con lei quand'era in

vita, tale la ricordano ancora le figlie.

«Della venerata e carissima Confondatrice, madre Maria dell'Im-

macolata, mi è sempre caro ricordare la grande umiltà, che in nulla la

distingueva dalle sue figlie; anzi essa dava l'esempio negli uffici più

bassi, di cucina e di orto, insegnando come si dovevano fare, perché

riuscissero utili e pratici».27

Così ha lasciato scritto una delle tante suore, ed un'altra conferma:

«La nostra venerata Madre Generale era umile e prudente, mite e

semplice, sempre calma e serena; era la personificazione dell'umiltà e

della semplicità, caratteristiche del nostro Istituto».28

27 Testimonianza di suor Borromea Coltro, entrata nel 1906. 28 Testimonianza di suor Angelica Vettori, entrata nel 1899.

170

CAPO SECONDO

IL PROGRAMMA

DELLA PICCOLA SUORA

Quando sorse la Congregazione della suore di Castelletto, il papa

Leone XIII stava diffondendo nella cristianità il culto della Sacra

Famiglia. Due intenti, in particolare, si proponeva il romano pontefi-

ce: mettere la famiglia cristiana, insidiata dalle teorie moderne, sotto

la protezione della Famiglia di Nazareth; presentare un modello per-

fetto di vita domestica.

Le intenzioni del papa furono accolte dal parroco di Castelletto,

don Giuseppe Nascimbeni, che alla Sacra Famiglia consacrò, non

soltanto le famiglie della parrocchia, ma anche la Congregazione re-

ligiosa da lui fondata, e su gli esempi della Famiglia nazaretana im-

prontò lo spirito del nuovo Istituto.

Il modello della Congregazione

Delle Piccole Suore la Sacra Famiglia è titolare, patrona, modello.

Come nella grande cappella della Casa Madre, così nelle filiali, il

gruppo della Sacra Famiglia troneggia su l'altar maggiore. La Sacra

Famiglia è riprodotta sul diritto del medaglione che le suore portano

sul petto. Sul tergo è inciso il loro programma: LA SACRA FAMI-

GLIA - C'INSEGNA - A PREGARE - LAVORARE - E PATIRE -

MEMENTO MORI. «Gesù, Giuseppe, Maria - spiri in pace con Voi

l'anima mia!» è il saluto caratteristico che si scambiano tra loro le

suore.

Pertanto, l'attività di tutta la Congregazione e della singola

171

suora, la vita e la morte, la preghiera, il lavoro, il dolore: tutto è visto

e vissuto nella luce della Sacra Famiglia.

Che questa sia l'impronta data dal Fondatore all'Istituto, lo possia-

mo dedurre ancor oggi dalla legislazione e dalla vita delle Piccole

Suore. Dopo aver precisato il fine generale e particolare dell'Istituto,

le Costituzioni aggiungono:

La Congregazione è posta sotto la protezione della Sacra Famiglia, da cui

prende il nome, e se ne celebra la festa con particolare devozione e solennità. Le

suore si studino di ispirarsi all'esempio della Sacra Famiglia, imitandone le virtù e

propagandone il culto e la devozione tra coloro, coi quali esercitano le opere pro-

prie della Congregazione.1

Di tutte le feste, pertanto, quella della Sacra Famiglia è la più sen-

tita. «È la Festa della Congregazione». A Casa Madre e nelle filiali si

tengono corsi di predicazione, per introdurre ognor più le suore nei

segreti della vita di Nazareth.

La Sacra Famiglia c'insegna ...

Prima di farsi suora, la Mantovani aveva una particolare inclina-

zione per la Sacra Famiglia. In convento, naturalmente, quell'orien-

tamento interiore s'intensificò, e la Sacra Famiglia divenne il modello

di ascesi, cui s'ispirava di continuo la Madre Cofondatrice. Anche

sotto questo aspetto, che è fondamentale per la vitalità dell'Istituto, la

Mantovani fu maestra impareggiabile per tutte le suore, più con l'e-

sempio che con le parole.

Ci resta una pagina intima della Madre, che ne disvela l'anima tut-

ta avvolta nella luce del mistero nazaretano e desiderosa di ricopiarne

gli esempi. Sono i «propositi» fatti nella primavera del 1902, durante

un corso di esercizi spirituali. La vita della Mantovani allora era al

meriggio: stava per compiere quarant'anni, dieci dei quali li aveva

passati in convento.

1 Costituzioni, parte I, c. l, n. 4.

172

In questi santi esercizi, o Gesù mio, rischiarata dalla luce vostra e

confortata dalla vostra grazia, conobbi essere io tanto dissimile da

Voi, vero ed unico modello della vita religiosa. Conobbi essere lon-

tana dagli esempi vostri, caro Gesù, da quelli di Maria vostra Ma-

dre, e di S. Giuseppe vostro Padre putativo. Ma da qui in avanti non

farò più così. Voi soli terrò davanti agli occhi per modellare su Voi

la mia condotta.

Sì, con l'aiuto della vostra grazia, prometto di non tralasciare

nessuna delle mie pratiche di pietà, e quel che è più, di farle bene.

Non basta: cercherò di conservare anche lungo le ore del giorno e

della notte, in mezzo alle mie molte occupazioni, lo spirito di pre-

ghiera. Non lascerò passare una mia azione, senza che prima o nel

mezzo o alla fine non la unisca a quella della Sacra Famiglia. Starò

attenta acciò il demonio non me ne rubi alcuna.

Come il buon Gesù era obbediente ad ogni cenno di Maria SS. e

di S. Giuseppe, così voglio comportarmi con il mio Superiore, ed e-

seguire in giornata tutte le incombenze che mi darà. Non potendo ar-

rivarci, a lui presenterò ancora in giornata le mie scuse.

Come i santi Personaggi vissero per trent'anni nascosti agli occhi

del mondo, fuggendo tutto ciò che poteva arrecare gloria; così cer-

cherò di nascondermi agli occhi del mondo: non solo non cercherò

che altri lodino il mio operato, ma pur venendo lodata, mi guarderò

dal sentirne compiacenza, offrendo a Dio la lode e la gloria.

Gesù, Maria, Giuseppe nella casa di Nazareth, oltre la preghiera

continua e il lavoro (che anch'io guarderò di non trascurare mai),

osservavano ancora grande silenzio. Io pure lungo il giorno cerche-

rò di servarlo, e parlerò solo e tacerò secondo i tempi prescritti dalla

santa Regola, ed unirò questo mio silenzio a quello della Sacra Fa-

miglia. E come Gesù, Maria, Giuseppe mai parlarono male di alcu-

no, così mi guarderò anch'io (sempre che il dovere o la gloria di Dio

non lo richieda) dal dir parola di biasimo per nessuno.2

Messi su la carta i «propositi», la Mantovani li sottopose alla revi-

sione ed approvazione del Fondatore, che postillò in

2 Proponimenti fatti negli esercizi spirituali della primavera 1902.

173

calce: «Più che benissimo. Propositi modello. La Sacra Famiglia te li

benedica come te li benedico io».

... a pregare ...

Il primo insegnamento che ci giunge da Nazareth, è la preghiera.

Da duemila anni le anime amanti dell'orazione si ispirano alla vita

«religiosa», che la Sacra Famiglia conduceva entro le mura della san-

ta Casa.

Là, la preghiera era il respiro e la vita di tutti i momenti. Era risto-

ro e intimità; era generosa dedizione, uniformità alla volontà del Pa-

dre ch'è nei cieli, abbandono filiale alla sua provvidenza, zelo per la

sua gloria. Erano altresì preghiera l'amore e la dedizione di Maria e

di Giuseppe al Figlio di Dio che, per redimere la famiglia umana, era

disceso su la terra, viveva con loro ed obbediva a loro. Tutto quanto

si diceva e si operava nella casa di Nazareth, era preghiera o dalla

preghiera prendeva forza e valore.

La preghiera sta alla vita religiosa come le fondamenta all'edificio.

Non ci può essere vita di consacrazione, senza assidua orazione.

Madre Maria fu un'anima di spiccata interiorità. Era portata, quasi

senza saperlo, alla contemplazione e alla vita mistica. Fin da bambi-

na le riusciva facile pensare a Dio e tenersi unita alla Madonna. Il la-

go sereno, i monti rocciosi o ricoperti di verde, le stelle che palpita-

vano in cielo nelle lunghe sete, le parlavano fortemente di Dio, e la

sospingevano, sino da allora, a cercare in Lui solo il riposo.

Era pure un'anima silenziosa. Nel silenzio infatti e il distacco dal

mondo creano il clima necessario alla coltivazione della vita interio-

re. Si cresce nelle divine intimità nella misura con cui ci si allontana

dalla terra e da se stessi. È stato giustamente scritto che «un'anima

vale per la ricchezza dei suoi silenzi».3

3 A. D. SERTILLENGES, La vita intellettuale, Roma, Studium, 1945, p. 66.

174

Bisogna dire che quelli della Confondatrice fecondi e riposanti, per-

ché la mettevano a contatto con Dio.

Perciò ella amò il silenzio e lo seppe custodire diligentemente.

«Sarò rigorosa nell’osservare e fare osservare il silenzio,4 si pro-

poneva negli esercizi spirituali del 1909, e nell’aprile del 1912 ripe-

teva:

« Voglio stare sopra me stessa per osservare il silenzio e vivere

sempre alla presenza di Dio».5

La vita interiore viene alimentata, tutti i giorni, dalle pratiche di

pietà. Ad esse danno grande importanza gl’istituti religiosi, la cui le-

gislazione prescrive un determinato numero di esercizi spirituali, atti

a mantenere accesa la fiamma interna.

Da tempo la mantovani s’era obbligata a compiere tutti gli esercizi

prescritti, che nei primi anni erano più frequenti e prolungati.6 In se-

guito e a più riprese, durante gli esercizi annuali o nel giorno del riti-

ro mensile, la Madre rinnova il suo impegno.

Con l’aiuto della Sacra Famiglia, prometto di essere diligentissi-

ma nel praticare ogni giorno tutti i più piccoli atti e pratiche di pie-

tà, che contiene la giornata della Piccola Suora della Sacra Fami-

glia.7

Nessun’altra cosa, neppure gli affari della Congregazione doveva-

no essere anteposti all’esercizio comune.8 Se talvolta la

4 Propositi, I, p. 3. 5 I, p. 23. – Altre volte la Mantovani rinnova i propositi che riguardano il silenzio: «Sarò esattis-

sima nell’osservanza del silenzio»: 20 agosto 1911 (ivi,p. 17); «Con l’aiuto di Dio, ad onore di S. Giu-seppe, in questo mese voglio essere esattissima nell’osservanza del silenzio» : marzo 1912 (ivi, p.22).

Suor Giselda Dalle Vecchia, entrata nel 1905, conferma che la Madre «non era di tante parole ma

amante del silenzio e della vita interiore». 6 «Farò di tutto per non tralasciare mai le mie orazioni di regola, e fra giorno dirò frequenti giacu-

latorie» : Proponimenti fatti durante gli esercizi spirituali dell’anno 1885: prop. 8 7 Propositi, I, p.17. 8 «Prometto, con l’aiuto di Maria Immacolata, di non cedere mai alla tentazione di preferire gli af-

fari materiali agli atti di pietà» : maggio1915 (ivi, p.46); «Con l’aiuto della Vergine Immacolata, pro-

metto di essere sempre ordinata nelle mie azioni e non cedere mai alla tentazione di anteporre gli affari alla preghiera: agosto 1915 (ivi, p. 49).

175

Superiora Generale era momentaneamente occupata e non poteva in-

tervenire alla comune refezione spirituale, suppliva dopo, appena era

libera, o addirittura ricorreva ad un orario personale:9 ma la pratica di

pietà andava fatta.10

Voleva essere la prima all'atto comune, e avanti d'entrare in cap-

pella, disponeva lo spirito alla preghiera, perché riuscisse raccolta e

fruttuosa.11 Era sollecita di stare unita a Dio anche durante la giorna-

ta, e le molteplici occupazioni non dovevano distoglierla dall'interio-

re raccoglimento.12

Mantenendosi fedele a questi «propositi», madre Maria Mantova-

ni fece grandi progressi nelle vie dell'orazione. Negli ultimi anni, poi,

la sua anima era di continuo unita a Dio; e il comportamento esterio-

re, sereno e raccolto, edificava grandemente le persone che l'avvici-

navano. Bastava vederla, per aver l'impressione d'essere davanti ad

un'«anima di Dio». Oltre la Sacra Famiglia, la Confondatrice ebbe a

modello nella vita di preghiera il Fondatore, il quale dedicava gran

parte della giornata alle pratiche di pietà. Ad imitazione del S. Curato

d'Ars, il parroco di Castelletto pose la preghiera alla base di tutta l'at-

tività pastorale. Non ostante i gravi impegni di parroco e di fondato-

re, mons. Nascimbeni trovava il tempo per tutti i suoi esercizi quoti-

diani e prendeva parte alle preghiere comuni dell'Istituto. Dicono le

suore che il Padre «era affamato di preghiera». Pregava sempre, in

chiesa e fuori; pregava e faceva pregare quanti l'accompagnavano.

Durante l'itinerario alle case filiali o a qualche santuario della Ma-

donna,

9 «Non trascurerò nessuna pratica di pietà e non potendo, per affari riguardanti l'Istituto, interve-

nire a tutti gli atti comuni, mi farò un orario speciale per trovare il tempo per tutte le preghiere»: otto-bre 1917 (Propositi, II, p. 5).

10 «Propongo ... di non tralasciare nessuna pratica di Pietà»: dicembre 1911 (Propositi, I, p. 19).

Il proposito di non tralasciare alcuna pratica spirituale è ripetuto spesso. 11 «Con la grazia della Sacra Famiglia, prometto di essere sempre la prima agli atti comuni: di

prepararmi bene alla preghiera, per evitare le distrazioni»: dicembre 1912 (ivi, p. 26). 12 «Prometto ... di vivere sempre nell'unione con Dio, sia che preghi, che lavori, o faccia altre a-

zioni»: settembre 1913 (ivi, p. 33); «Con l'aiuto vostro, o Sacra Famiglia e Vergine Immacolata, pro-

metto di fare con molta fede e raccoglimento tutte le preghiere di regola, e di stare sempre unita a Dio

lungo la giornata per mezzo delle giaculatorie e raccoglimento»: febbraio 1918 (Propositi, II, p. 15).

176

egli prendeva la corona in mano, e si recitavano rosari su rosari.

Sembrava che la preghiera gli fosse essenziale quasi quanto l'aria.

La Mantovani ebbe dunque quest'ottimo maestro nella scienza

dell'orazione. A sua volta, divenne maestra alle figlie.

Se una differenza c'era tra la preghiera del Padre e della Madre,

essa riguardava il modo. La preghiera del Padre era vocale e attiva;

quella della Madre era più silenziosa e passiva. La diversa indole del

Fondatore e della Confondatrice si rivela, con evidenza, nella loro vi-

ta d'orazione.

Il Padre eccelleva nel moltiplicare le devozioni e gli esercizi, sen-

za dar segno di stanchezza; anzi, quanto più pregava, tanto più pren-

deva gusto alla preghiera, e diventava rosso per il grande fervore.

Sembrava che la preghiera gli dilatasse cuore e polmoni, e gli facesse

bene anche al fisico.

La Madre era più calma nei suoi rapporti con Dio e la Madonna.

Si faceva vedere da loro così com'era. Parlava a loro con naturalezza,

«come una bambina». Usciva, dall'orazione, irrorata dalla grazia, che

le splendeva sul volto sereno e negli occhi buoni. Se la Mantovani

conservò l'innata semplicità anche negli anni in cui fu a capo di un

grande Istituto, lo si deve alla sua vita di preghiera. Era talmente

«semplice» con Dio, che non poteva non esserlo con gli uomini.

La preghiera del Padre rassomigliava ad una traversata, compiuta

a forza di braccia, superando scogli e marosi. La Madre, invece, si te-

neva stretta all'azione della grazia, sia quando il mare era tempestoso

che nei giorni di bonaccia.

E giunsero entrambi in porto, insegnando con l'esempio alle figlie

che tanto nelle vie della santità come nelle grandi realizzazioni apo-

stoliche, il mezzo più valido è la preghiera.

177

...lavorare ...

Madre Maria lavorò alacremente fin da ragazza. La casa, la chie-

sa, i campi erano il teatro delle sue molteplici occupazioni. Dovendo

fare molte cose, imparò a disbrigarsi con spigliatezza e bene. Già da

allora sapeva organizzare la giornata e faceva ogni cosa nel tempo

assegnato.

Col passar degli anni la Mantovani si perfezionò pure come lavo-

ratrice. Continuò ad interessarsi della parrocchia anche da suora. Pu-

liva la chiesa, rinnovava i fiori e la biancheria degli altari, insegnava

il catechismo, curava le associazioni femminili, sorvegliava i ragazzi

durante le sacre funzioni, e visitava gli ammalati del paese. In con-

vento faceva un po' di tutto. Abbiamo già parlato dell'orto e della cu-

cina, per mettere in risalto le preferenze della Confondatrice per le

occupazioni umili, ma poi si offriva a dare il suo aiuto ovunque ce ne

fosse stato il bisogno e per qualsiasi faccenda. Non aveva particolari

specializzazioni, eppure Riusciva nelle diverse attività quanto una

diplomata.

Nei primi tempi della Congregazione, quando veniva aperta una

nuova filiale, la Madre accompagnava le suore designate e rimaneva

con loro alcune settimane, per insegnare come bisognava fare. Pure

in seguito, allorché visitava le numerose case dell'Istituto, la Madre

Generale non stava con le mani in mano. Le dispiaceva restare ferma

a guardare mentre, attorno a lei, le suore lavoravano. E si prestava,

secondo il bisogno, ora a preparare la chiesa per la festa, ora a mette-

re avanti la cucina,13 ovvero andava al pozzo per l'acqua.

13 Riportiamo, a scopo esemplificativo, quanto scrive suor Coletta Gelfi, entrata nel 1912: «Dopo il

noviziato la santa obbedienza mi mandò a Brugherio, in provincia di Milano, dove le suore tenevano un convitto per operaie della filanda. Vennero il venerato Padre e la Madre Generale in visita. Era un avve-

nimento per tutte; superiora e suore, ad una ad una, eravamo libere di andare dal Padre per esporre i no-

stri bisogni e i nostri desideri. Andò prima la superiora e noi aspettavamo tutte il nostro turno. La cara Madre Generale, previdente in tutto ... si fece dare un grembiule e si mise a preparare il pranzo per le

operaie e per noi, continuando il lavoro finché ci vide occupate».

178

Qualcuno restava sorpreso che la Generale, quando arrivava, si of-

frisse per lavori così umili; ma la Madre non dava ascolto e tirava

avanti con grande naturalezza. Sembrava giunta lì apposta per darsi a

quelle occupazioni.

Se poteva sbrigare un lavoro da sé, non chiedeva aiuto. Molto me-

no si tirava indietro, se c'era da affrontare una fatica. Per il fatto d'es-

sere la Madre Generale, non si credeva dispensata dall'eseguire quan-

to avrebbe eseguito l'ultima suora.

Una volta - narra suor Gennara Chirico - salivo le scale per andare in dormito-

rio dalla parte del guardaroba. Vedo scendere una tavola assai grande e pesante.

Guardai sotto la tavola per vedere chi portava quel peso. Era la nostra madre Maria

che, postasi sotto la tavola, la trasportava con la schiena piegata per farsi forza. lo

le dissi: «Madre, che cosa fa? trasportare un peso simile da sola!». Chiamai aiuto

perché da sola non ero capace.14

La Cofondatrice lavorava molto e lavorava bene. La Sacra Fami-

glia era il suo modello; il Fondatore, per molti anni, il suo maestro.

Dal Padre, che «chiamava suoi padroni il Crocifisso e l'orologio15 - il

Crocifisso da servire, l'orologio per servirlo - la Madre apprese la

stima del tempo.

Propongo in questo mese di non perdere un minuto di tempo: di-

cembre 1911;16

Con l'aiuto della Sacra Famiglia, propongo di non perdere una

briciola di tempo: aprile 1913;17

Prometto con l'aiuto vostro, caro Gesù, di far tesoro del tempo:

dicembre 1917.18

Per non sciupare il tempo, occorre ordinare bene la propria giorna-

ta e fare ogni cosa secondo un orario prestabilito.

14 Testimonianze di suor Gennara Chirico, entrata nel 1912. 15 GIUSEPPE TRECCA, Mons. Giuseppe Nascimbeni, p. 107. 16 Propositi, I, p. 19. 17 Ivi, p. 30. 18 Propositi, II, p. 14.

179

Nei conventi si fa molto e con perfezione nella misura in cui vengo-

no osservati gli orari. A Castelletto tutto veniva eseguito con grande

ordine, sotto la direzione del Fondatore che, come dicono le suore,

«spaccava il minuto».

Nondimeno, l'anelito alla perfezione sospingeva la Madre ad orga-

nizzare sempre meglio la giornata e nei suoi «propositi» vi torna so-

pra di frequente.

Con l'aiuto della Sacra Famiglia, prometto di usufruire bene del

tempo col fare tutto a tempo e luogo e con ordine, recitando frequen-

ti e fervorose giaculatorie. Sacra Famiglia, aiutatemi a farmi santa:

20 agosto 1914;19

Con l'aiuto della Sacra Famiglia e della Vergine Immacolata,

pro-metto di essere puntuale nel fare quanto mi impongo nella gior-

nata ed esattissima nelle Piccole cose, col fare tutto a suo tempo: lu-

glio 1915;20

Con l'aiuto della Sacra Famiglia e di Maria santissima Immaco-

lata, prometto di organizzarmi meglio e di fare ogni cosa al suo tem-

po, farla con la massima tranquillità; e fino a che faccio un'azione,

non debbo pensare ad altro, per poter fare tutto bene e dar gusto a

Gesù: marzo 1915.21

La puntualità della Confondatrice cominciava dalla levata del

mattino,22 che veniva piuttosto anticipata che posticipata.23 Il desiderio

di fare tutto al tempo debito e bene induceva la Superiora a stabilire,

per iscritto, quanto avrebbe fatto il giorno seguente.24 19 Propositi, I, p. 39. 20 Ivi, p. 48. 21 Ivi, p. 43. Il Padre postilla: «Brava!». 22 «Sarò prontissima al campanello della levata»: primavera 1909 (ivi, p. 3); «Voglio essere pron-

tissima alla levata»: febbraio 1913 (ivi, p. 28). 23 «Con l'aiuto della Sacra Famiglia, prometto di essere prontissima alla levata, di anticipare piut-

tosto che posticipare»: gennaio 1914 (ivi, p. 36). Il Padre osserva: «E non dici neppure una parolina,

quando andrò a letto». 24 «Propongo ... di stabilire il giorno avanti quello che farò il giorno seguente, e metterlo in iscrit-

to»: ottobre 1911 (ivi, p. 18).

180

La Mantovani aspirava alla santità. Non solo curava la perfezione

materiale ed esterna delle sue azioni, voleva altresì che fossero sante

le disposizioni d’animo con cui operava. Per meglio riuscire

nell’intento, faceva sue le intenzioni dei tre Personaggi di Nazareth

ed offriva a Dio il proprio lavoro in unione al lavoro della Sacra Fa-

miglia.

Non lascerò passare una mia azione, senza che prima o nel mezzo

o alla fine non la unisca a quelle della Sacra Famiglia.25

Ad imitazione delle anime veramente pie, madre Maria operava

con grande fede e fervore;26 ed era sollecita di rinnovarsi continua-

mente nel santo servizio di Dio.27

E’ stato scritto che, nel cristianesimo, «il lavoro è accettato come un

obbligo e praticato come una virtù. E’ un mezzo per guadagnarsi il

riposo, in certo modo, l’usufrutto eterno, in seno a Dio». Anche per

la Mantovani il lavoro andava accettato con gioia e adempiuto con

zelo, perché, lavorando cristianamente, si dà gusto al Signore e si

merita il cielo. In uno degli ultimi «propositi» che ha lasciato, diceva:

Con l’aiuto vostro , caro Gesù, prometto di far tesoro del tempo,

procurando che ogni azione piaccia al Signore e sia degna di ricom-

pensa eterna

Con questi ideali, perfezionati man mano che saliva verso

25 Proponimenti della primavera 1902 26 «Prometto con la grazia di Dio di essere diligentissima nel fare le cose piccole, e le farò col

massimo fervore, pieno di fede» : aprile 1914 (Propositi, I. p. 38); «Con l’aiuto della Sacra Famiglia e

della Vergine immacolata, farò che tutte le ore del giorno siano piene di azioni, che piacciono a Gesù, che meritino la sua benevolenza, il suo gusto» : luglio 1917 (Propositi, II,p. 1).

27 «Con l’aiuto della Sacra Famiglia, ogni mattina rinnoverò il mio spirito per fare sempre con fer-

vore ogni cosa» : giugno 1910 (Propositi, I p. 15); «Prometto di rinnovarmi ogni momento nello spirito e di mantenermi sempre fervorosa, come fosse il tempo degli esercizi» : febbraio 1914 (ivi, p.37);

«Ogni giorno mi rinnoverò nel fervore, tenendo sempre lo spirito pronto ad operare con ilarità e pron-

tezza» : ottobre 1912 (ivi, p. 26). 28. IGINO GIORDANI Il messaggio sociale dei primi Padri, Torino, S. E. I., 1939, p.207. 29 Propositi,II, p. 14

181

le vette della santità, la Confondatrice delle Piccole Suore della Sacra

Famiglia ha lavorato indefessamente, nel mondo e nel chiostro. Smi-

se soltanto verso la fine del gennaio dell'anno 1934. Mancavano po-

chi giorni al premio eterno.

… e patire

Del dolore, su la terra, ce n'è per tutti; ma ben pochi sanno soffri-

re. Eppure tutti siamo chiamati, prima o poi, a frequentare la scuola

di questo educatore austero.

Senza dolore, si continua a ripetere, nulla si fa di valido e duratu-

ro. Anche le vette luminose della santità vengono raggiunte attraver-

so tappe laboriose, contrassegnate da oscurità e purificazioni. Se poi

alcuno è chiamato a grandi cose, deve sottoporsi a più dure prove. La

prosperità delle istituzioni religiose, di solito, offre la misura delle

sofferenze cui andarono incontro i fondatori.

Vista in questa luce, la Congregazione delle Piccole Suore della

Sacra Famiglia testimonia la vita «dolorosa» di madre Maria Manto-

vani. Ella infatti, come tutte le grandi fondatrici, ebbe a soffrire mol-

to: è la legge inderogabile d'ogni maternità. Incomprensioni, critiche,

minacce, persecuzioni, distacchi da persone care, isolamento, pene

interiori ... la Madre affrontò tutto con animo sereno, con illimitata

fiducia in Dio.

Seppe dunque soffrire. Se da principio era lei ad imporsi penitenze

ed a scegliere quanto maggiormente ripugnava alla sua natura, in se-

guito, fortificata dalla confidenza e dall'amore, riusciva ad accettare

pene ben più grandi, che la Provvidenza le mandava. Nel luglio del

1909 scriveva sul taccuino dei «propositi»:

Caro Gesù: ho sperimentato quanto sia dolce e soave abbando-

narmi tutta in Voi. Aiutatemi a farlo sempre. Prometto di pregare

sempre con grande confidenza, di amarvi tanto, di abbandonarmi in-

teramente in Voi per ciò che riguarda la mia perfezione, la perfezio-

ne delle mie suore, e

182

tutti gli affari e industrie dell'Istituto, non prendendomi nessun pen-

siero, sicura che Voi provvederete bene a tutto. In Te, Domine, spe-

ravi: non confundar in aeternurn!30

L'abbandono in Dio nelle avversità fu una conquista dello spirito,

che impegnò madre Maria per più anni. I «propositi» v'insistono, e

con ogni probabilità anche il Fondatore guidava la Madre in quella

direzione. Sembra che ella abbia dovuto lottare a lungo per condurre

la sua natura, schiva e alquanto timida, alla santa indifferenza delle

anime eroiche. Nel settembre del 1909 prometteva:

Con l'aiuto della Sacra Famiglia, starò attenta a non mancare

mai di confidenza in Dio. Anche nei casi Più difficili, mi sforzerò di

conservare la massima confidenza. Mancando, me ne accuserò per

iscritto al mio reverendo Padre. La Sacra Famiglia mi aiuti:31

La confidenza in Dio, la calma e la tranquillità di fronte a qualun-

que prova il Signore volesse inviarle, sono ancora l'oggetto dei pro-

positi del novembre e gennaio successivo. Nel mese di febbraio la

Mantovani rivela la via che ha seguito onde ottenere il totale dominio

su di sé, di fronte a qualunque avversità. È la via della fede e dell'ab-

bandono in Dio, la quale ci disvela un'anima molto progredita nell'o-

razione; ed è altresì l'atteggiamento più connaturale allo spirito del

nostro personaggio.

Vivrò come una bambina abbandonata nelle mani di Dio, lasci-

ando a Lui la cura della mia santificazione e quella dell'intero Istitu-

to, compresa l'approvazione del medesimo,32 Con questo scopo farò

le mie

30 Propositi, I, pp. 6-7. 31 Propositi, I, p. 9. 32 L'Istituto non aveva compiuto i 18 anni. Pochi mesi dopo lo scritto della Confondatrice, il 26

agosto 1910, esso veniva approvato dalla santa Sede con il «Decreto di lode».

183

preghiere, Piene di fede e di confidenza in Dio, come il bambino con

la propria mamma; e dopo questo vivrò in pace, sicura che otterrò

quanto spero e domando.33

Conquistata la tranquillità dello spirito, madre Maria la diffondeva

attorno a sé, in virtù d'un misterioso contagio. Bastava vederla nei

momenti più difficili per la Congregazione, che ci si sentiva dilatare

il cuore e si aveva fiducia.

Messa a capo d'un Istituto nascente, durante più di quarant'anni di

governo, la Mantovani dovette patire afflizioni e risolvere situazioni

intricate. Si manteneva calma e serena in tutti gli avvenimenti, ed e-

sortava le suore ad avere confidenza in Dio.

«Voler di Dio» diceva, «facciamo la volontà di Dio, «in paradiso

non ci si va in carrozza»,34 «volontà di Dio, ciapémola [facciamola]

tutta»:35 e intanto si rifugiava nel Signore con la preghiera e conser-

vava la sua abituale tranquillità.

Allorché fu decisa l'erezione dell'infermeria presso la Casa Madre

per le suore malate, fu necessario superare molte contrarietà. Si cercò

d'arrestare la costruzione, e una volta ultimata l'infermeria, non si vo-

leva che fosse abitata. A capo dell'opposizione s'era messo il podestà

del paese, il quale aveva uno straordinario terrore dei microbi e delle

infezioni.36 Egli temeva che, portando le suore malate sul pendio del

monte ove sorgeva l'infermeria, i microbi sarebbero scesi a valle,

verso il lago, e gli avrebbero invasa la villa. Fece di tutto, dunque,

perché ciò non avvenisse; e quando credete perduta la causa, invocò

l'intervento del medico provinciale. Questi compariva spesso a Ca-

stelletto, quasi ogni settimana, per eseguire sopralluoghi e ispezioni...

33 Propositi, I, pp. 13-14. 34 Testimonianza di suor Tullia Tamellini, entrata nel 1909. 35 Testimonianza di suor Allodia Buffoni, entrata nel 1909. 36 I microbi c'erano e anche l'infezione, ma di altra natura. Proprio per le preghiere e mortificazioni

prolungate delle suore, il povero infetto ne fu liberato, poco prima di morire, nel ravvedimento finale. A

quel modo le suore riportavano doppia vittoria.

184

Le suore furono importunate a tal punto che, ad un certo momento,

portarono le malate a Negrar.

Ad affrontare l'incresciosa vicenda c'erano la Madre Generale e la

sua vicaria suor Fortunata Toniolo. Questa, di natura più ardente ed

impetuosa, si sdegnava, perdeva la pace, poi, prevedendo il peggio, si

lasciava prendere dall'abbattimento.

Madre Maria, invece, era «tranquillissima»: confidava in Dio e

nella Vergine Immacolata di Lourdes. «Mi me sento in una bote de

fèro»,37 andava ripetendo nella congiuntura. E quando la vicaria era

maggiormente sconfortata, perché pareva che i nemici dell'Istituto

avessero vinto la battaglia, la Madre l'animava bonariamente: «Va là,

cara ti, el Signor è Più bravo de tuti»,38

Dopo un anno, infatti, da Negrar le malate tornarono a Castelletto

e non vennero più disturbate.

L'insegnamento impartito a colei, che le sarebbe succeduta nel

governo della Congregazione, era sommamente prezioso proprio

perché veniva dall'esempio. Durante la lunga e non facile vita, la

Confondatrice aveva insegnato alle sue suore come bisogna affronta-

re la «sofferenza».

Il dolore ha mille volti, e spesso giunge all'improvviso. Ma quan-

do si confida nella Provvidenza e nella Madonna, quando si ricorre a

Dio come fa «il bambino con la propria mamma», si può stare tran-

quillissimi, assicura madre Maria, come «dentro a una botte di fer-

ro».

Memento mori

Dal Fondatore la Mantovani prese l'abitudine di pensare spesso al-

la morte.

Don Giuseppe Nascimbeni si rese familiare il pensiero della

37 Testimonianza di suor Allodia Buffoni. 38 Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta.

185

morte,fin da quando era in seminario. Entrò in Castelletto, quale vi-

cario cooperatore, il 2 novembre 1877: il primo incontro col nuovo

gregge avvenne al camposanto, vicino alle tombe dei parrocchiani

defunti. Al cimitero era solito andare di buon mattino, quasi tutti i

giorni, e s'intratteneva a fare la meditazione nella millenaria chiesa di

S. Zeno.39 «La morte volle, dunque, che fosse anche l'assidua ispira-

trice ed ammonitrice delle sue figlie, sicuro che n'avrebbero tratto

giovamento».40

Affinché la salutare lezione rimanesse più impressa nell'animo

delle suore, il Fondatore ricorse a scene drammatiche, atte a impres-

sionare la fantasia. Durante il primo anno della fondazione, il Padre

ordinò alla Mantovani di chiudersi in camera e di preparare per il

giorno di ritiro un fantoccio, che riproducesse le sembianze della

Piccola Suora. «Noi non sapevamo niente» dichiara suor Agnese

Brighenti. «Finita la colazione, il Fondatore ci fece entrare nella cap-

pellina. Quale spavento vedere quella suora distesa sul cataletto, con

quattro candele accese! ... Il Padre ci fece la meditazione su la morte

... La cappella tutta buia faceva ancor più impressione». Lo spettaco-

lo «fu rinnovato ancora per un altro mese, poi basta in questa manie-

ra».41

Fu smessa la scena macabra, ma non la lezione sulla morte; della

quale, anzi, il Fondatore parlava spessissimo, affinché le sue figlie

spirituali imparassero a vivere bene, onde meritare di ben morire.

39 «S. Zeno la solitaria chiesa del cimitero, con la strana pianta a due navate, parrebbe più antica del

secolo XI; sorse evidentemente al posto di un tempi etto pagano, di cui son vestigi e due capitelli di

pario, e una coppa d'idolo, con l'ara nel mezzo... Affreschi del 1200, con episodi di Giovanni, ornati e sacrifici del ciclo catacombale, la rendono interessante per la storia dell'arte; il severo campanile sor-

montato dall'oselet che dà il nome alla Chiesa, è il faro per ogni buon Castellettano, il richiamo per le

suore che vi riposano accanto»: GIUSEPPE TRECCA, Sei Novembre 1892- 1917, p. 3. - Vedi anche: ANTONIO PIGHI, Castelletto di Brenzone sul Garda. Notizie storiche, Verona, G. Marchiori, 1908,

pp. 11-12. 40 GIULIO DALDOSS, Mons. Giuseppe Nascimbeni, p. 191. 41 Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, II, pp. 17-18.

186

La Madre Cofondatrice fu docilissima nell'apprendere l'insegna-

mento paterno, come possiamo arguire dai «propositi».

Voglio fare ogni cosa come prossima preparazione alla morte:

febbraio 1912.42

Con l'aiuto della Sacra Famiglia, voglio fare con la massima per-

fezione ogni mia azione come se fosse l'ultima della vita, indirizzan-

dola alla gloria di Dio, affinché il resto dei miei giorni siano Pieni di

opere buone: agosto 1913.43

Con l'aiuto della Sacra Famiglia e della Vergine Immacolata,

prometto di fare ogni mia azione con esattezza e puntualità, specie

nelle cose Piccole. E tutto questo, per arrivare all'intima unione con

Dio e per apparecchiarmi alla morte: settembre 1916.44

Anche le suore dovevano pensare sovente alla morte. Tramite la Ma-

dre, gli avvertimenti del Padre erano trasmessi alle figlie. In partico-

lare, il ricordo delle suore scomparse offriva a madre Maria lo spunto

per esortare alla generosità le viventi.

Quante vite miete la morte! Nel nostro Istituto quest'anno, nello

spazio di soli 38 giorni, il Signore chiamò a sé tre carissime nostre

sorelle ... Davanti a queste tre bare, tutte vi invito a fare delle serie

riflessioni, a vantaggio delle vostre anime. Impariamo, carissime, a

distaccarci da tutto e da tutti, a vivere solo con Gesù e per Gesù ...

Bellezze, onori, ricercatezze, bel sapere, tutto svanisce e come per

incanto ... Quanta delusione, carissime! Qui in Casa Madre siamo in

continua meditazione sulla morte. Come tutto passa quaggiù! Come

in un lampo tutto finisce!45

42 Propositi, I, p. 21. 43 Ivi, p. 32. 44 Ivi, p. 54. 45 Circolare del 21 marzo 1928.

187

E poiché «tutto passa quaggiù» e «tutto finisce», la Piccola Suora,

sorretta dalla fede, s'impegna a vivere santamente, pregando, lavo-

rando, soffrendo, dietro gli esempi ed in unione alla Sacra Famiglia,

Vivendo giorno per giorno il programma della Piccola Suora, la

Madre Cofondatrice poteva rivolgere autorevolmente la sua parola

alle figlie: «Pregate» diceva loro «specialmente perché Gesù ci dia la

grazia di vivere e morire da sante, modellando la nostra vita, ogni

giorno più, sugli esempi della nostra cara Sacra Famiglia».46

46 Circolare del l0 gennaio 1916.

188

CAPO TERZO

LE DEVOZIONI

Parlare delle «devozioni» di un'anima consacrata a Dio è descri-

verne la fisionomia spirituale, è svelarne gl'ideali intimi che l'aiuta-

rono a superare se stessa e ad operare santamente.

Ogni istituto ha le «sue» devozioni. Esse possono trarre origine

dal momento storico in cui sorge l'istituto o dalle specifiche finalità

che l'istituto si propone, e più spesso fioriscono dalla spiritualità dei

fondatori, che trasmettono il proprio orientamento interiore ai figli e

alle figlie spirituali.

Il Fondatore e la Confondatrice delle Piccole Suore di Castelletto

sul Garda furono «devoti» della Sacra Famiglia, del SS. Sacramento,

della Madonna, di S. Giuseppe.

Sarebbe vano istituire raffronti tra il Padre e la Madre, per sapere

in che misura e con quali sfumature ciascuno coltivava il proprio

mondo interiore. Certo, anche sotto questo punto di vista si può ripe-

tere quanto è stato giustamente rilevato: «erano santi tutti e due, ma

in maniera diversa».1 Mons. Nascimbeni eccelleva nella devozione al

Santissimo; madre Mantovani coltivava, con spiccata predilezione, il

culto della Madonna, in particolare della Madonna Immacolata di

Lourdes.2

Più che di contrasti o divergenze si deve parlare d'integrazione.

Qui, più che altrove, il Fondatore e la Confondatrice,

1 Testimonianza di suor Amedea Dal Zotto. 2 Dei rapporti «filiali» di madre Maria verso la Madonna Immacolata si parlerà più avanti, nella

parte sesta del volume.

189

che Dio aveva uniti per una comune grandiosa opera, si completaro-

no a vicenda. Dalla loro vita interiore, intensamente vissuta, sono

sgorgate le «devozioni» delle Piccole Suore di Castelletto.

La Sacra Famiglia

È la devozione dell'Istituto per eccellenza. Esso infatti si propone

primieramente di onorare la Sacra Famiglia e di ricopiarne gli esem-

pi, e s'impegna a diffonderne il culto tra i fedeli. Le Costituzioni dàn-

no rilievo a questa finalità dell'Istituto e ne fanno oggetto di partico-

lari prescrizioni:

La principale devozione della Congregazione sia quella della Sacra Famiglia,

alla quale le suore devono mirare per avere l'ispirazione della vita religiosa; l'e-

sempio della Sacra Famiglia sia come il programma di personale santificazione e

di azione di carità verso il prossimo.

Le suore si studino di promuovere la devozione della Sacra Famiglia anche tra

le persone secolari, specialmente come esemplare di ogni famiglia cristiana, fe-

steggiandone con solennità la ricorrenza; ove sia possibile, nelle case della Con-

gregazione un mese intero si consacri in suo onore con pubbliche pratiche di pietà,

col consenso dell'Ordinario del luogo.3

Attorno agli augusti misteri della Sacra Famiglia la Piccola Suora

concentra la sua vita interiore e il suo apostolato. Entrando in chiesa

di buon mattino, si prostra a terra e assieme con le sorelle, «a voce

alta e unisona», dice: «O Sacra Famiglia, fatemi la grazia di vivere e

morire nella fedeltà più perfetta al vostro santo servizio».4 Così tutti i

giorni, così tutta la vita.

Di questo «santo servizio» la Casa Madre offre l'esempio. Le cro-

nache del Nazareth, di anno in anno, elencano le iniziative prese du-

rante il mese di gennaio, consacrato alla

3 Costituzioni, parte I, c. 13, nn. 140-141. 4 Direttorio dell'Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia di Castelletto di Brenzone (Vero-

na), Castelletto di Brenzone, Tip. interna dell'Istituto, 1944, p. 8.

190

Sacra Famiglia; in particolare descrivono i tre giorni predicati e la fe-

sta, che viene celebrata con grande solennità.

Vivente mons. Nascimbeni, era lui l'animatore di tutto questo cul-

to, in parrocchia e nell'Istituto: la Mantovani lo seguiva con docilità e

trasporto. Quando venne a mancare il Fondatore, ella continuò a ze-

lare il culto della Sacra Famiglia, tanto presso la Casa Madre che nel-

le filiali.

Sulla bocca

La Madre Cofondatrice, dicono, nominava spesso la Sacra Fami-

glia, e spesso l'ha presente nei suoi scritti. Alla Sacra Famiglia affida

i «propositi», che ordinariamente cominciano con queste parole:

«Con l'aiuto della Sacra Famiglia, prometto... » La Sacra Famiglia è ricordata di frequente nelle lettere circolari.

Nella testata, anzi tutto, che invariabilmente ripete: «Carissime nella

Sacra Famiglia». Nel corpo dello scritto, ove le suore sono esortate

alla pratica delle virtù religiose, dietro gli esempi luminosi della Fa-

miglia di Nazareth. Alla fine, con tono materno, nella parte augurale:

«La Sacra Famiglia vi benedica»; «Davanti a Gesù, Maria, Giuseppe

invoco per tutte la santa benedizione»; «Implorandovi dalla Sacra

Famiglia le più elette benedizioni, vi assicuro delle mie povere pre-

ghiere»; «Lasciandovi nelle braccia di Gesù, Maria, Giuseppe, crede-

temi affezionatissima Madre»; ecc.

Anche nelle lettere private e nei bigliettini inviati alle singole, o

nelle postille fatte ai «propositi» che le suore sottopongono alla revi-

sione della Madre, la Sacra Famiglia è nominata continuamente.

Sembra che la Madre Generale non trovi un mezzo più atto ad infon-

dere coraggio nell'animo delle figlie, che nominando la Sacra Fami-

glia, nel cui nome consola, esorta, e benedice.

Ad imitazione del Fondatore, madre Maria invitava le suore a

promuovere il culto della Sacra Famiglia e ne dava lei stessa

191

l'esempio, poiché era sollecita nell'abbracciare quelle iniziative che

potevano concorrere al comune intento.

Vi mando una bellissima novena alla Sacra Famiglia che, cominciando da

quest'anno, verrà letta in preparazione alla sua festa e con grande fervore ... Pro-

movete, Più che sia possibile, la devozione alla Sacra Famiglia anche in mezzo ai

secolari, alla gioventù, agl'infermi?5

Nella vita

Ma ciò che stava più a cuore alla Madre Generale era l'imitazione

delle virtù, che mirabilmente risplendettero tra le mura della santa

casa di Nazareth; e pertanto scriveva:

Carissime nella Sacra Famiglia:... Ricordatevi che voi dovete

pregare, lavorare, faticare, operare per dar gloria alla Sacra Fami-

glia, per dar gusto alla medesima, per meritare il paradiso ... Pas-

siamo fevorosamente tutti i mesi del nuovo anno, in particolare il

primo che è quello consacrato alla Sacra Famiglia, nostra speciale

Patrona. Onoriamola con la preghiera, ma in modo speciale con la

imitazione delle virtù, di cui Essa ci diede l'esempio, e che sono:

l'obbedienza, la povertà, i patimenti di Gesù Bambino; la preghiera,

il silenzio, il lavoro, la vita di sacrificio di Maria e di Giuseppe. Se

imiteremo questi divini esemplari, santificheremo bene questo mese,

glorificheremo la Sacra Famiglia e ci faremo sante anche noi.6

L'imitazione delle virtù che rifulsero in seno alla Sacra Famiglia, è

dunque la maniera più appropriata per rendere a lei onore; ed è altresì

la via più sicura, battendo la quale le figliuole raggiungeranno que-

gli’ideali, che le hanno indotte a lasciare la famiglia terrena, per ar-

ruolarsi tra le file delle Piccole Suore della Sacra Famiglia.

5 Circolare del 17 ottobre 1932. 6 Circolare del 27 dicembre 1919.

192

Era la via che la Cofondatrice stava percorrendo con entusiasmo

da alcuni decenni, dietro le orme del servo di Dio mons. Giuseppe

Nascimbeni, padre e maestro della sua anima.

Il SS. Sacramento

Amatissimo Padre, le dico il vero: non cederei questi quindici me-

si, passati in questa santa Casa, con i trent'anni che ho trascorsi nel

secolo. 7

Una delle principali ragioni che inducevano la Mantovani ad e-

sprimersi in quella maniera era data dal fatto che, nel piccolo con-

vento, c'era la cappella e nella cappella si conservava perennemente

il Santissimo. Innumerevoli volte era venuta lì, ai piedi dell'altare, a

tu per tu con l'Ospite Divino. Lì, aveva superato le difficoltà incon-

trate nell'ardua via intrapresa; tra quelle anguste mura, nell'intimità

della preghiera, il Signore le aveva dato quelle gioie sensibili, che

suole concedere alle anime novizie, chiamate ad una eminente santi-

tà.

Nel mondo

Anche nella chiesa parrocchiale Gesù sacramentato s'era fatto sen-

tire più volte, durante i trent'anni che la Confondatrice aveva trascor-

si nel mondo. La chiesa infatti era diventata il centro della vita affet-

tiva della giovane, proprio perché era l'abitazione del Signore. Ella

andava spesso da Lui, possibilmente tutti i giorni, come abbiamo vi-

sto; e a Lui diceva tutto: le difficoltà e le umiliazioni incontrate, il ti-

more di non riuscire ad essere sua, tutta sua, la gioia d'aver scelto Lui

per sempre. Oh, le ore deliziose passate, da sola, davanti al taberna-

colo della chiesa parrocchiale!

7 Lettera al Padre Fondatore, scritta l'11 marzo 1894.

193

Ma la giovane non poteva sostare a lungo. A casa l'attendevano i la-

vori; poi c'erano Andrea e Maria che spesso si lagnavano con la

mamma, perché la Meneghina perdeva troppo tempo in chiesa, men-

tre - a sentir loro - a casa c'era tanto da fare. La maggior parte della

giornata affaccendata era trascorsa, quindi, lontano da Lui. Solo di

quando in quando, affacciandosi alla finestra od uscendo sull'aia, la

Mantovani scorgeva il campanile e la vecchia chiesa ottagonale.

Spontaneamente, per una cresciuta propensione, il pensiero penetra-

va quelle pareti, consacrate dalle preghiere di tante generazioni e so-

prattutto dalla presenza plurisecolare del Figlio di Dio fatto uomo ...

e subito il cuore s'apriva al colloquio sospeso poche ore prima, o an-

ticipava quello della sera, allorché la Mantovani sarebbe scesa per il

rosario e la benedizione.

In convento

Adesso tutto era cambiato. Quand'era nel mondo, era lei ospite

nella casa del Signore; ospite assidua ed affettuosa, ma sempre ospi-

te. Ora, invece, era Gesù l'ospite desideratissimo nel piccolo conven-

to. Da quando madre Maria ne aveva preso possesso assieme con le

prime tre suore, Gesù era venuto da loro, sotto lo stesso tetto, e non

le aveva più lasciate.

La cappellina era dunque a pochi metri dalla sala di lavoro e di ricre-

azione, dal refettorio, dalla cella occupata dalla superiora. Bastava

fare alcuni passi, varcare quella soglia, e si era davanti a Lui che le

aspettava, lei e le sorelle: era lì per loro.

Chi, pertanto, poteva considerarsi più ricco, sebbene nel conventi no

ci fosse tanta penuria, chi più felice? Perciò, scrivendo a chi l'aveva

portata tra quelle mura fortunate, la Mantovani s'esprimeva così:

Amatissimo Padre, le dico il vero: non cederei questi quindici me-

si, passati in questa santa Casa, con i trent'anni che ho trascorsi nel

secolo.

194

Giardiniera e sagrestana

Tra le varie mansioni affidate a madre Maria, c'erano anche quelle

di giardiniera e sagrestana, giardiniera perché sagrestana. E ci teneva

a far crescere nell'orto del convento fiori belli, di diverso colore e

profumo, appunto perché al tempo giusto li avrebbe messi davanti al

Santissimo. A queste occupazioni, che esercitava fin da giovanetta, la

Mantovani rimase affezionata per tutta la vita. Ed era, anche questo,

un esercizio di amore.

Cercherò di mettere fiori sempre freschi accanto al divin Tabernacolo: e inten-

derò che, come io metto al suo altare gigli, rose, viole, ecc., così Lui rivesta il mio

cuore delle virtù simboleggiate in quei fiori, i quali, lungo il giorno, parleranno

per me. Questo è il patto che faccio con Gesù mettendo i fiori ...8

Durante la giornata madre Maria cercava di praticare le virtù, che

i fiori stavano esprimendo davanti al Signore; e quando tornava in

chiesa o nell'oratorio, per aggiungere acqua nei vasi o per il cambio

dei fiori, la Madre era portata ad esaminarsi per controllare se era sta-

ta fedele al patto.

Fiducioso ricorso

A Gesù in sacramento la Mantovani aveva tante cose da dire e

persone da raccomandare. Oltre il Fondatore e le suore, c'erano in

parrocchia gli ascritti alle diverse associazioni, cui la Madre assisteva

con grande senso di responsabilità. In particolar modo le stavano a

cuore la gioventù femminile e i bambini, tanto bisognosi d'una mano

vigorosa e ad un tempo materna per essere fortificati nel bene. Or

quando le ragazze

8 Proponimenti della primavera 1902.

195

non corrispondevano o i bimbi erano sordi ai ripetuti richiami, invece

di perdersi d'animo, la superiora andava in chiesa, a parlarne con Ge-

sù.

Con l'aiuto della Sacra Famiglia, prometto di sopportare sempre con pazienza

l'indisciplinatezza e la vivacità della gioventù; e quando vedrò che non potrò far

nulla da me, correrò ai Piedi del santo Tabernacolo e la raccomanderò al Signo-

re.9

Alla stessa maniera, allorché la sofferenza la toccava più da vicino

e l'animo era oppresso per le molteplici afflizioni, la Confondatrice

entrava nell'oratorio del convento, si apriva con Gesù, e pertanto re-

stava calma e fiduciosa come dentro una fortezza inespugnabile.

Col tuo aiuto, o Gesù caro, voglio da qui in avanti ricevere dalle tue mani ogni

croce e tribolazione che ti piacerà inviarmi, senza disturbarmi, senza scoraggiar-

mi, ma con pace e con calma; e quando alcuna cosa venisse a turbare la serenità

della mia mente e la pace del cuore, verrò da te, o Sacramentato Gesù, a racchiu-

dermi nel tuo Cuore, affinché tu abbia a penserei e a provvedere. 10

Non solo quindi la Mantovani faceva la comunione tutte le matti-

ne, «con fede, con umiltà e con amore»,11 non soltanto s'era impegna-

ta a passare mezz'ora del giorno davanti al Santissimo;12 ma spesso,

durante la giornata, ripeteva la visita all'Ospite adorato.13 Per quanto

«brevissimi», quegl'istanti le

sonoqui

9 Proponimenti dell'anno 1895: prop. 3. 10 Primavera del 1909: Propositi, I, pp. 1-2. 11 "Prometto di fare sempre tutti i giorni la S. Comunione con fede, con umiltà e con amore»: Pro-

ponimenti dell'anno 1895: prop. 10. 12 "Ogni giorno farò mezz'ora d'adorazione davanti al SS. Sacramento»: 20 agosto 1911 (Propositi,

I, p. 17). 13 "Con l'aiuto della Sacra Famiglia e della Vergine Immacolata, prometto di fare ogni giorno fre-

quenti brevissime visite a Gesù Sacramentato": 7 dicembre 1916 (ivi, p. 57); "Farò molte visite a Gesù

in Sacramento lungo il giorno": settembre 1912 (ivi, p. 25).

196

facevano bene: la sollevavano, le davano lumi per il buon governo

della Congregazione, la rendevano ancor più materna negli incontri

con le suore; e soprattutto, dopo essersi intrattenuta con Dio, diven-

tava più santa al suo cospetto.

Vi sono momenti, nella vita, in cui hai l'impressione di riuscire a

concentrare tutta la tua esistenza in un attimo solo, per farne dono

completamente a qualcuno. Madre Maria Mantovani godè sovente di

questi attimi felici, massimamente verso gli ultimi anni della sua vita

consacrata. Entrava spessissimo nella cappella (che, anche nella for-

ma attuale, distava pochi metri dallo studio della superiora), le basta-

va posar lo sguardo sul Tabernacolo e raccogliersi un istante ... poi si

perdeva in Dio, si sentiva tutta di Dio, tanto era abituata al dono tota-

le di sé!

«Ai Piedi del Tabernacolo»

Nella circolare del lo gennaio 1929, la Madre Generale impartiva alle

suore alcuni suggerimenti per passare santamente il nuovo anno e di-

ceva, tra l'altro:

Volete nei vostri paesi fare del gran bene, salvare la gioventù femmi-

nile dai tanti pericoli cui è esposta, dare a Gesù delle anime? Siate

suore di orazione. Davanti al Tabernacolo santo intendetevi, da tu a

tu, con Gesù. Mettete la gioventù a voi affidata nel Cuore sacratissi-

mo di Gesù; pregate il Maestro Divino a illuminarvi, a suggerirvi

sentimenti, santi affitti e consigli, che siano efficaci sul cuore della

gioventù. Suscitate fra le ragazze una santa gara, affinché ciascuna si

sforzi di essere Più pia, Più modesta, Più amante di Gesù. Conduce-

tele spesso ai

Piedi del Tabernacolo, e così formerete delle anime eucaristiche.

Il consiglio dato alle suore, cinque anni avanti che la Cofondatrice

lasciasse la terra, riassumeva il programma e l'esperienza di tutta la

sua vita. Aveva fatto sempre così. Dopo aver gustato le divine intimi-

tà delle anime eucaristiche, dopo aver scoperto nel SS. Sacramento il

bene più prezioso che ci è venuto dal cielo, a questo Bene sommo o-

197

rientò le anime, sia quand'era nel mondo, apostola in mezzo alla gio-

ventù, sia in convento, tra le sue suore.

S. Giuseppe

Una spiritualità decisamente orientata verso la Sacra Famiglia, come

quella delle Piccole Suore di Castelletto, deve riserbare un posto in-

signe al culto di S. Giuseppe. Capo della santa Famiglia, sposo e pa-

dre putativo, S. Giuseppe è inseparabile da Maria e da Gesù: a Naza-

reth, in cielo, e sulla terra, nell'onore che la Chiesa rende ai tre Per-

sonaggi. La storia, in verità, sembra confermare ciò che asseriamo:

quando il papa Leone XIII promuoveva la devozione della Sacra

Famiglia, proclamava altresì S. Giuseppe patrono universale della

cristianità.

A Castelletto sul Garda le due devozioni crebbero di pari passo, per

opera del servo di Dio don Giuseppe Nascimbeni; e se l'istituto reli-

gioso da lui fondato dalla Sacra Famiglia prese la denominazione, e-

gli lo pose sotto la protezione «specialissima» del grande Patriarca.

Prima che sorgesse la nuova Congregazione, don Nascimbeni aveva

affidato a S. Giuseppe le famiglie della parrocchia e celebrava con

grande solennità la festa del Santo. Quando poi comparvero le suore,

S. Giuseppe venne onorato con maggior pompa ed interiorità.

V'era inoltre una felice coincidenza che rendeva ancor più desiderata

quella solennità: alla festa del potentissimo Patrono veniva abbinata

quella onomastica del parroco, che si chiamava appunto Giuseppe.

Egli faceva di tutto per orientar gli animi verso il grande Santo; ma a

Castelletto, in quel giorno, si voleva far festa anche all'amatissimo

Parroco e Fondatore, che ne portava «sì degnamente» il nome."

Della consuetudine d'unire le due feste, di S. Giuseppe e quella ono-

mastica del

La veglia Giuseppina

Le cronache del Nazareth, anno per anno, informano dettagliatamen-

te su lo svolgimento della festività di S. Giusep- pe. In particolare

viene descritta la suggestiva pratica, introdotta dal Fondatore e che fu

chiamata «la veglia giuseppina». Aveva inizio alla vigilia del 19

marzo, verso le ore 19, quando il paese era già avvolto nel buio della

198

sera e il silenzio era rotto soltanto dalle onde del lago che si rinfran-

gevano sommessamente contro la sponda. Ma nella chiesa parroc-

chiale c'era tanto scintillio di lumi e vodo di preghiere. In mezzo a

centinaia di candele accese, disposte con arte, spiccava il quadro di

S. Giuseppe morente tra le braccia di Gesù e di Maria. All'altar mag-

giore veniva esposto il Santissimo per l'adorazione notturna. Dopo la

prima ora, i fedeli tornavano

alle proprie case, mentre le suore, a turno di dieci o dodici, si alter-

navano davanti a Gesù e a Giuseppe sino al mattino, quando la chiesa

veniva riaperta al popolo.

Allora cominciava la festa propriamente detta, che le campane per

tempo avevano annunciato. Messa letta con la comunione generale,

che talvolta la suora cronista chiama «veramente plebiscitaria»; mes-

sa cantata con processione

parroco di Castelletto, ce ne offre un esempio il Nazareth, che inizia

il numero di febbraio 1918 con questa epigrafe augurale:

APPROSSIMANDO LA SOSPIRATA FESTIVITÀ

DELL'ANGELO DELLA TERRA

IL GLORIOSO PATRIARCA S. GIUSEPPE

PADRE PUTATIVO 01 GESÙ

E VERGINE Sposo 01 MARIA

LA OIREZIONE DEL «NAZARETH»

DEI BENEVOLI SUOI LETTORI INTERPRETE DEL DESIDE-

RIO

E BENEFATTORI

SI ASSOCIA ALL'ISTITUTO INTERO DELLA S. FAMIGLIA

E PLAUDENDO AL FONDATORE, AL SUPERIORE E AL PA-

DRE

CHE IMITANDO LA VIRTÙ DEL SANTO

DEGNAMENTE NE PORTA IL NOME

ANTICIPA GLI AUGURI 01 MOLTI ANNI 01 VITA

CON OGNI SORTA 01 CELESTI BENEOIZIONI.

199

nell'interno della chiesa, poi venivano ripresi i turni di adorazione. Le

orfanelle dell'Istituto, le Figlie di Maria, le Madri Cristiane, le novi-

zie e le pro bande, e di nuovo le suore al completo e i Paggetti del

Santissimo, in gioiosa gara, s'alternavano davanti alla Santa Ostia.

Chiudeva il programma religioso la benedizione eucaristica, precedu-

ta da una seconda e più solenne processione. Dalla chiesa, finalmen-

te, ove s'era onorato e invocato il provvido padre della Sacra Fami-

glia di Nazareth, si passava nel teatrino stipato per rendere l'omaggio

della gratitudine e dell'affetto al provvido padre di Castelletto.

Nessuno prendeva parte alle sante iniziative di quel giorno quanto

madre Maria Mantovani, sebbene ella riuscisse a nascondere ai più

l'interna gioia e commozione. E perché «esecutrice ed interprete fe-

dele di tutti i desideri del venerato Fondatore»," la Madre tenne cara

la pia pratica della «veglia Giuseppina», anche quando non c'era più

il Padre. Ne parlava alle suore per tempo, onde si preparassero alla

ricorrenza «meno indegnamente ch'era possibile»; e da quel momen-

to «sul volto di ciascuna» brillava «una gioia insolita», come se pre-

gustasse le dolcezze di quella santa notte. Ma preferiamo cedere la

parola alla cronista dell'anno 1925 che, con tono concitato, riproduce

l'annuale commozione delle partecipanti:

Giunse la felice vigilia ed alle otto pomeridiane la campana dell'Isti-

tuto ci chiamò in cappella per fare la prima ora delle veglia giuseppi-

na. Fuori era notte e l'occhio, avvezzo alla debole e solita luce d'una

lampada elettrica, rimase quasi abbagliato, quando all'entrare in cap-

pella, gli si presentò la forte luce bianca dei molteplici ceri, i quali da

mano gentile, usa a coltivare il bello e rigoglioso fiore del verginale

candore, furono disposti in forma di recinto quadrato e d'un semicer-

chio racchiuso nel primo. Questa chiara luce ci permise di vedere di-

stintamente l'altare improvvisato per l'occasione, col quadro che rap-

presentava S. Giuseppe morente, sostenuto amorevolmente da Gesù e

confortato dalla presenza dolce ed angelica di Maria. S. Giuseppe

non guarda e tace, ma la compostezza e serenità del suo volto, l'ab-

bandono fidente di se stesso nelle braccia di Gesù, ci parlò assai della

santità

200

15. Nazareth, 21 (aprile 1926) p. l.

dell'anima sua, ci disse quanto è bella la morte del giusto che muore

assistito da Gesù e da Maria, c'invitò e quasi ci spinse a voler esser

buone come lui per poi, come lui, chiudere santamente gli occhi alla

luce terrena per riaprirli a contemplare la eterna, sempre bella e sem-

pre nuova. I fiori delicati che profumavano tutta l'aria di soave olez-

zo, furono degna cornice al quadro così bello ed i loro variopinti co-

lori e la loro specie, simboleggiava le virtù eminentemente praticate

dal nostro santo Patrono, mentre Gesù Ostia, esposto alla adorazione

formò il compimento della solenne festa dell'Istituto.

Il tempo della prima ora della veglia Giuseppina passò rapido come

baleno ed a questo seguirono per turno le altre ore di adorazione in

onore a S. Giuseppe.

Il fervore che traspariva dai volti delle consorelle e dal loro composto

atteggiamento esterno fu motivo di nuovo fervore. Il silenzio osser-

vato scrupolosamente, la premura e l'ordine che regnava in quel suc-

cedersi di suore a suore, la recita delle preci con tono sì grave e mae-

stoso, ma insieme delicato e che c'invitava a pietà, mi fecero risalire

col pensiero ai tempi delle catacombe, quando i primi cristiani si por-

tavano di notte tempo in quei profondi sotterranei per assistere ai di-

vini uffici ed oh, con quanto fervore!"

E quale era l'oggetto di tante fervorose preghiere? Si domandava

molto e si pregava per tutti: per il «veneratissimo Fondatore», per l'

«amatissima Madre Generale», per l' «intero Istituto»; venivano ri-

cordati i bisogni della parrocchia, i peccatori ostinati e i malati dei

dintorni; poi l'orizzonte s'allargava, e s'imploravano grazie per la

Chiesa, per la patria, per la pace del mondo ... «Tutto, tutto si chiede

in questa santa notte, perché in essa tutto si ottiene; e in tale accordo

di preghiere, di slanci e affetti teneri e devoti, trascorrono veloci ore

e minuti, finché altri cuori si uniscono a noi per corteggiare S. Giu-

seppe, il dolce Patrono di ciascuna famiglia cristiana»."

V'era poi un tema, quasi obbligato, che veniva offerto in quel mo-

mento alla considerazione e alle domande delle suore oranti. «Consi-

derando su quel quadro la morte di S. Giuseppe, ci sentivamo spinte

201

come da forza sovrumana ad innalzare le braccia verso il cielo e ad

esclamare: Anch'io voglio farmi

16. Nazareth, 20 (aprile 1925) p. 3.

17. Nazareth, 12 (marzo 1917) p. 3.

santa, anch'io voglio morire della morte di Giuseppe!»!"

Allora ci si rivolgeva a Gesù esposto e gli si chiedeva, con più acco-

rata implorazione, il dono della perseveranza, interponendo altresì la

potentissima mediazione di S. Giuseppe per ottenere le grazie neces-

sarie ad una vita santa, onde meritare, come lui, una santa morte. Una

vita santa, alla scuola della Famiglia di Nazareth; una santa morte,

assistita da Gesù, Maria e Giuseppe: che altro di più prezioso poteva

impetrare una Piccola Suora della Sacra Famiglia, durante la sugge-

stiva «veglia giuseppina»?

«L'Economo dell'Istituto»

Dell'Istituto delle Piccole Suore, S. Giuseppe - come s'esprimeva

madre Mantovani - era il «gloriosissimo Protettore, il Capo e il Pa-

drone»;" ed era altresì «l'Economo- per gli affari materiali.

Già da tempo il Fondatore aveva scelto S. Giuseppe per tale compito,

e perché le cose prendessero un aspetto di maggior concretezza,

quando era in corso qualche lavoro di maggior rilievo, egli appende-

va alla statua del Santo il cosiddetto «sacchetto di S. Giuseppe». S.

Giuseppe doveva provvedere alla bisogna; S. Giuseppe doveva fi-

nanziare.

La cosa era di tanta evidenza alla fede del Fondatore e della Cofon-

datrice, che essi ne parlavano come d'un argomento, il quale non a-

veva bisogno d'esser dimostrato, tanto era chiaro. «Il capo della Sa-

cra Famiglia» scriveva la Madre nell'anno 1931 «è altresì il capo del-

la nostra famiglia: Egli deve provvedereb-"

202

18. Nazareth, 20 (aprile 1925) p. 3.

19. Appello a tutti i nostri benefattori, abbonati e lettori, che la Ma-

dre Generale lanciò nel

1918, in occasione dell'apertura di tre orfanotrofi: uno a Verona, os-

sia Le orfanelle del suffragio, poste sotto la protezione di S. Giusep-

pe; l'altro, a Toscolano, prendeva nome da Gli artigianali di S. Giu-

seppe; il terzo a Torri, patria del Fondatore, che ospitava Le orfanelle

della Sacra Famiglia.

20. Circolare del 14 dicembre 1931.

E S. Giuseppe provvedeva davvero. A tal punto che, sebbene l'Istitu-

to sorgesse in un paese povero e le suore provenissero in gran parte

da famiglie povere, l'un dopo l'altro, sono sorti gli edifici che oggi

formano il meraviglioso complesso presso la Casa Madre.

Nel 1925 furono iniziati i lavori della grandiosa infermeria che, ap-

poggiata al monte e prospiciente sul lago, domina tutti gli altri fab-

bricati. Sul Nazareth del giugno di quell'anno la cronista scriveva:

Davanti alla porta della sala capitolare, che guarda verso la strada, è

stata costruita in questi giorni una piccola nicchia per il nostro santo

Economo, al quale venne affidato il compito di raccogliere i mezzi

per la nuova infermeria, che già sta sorgendo per le suore ammalate.

La reverendissima Madre Generale, che molte volte ha sperimentato

la generosità del grande Santo, e tutte le suore, ad imitazione del ve-

nerato Padre, hanno in lui riposta tutta la fiducia, sicure che S. Giu-

seppe, quale padre amoroso, non mancherà di provvedere ai bisogni

della sua casa."

L'anno 1931 segna l'inizio della costruzione del mastodontico novi-

ziato, che rimane una delle più belle realizzazioni, lasciate all'Istituto

dalla Confondatrice. Ella appunto scriveva in quell'epoca a tutte le

suore delle filiali:

Ora siamo in grande lavoro per la nostra fabbrica. Figuratevi! Un re-

fettorio capace di duecento posti, dormitori da trenta posti ciascuno,

203

scuole, cucina nuova, ecc. Qui sta il busillis: palanche sopra palan-

che. Ma non temiamo. Coraggio e confidenza. La Provvidenza divina

non mancherà se noi, unite in un solo pensiero e pel medesimo sco-

po, pregheremo e lavoreremo. «L'unione fa la forza» dice il prover-

bio. E come vi dissi nell'ultima circolare, ancor oggi vi esprimo la

mia convinzione, che cioè voi tutte avete buona volontà, amate l'Isti-

tuto, lavorate di lena. Il sacchetto di S. Giuseppe questa volta deve

essere abbondante:"

" Nazareth, 20 (giugno 1925) p. 3.

" Circolare del 14 dicembre 1931.

Difatti, il glorioso «Economo - della Congregazione trovava le colla-

boratrici più zelanti proprio nelle suore delle filiali, le quali si misu-

ravano in tutto generosamente, per avere di più da deporre nel famo-

so sacchetto, quando sarebbero venute alla Casa Madre per gli eser-

cizi annuali.

«S. Giuseppe ha fatto la sua parte»

Intanto la Madre andava ripetendo: «Finora sono molto contenta del

mio elemosiniere e cassiere S. Giuseppe»;" «Il mio caro elemosiniere

e cassiere S. Giuseppe fa anche troppo bene. Continuiamo a pregarlo,

acciò continui a far bene il suo ufficio e mai ci abbandoni»."

Terminati i lavori e pagati gl'imprenditori, il sacchetto veniva tolto di

dosso alla statua del Santo. «S. Giuseppe ha fatto bene la sua parte»

diceva soddisfatta madre Maria, «adesso tocca a noi fare la nostra».

Secondo la Mantovani le suore facevano la loro parte, se ad onore del

grande Patriarca recitavano devotamente le numerose preghiere in

uso nell'Istituto, se ne diffondevano il culto presso le persone che av-

vicinavano, se procuravano d'iscrivere molte persone alla «Pia Unio-

ne del Transito», tanto cara al Fondatore; in particolare, se trascorre-

vano «con straordinario fervore» il mese di marzo, dedicato in modo

speciale al culto del Santo.

204

Siamo nel bel mese consacrato a S. Giuseppe. Procuriamo di passarlo

santamente. Perciò vi raccomando: preghiera, silenzio, lavoro. Por-

tiamo- ci spesso col pensiero nella casa di Nazaretli e lavoriamo in

compagnia

dei tre santi personaggi Gesù, Maria, Giuseppe. S. Giuseppe si mo-

stra a noi vero modello di vita interiore, di pietà, di sacrificio, di u-

miltà, di verginale candore. Sono queste le caratteristiche della sua

spirituale

23. Lettera a suor Serafina Vanini, 30 maggio 1899.

24. Lettera a suor Fortunata Toniolo, 30 maggio 1899.

fisionomia. Esse meritano la nostra ammirazione e soprattutto la no-

stra imitazione costante,"

Preghiera, lavoro, spirito si sacrificio; silenzio, umiltà, immacolatez-

za, e vita interiore: c'era tutto il programma della Piccola Suora della

Sacra Famiglia, reso ancor più concreto e attuabile alla scuola del

«caro Patrono» della Congregazione, che la Confondatrice, con sin-

golare impegno, voleva a quel modo onorare, ammirare e imitare.

Ritratto vivo

Il ritratto della Piccola Suora della Sacra Famiglia è completo; ed è

un ritratto vivo e incoraggiante. Lo era ieri, quando le consorelle po-

tevano ammirare nella «Madre» l'attuazione concreta degl'ideali del

«Padre»; lo continua ad essere per le generazioni future, sia pure at-

traverso i contorni sfumati del ricordo e della parola scritta, che vor-

rebbe fissare sulla carta i lineamenti spirituali della Confondatrice.

Umiltà profonda e semplicità evangelica; preghiera, lavoro, sacrifi-

cio, impressi nella vita d'ogni giorno, prima d'essere scolpiti sul rove-

scio del medaglione che la Piccola Suora porta appeso sul petto; cul-

to ed imitazione della Sacra Famiglia, devozione al SS. Sacramento,

a S. Giuseppe, ed in particolare, come vedremo, alla Madonna Im-

macolata. Questa è madre Maria Mantovani: questa, nel meraviglioso

giardino della Chiesa, è la fisionomia della Piccola Suora della Sacra

Famiglia. «Fate, o Gesù - così pregava il servo di Dio mons. Giusep-

pe Nascimbeni - che la Superiora sia l'esempio della Regola e dell'I-

stituto»."

205

25. Circolare del I o marzo 1929.

26. Cf. GIUSEPPE TRECCA, Sei Novembre 1892-1917, p. 20.

Gl'intenti e i voti del Fondatore furono mirabilmente adempiuti.

Nell'umile parrocchiana Domenica Mantovani, spuntata come timida

viola ai piedi del Baldo, lo zelante parroco di Castelletto trovò la

«molle cera» su cui riuscì a modellare alla perfezione quel tipo di re-

ligiosa, ch'egli andava vagheggiando nel suo cuore d'apostolo.

E sebbene da principio abbia esitato a mettere a capo del nascente I-

stituto la Mantovani, perché «senza patente», egli però ben presto

s'avvide che quella era la maestra ideale di tutte le suore, presenti e

future, appunto perché, ad imitazione del Maestro Divino, la Con-

fondatrice prima faceva poi insegnava, o per meglio dire: insegnava

facendo.

Proprio per questo il suo magistero, durato più di quarant'anni, fu co-

sì autorevole ed efficace.

206

207

PARTE QUARTA

MAESTRA

«LA VOCE DEL PADRE»

Nel maggio del 1922, pochi mesi dopo la morte del servo di Dio

mons. Giuseppe Nascimbeni, usciva il primo numero del bollettino

La voce del Padre. La pubblicazione era voluta espressamente dalla

208

Cofondatrice madre Maria Mantovani, sollecita di mantenere vivo

nella Congregazione il ricordo del Fondatore e di trasmetterne i pa-

terni insegnamenti. Il periodico inizia con uno scritto della Madre

che, rivolgendosi alle suore, dichiara:

Mie carissime figlie: l'amore che io ho sempre nutrito per voi, col

passare degli anni aumenta, s'accresce ognor Più. La mia mente vi ha

sempre presenti, il mio cuore tutte vi abbraccia: voi siete la vita

dell'anima mia. E pensando a voi, amando voi, vivendo di voi, sento

di amare e di compiacere maggiormente il mio caro Gesù, di cui voi

siete figlie predilette, amatissime spose. Dopo la scomparsa del no-

stro carissimo Padre, questo amore è diventato il Più sacro dei miei

doveri, il bisogno Più forte del mio cuore, l'unico scopo della mia vi-

ta, che a voi,

dopo Dio, dev'essere interamente consacrata. lo vi vorrei sempre vi-

cine per parlarvi, istruirvi, animarvi alla virtù, rendervi tutte degne

spose di Cristo.

Animare le suore alla pratica delle virtù religiose, renderle degne

spose di Cristo e degne dell'Istituto che le aveva accolte, ripetendo ad

esse gl'insegnamenti del Fondatore, fu l'ideale più ambito della Man-

tovani durante il lungo generalato.

1. La voce del Padre, l (maggio 1922) p. l.

La sua autorità si eclissava dietro l'autorità del Padre. Nelle frequenti

circolari e nelle «letture» che teneva alle suore durante gli esercizi

spirituali, la Confondatrice metteva avanti il Padre. Ricordava le sue

istruzioni, trasmetteva i suoi ordini, unicamente bramosa d'essere la

sua fedele interprete e il portavoce delle sue volontà: «Il reverendis-

simo Padre raccomanda»; «Il reverendo Padre ha stabilito»; «È il de-

siderio più ardente del nostro reverendo Padre»; «È volontà del caris-

simo Padre»; «È obbedienza e volontà del Padre e mia».

Negli anni che tennero dietro alla morte del Fondatore, allorché ri-

mase sola a governare la Congregazione, la Madre continuò a diri-

gerla nel nome del Padre scomparso. Ne ripeteva spesso i detti e le

massime che commentava su La voce del Padre? Rammentava alle

suore i suoi esempi luminosi, le sapienti direttive, i voleri energici.

«Il nostro venerato Padre diceva», «stimava», «inculcava», «racco-

209

mandava», «voleva». E adducendo questi insegnamenti e questa au-

torità la Superiora Generale, che per natura era schiva e umilissima,

intendeva dar credito alle proprie parole e voleva che fossero ascolta-

te.

2 In particolare, nelle annate 1922 e 1923.

CAPO PRIMO

ALLE SUPERIORE

La Madre Generale ammaestrava anzi tutto le superiore. Era ben per-

suasa che l'incremento dell'Istituto dipendesse in gran parte dal loro

saggio governo nelle singole case. Perciò ad esse rivolgeva più fre-

quente la parola, tanto a voce che per iscritto.

E perché le superiore fossero meglio illuminate nel loro grave compi-

to, tutti gli anni erano convocate a Castelletto, ove attendevano agli

esercizi organizzati per loro. I Fondatori davano grande importanza a

quegl'incontri annuali, e le superiore dovevano fare di tutto per non

mancare. Anche negli anni difficili della prima guerra mondiale si

tennero gli esercizi per le superiore, alcune delle quali affrontarono

viaggi disagiati e rischiosi pur di essere presenti.

«Le colonne dell'Istituto»

Durante quei giorni di esami e di rinnovamento interiore, esse veni-

vano esortate dagli esempi e dalle parole della Confondatrice ad a-

mare sempre più la Congregazione. «Noi superiore siamo le colonne

dell'Istituto» diceva; «dunque teniamone alta la bandiera». l

Nelle «letture» che teneva davanti a tutte, la Mantovani parlava con

autorità e schiettezza, accusando difetti ed abusi

1. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 50.

che andavano corretti e impartendo direttive di buon governo. A col-

loquio con le singole era materna e comprensiva: lasciava parlare, si

rendeva conto delle situazioni difficili, confortava, dava consigli, e-

sortava ad avere fiducia nella Sacra Famiglia e nella Vergine Imma-

colata. Le superiore si sentivano capite, sapevano di poter contare

sull'appoggio della Madre Generale e ripartivano da Castelletto con

l'animo dilatato e più pronte al dovere.

210

« il perno della casa»

La superiora deve essere «il perno della Casa»." Attorno ad essa gra-

vita il buon andamento della comunità. L'osservanza della Regola, la

fedeltà all'orario, l'affiatamento tra le suddite, dipendono per lo più

dalla superiora.

«Com'è la superiora, tal'è la Casa», «tali saranno le consorelle»," di-

ceva la Madre. «Credetelo: le suore prendono l'impronta che loro

diamo noi».' «L'esempio d'una santa superiora, che non ha pretese,

basta a rinnovare lo spirito di tutte le sue suore».' E ancora: «Se sa-

remo sempre le prime in tutto e per tutto, non a parole, ma coi fatti,

con l'esempio, con l'umiltà, l'obbedienza, la carità, nelle nostre Case

regnerà la pace»." Con l'aiuto della Sacra Famiglia, voglio essere l'e-

sempio per le mie sorelle e voglio che in me rimirino la Regola. 7

Così aveva promesso la Confondatrice fino dai primi anni della sua

vita religiosa. Questo fu appunto il suo ideale e il suo

2. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 42.

3. Ivi.

4. Avvertimenti per le superiore, p. 5.

5. Circolare del lO gennaio 1916.

6. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 42.

7. Proponimenti d'incerta data: prop. 2.

impegno durante tutta la vita: essere per le suddite il modello della

Piccola Suora. Altrettanto dovevano desiderare le superiore. Con i

suoi esempi, madre Maria era il sostegno e la guida di tutto l'Istituto.

Precedendo le suddite col buon esempio, le superiore locali doveva-

no essere «il perno della Casa».

Fermezza

A sostenere l'umana fragilità, sempre pronta a ripiegamenti e a con-

cessioni, occorre il polso fermo in chi è a capo.

Le superiore locali pertanto debbono «investirsi del loro ufficio e del

posto che occupano), rendendosi conto che «sono le vere rappresen-

tanti dei superiori maggiori». Perciò sono tenute a collaborare con lo-

ro e «far osservare prontamente e scrupolosamente i loro ordini».

Che se qualche suora tentenna e tira in campo pretesti per «esimersi

211

dall'obbedienza», le superiore si mostrino «forti ed energiche» e in-

ducano le renitenti a piegarsi. Massimamente quando ci sono trasfe-

rimenti, l'obbedienza deve essere fatta a dovere. Obbediscano anzi

tutto le superiore, senza «mettere i pali fra le ruote», ricorrendo ai re-

verendi parroci o alle direzioni, perché a loro volta facciano ricorso

alla Casa Madre. Ma poi esigano che anche la suora trasferita si sot-

tometta, con quella docilità pronta e serena che si addice ad una ge-

nuina religiosa. Agendo in tal modo, superiore e suddite recheranno

un grande conforto ai superiori maggiori, i quali prima di ordinare un

cambiamento, «ci pensano tante volte», «non fanno le cose a casac-

cio», ma «tengono conto della salute, delle abilità e del criterio delle

suore»."

Le superiore inoltre siano ferme, quando venisse compromessa la

santa Regola. Non si lascino frastornare da presunte

8. Circolare del 9 dicembre 1918.

difficoltà, messe avanti da qualche suddita per esimersi dalla fedele

osservanza." Il buon andamento delle Case esige che siano le supe-

riore a comandare, e non altre. Perciò la Madre Generale biasima

quelle superiore fiacche, che «fanno la figura di pali», lasciando

«spadroneggiare» le vicarie. Ciò provoca disordini e indisciplinatez-

ze, mentre le suore, a lungo andare, perdono la pace e s'abbandonano

al malumore. lO Ferme dovevano mostrarsi le superiore davanti alle

situazioni incresciose, quando era necessario prendere ingrati prov-

vedimenti; ferme e fiere, quando era intaccato il buon nome dell'Isti-

tuto; «fierissime» poi, allorché poteva venir offesa «la più bella delle

virtù»."

Bontà

La fermezza non temperata dalla bontà degenera in durezza di cuore.

Per guidar bene le suddite, la superiora deve usare carità e dolcezza.

«Se la superiora non ha cuore» osserva la Mantovani «le suore si al-

lontaneranno e chiuderanno la porta alla confidenza, e in questo mo-

do sarà un soffrire per tutte». 12

Siano pertanto generose e larghe le superiore nel compatimento, e

trattino le suddite come esse stesse desiderano essere trattate da Ge-

212

sù. Perciò quando le riprendono, usino «carità», «grande carità». Non

debbono «punirle, ma correggerle a tempo e luogo; non umiliarle, ma

rialzarle», trattando ciascuna «secondo il suo temperamento» ed a-

spettando che la sorella sia calma, perché «nell'acqua torbida pesca il

demonio»." Fanno male quelle superiore che, quando correggono le

9. Circolare del I O maggio 1919.

10. Circolare del 27 dicembre 1920.

11. Circolare del lO gennaio 1916.

12. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 51.

13. Ivi, passim.

suddite «non terminano più di tormentarle. Per piccole mancanze

continuano a brontolare per delle ore, e prediche sopra prediche; e

magari continuano [a brontolare] per la stessa cosa un giorno, due

giorni, e anche tre»."

Non fate mai correzioni quando siete adirate o alterate; ma prima

raccomandatevi al Signore, chiedendogli il suo aiuto e la sua assi-

stenza, acciocché [la correzione] sia di giovamento a quelle che la fa-

te. Così non va bene correggere per ogni Piccolo mancamento, per-

ché altrimenti lo spirito delle suore si stanca ed esse diventano insen-

sibili alla correzione."

Se invece, quando corregge, la superiora si dimostra calma, com-

prensiva e materna, «ottiene dalla suora quello che vuole» e nella

Casa «regnerà pace e carità»."

La superiora deve essere madre. Madre forte, quando occorra, ma

sempre madre. Madre di tutte le suore, senza distinzioni o preferenze,

andando incontro alle necessità di ciascuna. Soltanto per le inferme

sono permesse le parzialità. Anche la Madre Generale, a Castelletto,

aveva le sue «predilezioni». Era, cioè, più materna con le piccole or-

fanelle e con le figlie malate.

Prudenza

La superiora ideale sa farsi amare e temere. In particolare sa guada-

gnarsi la confidenza delle suddite. Quando queste si aprono sponta-

neamente con lei «per aver consiglio, conforto ed aiuto», essa è dili-

gente nel custodire il segreto; che altrimenti le Suore rimarrebbero

213

disgustate, perderebbero giustamente la stima verso la superiora, né

più oserebbero manifestarle il proprio cuore.

14 Avvertimenti per le superiore, p. 5.

15 Ivi, p. 12.

16 Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, pp. 51 e 42.

Prima di prendere decisioni o di dar consigli, la superiora saggia ri-

corre alla preghiera. Tiene inoltre l'animo aperto verso i superiori

maggiori, con i quali si confida spesso per avere luce e direttive. Si

vale pure del consiglio delle proprie suddite, specialmente delle più

anziane e sperimentate; e non imita l'incauta condotta di qualche col-

lega, la quale, diceva appunto la madre Mantovani, «ha più confiden-

za con la bidella dell'asilo, che non con le proprie consorelle»."

La prudenza può consigliare la superiora a fare qualche particolare

confidenza alla suddita, per dimostrarle che la tiene in considerazio-

ne e stima i suoi pareri. Talvolta è questa la via più breve per guada-

gnarsi l'affetto e la collaborazione. Scriveva infatti la Confondatrice

alla giovane superiora suor Fortunata Toniolo, che lamentava il com-

portamento d'una consorella:

Carissima figlia: intesi tutto dalla tua lettera, e assai mi spiace

questa cosa. Quello che posso suggerirti e che forse porterà buon ef-

fetto, mi sembra sia questo: prenderla con molta dolcezza,e carità; e

un poco per volta, senza che si accorga, affezianartela col fare qual-

che confidenza particolare, provare a domandarle qualche parere,

qualche consiglio. Questa è una suora che vuole essere stimata e te-

nuta per qualche cosa. Questo è l'unico mezzo per potertela affezio-

nare ... Queste cose sembrano cose da nulla, ma invece sono di gran-

de importanza. Sono quelle funicelle che ci tengono legate e unite in

santa carità:"

Umiltà

La superiora prudente onora l'Istituto e cura il bene della comunità

affidatale. Le suore trovano in lei un valido sostegno, la guida saggia,

la madre premurosa. Essa è umile e serena, e

17 Circolare del 3 gennaio 1922.

18 Lettera a suor Fortunata Toniolo, d'incerta data. Suor Fortunata si

trovava nella filiale di S. Martino Buon Albergo, che venne aperta il

18 agosto 1896.

214

gode per il bene che fanno le suddite. Non cerca se stessa, i propri

comodi o la stima altrui. Eseguisce fedelmente gli ordini dei superio-

ri maggiori, ascolta i loro avvertimenti, ne accetta i richiami e le cor-

rezioni. Così voleva il Fondatore mons. Giuseppe Nascimbeni; e tale

era la condotta della Confondatrice che, a sua volta, scriveva alle su-

periore delle filiali:

Il reverendo Padre vuole le superiore buone, buonissime, fatte di pa-

sta frolla quando si tratta della stima propria. Debbono lasciarsi pe-

star addosso, non scusarsi, desiderare che vengano fatte loro delle os-

servazioni, prenderle in buona parte e ringraziare."

Al contrario, sarebbe indizio di grande superbia «sentire e acconsen-

tire alla smania di voler essere superiora»; o una volta eletta, non ras-

segnarsi a tornare suddita. Non vanno dunque imitate quelle conso-

relle che «quand'erano superiore stavano benissimo»; ora che son de-

poste, «sentono addosso tutti i mali del mondo»."

L'umile sentire di sé è la virtù caratteristica della vera Superiora.

Prima d'essere designata, non aspira alla carica. Eletta, esercita il

mandato con dignitosa e cordiale benevolenza verso le sorelle.

Quando poi la Regola o l'età o l'opportunità richiedono la sua deposi-

zione, sa rientrare nelle file delle suddite, senza pretese o rimpianti.

19. Circolare del 10 gennaio 1916.

20. Circolare del 15 giugno 1918.

CAPO SECONDO

ALLE SUDDITE

L'atteggiamento più naturale e virtuoso che deve prendere a suddita

nei confronti dei superiori, è la risultante di tre disposizioni d'animo

215

che si integrano a vicenda: la sincerità, la confidenza, la docilità. Non

ha fiducia chi non è sincero, e per obbedire in maniera perfetta biso-

gna mettere la propria vita a disposizione dei superiori, senza alcuna

riserva e con assoluta serenità.

«Libri - aperti»

La Madre Confondatrice insisteva: «Siate sincere, siate sincere, siate

sincere con i vostri superiori” State schiette e sincere. Domandate

tutto, dite tutto, non nascondete nulla ... Aborrite, detestate la dop-

piezza»," E per rendere più efficaci le raccomandazioni, la Madre ri-

cordava che il Fondatore era solito dire: «Vi voglio libri aperti, per-

ché in essi si può leggere tutto e facilmente!”

Il Padre era «come l'acqua»: incapace, cioè, di doppiezza. «Fuggiva

la menzogna e il menzognero». Puniva con particolare severità la no-

vizia che agiva con doppiezza e raggiri.

l. Circolare del 10 gennaio 1916.

2. Da un foglio di appunti per una istruzione.

3. A sua volta la Madre diceva: «Si deve dire tutto ai superiori: che ci

abbiano a conoscere e leggere nella nostra anima come in un libro

stampato»: Promemoria per gli esercizi spirituali, p. 16.

Che se questa era recidiva, nonostante i paterni richiami, veniva ri-

mandata in famiglia.

Al contrario il Fondatore «era buono» e «perdonava con larghezza di

cuore», se le suore andavano ad accusarsi spontaneamente e «con

sincerità». Sicché quando accadeva loro di commettere qualche fallo,

subito andavano a dirlo al Padre. Egli era solito ripetere: «Quando è,

si dice sì; quando è no, si dice no).

Se venivano interrogate dai superiori, le suore dovevano «dire tutto»,

«con sincerità e franchezza». Non solo erano tenute a manifestare se

stesse e le proprie difficoltà, I?a dovevano dire apertamente quello

che ritenevano opportuno per il bene della comunità. Il Padre voleva

216

che le suore si esaminassero su questo punto, rimproverandosi qualo-

ra «avessero taciuto cose_utili a sapersi

La sincerità era necessaria nelle situazioni difficili, massimamente

quando poteva essere compromessa la virtù o la vocazione. Allora il

ricorso ai superiori era un dovere grave. Ed era pure questa la via più

breve per uscire illesi dalla tentazione e per riacquistare la....serenità

di spirito. _

Pertanto la Madre concludeva le sue esortazioni sulla sincerità con

queste energiche parole: «Volete perseverare nello stato religioso?

Siate sincere. Volete perdere la vocazione? Tenete tutto per voi; siate

libri chiusi, e andrete a mangiare le ghiande ...

4. «Il 30 gennaio 1918, con vivo dolore partiva dalla Casa Madre li-

cenziata per sempre, la novizia N. N. per essere stata bugiarda, difet-

to che nella comunità è molto pericoloso. La partenza fu per essa do-

lorosissima e anche da parte dei reverendissimi Superiori e dell'intero

noviziato, che vedeva una sorella caduta in tale disgrazia»: Diario

giornaliero: dall'8 novembre all'Il febbraio 1918, p. 20.

5. Le parole chiuse tra virgolette sono prese dalle «Letture» della re-

verendissima Madre durante gli esercizi, pp. 14-15.

La confidenza

La sincerità rappresenta la confidenza in atto. Si «dice tutto» a chi ha

attirato la nostra stima e devozione. Le suore appunto debbono nutri-

re stima e devozione. per la propria superiora, non in base alle sue

doti naturali, ma per amore del Signore, di cui la superiora tiene le

veci. Guai a quelle suddite che perdessero la fiducia nei superiori!

Sarebbe questo un «pessimo difetto». Sarebbe come allontanarsi to-

talmente da Gesù». «L'essere staccate dai superiori», non aprirsi con

loro, è la stessa cosa che mettersi su una strada sbagliata e andare a

finire “in un precipizio”

Nondimeno, se la suddita è tenuta alla confidenza, la superiora deve

usare discrezione. Vi sono porte segrete che immettono nell'intimità

della coscienza; soltanto il ministro d' Dio può varcarle. _La madre

Mantovani non voleva che superiore oltrepassassero quei confini, ed

era lei la primi rispettarli.

«Come l'asinello»

217

Una delle virtù che più stavano a cuore alla Cofondatrice era l'obbe-

dienza. La inculcava di continuo: nelle circolari, nelle «Letture», a

voce. Ne celebrava i pregi ed insegnava come doveva essere pratica-

ta. Obbedendo in maniera perfetta ai superiori, la suora si acquista

grandi meriti, raggiunge la santità in breve tempo, gode un'inalterabi-

le pace di spirito, poiché l'obbedienza è 'fonte di gioia e di serenità.

Per essere perfetta obbediente la Piccola Suora deve sentire bassa-

mente di sé e sottomettersi al beneplacito dei superiori. Scriveva la

Madre:

Perché oggi c'è tanta insubordinazione nel mondo? Perché c'è tanta

superbia. Obbedisca la Piccola Suora della Sacra Famiglia! E perché

la

Circolare del 15 giugno 1919.

sua obbedienza sia gradita al Divin Cuore, veda di compierla intera-

mente, sottomettendo cioè il suo giudizio a quello dei superiori ed

uniformando la sua volontà alla loro. Questa è obbedienza col midol-

lo; in caso diverso la nostra obbedienza si fermerebbe alla corteccia o

non sarebbe che obbedienza di apparenza, senza merito. Siamo molto

scrupolose su questa virtù. Specialmente quelle che si sono legate

con voto, non facciano nulla senza il permesso o il consenso dei su-

periori. Siamo brave mercantesse, cerchiamo di fare molti guadagni

ogni giorno. E sarà così, quando le nostre azioni saranno segnate col

sigillo della «obbedienza». Diversamente saranno azioni gettate in un

sacco bucato; e alla fine dei nostri giorni rimarremo deluse, perché

compariremo davanti al tribunale di Dio spoglie di meriti,

La vera religiosa obbedisce «sempre ciecamente e prontamente e vo-

lentieri»." «Ha occhi e non vede, ha orecchie e non sente, ha lingua e

non parla»; in compenso «è sempre ilare, perché in ogni comandò

scorge la volontà di Dio».

Quando le suore convenivano a Castelletto per gli esercizi annuali,

erano solite deporre sull'altare un foglio di carta non scritta. Con que-

sto gesto intendevano «dare a Gesù tutta la libertà di disporre» di lo-

ro «com'egli voleva», «mettendosi come morte nelle mani dei supe-

218

riori»." La simbolica cerimonia aveva luogo la sera del primo giorno,

poco dopo l'apertura degli esercizi; e la Madre ci teneva perché fosse

accompagnata con perfetta soggezione di spirito: «Metterete questa

sera un pezzetto di carta bianca sull'altare (le cartine le troverete sulle

(balaustre) e nel contempo direte col cuore e con le labbra, ognuna

per conto suo: - Signore, non v'incateno le mani, vi do tutti i permes-

si, fate di me quello che volete»,"

7. Circolare del 15 giugno 1918.

8. Promemoria per gli esercizi spirituali, p. l.

9. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 43.

10. Ivi.

11. «Letture» della Madre, p. l.

Nella perfetta obbedienza matura il perfetto distacco. Distacco dai

paesi, dalle persone, dalle occupazioni. Le Piccole Suore, come le

pensava la Madre, dovevano «essere pronte a cambiare casa anche

tutti i giorni»."Su questa disposizione d'animo ella tornava spesso e

voleva che le suore si esaminassero per perfezionarla.

Per conservare sempre vivo lo spirito religioso, vi consiglio di vivere

sempre disposte a sottomettervi alla volontà di Dio, per mezzo della

santa obbedienza. Vi suggerisco di compiere ogni vostra azione co-

me fosse l'ultima della vostra vita e di fare tutte le mattine l'esame

preventivo, cioè di chiedere a voi stesse: Se in questo giorno con let-

tera, o telegramma, od a voce, io fossi chiamata per un trasloco, sarei

pronta?... Se la vostra coscienza vi risponde affermativamente, con-

solatevi, che avete lo spirito del Signore; diversamente pregate e

scongiurate Gesù a volervi distaccare da tutto, a darvi lo spirito di

sottomissione e di abnegazione, e la santa disposizione per compiere

i ogni istante la divina volontà.

La virtù dell'obbedienza era naturalmente uno degli argomenti più

trattati quando la Madre istruiva le nuove reclute. Ne parlava con

tanto ardore e convinzione, che le novizie ne restavano fortemente

impressionate. «Ci parlò dell'obbedienza - scrive una di esse - con

tanto fervore e con l'accento così persuasivo che, dopo trentatrè anni,

la sua voce mi suona ancora all'orecchio. La suora obbediente, dice-

219

va, è la Più cara al Cuore di Gesù. Noi dobbiamo diventare per virtù

quello che l'asinello è per La docile bestia si lascia caricare di qua-

lunque peso e guidare in qualsiasi luogo, senza reagire»,"

Il mondo contemporaneo è ben lontano dal lasciarsi condurre, per

amor di Dio, come «la docile bestia», appunto

12. Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta.

13. Circolare del 19 dicembre 1921.

14. Testimonianza di suor Alessia Feller.

perché ignora i pregi dell'obbedienza virtuosa. Eppure la incondizio-

nata sottomissione ai voleri del Padre celeste fu la via battuta dal Re-

dentore e dalla Corredentrice, onde rimediare ai mali che affliggono

l'umanità per colpa dei primi due «Disobbedienti».

CAPO TERZO

A TUTTE

Alle suore raccolte in ritiro la Cofondatrice raccomandava «una pro-

fonda e straordinaria umiltà». La proponeva quale «frutto principalis-

simo» degli esercizi annuali; e ricordava che «il venerabile Padre a-

veva parole sublimi per questa virtù e l'amò singolarmente». «Per lui

l'umiltà era sinonimo di perfezione». «Sante ed umili» diceva «sono

la stessa cosa». Ad una suora molto stimata che da alcuni anni era

superiora, egli scrisse: «Il Signore ha dei disegni sopra di te, ma non

te li manifesterà se non dopo che sarai diventata come uno straccio

da cucina. Continua ad umiliarti davanti alla vicaria»."

«Farsi piccola, piccola»

La Piccola Suora della Sacra Famiglia, se vuole raggiungere lo scopo

della sua vocazione, deve possedere in sommo grado la virtù dell'u-

miltà. Davanti a Dio deve farsi piccola, piccola, avere bassa stima di

se stessa, considerarsi e trattarsi la peggiore e la Più difettosa di tutte

le sue sorelle. Se vuole arrivare alla perfezione, deve amare le umi-

liazioni e le correzioni. Per conoscere a qual grado di umiltà sia giun-

ta una suora, bisogna vedere come essa riceve le correzioni e come si

220

comporta dopo le medesime. Se si conserva tranquilla, di buono spi-

rito e riconoscente a

1. Suor Fortunata Toniolo, superiora a Calcinato presso Castiglione

delle Stiviere (Mantova). La lettera fu scritta il 3 marzo del 1900.

2. «Letture» della Madre, p. 2.

quelli che gliele fanno, beata lei! Ne ringrazi la Sacra Famiglia e ve-

da di diventare sempre Più umile?

Mons. Nascimbeni non tollerava la permalosità. Quando rimprovera-

va una suora, la osservava attentamente per vedere come accettava la

correzione. Se essa manteneva il volto sereno, entrava subito nelle

grazie del Padre; se invece si turbava e metteva il broncio, ben presto

il Padre tornava alla carica e questa volta l'acquazzone era più impe-

tuoso.

Da giovane la Mantovani conobbe quegli scrosci ed ora, fatta adulta

ed esperta nelle vie di Dio, era profondamente grata al Padre che non

l'aveva risparmiata. Diceva, a sua volta, alle suore: «Non siate per-

malose. La permalosità è superbia, e la superbia mal repressa condu-

ce le anime a cattiva fine».' «La permalosità è una grandissima piaga

... Chi non ama le osservazioni e le correzioni, non ama la perfezione

e la santità, e direi che ha poco o nessuna vocazione... ». Sono per-

tanto degne di biasimo quelle suore che «sembrano piene di buono

spirito, quando nessuno le tocca; ma se dalla superiora o vicaria o

maestra vengono corrette, allora quella serenità, quella bontà che di-

mostravano prima si cambia in oscurità o in grandissimo malumore.

Cadono nello scoraggiamento, fanno le serie, perdono la confiden-

za».

«Il nostro carissimo Padre» ci ha raccomandato la pratica di una

grande umiltà: «col mettersi sotto i piedi la stima propria, col riceve-

re in buona parte le umiliazioni e osservazioni, senza brontolare, sen-

za mormorare dei superiori, ma pigliare tutto dalle mani di Dio, il

quale dispone ogni cosa per il nostro maggior bene. Povera quella

suora che non vuol saperne di correzioni e osservazioni! Finirà col

fare vergognoso divorzio da Gesù»."

221

3. Circolare del 15 giugno 1918.

4. Circolare del 21 dicembre 1926.

5. Promemoria per gli esercizi spirituali, p. 11.

6. Circolare del 17 ottobre 1917.

L'umiltà custodisce la vocazione e facilita l'osservanza dei santi voti

perché, «senza questa virtù», la suora «non potrebbe essere né obbe-

diente, né povera, e molto meno casta».

La Piccola Suora aborrisce le singolarità. Non vuole apparire origina-

le, ama essere ignorata e fare le cose nascostamente, perché allora c'è

più merito." Essa prega, lavora, si sacrifica «per procurare gloria alla

Sacra Famiglia, per dar gusto alla medesima, per meritare il paradiso;

e non per procurarsi lodi, onori, soddisfazioni terrene»." Che anzi,

«certi elogi dovrebbero scottare e non rallegrare. Solo Dio e la co-

scienza giudicano».

«Siate devote di Maria Santissima» esortava dunque la Madre «e

pregatela ad ottenervi la grazia d'una profonda umiltà»." «Bisogna

domandare tanta, tanta, tanta umiltà. Le Piccole Suore debbono stare

nascoste, nascoste sempre, fino al giorno del giudizio»."

«Il Più bel distintivo del nostro Istituto»

L'umiltà vera è la custode della giustizia e genera l'amore fraterno.

Chi si stima per quello che è, senza presunzioni e soprastrutture,

prende l'atteggiamento giusto davanti a Dio e in mezzo agli uomini.

Il cuore umile è rispettoso e comprensivo, tiene in considerazione i

pregi altrui; sa compatire e consolare, si rallegra con chi è nella gioia,

si rattrista con chi soffre, accoglie tutti, non disprezza nessuno: la ca-

rità, in tutte le sue dimensioni, si nutre di umiltà. Nell'umiltà la Pic-

cola Suora trova forza e difesa; ma chi garantisce il successo delle

sue opere è la carità. Carità nelle

7. Circolare dell' II dicembre 1930.

8. Dalle «Letture» della Madre, passim.

9. Circolare del 27 dicembre 1919.

10. Dalle «Letture» della Madre: 17 gennaio 1934, p. 12.

11. Circolare del 21 dicembre 1926.

12. Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta.

222

sue relazioni con i superiori, carità per le sorelle di religione, carità

verso le persone affidate alle sue cure, carità per i vivi e per i morti,

carità per tutti.

Il servo di Dio mons. Giuseppe Nascimbeni soleva ripetere: «Carità,

carità, carità non è mai troppa!», È questo uno dei «detti» più prezio-

si, tramandati nell'Istituto, che riassumono la vita e i paterni inse-

gnamenti del Fondatore.

Madre Maria Mantovani si distingueva, fra tutte, nella pratica della

carità. Questa virtù sembrava connaturale al suo temperamento mite

e bonario. E quando ne parlava alle suore, usava espressioni tanto vi-

ve ed efficaci perché tutte avevano sperimentato la bontà del suo

cuore materno. Viviamo tutte concordi e unite in santa carità. Sia di

noi un sol cuore, un sol pensiero, una sola volontà, e tutte insieme

stiamo sempre in intima spirituale unione con Dio, mediante la con-

tinua preghiera, come faceva il venerabile Padre. Allora Gesù bene-

detto si compiacerà di noi, dell'intero Istituto, e benedirà largamente

tutte le nostre opere."

Amatevi, rispettatevi, compatitevi reciprocamente. Gesù lo vuole, ed

è necessario per la nostra santificazione e per la concordia nella co-

munità. Astenetevi dalla mormorazione per Piccola che sia. Badate

che la

maldicenza è arma a doppio taglio; ferisce chi l'adopera e chi colpi-

sce. Carità, carità, vi ripeto ancora, abbiate carità," Pratichiamo la ca-

rità fraterna, insiste la Madre. Quindi compatimento reciproco, dol-

cezza, mansuetudine, aiuto scambievole, pronto, con tutte le sorelle.

Bando alle Piccole invidie, alle gelosie, ai puntigli,"

E ancora: Il fiore della carità è la mansuetudine. Dalle nostre parole,

dai nostri atti, dalle nostre azioni traspiri sempre mansuetudine, dol-

cezza e carità. Si pigliano Più mosche con un po' di miele che con un

barile di aceto. Carità, carità, carità non è mai troppa!

Anzitutto e sopra tutti dobbiamo amare i nostri superiori. Guai a

mancare di carità verso i medesimi, col criticare il loro operato e trat-

tarli

13. Circolare del 31 gennaio 1922.

223

14. Circolare del 22 dicembre 1925.

15. Circolare del 21 dicembre 1926.

da ingiusti e parziali. Chi non rispetta i superiori non potrà essere be-

nedetto dal Cielo. Dopo i superiori, dobbiamo amare tutte le nostre

consorelle. Bando alle antipatie, alle mormorazioni, alle critiche, al

parlar duro, alle parole offensive. Guardiamoci dal pensar male e dal

fare su di esse dei giudizi temerari.

Dobbiamo usare carità con i bambini, con le scolare in particolare

con le Più povere, con gl'infermi; per tutti dobbiamo avere viscere di

carità; e non potendo soccorrere gli ammalati e i poveri con mezzi

materiali, aiutiamoli con le nostre preghiere. Preghiamo assai per i

poveri peccatori. Per questi facciamo anche qualche mortificazione,

affinché il Signore li converta e li salvi. Se pregheremo con fervore

per i peccatori, nell'altro mondo troveremo molte anime salvate per le

nostre suppliche e grande sarà la nostra gloria.

Ricordiamo anche le care anime del purgatorio. In tante maniere noi

possiamo sollevare quelle povere prigioniere, specialmente le anime

delle nostre consorelle e per prima quella del venerato Padre, caso

mai ne avesse bisogno. In suffragio di queste anime possiamo appli-

care qualche comunione, parte del frutto delle nostre preghiere, mor-

tificazioni e sofferenze.

Ed ora vi raccomando le care orfanelle. Voi avete veduto e toccato

con mano il numero grande delle nostre Piccine. Man mano che si

fanno grandi, i loro bisogni si fanno maggiori; tanto per il vitto quan-

to per il vestito occorrono Più denari. Abbiamo da rallegrarci, però,

perché tutte crescono buone. Davanti all'Immacolata e sopra la tomba

del venerato Padre esse pregano molto per voi. Voi dunque usatemi

la somma carità di aiutarmi a provvedere al loro mantenimento,"

Nel raccomandare alle suddite la pratica della carità, la Madre ha se-

guito una graduatoria che da tempo s'è fissata nel suo grande cuore: i

superiori e le consorelle, i bimbi e le scolare, i poveri e i malati, i

peccatori, che sono poveri e malati nell'anima, e quindi più bisognosi

del soccorso spirituale delle suore; vengono poi le anime del purgato-

rio le consorelle anzi tutto, e prima ancora il Padre, «caso mai ne a-

vesse bisogno»;

224

16. Circolare del 15 dicembre 1923.

chiudono il catalogo della carità «le care orfanelle», che la Madre ri-

corda per ultime, onde poter sostare più a lungo su di loro con amore

di predilezione.

La carità e la croce furono i temi più trattati nelle «letture», tenute

dalla Cofondatrice negli ultimi mesi della sua vita. Lo rivelano gli

«appunti» presi da una novizia," che in parte trascriviamo nella loro

redazione schematica.

Carità, carità. Basta un atto, uno sguardo. Solo con l'affetto si con-

quistano i cuori: 13 gennaio 1934. Ci vuole generosità. Soffrire vo-

lentieri... Perdonare facilmente. Compatire sempre. Prendere in buo-

na parte un atto di sfiducia. Non giudicare male. Mostrare di non ac-

corgersi delle debolezze del prossimo. Dire parole di conforto. Pre-

venire i bisogni delle nostre consorelle. Risparmiare loro il rossore e

la vergogna. Fraternità: 5 gennaio 1934.

Carità. Bisogna essere Più buoni che giusti. Amare è patire: 15 set-

tembre 1933. Chi si scandalizza non è perfetto. Non voler vedere il

male, e godrai la pace del cuore: 25 settembre 1933. Un monastero

senza carità è un monastero senza Dio. Carità, dispensiera di pace: 18

settembre 1933.

La pace. Se manca il cemento, le pietre cadono. Così è di noi. Se non

regna la pace, i cuori saranno divisi, mancherà la carità, la grazia. Se

amate la comunità, amate la pace. Se non abbiamo la pace, abbiamo

l'inferno: 20 dicembre 1933. La carità, invece, forma il paradiso delle

comunità. 18

Per raggiungere la perfezione nella pratica della grande virtù cristia-

na, le Piccole Suore debbono seguire gli esempi e gl'insegnamenti del

loro «venerato Padre»; ma soprattutto debbono ispirarsi alla vita del-

la Sacra Famiglia, loro «modello e specchio». «Là, nella casa di Na-

zareth» ricordava appunto la

225

17. Suor Gian Maria Piva. Vedi sopra, p. 151, nota 12.

18. Circolare del 21 dicembre 1926.

Madre «non v'erano alterchi, malumori o invidie, ma sempre pace,

unione, amore». La Confondatrice frequentava assiduamente quella

scuola. Nell'assolvere il grave mandato di superiora generale si di-

mostrava sempre umile e caritatevole, e voleva che nella sua Con-

gregazione fiorisse la perfetta unione dei cuori. Nello scritto del Na-

tale 1924, rivolta a tutte le figlie, madre Maria dichiarava:

Tutte le osservazioni fattevi nella presente circolare non ve le ho fatte

né per cattiveria né per rimproverarvi né perché io abbia di voi poca

stima. Vi dissi solo ciò che mi dettava il cuore, perché io vi amo tutte

in Dio e per Iddio e perché vi voglio tutte virtuose e sante. Procuria-

mo di essere tutte un cuor solo ed un'anima sola. Questo sia il Più bel

distintivo del nostro Istituto."

Zelo

Dallo zelante parroco di Castelletto la Mantovani apprese ad amare

le anime. In parrocchia, come abbiamo detto altrove, si prestava ge-

nerosamente per qualsiasi iniziativa. Divenuta suora e superiora ge-

nerale, ebbe modo di perfezionare la sua sensibilità apostolica. I sa-

cerdoti che venivano alla Casa Madre per chiedere suore, descrive-

vano i bisogni delle loro parrocchie; quando poi la Madre andava in

visita nelle filiali, si rendeva conto direttamente delle necessità spiri-

tuali di quelle popolazioni.

Da principio le Piccole Suore della Sacra Famiglia prestavano aiuto

esclusivamente ai sacerdoti in cura d'anime. Prima a Castelletto, ac-

canto al Fondatore parroco; poi, cresciute di numero, furono richieste

per altre parrocchie, in diocesi e fuori. Chi garantiva l'efficacia della

loro collaborazione era la

19. Circolare del lo febbraio 1927.

20. Circolare del 23 dicembre 1924.

226

docilità ai parroci, lo spirito di adattamento e di sano aggiornamento,

secondo le direttive impartite dalla gerarchia. La Madre pertanto in-

culcava:

Vi prego di uniformarvi allo spirito richiesto dai reverendi parroci,

come tanto stava a cuore al venerato Fondatore. Costino pure sacrifi-

ci le opere parrocchiali e le associazioni dei circoli cattolici, a tutto ci

si deve sottomettere con zelo prudente e con il consenso dei parroci,"

Continuate ed aumentate il vostro zelo per la gioventù femminile cat-

tolica italiana, come desidera il Santo Padre; per l'insegnamento del

catechismo, per la ricreazione festiva. Nei paesi ove questa non fosse

in uso, cercate d'introdurla. Coltivate le giovani con la parola e l'e-

sempio:"

Donna di fede profonda, la Mantovani sapeva che l'attività apostolica

dev'essere sostenuta dalla preghiera. Alle suore impegnate nelle ope-

re parrocchiali o a contatto con i bimbi e malati, raccomandava di

pregare sempre:

Pregate per le persone a voi affidate. Chiedete al Signore che vi ispiri

che cosa dovete dire alle anime."

Voleva che le suore fossero edificanti in tutto. Dovevano esser «le

prime» ad andare in chiesa per le sacre funzioni e «le ultime» ad u-

scire: «e ciò per dare il buon esempio»."

Lo zelo per le anime non conosce limiti: di tempo, di spazio, di gene-

rosità. Caritas Christi urget nos!, ripeteva spesso il servo di Dio

mons. Giuseppe Nascimbeni. Allo zelo del Padre faceva eco lo zelo

della Madre, che scriveva alle figlie:

Tiriamo anime a Gesù Più che possiamo con la preghiera, con la pa-

rola e con l'esempio. Salviamo le anime che a Gesù costarono tutto il

suo preziosissimo Sangue.

21. Circolare del 28 novembre 1927.

22. Circolare del 12 dicembre 1929.

23. Appunti per «Letture».

24. Circolare del 22 dicembre 1925.

25. Circolare del 21 dicembre 1926.

227

«Templi vivi del Signore»

L'apostolato non deve compromettere l'apostolo. Chi cura i malati

contagiosi deve usar cautele per non contrarre il morbo. Nel cuore

dell'uomo il bene è mescolato al male. Le virtù soppiantano inclina-

zioni cattive, senza estinguerle del tutto. Anche i più provetti non

vanno immuni da languori e cedimenti. Se non vigili, potresti essere

sorpreso dal nemico che sei riuscito a dominare per anni.

Prima di dedicarsi alle opere apostoliche, la suora s'è impegnata so-

lennemente con Dio e davanti alla comunità dei fedeli. La nota che la

contraddistingue è la «lilialità». La religiosa è una persona «consa-

crata»; aspira a Dio solo, appartiene totalmente a Lui.

«Innocente come una bambina»," madre Maria Mantovani voleva

che anche le sue figlie fossero preservate dal male. Pur dedicandosi

con zelo al bene del prossimo, la Piccola Suora si chiude nella for-

tezza del riserbo, onde spargere attorno a sé la bontà senza contami-

narsi.

La Madre esortava le suore ad usare «grande dolcezza con le sorelle,

con la gioventù, con i vecchi, con gli ammalati, con tutti». La loro,

però, doveva essere «la dolcezza di Gesù»: «accompagnata da serietà

e gravità, scevra di sdolcinature e leggerezze»."

Alle suore che durante la prima guerra mondiale prestavano servizio

negli ospedali militari, venivano raccomandate «le belle maniere con

tutti, specie con i malati, ma nel contempo grande riservatezza). «O-

gnuna stia al suo posto» diceva la Madre. «Non dia mai, mai del tu a

nessun soldato, non entri in familiarità con nessuno; e nemmeno sor-

rida» davanti a uomini. Non faccia preferenze con nessuno, sano o

malato che

Le suore che hanno conosciuto più da vicino la Cofondatrice attesta-

no,

unanimi, la sua «innocenza- e ritengono che non abbia mai perduto la

grazia

battesimale. " Circolare del 17 ottobre 1917.

228

sia, ma tratti tutti alla stessa maniera. «Operando così» concludeva

«vi metterete al sicuro ed erigerete intorno a voi una siepe che vi cu-

stodirà da ogni insidia»."

La prudenza è particolarmente richiesta quando le suore sono fuori di

casa. Possono sempre imbattersi con qualche male intenzionato che

porta turbamento alla loro ingenuità. «Badate» osservava la Fonda-

trice «che il mondo è cattivo. State guardinghe sui treni: preferite

prender posto in mezzo a tante persone, anziché fermarvi da sole ne-

gli scompartimenti»."

Nell'intimità della vita comunitaria le suore si amino «di amore san-

to», ma senza particolarismi e simpatie, reputandosi «templi vivi del

Signore»."

Per il voto di castità, diceva madre Maria, noi ci siamo consacrate to-

talmente a Dio. A Lui abbiamo donato tutti i nostri sensi, la nostra

mente e soprattutto il nostro cuore. La virtù della castità è un tesoro

che portiamo in vasi fragili. Se vogliamo conservarla, dobbiamo

prendere delle precauzioni. Dobbiamo vigilare e custodire i nostri

sensi, che sono le porte da cui entra la morte nell'anima. La nostra

mente non deve pensare che a Dio e a ciò che a Lui può far piacere;

dobbiamo scacciare con prontezza tutto quello che può offuscare la

bella virtù. Custodiamo il nostro cuore come si custodiscono i taber-

nacoli e i vasi sacri, perché ogni giorno deve albergarvi il Santo dei

santi. Guai se egli lo troverà ingombro da affetti non suoi! State at-

tente, attentissime su gli attacchi verso le creature. Non abbiate mai

delle amicizie particolari con chicchessia ...

Anche le amicizie spirituali vanno evitate o attentamente vegliate.

Non che si debbano rifiutare qualora Dio ne faccia il dono. Sono fiori

rari, che crescono sul ciglio dei precipizi. Se Dio li farà sbocciare,

penserà pure a mandare i suoi angeli per

28. Circolare del 21 agosto 1916.

29. Circolare del 14 marzo 1924.

30. Circolare del 27 dicembre 1919.

31. Circolare del 15 dicembre 1923.

229

custodirli. Ma andarne in cerca o volerli coltivare di propria iniziati-

va, c'è pericolo di rovinare nel fondo.

Il tempo della prova è breve. Bisogna camminare in fretta e decisi.

Chi sosta a lungo per guardarsi attorno si espone a indugi ed incante-

simi, che lo rendono meno degno di assidersi un giorno al banchetto

dell' Agnello.

«Vere spose di Gesù»

Per essere vere spose di Gesù bisogna spogliarsi di tutto, essere po-

vere ad imitazione di molti santi, specialmente del nostro principale

protettore S. Francesco d'Assisi."

Betlemme, Nazareth, il Calvario: tutto parla di povertà e di spoglia-

mento nella vita del Redentore. La Piccola Suora della Sacra Fami-

glia è invitata, in particolare, ad imitare la povertà di Nazareth. Nella

piccola casa ove, per trent'anni, abitò Gesù in compagnia di S. Giu-

seppe e della Madonna, si viveva del proprio lavoro, ci si acconten-

tava dell'indispensabile e si aveva una illimitata fiducia nella provvi-

denza del Padre che sta nei cieli.

Il Maestro Divino ha dato l'esempio, prima d'insegnare con la parola

il distacco dai beni terreni. Non vale la pena affannarsi per mettere

insieme le cose di quaggiù, dal momento che ci stiamo per così breve

tempo e siamo creati per le imperiture ricchezze del cielo.

Anche madre Maria Mantovani ha insegnato la preziosità del distac-

co, prima con l'esempio che con la parola. Nei primi anni della Con-

gregazione la povertà delle Piccole Suore fu veramente eroica. Gli

esempi del Fondatore, della Cofondatrice e delle prime suore restano

il baluardo più valido contro lo spirito e le cupidigie del mondo. L'I-

stituto, in quanto tale,

32. Circolare dell' 11 dicembre 1930.

ha certamente bisogno di ambienti accoglienti e d'una attrezzatura

tecnica aggiornata; ma la Piccola Suora si mantiene sciolta ed agile

come un uccello in volo, pronta ai cenni dei superiori che la trasferi-

scono ove maggiormente urge la sua presenza.

La Madre Cofondatrice insisteva sulla virtù del distacco dai beni,

dalle persone, dai paesi, e persino dai propri parenti, a meno che la

230

carità e la pietà filiale non reclamassero la suora accanto ai genitori

infermi.

Quando poi s'intratteneva di proposito sul voto di povertà, la Manto-

vani scendeva alle applicazioni con una casistica concreta e dettaglia-

ta, affinché le suore l'osservassero alla perfezione.

Vi raccomando tanto, tanto di non trasgredire il voto di povertà. Col

voto non potete né dare né ricevere, né vendere né comprare, né do-

nare oggetti o denari a chicchessia, né trattenere denaro da qualunque

parte sia venuto ... Attente, attente! Non siate di manica larga!"

La dignità di «spose di un Dio crocifisso» esige che le suore vadano

serenamente incontro ai disagi e alle privazioni. «Non si può amare

né praticare la povertà» diceva perciò la Madre «se non si ama il sa-

crificio». La religiosa che ama il sacrificio, non ha esigenze, non a-

vanza bisogni immaginari; d'altronde, non le manca niente perché

s'accontenta in tutto: «nell'abitazione, nel vestiario, nel vitto»."

Nella pratica della parsimonia e dello spirito d'adattamento la Casa

Madre precedeva le filiali. Durante la prima guerra mondiale, per e-

sempio, a Castelletto scarseggiavano i viveri. Quel po' di latte che si

riusciva a trovare era destinato alle suore ammalate. Le sane, con a

capo la Madre, rimediavano alla meglio. «A colazione» scriveva la

Generale nel maggio del 1915 «facciamo una pentola di brodo di fa-

glioli con qualche

33. Appunti per «Letture».

34. Circolare dell' 11 dicembre 1928.

altra verdura e un pochino di formaggio; vi mettiamo poi dentro il

pane affinché abbia a bollire almeno per un quarto d'ora. La zuppa

riesce molto buona; con una scodella abbondante di essa si sta bene

sino a mezzogiorno ... e si risparmia caffè e zucchero».

Nondimeno, in caso di necessità non si badava a spese. Le superiore,

anzi, venivano esortate alla generosità. Dovevano essere «veramente

mamme», come inculcava la Madre, e provvedere con premura a tutti

i bisogni delle suddite, onde queste non fossero indotte a mancare

agl'impegni presi con madonna povertà."

Le Piccole cose

231

La vita umana è costituita da una lunga serie di piccoli avvenimenti.

Presi in sé sembrano insignificanti, eppure da essi dipende tutto l'o-

rientamento della vita. Per l'anima che tende alla perfezione, le pic-

cole cose assumono una portata immensa e determinante.

Madre Maria Mantovani tornava spesso sulla fedeltà alle piccole co-

se, tanto nei proponimenti personali che negl'insegnamenti impartiti

alle suore. Nell'ottobre del 1911 proponeva:

Con l'aiuto della Sacra Famiglia, sarò diligentissima nell'osservare

tutte le cose Più minute che ordina la giornata della Piccola Suora, e

tutto farò in compagnia della Sacra Famiglia,"

Rivolta poi alle giovani entrate da poco in convento, madre

Maria diceva:

Parlo a voi, in modo speciale, che vi preparate a fare i primi passi

nella vita religiosa. Con la vocazione il Signore ci chiama alla santi-

tà.

35. Circolare del 21 maggio 1915.

36. Cf. la Circolare del lO maggio 1919.

37. Propositi, I, p. 18.

Per riuscire cominciate subito ad esercitarvi, con grande amore, nelle

Piccole cose.

Anche le suore provette erano esortate a cercare la perfezione nel

compiere bene le azioni d'ogni giorno; e perché l'insegnamento fosse

più efficace, la maestra scendeva ai particolari.

Facciamo ogni azione con grandissima esattezza, e facciamola bene

un giorno Più dell'altro. Per esempio: diremo un Pater noster un gior-

no Più devotamente dell'altro, faremo il segno della croce bene un

giorno Più dell'altro, la genuflessione con fede un giorno Più dell'al-

tro; e invece di accontentarci di mettere le dita sull'orlo dell'acqua-

santiera, tingiamo le dita nell'acqua benedetta, ecc. Cerchiamo in-

somma di fare sempre tutto con maggior perfezione, e allora divente-

remo perfette e sarà impossibile perdere la strada e far divorzio da

Gesù:"

La costante fedeltà alle piccole obbligazioni educa la coscienza alla

delicatezza, irrobustisce la volontà, forgia il carattere; e soprattutto

232

attira molte grazie dal cielo, perché «nelle azioni Dio bada più agli

avverbi che ai verbi»."

L'orario

La fedeltà ai mille doveri d'ogni giorno esige la fedeltà all'orario. Il

Fondatore delle Piccole Suore era esigentissimo su questo punto e

puniva severamente chi veniva meno. Era solito dire: «Orario, orario,

orario: spacchiamo il minuto e la nostra vita sarà ordinata e santa».

Egli precedeva le figlie con l'esempio, poiché s'era obbligato ad un

orario rigoroso ed era

38. Testimonianza di suor Alessia Feller.

39. Circolare del IO gennaio 1916.

40. G. BAETEMAN, Esercizi spirituali, Torino, L.I.C.E., 1938, p.

22.

puntuale nell'osservarlo. Quando andava in giro per le filiali, per

prima cosa stabiliva dettagliatamente quanto avrebbe

fatto. S'informava poi se nella casa si eseguiva l'orario, e dove non

era in vigore voleva che fosse istituito. A Castelletto aveva fatto i-

stallare diversi orologi, affinché tutte le suore potessero udire il suo-

no delle ore. Sotto la sua direzione, ogni cosa veniva fatta al tempo

assegnato, con precisione cronometrica.

In tema di orario la Cofondatrice fu discepola ed erede fedele degl'in-

segnamenti del Padre. Faceva di tutto per essere la prima all'atto co-

mune ed esigeva la puntualità, tanto a Castelletto che nelle filiali. Se

la probanda o novizia campanaia non era esatta “non spaccava il mi-

nuto”, la Madre usciva dal suo studio e suonava la campana. Alle

suore ricordava spesso, con filiale compiacenza, lo «zac-tac» del

Fondatore e il suo zelo perché nell'Istituto, con la collaborazione del-

le superiore locali, fosse tenuto in gran conto l'orario. Diceva madre

Maria:

Bisogna dare buon esempio nell'osservanza dell'orario. Vi sono delle

superiore che fanno l'orario e poi lo lasciano appeso al muro; lo la-

sciano osservare dalle altre, seppure l'osservano e si lascia loro il

tempo di osservarlo, e per esse resta lettera morta. E perché non l'os-

servano? Perché s'immergono troppo nelle faccende esterne, si la-

sciano assorbire tutto lo spirito dalle medesime, e alle azioni ordinate

233

dall'orario si lascia l'ultimo posto e vengono fatte come Dio vuole ...

Ma dove vi è una superiora che osserva e fa osservare l'orario, quella

casa è l'immagine della casa di Nazareth. Là si riscontra l'ordine, il

decoro, la pace, l'osservanza della disciplina:"

Alle esortazioni generiche tengon dietro le direttive concrete. Una

casa filiale «era molto povera e priva di cose anche necessarie. Era

inoltre poco riparata, sicché d'inverno si soffriva molto il freddo».

Alla superiora che aveva chiesto se le

41. Avvertimenti per le superiore, pp. 1-3.

suore potevano, la sera, andare a letto prima dell'orario fissato, la

Madre rispose: «Compera legna, carbone, olio quanto occorre, ma

state all'orario»."

I continui richiami agl'insegnamenti del Fondatore circa l'orario e l'e-

sattezza nell'osservarlo confermano e rendono autorevoli quelli della

Cofondatrice. Nel gennaio del 1916 ella scriveva:

L'ultimo ricordo che lasciò il carissimo Padre alle superiore jù que-

sto: - Procurate di avere tutte l'orologio; guardatelo spesso spesso per

far buon uso del tempo, per non sprecarne mai inutilmente, e per es-

sere sempre esattissime e precisissime al vostro orario. E un bellissi-

mo ricordo, commenta la Madre, che gioverà tanto al vostro spirito.

Fàtene tesoro:"

Preziosità del tempo

Sulla preziosità del tempo la Cofondatrice tornava spesso, sia nelle

circolari sia nelle «letture» che teneva durante gli esercizi. In partico-

lar modo ne parlava verso la fine di dicembre, allorché invitava le fi-

glie a «fare i conti di cassa»:" ad esaminarsi, cioè, su l'anno trascorso

e a fare proponimenti per il nuovo.

Anche l'anno1929 se ne va; e noi alla fine di esso, come i bravi nego-

zianti, dobbiamo dare uno sguardo al passato. Dobbiamo esaminare

le partite dell'anima nostra, fare un bilancio esatto e pensare a nuovi

provvedimenti per il 1930 che si avanza."

Altre volte l'inchiesta è condotta dalla Madre stessa: sulla regola, sui

santi voti, su la fedeltà alle innumerevoli grazie che

234

42. Testimonianza di suor Evarista Dalla Fontana, entrata nel 1909.

43. Circolare del 10 gennaio 1916.

44. Circolare del 21 dicembre 1922.

45. Circolare del 12 dicembre 1929.

Dio ha elargito a ciascuno nel corso dell'annata. All'esame tiene die-

tro il pentimento e l'implorazione del perdono per le mancanze com-

messe. Il ricordo delle sorelle passate all'eternità durante l'anno tra-

scorso deve rendere più sinceri ed efficaci i propositi delle rimaste.

Carissime, preghiamo il buon Gesù ad esserci benigno e misericor-

dioso. Supplichiamolo a perdonarci le mancanze commesse, a sten-

dere un denso velo sul passato ed accogliere le nostre promesse di

maggior fedeltà

nel nuovo anno 1927. Pentite e ben disposte così, egli avrà per noi

nuove grazie di perdono, di fortezza per non cadere, di fervore per

progredire nel bene. Corrispondiamo dunque con grande generosità,

e il tempo che la

bontà di Dio ci concede, spendiamo lo tutto per santificarci. Viviamo

in maniera d'essere sempre pronte alla chiamata dello Sposo come

furono pronte le nostre carissime sorelle passate in quest'anno a mi-

glior vita:"

La brevità del tempo e l'approssimarsi dell'eternità erano molto av-

vertiti dalla Mantovani negli ultimi anni, da quando il Fondatore l'a-

veva preceduta in cielo. Nella trepida attesa, la Madre cercava di

rendersi sempre più degna del «grande giorno» ed esortava altresì le

figlie a fare «buon conto del tempo». «Esso» diceva «ci è da Dio

concesso, al fine di tesoreggiare per l'altra vita: vita che non avrà fi-

ne. Spogliamoci di tutto, distacchiamoci da tutto e viviamo solo per

Iddio, nostro principio e fine»."

L'esortazione a vivere santamente in vista dell'eternità vicina assu-

meva una particolare validità, allorché veniva a morire qualche con-

sorella. Nel darne il mesto annuncio la Madre Generale non mancava

di esortare le figlie alla vita fervorosa e a tenersi «sempre ben prepa-

rate al gran passo, dal quale dipende la nostra eterna salvezza»."

235

46. Circolare del 21 dicembre 1926.

47. Circolare del 14 dicembre 1931.

48. Circolare del 24 marzo 1923.

Suor N. N. copre il numero 71 delle nostre care defunte ... Chi copri-

rà il numero 72? Teniamoci preparate un giorno Più dell'altro!"

Anche in quest'anno la morte ha visitato ripetutamente l'Istituto delle

Piccole Suore della Sacra Famiglia. In tre mesi tre suore sono volate

in paradiso, e una di queste era superiora. Buon per loro che, venen-

do lo Sposo, le trovò con la lampada accesa, come le vergini pruden-

ti. Carissime, stiamo sempre apparecchiate, sempre pronte a fare la

volontà di Dio vivendo in umiltà, obbedienza e carità. Non dimenti-

236

chiamo mai le massime del carissimo venerato nostro Padre: cioè, di

vivere come se ogni giorno dovessimo morire. La vita è un volo, un

lampo che passa. Il tempo che il Signore ci dà, impieghiamo lo per

fare molte opere buone e guadagnare anime a Gesù. so

«Impastate di preghiera»

Quanti conobbero da vicino mons. Giuseppe Nascimbeni affermano

che egli fu un uomo di profonda orazione. Nel programma giornalie-

ro che s'era imposto vien data la preminenza alle pratiche di pietà.

Egli pregava di continuo, con straordinario fervore. La preghiera era

veramente «il respiro» della sua grande anima sacerdotale. Negli ul-

timi anni, quando la paralisi lo tolse dal campo di lavoro, il Nascim-

beni pregava ancor più intensamente: la preghiera riempiva le lunghe

giornate e sollevava lo spirito e il corpo più di qualsiasi altro rimedio.

Pregava per tutti. Per le figlie vicine e per quelle disperse nelle case

filiali. Pregava per i parrocchiani che venivano a fargli visita, per i

peccatori, per la Chiesa. Pregava in letto o nella cappellina attigua

ove, a consolazione del caro Infermo, si conservava sempre il Santis-

simo. Nelle giornate serene si faceva portare in carrozzella davanti

alla Grotta di Lourdes: quivi, circondato dalle orfanelle più piccine,

recitava il rosario intero, o sostava a lungo a conversare con la Bian-

ca

49 Circolare del 16 febbraio 1921.

50 Circolare del 13 aprile 1929.

Signora. Appena si sentiva più valido, celebrava la santa messa; poi

scendeva nella cappella dell'Istituto, apriva il tabernacolo e pregava

con grande fervore, a voce alta e commossa; e commosse restavano

pure le suore presenti che ammiravano la «straordinaria fede» del lo-

ro Padre. Nelle ultime settimane, allorché il male lo tenne irrimedia-

bilmente

in letto, l'Infermo volle attorno a sé le suore e le orfanelle che, a tur-

no, venivano a pregare con lui. Quando sopraggiunse sorella morte, il

Servo di Dio teneva ancora in mano la corona: si spense pregando.

Il Padre educò le figlie alla preghiera. «Nelle sue Costituzioni volle

che le Suore della Sacra Famiglia dedicassero molte ore del giorno e

237

della notte alla preghiera, senza contare le preci che si recitano anche

lavorando, avendo come nell'alveare ciascuna in mano la cera del la-

voro, e nelle labbra il miele della preghiera».

Alle molte pratiche di regola venivano facilmente aggiunte altre pre-

ghiere, secondo le circostanze. Se c'era una particolare grazia da ot-

tenere, si recitavano altre tre «Salve Regina» o tre «De profundis» o

la corona delle Sette Allegrezze di S. Giuseppe. Ottenuta la grazia, le

suore dimostravano la loro riconoscenza con la recita di due «Te

Deum», oppure si davano il turno davanti al Santissimo che veniva

esposto per tutta la giornata.

Quando le Costituzioni passarono a Roma per la revisione canonica,

le pratiche di pietà vennero ridotte e temperate. Ma lo spirito di pre-

ghiera, impresso dal Fondatore, permane tuttora nell'Istituto e viene a

compensare l'esuberanza e gli esercizi di un tempo, che d'altronde le

molteplici attività renderebbero oggi impossibili.

Alla scuola del Servo di Dio, la Mantovani divenne un'anima di pro-

fonda interiorità. Umile, sempre serena e silenziosa, viveva costan-

temente alla presenza di Dio e della

"Can. ORESTE DE LAURENTIIS, in Quasi oliva speciosa in cam-

pis, p. 29.

Madonna Immacolata. Bastava vederla, anche fuori di chiesa, che

s'era portati al raccoglimento e alla devozione. Parlando alle suore

della vita di preghiera, ella ricordava:

Il desiderio Più ardente del nostro reverendo Padre è questo: che noi

siamo impastate di preghiera come la spugna viene imbevuta dall'ac-

qua quando è immersa nella medesima. La preghiera sia il nostro pa-

ne quotidiano. Non bastano le preghiere prescritte dalla nostra Rego-

la. È necessario avere lo spirito di preghiera: vivere, cioè, sempre alla

presenza di Dio, fare tutto per Iddio, astenersi da ogni cosa che possa

esser di disgusto a Dio, e fare bene tutte le preghiere di regola, reci-

tando le adagio, accompagnando con la mente e col cuore il senso

delle parole:"

238

La Madre inoltre esortava le suore a passare «con straordinario fer-

vore» i mesi di gennaio, di marzo, di maggio, di

giugno. Secondo lei, non s'era fatto mai abbastanza e pertanto diceva:

Se abbiamo cercato di onorare in tutti i modi possibili la nostra

Mamma celeste, dobbiamo fare molto di più per onorare il Cuore di

Gesù, tutto amore e tenerezza per noi, specie nel Divin Sacramento

dell'Altare.

Al mattino le suore debbono «montare la macchina dello spirito»

come, ogni mattina, «si carica l'orologio». «Nella

comunione» prosegue la Madre «si fa l'esame di previdenza della

giornata, si fanno accordi con Gesù e delle energiche

promesse»." «La meditazione è il termometro delle comunità religio-

se»." Le Piccole Suore debbono farla «sempre sempre” e «non tra-

scurarla mai mai».

52. Circolare del 10 gennaio 1916.

53. Circolare del 21 maggio 1915.

54. Circolare del 10 gennaio 1916.

55. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 45.

56. Circolare del 3 gennaio 1922.

La Madre non può «assolutamente permettere» che «si strapazzi» le

pratiche di pietà comandate dalla Regola. Su questo punto ricorda

che «il reverendissimo Padre voleva che gli atti comuni» fossero a-

dempiuti bene, «dalla levata alla dorrnizione». «Le preghiere» inoltre

«debbono essere recitate adagio, con voce unisona, stando in ginoc-

chio e sempre col manuale in mano». Durante il giorno le suore stia-

no unite «a Gesù e alla Vergine Immacolata con fervorose giaculato-

rie»."

Recitando bene tutte le preghiere di regola, «con sempre maggiore

amore e fervore», la Piccola Suora vive la sua

vocazione in seno alla Chiesa. «Esse» infatti «sono come l'olio

che tiene alimentata la fiamma dell'amore per Gesù e l'ostia di propi-

ziazione che disarma la giusta collera divina»."

«La chiave del paradiso»

Per chi ha abbracciato lo stato religioso rimane aperta una sola via

verso la santità: l'osservanza delle proprie regole. La religiosa è certa

di raggiungere la perfezione, quando resta fedele alle prescrizioni

239

minutamente descritte nel santo libro che le venne consegnato nel

giorno della sua professione. La Regola infatti compendia tutta la vi-

ta e tutti i doveri dell'anima consacrata.

La Cofondatrice delle Piccole Suore di Castelletto raccomandava ri-

petutamente alle figlie l'esatta osservanza della santa Regola, «un

giorno meglio dell'altro, in tutto e per tutto»." La Regola è la manife-

stazione più sicura della volontà di Dio, la pratica genuina dei consi-

gli evangelici, la guida infallibile verso la perfezione cristiana. «Se

alla morte d'una religiosa non si potesse ricordare di lei se non che fu

in tutto e

57 Circolare del 27 dicembre 1920.

58 Circolare del 12 ottobre 1932.

59 Circolare del 26 marzo 1915.

sempre osservantissima delle sue sante regole» concludeva la Madre

«abbiatela pure per santa». E continuava:

L'osservanza della santa Regola importa sacrificio, perché quel dover

stare sempre sopra se stesse, quel chinare il capo ovunque e sempre,

il non poter parlare o andare quando e dove si vuole, il dover rinun-

ciare alle proprie inclinazioni, quel dover osservare l'orario, il dipen-

dere in tutto e dappertutto dai superiori, costa sacrificio alla povera

natura umana. Ma Dio tiene in conto questi atti di virtù, Piccoli e

grandi, ed assegna loro un premio eterno:"

Quando giunse da Roma la Regola riveduta dalla S. Congregazione

dei Religiosi, la Madre Generale s'affrettò a spedirne una copia alle

case filiali, onde tutte le suore avessero «a studiarla e praticarla», Di-

ceva: «Bisogna che ve la imprimiate ben bene nella mente e nel cuo-

re, che la trasformiate in succo e sangue, sì che ognuna di voi sia la

Regola in persona». Allora la Madre sarà certa che «nell'Istituto si

glorifica continuamente Iddio». Però si deve «vivere lo spirito della

Regola e non fermarsi alla sola lettera»; bisogna «praticarla in tutti i

suoi punti, siano essi di maggiore o minore importanza, facili o diffi-

cili». Nessuna cosa, nessuna causa o scusa distolga le suore dall'os-

servanza della Regola; ma esse la sappiano custodire gelosamente

«come un sacro deposito» lasciato loro dal venerato Fondatore."

240

Alle novizie che si preparavano ad emettere i santi voti madre Maria

ricordava che nessuna religiosa si è mai salvata senza osservare la

sua Regola. Chi la trascura, turba il buon andamento della casa, si

smarrisce lungo la via intrapresa, «perde la vocazione», «perirà»."

Le regole sono il fondamento della vita religiosa, l'unico cammino

60. Circolare del 13 dicembre 1933.

61. Circolare del 12 ottobre 1932.

62. Dalle «Letture» della Madre: 25 settembre 1933, p. L

nella perfezione, la chiave del paradiso. La nostra predestinazione sta

legata alla Regola:"

Quando la Mantovani pronunciava queste parole, mancavano pochi

mesi alla sua morte. Nei proponimenti aveva più volte promesso

«l'osservanza della santa Regola sino alle più piccole cose»; si era

inoltre obbligata a «star molto attenta e di non permettere mai» che le

sue consorelle trasgredissero le sante regole." Allora la Cofondatrice

moveva i primi passi verso la perfezione religiosa. Dopo quarant'anni

di vita santa e di fecondo superiorato, rivolgendosi alle novizie, po-

teva riguardare indietro con animo sereno e asserire: «La nostra pre-

destinazione sta legata alla Regola»; la Regola è «la chiave del para-

diso».

63. ivi: 20 settembre 1933, p. l.

64. Proponimenti dell'anno 1895: prop. l.

CAPO QUARTO

GLI ESERCIZI SPIRITUALI

Dove la Cofondatrice parlava con autorità di maestra e con cuore di

madre era durante gli esercizi spirituali. Ogni anno, tutte le suore del-

la Congregazione venivano (e vengono tuttora) convocate presso la

Casa Madre per la straordinaria refezione. In quei giorni di sospen-

sione dalle consuete attività, negli incontri con i superiori maggiori e

con le sorelle venute da ogni parte, ma soprattutto in quella moltepli-

cità di pratiche e di preghiere le Piccole Suore della Sacra Famiglia si

rinnovano nello spirito della loro vocazione.

Sono giornate d'intensa interiorità. Esami di coscienza prolungati,

sincero rincrescimento per le infedeltà a tante grazie, propositi fermi

241

di vita più santa. Accade come al ferro che vien messo nel fuoco. Lo

ritrai liberato dalle scorie e gli puoi dare l'impronta che vuoi. Così le

suore che vanno a Castelletto per gli esercizi spirituali: escono dal

sacro ritiro alleggerite e purificate come da un bagno di fuoco, dispo-

ste a cambiare di casa e d'ufficio, pronte ad andare dove i superiori le

mandano. Così tutti gli anni. Ed è questo uno dei segreti più validi a

spiegare i successi dell'Istituto.

«Questa specialissima grazia ... »

Per prima cosa le suore debbono tenere in grande stima i santi eserci-

zi. Stando a quanto scriveva madre Maria, gli esercizi sono una «gra-

zia specialissima», una «grandissima grazia», «la grazia più grande

che ci fa il Signore»; quindi sono «di una importanza straordinaria».

Quando la Madre annunziava alle suore la data degli esercizi, ne par-

lava con grande fervore, come se comunicasse una notizia lieta che

doveva portare gioia nel cuore di tutte.

Con l'aiuto della Sacra Famiglia e con la protezione specialissima

della nostra miracolosa Immacolata di Lourdes, speriamo vivamente

di poter fare gli esercizi. Sono lieta di potere notificare che, aiutati

in modo particolare dalla divina Provvidenza, subito dopo Pasqua

potremo fare un corso di santi esercizi.

Al sacro convegno nessuna delle chiamate doveva mancare. La Ma-

dre «le aspettava tutte». Il sacrificio che le superiore locali facevano,

privandosi per alcuni giorni delle suddite convocate a Castelletto, sa-

rebbe stato largamente ripagato. Scriveva infatti la Madre Generale:

Comprendo che il privarvi di una suora in casa, sia pure per pochi

giorni, vi costerà qualche sacrificio, ma senza sacrificio nulla di bene

si può fare. Vi sia però di conforto il pensiero che Gesù vi compense-

rà con larghezza divina. Avrete altresì il compenso delle vostre stesse

sorelle, le quali, dopo gli esercizi fatti bene, ritorneranno fra voi Più

fervorose, Più obbedienti, Più umili, Più caritatevoli, Più attive e di-

ligenti nel disimpegno dei loro doveri, Più pronte al sacrificio.

Tutte le suore dovevano attendere agli esercizi spirituali con sommo

impegno. La Cofondatrice supplicava con accenti materni, perché

nessuna abusasse di «questa specialissima grazia» che stava per farle

242

la Sacra Famiglia. Gli esercizi spirituali «fatti bene» diceva la Madre

«accresceranno in

1. Circolare del 23 marzo 1916. La guerra in pieno corso rendeva dif-

ficile la convocazione delle suore a Castelletto. Infatti «furono chia-

mate le sole superiore, perché queste debbono essere il perno della

casa» (Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, pp. 41-

42).

2. Circolare del 16 febbraio 1921.

3. Circolare del lo marzo 1929.

ciascuna il santo amor di Dio e lo spirito religioso; ma se fatti male,

saranno la vera rovina delle vostre anime».' E per rendere più effica-

ce la raccomandazione, la Mantovani era solita ricordare uno dei det-

ti più famosi del Padre Fondatore: Gli esercizi fatti bene sono farma-

co di vita, ma fatti male sono sublimato corrosivo per le nostre ani-

me.

Condegna preparazione

Cominciava per tempo. Un mese prima dell'apertura degli esercizi,

nella Congregazione s'iniziavano particolari preghiere allo Spirito

Santo per il loro buon esito. Tutte le suore erano sollecitate a pregare,

onde il Signore concedesse alle prossime esercitanti «le buone dispo-

sizioni per farli santamente e con molto profitto spirituale».'

Preghiamo tutte assai assai fin da questo momento per assicurare il

frutto di tali esercizi, preghiamo le une per le altre, acciò il buon Dio

conceda ad ognuna le grazie ed i lumi necessari per poter ricavare,

durante gli esercizi, straordinari vantaggi spirituali, al fine di poter

poi impiegare santamente i giorni che ancora ci rimangono e acca-

parrarci così una santa morte.'

Per il buon esito degli esercizi cui avrebbero atteso le suore, si pre-

gava anche fuori della Congregazione. Attraverso le pagine del Na-

zareth le persone pie e quanti simpatizzavano per l'Istituto e le sue

opere erano invitati ad elevare particolari preghiere con tali intenzio-

ni.

243

4. Circolare del 22 febbraio 1919.

5. Circolare del 31 marzo 1927.

6. Circolare del 22 febbraio 1919.

7. Circolare del 2 ottobre 1923.

8. Vedi, per es.: 3 (aprile 1908) p. 4; (novembre 1908) p. 4; 4 (set-

tembre 1909) p. 4; ecc.

Chi naturalmente doveva pregare il Signore con maggior istanza, e-

rano «le fortunate» che sarebbero venute al corso. Fin dal primo an-

nuncio, esse dovevano disporre lo spirito «a sentir fame della parola

divina» e prepararsi «con la preghiera, con la mortificazione dei sen-

si, con la volontà di combattere le proprie passioni, di correggere il

proprio carattere, di cambiarsi totalmente»." La preghiera «umile,

fervorosa, confidente», accompagnata dalla mortificazione, otterrà

alle esercitanti «l'abbondanza di lumi per ben conoscere i difetti che

debbono detestare e togliere dal cuore» e «gli aiuti per praticare le

virtù». In tal modo, riformando la loro vita, esse potranno «edificare

tutte le consorelle con le quali convivranno». Poiché «come una suo-

ra cattiva porta discordia nella casa» e ne allontana la pace, «al con-

trario una suora virtuosa e santa converte la casa in un paradiso».

Il comportamento religioso delle candidate in viaggio verso la Casa

Madre doveva dimostrare che esse erano ben comprese «della grazia

che il Signore stava apparecchiando» per loro. La Madre appunto

raccomandava:

Durante il viaggio date a tutti esempio di modestia, di umiltà, di rac-

coglimento, come s'addice a vere Piccole Suore della Sacra Famiglia.

Abbiate sempre fra le mani il santo rosario e il manuale. Continuate a

pregare; leggete qualche buon libro: la vita di qualche santo o l'Imi-

tazione di Cristo ... Mortificate gli occhi, la lingua. State raccolte e

parlate con Dio.

Nel Cenacolo con la Confondatrice

Le esercitanti venivano convocate a Castelletto due giorni prima per-

ché avessero modo di sostare alquanto e di ambientarsi, avanti d'ini-

ziare il grande lavoro di riforma.

244

9. Circolare del lo marzo 1929.

10. Circolare del 31 marzo 1927.

11. Circolare del 22 marzo 1925.

A che siete qui convenute?, chiedeva la Madre nell'incontro di aper-

tura. Per guardarvi con maggior agio e Più lungamente nello spec-

chio del vostro divino esemplare Gesù Crocifisso, e vedere se col

corpo avete fatto camminare di pari passo anche lo spirito verso il

paradiso.

Le «letture» della Cofondatrice, tenute due volte al giorno, venivano

ad integrare le meditazioni e le istruzioni del predicatore. Avevano

un tono più dimesso, ma anche più immediato, e i continui richiami

agl'insegnamenti e agli esempi del Fondatore le rendevano somma-

mente efficaci. Esse scendevano sino ai minimi dettagli della vita re-

ligiosa, adattando la dottrina dei maestri di spirito alla particolare fi-

sionomia della Piccola Suora.

Le virtù più raccomandate dalla Madre erano: «una straordinaria u-

miltà», che le figlie dovevano proporsi «come frutto specialissimo»

dei santi esercizi; la fedeltà alla Regola, «sino ai particolari più minu-

ti»; la dolcezza e la mansuetudine; l'amore al sacrificio; «la santa in-

differenza a quanto Dio vuole» da ciascuna «attraverso le disposizio-

ni dei superiori»; la puntualità all'alzata del mattino, «al primo tocco

di campana», «perché dobbiamo servire con fervore il nostro Dio»; la

povertà e il distacco, di cui dette eroici esempi il Fondatore; la pru-

denza nel frequentare le canoniche e le case dei secolari; la dilezione

fraterna; la docilità alla voce del Signore: sempre, ma soprattutto in

questi giorni di speciali illuminazioni da parte di Dio.

A metà corso, un intermezzo di sollievo, per rendersi conto delle gra-

zie insigni che il Signore stava facendo e per impegnare ciascuna alla

corrispondenza.

Come si gusta Gesù in questi giorni!, diceva la Cofondatrice. Il vene-

rato Padre, quando pronunziava queste parole, si commoveva fino al

pianto, tanto sentiva la gratitudine verso Dio per le grazie concesse

alle sue figlie dilette. Preghiamo Gesù, diceva, di conservarci questo

gusto fino ai primi esercizi che faremo. Ma è meglio che diciamo: si-

245

no alla morte, perché col Signore bisogna essere generosissime. Gli

esercizi sono una vera manna per le anime nostre, sono giorni di pa-

radiso. Ma se tanta consolazione ci mettono adesso nel cuore, quale

cruccio, quanto dolore in punto di morte, se ne avremo abusato!

Le riflessioni su la morte erano rese ancor più salutari dalla lettura

dei nomi delle consorelle scomparse durante l'anno. «Esse erano

pronte, e noi?». Perché Gesù non abbia a fare con le suore rimaste

quanto ha fatto con la «ficaia sterile» e con le «vergini stolte», occor-

re «corrispondere con entusiasmo» alla «grande grazia degli eserci-

zi». «Bisogna che noi vive - come ci ammoniva il Padre - facciamo

quello che farebbero le nostre consorelle morte, se potessero tornare

in vita».

I proponimenti venivano redatti in duplice copia. Una doveva esser

conservata da ciascuna suora, possibilmente nel manuale delle pre-

ghiere per meglio ricordarli tutti i giorni. L'altra veniva messa in una

busta, e le buste erano collocate ai piedi di Gesù, perché Gesù «ve-

desse» i propositi: li «benedicesse» e li «confermasse» con la sua

grazia.

«Pregare Iddio per i morti.:»

Il tempo dedicato agli esercizi era prezioso altresì per le particolari

udienze che il Re Divino concedeva alle sue spose. Esse infatti ne

approfittavano per raccomandare un po' tutti.

Pregavano, in primo luogo, per i morti. Tra essi erano ricordati, in

special modo, i genitori delle suore, le superiore e le consorelle, i be-

nefattori dell'Istituto.

Per tutti costoro si offrivano speciali suffragi nel camposanto di Ca-

stelletto, ove le esercitanti convenivano processionalmente, all'inizio

e alla fine degli esercizi. Dopo tutte le devozioni del mattino, esse

partivano dall'Istituto recitando una terza parte del rosario, le litanie

della B. Vergine, il salmo «Miserere» e tre «De profundis»; nella

chiesa cimiteriale di S. Zeno, dopo la «Via crucis», cantavano le lita-

nie dei Santi, seguite dalla recita di altre preghiere; uscendo di chiesa

per recarsi sulla tomba delle suore, recitavano di nuovo il salmo

«Miserere», poi le esequie, alle quali tenevan dietro la Salve Regina

e le litanie della Madonna cantate, mentre le suore rientravano nella

246

chiesa; finalmente, durante il viaggio di ritorno all'Istituto, venivano

recitati 6 Pater, Ave e Gloria per l'acquisto delle indulgenze."

Più d'una volta, per qualche particolare circostanza, venne celebrata o

cantata la messa di requiem nel camposanto, dopo la quale si svolge-

vano con maggior solennità le esequie. Prima delle esequie, una suo-

ra parlava alle presenti delle consorelle morte, onde «sul loro esem-

pio», le viventi proponessero di restar fedeli «sino alla tomba, nel

santo servizio divino; che, in questi santi giorni, avevano appreso

quanto fosse necessario, facile e soave». Era questo un «momento»

di particolari «emozioni e seri propositi!»!'

« ••• e per i vivi»

La carità spirituale verso i vivi era ancora più estesa. Si pregava per

la Madre Generale e per tutte le figlie, «presenti e future»; si chiede-

vano al Signore delle «vocazioni», che fossero però «sane di cuore,

di mente e di corpo»; in particolare venivano raccomandate le sorelle

che, al termine degli esercizi, avrebbero indossato l'abito religioso

oppure avrebbero emesso i voti temporanei o perpetui.

Poi la carità allargava gli orizzonti, e si pregava per Castelletto,

«ch'era la parrocchia del Padre»; per i paesi ove le suore prestavano

la loro opera; «per i nostri asili» suggeriva la Madre, «per i nostri

malati», «per le nostre scolare, passate, presenti e future»; si pregava

per l'Italia, per la Chiesa, per l'umanità.

12. Abbiamo prese le notizie dal manuale di Preghiere per

le Piccole Suore della Sacra Famiglia, ed. 6, 1942, pp. 323-324.

13. Nazareth; 16 (novembre 1921) p. 3.

Ma soprattutto le esercitanti dovevano chiedere fervorosamente la

perseveranza nei propositi. «Continuiamo a pregare» esortava madre

Maria «oggi meglio di ieri, domani meglio di oggi, e così di seguito:

affinché Gesù benedetto, per intercessione di Maria santissima e di S.

Giuseppe, confermi con la sua grazia e il suo sangue prezioso i pro-

positi fatti».

La chiusura degli esercizi

247

Con identiche intenzioni e per ottenere alle esercitanti «una nuova

ripresa di vita più santa», nell'ultima sera degli esercizi le suore si

raccoglievano davanti al Santissimo esposto per un'ora di adorazione.

La cerimonia più toccante aveva luogo durante il canto del «Te

Deum». Alle parole «A eterna fac cum Sanctis tuis in gloria numera-

ti» veniva sospeso il canto, taceva l'organo, e le presenti trattenevano

quasi il respiro. Allora la Superiora Generale usciva dal banco, si

portava nel mezzo della grande cappella; in piedi, a voce alta e for-

temente emozionata, pregava:"

Ecco, o amabilissimo Gesù, la preghiera della vostra umile serva. Sì,

o Signore, fate che tutte queste dilettissime spose, che avete chiamato

alla grazia della vocazione religiosa, che avete redento con il vostro

preziosissimo sangue, alle quali in questi giorni avete fatto sentire la

vostra parola di bontà e di celeste invito, possano tutte un giorno,

come sono adesso qui unite innanzi al vostro altare nella fraterna ca-

rità e nel vostro amore, ritrovarsi negli eterni tabernacoli.

Ma prima che si allontanino dal vostro altare e ritornino là dove la

vostra santa volontà le chiama, voglio, o buon Gesù, che Voi le ab-

biate a benedire.

Benedite, innanzi tutto, la vostra povera serva che indegnamente tie-

ne per il vostro volere il posto di Superiora. O Signore, che io possa,

con

14. Vivente e valido il Fondatore, la supplica era letta da lui all'altare.

-Pur

obbedendo ad uno schema quasi obbligato, essa poteva variare se-

condo i bisogni e le

circostanze.

l'esempio e con il disimpegno esatto dei miei gravi doveri, portare l'I-

stituto e le vostre figlie a quel grado di religiosa osservanza che voi

volete dalle vostre spose. Voi supplite, o Signore, alle mie deficienze

e beneditemi; e con me benedite tutte le mie Collaboratrici nel diffi-

cile incarico di reggere le sorti del vostro Istituto. Una benedizione

speciale, o Signore, per il nostro noviziato, per le nostre inferme e

248

per tutti coloro che si occupano per il nostro bene spirituale e mate-

riale.

Ma soprattutto la vostra benedizione discenda su tutte le presenti che,

terminati i santi esercizi, sono pronte e disposte a fare la vostra vo-

lontà. Beneditele nelle loro case, nelle loro obbedienze, nei loro sa-

crifici; beneditele nel tempo, beneditele per l'eternità. Beneditele, o

Signore, nei momenti di trepidazione e di timore; beneditele per la

regolare osservanza; e fate che tutte abbiano a corrispondere alla gra-

zia della loro vocazione. Nessuna di queste, o Signore, faccia divor-

zio da Voi! Meglio vederla morta qui ai vostri Piedi ...

Aeterna fac cum Sanctis tuis... Che tutte noi qui riunite possiamo a-

vere, per la vostra benedizione, la grazia della perseveranza finale e

che la vostra chiamata ci trovi tutte pronte con la lampada accesa!

Che con la vostra benedizione, rivestite della vostra santa divisa,

scendiamo nel sepolcro, perché lo spirito, ripieno delle vostre grazie

e dei vostri favori, venga in paradiso a cantare le vostre misericordie

e i vostri trionfi.

La convinzione e il fervore della Madre nel pronunciare questa sup-

plica erano tali, «che le sue figlie spirituali» attesta una di esse «ri-

manevano commosse sino alle lacrime». «Chissà quale fervore e che

seri propositi» suscitavano «quelle parole», continua a dire la suora,

che le aveva udite già da bambina quand'era nell'Istituto come orfa-

nella. In particolare essa ricorda «queste testuali parole»: «Nessuna

di queste, o Signore, faccia divorzio da Voi. Meglio vederla morta

qui ai vostri piedi». «Per me» conclude la suora «questo è un monito

per seguire sempre meglio la mia santa vocazione»."

15. Testimonianza di suor Maria Bruna Lago, entrata nel 1931.

Vestizioni e Professioni

Al corso degli esercizi tenevano dietro, ordinariamente, le solenni ce-

rimonie delle vestizioni e delle professioni.

«Ore d'ineffabile giubilo», «giornate di paradiso!», vengono chiamati

quegli avvenimenti nelle cronache del Nazareth. In particolar modo

sono ricordate le «fortunate» sorelle che «innanzi a Gesù, vivo e vero

nella santissima Eucaristia, compivano l'olocausto di tutte se stesse e

pronunciavano generosamente la formula della loro Professione per-

249

petua, ricevendo dalle mani del reverendissimo Superiore l'anello,

pegno di fede, segnale di carità, caparra degli sponsali eterni nella

patria dei Santi»."

Quei «giorni così solenni», quelle «cerimonie così commoventi»!'

contribuivano potentemente a risvegliare in tutte le presenti dolci ri-

cordi e sante emozioni, e a confermare i proponimenti per una «ri-

presa di vita più santa».

“Gli esercizi cominciano adesso!”

Gli esercizi fatti con impegno lasciano negli animi un profondo senso

di gioia e di ringiovanimento spirituale. La prima ad esserne lieta era

la madre Mantovani, che ripetutamente esprimeva la sua soddisfa-

zione:

Nonostante le critiche circostanze dell'ora presente," abbiamo potuto

fare un corso di spirituali esercizi ... Detti esercizi furono fatti vera-

mente bene; Grazie al buon Dio, i santi esercizi testé trascorsi sono

riusciti benissimo;" Dobbiamo rendere vive grazie alla Sacra Fami-

glia e alla

16. Nazareth, 8 (aprile 1913) p. 4.

17. Ivi, settembre 1913, p. 4.

18. La prima guerra mondiale era in pieno corso.

19. Circolare del 23 gennaio 1918.

20. Circolare del 16 settembre 1921.

B. Vergine di Lourdes, perché gli esercizi fatti dalle superiore sono

riusciti straordinariamente bene. Da questi aspetto gran frutto! La

buona semente, ch'era stata gettata nei cuori durante le giornate di

raccoglimento, doveva essere coltivata e portata a maturazione. La

Cofondatrice perciò ricordava quanto era solito dire il «carissimo Pa-

dre»: - Gli esercizi cominciano adesso!

Mano dunque all'opera!, concludeva la Madre. Esplicate tutto il vo-

stro zelo nelle opere di pietà e di carità. In casa e fuori, praticate ogni

sorta di virtù. Siate Piene dello spirito di osservanza della nostra san-

ta Regola, e ciascuna superiora lo infonda nelle sue suddite. Così fa-

cendo, in breve tempo le nostre case addiverranno tante copie con-

250

formi alla casa di Nazareth, che era appunto casa di preghiera, silen-

zio, lavoro e specchio d'ogni virtù,

Il ritiro mensile

Il fervore concepito durante gli esercizi annuali vien tenuto in vita

dalla pratica del ritiro mensile. Ad esso le Piccole Suore dovevano

dare «tanta importanza» e farlo sempre, «tutti i mesi e in tutte le ca-

se». Nel giorno del ritiro mensile, come insegnava la Mantovani, si

pensa più del consueto all'anima, ci si prepara a ben morire, e «si

monta la macchina del nostro spirito» perché «non s'infiacchisca nel

santo servizio di Dio».

Ancor oggi, nella Congregazione delle Piccole Suore, vien data

grande importanza alla pratica del ritiro mensile. Il manuale di pre-

ghiere porta i diversi esercizi che vengono praticati in quella giornata

di salutari riflessioni: apparecchio alla santa comunione ricevuta co-

me per viatico, apparecchio per ricevere degnamente l'olio santo, li-

tanie degli agonizzanti,

21. Circolare dell'8 maggio 1920.

22. Ivi.

23. «Appunti» scritti da madre Maria su una cartolina.

preghiera per l'agonia, testamento, preghiera per ottenere una buona

morte." Il ritiro mensile è dunque dominato dal pensiero della morte,

che rende sempre più santa la vita ed aiuta la suora a pensare ed ope-

rare sub specie aeternitatis: in vista dell'eternità."

24. Preghiere per le Piccole Suore, ed. 7, pp. 201-222.

25. Sul «ritiro» di ogni mese, vedere anche La voce del Padre, 5 (di-

cembre 1926) p. 4.

CAPO QUINTO

MAGISTERO EFFICACISSIMO

Abbiamo toccato gli argomenti più importanti che la Cofondatrice

era solita trattare, a voce e per iscritto, con le figlie. I numerosi testi

riportati rivelano, a sufficienza, le caratteristiche proprie della Mae-

251

stra. Qualcosa tuttavia vogliamo dire sulle doti del suo magistero, per

metterne in luce, ancora una volta, la somma efficacia.

La concretezza

La dottrina di madre Maria non era astratta o libresca. Toccava le co-

se concrete, di tutti i giorni: le virtù che la religiosa deve praticare, i

difetti che bisogna togliere; le situazioni in cui vengono a trovarsi le

Piccole Suore negli asili, presso i malati, nelle scuole, a contatto con

la gioventù femminile, nelle relazioni con i parroci e con le autorità

locali. Problemi, dunque, che costituiscono la vita d'ogni giorno e che

vanno risolti con spirito religioso, a gloria della Sacra Famiglia e per

il bene delle anime avvicinate.

La Cofondatrice amava la concretezza: nella vita spirituale, nella pra-

tica delle virtù, nella condotta d'ogni giorno, nelle opere di apostola-

to, in tutto. Prediligeva le suore risolute nella via della perfezione,

certamente perché, senza pensarci, le trovava più affini al proprio

temperamento. Anche il Padre era concreto e deciso al sommo. Gli

«piacevano le cose spicce e risolute», scrive madre Maria, e prose-

gue:

Egli era nemico delle lungaggini e delle dubbiezze. Gli veniva un i-

dea? Rifletteva, pregava, e se conosceva che l'idea era buona, si do-

veva mettere in esecuzione, e subito. Non si aspettava a far domani,

ciò che si poteva fare oggi; né si rimandava alla sera, ciò che si do-

veva fare al mattino,' Egli gradiva Più i fatti che le parole, Più le ope-

re che le promesse, Più i frutti che le foglie Più belle?

Madre Maria parlava poco. Ma le parole erano chiare, incisive. Erano

dette con calma e con fermezza. Tutte le suore erano in grado di ca-

pire quegl'insegnamenti; ma soprattutto dovevano metterli in pratica,

perché la Madre non intendeva ripeterli. «Quando la disìa una roba,

l'era ferma».'

Volendo mettere in guardia le novizie contro gl'inganni della fantasi-

a, la Madre diceva: «La fantasia esagera. È la pazza di casa. C'entra

molto l'amor proprio. Non fantasticate e sarete serene»; «La causa

della tristezza è la fantasia, il pensar troppo a sé»; «Per farsi santi oc-

corre l'umiltà: non sogni di martirio, di missioni, di penitenze».'

252

Grandi sono i vantaggi che ritraggono dal lavoro assiduo coloro che

tendono alla perfezione religiosa. Parlando alle novizie, diceva la

Mantovani: «Sii contenta quando hai molto lavoro. Sarai poco tenta-

ta. Non c'è malinconia. Alla sera ti addormenterai subito e il demonio

non verrà a tentarti».'

Alle superiore raccomanda che, quando scrivono alla Casa Madre,

siano «brevi e succose» perché qualcuna «scrive lettere un po' troppo

lunghe!. .. ». E disapprovava quelle «suore che, per la loro fine su-

perbia, non vorrebbero ricevere la benché minima osservazione;

brontolano, fanno lune potenti».' Altra

1. [MADRE MARIA], La voce del Padre, l (ottobre 1922) p. I.

2. Ivi: 2 (gennaio 1923) p. 2.

3. Testimonianza di suor Salvata Tamellini, entrata nel 1908.

4. Dalle «Letture» della Madre, passim.

5. Ivi: 16 dicembre 1933, pp. 7-8.

6. Circolare del 27 dicembre 1920.

7. Circolare del 16 settembre 1921.

volta dichiara che «questo è agire a casaccio, senza riflessione. Da

brave, siate più positive»."

Tutte le suore, superiore e suddite, debbono «capire l'importanza

dell'obbedienza, della dipendenza, della vera ed umile sottomissio-

ne». Fanno perciò male quelle superiore che, «quando si tratta di tra-

slocare da un posto all'altro» le suore, «mettono i pali fra le ruote. E

intanto che cosa succede? .. Scompiglio sopra scompiglio! E chi sta

alla testa dell'Istituto deve rompersi il cervello per accomodare le ca-

se»."

Gl'insegnamenti a volte erano impartiti con modi ancor più concreti

ed energici. Andando un giorno per la colazione, le novizie videro

pendere nel mezzo del refettorio una spazzola nuova, sospesa al sof-

fitto con una cordicella. Moto di sorpresa di tutte! Più sorprese rima-

sero quando comparve la Madre che, tenendo nella mano una candela

accesa, dette fuoco alla spazzola. «Questa» disse «è la fine delle cose

caduche, quando non siamo pronte a rinunciarvi per il prossimo; e

così bruceremo anche noi nel purgatorio». Una novizia aveva rifiuta-

to la spazzola ad una sorella, «per timore che gliela sciupasse».

253

La stessa fine fece un libro di devozione, «legato in pelle, prezioso e

profumato». Esso passava nelle mani di tutte durante le ore di adora-

zione, che nei primi tempi venivano fatte individualmente. Ma un

giorno «la posseditrice» si rifiutò di prestarlo ad una consorella. Dal-

la cappella il libro profumato passò nella sala capitolare, e «dovette

subire il rifiuto di tutte le presenti»."

La metodologia pedagogica della Madre ripete sovente quella del

Fondatore. Essa, per esempio, esorta le suore «a fare con straordina-

rio fervore il mese di giugno», mettendo ci

8. Circolare del 6 novembre 1931.

9. Circolare del 19 dicembre 1921.

10. I due episodi sono ricordati da una testimone oculare, che deside-

ra restare anonima.

«proprio tutta l'anima per passarlo bene». E allora «tutte le case met-

tano il solito cuore di pezza» nella cappella, «e ogni

suora vi punti uno spillo per ogni mancanza volontaria». «Alla fine

del mese» conclude la Madre «notificateci il totale degli spilli pianta-

ti nel Cuore di Gesù»."

Durante gli esercizi spirituali, le suore esercitanti erano solite scrive-

re il proprio nome su un piccolo cuore di carta: «per significare» di-

ceva madre Maria «che ognuna offre il proprio cuore a Gesù, onde lo

infiammi del suo amore e lo tenga stretto al suo Sacratissimo!». Rac-

colti insieme, i nomi venivano poi messi ai piedi della Sacra Fami-

glia."

Pedagogia semplice e concreta, come ognun vede, ma appunto per

questo grandemente efficace. In particolar modo, su l'anima femmi-

nile.

La vivacità

Quello della Mantovani era un linguaggio popolare. Rispecchiava

l'ambiente ove la Madre era nata e trascorreva la sua vita. Espressioni

locali, proverbi del popolo, accenti e parole dialettali dovevano ren-

dere il suo discorso vivace, colorito, saporoso. Lo si deduce anche

dagli scritti, che non presentano nessuna preoccupazione letteraria e

dove la punteggiatura trascurata rende ancor più manifesti i pensieri

e gli stati d'animo della scrittrice.

254

Alle suore raccomandava di «non andar troppo alla buona»; «attente,

attente: non siate di manica larga»; «in paradiso non ci si va in car-

rozza». A suor Fortunata Toniolo scrive: «È meglio lasciar correre le

cose e il pomo, quand'è maturo, cade da sé»." Altra volta commenta:

«Suor N. N. per far proponimenti è qualche cosa di meraviglioso, ha

delle

11. Circolare del 21 maggio 1915.

12. «Letture» della Madre, p. 17.

l3. Lettera a suor Fortunata Toniolo, scritta il 6 dicembre 1896.

bellissime parole; ma in quanto a mettere in pratica ciò che dice, non

vale un chiodo. Però potrebbe darsi che la barca cambi vela ... ».

Intrattenendo le esercitanti su la semplicità e la schiettezza, la Madre

biasima quelle suore che, con i loro raggiri e complicazioni, «sono

brave a cambiare le carte in mano»." «Pregate per me» scrive alle

suore di Calcinato (Brescia), «ma con preghiere fervorose, perché di

fredde non ne voglio».

Spesso gl'insegnamenti vengono illustrati con paragoni presi dalla

natura. Essi rivelano lo spirito di osservazione e l'indole meditativa

della Cofondatrice.

Il tralcio separato dalla vite è destinato a seccare. La rosa staccata

dallo stelo «avrà qualche minuto di pompa, ma presto avvizzisce e

muore». Così accade alle suore, se si allontanano dai superiori. Al

contrario, continua la Madre, «finché staremo unite e strette in un sol

vincolo ai reverendi superiori, non periremo mai; anzi godremo la

vera pace in questo mondo e la felicità eterna nell'altra vita»."

Quando vien meno l'acqua nel vaso, i fiori appassiscono e gli steli si

piegano verso terra. Con l'acqua, invece, gli steli riprendono vigore e

i fiori ritornano belli. Così avviene alle suore raccolte in ritiro. Per

rinfrancarsi nello spirito, debbono sentire sete e fame della parola di

Dio.

Le prove della vita religiosa costituivano un tema obbligato. Esse ci

sono veramente, e per tutte le persone che si consacrano al Signore.

Perciò la Cofondatrice ne parlava sovente, senza veli o falsi accomo-

damenti. Ne parlava soprattutto alle giovani entrate da poco in con-

255

vento alle quali suggeriva altresì i mezzi per vincere le battaglie dello

spirito. Diceva un giorno alle novizie:

14 Lettera a suor Fortunata Toniolo, scritta il 5 aprile 1898.

15 Promemoria per gli esercizi spirituali, p. 16.

16 Lettera del 21 luglio 190 l.

17 Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 46.

18 lui, p. 50.

Il cielo della vita religiosa non è sempre sereno. Preparatevi, perché

la lotta vi attende! Avete mai osservato il lago nelle giornate di cal-

ma? Il barcaiolo si tiene sempre pronto ad affrontare la burrasca, che

può scoppiare all'improvviso. Addestrato a remare, egli riesce facil-

mente ad approdare alla riva. Ma se rimanesse inoperoso, verrebbe

travolto dalla corrente. Così è di noi. La prova ci attende ovunque,

perché siamo le spose del Crocifisso. Dobbiamo stare sempre sull'at-

tenti, affinché la navicella della nostra anima non venga travolta dalle

onde del male (tentazioni, prove esterne, difficoltà della vita comu-

ne). Troverete la forza per vincere nella preghiera fervorosa e nella

santa comunione, fatta ogni giorno con sempre rinnovato spirito di

fede. In qualunque pericolo, invocate Maria, la nostra Mamma cele-

ste. Lei sarà la Stella che vi guiderà al porto sicuro, al paradiso,"

La «croce» fu l'argomento più trattato dalla Mantovani verso la fine

della sua carriera terrena. Ella stessa soffriva eroicamente in quegli

ultimi mesi. Infatti il capitolo generale del novembre 1933 arrecò

molte pene alla Cofondatrice. Ad una suora vocale che la ossequiava

prima di lasciare Castelletto, la Madre diceva:

«Vedi, N. N., quante cose succedono?.. Dimmi: quando tu

lavori in seta, adoperi sempre lo stesso colore?»

«No, Madre» rispose la suora «adopero tanti colori».

«Adoperi sempre il chiaro?»

«No, anche lo scuro».

«Ebbene» rispose la Madre «ricordati che, perché un lavoro riesca

bene, ci vuole sempre il chiaro e lo scuro. Così nella vita terrena: ci

sono giornate serene, ma anche giornate scure!. .. Tu capisci quello

che intendo dire»."

256

Quelle, per madre Maria Mantovani, erano «giornate buie». Dio sta-

va purificando la sua fedele serva, prima di introdurla negli splendori

eterni.

19. Testimonianza di suor Alessia Feller.

20. Testimonianza di suor Gennara Chirico.

I superlativi

L'uso dei superlativi la Mantovani l'apprese dal Fondatore. Erano,

entrambi, due anime generose, risolute, fortemente impegnate verso

il bene. Le espressioni superlative vengono adoperate, anzi tutto, nei

propositi personali che toccano il culto di Dio e l'attività apostolica.

Poi i Fondatori ne fanno uso frequente nella corrispondenza epistola-

re, nelle circolari e nelle «letture» che tenevano alle suore riunite a

capitolo o durante gli esercizi.

Le preghiere in latino, per esempio, «si devono recitare

sempre correttissimamente»," Le suore chiamate a Castelletto per gli

esercizi, «devono intervenire vive o morte»," «Tale obbedienza è im-

portantissima e delicatissima, e dovete farla» ordina la Madre «subito

subito», Dal passo che riportiamo il lettore si rende conto di quanto

stiamo rilevando. Esso riguarda il mese di marzo e la devozione a san

Giuseppe. Scrive la Cofondatrice:

Il reverendo Padre vi raccomanda di fare con straordinario fervore

questo mese di marzo, sacro al nostro potentissimo Protettore san

Giuseppe, specialmente con l'essere fervorosissime nelle preghiere,

molto umili e Piene di dolcezza, diligentissime nelle cose Piccole e

nell'osservanza dell'orario, in modo da poter presentare, alla fine del

mese, un bollettino bellissimo e specialissimo, differente da tutti gli

altri mesi. San Giuseppe non si lascerà vincere in generosità e vi ot-

terrà da Gesù benedetto ogni sorta di grazie, specialmente una santa

morte quando sarà, e un paradiso distintissimo."

Tanto nella loro condotta personale che nel dirigere le figlie, il Fon-

datore e la Cofondatrice delle Piccole Suore della Sacra Famiglia non

conoscevano le indecisioni, le mezze

257

21. Circolare del 15 settembre 1914.

22. Circolare del 29 settembre 1914.

23. Circolare del 14 aprile 1919.

24. Circolare del 2 marzo 1915.

misure, i compromessi. L'indole paesana e la natura circostante han-

no senza dubbio influito sulla loro personalità, ma più ancora la gra-

zia. Essi infatti si misero incondizionatamente nelle mani di Dio, sino

dalla loro giovinezza, come strumenti docilissimi per l'attuazione dei

suoi disegni.

Le ripetizioni

Analoghe ai superlativi sono le ripetizioni. Anch'esse manifestano

una volontà concitata e decisa, ed impressionano, con particolare ef-

ficacia, chi legge o chi ascolta. Rivolgendosi alle suore infermiere

che curano i soldati feriti o assistono i malati a domicilio, madre Ma-

ria ordina di «non andare mai mai mai sole ... ma sempre sempre ac-

compagnate»."

Quelle suore, superiore o suddite, che quando arriva «un ordine di

trasloco, si raccomandano al parroco o alla commissione perché le

trattengano»: «tutte costoro» dichiara la Madre «fanno male, male,

malissimo».

Il manuale delle preghiere in uso nell'Istituto è «un tesoro prezioso»;

pertanto la Cofondatrice esorta: «Passatelo, ripassatela, gustatelo,

mandatelo in sangue»," In alcune case però si prega «ancora in fretta

e quasi mai con voce unisona». «Male, malissimo» scrive la Madre,

«non lo facciamo più, Più. È volontà del carissimo Padre»."

«Sembrava il Padre continuato ... »

La singolare efficacia del magistero di madre Maria Mantovani è qui.

Durante il lungo generalato che la vide

25. Circolare del 10 gennaio 1916.

26. Circolare del 27 dicembre 1920.

27. Circolare del 15 settembre 1914.

28. Circolare del 25 agosto 1917.

258

madre e maestra della nascente Congregazione, la Cofondatrice ebbe

un intento unico, un solo ideale: essere «la voce del Padre», trasmet-

tere fedelmente alle figlie gl'insegnamenti e le volontà del Padre. Il

buon esempio di tutti i giorni e la profonda vita di preghiera veniva-

no a completare le doti della Maestra, più validamente della scienza

appresa dai libri o sui banchi della scuola.

Le parole della Mantovani erano semplici e disadorne, ma «penetra-

vano sino al midollo dell'osso, e facevano tanto bene» perché «era

Dio che la ispirava»." «Venuto a mancare il Padre, la Madre teneva

"i capitoli". Erano così densi e forti. Sembrava il Padre continuato ...

»). «Le letture della cara Madre mi commovevano tanto»." «Nelle

esortazioni che faceva a noi novizie» scrive una di esse «si sentiva

ch'era vita vissuta, in particolare quando ci ricordava gl'insegnamenti

del venerato Padre Fondatore»." E un'altra dichiara: «Le esortazioni

dell'indimenticabile madre Maria hanno fatto breccia nel mio cuore e

sono state per me viatico sicuro nella mia vita religiosa»."

Come lo furono nel passato, così lo saranno nel futuro. Le

generose giovani che si consacreranno alla Sacra Famiglia nell'Istitu-

to delle Piccole Suore, sorto a Castelletto sul Garda nel 1892, trove-

ranno una guida sicura in madre Maria Mantovani dell'Immacolata.

La vita santa e gl'insegnamenti della Cofondatrice, che ripetono con

tono materno quelli del Fondatore, fanno di lei la maestra più autore-

vole della Congregazione.

Il servo di Dio mons. Giuseppe Nascimbeni non poteva desiderare

una collaboratrice, che abbracciasse tutti i suoi ideali, con più filiale

fedeltà e devozione.

29. Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta.

30. Testimonianza di suor Onorina Tartaglia.

31. Testimonianza di suor Valeriana Huéller, entrata nel 1918.

32. Testimonianza di suor Teresia Biasiolo, entrata nel 1930.

33. Testimonianza di suor Alessia Feller.

259

260

PARTE QUINTA

FIGLIA SPIRITUALE DEL FONDATORE

261

262

«UN AIUTO SIMILE A LUI»

Tale fu madre Maria Mantovani per il servo di Dio mons. Giuseppe

Nascimbeni. Questo valido aiuto l'abbiamo riscontrato, quasi di con-

tinuo, nelle precedenti pagine. È giunto però il momento di illustrarlo

direttamente, nei suoi molteplici aspetti. La vita della Cofondatrice

delle suore di Castelletto non verrebbe in piena luce, qualora non

fosse studiata nei suoi rapporti con la vita e l'apostolato del Fondato-

re.

E una collaborazione generosa, costante, totale: la quale lega indisso-

lubilmente l'esistenza della Mantovani all'opera sacerdotale del Na-

scimbeni. Alla base di questa collaborazione stanno lo spirito di fede,

la mutua stima, lo zelo operoso di entrambi i personaggi. I suoi frutti

esteriori sono l'appoggio incondizionato e la partecipazione attiva

della Figlia a tutte le iniziative del Padre. Anche da religiosa, ella

continua a collaborare nelle opere parrocchiali; ma principalmente

resta accanto al Fondatore, «fedele esecutrice delle sue volontà», nel-

la formazione delle suore e nel governo della Congregazione.

La docilità e la fiducia inviolate della Confondatrice fioriscono in af-

fettuosa assistenza, quando il Padre si ammala gravemente e s'avvia

verso il sepolcro. Ma la devozione filiale, avvolta di pudore e discre-

zione mentre il Padre era in vita, erompe, come torrente troppo impe-

tuoso e troppo contenuto, allorché il Padre viene a mancare. I richia-

mi continui agl'insegnamenti del Padre, l'esaltazione delle sue virtù,

l'artistica tomba fatta erigere nell'orto del convento, attestano quanto

viva ne rimanga tuttora la memoria nel cuore di madre Maria. Più

che del ricordo, ella vive «alla presenza del Padre». E questa invisibi-

le protezione la stimola a bene operare, a soffrire nel silenzio, a gui-

dare le suddite secondo le paterne direttive, affinché tutte siano tro-

vate degne di ricongiungersi a lui che «le aspetta», lei e le figlie, nel-

la serenità imperturbabile del paradiso.

263

CAPO PRIMO

DOCILE

Fin da quando la conobbe, don Giuseppe Nascimbeni nutrì grande

stima per Domenica Mantovani. I molteplici servigi che le chiedeva

per la chiesa, per i bambini e la gioventù femminile, per i malati e i

poveri del paese, attestano la fiducia che il parroco riponeva nella pia

giovane. Prima di portarla in convento assieme con altre aspiranti, il

Servo di Dio ebbe modo di conoscere profondamente la futura supe-

riora, per circa quindici anni. Ne ammirava la docilità premurosa, la

costante dedizione, lo spirito d'iniziativa, l'inconfondibile contrasse-

gno delle anime grandi, le quali parlano poco ed operano molto.

Ma la Mantovani, come abbiamo detto altrove, non aveva la patente

di maestra. Se il Fondatore esitò da principio a metterla a capo della

novella comunità religiosa, fu appunto perché la giovane non posse-

deva il diploma d'insegnante. Il Nascimbeni ci teneva a quel pezzo di

carta. Gli pareva che il titolo, impressionando gli uomini, agevolasse

le opere di Dio. I progetti falliti lo persuasero poi che, più dei titoli,

Dio predilige le virtù. All'insaputa di tutti, la Provvidenza conduceva

le cose per il loro verso: a capo della nuova Congregazione, che si

sarebbe moltiplicata con sorprendente rapidità, veniva posta una po-

vera figlia dei campi. Le risorse e i calcoli umani cedevano il passo

all'umile sentire di sé, alla semplicità evangelica, alla bontà del cuo-

re.

D'altra parte, anche il parroco di Castelletto stimava la virtù più della

scienza. Soltanto sperava di trovare unite, l'una e l'altra, nella stessa

persona.

La preoccupazione del Fondatore

Non è possibile descrivere quanta premura il reverendissimo Supe-

riore mise nel formare lo spirito di quelle quattro suore che dovevano

essere le quattro colonne principali dell'Istituto, per togliere da loro

tutto ciò che sapeva di mondano, per abbattere l'amor proprio, e ren-

derle tutte semplici, umili, mortificate. Quanto studio non pose per-

ché quel piccolo drappello, che in breve si fece numerosissimo, resi-

stesse agli urti di qualsiasi procella con sode e vere virtù. Quante vol-

te non fu udito esclamare: - Non c'è via di mezzo, O sante, o dannate!

264

O tutte di Gesù, o niente di Gesù! Ed ora dolce, ora severo, sempre

fermo e costante, riprendeva, castigava, sì, ma sempre amando e fa-

cendosi amare con santo affetto di padre, di amico, di medico pieto-

so.'

Tra le quattro egli prediligeva la Mantovani. Da quando l'aveva eletta

superiora, s'adoperava ancor più per formarla secondo i suoi ideali. Il

Padre era ben lieto di riscontrare nella condotta della figlia le virtù

ch'egli stesso amava e desiderava venissero praticate dalle Piccole

Suore. Era persuaso infatti che il buono spirito della casa dipendesse,

in gran parte, dalla santità di chi la presiedeva. Parlerà spesso in tal

senso alle superiore convenute a Castelletto per gli esercizi, racco-

mandando di guidare le suddite più con la vita virtuosa che con i lun-

ghi discorsi. E prima ancora volle che la Confondatrice edificasse

tutte, suddite e superiore, con i suoi esempi. «Sta quieta» le scriveva

da Brescia, alcuni mesi dopo la fondazione dell'Istituto: «prego per

tutti, e pregherò specialmente per te perché la santità tua è la santità

di tutte. Questo è certissimo»."

Il Fondatore era dunque preoccupato perché la Madre Generale desse

il buon esempio a tutte le suddite. Da valente maestro di spirito, egli

ricorse a tutti i mezzi, spesso austeri, quasi violenti, per temprare la

Madre nell'esercizio di quelle virtù che voleva risplendessero nelle

figlie. Madre Maria si piegava con dolcezza e con serenità, senza

turbarsi, senza

1. Memorie del nostro Istituto, c. 6, pp. 10-11

2. Lettera del Fondatore alla Cofondatrice, del 18 aprile 1893.

impermalirsi; e ciò confortava sommamente il Servo di Dio che per

tutta la vita combatté contro l'amor proprio, in sé e negli altri. Quan-

do la Cofondatrice era presente, la mortificava con asprezza davanti a

tutte le suore; partita, ne elogi va la virtù. Un giorno ebbe a dire: «Fi-

glie mie, conoscerete la Madre dopo la sua morte».'

Paterna benevolenza

Desideriamo riportare una delle poche lettere, che il Fondatore scris-

se alla sua fedele Collaboratrice. Risale al settembre del 1915, e fu

inviata alla Madre che si trovava in giro nelle filiali, in occasione del-

265

la sua festa onomastica. Lo scritto rivela la stima, la fiducia ed il gran

bene che il Padre nutre per la sua primogenita. I santi son fatti così.

Quando vogliono condurre un'anima alla perfezione, si dimostrano

esigenti, quasi duri; ma sotto sotto hanno un gran cuore, che ammira

la virtù ed ama intensamente il virtuoso.

Carissima mille milioni di volte

n. S. F. n. D. S. e s. C. S:

Ieri tuo giorno di onomastico ho presentato al mio e tuo caro Gesù

col cuore nelle mani, preghiere, auguri, voti per l'anima tua e per il

tuo corpo. Queste preghiere le ho rinnovate stamattina e le continue-

rò tutto il giorno perché il Signore, per amore della Sacra Famiglia, ti

conceda tutte le consolazioni per lunghi anni nella vita presente e per

tutta l'eternità nel paradiso, in mezzo ad uno stuolo immenso delle

tue carissime figlie.

Ama ogni giorno più il Signore, facendolo amare sempre più da tutte

le tue con sorelle dilettissime. E questo otterrai senza fallo, se tu sarai

sempre la prima a precederle nel buon esempio in tutto e per tutto,

nella dipendenza dai tuoi superiori e dall'assistente e dalla vicaria. La

Sacra Famiglia ti desidera ancor più perfetta. Unisco alla presente

mille milioni di specialissime benedizioni. La messa

3. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 38.

4. «Nella Sacra Famiglia, nel Divin Sacramento e sul Camposanto».

non te l'ho potuta dire perché l'ho sempre impegnata, ma te la farò

celebrare per mezzo di suor M. E tu prega per me, perché solamente

adesso comincio un poco a capire quanto abbia offeso, quanto male

abbia servito il Signore, quanto sia stato di scandalo a tutti. Ottienimi

la grazia con le tue continue fervorose orazioni, che almeno mi salvi.

Mille grazie di tale carità. A tale scopo, fa pregare anche tutte le tue

figlie.

Di nuovo, mille e mille benedizioni.

Tuo indegno padre

Nascimbeni Don Giuseppe

266

Da Casa Madre, 13 settembre 1915.

«Le obbedienze del carissimo Padre»

La vita di Madre Maria fu animata da un grande ideale: obbedire per-

fettamente al servo di Dio mons. Giuseppe Nascimbeni. La docilità

al Padre impegnò lo sforzo ascetico dei primi anni, poi divenne la

passione dominante. I «propositi» della Madre vi insistono a più ri-

prese; anzi, nessuna pratica, nessuna virtù è più desiderata e coltivata

quanto la perfetta sottomissione a tutti i voleri del Padre.

Fin da quando era nel mondo la Mantovani obbediva al parroco; pro-

vava grande trasporto nell'appoggiare le direttive del parroco, nell'e-

seguire gli ordini del parroco. Per obbedienza rimase a Castelletto,

anche quando sentiva la vocazione alla vita di convento. Avrebbe po-

tuto lasciare il paese e seguire il suo ideale allorché il parroco non

riusciva ad avere le suore in parrocchia. Aspettò, pazientò, si tenne a

disposizione del futuro fondatore. L'obbedienza la portò a Verona

con le altre compagne, presso le Terziarie Francescane; l'obbedienza

l'indusse ad accettare l'incarico di superiora, quando la mancanza di

mezzi e le incertezze dei primi passi moltiplicavano le preoccupazio-

ni di chi era a capo. Per tutta la vita madre Maria obbedì al Fondato-

re. Fino dai primi anni s'era proposta «di osservare sempre scrupolo-

samente tutti gli ordini del mio Superiore, e di uniformare in tutto e

sempre il mio giudizio al SUO». A questo programma non venne mai

meno.

L'obbedienza della Cofondatrice fu «perfetta». All'esterno ebbe come

note dominanti la puntualità e l'esattezza. "Si estendeva a tutte le a-

zioni della giornata, che il Padre doveva conoscere e benedire;' nes-

suna azione veniva fatta senza dipendere in tutto e per tutto da lui."

Le sue «obbedienze» erano preferite ad ogni altra iniziativa;" e dove-

vano essere eseguite in giornata, «a tempo e luogo»."

Questa perfetta docilità al Fondatore impegnava tutta la personalità

di madre Maria: i suoi pensieri, la sua volontà, il suo tempo, le sue

forze. Voleva che ci fosse una perfetta armonia tra i voleri del Padre

e la propria condotta, e verso questo obiettivo dirigeva costantemente

i suoi sforzi.

267

Con l'aiuto della Sacra Famiglia, prometto di stare sopra me stessa

per non dire né fare cosa che non sia secondo il gusto o la volontà del

mio Padre Superiore.

Per arrivare a questa totale sottomissione di spirito ci volle del tempo

e fu necessario ingaggiare una dura battaglia. Madre Maria vigilò a

lungo su se stessa, per non assecondare

5. Proponimenti dell'anno 1895: prop. 2.

6. «Obbedirò prontamente ad ogni ordine del mio Superiore»: Pro-

ponimenti di incerta data: prop. 4; «Voglio fare con puntualità ed e-

sattezza tutte le obbedienze del mio carissimo Padre»: aprile 1912

(Propositi, I, p. 23); «Prometto, o mio Gesù, con l'aiuto vostro di e-

seguire esattamente e puntualmente tutte le obbedienze del mio caris-

simo Padre»: 10 gennaio 1918 (ivi, II, p. 15); ecc.

7. «Sarò puntuale nell'eseguire i suoi ordini e tutte le mie azioni della

giornata voglio siano vistate e benedette dal mio Padre Superiore

giorno per giorno»: Proponimenti degli esercizi dell'ottobre 1917:

prop. 2 (ivi, p. 5).

8. «Prometto con l'aiuto della Sacra Famiglia di non fare nessuna co-

sa senza dipendere dal mio carissimo Padre S periore, e su ciò mi e-

saminerò ogni giorno»: 15 ottobre 1914 (ivi, I, p. 41).

9. «Per dar gusto a Dio e come apparecchio alla morte, prometto di

fare ogni mia azione bene, con esattezza e puntualità, e preferire le

obbedienze del mio carissimo Padre Superiore ad ogni altra azione»:

luglio 1916 (ivi, p.53).

10. «Prometto al mio Dio di fare esattamente ogni mia azione a tem-

po e luogo, e di fare in giornata tutte le obbedienze del mio carissimo

Padre Superiore»: 3 dicembre 1914 (ivi, p. 42). 11. Marzo 1913 (ivi,

p. 29).

la propria volontà, ma ricondurla al programma di tutti giorni, di tutta

la vita.

Con l'aiuto della Sacra Famiglia e della Vergine Immacolata, promet-

to di combattere continuamente la mia volontà e fare in tutto la vo-

lontà del mio carissimo Padre Superiore."

Che la mia volontà sia incatenata con quella del mio Padre Superiore;

e se il demonio cercherà di farmi vedere cose differenti, tosto lo

268

scaccerò assoggettando immediatamente il mio giudizio a quello del

mio Padre Superiore,"

«Ho sempre preso le sue parole come vangelo»

La Mantovani era troppo umile per ritenere che Dio avesse mandato

a Castelletto il santo sacerdote don Giuseppe Nascimbeni, principal-

mente per santificare lei, la primogenita della Congregazione. Era

tuttavia persuasa che, per raggiungere la perfezione religiosa, doveva

dipendere in tutto dal Padre. Quanto più perfetta era tale sottomissio-

ne, tanto più avrebbe giovato all'Istituto del Padre, del quale ella era,

per volere di Dio, la Madre. Questa persuasione crebbe col tempo e

con l'esperienza. La discepola si sentiva sempre più sicura nel seguire

le direttive del Maestro; la figlia provava tanta dolcezza nell'assecon-

dare i voleri del Padre.

Al Padre la Cofondatrice diceva tutto. A meno che non si trattasse

dei lievi mancamenti delle suore, a rimediare i quali bastava la corre-

zione materna; in questi casi l'amore della madre vinceva su quello

della figlia. Ed ancora verso la fine, quando il Fondatore era infermo

e tribolato, la Superiora gli

12. Giugno 1916 (ivi, p. 52). «Confermo uno dei propositi dei santi

esercizi, di vegliare cioè sopra me stessa per non cadere neppure in-

volontariamente nel fare la mia volontà, ma spezzarla, schiacciarla

immediatamente»; aprile 1915 (ivi, p. 45).

13. Proponimenti degli esercizi dell'ottobre 1917: prop. I (ivi, II, p.

4).

nascondeva quelle cose che l'avrebbero preoccupato inutilmente. Ciò

che maggiormente stava a cuore a madre Maria era l'apertura della

propria coscienza. Al Padre manifestava tutto: con fede, con umiltà,

con semplicità. Gli diceva le mancanze della giornata, perché le sa-

pesse, le perdonasse, e indicasse a lei il rimedio. Aprirsi col Padre era

come confessarsi con Dio; era un mezzo efficacissimo per mantenere

l'interiore purezza.

Prometto di fare ogni mia azione con la massima diligenza; e ogni

giorno manifesterò al mio reverendo Padre tutte le imperfezioni gior-

naliere che mi è dato conoscere, per conservarmi sempre nella purità

269

di coscienza, perché Gesù abbia a prendersi dimora stabile nel mio

cuore e vivere sempre unita con Gesù."

La mondezza del cuore e l'unione con Gesù crescono nella misura in

cui la figlia si apre col Padre suo. È una esperienza stupenda, che le

dilata l'anima ed accresce la fiducia verso il Fondatore della Congre-

gazione cui ella appartiene. La figlia si sente al suo posto nella casa

del Signore, e cresce come pianticella rigogliosa all'ombra della san-

tità del Padre. Su l'autorità di lui riposa tranquilla, certa di andare a

Dio per la via più breve e più sicura.

Più tardi, dopo la morte del Servo di Dio, madre Maria rivelerà alle

suore l'immensa fiducia che in lui riponeva. Dirà più volte: «Ho

sempre preso le sue parole come vangelo»."

14. Agosto 1909 (ivi, I, p. 8).

15. Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta.

CAPO SECONDO

INFATICABILE

La devozione della Mantovani per il servo di Dio don Nascimbeni fu

costante ed operosa. Internamente si esprimeva nell'aderire alle vo-

lontà di lui, ritenute come volontà di Dio; all'esterno si manifestava

nell'appoggiarne con zelo le molteplici iniziative di parroco e di fon-

datore.

«La parrocchia del Padre»

Anche da religiosa la Mantovani continuò a prendersi cura della

chiesa parrocchiale. Scopava regolarmente il pavimento, curava la

biancheria degli altari e della sagrestia, provvedeva i fiori freschi da-

vanti al Santissimo e alla Madonna, allestiva addobbi, confezionava

camici e cotte: «tutto come quando era secolare». Le davano aiuto le

buone consorelle, che ella iniziava alle diverse attività.

Madre Maria assisteva le madri cristiane. Procurava che intervenisse-

ro tutte alle adunanze e si interessava delle loro figliole. Se qualcuna

di costoro non si comportava bene!. subito la superiora avvisava la

mamma e suggeriva gli argomenti più convincenti per indurre alla

riflessione la spensierata. Vegliava su gli oratori e su tutte le numero-

270

se confraternite, e prestava la sua collaborazione per il loro incre-

mento.

Insegnava inoltre il catechismo ai bimbi e alle ragazze. Fin da giova-

ne s'era dedicata a quest'attività e continuò per molti

1. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, II, p. 18.

anni anche da suora, sino a quando glielo consentirono i suoi impe-

gni di superiora generale. L'esperienza acquisita col tempo, l'innata

bontà, la prudenza che sapeva ottenere la disciplina alternandola con

festose ricreazioni cui la Madre prendeva parte con simpatia, la fede

viva e il linguaggio concreto resero la Mantovani sommamente effi-

cace in questo genere di apostolato. A ragione quindi viene celebrata

nella Congregazione come la «prima insegnante di catechismo dell'I-

stituto.

Madre Maria amava la parrocchia di Castelletto. Era la sua parroc-

chia, la parrocchia dei parenti e delle persone conosciute e amate si-

no dalla fanciullezza. Ma soprattutto Castelletto era «la parrocchia

del Padre». Nei proponimenti della primavera 1909 la Cofondatrice

prometteva:

Pregherò, soffrirò, lavorerò per il bene della parrocchia; e pervenire

alla pratica eseguirò con prontezza ciò che mi consiglierà di fare il

mio reverendo carissimo Padre, sia per la comunione quotidiana, sia

per l'istruzione, sia per l'ordine in chiesa, sia per l'oratorio, ecc?

Dove poteva arrivare direttamente, madre Mantovani si prestava con

generosità. Quando poi le gravi obbligazioni la trattenevano in con-

vento a dirigere la cresciuta Congregazione, mandava le suore; ma

sino alla morte si interessò della parrocchia.

Per la chiesa nuova

Nei primi anni del suo ministero parrocchiale don Nascimbeni re-

staurò ed abbellì la vecchia chiesa cadente, che mons. Bartolomeo

Bacilieri consacrò il 15 settembre del 1890.

2. Come tale fu commemorata durante il convegno delle suore addet-

te all'ipsegnamento della dottrina cristiana, tenuto a Castelletto dal 5

al 12 luglio del 1~59.

3. Propositi, I, pp. 2-3.

271

All'inizio del secolo il tempio non era più capace di accogliere la po-

polazione aumentata. «Scartato il vieto uso dell'ampliamento»,' il

parroco pensò all'erezione di una nuova chiesa. Il 19 novembre 1905

fu posta la prima pietra e il 9 maggio 1908 venne consacrata dallo

stesso Bacilieri, eletto cardinale e successore del Canossa.'

Due anni e mezzo bastarono per edificare la nuova casa al Signore,

che il parroco non conosceva indugi: lavorava instancabile e solleci-

tava i costruttori. L'intera popolazione collaborò, prestando gratuita-

mente mano d'opera. Concorsero anche le Piccole Suore, che lavora-

vano con le loro mani dove potevano arrivare senza venir meno al

decoro; e soprattutto contribuirono a coprire le spese. Il Padre le

«tassò». La Casa Madre, le filiali, le singole suore dovevano versare

mensilmente una quota fissata dal Fondatore. La contribuzione fu

generosa e si protrasse per oltre un decennio, sino al giorno 6 dicem-

bre 1918, nel quale il diario dell'Istituto scrive:

Grande festa interna nell'Istituto per la chiusura del sacchetto di S.

Giuseppe; sono cioè pagati tutti i debiti contratti per la erezione della

chiesa parrocchiale di Castelletto ...

Identica collaborazione veniva offerta per tutte le opere ideate dal

Fondatore. La Madre Generale dava il buon esempio, come sempre, e

spronava le suddite. «Com'era felice quando le si consegnava qual-

che somma, anche se piccola, per il sacchetto di S. Giuseppe! ... Non

pensava a sé, ma tutto faceva servire per le sante iniziative del vene-

rato Fondatore».

Era pure industriosa nel suggerire alle suore provvide

4. GIUSEPPE TRECCA, Mons. Giuseppe Nascimbeni, p. 111.

5. Della nuova chiesa e sulla festa della consacrazione dànno ampie

notizie il

volume di don Trecca, pp. 111-118, e il numero unico del Nazareth

che uscì per la

circostanza: Castelletto sul Garda oggi in gran festa per l'inaugura-

zione della nuova chiesa

parrocchiale [9 maggio 1908]; pp. 4.

272

6. Diario giornaliero: dal 2 settembre 1918 al 21 gennaio 1922, p. 12.

7. Testimonianza di suor Borromea Coltro.

iniziative, i cui incassi venivano versati nel famoso sacchetto. Lavori

femminili compiuti in ore sottratte al sonno, tombole, pesche, com-

medie ... tutto era sapientemente organizzato per finanziare i lavori

che venivano eseguiti a Castelletto. Sospinte dagli esempi e dalle pa-

role della Madre, le figlie facevano prosperare le opere del Padre.

Le giovani

I due generi di apostolato più consoni alle attitudini della Cofondatri-

ce erano l'educazione cristiana dei bambini e l'assistenza alle giovani.

Dopo la morte della maestra Gaioni, la gioventù femminile di Castel-

letto gravitava attorno alla Mantovani; in seguito poi, l'abito religioso

e la carica di superiora accrebbero l'ascendente della Madre. «Ma-

dre» infatti era ritenuta da tutte le giovani del paese, che andavano ad

aprirsi da lei con fiduciosa libertà, certe d'essere comprese e ben ap-

poggiate.

L'irradiazione apostolica di madre Maria sulla gioventù femminile

andò oltre i confini della parrocchia. Da quando il convento fu am-

pliato e v'erano locali disponibili per ospitare persone laiche, il Fon-

datore pensò alle ragazze che desideravano trascorrere alcuni giorni

in santo raccoglimento. Fin dal 1907 il Nazareth si rivolgeva «alle

giovani di buona volontà»:

Volete passare un po' di giorni nella pace, nella quiete, nella conten-

tezza? Fate un piccolo sacrificio: coi vostri tenui risparmi, venite a

fare il santo ritiro a Castelletto ... Qui troverete buone suore che vi

usano ogni riguardo ed ogni delicatezza, qui la cara e soave cappelli-

na ove proverete le emozioni della fede, qui la calda parola del sacro

predicatore, qui il conforto della coscienza che è il conforto di Dio.

Con particolare istanza venivano chiamate le «giovani fortunate», le

quali sentivano «da tempo una voce interna» che

8. Nazareth, 2 (luglio 1907) p. 4.

le sospingeva «a lasciare il mondo per essere spose di Gesù nel chio-

stro». Partecipando «ai santi esercizi», esse avrebbero acquistato «la

273

forza necessaria per distaccarsi generosamente da tutto e da tutti» e

«per volare il più presto al dolce nido», «centro dell'unica vera pace e

felicità»."

Ma poi «tutte, tutte» erano esortate a intervenire. A Castelletto «il

soggiorno in riva al lago è deliziosissimo, l'aria più che salubre».'?

Soprattutto le esercitanti avrebbero trovato «la cappella ingrandita e

trasformata», «un bravissimo predicatore», il Padre e la Madre che in

quei giorni si sarebbero tenuti a disposizione delle loro anime. «Che

volete di più?» perorava il Nazareth. «Venite dunque in tante, in tan-

tissime; la Sacra Famiglia vi ricolmerà di grazia, vi renderà sempre

più buone e più sante»."

Tali erano appunto le intenzioni del Fondatore e della Cofondatrice,

allorché convocavano le giovani della riviera per gli esercizi spiritua-

li. E quando le ospiti erano in convento, aveva inizio il lavoro del

Padre e della Madre. Ciascuno si dava a modo suo e secondo la pro-

pria vocazione, ma per i medesimi intenti: preservare dalle insidie

quelle giovani anime, ricche di promesse, educarle alla pietà e alle

virtù cristiane.

Gli esercizi chiusi per signorine si tennero anche dopo la morte del

Fondatore. La Madre esortava alla collaborazione le suore delle filia-

li. Esse ne dovevano parlare nei paesi ove lavoravano, dovevano

mandare a Castelletto quelle giovani che intendevano «approfittare di

sì straordinaria grazia». Il venerato Padre, «cui tanto stavano a cuore

gli esercizi delle secolari», dal cielo avrebbe benedetto quella «santa

cooperazione» e le suore si sarebbero arricchite «di grandi meriti per

la vita eterna»."

9. Nazareth, 5 (giugno 1910) p. 4.

10. Ivi.

11. Ivi, 9 (luglio 1914) p. 8.

12. [MADRE MARIA], La voce del Padre, I (maggio 1922) p. 4.

Prima che l'azione cattolica e gli istituti secolari di vita consacrata

dessero inizio ai corsi d'esercizi spirituali per laici, le Piccole Suore

di Castelletto li tenevano da tempo. Animate dai Fondatori, avevano

274

messo a disposizione delle giovani la loro cappella, il convento di

Casa Madre, il loro tempo e la loro amorosa assistenza.

La gioventù femminile di A. C.

Per far fronte ai bisogni degli ultimi tempi, nei quali il male si orga-

nizza contro Dio e contro la Chiesa con programmi ben precisi di

scristianizzazione, la Provvidenza ha suscitato l'azione cattolica. Essa

chiama a raccolta le migliori energie del laicato, le costituisce in mo-

vimenti parrocchiali e diocesani, nazionali e internazionali, arruolan-

dole a fianco della gerarchia ecclesiastica. All'opera demolitrice dei

nemici di Dio l'azione cattolica contrappone l'istaurazione del regno

di Cristo nella famiglia, nella società, nel mondo.

Ultima in ordine di tempo, ma ricca di entusiasmi e di generosità, è

sorta in Italia la sezione della gioventù femminile di azione cattolica.

Dalle sue file sono uscite migliaia di mamme cristiane, che sono più

aperte ai problemi di oggi e meglio disposte a collaborare col sacer-

dote per cristianizzare la famiglia e la società. In seno alla gioventù

femminile di A. C. sono inoltre maturati quei movimenti di vita con-

sacrata che, oltre ad offrire preziosissime forze a servizio della Chie-

sa, ne testimoniano la perenne giovinezza. L'ideale della verginità,

coscientemente vissuto in mezzo al mondo, è un lievito potentissimo

che affascina e trasforma.

Prima che la gioventù italiana fosse chiamata a prendere il suo posto

nell'esercito dell'azione cattolica, era per lo più iscritta a movimenti

mariani. Le migliori parrocchie da tempo avevano introdotto l'istitu-

zione delle Figlie di Maria. A questa appartennero, come abbiamo

visto, le prime sei Piccole Suore della Sacra Famiglia.

La Mantovani era spiritualmente cresciuta tra le Figlie di Maria; e se

da suora divenne la confidente delle giovani di Castelletto, lo era in

particolar modo per le iscritte alla pia associazione. Ne conosceva i

problemi, ne apprezzava i generosi slanci, valutava il loro apporto al-

la causa di Cristo e della Chiesa. Quando i romani pontefici chiama-

rono a raccolta la gioventù femminile e l'inserirono nel grande mo-

vimento dell'azione cattolica italiana, la Cofondatrice fu pronta ad

275

accogliere gli augusti appelli e in tal senso orientò le suore che lavo-

ravano nelle parrocchie.

Essa, d'altronde, «sentiva con la Chiesa». Nonostante che Castelletto

fosse alquanto fuori mano, quasi chiuso nelle Sue secolari tradizioni,

madre Maria era aperta alle iniziative che venivano dall'alto e sapeva

tempestivamente aggiornarsi. Quando, per esempio, venne consiglia-

ta una partecipazione più liturgica alla santa messa, la Madre pregò il

parroco di Cassone perché tenesse alle suore alcune istruzioni sui

pregi e sull'uso del messalino."

La Mantovani fu dunque sollecita nel chiedere alle suore un fattivo

interessamento per la gioventù femminile di A. C. A questo apostola-

to esse dovevano dedicarsi «con amore, con zelo e con spirito di sa-

crificio», "collaborando cordialmente con i parroci locali, seguendo

in tutto le direttive della gerarchia. La Madre parlava dell'A. C. nelle

«letture» che teneva durante gli esercizi spirituali. E perché tutte le

suore fossero interessate sull'importante problema, lo trattò per iscrit-

to a più riprese su La voce del Padre,"

13. Testimonianza di suor Adina Petroselli.

14. [MADRE MARIA], La voce del Padre, 7 (marzo 1929) p. 2.

15. Vedansi i numeri dell'anno 1928.

«Dell'orfano tu sei l'aiuto»

Lo è Iddio (Salmo 10, 14), e lo sono anche le anime di Dio. Lo furo-

no il Fondatore e la Confondatrice delle Piccole Suore della Sacra

Famiglia. Nato nel secolo di S. Giuseppe Cottolengo e di S. Giovanni

Bosco, l'Istituto non poteva ignorare questa opera altamente merito-

ria, memore dell'avvertimento di Gesù: «Chi riceve un fanciullo co-

me questo in nome mio, riceve me» (Matteo 18, 5). Fin dai primi an-

276

ni il Padre e la Madre s'occuparono degli orfani, affidandoli alle cure

delle figlie.

La guerra li moltiplicò. Ad accoglierli s'aprirono le porte delle filiali

di Isola Vicentina, Castelletto," Torri, Toscolano, Desenzano, Vero-

na, Arcole, S. Martino Buon Albergo, Paratico, Adro, Calcinato,

Trento. Per essi: per provvedere loro l'alloggio, il pane, i vestiti e una

sana educazione, il Padre, la Madre e le suore si prodigarono senza

risparmio.

Nel marzo del 1918 furono aperti contemporaneamente tre orfanotro-

fi, un quarto ai primi del maggio successivo. A Verona vennero ospi-

tate 25 fanciulle, a Toscolano sul Garda 19 bambini, 6 orfanelle a

Torri del Benàco, paese natìo del Padre, e 25 a Desenzano. Nell'ap-

pello che la Madre Generale indirizzò ai benefattori e lettori del Na-

rareth, si diceva:

L'opera eminentemente cristiana e santa è voluta dall'ora triste e do-

lorosissima che attraversiamo; e le miserie e i gemiti di tanti poveri

orfanelli non potevano non intenerire il sensibilissimo cuore del no-

stro reverendissimo Padre, che si consuma dal desiderio di lenire le

sofferenze della povera società, specie della gioventù Più abbandona-

ta. Il

Le fanciulle di Verona presero nome «le orfanelle del

16. Abbiamo già parlato delle 25 orfanelle, accolte presso la Casa

Madre, in

occasione del 25° anniversario della fondazione; vedi sopra, pp. 123-

127.

17. MADRE MARIA, Appello a tutti i nostri benefattori, abbonati e

lettori. Venne diffuso

nel marzo del 1918.

suffragio» sotto la protezione di S. Giuseppe; a Toscolano i 19 orfani

furon detti «gli artigianelli di S. Giuseppe»; le 6 di Torri si chiama-

rono «le orfanelle della Sacra Famiglia», quelle di Desenzano furono

messe sotto la protezione del Santo Crocifisso e della Vergine Addo-

lorata.

Né deve meravigliare il numero limitato, a confronto dei grandi orfa-

notrofi dei nostri giorni. A soccorrere i ricoverati provvedevano sol-

277

tanto il Padre, la Madre, le suore e la sollecitata «carità» dei buoni.

Tutta la Congregazione si prendeva cura di loro. La Madre animava

le suore. Le filiali contribuivano mandando generi alimentari, corre-

di, abiti vecchi che le mani delle suore rimettevano a nuovo e adatta-

vano ai piccoli, ed alcune case s'impegnarono a mantenere un orfano.

Finché il Padre fu in forze, andava di persona a visitare gli innocenti.

Quando la paralisi lo fermò, pensarono le figlie a portarglieli più vol-

te: da Verona, da Toscolano, da Desenzano, da Torri. «Nella varietà

delle uniformi», i piccoli venivano a Castelletto e subito fraternizza-

vano fra loro; sembravano greggi di agnelli festosi e saltellanti, gui-

dati dalle loro madri. Al vederli il venerando Infermo si commoveva

sino alle lacrime. Li guardava a lungo, li benediceva. Attorniato da

tutta quella innocenza, gli pareva di ringiovanire. Era una festa di

famiglia; della grande famiglia spirituale del Padre, moltiplicata con

la collaborazione della Madre e delle figlie.

Altre iniziative del Padre

Tutte le iniziative del Servo di Dio trovavano nella Mantovani una

collaboratrice ed una propagandista fervente. Con la devota coopera-

zione della Madre e delle suore, don Nascimbeni poté rianimare le

istituzioni già esistenti a Castelletto e dar vita a molte altre. Su un

cartoncino, rimasto appeso per più anni nella sagrestia, vengono e-

lencate le «confraternite che esistono in questa parrocchia», e sono:

la confraternita del Santo Rosario, delle Figlie di Maria, della B.

Vergine assunta in cielo, del Suffragio delle anime sante del purgato-

rio, dell'Immacolato Cuore di Maria e Medaglia miracolosa, del

Terz'ordine di S. Francesco, della Madonna della Cintura, del S.

Cuore di Gesù, della SS. Trinità, del Preziosissimo Sangue, del Cin-

golo di S. Tommaso, del Cingolo di S. Giuseppe, della Sacra Fami-

glia, dell'Immacolata di Lourdes.

V'erano inoltre i Paggi che, nella caratteristica uniforme, costituivano

la guardia d'onore del Santissimo; mentre la compagnia di S. Luigi

raccoglieva i giovani ed era particolarmente cara al parroco. Essa in-

fatti preparava i fidanza ti, i mariti, i padri di domani; alla stessa ma-

niera che la congregazione delle Figlie di Maria formava le fidanzate,

le spose, le madri della prossima generazione.

278

Il carattere permanente di queste istituzioni esigeva una collabora-

zione altrettanto assidua da parte della Madre e delle suore. Altre ini-

ziative invece avevano una durata più breve. Durante la guerra, per

esempio, il Fondatore fece stampare dalla tipografia interna dell'Isti-

tuto «un bellissimo libretto di preghiere per soldati». «In compendio

c'è tutto» diceva madre Maria; e pertanto esortava le suore: «Zelatene

la diffusione più che potete in mezzo ai buoni soldati dei vostri paesi,

e gioverete tanto alle loro anime»."

La Mantovani faceva pregare spesso per «la parrocchia del

Padre». Principalmente quando egli era impegnato in speciali corsi di

predicazione, urgeva allora sollecitare la grazia di Dio affinché l'ini-

ziativa pastorale avesse buon esito. Nell'inverno del 1916 il Servo di

Dio tenne un corso di esercizi per gli uomini della parrocchia. La

guerra in pieno svolgimento invitava di per sé alla riflessione e al ri-

torno a Dio; era dunque bene approfittarne. Com'era solita fare in si-

mili circostanze, la Madre avvertì per tempo le suore, invitandole a

pregare fervorosamente in unione ai ricoverati, alle orfanelle, ai

18 Circolare del IO gennaio 1916.

bambini di asilo, alle ragazze che assistevano; e per impegnarle mag-

giormente, concludeva: «Il Padre... confida assai nelle vostre pre-

ghiere»."

Il multiforme zelo del Nascimbeni lo teneva attento a tutte le opere

che fiorivano in seno alla Chiesa. Appena ne veniva a conoscenza,

con la sua abituale immediatezza dava la sua adesione. Con identica

risolutezza madre Maria seguiva gli esempi del Fondatore, ed era sol-

lecita di trasmetterne i desideri alle suore perché facessero altrettan-

to.

È volontà del nostro reverendo Padre, che ogni giorno Più si consu-

ma di carità per Dio e per le anime, che ogni suora si iscriva subito

nella bellissima Opera della santa Infanzia."

Al vivo interessamento tien dietro la compiacenza. Quando le inizia-

tive del Padre sono coronate da successo, madre Maria gioisce e par-

tecipa la sua gioia alle figlie. Tutto quello che fa il Fondatore le ap-

partiene come un bene proprio; appartiene anche a tutte le figlie, le

279

quali, assieme con la Madre, debbono esserne orgogliose e rallegrar-

si.

Il reverendissimo Padre ha provveduto la parrocchia di sette bellis-

sime statue: S. Cuore di Gesù, la Madonna del Rosario, S. Vincenzo

Ferreri, S. Antonio di Padova, queste tutte grandi; e poi S. Gioacchi-

no, S. Anna, S. Gaetano Più piccole, ma tutte stupende e in perfètta

armonia con lo stile della chiesa che ora pare un paradiso. Quando

verrete alla Casa Madre, ne resterete meravigliate:"

19. Ivi …

20. Circolare del 15 giugno 1918.

21. Circolare del 15 settembre 1914.

L'Istituto

Per promuovere le molteplici opere del Padre, la Mantovani dava

qualcosa di sé: del suo tempo, delle sue preghiere, delle sue energie.

A favore dell'Istituto che il Nascimbeni aveva fondato servendosi in

particolar modo di lei, la Madre impegnava se stessa, dava tutta la

propria vita. L'aveva già offerta a Dio per la Congregazione, quando

questa era ancora in fasce.

Signore, aiutatemi a farmi santa perché non voglio che questa santa

istituzione che al mio caro Padre costò e costa sudori e fatiche, per

causa mia, abbia a perire; che se per la perpetuità della medesima vo-

lete il sacrificio della vita, eccomi pronta a farvelo in quella maniera

e quando Voi volete.

Dio la risparmiò; e la lasciò ancora a lungo su la terra, a lavorare al

fianco del Servo di Dio per gli stessi ideali. Se la Cofondatrice fosse

morta allora, il suo dono avrebbe suscitato ammirazione, ma sarebbe

stato anche più facile. Vissuto giorno per giorno, per più di qua-

rant'anni, il sacrificio è stato più eroico e più fruttuoso.

Si tratta, in verità, di sacrificio. La penuria dei mezzi materiali, le in-

certezze dei primi tempi, le dicerie delle persone oziose o troppo ze-

lanti, le persecuzioni dei malevoli... la Superiora aveva molte pene da

mettere sull'altare quando al mattino partecipava al santo sacrificio.

Quante difficoltà si dovettero superare! La Madre trovava il suo so-

stegno nel Fondatore. Il Fondatore, seguendo da vicino la condotta

280

della primogenita, si sentiva consolato per tutte le amarezze che gli

avvenimenti e gli uomini gli procuravano. Nella Cofondatrice egli

aveva la certezza della riuscita.

22. Proponimenti d'incerta data: prop. 2.

Inculca l'amore all'Istituto

L'istituzione del Padre doveva stare a cuore a tutte le figlie. La Madre

lo dice spesso: in pubblico, nei colloqui privati, nelle circolari, duran-

te gli esercizi. È uno dei temi preferiti e più frequentemente trattati.

Verso la fine di quasi tutte le circolari, le suore sono invitate a prega-

re per il Padre ed anche per la Madre. Se bramano rendere contenti i

Fondatori, siano «veramente tutte ripiene di amor di Dio», «esattis-

sime nell'osservanza della santa Regola», fedeli nella pratica della

fraterna dilezione."

Principalmente le superiore vengono esortate ad amare la Congrega-

zione. Esse ne sono «le colonne»; pertanto debbono tenerne «alta la

bandiera». Occorre «star bene attaccate al tronco dell'Istituto», edifi-

cando con l'esempio le suddite. Non basta «che l'albero produca tanti

rami e foglie e fiori», ci vogliono i «frutti»: ossia «buon esempio ci

vuole»."

I vincoli di carità che uniscono il Padre la Madre e le figlie s'intensi-

ficano nella vita fervorosa d'ogni giorno, nella preghiera costante, nel

pregustamento delle gioie che insieme godranno nel cielo, in seno a

Dio.

Carissime: il reverendo Padre ci vuole tutte in paradiso, vicine a lui;

anzi, quando tiene nelle sue mani Gesù Sacramentato per benedirci,

gli dice: Assicurami, caro Gesù, che io con le mie suore verremo tutti

in paradiso. Facciamo dunque tutto il possibile per recargli questa

consolazione grandissima, cioè di farci tutte sante e che nessuna

manchi in paradiso. Pregate tanto per lui, perché la Sacra Famiglia ce

lo conservi fino alla Più tarda età a bene nostro e dell'intero Istituto.

Pregate tanto anche per me, affinché possa farmi santa e adempire

esattamente i miei gravi doveri.

23. Circolare del 23 marzo 1916.

281

24. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, passim.

25. Circolare del IO gennaio 1916.

L'indefettibile collaborazione

Quella di tutti i giorni, di tutte le ore, per tutta la vita. L'amore di ma-

dre Maria Mantovani per l'Istituto crebbe con l'andar degli anni e di-

ventò sempre più perspicace. Il contatto quotidiano con le suore, la

formazione delle novizie cui tanto teneva, i problemi che suscitavano

le case filiali e le attività che vi si svolgevano, i rapporti tra l'Istituto

e le autorità civili e religiose occupavano costantemente la mente e il

cuore della Madre. Se le restavano del tempo e delle energie da dedi-

care alle altre iniziative del Padre, ciò sta a dimostrare la magnanimi-

tà della Confondatrice e la sua persuasione che quanto faceva il Fon-

datore era un bene comune: le opere del Padre attiravano le compia-

cenze di Dio sulla Congregazione.

Ma le suore e le attività dell'Istituto formavano la sua quotidiana sol-

lecitudine. Costituivano la sua gioia e il suo cruccio. La vita della sua

vita. Le suore e l'Istituto erano il tesoro che Dio e il Padre le avevano

affidato. Su questo dono vegliava con materna cura. Per esso la Ma-

dre lavorava, pregava, pativa, sotto lo sguardo della Sacra Famiglia e

della Vergine Immacolata.

Starò vigilante sopra me stessa, per non trascurare nessunissima cosa,

per Piccola che sia, che riguarda la Regola e il buon andamento dell

'Istituto.

Così proponeva nel febbraio 1910. Proprio in questa umile e costante

dedizione all' «opera del Padre» per eccellenza, la Confondatrice tro-

vava la sua consolazione ed era persuasa di camminare su la propria

via: quella che Dio le aveva tracciato da tutta l'eternità, che la rende-

va atta a procurargli tanta gloria, che un giorno avrebbe condotto lei

e le figlie in cielo, a gioire assieme col Fondatore.

26. Propositi, I, p. 13.

CAPO TERZO

PREMUROSA

282

La devozione di madre Maria per il Fondatore non si esaurì nella

stima e nella collaborazione esteriore. Il mondo ammira i titoli, ap-

prezza le opere vistose; i santi, anzi tutto, amano le persone che le

compiono.

La Mantovani amò il Servo di Dio con affetto filiale, profondo, disin-

teressato. Questa carità andò crescendo nel suo cuore man mano che

l'anima progrediva in grazia e in santità. Si tratta appunto d'un affetto

che aveva origine in Dio e che in Dio trovava alimento e portava

frutti di santificazione. Dio era il principio e il fine della dilezione

spirituale che univa tra loro il Padre e la Madre. Essi si vedevano nel-

la luce di Dio: in quella chiarità luminosa ove gli spiriti penetrano

sempre più a fondo e si arricchiscono reciprocamente alla Fonte stes-

sa della vita.

La Madre pregava fervorosamente per il Padre Fondatore. Se alle

suore lo ricordava spesso perché fosse venerato e obbedito, a Dio lo

raccomandava di continuo.

Benedite, caro Gesù, prima di tutti e Più di tutti Colui che diede la

vita a questo nostro Istituto, il nostro amatissimo Padre Fondatore.

Appagate tutti i suoi desideri, esaudite tutti i suoi voti. Conservatelo

ancora molti e molti anni a bene dell'intero Istituto e per la santifica-

zione delle nostre anime.

1. Preghiera composta dalla Confondatrice, che abbiamo rinvenuto

su un foglio da lettera.

Anni di trepidazioni e di speranze

L'affetto della figlia diventò più premuroso quando il Padre ammalò

irreparabilmente. La partecipazione alle gioie e alle pene di lui si fe-

ce più diretta e cordiale. Fino allora la Madre credeva di ricevere sol-

tanto (la grazia, le direttive, il sostegno); adesso le pareva di dare

qualcosa anche lei, e le sollecitudini della figlia prendevano sfumatu-

re materne.

Il primo attacco del male avvenne alla fine dell'anno 1916, quando il

Padre Fondatore fu colpito da paralisi. Sul momento si credette di

perderlo, poi l'ammalato si riebbe, ma non completamente. Da allora

le ricadute si alternarono alle riprese sino al gennaio del 1922, allor-

ché la robusta fibra dell'infermo cedette alla violenza del male. Per

283

cinque lunghi anni, lo stato di salute del Fondatore venne seguito af-

fettuosamente da tutta la Congregazione. Se il Padre «stava bene», le

suore erano sollevate; ma quando «peggiorava» od era assalito da

nuovi mali, tutte trepidavano. La Madre Generale era la prima a do-

lersene e a dare l'allarme. Dietro suo comando, si pregava fervoro-

samente in tutte le case dell'Istituto per la conservazione dell'amatis-

simo Padre. Con tale intenzione venivano fatte particolari suppliche

alla Sacra Famiglia, a Gesù Sacramentato e «alla cara Immacolata di

Lourdes»; e fin tanto che il Padre non «stava meglio», non si smette-

va di pregare.

Pregavano tutti: le suore, le orfanelle, gl'infermi e le giovani che le

suore assistevano e tutte le altre persone ch'erano affezionate al «ca-

rissimo Padre». La madre Mantovani dirigeva quella crociata di pre-

ghiere; voleva che si facesse «violenza al cielo», onde il Fondatore

fosse conservato in vita «sino alla più tarda età».

L'ammalato infatti aveva miglioramenti. Non solo riprendeva la cele-

brazione della messa, ma poteva attendere alla parrocchia e alla dire-

zione delle suore. Nel novembre del 1918 la Madre scriveva:

Mi è di sommo conforto dirvi che il nostro Padre sta tanto bene e la-

vora di gran lena e sempre a zac-tac per il nostro caro Istituto?

Ma nel dicembre del 1919 il Servo di Dio venne nuovamente assalito

dal male. La ricaduta fu grave. Tutta la Congregazione trepidò e pre-

gò. Pochi giorni dopo la Confondatrice assicurava le suore che ogni

pericolo era scomparso e il Padre andava riprendendosi. E continua-

va:

Possiamo dire anche questa volta, con sommo conforto e viva grati-

tudine, che la Sacra Famiglia ebbe pietà di noi, del nostro caro Istitu-

to, conservandovi la persona Più cara, il nostro veneratissimo Fonda-

tore. Siano continue le nostre preghiere alla Sacra Famiglia e alla no-

stra dolcissima Immacolata di Lourdes, perché il nostro reverendis-

simo Padre possa al Più presto lasciare il letto e ritornarsene alle sue

solite occupazioni. Ma per affrettare questa importantissima grazia,

uniamo alla preghiera l'esattissima osservanza della santa Regola e

l'adempimento diligentissimo dei santi voti?

Confortatrice

284

La ripresa del Padre fu lenta e precaria. Le febbri della «spagnola»

l'avevano indebolito assai; il cuore era irregolare, affaticata la parola.

Fu pure assalito da attacchi di diabete e ripetutamente da catarro

bronchiale. Si accentuò la debolezza degli arti che ormai non regge-

vano più. L'infermo passava la giornata in letto o seduto sulla carroz-

zella, e provava grande consolazione quando riusciva a celebrare nel-

la sua cappellina privata.

A confortare il Fondatore e a pregare con lui si avvicendavano le

suore e le orfanelle. Fin da quando era rimasto colpito

2. Circolare del 2 novembre 1918.

3. Circolare del 4 gennaio 1920.

per la prima volta, la Confondatrice aveva disposto che le superiore

delle filiali, in gruppi da lei stessa prestabiliti, venissero a visitare il

Padre. Poiché non poteva più recarsinelle case dell'Istituto, le supe-

riore convenivano a Castelletto per ossequiare il caro Infermo e per

confortarlo con la loro presenza e con la loro devozione filiale. Que-

ste visite, che furono chiamate «mazzetti», consolavano grandemente

il Padre; per mezzo delle superiore, egli manteneva i rapporti paterni

con le suore e con le case della Congregazione.

Due persone in particolar modo allietarono il Fondatore negli ultimi

anni, suor Pia Ruffo e madre Maria. La maestra delle novizie amma-

lò gravemente nel 1919 e nel luglio del 1921 precedette di sei mesi il

Padre nella tomba. Madre Maria gli rimase sempre accanto sino alla

morte, ad eccezione dei due mesi che passò in cura presso una clinica

di Bologna. Voleva che al Padre non mancasse nulla. Egli aveva fatto

tanti sacrifici

per l'Istituto, particolarmente nei primi tempi della fondazione, era

dunque doveroso provvedere quanto poteva sollevarlo nel corpo e

nello spirito.

Alla prostrazione fisica si aggiunsero pene interiori che appesantiro-

no l'animo del malato. Dio andava provando il suo servo, per purifi-

carlo e per accrescerne i meriti.

285

Sino al 1919 il Padre si confessava regolarmente, ogni otto giorni;

ma a partire dalla primavera del 1919 e per tutto l'anno 1920 riceveva

l'assoluzione più di frequente. «Oltre il mercoledì si confessava an-

che il sabato dal suo confessore, e parecchie altre volte fra la setti-

mana dal curato don Angelo Zamperini» ch'egli stesso aveva avviato

al sacerdozio. Oppresso nello spirito, il Padre «soffriva molto, molto,

e spesso usciva in forti esclamazioni: Mio Dio, aiutatemi; non ne

posso Più! Maria, Mamma mia, salvatemi! Sono un gran peccatore!

... »

4. Don Luigi Zanoni, arciprete di Brenzone e vicario foraneo.

5. Diario della malattia del Padre, p. 42.

6. Ivi, p. 7.

La Madre era profondamente addolorata. Le pene del Fondatore si

ripercuotevano nell'animo di lei, già impegnato a superare un forte

esaurimento cui l'aveva ridotta la «spagnola». Si faceva violenza, e

«spesso, spesso» andava al capezzale dell'infermo e «lo incoraggiava

a soffrire volentieri tali desolazioni di spirito, sull'esempio dei santi».

Sovente gli leggeva qualche tratto della Chantal, della vita di S. Al-

fonso Maria de Liguori, della Pratica di amare Gesù Cristo, ove si

parla «delle pene di spirito e delle desolazioni morali».

Il 12 gennaio del 1919 il caro Infermo era «oppresso e desolato più

del solito». «Con animo grande e pieno di vivissima fede» la Madre

esclamò: «Padre, si faccia coraggio. Oggi cominciamo una solenne

novena alla Vergine di Lourdes e la Vergine santissima l'aiuterà sen-

za fallo», Fece chiamare le suore addette all'assistenza del malato.

Vennero accese le candele davanti all'Immacolata, ed una candela

accesa teneva in mano ciascuna delle astanti; il Padre accompagnava

le preghiere «con gran fede e devozione». «Anche tutta la comunità e

tutte le care orfanelle cominciarono la novena», che fecero con gran-

de fervore «per ottenere al Padre lume, conforto, aiuto, sostegno in

tali desolazioni di spirito». Subito l'infermo cominciò a rasserenarsi,

e quattro giorni dopo il diario annota: «Oggi il Padre è molto solleva-

to. La Vergine Immacolata di Lourdes lo ha straordinariamente be-

nedetto e consolato». 7

286

Si avvicendarono altre tribolazioni e gioie nuove; poi le prove cessa-

rono. «Dall'aprile 1921 - scrive la cronista - il reverendissimo Padre

non prova più quelle pene di spirito, per le quali si sarebbe confessa-

to quattro o cinque volte al giorno. È molto tranquillo, anzi pacifico.

La Vergine santissima gli ha ottenuto tanta grazia!... Le tempeste e-

rano ormai lontane, sedati i marosi; mancavano pochi mesi al sereno

approdo.

7. Diario della malattia del Padre, pp. 7-10.

8. Ivi, p. 54.

Per due mesi lontana dal Padre

Quando il Servo di Dio seppe che la Confondatrice era andata a Mi-

lano da uno specialista per un accurato esame medico, si commosse

profondamente. In seguito non riusciva a rassegnarsi che la Madre

partisse per Bologna, ove i medici la mandavano in cura. «Con le la-

crime agli occhi disse: - Non voglio che rimanga lontana, voglio che

venga a casa. Moriremo magari, ma tutti e due, qui nell'Istituto»."

Poi si acquietò e la lasciò partire.

Le suore della Casa Madre erano vivamente «impressionate». Da che

il Padre era stato colpito da paralisi la prima volta, la Confondatrice

non s'era più allontanata da Castelletto; per le visite alle filiali pensa-

va l'assistente suor Fortunata Toniolo. Ora anche la Madre era infer-

ma e, per di più, lontana.

Pochi giorni dopo la sua partenza, il Padre ebbe un collasso. Il matti-

no del 25 agosto 1920 svenne e fu assalito da conati di vomito e da

affanno, che durarono per più di due ore. «Quale strazio! ... Tutti lo

piangevano morto. Tutto era pronto per l'estrema unzione, che però

non gli venne amministrata». Subito fu inviata una suora a Bologna

per prelevare la Madre Generale. Giunsero a Castelletto il giorno se-

guente. «La commozione provata dai reverendissimi Superiori nel ri-

vedersi fu indescrivibile, e il dolore delle suore inimmaginabile nel

vedere ambedue le colonne dell'Istituto così sofferenti e malate». Il

Padre lentamente migliorò, e i primi di settembre la Madre ripartì per

Bologna a riprendervi le cure.

287

In quei giorni di assenza il pensiero della Mantovani era a Castellet-

to, quello del Nascimbeni a Bologna. Il Padre voleva sapere come

stava la Madre; la Madre era desiderosa di avere notizie del Padre. Ci

fu un carteggio intenso, quasi quotidiano. La Confondatrice assicura-

va che stava meglio, che mangiava

9. Diario della malattia del Padre, p. 45.

10. Ivi, p. 46.

«con appetito», che di giorno in giorno si sentiva «più rinforzata»;

che pertanto il Padre non «pensasse male», che stesse tranquillo a ri-

guardo di lei perché a Bologna si trovava benissimo ed era sicura di

tornare a Castelletto «ristabilita del tutto».

A sua volta madre Maria riceve buone notizie. Da Castelletto le scri-

vono che il Padre sta rimettendosi; dopo il recente attacco non ha a-

vuto ricadute, anzi va migliorando di giorno in giorno. Ciò conforta

immensamente la figlia lontana, che ne ringrazia di gran cuore «la

Sacra Famiglia e la Vergine Immacolata di Lourdes». Si congratula

con l'infermo e lo assicura che prega sempre il Signore per lui, affin-

ché gli doni forza e salute. «Al Signore non mancano mezzi» dichia-

ra la scrittrice. «Egli può tutto. Le preghiere non vanno mai perdute».

Poi la figlia apre il suo animo e lascia uscire qualche scintilla della

purissima dilezione che l'unisce al Servo di Dio:

«Carissimo Padre, stia tranquillo. lo col mio spirito sto sempre vicino

al suo ... Bravo Padre, ha portato pazienza nel molto, la porti anche

nel poco, acciò possa ritornare perfettamente guarito. Lei mi ha volu-

to sempre bene e sempre ha cercato il mio bene ... »"

«Con sorpresa di tutti», il giorno 16 ottobre il Padre celebrò nella sua

camera e alle ore 11 antimeridiane impartì la benedizione eucaristica.

Era la prima volta che l'infermo celebrava, dopo l'attacco dell'agosto

scorso. Quando lo seppe la Confondatrice, ne provò grande consola-

zione e s'affrettò a inviare le congratulazioni."

Carissimo Padre,

la notizia ricevuta quest'oggi mi ha straordinariamente consolata. lo

non pensavo che così presto celebrasse la santa messa, e quel che è

288

più, dare la benedizione e stare alzato tutto il giorno. Questo è il

principio di

11. Dal carteggio di madre Maria al Padre Fondatore e a suor Fortu-

nata Toniolo,

scritto durante la sua degenza presso una clinica di Bologna.

12. Cartolina della Madre al Fondatore, timbrata a Bologna il 21 ot-

tobre 1920.

un miracolo. Coraggio, Padre, vedrà che la Madonna sa fame di bel-

le. Non vedo il momento di vederla. lo sto benissimo. Le mando un

milione di saluti. Mi benedica.

Sua aff.ma figlia

Madre Maria dell'Immacolata

Il venerdì, 29 ottobre, la Madre lasciava Bologna e nel pomeriggio

del sabato seguente giungeva in piroscafo a Castelletto. Al porto la

festeggiarono le suore e le orfanelle; il Padre, in carrozzella, l'attese

sotto il chiostro del convento. Quando la vide, scoppiò «in dirotto

pianto», «così la reverendissima Madre». Quell'esplosione improvvi-

sa, irresistibile, tradiva la emozione profonda delle due grandi anime.

Era il pianto del «Padre» e della «Primogenita».

La Madre si fece forza e incoraggiò il Fondatore, dicendo- gli: «Rin-

graziamo insieme la Sacra Famiglia per averci salvati ambedue»."

Gli ultimi giorni del Padre

Man mano che il Fondatore si avviava verso la fine, la Madre molti-

plicava le premure. Passava molte ore del giorno, e anche della notte,

accanto al venerato Infermo, per essere pronta a soccorrerlo e a con-

solarlo. Pregava con lui, pregava per lui. Quando i dolori gli conce-

devano un po' di sosta, a ricreazione dello spirito, gli leggeva qualche

pagina di opere ascetiche o della vita di santi.

Per il Padre madre Maria faceva pregare tutta la Congregazione.

Quante novene erano state fatte! Quante messe celebrate! Come si

era supplicata la «miracolosa Immacolata di Lourdes» per la guari-

gione del «carissimo Padre»! In verità

13. Diario giornaliero: 30 ottobre 1920, p. 57.

289

la Madonna, sollecitata da tante preghiere, lo salvò più volte dai ripe-

tuti attacchi del male.

Poi anche il Servo di Dio dovette soccombere; e tutte le figlie, con a

capo la Madre, dovettero «chinare il capo e ripetere, con lo strazio

nel cuore, il doloroso fiat!».

Furono convocate le superiore delle case che, a nome di tutte le suo-

re, vennero a rendere l'estremo saluto al venerato Fondatore. La Ma-

dre non si smarrì, non perse tempo. Mentre a Castelletto si prepara-

vano i funerali, tutto l'Istituto, per disposizione della Confondatrice,

si raccolse in preghiera per suffragare l'anima del caro Estinto."

A suffragio dell'Anima eletta

Nella dolorosissima e luttuosa circostanza, non potendo stringervi

tutte attorno alla cara e venerata Salma del nostro non mai abbastan-

za compianto Fondatore, stringiamoci nella Più fervida preghiera.

Perciò, per un mese intero, applicate per lui tutto il vostro bene spiri-

tuale, cioè: Via crucis, rosario intero, messe, sante comunioni, ecc.

Tutti i giorni, a colazione pranzo e cena, recitate un Miserere e un De

projùndis. Recitate inoltre tutti i giorni un notturno dei dejùnti, le li-

tanie dei santi, un Miserere, tre De profundis, la preghiera dei dejùnti

che si dice ogni domenica al cimitero, una terza parte del santo rosa-

rio separato dal solito rosario intero. Al ritorno delle superiore rice-

verete altri ordini.

Il nostro Padre che, nella pace e serenità, morì benedicendo tutte, vi

ottenga dal cielo la grazia, tanto da lui inculcata, della santa perseve-

ranza finale. Pregate sempre per me. Fate bene, e sarete il mio con-

forto e formerete una gloria maggiore al nostro caro Defunto,"

14. Circolare del 31 gennaio 1922.

15. Circolare del 23 gennaio 1922.

«Il ricordo del Padre»

Ora il Fondatore - la Confondatrice ne è certa - è in cielo. Il fatto è

motivo di conforto e stimolo a bene operare. Dal paradiso il Padre

290

veglierà su tutte le figlie, per tutte pregherà continuamente e le di-

fenderà. «Ora più che mai» continua la Madre «egli vede il nostro in-

terno, le nostre miserie; conosce se operiamo per puro amor di Dio,

del prossimo e dell'Istituto; se siamo schiette e sincere, come libri

aperti con i nostri superiori ... A lui non potete nascondere nulla ...

Dunque: grande umiltà, pronta e cieca obbedienza, vera sottomissio-

ne, e soprattutto grande semplicità, che era la caratteristica del nostro

reverendissimo Padre». Egli non deve essere chiamato «povero Pa-

dre», ma sempre e soltanto Padre, perché è scomparso soltanto mate-

rialmente. In cielo continua a vivere per le figlie e per l'Istituto; anzi

adesso più direttamente può impetrare grazie e favori dall'onnipoten-

te Iddio. «Egli

ci farà da maestro, da protettore, da provveditore».

La sua fisionomia ascetica e buona, il suo sguardo penetrante ed a-

mabile, il suo sorriso dolce e lieto e Più di tutto le sue parole di sa-

pienza e di amore, ci mostravano l'anima sua virtuosa, santa, perfetta,

piena d'immenso affetto per noi, che viveva solo per noi, che ci vole-

va tutte buone, tutte sante, tutte degne spose di Cristo.

Oh! quanto è caro, quanto è consolante, quanto è vantaggioso alle a-

nime nostre il ricordo del nostro carissimo Padre. Egli, è vero, non è

visibilmente fra noi, ma vi è col suo spirito, col suo amore, con la sua

protezione. Ce lo promise prima di partire, e ci dà quotidianamente

segni manifesti della sua protezione celeste. Il

La speranza cristiana che anima lo spirito della Confondatrice non

impedisce che la natura avverta l'assenza di colui,

16. Circolare del 31 gennaio 1922.

17. [MADRE MARIA], La voce del Padre, l (maggio 1922) pp. 1-2.

Vedere anche: ivi, 2 (gennaio 1923) pp. 1-2.

che per tanti anni era stato il maestro illuminato, il padre buono, il

modello generoso verso le vette della santità.

Quest'anno [1922] è assai doloroso fare i santi esercizi, e non sentire

Più la parola viva del nostro venerato Fondatore: i suoi consigli, i

dolci rimproveri, che per noi erano balsamo al cuore. Sono veramen-

te esercizi di lacrime e di dolore. Tutto ci parla di lui: il suo spirito di

291

preghiera, la sua viva fede, la sua vera umiltà, la sua prontezza all'o-

rario zac-tac, all 'ordine in ogni cosa,"

La traslazione della venerata Salma

Da pochi giorni la salma del Padre riposava nel cimitero comunale,

tra le figlie morte, che le vive già pensavano di riportarla presso di

sé, nelle adiacenze della Casa Madre. Scriveva infatti la Confondatri-

ce, a nove giorni dalla morte del Servo di Dio: «Pregate tanto per la

reverenda assistente, affinché a Roma riesca ad ottenere il permesso

di poter presto, prestissimo riportare nella dolce Casa Madre la sacra,

venerata e preziosa salma del nostro carissimo Padre Fondatore»."

Per più settimane suor Fortunata Toniolo rimase a Roma a sollecitare

le pratiche. Con la sua abituale intraprendenza, si spostava «da un uf-

ficio all'altro per avere il tanto sospirato permesso»." Finalmente il

31 maggio dello stesso anno venne firmato il regio decreto, che auto-

rizzava la traslazione della salma del Servo di Dio.

Madre Maria ne fu lietissima ed attribuiva l'avvenimento all'interces-

sione della Madonna, perché «non a tutti» diceva «è dato di avere in

così breve tempo tanta grazia»; e continuava: «Come saremo conten-

te quando possederemo nella nostra casa tanto tesoro! Oh! la grande

scuola che sarà

18 Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 44.

19 Circolare del 31 gennaio 1922.

20 Circolare del 21 febbraio 1922.

per noi la tomba del nostro amatissimo e veneratissimo Padre».

Furono pertanto convocati «alti personaggi e ingegneri» per il dise-

gno della tomba. Essa sarebbe sorta vicino alla Grotta di Lourdes,

ove anche i parrocchiani e tutti i devoti del Defunto potevano accede-

re con facilità. Ci vollero parecchi mesi, prima che l'artistico mauso-

leo fosse pronto ad ospitare le venerate spoglie. Fu ideato da mons.

Giuseppe Trecca, grande ammiratore e primo biografo del Servo di

Dio, poeta, letterato, artista, che lo descrive genialmente sul numero

unico." «Le figlie lo vollero proporzionato alla loro pietà, meno in-

degno del merito» del Padre. «Il sito, opportunamente scelto dalla

Madre, è uno dei più frequentati da lui; a destra della Grotta di Lour-

292

des, già arborato e rallegrato dagli uccellini, che inneggiavan alla sua

messa. Ora ai loro gorgheggi, sostituirà la sua voce»."

La Confondatrice aveva da tempo preannunciato che «il giorno del

trasporto» della Salma sarebbe stato «per l'Istituto giorno di grande

festa, un vero trionfo»; si sarebbero fatte «cose grandi, migliori anco-

ra dei funerali»." Vennero di nuovo chiamate le superiore di tutte le

filiali, e perché l'avvenimento recasse abbondanti frutti agli spiriti, la

Madre indisse per la circostanza un corso di esercizi. Su la tomba del

Padre le figlie dovevano deporre «concreti, ferrei, santi propositi» di

rinnovamento spirituale."

Le cerimonie della traslazione riuscirono solennemente. Assieme con

il vescovo di Verona mons. Girolamo Cardinale, parteciparono un

centinaio tra prelati e semplici sacerdoti, le autorità locali ed altre

personalità. Tutto il popolo di Castellet-

21. Circolare del 13 giugno 1922.

22. Ritorna. Nella traslazione del Padre: 24 ottobre 1923. [Castelletto

di Brenzone

(Verona), Tip. interna dell'Istituto, 1923], pp. 57-64. Il volumetto

commemorativo fu

curato dallo stesso mons. Trecca.

23. Ivi, pp. 57-58.

24. Circolare del 21 febbraio 1922.

25. Circolare del 2 ottobre 1923.

to era uscito nuovamente ad incontrare il suo Parroco e Benefattore.

Quarantasei anni prima, il 2 novembre 1877, era avvenuto il primo

incontro proprio nel camposanto comunale. Di lì il giovane sacerdote

Nascimbeni entrava solennemente in Castelletto, pieno d'entusiasmo

e di energie, che consumò per il bene spirituale e materiale dei par-

rocchiani. Ora egli tornava con le spoglie mortali in mezzo a loro, vi-

cino alle loro abitazioni, a proteggere, a benedire, a fare da mediatore

tra Dio e le loro anime, come aveva fatto sempre in vita per oltre 44

anni."

Presso la tomba del Padre

293

«Carissime» scriveva la Madre tre giorni dopo la traslazione, «ora

più che mai tutto ci parla del Padre»: della sua vivissima fede, della

sua continua e fervorosa preghiera, del suo ardente zelo, della sua

scrupolosa esattezza nel fare bene ogni cosa per amore del Signore.

Oh, sì!, il Padre amava con ardentissimo amore il Signore. Al Signo-

re egli indirizzava ogni suo pensiero e non perdeva un minuto di

tempo, ma tutto l'occupava nella preghiera e nel lavoro. Egli operava

come se Dio gli fosse stato sempre presente."

Dalla grandiosa tomba, dunque, il Fondatore continuava a proteggere

e ad ammaestrare. Le sue massime, i suoi insegnamenti, i suoi esem-

pi erano resi più validi dalla presenza della sua salma. Ivi venivano

tutti i giorni le orfanelle dell'Immacolata e di S. Giuseppe, a rendere

omaggio a colui che aveva provveduto per loro una casa, il pane, una

sana educazione. Ivi si prostravano le probande e le novizie, le quali

movevano i

2. La «festa" della traslazione viene descritta dettagliata mente dal

Trecca sul

numero unico, pp. 57-64.

"Circolare del 27 ottobre 1923.

primi passi sotto le insegne della Sacra Famiglia. Presso la tomba del

Fondatore si raccoglievano annualmente tutte le suore della Congre-

gazione, quando venivano a Castelletto per gli esercizi.

La Confondatrice andava tutti i giorni al mausoleo. Andava a pregare

per il Padre, andava a raccomandarsi al Padre. Non sempre poteva

prolungare l'incontro filiale, perché i doveri di superiora generale la

richiedevano altrove. Allora dal piazzale della Grotta, ove aveva os-

sequiato la Vergine, madre Maria faceva un profondo inchino voltata

verso la tomba. Dopo la cappella dell'Istituto, ove c'era Gesù «vivo e

vero»," i luoghi più cari al cuore della Confondatrice erano la Grotta

e il mausoleo. Ivi le pareva d'incontrarsi più direttamente con l'Im-

macolata di Lourdes e con il Padre.

A volte la Confondatrice sostava più a lungo. Dalla porticina laterale

entrava nel mausoleo. Si prostrava davanti alla tomba. Lì dentro c'era

ciò che di più prezioso era rimasto in terra del Fondatore: il corpo

294

ch'era stato il fedele collaboratore della grande anima. Quante volte

la figlia s'era inginocchiata davanti al Padre, per essere assolta, per

ricevere la benedizione! Quante grazie aveva ricevuto da quella de-

stra alzata verso di lei, quanto conforto e quale eccitamento al bene

dalle parole e dagli esempi paterni! Ora, prostrata davanti alle sue

spoglie, persuasa che dal cielo il Padre la vedeva, ella poteva aprire

la sua anima, tutta la sua anima di figlia affezionata, e dire a lui la

sua riconoscenza, senza soggezione e senza veli.

Poi riandava al passato. Rievocava gli anni della sua giovinezza,

quando collaborava con il novello parroco. Rammentava l'interessa-

mento di lui per avere in paese alcune suore a custodire i bimbi, a vi-

sitare i malati, ad educare la gioventù. Pensava ai primi tentativi falli-

ti, poi al sorgere inatteso del novello virgulto che, benedetto da Dio e

coltivato da mani

"Espressione molto usata dalla Mantovani.

esperte, divenne pianta rigogliosa. Ora tutto era chiaro; ma nei primi

tempi, quante incertezze, quali sacrifici!... La Madre ricordava tutto,

rievocando le date gioiose e le ore di angoscia vissute insieme col

Fondatore.

Nella sua sincera umiltà, la Mantovani si stupiva ancora che Dio a-

vesse scelto lei, proprio lei, a collaborare col Padre nella fondazione

e nel governo dell'Istituto. Se avesse assecondato il proprio sentimen-

to, quante volte avrebbe voluto rinunciare, scomparire tra le figlie,

nascondersi dietro all'ultima arrivata! Invece si trovava in testa, di-

stinta dalle altre, messa a capo della bianca falange che, insieme col

Padre, ella conduceva e consacrava alla Sacra Famiglia. Il sentimento

di confusione si fondeva con quello della gratitudine. Gratitudine a

Dio, alla Madonna, al Padre. E per ripagare, per quanto le era dato,

tutto il bene che aveva ricevuto, la Madre rinnovava il suo impegno

di fedeltà agl'insegnamenti del grande Maestro, ai voleri del Fondato-

re.

Si alzava. Usciva dal mausoleo. Tornava alle sue occupazioni con-

suete più raccolta e più decisa a donarsi tutta, giorno per giorno, per

le figlie e per l'Istituto del Padre.

295

PARTE SESTA

FIGLIA DELLA MADONNA

296

NEL SECOLO DELL'IMMACOLATA

L'8 dicembre 1854 il papa Pio IX proclamava verità di fede l'imma-

colato concepimento di Maria. L'11 febbraio 1858 la Vergine Maria

appariva, per la prima volta, a Bernardetta Soubirous, e il 25 marzo

dello stesso anno ella dichiarava alla fanciulla interrogante: «Io sono

l'Immacolata Concezione».

Il 12 novembre 1862, a Castelletto sul Garda nella provincia di Ve-

rona, nasceva Domenica Mantovani, la futura Confondatrice delle

Piccole Suore della Sacra Famiglia, che in convento prese il nome di

«madre Maria dell'Immacolata di Lourdes».

Da principio non si chiamò così. Il suo primo nome di religiosa fu

«Maria», per devozione alla Madonna; ad esso tenevano dietro, per

volere del Fondatore, i nomi comuni a tutte le Piccole Suore: Giu-

seppina, Bassa, Naviga. «Giuseppina» per onorare S. Giuseppe, prin-

cipale patrono dell'Istituto; «Bassa», sinonimo di umile, poiché la

Piccola Suora deve sentire bassamente di sé; «Naviga», ricordati cioè

297

che sei sulla terra di passaggio: cammina avanti, cammina sempre,

tenendo il cuore rivolto al cielo.

A partire dall'anno 1914, da quando venne inaugurata la Grotta di

Lourdes a Castelletto, la Confondatrice si firma anzi tutto: «madre

Maria dell'Immacolata di Lourdes»; e tale rimarrà la sua denomina-

zione allorché, per decisione della Congregazione dei Religiosi, verrà

lasciato il trinomio Giuseppina, Bassa, Naviga.

Il nome spiega la vocazione. La Mantovani era nata poco dopo i due

grandi avvenimenti mariani, che caratterizzano la seconda metà del

secolo scorso e tanto influsso hanno esercitato sul nostro. Dalla defi-

nizione dommatica dell'Immacolata Concezione ha avuto inizio il

grandioso movimento mariologico, per il quale la teologia mariana

ha conquistato posizioni nuove. Dalle apparizioni della Vergine a

Lourdes prende le mosse il grande secolo della pietà mariana. Studio

e preghiera, dottrina e vita: più che nei tempi passati, la Madonna è

presente ed operante nella Chiesa e nelle anime.

A dare al nostro secolo questa impronta «Mariale», oltre la Provvi-

denza che orienta in tal senso gli animi, hanno contribuito i romani

pontefici, promovendo ora lo studio, ora la pietà, ora l'una e l'altra

cosa a un tempo. I teologi hanno prestato una generosa collaborazio-

ne, dedicando talenti e cultura alla conoscenza del mistero di Maria.

Vengono poi i fedeli, massimamente le anime di elezione; accanto

alla pietà eucaristica, in ripresa ai nostri giorni, esse coltivano inten-

samente la devozione alla Madre di Dio, secondo il proprio tempe-

ramento e la personale vocazione nella Chiesa.

Ad esse appartiene madre Maria Mantovani. La sua denominazione

«dell'Immacolata di Lourdes» la colloca nel mondo religioso del suo

tempo e ne descrive la fisionomia spirituale, alla stessa maniera che

l'appellativo «della Trinità», scelto dalla novizia suor Elisabetta Ca-

tez, preannuncia la vocazione e caratterizza la spiritualità della cele-

bre carmelitana di Digione.'

1 Suor Elisabetta della Trinità (1880-1906), beatificata da Giovanni

Paolo II il25

novembre 1984, è molto nota anche in Italia e non ha perciò bisogno

di essere

presentata. Ricordiamo le tre principali pubblicazioni che hanno fatto

298

conoscere la

mistica carmelitana: Elisabetta della Trinità: Ricordi, ed. 7, Firenze,

Libreria Fiorentina,

1959, 190 X 125, pp. 311; Scritti spirituali di Elisabetta della Trinità,

presentati da M.-M.

Philipon O.P., Brescia, Morcelliana, 1950; 190 X 125, pp. 211; M.-

M. PHILIPON, O.P.,

La Dottrina spirituale di suor Elisabetta della Trinità, ed. 3, Brescia,

Morcelliana, 1945; 190

X 125, pp. 394. Recentemente: A. SICARI, Elisabetta della Trinità.

Un'esistenza teologica,

Roma, ed. O.C.D., 1984; 240 X 160, pp. 282.

CAPO PRIMO

VITA «MARIANA» NEL MONDO

L'amore alla Madonna lo riceviamo col battesimo. È soprannaturale,

perché ci viene infuso direttamente da Dio assieme alla grazia santi-

ficante. Ciascuno riceve una particolare inclinazione verso la Madre

del cielo. Ogni cristiano ha il «suo» volto mariano, che lo distingue

tra tutti i figli della Madonna.

Anche la Mantovani ebbe la «sua» fisionomia mariana, caratteristica,

inconfondibile; sulla scorta delle testimonianze, cercheremo di trat-

teggiarne i lineamenti.

Atteggiamento filiale

Appena la fanciulla raggiunse l'età della ragione, il seme battesimale

poté svilupparsi a bell'agio. I tempi erano propizi; altrettanto il luogo

ove la bambina cresceva. La definizione dommatica dell'Immacolata

Concezione e le apparizioni della Vergine a Lourdes avevano susci-

tato brividi d'entusiasmo e di commozione in tutta la Chiesa. Gli echi

dei due avvenimenti giunsero anche a Castelletto, ove le nuove prati-

che introdotte ad onore della Vergine Immacolata rendevano più sen-

tite quelle già esistenti.

In casa la pietà mariana della fanciulla era coltivata dal nonno e dalla

pia madre Prudenza. In chiesa trovava alimento nelle numerose feste

mariane, nella recita serale del rosario, nelle canzoncine popolari, nel

299

mese di maggio che fin d'allora la piccola Domenica santificava con

grande fervore.

Quando si iscrisse alla congregazione delle Figlie di Maria, poco do-

po la prima comunione, la Mantovani era molto devota della Madon-

na. Era già abituata a ricorrere spesso alla celeste Madre, a mortifi-

carsi in suo onore, a mettere i fiori davanti alle sue immagini, a salu-

tarla con filiale tenerezza. L'appartenere ora alle Figlie di Maria, il

portarne la bianca divisa nelle solennità, era un motivo di gioia ed un

impegno, quasi una consacrazione pubblica, che obbligava a vivere

santamente. A sua volta, vicino alla Vergine, l'adolescente provava

tanta consolazione, si sentiva al sicuro contro tutti i timori e i pericoli

dell'età. Perciò ricorreva spesso ai piedi di Maria, le apriva l'animo,

le narrava le ansie e i piccoli drammi del cuore che batteva prepoten-

temente. Così per molti anni, sino al sorgere della vocazione religio-

sa che moltiplicò i ricorsi alla celeste Avvocata, onde avere luce,

conforto, protezione. Anche al Servo di Dio don Nascimbeni la gio-

vane ricorreva nei dubbi e nelle tentazioni, ma con più soggezione e

pudore. Alla Madonna invece diceva tutto, con estrema facilità, con

il cuore di bambina, e bambina rimase sino alla morte.

A due persone dunque la giovane apriva il suo animo e manifestava i

suoi ideali e le sue lotte: al Padre spirituale e alla Madonna. Quando

a ventiquattro anni, l'8 dicembre del 1886, consacrò al Signore la sua

verginità, soltanto il Padre e la Madonna Immacolata erano presenti:

la Madonna per ricevere l'offerta e presentarla a Dio, il Padre per te-

stimoniarla.

Apostolato mariano

Uno dei primi apostolati che svolse la Mantovani in paese fu quello

mariano, e ne approfittarono le ragazze che venivano da lei per adde-

strarsi nei lavori di cucito e di ricamo. Prima di mettersi a lavorare, si

pregava la Madonna ch'era lì presente nella sua immagine, con i fiori

freschi davanti. Della Madonna trattavano spesso le pie letture che si

tenevano durante il lavoro; in suo onore venivano cantate delle can-

zoncine popolari, ripetute dalle ospiti anche per strada.

L'alba preannunciava il giorno. Per tutta la vita la Mantovani fu in-

tenta a portare le anime ai piedi di Maria. L'apostolato mariano s'in-

tensificò col crescere negli anni. Della Madonna la futura Confonda-

300

trice parlava spesso ai bambini durante le lezioni di catechismo o nel

pomeriggio del sabato, quando venivano in chiesa per la confessione.

Insegnava loro a fare i «fioretti», li conduceva davanti all'altare della

Vergine, perché imparassero a ricorrere a lei e per affidarli alla sua

materna assistenza. Massimamente le ragazze e le giovani venivano

esortate ad esser devote di Maria, a invocarla spesso, a mettersi sotto

la sua protezione. La santissima Eucaristia, la Madonna, la fuga dalle

cattive compagnie erano gli argomenti preferiti delle esortazioni che

la Mantovani faceva alla gioventù femminile di Castelletto.

Anche agli adulti la giovane parlava della Vergine. Ne parlava alle

mamme, invitandole a ricorrere alla Madre del cielo quando i figli

non davano retta alla madre della terra. Ne parlava ai malati che visi-

tava: ricorrendo alla Madonna, avrebbero trovato rassegnazione e

conforto.

I trent'anni che la Confondatrice delle Piccole Suore di Castelletto

trascorse in paese, prima di ritirarsi in convento, sono santificati dalla

presenza di Maria. Tanto la vita interiore che la multiforme attività

apostolica si svolsero nella luce della Vergine Immacolata, madre

sollecita e maestra di virtù.

Il mese di maggio

Lo zelo mariano della giovane si esplicava, con particolare fervore,

durante il mese di maggio. A scuola finita, radunava un gruppo di ra-

gazzette in una

Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, p. 23.

stanza della sua abitazione, ove le attendeva la Madonna, collocata

su un piccolo altare provvisorio. Si accendevano le candele, veniva

recitato il rosario cui tenevano dietro le litanie cantate; la Mantovani

leggeva un punto della meditazione e il «fioretto»; chiudeva la fun-

zioncina un canto alla Vergine. «E questo tutti i giorni».

Particolare importanza aveva la chiusura del mese mariano. Da un

punto prestabilito partiva la processione verso la chiesa parrocchiale.

Le ragazze, biancovestite, con candeline accese, accompagnavano la

piccola statua della Madonna, cantando le litanie e delle canzoncine.

All'arrivo in chiesa, il parroco impartiva la benedizione eucaristica;

301

poi si ricomponeva la processione, che riportava la Madonna al punto

di partenza.

La suggestiva pratica introdotta dalla Mantovani piacque assai e ven-

ne imitata. In diversi centri del paese si radunavano altri gruppi di ra-

gazze e veniva svolto l'identico programma, ch'era eseguito nella ca-

sa della Mantovani. L'ultimo giorno del mese, ad un'ora convenuta, si

snodavano le singole processioni. La devozione era alimentata da

«una santa gara». «Com'era bello attesta una delle partecipanti «ve-

dere in quel giorno le diverse processioni con la cara Immacolata

2. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, II, pp. 1-3.

CAPO SECONDO

APOSTOLA DI MARIA TRA LE FIGLIE

Lo zelo mariano della Mantovani ebbe modo di esplicarsi più inten-

samente dopo la sua entrata in convento. L'ascendente goduto in pae-

se facilitava questo prezioso apostolato. Ella infatti diceva sovente di

ricorrere alla Vergine, di affidare ogni cosa alla cara Immacolata ... E

le persone che venivano per sfogarsi o per chiedere consiglio, ricor-

revano davvero alla Vergine santa e restavano confortate.

«Ella è nostra Madre»

Nell'Istituto, principalmente la Confondatrice trovava il terreno adat-

to al suo apostolato mariano. Fin dal loro ingresso in convento, le

probande, le novizie, le suore erano state affidate alla Vergine; e alla

Madonna venivano raccomandate di continuo dalla Madre Generale.

Era pertanto naturale che la Madre approfittasse degli avvenimenti e

delle solennità mariane, per ricondurre le figlie ai piedi della celeste

Protettrice. Non era questo il modo migliore per provvedere al loro

bene, per ottenere loro la fedeltà all'ideale, per renderne efficace la

missione nella Chiesa?

Preghiamo tanto la Vergine santa per la perseveranza nella vocazio-

ne, per la conversione dei poveri peccatori, per la pace. Uniamo alla

preghiera l'esatta osservanza della Regola, qualche Piccola mortifica-

zione, la prontezza e la diligenza in tutte le nostre azioni. Conquiste-

remo così il suo Cuore tenerissimo, e Più facilmente saremo esaudite.

302

Per la conversione dei peccatori le Piccole Suore elevavano ferventi

preghiere, in particolar modo durante il mese di agosto, consacrato al

Cuore Immacolato di Maria. Con le loro suppliche, con la vita santa

e mortificata, esse facevano violenza al cielo e inducevano la celeste

Avvocata ad aver pietà dei poveri traviati. «Tutte ne avrete» diceva

madre Maria, «o nelle vostre famiglie, o nei vostri paesi. Preghiamo,

preghiamo la Vergine santa per i nostri peccatori, per tutti i peccato-

ri». Grandi vantaggi avrebbero conseguito le suore se, ricorrendo

all'intercessione di Maria, avessero ottenuto il ravvedimento di qual-

che peccatore ostinato. Con la sua, esse assicuravano la propria sal-

vezza.

Per l'onore della gloriosa Regina, le Piccole Suore non facevano mai

troppo. «Ella è nostra Madre» dichiarava la Cofondatrice, «e quali

predilette figlie dobbiamo onorarla con ogni specie di ossequi».

Il mese di maggio nell'Istituto

Gli ossequi a Maria erano moltiplicati durante il mese di maggio.

Ogni anno, con la letizia dei fiori e l'incanto della primavera inoltra-

ta, tornava il più bel mese, vivamente atteso perché portava i cuori

più vicino alla Madonna. La Madre esortava per tempo le figlie a

passarlo «con straordinario fervore». Essendo il maggio un «mese di

grazie e di favori immensi da parte della Madre celeste», bisognava

santificarlo «con l'essere esattissime nelle piccole cose, fervorose

nelle

1. Circolare del 31 luglio 1915.

2. MADRE MARIA, La voce del Padre, I (luglio 1922) p. 4.

3. Ivi, giugno 1922, p. 4.

preghiere, molto dolci, molto umili, molto obbedienti, molto mortifi-

cate»." Nel mese di Maria le suore dovevano combattere valorosa-

mente, dando «colpi mortali al maledetto amor proprio».

Schiacciata la testa a questo, è vinto tutto. In questo mese, prendetelo

di mira con volontà risoluta, col «voglio» dei santi, e vi assicuro che

la nostra cara mamma Maria vi otterrà da Gesù tanta grazia e forza

per essere vittoriose. Questo è il Più bel fioretto, l'ossequio più gradi-

to che offrirete alla Madonna, e vi renderete a lei tanto più care?

303

Il mese di ottobre

Identico fervore mariano era richiesto per la devozione del mese di

ottobre, largamente diffusa dal papa Leone XIII negli ultimi decenni

del secolo scorso. Nell'Istituto delle Piccole Suore della Sacra Fami-

glia non veniva recitato l'ufficio divino o quello della B. Vergine. In

compenso le suore dicevano tutti i giorni il rosario intero, distribuen-

done opportunamente le tre parti. Durante il mese di ottobre, per de-

vozione alla Madonna del rosario, ne aggiungevano una quarta.

Ricordando i desideri del Padre Fondatore, la Confondatrice esortava

le suore a recitar bene quelle duecento Ave Maria, «con la mente

concentrata», «con spirito di fede», «implorando l'aiuto della Vergi-

ne, onde riuscire a imitare i suoi esempi e quelli di Gesù». E conti-

nuava:

Amiamo il rosario, poiché in esso troviamo in compendio tutta la sto-

ria della redenzione. È vero che siamo miserabili creature, meno del

niente, ma quanto costiamo a Gesù e a Maria! Quanto essi fecero per

rimetterci in grazia con Dio, per arricchirci di meriti ed appianarci la

via del cielo! Tutto questo ci presentano chiaramente esposto, come

in un quadro, i misteri del rosario. Quindi, nel recitarlo, stringiamoci

con

4. Circolare del 24 aprile 1917.

5. Circolare del 13 aprile 1929.

filiale fiducia alla nostra tenerissima Madre e preghiamola d'inse-

gnarci la fedeltà a Gesù, per seguirlo con costanza sia nella gioia che

nel dolore e dare a lui compiacimento e gloria in ogni nostra azione"

Maria Bambina

Sotto l'altare della cappella di Casa Madre, dall'urna illuminata sorri-

de Maria Bambina. Di sopra, sullo sfondo della chiesuola spicca il

gruppo della Sacra Famiglia, che il Padre celeste guarda compiacen-

te. Nel mezzo dell'altare si eleva il tabernacolo, ove l'Ospite Divino è

gelosamente custodito, di frequente consultato, amato sempre.

La Vergine in fasce invita al candore, alla semplicità, alla confiden-

za, ch'erano le virtù predilette dalla Confondatrice. Ella aveva una

particolare inclinazione per la Madonna Bambina. La invocava spes-

so, cercava di riprodurne le virtù, ne inculcava la devozione e l'imita-

304

zione. Trascriviamo un prezioso testo, che con singolare efficacia ri-

vela la fisionomia mariana della Mantovani.

Nel mese di settembre ricorre la cara festa della natività di Maria; e

come la sua venuta rallegrò e rischiarò tutta la terra, così la sua ricor-

renza conforterà ed illuminerà la povera anima nostra. Rallegriamoci

dunque ed uniamoci allo slancio della Chiesa nell'invocare e salutare

la celeste Pargoletta, proclamando la tutta pura, tutta bella, la gloria

di Gerusalemme, la letizia d'Israele e l'onore del popolo nostro.

Prepariamoci a ricevere le grazie della nostra liberalissima Regina,

con imitarne le sue belle virtù, specialmente la semplicità, l'umiltà e

la carità, che dovrebbero pur essere le virtù caratteristiche del nostro

Istituto ...

Oh! quanti benefici e favori ricevono in questi giorni tutti i devoti di

Maria Bambina! Forse ne avremo fatto anche noi la dolce esperienza;

e

6. [MADRE MARIA), La voce del Padre, l (settembre 1922) pp. 3-4.

7. In un lavoro di base, com'è il nostro gli «scritti» del personaggio

sono da

preferirsi alle testimonianze e ai commenti.

siccome abbiamo sempre bisogno di nuove grazie, così sempre dob-

biamo ricorrere a Colei che è il canale d'ogni grazia, la stella del mat-

tino, la porta del cielo e la causa della nostra allegrezza. Con le per-

sone di questa terra possiamo giustamente temere di essere importu-

ne con le nostre replicate istanze; ma rivolgendoci a Maria, esclu-

diamo affatto ogni timore, anzi andiamo a lei con il cuore dilatato da

filiale confidenza e da certa fiducia.

Allora troveremo la nostra buona Madre con le braccia aperte per ac-

coglierci, sempre disposta ad ascoltarci e ad esaudirci. È sì grande il

desiderio che ha Maria di beneficarci, che ella si tiene offesa, non so-

lo da chi pecca, ma anche da chi non la chiama in aiuto e da chi mai

le domanda grazie. Ecco quanto è grande la bontà e la tenerezza del

suo Cuore. Come dalle mani dei bambini si può facilmente avere o-

gni cosa, così noi dobbiamo strappare dalle manine della celeste In-

fante molte grazie, non solo per noi, ma ancora in favore di tutti quel-

li che amiamo.

305

La Madonna Addolorata

Il mese di settembre celebra pure la Madonna dei Dolori. Maria

Bambina ha portato la gioia al mondo, perché da lei nacque il Reden-

tore. Proprio in quanto madre del Redentore e dei redenti, la Madon-

na ha sofferto inenarrabili pene. La nostra vita soprannaturale è sboc-

ciata sul Calvario, quando la Corredentrice assisteva alla morte del

Figlio.

La devozione alla Madre dei Dolori crebbe nel cuore della Mantova-

ni con l'entrata in convento di suor Pia Ruffo. Costei, fin da bambina,

fu molto devota dell'Addolorata. Compassionando la Vergine ai piedi

della croce, la Ruffo apprese il grande valore della sofferenza espia-

trice. Le denominazioni «dell'Addolorata» e «dell'Immacolata», date

dal Padre Fondatore alla maestra delle novizie e alla

8. (MADRE MARIA), La voce del Padre, l (agosto 1922) p. 4.

9. Di suor Pia Ruffo e della sua devozione all'Addolorata abbiamo

parlato

precedentemente, pp. 130-134.

prima suora, ne esprimevano l'insigne spiritualità mariana. Due nomi,

due vocazioni, due tesori, che, messi insieme, moltiplicarono la ric-

chezza di ciascuna. Suor Pia, accanto alla Confondatrice, divenne più

devota dell'Immacolata; la Mantovani, dell'Addolorata.

Per lo zelo di madre Maria, la devozione alla Vergine Addolorata

della compianta maestra di noviziato, veniva alimentata in tutta la

Congregazione. La Madre infatti esortava le suore a compatire «con

filiale tenerezza» gli acerbi dolori della Madonna; «tanto più» diceva

«che anche noi abbiamo contribuito ad aumentarle gli affanni e ad

accrescer-

ne le pene ogni volta che abbiamo offeso Gesù». La compassione e la

riconoscenza alla «pietosissima Corredentrice», «alla Regina dei

martiri, che con tanta generosità prese parte a tutte le pene di Gesù e

con tanto amore ci accettò per suoi figli ai piedi della croce, arrecano

immensi vantaggi spirituali. Compiaciuta per la tenerezza delle fi-

glie, la Madre celeste otterrà loro da Dio un sincero dolore dei pecca-

306

ti, un amore ardente per Gesù, una viva brama di patire per rendere in

qualche modo amore per amore, e finalmente una santa morte.

Una santa vita, una santa morte: ecco, in compendio, i frutti della de-

vozione a Maria. Tali furono appunto la vita e la morte di suor Pia

Ruffo. Poco dopo il pio transito di costei, suor Borromea Coltro ven-

ne a Castelletto. Madre Maria la condusse nella stanza ove la maestra

delle novizie era spirata. «Sai» disse «che suor Pia ha proprio visto la

Madonna?». Nel dire questo «era raggiante di gioia»; e aggiunse:

«Anche noi, in cielo, la vedremo la Madonna!»

10. (MADRE MARIA), La voce del Padre, 1 (agosto 1922) p. 4.

11. Testimonianza di suor Borromea Coltro.

Per Mariam ad Jesum

La devozione alla Madonna porta alla conoscenza e all'amore del

Salvatore. Per mezzo di lei, Gesù è giunto a noi; per mezzo di lei, noi

arriviamo a Gesù. Le anime illuminate sanno per personale esperien-

za che la via regale della Madonna, la «via della Madre», è la più

breve, la più sicura, la più facile per andare a Dio.

Madre Maria Mantovani viveva il suo grande amore alla Madonna in

rapporto al Salvatore e alla santità. Andava spesso dalla Madre per

essere portata al Figlio, per essere meno indegna del Figlio.

Anche il mese di Maria era vissuto in questa prospettiva cristologica.

Maggio preparava giugno; e se tanto facevano le suore per ossequia-

re la celeste Regina nel mese a lei consacrato, quanto più dovevano

onorare il Divin Cuore, «tutto amore per noi», principalmente nel sa-

cramento dell'altare."

I due grandi doni di Dio, la Madonna e l'Eucaristia, attiravano il cuo-

re della Confondatrice, riempivano la sua giornata, costituivano la

sua ricchezza. Anche le figlie dovevano ricorrere a questo inesauribi-

le tesoro. Per mezzo di Maria, esse trovavano Gesù che, nel taberna-

colo, si presenta come centro di attrazione e quale modello di tutte le

virtù religiose. All'inizio dell'anno 1915, la Madre scriveva presen-

tando il nuovo «calendario»:

307

Abbiamo chiuso l'anno ai Piedi dell'Immacolata di Lourdes; e qui, in

questa cara Grotta," del tutto simile a quella di Massabielle, abbiamo

deposti i cuori nostri e vostri, perché la Mamma nostra celeste li cu-

stodisca puri ed immacolati nel tempo e per l'eternità. Ora, con santo

fervore ed entusiasmo, incominciamo il 1915, dandoci con Maria

Immacolata, interamente e totalmente, a Gesù vivo e vero nella

12. Circolare del 21 maggio 1915.

13. La Mantovani parla della Grotta di Lourdes, eretta presso la Casa

Madre, ch'era stata inaugurata da poco, il 13 dicembre 1914.

santissima Eucaristia. La nostra vita si consumi nella preghiera, nel

lavoro, nel sacrificio, sempre alimentata dal Pane celeste che forma i

santi ed i martiri. Apprendiamo continuamente dal tabernacolo l'amo-

re e la pratica dell'obbedienza, della povertà, della castità; impariamo

dal santissimo Sacramento l'amore e la pratica dell'umiltà, della cari-

tà, della pazienza, della mansuetudine, della rassegnazione, della for-

tezza,

d'ogni Più bella virtù.

Noi religiose dobbiamo trovare la nostra delizia, il nostro paradiso,

nel sacramento dell'altare, perché è qui che Gesù ha esaurito l'im-

mensità del suo amore.

L'augurio sincero, ardente, che vi porgo nel presentarvi il calendario

del 1915, è questo: che vi consumiate nell'amore a Gesù sacramenta-

to, che in questo sacro fuoco accendiate tutti, specialmente la tenera

gioventù e l'umanità sofferente; che Maria Immacolata, la perfetta

adoratrice dell'Eucaristia, insegni a voi e a noi ad amare sempre Più

Gesù, non a parole ma con i fatti: facendo cioè tutto per dargli gusto,

osservando esattamente la Regola, specialmente nelle cose piccole, e

vivendo giorno per giorno come se fosse l'ultimo di nostra vita,"

14. Ordine dei quotidiani esercizi che si fanno tanto in Casa Madre

quanto in tutte le case filiali

dalle Piccole Suore della Sacra Famiglia per l'anno corrente 1915,

pp. 3-4.

308

CAPO TERZO

L'IMMACOLATA

Allorché il servo di Dio don Nascimbeni entrò in Castelletto, la de-

vozione alla Vergine Immacolata era già in atto da tempo. Vi fu in-

trodotta, con giovanile entusiasmo, dalla congregazione delle Figlie

di Maria: di essa l'Immacolata è patrona, modello e ispiratrice. L'8

dicembre era atteso come una delle date più festose. E quando le gio-

vani del paese, quasi tutte iscritte alle Figlie di Maria, si radunavano

in chiesa avvolte nella divisa bianca e azzurra, e pregavano e canta-

vano, correva nell'aria un'ondata di candore e di primavera, anche

quando la natura spoglia stava entrando decisamente nel rigore

dell'inverno.

Per il bene di tutti i parrocchiani, ma soprattutto a protezione e scuola

della gioventù femminile, il Nascimbeni dette incremento alla devo-

zione della Madonna Immacolata. Nel primo anno della sua elezione

a parroco, fece acquisto del quadro: «l'anno dopo, 1886, ordinò la

statua dell'Immacolata allo scultore Dal Maggio, tanto pio, che da

quando il legno assumeva la figura da rappresentare, lavorava a capo

scoperto; dalla maestra d'Engazzà fece approntare abito e manto fe-

stivo e feriale: e poi comperò un cuore d'argento, entro cui poneva i

nomi di tutte le figlie».

1. GIUSEPPE TRECCA, Mons. Giuseppe Nascimbeni, p. 84.

La Mantovani e l'Immacolata

Il primo ad esser posto nel cuore d'argento, fu il nome di Domenica

Mantovani. Anzi, il giorno stesso in cui venne inaugurata la statua,

1'8 dicembre 1886, la giovane emise ai suoi piedi il voto di verginità

assistita dal parroco confessore. E da allora sino verso la fine del

gennaio 1934, cioè quasi per cinquant'anni, la Mantovani si raccolse

spesso ai piedi della dolce statua.

L'Immacolata divenne la «sua» Madonna. A lei la giovane affidava

tutta se stessa: la vita, la vocazione, i bimbi e la gioventù del paese, e

anzi tutto le Figlie di Maria. Divenuta suora, mise nelle mani

309

dell'Immacolata le consorelle, l'Istituto, le opere dell'Istituto. E man

mano che aumentavano le figlie e le filiali, crescevano pure i ricorsi

alla celeste Protettrice. Questi divennero ancor più frequenti da

quando la statua dell'Immacolata passò, dalla chiesa, nello studio del-

la Madre Generale. Ignoriamo la data del fatto e per qual privilegio

madre Maria ottenesse un tanto dono. È certo che l'avvenimento inci-

se profondamente nella vita mariana della Cofondatrice.

Filiale ricorso

La Regina Immacolata adesso era lì e guardava per molte ore della

giornata la figlia, la quale ricorreva a lei con illimitata confidenza e

candore.

Ricorreva per raccomandare se stessa, anzi tutto. Le narrava le pene,

esponeva i bisogni, chiedeva d'essere illuminata per assolvere bene i

doveri di Superiora Generale. Raccomandava le

2. «Prometto di pregare sempre con fervore e con una fede sempre

Più viva e grandissima

confidenza nella Vergine Immacolata»: 21 giugno 1917 (Propositi, I,

p. 58). «La fiducia della

Madre nella Vergine era illimitata. Nelle sue pene, nei suoi bisogni,

ricorreva sicura

alla Madonna e insegnava a fare altrettanto»: Testimonianza di suor

Borromea Coltro.

suddite, insistentemente, con cuore di figlia e di madre. Non erano

anche loro figlie della Madonna? La Madonna era dunque tenuta a

prenderle sotto la sua protezione.

Quando «aveva qualche persona cara, che la Madonna Immacolata

doveva proteggere e tener stretta sotto il suo manto», madre Maria

«ne scriveva il nome sopra un pezzo di carta, che appendeva al vesti-

to bianco della statua», sovente all'altezza del cuore. «Madonna»

supplicava, «la raccomando a Te. Sàlvala, per pietà!», E il nome re-

stava appeso, fino a che non era ottenuta la grazia.

Alla Vergine Immacolata la Mantovani raccomandava le opere del

Fondatore, la parrocchia e la gioventù del paese. Scriveva al Padre

nel marzo del 1915:

310

Carissimo Padre: Da un po' di tempo sento l'ispirazione di pregare la

veneranda nostra Vergine Immacolata, perché ci suggerisca un mez-

zo per ottenere in parrocchia, specialmente dalla gioventù, un perfet-

to silenzio e rispetto nella casa di Dio. Che la Madonna ci faccia que-

sta grazia?

Tutto e tutti la Cofondatrice affidava all'Immacolata: il Padre Fonda-

tore, le figlie, l'Istituto, la parrocchia di Castelletto... Accanto alla

Mediatrice universale, a sua volta, la Mantovani diventava mediatri-

ce di grazie. In tal modo giovava alla Casa Madre, al paese, all'intero

Istituto, più che con la scienza e le risorse umane.

«lo ce l'ho la compagnia»

Sotto lo sguardo dell'Immacolata la Mantovani si trovava bene. La

lunga consuetudine e l'esperienza mille volte fatta sulla sollecita bon-

tà della sua Avvocata avevano dilatato il

3. Suor AGNESE BRIGHENTI, Piccolo promemoria, I, pp. 37-38.

4. Propositi, I, p. 44.

cuore della figlia, che spesso si perdeva in quello della Madre. Ac-

canto alla statua della Madonna le ore passavano liete, il colloquio

interiore si faceva più intenso e riposante. La Madonna introduceva

la Cofondatrice nei segreti dell'orazione infusa, ove l'anima s'incontra

direttamente con Dio.

Le suore che vissero accanto alla madre Mantovani attestano la sua

filiale tenerezza per la Vergine Immacolata.

La vedevano spesso prostrata davanti alla statua che teneva nello

studio, «come un angelo in preghiera»; «contemplava la sua bella

Madonna»," «era sempre assorta con la sua Madonnina». Recitava

sovente il rosario; e se qualche suora sopraggiungeva, «ora finisco

questo» diceva mostrando la corona, «poi ti ascolto»." «Parlava sem-

pre con la Madonna.

Ai suoi piedi preparava i piani, metteva a posto le cose, governava la

Congregazione»."

La suora assistente delle orfanelle, più volte al giorno, veniva dalla

Madre per parlare delle bambine. Quando bussava e non le veniva

risposto, apriva pian piano per vedere se la Madre c'era... Non di rado

311

la trovava immobile, profondamente raccolta, con le mani giunte e

gli occhi fissi sul volto dell'Immacolata.

Se i doveri non l'avessero richiesta altrove, la Cofondatrice non si sa-

rebbe staccata mai dalla «sua» Madonna, tanto era dolce e santifican-

te lo stare con lei. E allorché una suora, vedendola sempre sola nello

studio, la invitava ad andare nella sala comune, la Madre rispose: «lo

ce l'ho la compagnia», e additò la statua dell'Immacolata.

5. Testimonianza di suor Radegonda Tengattini, entrata nel 1910.

6. Testimonianza di suor Teresa Biasiolo.

7. Testimonianza di suor Eletta Marini, entrata nel 1902.

8. Testimonianza di suor Pasqua Faccioli, entrata nel 1907.

9. Testimonianza di suor Alessia Feller.

10. Testimonianza di suor Adina Petroselli.

11. Testimonianza di suor Amedea Dal Zotto.

«La Madonna ti aspettava»

Una sera la Confondatrice si trovava nel suo studio. All'improvviso

entrò una suora, sgomenta, dicendo: «Madre, non sa che suor N. N.

non si trova più? L'hanno vista correre per i campi come una dispera-

ta». Madre Maria, «calma», guardò la Madonna, poi rispose «con tut-

ta tranquillità»: «Va', stai tranquilla: la Madonna ci penserà a farla

tornare. Non sai che la Madonna è la mamma delle suore birichine?».

Passati pochi minuti, la fuggitiva entrò, si gettò in ginocchio davanti

alla Superiora, scoppiando in dirotto pianto. «Madre» supplicò, «mi

perdoni: il diavolo m'istigava a scappare, ma non lo farò più». «La

Madre buona», sorridendo, disse: «Lo sapevo che saresti tornata,

perché la Madonna ti aspettava»."

Mater virginum

Una cosa, sopra tutte, stava a cuore alla Madre Confondatrice: la pu-

rezza delle sue figliuole. Quand'era in mezzo al mondo, direttrice

delle Figlie di Maria, le esortava a frequentare i sacramenti e a porre

il delicato fiore sotto la protezione della Vergine. In convento, ove

Dio le mandava tante giovani illibate, la Mantovani intensificò il suo

apostolato liliale. Sotto il manto dell'Immacolata ella stessa s'era ri-

312

fugiata più volte durante le tempeste, che conobbe tanto nel secolo

che da religiosa. All'Immacolata, di continuo, affidava la purezza

delle figlie. Purché non venissero meno nel glorioso combattimento,

la Madre era disposta a tutto, e intanto pregava e si mortificava.

Con l'aiuto della Sacra Famiglia, prometto di fare ogni giorno 15

12. Testimonianza di suor Gerarda Melloni.

croci per terra, ad onore dei 15 misteri del rosario, perché Maria san-

tissima non permetta mai a nessuna suora del nostro Istituto che of-

fenda anche minimamente la bella virtù. A questo fine aggiungo che,

sentendomi sete, aspetterò un poco a bere,"

Alla scuola di Maria Immacolata, la Confondatrice allevò generazio-

ni e generazioni di vergini, prudenti come serpenti, semplici come

colombe. La loro umile riservatezza e il loro candore, più delle paro-

le, hanno suscitato in moltissimi cuori il fascino delle vette inconta-

minate.

13. Propositi, I, p. 34.

CAPO QUARTO

LA B. VERGINE DI LOURDES

Nel primo decennio del secolo ricorsero due date memorabili per la

storia mariana dei nostri tempi. Alludiamo alle feste cinquantenarie

della definizione dommatica dell'Immacolata (1904) e a quelle delle

apparizioni di Maria a Lourdes (1908).

A Castelletto sul Garda le due ricorrenze furono celebrate con grande

solennità e fervore. Il parroco don Nascimbeni, per devozione alla

Madonna e per il bene spirituale dei parrocchiani, si adoprò con stra-

ordinario zelo per la buona riuscita delle celebrazioni. Nel dare com-

pimento alle molteplici iniziative venne aiutato, come sempre, dalle

sue figlie spirituali. Con a capo la Confondatrice, le suore contribui-

rono a preparare le feste e presero parte a tutte le funzioni, edificando

il paese con la loro pietà mariana.

313

Le celebrazioni cinquantenarie dell'Immacolata si svolsero dal 29

agosto al 12 settembre del 1904; quelle lourdiane ebbero luogo dal

13 al 18 agosto del 1908. Lo svolgimento delle feste religiose e le

manifestazioni folcloristiche e ricreative sono descritte dettagliata-

mente nel programma che il parroco fece stampare, ad utilità dei par-

tecipanti e «a perpetua memoria dei posteri».

Alte personalità ecclesiastiche, chiamate per la circostanza, resero

più solenni le principali funzioni. I corsi di predicazione

1. Feste cinquantenarie della dogmatica definizione di M aria Vergi-

ne Immacolata in

Castelletto di Brenzone sul Garda dal 29 agosto al 12 settembre

1904, Verona, G. Marchiori,

1904; pp. 8. Il programma e la cronaca dei festeggiamenti del 1908

sono presentati sul

Nazareth, nei numeri di agosto e settembre di quell'anno.

generale, le conferenze agli stati particolari, le molte messe, le co-

munioni generali, le ore di adorazione con il Santissimo esposto e le

ore di preghiera davanti alla Madonna, le processioni lungo le vie del

paese con le statue dei patroni ... tutto convergeva al fine principale

che il Servo di Dio aveva già segnalato: «Purificate le vostre anime

dalle macchie delle colpe, riconciliandovi nel sacramento della peni-

tenza; accostatevi poi a pascervi delle carni immacolate dell'Agnello

Divino nella santa comunione, e godrete così di partecipare a questa

comune letizia della Cattolica Chiesa».

Il convito sociale cui presero parte i capifamiglia e i giovani del pae-

se, le musiche della banda, le luminarie serali, le regate sul lago e i

fuochi artificiali contribuirono potentemente a rendere più piena la

«comune letizia». In quei giorni, sotto gli auspici della Madonna

Immacolata, gli abitanti di Castelletto e dei loro paesi limitrofi si sen-

tirono più vicini a Dio e più affratellati tra loro.

A conclusione dei festeggiamenti tanto del 1904 che del 1908, no-

leggiato un piroscafo, il Servo di Dio condusse i

parrocchiani ai piedi della Madonna del Frassino in Peschiera. Il de-

voto pellegrinaggio doveva ricordare, anche per il futuro, gli impegni

presi con la gloriosa Regina. Ma il dono più prezioso, offerto all'Im-

macolata come candidi «gigli, olezzanti di celestiale fragranza», era-

314

no le giovani che avevano vestito, proprio in quei giorni festosi, la

divisa delle Piccole Suore della Sacra Famiglia.

La Grotta

Le feste cinquantenarie lourdiane propagarono, in Castelletto, la de-

vozione alla Bianca Signora dei Pirenei. Tutti gli anni, il 15 di ago-

sto, veniva solennemente commemorata la

1. Feste cinquantenarie, p. l.

2. Memorie del nostro Istituto, c. 10, p. 18.

B. Vergine di Lourdes. In felice sintesi, il Servo di Dio congiungeva

la festività dell' Assunta a quella dell'Immacolata. I due misteri, che

segnano l'alba e il tramonto della giornata terrena della Madre di Dio,

si richiamano a vicenda completandosi. Perché immacolata nel suo

concepimento, la Madonna non soggiacque alla corruzione sepolcra-

le, ma venne assunta in cielo con l'anima e col corpo glorificato.

A rendere più sentita la devozione alla Vergine di Lourdes e per

scongiurare i pericoli della guerra, mons. Nascimbeni pensò di erige-

re la Grotta, tra la chiesa parrocchiale e il convento. I parrocchiani e

le suore, i figli e le figlie, che da più di vent'anni eran uniti assieme

nel cuore del Servo di Dio, assieme si sarebbero ritrovati ai piedi

dell'Immacolata.

Quando fu posta la prima pietra, i tempi erano calamitosi. Da poche

settimane l'Austria aveva mosso guerra contro la Serbia, e tutta l'Eu-

ropa stava per essere trascinata nell'immane sciagura. Il papa S. Pio

X, dopo aver inutilmente scongiurato il flagello, moriva affranto il 20

agosto del 1914. Pochi giorni prima Castelletto fu colpito da un tre-

mendo nubifragio, con tempesta e folgori. Sembrava il diluvio: di-

strutti i raccolti, campi devastati, affogato gran parte del bestiame, le

abitazioni danneggiate dall'acqua che alterò vino, olio e altri prodotti

alimentari. Fortunatamente non si lamentarono vittime umane. «Nes-

suno può immaginare il terrore, la costernazione, lo spavento di que-

sta popolazione che non ebbe mai a vedere una simile catastrofe».

Sette giorni dopo il disastro, il 23 dello stesso mese, mons. Giuseppe

Nascimbeni benediceva la prima pietra della Grotta. Dopo le notizie

315

storiche del momento, menzionate le autorità religiose e civili, la

pergamena di rito prosegue:

... viva e presente la Superiora Generale di questo Pio Istituto della

Sacra Famiglia, presenti tutte le suore residenti qui a Casa Madre ... a

perpetua memoria della solenne cerimonia compiuta in questo mo-

mento a gloria della

4 Nazareth, 9 (agosto 1914) p. 7.

B. Vergine di Lourdes, per la quale si sta erigendo una grotta identica

alla grotta di Lourdes, quale monumento dimostrante l'intenso alletto

che le Piccole Suore della Sacra Famiglia, con a capo il loro venera-

tssimo Padre Superiore mons. Nascimbeni, sentono verso la Vergine

Immacolata.

In questa pergamena e sotto questa prima pietra poniamo i nostri

cuori, unitamente ai cuori di tutte le nostre suore, presenti e future ...

Sia l'Istituto nostro come roccia incrollabile; sii Tu, o Vergine Imma-

colati, la nostra Protettrice, sempre, ma specialmente in questi tempi

calamitosi, e fa che tutto il nostro Istituto e tutta questa parrocchia ne

esca incolume.'

L'inaugurazione

I lavori furono eseguiti alacremente. In tre mesi la Grotta era presso-

ché ultimata e pronta per l'inaugurazione. Questa venne fissata per il

13 dicembre dello stesso anno, seconda domenica del mese. Il Naza-

reth dedicò all'avvenimento un numero unico," sul quale il Trecca

descrive il luogo, la Grotta e la statua della Vergine.

Il p. Benedetto, minore, con fedeltà di copista, con sentimenti d'arti-

sta, con amore di figlio, preparò l'ambiente: una grotta magnifica-

mente imitata sorge a nove metri d'altezza a fianco della chiesa, tra

un boschetto e il convento delle suore: è un monticello sul pendio del

monte, che tra il bianco dei muri, il verde del bosco, e la varietà dei

fiori, dà l'impressione rude d'una roccia scoscesa e brulla, conchiglia

che meglio faccia spiccare sull'antro buio, la perla racchiusa. E la

perla è Maria. Bianca statua di marmo, pregiata opera dello scultore

Marzotto di Vicenza. Ella s'affaccia alla nicchia soavemente rivolta

al cielo, e ai suoi piedi si stende l'altare nel Cui parapetto

un ben inteso bassorilievo ne esprime i trionfi.

316

L'inaugurazione fu preceduta da un triduo solenne, durante il quale le

suore e i fedeli sostarono a lungo davanti al Santissimo esposto. Alla

comunione generale del mattino tenne dietro il solenne pontificale

del Servo di Dio, dopo il

5. Nazareth, 9 (settembre 1914) pp. 7-8.

6. All'Immacolata di Lourdes nella sua nuova Grotta a Castelletto sul

Garda riprodotta

magnificamente dalla vera Grotta di Lourdes (13 dicembre 1914).

Numero unico; pp. 8.

[GIUSEPPE TRECCA], Lourdes a Castelletto, ivi, p. l.

quale, suore e popolo andarono processionalmente sul piazzale della

Grotta. Quando venne scoperta la statua, «fu un momento di commo-

zione indescrivibile... parve di essere avvolti in un nembo di luce pa-

radisiaca e di subire tutta la potenza del fascino arcano che rapì Ber-

nardetta nella realtà della visione».

Nel primo pomeriggio ripresero il suono festoso delle campane, le

preghiere e i canti. Dal campanile, lungo i viali e attorno alla Grotta

sventolavano bandiere e pendevano lampioncini alla veneziana; un

potente fascio di luce avvolgeva, con insistente tenerezza, la bianca

statua della Madonna. I canti delle ragazze e delle suore scandivano

la processione «aux flambeaux». Si aveva l'impressione d'essere a

Lourdes: la voce sommessa del Garda sembrava ripetesse quella del

Gave. «Era uno spettacolo nuovo, meraviglioso, incantevole, che fa-

ceva dimenticare la terra e ci inebriava delle più pure e sante gioie

celesti».

Passò la festa. Rimase la dolce figura dell'Immacolata, seminascosta

nel cavo della roccia, invitante, accogliente. Di là ella continua a

guardare, a sorridere, a benedire. «Guarda, sorride, benedice a questi

monti che coronano il lago, a questo paesello incantevole, alla nostra

Casa Madre di cui sarà la vigile scolta, la potente Protettrice». Il suo

sguardo, «pieno di amore», va oltre Castelletto ed abbraccia tutte le

317

case filiali: «le fonde e le stringe in un solo spirito, e le protegge co-

me Madre e Regina».

Pellegrinaggi e grazie

La costruzione della Grotta aumenta il prestigio del paese e segna

una svolta nella spiritualità mariana dell'Istituto. D'ora

8. Nazareth, 10 (gennaio 1915) p. 2.

9. Ivi, p. 3.

10. ivi.

in poi la testata del Nazareth, assieme alla Sacra Famiglia, riproduce

la Vergine Immacolata di Lourdes. Gli abbonati e i lettori sono invi-

tati a venire a Castelletto, ai piedi della Bianca Signora che accorda

le grazie ai suoi devoti, come sulla riva del Gave.

La gente del paese e della riviera accorre. «La cara Vergine Immaco-

lata non è mai sola» afferma il Nazareth, poco dopo l'inaugurazione;

«dalla mattina alla sera ci sono persone a visitarla, a pregarla, ad o-

norarla, anche forestieri; basta celebrare una santa messa alla Grotta

o fare altre funzioni, perché il piazzale sia gremito di gente»."

Cominciano i pellegrinaggi. Da Desenzano, da Padenghe, da Torri

del Benàco, in piroscafo e per terra, vengono i primi. Li accompa-

gnano i rispettivi parroci che celebrano e comunicano presso la Grot-

ta, ove l'attesa dei pellegrini è pienamente appagata. Qui la Madonna

pare più vicina che altrove, il luogo è delizioso, ospitali le suore. I

venuti passano la voce ed aumentano il concorso dei devoti visitatori.

Pertanto il Nazareth rende note, mensilmente, le numerose grazie at-

tribuite all'intercessione della Bianca Signora. Molti aderiscono alla

confraternita dell'Immacolata di Lourdes, che mons. Nascimbeni

fondava subito dopo l'inaugurazione della Grotta, ottenendo l'aggre-

gazione all'arciconfraternita primaria di Lourdes con diploma del 10

gennaio 1915.

I quindici quadri del rosario a destra della Grotta, a sinistra le stazio-

ni della «Via crucis» con l'edicola dell'Addolo-rata che tiene sulle gi-

nocchia il Cristo morto, l'organo e le campane tubolari per l'Ave Ma-

ria tre volte al giorno, rendon ancor più devota la cittadella della Ma-

donna; mentre la scala santa in marmo carrarese, benedetta dal Servo

318

di Dio nella Pentecoste del 1915 ed arricchita da Benedetto XV di

«particolarissime e specialissime indulgenze», 13 accresce i frutti

spirituali dei pii pellegrini.

11. Nazareth, 10 (aprile 1915) p. 2.

12. Il Nazareth. del gennaio 1915, pp. 7-8, pubblica lo statuto della

confraternita.

13. Nazareth, 10 (luglio 1915) p. 1.

La devozione delle figlie ...

Ad approfittare della presenza di Maria Immacolata con maggior i-

stanza sono le suore. La Bianca Regina è a pochi passi, ospite deside-

ratissima del loro giardino. Più volte al giorno esse vengono ai suoi

piedi, da sole o collegialmente. In determinati periodi dell'anno, co-

me nel mese di maggio e di ottobre, permettendolo la stagione, molte

pratiche di pietà sono fatte sul piazzale, davanti alla Grotta illumina-

ta. Fino dagli inizi della vita religiosa, le probande e le novizie si abi-

tuano ad intrattenersi spesso a colloquio con l'Immacolata di Lour-

des, e ciò imprime un particolare orientamento alla loro vita spiritua-

le.

Tutti gli anni, quando verranno a Castelletto per gli esercizi, le Picco-

le Suore si prostreranno davanti alla Bianca Signora della loro giovi-

nezza, che le aiutò potentemente a vincere se stesse, a superare tenta-

zioni e scoraggiamenti.

.... e della Madre

Nell'onorare la Madonna di Lourdes, la Cofondatrice dava l'esempio.

Nessuna, al par di lei, aveva incoraggiato l'iniziativa del Fondatore,

onde avere presso la Casa Madre l'ambito tesoro. «Come la vidi feli-

ce» attesta una suora, «quando iniziarono i lavori per la costruzione

della Grotta! Ne godeva con la semplicità d'una bambina, e credo che

il giorno dell'inaugurazione sia stato per lei un giorno di paradiso»."

La Grotta divenne, per madre Maria, un centro d'attrazione, un luogo

di sosta e di ripresa spirituale. Vi andava spesso, più volte al giorno.

La visita alla Madonna di Lourdes era una delle prime, dopo le prati-

319

che del mattino. Per abbellire il caro santuario di luci e di candelabri

preziosi, la Mantovani non

14. Testimonianza di suor Borromea Co1tro.

badò a spese e sollecitò la collaborazione delle case filiali. «Voleva

che nulla mancasse» nella Grotta, ove «teneva i fiori freschi a tutte le

stagioni»." Rammentando le sue felici esperienze, ripeteva alle suore:

«Vedete quella Madonna? Guardatela e andate spesso a trovarla»."

Ella stessa conduceva le orfanelle. Prive della mamma terrena, le

piccine avevano diritto, più d'ogni altro, alla protezione della Madre

del cielo. Esse andavano alla Grotta a pregare per quanti facevan loro

del bene. Da molte parti giungevano offerte per tridui e novene alla

Madonna di Lourdes, cui le orfanelle soddisfacevano recitando rosari

e

cantando le litanie lauretane. Ai piedi dell'Immacolata, la carità mate-

riale dei benefattori era contraccambiata, tutti i giorni, dalla carità

spirituale delle innocenti.

La Confondatrice dette nuovo impulso al culto della Beata Vergine

della Grotta, quando tornò da Lourdes." Il soggiorno nella città

dell'Immacolata la entusiasmò. In particolare ella rimase colpita dalla

processione e dai canti serali, che hanno luogo sulle rampe e nella

piazza del santuario. Di ritorno a Castelletto, volle introdurre la sug-

gestiva manifestazione; e tutte le sere, orfanelle, novizie e suore, mo-

vendo in devota processione sul piazzale della Grotta, cantavano la

bontà e le glorie dell'Immacolata.

Un'aureola d'oro e di perle

Una delle circostanze, che indussero a sollecitare l'erezione della

Grotta di Lourdes, fu la guerra. Con quest'atto di omaggio alla Ma-

donna si voleva scongiurare per l'Italia la fatale sciagura, o per lo

meno s'intendeva ottenere, nella

15. Testimonianza di suor Eletta Marini.

16. Testimonianza di suor Damiana Mondin, entrata nel 1906.

17. La Mantovani andò due volte a Lourdes, nel giugno del 1914 e

nell'agosto del 1931.

320

tremenda congiuntura, la protezione della Vergine sulle persone che

le verrebbero raccomandate.

Quante preghiere, in verità, furono fatte durante gli anni spaventosi

del conflitto, e quante grazie ottenute! Pregavano le suore, per l'Isti-

tuto, per i propri parenti, per il mondo; pregavano le orfanelle, pro-

strandosi, più volte al giorno, ai piedi della Regina della pace. Da

ogni parte venivano richieste preghiere per i congiunti che combatte-

vano al fronte.

Passato l'uragano, cessati i giorni delle trepidazioni e delle tribola-

zioni, nel comune tripudio della pace riconquistata, era doveroso

rendere omaggio a Colei che, nei giorni tristi, era stata la stella della

speranza, la consolatrice dei tribolati. «Noi abbiamo una prova tangi-

bile» scriveva la Madre Confondatrice, «che chi si affida interamente

a Maria e pone in essa tutta la sua fiducia, può star sicuro di essere

difeso e salvato ... Quante madri, quante spose, quante figlie, nel cor-

so di questi anni, fecero ricorso alla nostra taumaturga Signora con

novene, con sante messe e preghiere, e furono esaudite; ebbero, cioè,

la grazia di veder tornare sani e salvi i loro cari ... Che cosa offriremo

per tante grazie?»:"

"Fu decisa l'incoronazione della Madonna di Lourdes, sul cui capo

verrebbe posta un'aureola tutta d'oro, riccamente adorna di perle pre-

ziose, portanti la scritta: lo sono l'Immacolata Concezione. Si volle

inoltre provvedere una splendida illuminazione del santuario per le

festività più solenni dell'anno.

Per far fronte alle spese, la Madre sollecitò la collaborazione delle

suore e dei loro parenti, il Servo di Dio si rivolse con lettera circolare

ai parrocchiani," insigni benefattori concorsero con offerte cospicue.

La domenica del 18 luglio 1920 i comuni voti furono adempiuti. Una

solenne novena aveva preceduto la festa del ringraziamento alla Re-

gina della pace. Le suore s'eran preparate con un corso di esercizi e

con particolari funzioni serali,

18. Circolare del 22 febbraio 1919,

19. La lettera del Servo di Dio è pubblicata sul Nazareth, 14 (marzo

1919) p, 4,

321

ma per tutta la novena il convento e i luoghi adiacenti al santuario

rimasero imbandierati e illuminati. Gli ultimi tre giorni furono dedi-

cati all'adorazione eucaristica.

Trascriviamo una parte della cronaca di queste celebrazioni, stesa per

il Nazareth. Fu scritta da un sacerdote di Castelletto, rimasto lontano

dal paese per sei anni a servire la patria. Più volte in guerra egli uscì

illeso da gravi pericoli, invocando la B. Vergine di Lourdes.

Tutto il popolo di Castelletto era invitato ad accorrere in pellegrinag-

gio al santuario, per commemorare l'ultima apparizione della Vergine

a Bernardetta," ed a questo devoto pellegrinaggio dovevano parteci-

pare in ispirito i 125 paesi dove sorgono le case filiali del pio Istituto

della Sacra Famiglia. Una festa di cuori adunque, riuniti in bell'ar-

monia ai piedi della Grotta dell'Immacolata.

E il popolo, accorso numeroso fin dalle prime ore del mattino, per

accostarsi devotamente alla mensa eucaristica, fissando i suoi sguardi

su la Bianca Signora, la vedeva più bella e più radiosa.

Portava infatti la Vergine intorno al capo una preziosa aureola d'oro

finissimo, ricca di molti brillanti, con la scritta: lo sono l'Immacolata

Concezione; mentre ai suoi piedi sorgeva un magnifico candelabro di

bronzo, a tre braccia, sorreggente tre lampade destinate ad ardere pe-

rennemente dinanzi alla Taumaturga di Lourdes per eternare, nella

triplice fiamma, il suffragio ai caduti nella terribile guerra, la ricono-

scenza dei reduci, la gioia di tutti i cuori per il ritorno della pace.

Tanto l'aureola quanto il candelabro, inaugurati in quella circostanza,

dicevano eloquentemente la generosità di numerosi offerenti, e rap-

presentavano lo scioglimento di un voto fatto da tante anime buone

durante l'ansia della guerra: voto che le impegnava ad attestare, un

giorno, la loro gratitudine alla Vergine, regina della vittoria e della

pace, se ella avesse protetti i loro cari nel pericolo e li avesse infine

restituiti incolumi alle loro case."

20. L'anniversario dell'ultima apparizione (16 luglio) cadeva in ve-

nerdì e in quel giorno venne incoronata la statua della Grotta, ma i

festeggiamenti solenni furono rimandati alla domenica successiva.

322

21. ROTILIO BERTAZZOLl, Dinanzi al Santuario di Lourdes, in

Nazareth, 15 (luglio 1920) p.4.

L'11 febbraio a Castelletto

Da quando fu eretta la Grotta alla B. Vergine di Lourdes, il mese di

febbraio acquistò particolare importanza nel calendario delle Piccole

Suore di Castelletto. Fin dalle origini dell'Istituto, gennaio era dedi-

cato alla Sacra Famiglia, marzo a S. Giuseppe: febbraio rimaneva

scoperto, poi ebbe pur esso il titolare, che fu appunto la B. Vergine di

Lourdes.

Questo mese era ardentemente atteso. Con i desideri ed i propositi, le

suore anticipavano gl'incontri che avrebbero avuto con la Bianca Si-

gnora della Grotta. «Noi andremo a gara in amarla ed onorarla, e lei

sempre tanto benigna e prodiga non mancherà di farci provare la sua

potenza e la sua tenerezza materna»."

Con straordinario fervore veniva celebrato l'11 febbraio, che ricorda

la prima apparizione della Vergine alla «fortunata Bernardetta». Era

preceduto da novena, durante la quale il popolo di Castelletto, le suo-

re e le orfanelle si davano convegno sul piazzale della Grotta. Più ore

del giorno erano consacrate alla preghiera davanti al Santissimo e-

sposto e davanti alla statua della Vergine Immacolata, poi avevano

luogo le funzioni serali, sempre suggestive e devote.

Nel giorno della festività la Grotta non veniva abbandonata. Messe,

comunioni, canti, preghiere, processioni... su piazzale e nei viali cir-

costanti era un comune palpitar di cuori e di ceri. Le suore trovavano

la loro «gioia» e «felicità», nel passare la giornata davanti a quella

candida Immagine, in quella Grotta benedetta ove pare che Maria

dall'alto sorrida nel vedersi onorata e ossequiata dai suoi cari figli»."

Prima di congedarsi dalla Bianca Signora, suore e popolo I

rinnovavano la loro consacrazione e il loro impegno filiale.

22. Nazareth, 14 (gennaio 1919) p. 3.

23. Ivi, febbraio 1919, p. 3.

Fede e pietà

323

Quando venne, posta l'aureola alla miracolosa Immacolata della

Grotta, il 18 luglio 1920, l'Istituto stava attraversando tempi tristis-

simi. La salute della Cofondatrice era fortemente scossa; ammalata

era pure l'assistente suor Fortunata, mentre la maestra delle novizie,

suor Pia Ruffo, non lasciava il letto da un anno. Parecchie suore, al-

cune delle quali inguaribili, erano affette da tifo e da altre malattie

infettive. Le privazioni e gli strapazzi della guerra avevano compro-

messo gli organismi più delicati.

Soprattutto il Padre Fondatore teneva in pensiero la Congregazione.

Ormai non riusciva a riprendere l'antico vigore, e di giorno in giorno

cedeva al male irreparabile. A conclusione degli esercizi che si ten-

nero nel giugno dello stesso anno, il diario della casa annota: «Il Pa-

dre ha benedetto le suore all'arrivo e alla partenza, ha dato loro da

baciare l'anello,ma non ha potuto, nemmeno questa volta, fare la let-

tura durante gli esercizi. Nessuno può descrivere la commozione del-

le suore nel vedere il Fondatore così impotente"

Seduto sulla carrozzella, egli passava lunghe ore davanti alla Grotta,

assorto in preghiera e in contemplazione. A quando a quando veni-

vano le orfanelle, le più piccine, che con lui recitavano ad alta voce il

santo rosario. Accanto alle innocenti, lo spirito del Padre si sentiva

rinvigorire, anche se le forze venivano meno sempre più. Alla Ma-

donna Immacolata egli affidava l'Istituto, le figlie, le orfanelle, la

parrocchia. In quanto a sé, come bambino fiducioso vicino alla Ma-

dre della buona morte, giorno dopo giorno, si disponeva al grande

passo.

Quando la Confondatrice si affacciava sul piazzale e vedeva il Padre

attorniato dalle bimbe, provava una forte emozione. Quell'innocenza

all'alba della vita e quella veneran-

24. Diario giornaliero dell'Istituto: 28 giugno 1920, p. 49.

da canizie ormai al tramonto, congiunte in preghiere davanti alla

Madre e Regina dell'Istituto, facevano fremere il suo grande cuore di

madre e di figlia. Quello che non riusciva a fare lei per le piccine e

per il Padre paralizzato, l'avrebbe compiuto la «cara e miracolosa

Immacolata di Lourdes». Perciò costantemente la pregava, e voleva

324

che la pregassero le suore, le orfanelle e tutta la Congregazione. Ella

stessa da tempo aveva promesso:

Procurerò di ossequiare la santissima Vergine Immacolata di Lourdes

il più possibile. Non trascurerò mai di recitare nei giorni festivi l'uffi-

cio della B. Vergine. Ogni giorno farò il mio Piccolo pellegrinaggio

al suo santuario, recitando i cinque salmi del suo santissimo Nome.

Mi addormenterò con la corona del rosario, attorcigliata al braccio,"

La Vergine Immacolata di Lourdes è sempre più presente nel pensie-

ro e nella vita della Confondatrice. A partire dal dicembre 1914, da

quando cioè fu costruita la Grotta, madre Maria parla di continuo

della Immacolata di Lourdes, della celeste Avvocata, della taumatur-

ga Protettrice. Per tutti gli eventi che toccano l'Istituto, per qualsiasi

necessità di rilievo, la Madre invita le suore a ricorrere alla «nostra

cara Immacolata di Lourdes», a far violenza al suo cuore materno, a

strapparle la grazia. Quando poi il dono è ottenuto, scrive ancora alle

figlie, congratulandosi, quasi voglia significare: «Ve lo dicevo che la

nostra Madonna ci avrebbe esaudite»; e come prima di conseguire la

grazia indiceva tridui e novene alla «tenerissima Madre», così ora in-

vita le suore ad esprimerle la dovuta riconoscenza.

Quando venne a mancare il Fondatore, la Confondatrice si strinse

maggiormente alla Madonna. La sua unione con Maria divenne, di

giorno in giorno, più cordiale, più continua e santificante. L'Immaco-

lata collocata nello studio, la B. Vergi-

" Proponimenti degli esercizi di ottobre 1917: prop. 6 (Propositi, II,

p. 6).

ne della Grotta, assieme con il Tabernacolo e la tomba del Padre,

formavano il quadrilatero su cui posava e prendeva forza la condotta

santa di madre Maria.

Così ella visse ancora, per altri dodici anni. E parve che la Madre del

cielo volesse degnamente coronare la vita intensamente «mariana»

della figlia affezionata. La giornata terrena della Confondatrice delle

Piccole Suore della Sacra Famiglia si chiuse la sera del 2 febbraio

1934.

325

In quello stesso giorno la Chiesa celebrava la Presentazione di Gesù

al tempio e la Purificazione di Maria, e a Castelletto aveva inizio la

novena in preparazione alla festa della B. Vergine di Lourdes.

326

PARTE SETTIMA

MADRE

327

«VOI SIETE LA VITA DELL'ANIMA MIA»

Con la semplicità e l'umiltà, le «testimonianze» celebrano la carità

materna di madre Maria Mantovani. Vi insistono con spontaneità e

soddisfazione, ricordano parole ed episodi, quasi rigustando le squi-

sitezze di quella bontà inesauribile.

Appena una giovane varcava la soglia del convento con l'intenzione

di farsi suora, entrava subito nelle benevolenze della Confondatrice.

La Madre s'interessava di lei, e quando la carità lo suggeriva, anche

dei parenti di lei; la seguiva, probanda, novizia, suora, a Castelletto e

nelle case filiali. Si preoccupava della salute, studiava le inclinazioni

della figliuola, l'aiutava a correggersi, ad acquistare le virtù religiose;

voleva che fosse contenta per essersi data al Signore ed era felice

quando la suora era felice, triste e in pensiero se la vedeva angustiata:

«era come una mamma».

Quando occorreva, la Mantovani sapeva alzar la voce, voleva che «le

obbedienze fossero fatte come venivano ordinate»; e se una novizia o

una professa di voti temporanei non voleva sottomettersi ed era ribel-

le ai ripetuti richiami, la Madre, certo con rincrescimento, la licen-

ziava. La fortezza, nella Superiora Generale, ci voleva: per sostenere

i temperamenti deboli, per piegare i forti. Nondimeno, la tenerezza

prevaleva sulla severità, e con la tenerezza andavano di pari passo la

sollecitudine e la comprensione.

L'apertura dell'orfanotrofio per bambine presso la Casa Madre appor-

tò un nuovo arricchimento alla bontà materna della Confondatrice.

Le piccine, assieme alle suore malate, avevano la precedenza nel suo

grande cuore. La Madre, però, amava tutte le figlie. Per tutte aveva le

parole buone e i tratti materni. Anche i richiami e i comandi li faceva

con quella spontanea dolcezza, con quel senso di correttezza, che u-

sano le madri con i figli.

«Voi siete la vita dell'anima mia»,' scriveva la Confondatrice quando

venne a mancare il Padre. Per le suore, per l'intera Congregazione, si

era prodigata per trent'anni. Ne passerà altri dodici, servendo e gui-

328

dando le figlie secondo lo spirito del Fondatore. Continuerà a lavora-

re, a pregare, a soffrire per esse sino alla morte. Soprattutto le amerà,

fortemente e soavemente, come una madre.

I [MADRE MARIA], La voce del Padre, l (maggio 1922) p. l.

CAPO PRIMO

LE ORFANELLE

Per tutta la vita la Mantovani portò un grande amore all'infanzia. La

sua innata semplicità, l'innocenza custodita sino alla morte, la mis-

sione cui Dio l'aveva chiamata, perfezionarono questa particolare in-

clinazione per i piccoli. Quand'era ragazzetta, Domenica faceva da

mamma alla sorellina Maria e al fratello Andrea. Più tardi cominciò

ad ospitare in casa bambine e adolescenti, per iniziarle ai segreti del

cucito e del ricamo. Poi la chiassosa clientela crebbe. Bastava che la

Meneghina si facesse vedere in paese, che i bimbi l'attorniavano con

simpatia. Per tutto il tempo che trascorse nel mondo madre Maria

visse tra gl'innocenti. Ai bambini teneva lezioni di catechismo, inse-

gnava a pregare e a ricevere con frutto i sacramenti, li ricreava con

quelle allegre festicciuole, che contribuiscono grandemente ad affe-

zionare i piccoli cuori.

Nei primi anni della vita religiosa, la Mantovani continuò a fare per

la parrocchia quanto aveva fatto nel passato. In seguito aumentarono

le suore, le case e le preoccupazioni: la Confondatrice dovette ridurre

le attività che svolgeva in paese. A molte cose pertanto rinunciò,

seppure con rincrescimento, ma non volle togliersi la soddisfazione

di lavorare in mezzo ai bambini. Quando poi vennero accolte le pri-

me orfanelle presso la Casa Madre, l'apostolato della Confondatrice a

favore dell'infanzia ebbe un orientamento decisivo.

Seguiva le piccole ospiti da vicino. Voleva sapere come stessero di

salute, s'informava sulla condotta e il profitto. Spesso andava in mez-

zo a loro: per esortarle al bene, per Correggerle amabilmente quando

sbagliavano, e perché la sua presenza riempisse il vuoto lasciato dalle

mamme e dai papà scomparsi. Quando le bambine la circondavano a

ricreazione o le facevano festa con canti e recite, la Madre si sentiva

al suo posto, quasi bimba felice in mezzo ad altre bimbe, innocente

329

tra innocenti, e consentiva e batteva le mani come loro, con sponta-

nea partecipazione.

Le orfanelle dell'Immacolata

Ai tempi d'oro dell'Istituto, a Castelletto v'erano tre gruppi di orfanel-

le, diversi per numero e per divisa. Quelle «del SS. Sacramento» era-

no dodici quanti gli apostoli e andavano vestite in rosso con l'osten-

sorio ricamato in oro sul petto: le proteggeva il Padre Fondatore. Le

diciannove «di S. Giuseppe» erano sotto la giurisdizione di suor For-

tunata Toniolo e portavano la divisa color marrone. Con velo bianco,

con veste bianca e fascia azzurra si vestivano le venticinque orfanelle

«dell'Immacolata»; di esse, in particolar modo, si interessava madre

Maria.

Le prime venticinque furono quelle che abbiamo visto giungere a

Castelletto il 5 novembre 1917, allorché l'Istituto celebrava le nozze

d'argento.

Ben presto le fanciulline - la più grande non arrivava ai sette anni -

diventarono «l'anima e l'allegria della casa». Crescevano «buone e

sane», ed erano tanto felici «sotto le ali materne della Bianca Signo-

ra»," loro principale protettrice. A custodire le innocenti, dopo la

Madonna, c'era la Madre Generale. Nessuno amava le piccole orfane

quanto lei.

Subito dopo le devozioni del mattino, la Madre saliva nel dormitorio

delle bambine che si alzavano allora. Chiedeva se avevano dormito

bene, e intanto le faceva inginocchiare sul

1. Del loro arrivo e della gioconda accoglienza si è parlato sopra, pp.

123-127.

2. Nazareth, 13 (gennaio 1918) p. 3.

lettino per la recita delle prime preghiere; alle più piccole insegnava

a mandare i baci all'Immacolata ch'era incastonata nella lettiera.

«E adesso tutte a mangiare» ordinava, e voleva che mangiassero

davvero. Se qualcuna era svogliata e ostentava disappetenza, la Ma-

dre ricoreva a certi suoi preparati, a base di decotti d'erbe, che rido-

navano la voglia di mangiare anche alle più renitenti. Le bambine

dovevano nutrirsi bene anche a pranzo, alla merenda e a cena. Spesso

330

madre Maria andava a vedere «cosa avevano nel piatto». Voleva che

le novizie, dal momento che avevano tal privilegio, fossero pronte a

servire le orfanelle quando scendevano in refettorio per il pranzo e la

cena."

La giornata delle piccole ospiti era divisa tra il gioco, la preghiera, la

refezione, il riposo; le più grandicelle cominciarono a frequentare la

scuola. Quando si ricreavano, la Madre andava spesso in mezzo a lo-

ro. Era il modo più adatto per conoscerle onde meglio educarle. Le

fanciulle dovevano volersi bene, vincendo gelosie e puntigli. Quelle

che facevano baruffa o dicevano le parolacce, venivano richiamate

all'ordine ed anche punite. La Madre era esigente con le più grandi-

celle e con quelle che manifestavano inclinazione alla vita religiosa.

Voleva che imparassero a pregare bene. Alle lunghe formule preferi-

va le giaculatorie, le brevi invocazioni a Gesù e alla Madonna, atte

ad accendere i teneri cuori senza stancare le menti. Uno dei numeri

d'obbligo era la visita alla Grotta di Lourdes. Partendo dall'orfanotro-

fio in processione, le bambine andavano volentieri davanti alla miste-

riosa Madonna, e pregavano e cantavano con fervore: sembrava che,

secondo loro, fosse sempre festa.

Quand'erano già in letto, dopo le preghiere della sera, la Madre veni-

va a vederle per l'ultima volta. «A tutte dava la

s Testimonianza di suor Maria Bruna Lago, che entrò orfanella e più

tardi si fece

suora.

buona notte, alle più piccine un bacio». «State buone» diceva «che

Gesù vi vede, che la vostra mamma dal cielo vi benedice».'

Prime comunioni

All'inizio del nostro secolo, eucaristico e mariano, il papa S. Pio X ha

dato Gesù ai fanciulli e i fanciulli a Gesù. Ha avuto inizio con tale

gesto quella «primavera eucaristica», che tende a preservare la nostra

infanzia insidiata, accostandola per tempo alla Fonte della grazia.

Volendo principalmente che le orfanelle fossero domani delle cri-

stiane esemplari, il servo di Dio mons. Nascimbeni le portò a Cristo

quanto prima. Un mese dopo la loro accettazione, l'8 dicembre 1917,

331

dodici delle venticinque fecero la prima comunione. Non avevano

compiuto i sette anni; ma per l'amorosa assistenza delle suore erano

ben disposte e consapevoli del grande avvenimento. Nell'apparec-

chiare le bimbe si era particolarmente impegnata la Madre Confonda-

trice, la quale aveva un'abilità tutta propria per insinuarsi nell'animo

dei piccoli. «Le istruì e le preparò così bene» che tutti i presenti fu-

rono ammirati per il devoto comportamento delle comunicande. Pri-

ma di comunicarle il Padre rivolse loro la parola, «ma non poté con-

tinuare a lungo perché il suo cuore sensibilissimo era profondamente

commosso»." A tavola le fanciulle sedettero accanto alla Madre e al

Fondatore, assieme con tre novizie che nello stesso mattino avevano

indossato l'abito delle Piccole Suore.

Il 20 gennaio successivo l'Istituto celebrava la festa della Sacra Fa-

miglia. «Per onorare la medesima il reverendo Padre

4. Abbiamo preso le notizie da suor Maria Eletta Molucchi, una delle

orfanelle

dell'Immacolata giunta a Castelletto il 5 novembre del 1917. Dall'or-

fanotrofio la

Molucchi passò al noviziato nel 1930.

5. Diario giornaliero: 8 dicembre 1917, p. 5.

ammise tre orfanelle dell'Immacolata alla santa comunione, una pro-

banda alla vestizione, tre novizie alla professione e quattro professe

ai voti perpetui»." Ormai le piccole orfane costituiscono una parte vi-

tale dell'Istituto. Assieme alle pro-bande, alle novizie, alle professe,

integrano la famiglia spirituale del Fondatore e della Confondatrice.

Durante la funzione del pomeriggio, «la Madre Generale, con tutto il

fervore del suo cuore e della sua anima, innalzò a Gesù vivo nel san-

tissimo Sacramento una bellissima preghiera». Raccomandò la salute

del Padre, le suore, le orfanelle; pregò «per la santificazione di tutta

la Congregazione».

La Madre voleva che le orfanelle comunicande fossero ben prepara-

te. Alcuni giorni avanti al loro primo incontro con Gesù, le chiamava

nel suo studio una ad una: le interrogava, le istruiva, le esortava a

prepararsi con la preghiera e con le piccole mortificazioni. Sapeva

332

adattarsi così bene al temperamento e alla mentalità di ciascuna, che

le sue parole erano sempre efficaci.

Un giorno la suora che assisteva le orfanelle ebbe l'incarico di prepa-

rare una delle più piccole alla prima comunione. La Madre era al-

quanto preoccupata, temendo che la bambina non comprendesse suf-

ficientemente l'importanza dell'atto che stava per compiere. La man-

dò a chiamare e le disse:

«Sai, C ... , che la Madre ti ha fatto un bel vestito bianco?»

«Sì, Madre» rispose la bambina.

«E allora sei più contenta di ricevere Gesù o di avere il

vestitino bianco?»

«Madre, di ricevere Gesù» rispose la fanciulla allargando le braccia,

«Gesù è contento anche se vado alla comunione con questo vestito;

l'anima, sì, bisogna che sia bella».

Madre Maria fu sommamente felice per tale risposta, rivolse alla pic-

cina «il suo bel sorriso» e disse: «Ti raccomando

6. Diario giornaliero: 20 gennaio 1918, pp. 13-14.

7. IVi, p. 14.

di fare tanti fioretti come faceva santa Teresina; allora sarai la

reginetta della Madre»."

Formazione integrale

La Confondatrice amava tutte le orfanelle. Se una predilezione c'era

nel suo cuore, riguardava le più piccole, le più cattivelle. Secondo lei,

nessuna delle sue bambine era cattiva. Quando le riprendeva, alle pa-

role severe univa i modi materni e alla fine del rimprovero dava un

confetto o una caramella. Altrettanto faceva allorché passando in vi-

sita nell'orfanotrofio, ne vedeva qualcuna punita dalle suore assisten-

ti. Le domandava cosa avesse fatto da meritare il castigo, la incorag-

giava, cercava di persuaderla a far meglio in avvenire, poi estraeva

dalla tasca, sempre fornita, «la caramella».

Non è a credere che madre Maria fosse debole e lasciasse correre.

Due orfanelle grandi, che avevano intenzione di prendere il velo, te-

nevano discorsi mondani. Quando lo seppe la Confondatrice, le man-

dò a chiamare, disse di preparare le valigie e il giorno dopo le inviò

in famiglia. Una bambina non voleva in alcun modo lavorare. «La

333

Madre le provò tutte». Inutilmente; fece allora chiamare dall'America

il babbo e gliela consegnò.

Voleva che le fanciulle crescessero disciplinate, pronte al sacrificio,

atte a tutti i lavori femminili. Perciò, a scuola finita, esse venivano

addestrate a turno nelle diverse mansioni. Dalla sala di lavoro passa-

vano alla cucina, al guardaroba, al refettorio, all'acquaio ... Impara-

vano a fare un po' di tutto, perché quando sarebbero tornate nelle fa-

miglie, dovevano essere - come diceva la Mantovani - delle «brave

donne di casa».

8. Testimonianza di suor Adina Petroselli, per molti anni dedita

all'assistenza delle

orfanelle.

Le fanciulle lavoravano con impegno e con soddisfazione. Se un la-

voretto riusciva bene, andavano dalla Madre per farglielo vedere. La

Madre le accoglieva cordialmente, si congratulava con le sarte e le

ricamatrici in erba, le incoraggiava a far sempre meglio e le premia-

va. Le piccole lavoratrici erano contentissime. «Bastava vederle

quando tornavano: avevano i visetti freschi e sorridenti, come fossero

state ad una festa»."

La formazione morale e cristiana delle fanciulle prevaleva natural-

mente sopra tutte le altre sollecitudini. Madre Maria ci teneva a che

le ragazze si accostassero spesso e ben disposte ai sacramenti. Per le

confessioni lasciava la libertà più ampia e non di rado mandava le fi-

gliuole a confessarsi nelle parrocchie vicine, onde evitare il pericolo

delle confessioni malfatte. L'insegnamento catechistico era integrato

da istruzioni, conferenze, esortazioni. Quando sostava a Castelletto

qualche sacerdote conosciuto, veniva pregato dalla Superiora a rivol-

gere la parola alle orfanelle. Se tante premure si avevano per la salute

e il vitto quotidiano, quanto più si doveva provvedere al loro bene

spirituale! Su questo punto la Mantovani aveva idee chiare e proposi-

ti concreti, che cercava di mettere in pratica nel miglior modo possi-

bile. Tanto interessamento della Madre era di continuo alimentato

dalla sua fede schietta e dal grande bene che voleva alle figliuole.

334

Qualcuno rimaneva sorpreso. Gli sembrava che la Madre Generale ci

tenesse troppo alle bambine e che per loro riserbasse una parte ecces-

siva del suo tempo. La Madre lasciava dire, non metteva freni al suo

cuore. «Quel che facciamo per le orfanelle» ripeteva, «lo facciamo

per Gesù; perciò dobbiamo farlo con tanto amore»."

9. Testimonianza di suor Adina Petroselli.

10. La stessa testimone.

«S. Lucia»

Le feste interne che si fanno negli istituti contribuiscono potentemen-

te ad unire gli animi. Oltre che a rompere la monotonia delle occupa-

zioni quotidiane, regolate da orari ferrei, esse alleggeriscono i nervi,

dilatano i cuori, avvicinano i sudditi ai superiori e i superiori ai sud-

diti: ampliano il clima della famiglia.

Da quando c'erano le orfanelle, a Castelletto si teneva una festa parti-

colare, tutta per loro, che per l'allegria e la cordialità la vinceva su

tutte. Cadeva appunto il 13 di dicembre, festività di S. Lucia.

Per la circostanza tutta la casa era sottosopra, mobilitata su un dupli-

ce schieramento. Chi preparava la festa e chi ne godeva, o meglio a

godere erano tutti ma in maniera diversa. La Madre, le sue consiglie-

re, le novizie preparavano i «doni» alle bambine. Bambole, bambo-

lotti, giocattoli, cestini, vestiti nuovi, dolci, biscotti, caramelle, frutta

... quanto c'era di meglio in casa veniva allestito per la bisogna, e la

gioia di chi apparecchiava non era inferiore alla gioia che avrebbero

provato le piccole consumatrici.

Queste stavano preparandosi anche loro, a loro modo. Da alcuni

giorni cioè si comportavano meglio a scuola, in casa, a ricreazione, e

intanto fantasticavano su S. Lucia, «l'amica dei bimbi». Secondo le

innocenti, la santa era già calata dal cielo e aveva preso dimora sulle

alte montagne, in una casetta che le bimbe chiamavano appunto «la

casetta di S. Lucia». Dal fumaiolo, a quando a quando, uscivano nu-

vole di fumo, perché la santa stava facendo i biscotti «per loro e per i

bimbi di tutto il mondo».

335

Siamo finalmente alla vigilia. Le orfanelle sentono dire che. S. Lucia

è già arrivata in paese carica di doni. S'affrettano ad andare a letto e

poco dopo sono sotto le coltri, in ascolto. S'ode da lontano un cam-

panello. Nel dormitorio le piccine hanno il fiato sospeso. Il suono

s'avvicina: S. Lucia gira per la casa. «Due bambine si alzano, si ingi-

nocchiano sul letto e recitano, l'una dopo l'altra, una poesia in onore

della santa». A poco a poco il campanello s'allontana. Ora le orfanel-

le bisbigliano, sono curiose e impazienti. «Cosa avrà portato a me S.

Lucia?».

Al mattino sono in piedi per la messa celebrata dal Padre. Dopo il

ringraziamento, accompagnate dalla Madre e dalle suore, le fanciulle

entrano nella sala dei doni. Il silenzio dell'attesa è rotto da un batti-

mano fragoroso, dall'esplosione di meraviglia e di tripudio che erom-

pe dal cuore delle bambine. Il Fondatore guarda felice e sorride. Do-

po le parole di rito, la Confondatrice, che aveva battuto le mani as-

sieme alle festeggiate e con loro aveva gridato «Viva S. Lucia», co-

minciava a distribuire a ciascuna il dono assegnato."

Il 13 dicembre si dava vacanza alle bambine, e per tutta la giornata

erano loro al centro della festa e dei sorrisi. Con S. Lucia, sembrava

che fosse calata dal cielo una porzione di incontenibile felicità.

Il contraccambio delle innocenti

Più volte, durante l'anno, le orfanelle festeggiavano la Madre. Princi-

palmente il giorno del suo onomastico offriva alle piccole l'occasione

per dimostrare l'affetto e per esprimere la gratitudine alla loro «gran-

de Benefattrice». La casa era in grande festa quel giorno e tutti pren-

devano parte alla comune letizia.

Così avvenne nell'ultimo anno della guerra, il 15 settembre del 1918.

A cena col Fondatore e le superiore sedevano le suore e le bambine

al completo. C'erano infatti «le 19 orfanelle di S. Giuseppe, le 25

dell'Immacolata e le 12 del SS. Sacramento, tutte vestite con la loro

divisa». Dopo la cena ebbe luogo il trattenimento con canti e suoni,

con la recita di dialoghi e

11. Sul Nararetn viene descritta spesso la festa di «S. Lucia»: 13 (di-

cembre 1918) p.

3; 14 (dicembre 1919) p. 3; 16 (dicembre 1921) p. 3; ecc.

336

poesie da parte delle fanciulle. In simili circostanze «la Madre era vi-

sibilmente felice», «batteva le mani» alle piccole artiste, «poi sapeva

dire loro se avevano lavorato bene»." Solo quando venivano esaltate

le sue virtù, rimaneva sorpresa, confusa. Erano per lei cose nuove al-

le quali non aveva mai pensato, anzi le pareva che non fossero vere.

La Madre Confondatrice teneva in gran conto la preghiera delle in-

nocenti. Rispondendo alle letterine delle orfane, chiedeva che pre-

gassero «sempre» per lei. Esse acconsentivano volentieri, quasi or-

gogliose d'esserle in qualche modo utili, e quando s'inginocchiavano

davanti al Santissimo o ai piedi della B. Vergine di Lourdes, avevano

un particolare ricordo per la Madre.

Ma il maggior bene che veniva a lei da parte delle piccole ospiti, era

l'amore all'innocenza e alla semplicità. L'averle spesso vicine, il tro-

varsi in mezzo a loro in diversi momenti della giornata, giovava

grandemente al suo spirito. V'era una spontanea simpatia, una segreta

intesa tra la Madre e le piccine. La sua anima si specchiava e si dila-

tava nelle loro anime. Anche a lei piaceva quella vita, che non aveva

pretese e ambizioni, senza malizie e senza risentimenti. Quando si

raccoglieva in preghiera davanti al Tabernacolo o davanti alla Vergi-

ne Immacolata, quasi senza accorgersene, prendeva gli stessi atteg-

giamenti che le bambine avevano verso di lei. Era persuasa d'aver bi-

sogno di tutto, ma era certa altresì che Gesù e la Madonna le avreb-

bero concesso tutto.

La sera del 2 febbraio 1934, prima di morire, la Confondatrice chia-

mò tre volte per nome la più piccola delle orfanelle. Furono le sue ul-

time parole. Intendeva raccomandare la piccina ai presenti? O era,

quella, una suprema invocazione? Per tutta la vita la Mantovani ave-

va amato l'infanzia, si era prodigata principalmente per le orfanelle

che crescevano sotto

12. Nazareth, 13 (settembre 1918) p. 3.

13. Testimonianza di suor Margherita Maria De Paoli, entrata orfa-

nella nel 1922.

maestre di semplicità e di candore.

E quella sera, sentendosi venir meno, la Madre chiamò ripetutamente

la più piccola delle sue beniamine. Fra poco sarebbe stata giudicata

337

da Colui che ha dichiarato: «In verità vi dico: se non vi cambierete e

non diventerete come i pargoli, non entrerete nel regno dei cieli. Chi

dunque si farà piccolo come questo fanciullo, sarà il più grande nel

regno dei cieli. E chi riceve un fanciullo come questo in nome mio,

riceve me» (Matteo 18, 3-5).

CAPO SECONDO

PROBANDE E NOVIZIE

Ai profeti di malaugurio che predicevano la fine dell'Istituto delle

Piccole Suore di Castelletto, la Provvidenza rispondeva mandando

nuove vocazioni. Esse venivano da ogni parte d'Italia, dalle campa-

gne e dalle città, alcune istruite, la maggior parte contadinelle, ma

tutte erano accolte con amore e giudicate in base alla loro umiltà, alla

loro docilità e al buon volere.

Tra i molti beni che le giovani trovavano in convento, v'era la Madre

Confondatrice. Era un tesoro quasi nascosto, che bramava restare na-

scosto; ma appena scoperto, aiutava a dimenticare molte delle rinun-

ce fatte e rendeva facili i primi passi nella vita nuova. Man mano che

trascorrevano i giorni, le figliuole entravano più addentro nel cuore

della Madre e la Madre rimaneva più impressa nell'animo delle fi-

glie: a tal punto che non la dimenticavano più, anche quando resta-

vano a lungo nelle filiali più remote; ancor oggi ne custodiscono il

ricordo e il pensare a lei fa bene al loro spirito. Nei primi tempi la

Confondatrice era anche la maestra delle novizie, poi dovette cedere

ad altre il delicato compito. Ma si interessò sempre di loro e ne curò

direttamente la formazione. Quei primi contatti ponevano le basi del-

la collaborazione e mutua intesa tra la Superiora Generale e le suddi-

te, tra la Madre e le figlie.

338

Dietro le orme della Madre

Gli orfanotrofi ben condotti sono vivai di vocazioni allo stato religio-

so. Non la creano, ché la chiamata viene da Dio; la scoprono con

maggior chiaroveggenza, la custodiscono e la coltivano più effica-

cemente sino allo sboccio.

Molte delle ragazze cresciute presso la Casa Madre a Castelletto

chiesero di farsi religiose. Il tempo poi e le prove indicarono quali,

fra le numerose che si dicevano chiamate, erano le elette.

La Madre Confondatrice non forzava nessuna; eppure, senza volerlo,

influiva assai su l'avvenire delle figliuole. La sua bontà squisita, la

sua inalterata serenità, le virtù che praticava con tanta naturalezza af-

fascinavano le fanciulle e ne trassero più d'una dietro le sue orme.

Dal momento che la Madre era così fedele all'ideale, se appariva tan-

to felice per essersi data tutta al Signore, perché non starle vicino per

sempre, perché non seguirla battendo la stessa via?

Quando una ragazza diceva di sentire la vocazione, la Madre non a-

veva fretta. La invitava alla preghiera e alla riflessione, e intanto la

seguiva con particolare premura. Se la postulante insisteva e mostra-

va i contrassegni della chiamata autentica, la Confondatrice prendeva

a volerle bene ancor più, si congratulava con lei e la esortava alla

corrispondenza generosa.

Che grazia grande ti ha fatto il Signore, chiamandoti ad essere sua

sposa! Grazia Più grande non ti poteva fare. lo godo e gioisco con te

e mi unisco a te per ringrariarlo di tanta grazia. Come sono contenta

di vedere che Gesù discende nel mio giardino, cioè nel mio orfano-

trofio, a raccogliere dei fiori, dei gigli, delle rose per trapiantarle nel

campo mistico della Chiesa e farle sue spose per sempre.

Coraggio, forza, energia. In questo tempo che ancora ti resta, mettiti

Con impegno per apparecchiarti bene e santamente al gran passo che

stai per fare, cerca di diventare una vera e santa sposa di Gesù. Da

qui in avanti sarai doppiamente mia. Prima, perché sei stata mia or-

fanella; secondo, perché diverrai mia figlia, diventando una sposa di

Gesù, una Piccola Suora della Sacra Famiglia.

339

Le pianticelle che dall'orfanotrofio sarebbero state trapiantate nel no-

viziato, venivano sottoposte ad una coltivazione più accurata. Ogni

anno attendevano agli esercizi spirituali, durante i quali scrivevano

alla Madre aprendo filialmente la loro anima; e la Madre rispondeva

incoraggiando ed esortando al bene.

Godo nel sentire che Gesù ti ha fatto conoscere la sua santa volontà,

che ti ha parlato al cuore e che ti vuole tutta sua. Brava. Cerca di cor-

rispondere alla divina chiamata. In questo tempo che ancora ti man-

ca, devi apparecchiarti bene al gran passo con la pratica delle Più bel-

le virtù: dell'umiltà, dell'obbedienza e carità; devi divenire sempre

Più pura, perché il Signore si pasce fra i gigli; e così a suo tempo di-

verrai la fidanzata di Gesù, per essere poi la sua sposa fedele?

Quelle che avevano inclinazione per lo studio, venivano mandate a

Verona prima di prendere il velo. Con il diploma o la patente sareb-

bero state più utili alla Congregazione e più efficaci nelle opere apo-

stoliche. Ma se un'orfanella era studente doveva studiare davvero,

con il medesimo fervore con cui le altre si davano ai lavori manuali.

Guarda di metterti con impegno a studiare e cerca di riuscire bene.

Non farmi spendere i denari inutilmente. Che se non vuoi studiare,

dimmelo francamente che ti chiamerò a Casa Madre e ti metterò al

lavoro. Pensaci bene. Bisogna essere buona e brava, piena di buona

volontà. Il Signore allora ti benedirà. Quando sarai grande, dovrai es-

sere di aiuto all'Istituto, ché il medesimo fa tanto per te. Occorre se-

rietà e non essere sempre bambina. Ricordati che da qui in avanti vo-

glio ricevere buone notizie.

1. Lettera ad una orfanella, che poi divenne suora.

2. Lettera ad un'orfanella, d'incerta data.

3. Lettera ad un'orfanella postulante, avviata agli studi.

Le prime impressioni

La maggior parte delle postulanti venivano direttamente dalle fami-

glie.

I loro primi incontri con la Madre Confondatrice sono ricordati con

diletto e ammirazione. Le giovani restavano colpite dall'umiltà e dal

340

tratto semplice della Madre, che toglieva ogni imbarazzo e soggezio-

ne, ma soprattutto erano attratte dalla sua bontà premurosa.

«Mi accolse molto cordialmente» dice una suora; «Mi fece l'impres-

sione che doveva essere una buona mamma» dichiara un'altra; e an-

cora: «Al primo incontro con la Madre ebbi l'impressione che essa

possedesse un cuore veramente grande»;" «Mi sentii sua al primo in-

contro».

Accanto alla Madre

La gradevole esperienza cresceva man mano che le arrivate accosta-

vano madre Maria. Trattando con lei si sentivano comprese, sostenu-

te, amate. «Fin dal primo ingresso in religione, la Madre Generale

Mantovani ebbe per me un cuore veramente materno ed ebbi a gusta-

re, in varie circostanze, le premure della mia mamma, che non ho co-

nosciuto perché il Signore me ne privò quando avevo due anni»."

«Appena entrata in convento, sono stata accolta con tanta carità dalla

reverendissima Madre, da non sentire più la nostalgia della famiglia.

Nelle prime difficoltà ebbi sempre una parola di conforto, di aiuto, di

consiglio, per avanzare nella via del bene».

4. Testimonianza di suor Evarista Dalla Fontana, entrata nel 1909.

5. Testimonianza di suor Gesualda Degani, entrata nel 1915.

6 Testimonianza di suor Paolina Zanco, entrata nel 1933.

7 Testimonianza di suor Alessia Feller.

8 Testimonianza di suor Giselda Dalla Vecchia, entrata nel 1905.

9 Testimonianza di suor Clemenza Ambrosi, entrata nel 1919.

La Confondatrice sapeva educare le giovani alla vita religiosa. An-

dava spesso in noviziato a tenere le «letture», durante le quali parlava

con grande fervore, massimamente quando esortava all'umiltà, alla

sincerità, alla carità fraterna e all'obbedienza. Era attesa da tutte con

gioia, poiché il vederla e «lo stare vicino a lei era un premio e si pro-

vava grande consolazione».

Sempre serena, sempre calma anche quando riprendeva, ispirava

grande confidenza e venerazione. Era paziente. Sapeva attendere il

momento della grazia, e non pretendeva che le novizie diventassero

341

virtuose in quattro giorni. Una di esse, da quando era entrata, teneva

in cella «ogni sorta di gingilli, quadretti, statuine, e persino vasi di

fiori». Un giorno la Mantovani parlò del voto di povertà, e poco dopo

vide giungere la novizia che spontaneamente veniva a consegnarle

tutte le cose superflue.

«È da un pezzo che aspettavo questo distacco» osservò la

Confondatrice.

«Ma perché non dirmi nulla, Madre?» domandò la novizia. «Per la-

sciare a te tutto il merito».

Alle inesperte la Madre insegnava a lavorare. Molte delle giovani po-

stulanti venivano avviate all'arte della cucina e da principio erano in

apprensione, specialmente quando la capocuoca doveva assentarsi.

Ma nel momento opportuno sopraggiungeva madre Maria, la quale

assaggiava, dava consigli ed aiutava a mettere al punto le vivande.

Capitava talvolta che la cuoca novizia lasciasse bruciare le patate o il

riso. «Pazienza! pazienza» ripeteva la Madre, «si butta via questo e

se ne mette su dell'altro!».' A meno che non ci fosse sbadataggine o

non convenisse approfittare del fatto per provare la virtù della novi-

zia; nel qual caso la Madre imponeva la penitenza con tono risoluto,

senza tuttavia venir meno alla sua abituale

10. Testimonianza di suor Ismaela Plotegher, entrata nel 1928.

11. Testimonianra di suor Gerosa Perego, entrata nel 1925.

dolcezza. Alla cuoca apprendista, che aveva lasciato bruciare le pata-

te, la Madre dette una compagna e ordinò di andare a questuare in

paese tante patate quante erano quelle bruciate.

«Mi godo tanto!»

La campana che dava il segnale per gli atti comuni era vicina allo

studio della Confondatrice. Un tempo la campanellaia di turno non

riusciva a suonar bene. Appena cominciava a tirar la corda, usciva

dallo studio madre Maria che diceva: «Tu tieni in basso ed io più al-

to, così imparerai». Seppe la cosa la madre vicaria suor Fortunata

Toniolo, donna retta e ferma, portata dalla natura a volere che ogni

cosa andasse come doveva andare. Le pareva dunque che la novizia

sfruttasse troppo la condiscendenza della Superiora Generale e un

342

giorno nel refettorio, davanti alla Madre e ad altre suore, chiamò la

campanellaia:

«Suor T ... » apostrofò, «non si vergogna di far scomodare sempre la

Madre quando suona?»

«Mi godo tanto, madre Vicaria!» rispose la novizia.

Madre Maria fece una risatina, e risero anche le altre suore presenti.

La stessa campanellaia doveva suonare la sveglia del mattino. Le ac-

cadde, una volta, di dare il segnale per l'alzata alle tre anziché alle

cinque. Venne un contrordine, e chi era già in piedi si rimise in letto.

Dopo le devozioni del mattino, quando le suore uscivano dalla cap-

pella, la novizia si accusò davanti alla Madre:

«Ho sbagliato» disse in ginocchio, «ho suonato la sveglia alle tre».

«Ben, ben» rispose la Madre, «dopo le suore sono andate a letto sino

all'orario, vero?», e le dette una penitenza.

Più tardi la novizia venne dalla Superiora per chiedere ancora Scusa

e ringraziare. Dopo averle parlato con amorevolezza, la Confondatri-

ce estrasse da un cassetto delle noci: «cerca di stare più attenta» disse

allungandole alla novizia, «e martedì verrai a fare i salti e a far ride-

re».

La figliuola corse in noviziato e facendo vedere le noci, esclamava

tutta felice: «Me le ha date la Madre!»

«Se non ci fosse stata la Madre ... »

Nell'accettare le vocazioni la Mantovani non badava né al numero, né

alla dote, né ai titoli di studio, e neppure ai difetti vistosi. Purché le

giovani dimostrassero «buona volontà», trovavano accoglienza in

convento e nel cuore della Confondatrice. Più d'una fu ricevuta senza

dote o con malferma salute; ma quando si presentò una maestra, piut-

tosto anziana, madre Maria le fece sapere che in convento non si pre-

feriva nessuna: «per me» diceva «sono tutte uguali»."

Allorché le figliuole erano provate e stavano per cedere alle sugge-

stioni del demonio o dell'amor proprio, interveniva la Madre e dissi-

pava i dubbi, ridava coraggio alle pusillanimi, invitava alla riflessio-

ne. Diverse suore hanno dichiarato che, «se non ci fosse stata la Ma-

dre», adesso non sarebbero in convento. Una di queste scrive:

Nel primo mese del mio probandato, ebbi dal Fondatore un rimpro-

vero molto forte per la mia ambizione e ricercatezza. Egli aggiunse

343

che, qualora non mi correggessi, mi avrebbe mandata a casa... Con

l'animo ferito e sconvolto feci capire che lo prendevo in parola. Dico

alla Madre Generale che mi prepari il denaro del viaggio e alla guar-

darobiera che metta fuori tutta la mia roba, che sarei partita col primo

battello. La Madre mi fa osservare che il lago è molto burrascoso e

che pertanto non passerà alcun piroscafo. Indispettita, guardo le onde

che si accavallano furiose. La Madre mi prende la mano, sussurran-

domi all'orecchio queste parole: - Vedi come il lago è in burrasca?

Così è la tua anima ... Intanto che io ti faccio preparare ogni cosa, va

in cappella: Gesù è là che ti aspetta. Entro muta e fredda come una

statua.

Testimonianza di suor Giocondina Mastiello, entrata nel 1928.

Passato un quarto d'ora, prego, penso, rifletto, e le lacrime mi scen-

dono copiose. Dopo un'ora esco e trovo la mia Madre Generale lungo

il chiostro. Cado in ginocchio e la prego di accompagnarmi dal Pa-

dre, come fece, e mi ottenne un ampio perdono.

Delicatezze materne

Le vestizioni e le professioni offrivano alla Confondatrice l'occasione

per dimostrare alle probande e alle novizie il suo materno affetto. Il

grande avvenimento, che impegnava solennemente le candidate da-

vanti a Dio e alla Chiesa, era preceduto da cordiali incontri con la

Madre. In tali circostanze le ragioni del cuore prevalevano sovente su

quelle delle leggi e delle consuetudini.

Quando la probanda passava novizia, con l'abito secolare, cambiava

anche il nome. Ordinariamente si veniva a conoscere il nuovo solo

durante la cerimonia della vestizione, ma la Confondatrice faceva

delle eccezioni.

Una giovane orfana, che fra pochi giorni avrebbe vestito, incontrò

sotto il portico la Madre. Questa, «con grande dolcezza», disse: «So

che sei contenta di vestire l'abito delle Piccole Suore della Sacra Fa-

miglia. Cambierai il nome e ti chiamerai con quello della tua mam-

ma». Madre e figlia si guardarono in silenzio: l'espressione dei volti

era più eloquente delle parole. Gli occhi della Madre erano umidi; el-

la porse l'anello da baciare, portò l'indice della sinistra sulle labbra,

344

poi si ritirò lentamente verso il suo studio. La probanda era raggiante

di gioia. Pensava alla mamma defunta, e mentre andava verso il no-

viziato, ripeteva in cuor suo: «Mamma, porterò per sempre il tuo

nome!»

Le vestizioni e le professioni portavano grande letizia nella Casa

Madre. La Confondatrice voleva che anche i parenti, in speciale mo-

do i genitori, prendessero parte alla comune gioia.

Testimonianza di suor A. V.

Per dar loro la possibilità d'incontrarsi con le figliuole, più volte la

Madre fece anticipare la chiusura degli esercizi spirituali. All'agape

che aveva luogo dopo le funzioni religiose permetteva che le festeg-

giate mangiassero con i genitori, e talvolta sedette a tavola con loro.

Era visibilmente soddisfatta per la felicità delle figlie.

Se in quel giorno di giubilo una pena c'era nell'animo della Confon-

datrice, riguardava le suore che non potevano godere della presenza

dei genitori, o perché defunti o perché impediti. La Madre allora fa-

ceva di tutto per alleggerire la mestizia dell'assenza.

Quando seppe che una mamma non poteva presenziare alla profes-

sione della figlia, la Mantovani spedì un telegramma a Roma perché

la zia suora venisse a Castelletto accanto alla nipote.

A quante non avevano più la mamma, faceva da madre lei stessa in

quel giorno. Le chiamava accanto a sé e le intratteneva sulla «grande

grazia» della vocazione religiosa, poi andava a mangiare con loro e

voleva che tutte facessero festa.

Il giorno della professione, scrive una suora, non avendo presente

nessuno dei miei parenti, la Madre mi mandò a chiamare: «Anche se

non hai nessuno» disse, «c'è la Madre che ti fa da mamma ... Vedi

che ti ho preparato i confetti da regalare alle orfanelle, perché sei la

sposa di Gesù e devi far festa anche tu». Detto questo, mi allungò un

grosso sacchetto di confetti, facendomi il suo più bel sorriso. Durante

gli esercizi, chiamò la maestra delle orfanelle e disse: «Guarda di far

preparare una bella festa per suor A., perché non ha nessuno e non

voglio che senta dolore per la lontananza dei suoi cari»."

14 Testimonianza di suor A. P.

345

Il noviziato nuovo

Di anno in anno le vocazioni si moltiplicavano. Gli ampliamenti e le

trasformazioni del primo conventino non riuscivano più ad ospitare

le novizie e le probande aumentate. Bisognava affrontare il problema

con criteri nuovi e coraggiosi, e la Confondatrice si orientò decisa-

mente verso una costruzione autonoma, ampia, moderna, del tutto ri-

spondente alle necessità dell'Istituto. Per sua iniziativa è sorto l'attua-

le «fabbricato, che, per la sua mole grandiosa, sembra dominare gli

altri, quasi sfidando la massiccia figura del Baldo retrostante».

La costruzione, iniziata nel 1931, si protrasse per due anni e dette la-

voro a un'ottantina di operai: in quegli anni di crisi e di disoccupa-

zione fu una provvidenza per il paese.

Si dovette scavare il monte, incanalare il torrente, costruire terrapie-

ni; e ottenuto lo spiano, furono gettate le fondamenta del mastodonti-

co edificio, che misura 32 metri di lunghezza, 15 di larghezza, 20 di

altezza. Alla base sta l'ampio e luminoso refettorio, con duecento po-

sti: le suore che ogni anno tornano alla Casa Madre per gli esercizi vi

hanno decorosa accoglienza. Vengono poi le aule per lo studio, le sa-

le di lavoro e di ricreazione, i numerosi dormitori, ecc.: ogni parte

dell'edificio è razionalmente disposta, con sobrietà ed eleganza.

La generosità di pii benefattori, la collaborazione delle case filiali e

la grande fede di madre Mantovani affrontarono le spese della co-

struzione nuova. Prima di dare il via ai lavori, la Madre aveva messo

l'impresa sotto la protezione della Sacra Famiglia. Era pure ricorsa al

glorioso Economo dell'Istituto, S. Giuseppe, alla cui statua, imitando

il Fondatore, aveva appeso il «sacchetto». Man mano che l'edificio si

elevava verso il cielo, aumentava altresì la fiducia di madre Maria.

Appoggiata al davanzale della finestra, guardava la costruzione, poi

15. Quasi oliva speciosa in campis, p, 36,

fissava con tenerezza l'Immacolata che teneva nello studio: a lei affi-

dava l'edificio e le giovani inquiline che l'avrebbero abitato. Un gior-

no, forse non lontano, ella avrebbe lasciato per sempre le figlie, e tut-

tavia sarebbe rimasta la Madre del cielo a vegliare sulla culla della

Congregazione.

346

Il noviziato venne inaugurato il 20 marzo del 1933. Nello stesso

giorno l'Istituto celebrava il primo quarantennio di vita e l'approva-

zione pontificia delle Costituzioni. Dalle filiali erano giunte per tem-

po le 154 superiore per un corso di esercizi, cui tenne dietro un triduo

solenne, «con pittoresche processioni serali lungo i viali dell'Istituto,

artisticamente illuminato»." La partecipazione del vescovo di Vero-

na, mons. Girolamo Cardinale, assieme a numerosi prelati e ai parro-

ci della riviera, rese più grandiosi i festeggiamenti.

Quel giorno il nuovo edificio, ch'era rallegrato da festoni di verde e

di fiori, attirava lo sguardo di tutti. Era «il castello di Castelletto, il

mastio di Casa Madre, il quale la sera con le molte fiaccole da ognu-

na delle 80 finestre aperte verso il lago, pareva un faro o una visio-

ne»

Fu definito «villa dell'amore» e «culla di santa formazione». Da oltre

mezzo secolo è il vivaio dell'Istituto. Qui, di anno in anno, vengono

coltivate le nuove pianticelle che, col trapianto, irradiano nelle filiali

lo spirito del Padre e della Madre.

16. Nazareth, 27 (marzo 1933) p. 5.

17. lui.

CAPO TERZO

CON LE SUORE

Nel governare l'Istituto e nel dirigere le suddite verso la perfezione

religiosa, la Confondatrice usava la bontà e la fermezza. Per natura

era dolce e forte. Accanto al Fondatore divenne sempre più risoluta

verso il bene e ferma nell'esigerlo dalle figlie, mentre la devozione

alla Madonna alimentava in lei la tenerezza materna.

La Mantovani era costantemente calma e serena. Lo spirito di fede, la

preghiera quasi continua, la confidenza in Dio la mantenevano in un

atteggiamento di fiduciosa tranquillità. Anche nei momenti difficili

madre Maria non si perdeva d'animo, sul suo volto brillava la sereni-

tà consueta.

«La mamma di tutte»

347

Tutti i giorni, e a qualsiasi ora del giorno, le suddite potevano andare

dalla Madre, sicure d'essere ben accolte. Madre Maria voleva bene a

tutte e si occupava di tutte, senza preferenze o parzialità. Amava le

vicine e pensava alle lontane, seguendole col ricordo e con la pre-

ghiera. Desiderava vederle, averle accanto a sé, sentire la loro voce,

comunicare con loro.

Carissima: Ti ringrazio della tua letterina. Anch'io desidero vederti

ed abbracciarti. Prega tanto per me. lo ti tengo sempre a memoria. Ti

saluto tanto, tanto, tanto, tanto.'

1. Il passo è preso da una lettera cumulativa che la Madre scrisse nel

maggio 1895

da Tiarno Superiore, rispondendo a ciascuna delle suddite che le a-

vevano scritto da

Castelletto.

Quando usciva da Castelletto per visitare le filiali, la Confondatrice

pensava alle consorelle lasciate nella Casa Madre, desiderosa di rive-

derle presto. «Mi pare mille anni che non vi vedo» scriveva un gior-

no a suor Fortunata Toniolo. «Salutami una ad una queste mie figlie

e da' loro un bacio per me»."

Amava le suore con cuore di madre. Il tratto cordiale e materno è ri-

masto il contrassegno del suo lungo superiorato. Le suddite che la

conobbero e che trattarono più volte con lei, testimoniano unanimi la

squisita tenerezza della Confondatrice. «Era una mamma addirittu-

ra»;" «Era mamma, mamma, mamma!»;' «La mamma di tutte, tanto

cara!»>

Una lettera a suor Fortunata Toniolo

La nobiltà d'animo della Mantovani e la finezza dei suoi sentimenti

sono rese manifeste in una lettera che indirizzò a suor Fortunata To-

niolo nei primi tempi dell'Istituto. Identici ideali univano queste due

grandi anime, che ressero la Congregazione nei primi sessant'anni.

Nel raggiungerli, non sempre usarono gli stessi modi e percorsero le

medesime vie, ma entrambe si prodigarono generosamente per dare

al giovane Istituto l'assetto definitivo. La lettera risale al 12 giugno

348

del 1896 e fu scritta in occasione della festa onomastica di suor For-

tunata.

Non posso lasciar passare l'odierna circostanza senza scriverti due

righe di augurio. Sì, cara suor Fortunata, io pregherò molto il tuo san-

to Protettore in questo giorno, affinché ti infonda tutte le virtù che e-

gli praticò nel corso della sua vita mortale, onde abbia a fare il mag-

gior bene

2. Da una lettera scritta a suor Fortunata nei primi tempi dell'Istituto,

d'incerta data.

3. Testimonianza di suor Afra De Santi, entrata nel 1902.

4. Testimonianza di suor Gridonia Sandri, entrata nel 1909.

5. Testimonianza di suor Silvia Sacchetto, entrata nel 1910.

possibile a quelle anime che verranno affidate alle tue cure. Corag-

gio, coraggio, mia cara. Non ti avvilire, non ti scoraggiare. Il Signore

vuole da te cose grandi. Tu devi essere una colonna fondamentale del

nostro Istituto.

lo piango assai la tua dipartita da questa casa/perché in te trovo un'a-

nima bella, un'anima cara, un'anima santa; insomma trovo in te un

grande aiuto. Da qui in avanti a chi potrò rivolgermi per una parola

di consiglio? A chi potrò confidare le angustie e le mie pene? Prega,

prega assai, affinché il Signore ti sostituisca con qualche altra degna

suora che possa darmi la mano in sì delicato ufficio di maestra delle

novizie.

Coraggio, adunque, non temere di nulla, sta bassa e farai miracoli.

Agli umili il Signore dà la sua grazia. Non paventare il demonio che,

qual leone ruggente, cerca di divorarti. No, non temere; egli ha rab-

bia con te, perché conosce quante anime gli strapperai dall'inferno.

Ricordati sempre di me nelle tue preghiere, perché ne ho tanto biso-

gno. Prega il Signore a darmi lume e forza per ben dirigere questa

comunità e perché io possa salvare la povera anima mia ... lo poi non

mi dimenticherò mai e poi mai di te ...

Sollecita

La Confondatrice aveva premure materne per tutte le suore. Non solo

era zelante nel provvedere al bene delle loro anime, si occupava al-

349

tresì della salute e dell'ufficio che l'obbedienza aveva loro affidato.

Seguiva tutte, una ad una; perciò voleva che le suore delle filiali scri-

vessero di frequente. Se una tardava a mandare notizie, veniva solle-

citata a farsi viva. Ad una suora, che non aveva scritto da un mese, la

Madre fece inviare un telegramma: «Vieni subito: ho da parlarti».

Suor Fortunata, attuale maestra delle novizie, era stata designata su-

periora

nella filiale di S. Martino Buon Albergo (Verona), che venne aperta

nell'agosto

successivo.

La suora venne.

«Che vuole, Madre?

«Desideravo vederti, null'altro».

«Ma, Madre, i telegrammi spaventano: non me li mandi»

«Imparerai per l'avvenire» ribatté la Madre. «Se non scrivi, te ne

manderò ancora».

Allorché giungono a Castelletto buone notizie, la Madre ne gode e

risponde compiacendosi; si rattrista, invece, quando viene a sapere

che le suore sono in pena e preoccupate. Per quanto dipende da lei,

essa fa di tutto per consolare le figlie e per ridonare la pace al loro

spirito. A quelle che le chiedono perdono per averla affitta con qual-

che mancamento, scrive assicurando che ha tutto dimenticato, tutto

perdonato, che non ricorda più niente.

A suor Fortunata raccomanda di aver cura della salute, di prendere le

medicine che il medico le prescrive, di sostenersi con del buon cibo."

In quanto allo spirito, suor Fortunata resta libera di rivolgersi a chi

crede; vada pure a confessarsi «dal canonico giovane».

Anche le suore della Casa Madre, particolarmente le inferme, sono

del tutto libere nelle cose di coscienza. La Madre ci tiene a questa

santa libertà, tutelata dalle sagge disposizioni della Chiesa. Solo vuo-

le che si evitino le leggerezze e i pettegolezzi. «Attende tibi!» è solita

350

ripetere circa la confessione e i confessori: «ognuna badi a sé e si

tenga le proprie idee»."

Quando veniva concessa qualche particolare ricreazione, tutte le suo-

re dovevano prendervi parte. A quelle che erano impedite dal dovere,

la Madre offriva altri svaghi. Un giorno le suore professe, assieme

alle novizie e alle probande, salirono in

7. "Ora ho tutto dimenticato, tutto perdonato, non ricordo Più nien-

te»: Lettera a suor S. V., l"

gennaio 1899; «Te l'assicuro: io ho tutto, tutto dimenticato. Siimi

sempre figlia amorosa che io ti

sono, come mi sento, tua madre»: Lettera a suor D. M., 23 dicembre

19-3.

8. Lettera a suor Fortunata Toniolo, 19 agosto 1900.

9. Lettera a suor Fortunata Toniolo, senza data.

10. Testimonianza di suor Anselma Begalli, entrata nel 1912.

gita sull'altopiano del Prada. Alle rimaste a casa madre Maria prepa-

rò, «di sua mano», i gnocchi. Poi «lasciò la tavola apparecchiata per

mostrare, a quelle che tornavano, che anche le rimaste avevano godu-

to»."

“Te ghe rason”

Coi suoi modi bonari o con una facezia, la Confondatrice sapeva ca-

var una suddita da un imbarazzo e risparmiarle una vergogna imme-

ritata.

Presso la Casa Madre v'era la consuetudine d'interrogare le postulanti

e le novizie, presente la comunità. Tutti i giorni, dopo la colazione, la

postulante o la novizia sorteggiata doveva rispondere alle due do-

mande che la Madre le rivolgeva, una sul catechismo e l'altra sulla

regola.

Durante un corso di esercizi spirituali, cui presero parte le superiore,

la sorte venne a cadere su una postulante che non aveva avuto il tem-

po di prepararsi. Ella pertanto non sapeva rispondere e stava diven-

tando rossa.

351

«Te ghe vergogna, vero» s'affrettò a dire la Madre, «a dirmelo in pre-

senza de tute ste Madrone che t'ascoltan. Te ghe rason; avria soge-

sion anca mi. Va al posto; te me la diré la lesion quando lore non le

ghe più». Tutte le presenti risero. «Ed io» conclude la protagonista

«fui salva».

11. Testimonianza di suor Amedea Dal Zotto.

12. «Hai vergogna, vero, a riprendermi alla presenza di tutte queste

Matrone che ti ascoltano.

Hai ragione; avrei soggezione anch'io Va al posto; mi dirai la lezio-

ne quando esse non ci saran più”

13. Testimonianza di suor Villelma Zampieri, entrata nel 1933.

Avvocata

Più delicata ancora e più materna era la Mantovani quando perorava

a favore delle suore presso il Padre Fondatore. Era felice se riusciva a

risparmiare loro i forti richiami paterni, ammonendo ella stessa le

suddite. E allorché queste dovevano presentarsi al Padre per essere

riprese, la Madre «le preparava prima e le sosteneva dopo»." Sugge-

riva loro quello che dovevano dire, insegnava quale atteggiamento

dovevano prendere nella congiuntura; raccomandava, in particolar

modo, la calma e la serenità, perché nulla contristava tanto il Padre

quanto il vedere le figlie permalose e col volto imbronciato. Se

all'ammonizione teneva dietro una penitenza più dura del solito, la

Madre con belle maniere interveniva, onde la pena fosse mitigata e

non di rado riusciva a ottenere la condonazione totale.

Insomma, madre Maria faceva da conciliatrice tra il Padre e le fi-

gliuole. Al Fondatore temperava l'animo forte e per natura impetuo-

so; alle suore fortificava lo spirito prima dell'incontro col Padre, lo

rasserenava dopo la riprensione.

«Un giorno» scrive una suora «quand'ero ancora novizia, la madre

maestra mi mandò a stendere un po' di bucato. Rimasi sorpresa nel

352

vedere la Madre Generale seduta proprio su la scaletta che dovevo

salire io con la biancheria. Le sedeva accanto una suora che, col viso

tra le mani, piangeva. La cara Madre, con bontà veramente materna,

la consolava e la animava a correggere il difetto, per il quale il vene-

rabile Padre l'aveva rimproverata. La esortava a chiedere perdono,

promettendo che si sarebbe corretta. Le sue parole erano cosi riboc-

canti di amore materno, che commossero anche me ... La suora si

rasserenò, si asciugò gli occhi, andò dal Padre, chiese perdono e

promise d'emendarsi»."

14. Testimonianza di suor Flora Battistella, entrata nel 1907.

15. Testimonianza di suor Coletta Gelfi.

Forte

Essere buoni, secondo lo spirito di madre Maria, non significava es-

ser deboli. La benevolenza non doveva arrendersi davanti alla fiac-

chezza o al capriccio. Leggiamo nei «propositi» della Confondatrice:

Sarò paziente con tutti; ma dove occorrerà adoperare energia, non

lascerò mai di adoperarla,"

Fu veramente energica nell'esigere la fedeltà all'ideale, e quando

prendeva una decisione difficilmente mutava. Era in particolar modo

severa verso le novizie e le giovani professe che non volevano far

bene. Le metteva alla prova; e se non corrispondevano, se erano reci-

dive nei loro errori, in convento non le teneva: la vita religiosa non

era per loro.

Tutte fanno bene e vi salutano, scrive la Madre a suor Fortunata. Ab-

biamo solo suor C. che vuol fare a modo suo. Essa senza nessuno

scrupolo ha ricusato ripetutamente di andare in un 'altra casa, come

se non avesse fatto il voto di obbedienza. Da quasi una settimana tie-

ne il broncio, ma questa volta deve andare senza fallo; e se non farà

bene, se ne andrà a casa sua: in questo modo si farà la cernita della

zizzania dal buon grano.

Altra volta scrive alla stessa suor Fortunata, che si trova superiora a

S. Martino Buon Albergo:

353

Dì a suor R. che abbia a por termine a tante infedeltà, altrimenti la

sua condanna sarà di andare di porta in porta per trovarsi un tozzo di

pane, onde campar la vita. lo sto facendo il suo fagotto di quanto ha

ancora qui e alla prima notizia cattiva, immediatamente glielo spedi-

sco

16. Proponimenti dell'ottobre 1917: prop. 5 (Propositi, II, p. 6).

17. Lettera a suor Fortunata Toniolo, senza data.

a ... O far bene a S. Martino o a casa; nella Casa Madre [non verrà

più], neppure se facesse miracoli,"

In un momento di alterazione, una giovane professa disse sdegnosa:

«Va a casa mia!»; «e andrà sicuramente a casa sua» conferma la Ma-

dre, «se non cambia condotta»."

Nei primi anni dell'Istituto, quando dirigeva la piccola comunità di S.

Martino Buon Albergo, suor Fortunata ricevette l'ordine di osservare

attentamente il comportamento d'una suddita. «È una suora» scriveva

appunto madre Maria «che non ci vedo dentro, né tanto, né poco; e

noi superiori dobbiamo stare attenti a non far professare le isteri-

che»."

I passi riportati presentano il vero volto della Confondatrice e mani-

festano le sue intenzioni nell'accettare le aspiranti. Non si lasciava

influenzare da criteri umani. Anteponeva il buon volere ad ogni altra

dote e non era precipitosa, sia pure con l'intento di aumentare il per-

sonale: meglio poche ma fervorose, che molte ma incerte e rilassate.

Durante gli esercizi spirituali

Attesi con impazienza, praticati con fervore, chiusi con sinceri pro-

positi di rinnovamento, gli esercizi spirituali costituivano uno degli

avvenimenti più importanti nel corso dell'anno. Quei giorni erano ar-

dentemente attesi dalle suore e dalla Confondatrice. Madre e figlie,

dopo un anno di lontananza e d'intenso lavoro, potevano finalmente

rivedersi e parlarsi.

Dalle filiali giungevano le suore a gruppi, in corriera o sul piroscafo.

La Madre, spesso, le attendeva sul terrazzino della portineria; e ap-

pena spuntavano, le salutava, le chiamava per

354

18. Lettera a suor Fortunata Toniolo, senza data.

19. Circolare del 31 marzo 1927. - Vedere anche: La voce del Padre,

6 (marzo 1927) pp. 8-9.

20. Lettera a suor Fortunata, 7 aprile 1898.

nome faceva loro festa. Per quante erano rimaste disturbate lungo il

viaggio, teneva a disposizione il «bicchierino - che ridava vigore e

metteva lo stomaco a posto. Poi iniziavano le prime relazioni, le pri-

me confidenze che, a turno, venivano riprese durante i giorni del sa-

cro ritiro.

La Confondatrice dava udienza a tutte, ascoltava tutte con vivo inte-

ressamento, chiedeva informazione su l'andamento della casa e delle

opere, a tutte impartiva sagge direttive.

«Quanta gioia» scrive una suora, «quale entusiasmo per me (e credo

per tutte) nel ritornare ogni anno alla Casa Madre per i santi esercizi!

Era una festa poter rivedere, poter salutare la diletta Madre Generale,

che ci accoglieva col più amabile sorriso e con bontà materna. Ci a-

scoltava con premura, senza stancarsi; anzi desiderava conoscere i

nostri bisogni per venirci incontro, e come sapeva comprenderci e a-

nimarci a riprendere con generosità il sacrificio dell'obbedienza!

Dopo gli esercizi, infatti, le suore dovevano essere disposte a tutto:

ad essere trasferite o a cambiare l'ufficio, o l'una e l'altra cosa a un

tempo. Tutto era possibile, quando si andava a Castelletto per gli e-

sercizi; e qualche suora, previdente, portava con sé il corredo perso-

nale.

A quante venivano cambiate, la Madre prestava soccorso perché «fa-

cessero l'obbedienza» volentieri e con merito. Confortava anzi tutto

quelle che, da superiore, tornavano suddite; e sosteneva le altre che

venivan tolte da una occupazione o da un paese, in cui avevano in-

contrato successi e soddisfazioni.

Ma se una suora provava forte ripugnanza ad andare in una casa, e i

motivi addotti tornavano validi al cuore materno della Confondatrice,

non veniva trasferita od era mandata altrove.

355

Per ragioni personali, una suora chiese d'essere cambiata. La doman-

da venne accettata, e quando la suora si presentò alla Madre, questa

disse: «Domattina ti recherai a... per

21. Testimonianza di suor Armella Mora, entrata nel 1917.

sostituire quella superiora, la quale andrà al tuo posto». La suora non

riuscì a trattenere un moto di sgomento, che di certo la Madre avver-

tì: la casa, cui era destinata, a quando a quando veniva visitata dai la-

dri ... Andò a letto, ma non riusciva a prender sonno e piangeva, seb-

bene fosse pronta ad obbedire. Verso la mezzanotte si avvicinò una

consorella che, chiamandola per nome, disse: «Stia tranquilla e ripo-

si; mi manda la Madre a dirle che non andrà più in quella casa, ma

verrà mandata altrove»."

Riconoscente

L'umiltà della Madre Generale la portava a stimare le sue suore. Le

lasciava parlare, senza interrompere, senza far prevalere le sue idee;

appoggiava le loro iniziative, senza imporre le proprie. Si congratu-

lava sinceramente, quando le suore ottenevano qualche successo; re-

stava edificata e commossa davanti alla loro virtù e le ringraziava per

la grande

consolazione recata al suo cuore di madre.

Il vostro fervore e la cieca obbedienza con la quale avete accettato i

diversi cambiamenti, mi rendono sicura del vostro amore per l'Istitu-

to, della vostra unione con la Casa Madre e con le superiore maggio-

ri. Vi ringrazio di queste consolazioni che avete dato al mio cuore: Se

formeremo un corpo solo e resteremo sempre unite così, nel pensiero

e nell'azione, l'Istituto sarà benedetto, il caro Padre dall'alto sorriderà

e gioirà perché verrà gloria a Dio da tutte le sue figlie,"

Dopo un corso di esercizi, la Madre scrive anche a nome del Fonda-

tore, dichiarando che essi si tengono «sicuri, sicurissimi» sulla buona

volontà delle esercitanti. «Rinnovate come

22. Testimonianza di suor Gerarda Melloni.

23. [MADRE MARIA], La voce del Padre, 5 (novembre 1926) p. 4.

356

siete nel Signore» scrive madre Maria, «voi persevererete sino alla

fine e ci darete in quest'anno delle grandissime consolazioni, e di ciò

vi ringraziamo anticipatamente di cuore»."

Quando le figlie sono generose e corrispondono ai desideri del padre

Fondatore, la Mantovani ne prova grande conforto ed esprime la sua

sentita riconoscenza. Alle suore delle filiali che, con ripetuti risparmi

e sante iniziative, hanno collaborato alla erezione della nuova chiesa

di Castelletto, la Madre scrive:

Vi dico il vero: sono rimasta straordinariamente contenta ed ho am-

mirato la vostra diligenza, assiduità e costanza; così il caro Padre re-

stò mille volte soddisfattissimo e contentissimo. Noi ci sentiamo il

cuore riboccante di riconoscenza verso di voi e vi riconosciamo me-

ritevoli di un premio ... Ma il premio maggiore lo avrete dalla Sacra

Famiglia e dall'Immacolata di Lourdes, in questo mondo e nell'altro."

Incoraggiante

Madre Mantovani era per natura ottimista. La semplicità d'animo, la

confidenza in Dio e il continuo ricorso alla Madonna la rendevano

ancor più fiduciosa. Il suo volto sereno, le sue parole pacate e mater-

ne avevano una particolare efficacia per ridare fiducia agli spiriti in-

quieti.

A rianimar le figliuole bastavano poche parole. La Madre usava le

espressioni consuete, semplici, incisive: esse toccavano subito i cuo-

ri, semplificavano i problemi, infondevano nuove energie ed assicu-

ravano il successo.

«Ho inteso tutto» risponde la Madre ad una suora. «Sta tranquilla,

vivi in pace, sta di buon umore, che in breve accomoderò ogni co-

sa»." A suor Fortunata, che all'inizio della vita religiosa andava sog-

getta a scrupoli e ad angustie di spirito, scrive:

24. Circolare del 25 febbraio 1914.

25. Circolare del 9 dicembre 1918.

26. Lettera ad una suora, scritta nel 1933.

Riguardo alle tue inquietudini, non ti avvilire, non perdere la pace,

ch'è tutt'arte del demonio. Sta allegra, caccia via dalla tua mente quei

pensieri, confida in Dio, rammenta i tanti consigli ricevuti dal nostro

357

reverendissimo Padre. A questo riguardo, prega e basta; vivi tranquil-

la, tranquillissima,"

«Stai dunque tranquilla» scrive madre Maria ad una suora afflitta per

quanto si stava dicendo sul suo conto. «Ho voluto ripassare la tua let-

tera agitatissima del 4 novembre e la lettera di tua sorella; ora basta.

Ma anche prima, quando eri agitata per quello che si diceva di te, io

ti sentivo figlia e ti amavo come ora»."

Quando fu aperta la casa di Castelcovati presso Chiari, si udivano di

notte degli strani rumori. Chi dava la colpa a malviventi notturni; chi

parlava del diavolo, geloso del bene che le suore avrebbero fatto nel

paese; il parroco offrì suffragi per i morti che avevano abitato la casa

... Le inquiline erano fortemente impressionate, e pertanto si consi-

gliavano con la Casa Madre.

«Fatevi coraggio» scriveva la Confondatrice, a nome anche del Pa-

dre. «Non temete di niente. Se veramente fosse il demonio, sarebbe

meglio: segno che l'opera lo urta nei nervi e per questo cerca di allon-

tanarvi da costì». «Nessuna paura continuava la Madre, «coraggio!

Avete Gesù con voi, e basta»."

I rumori cessarono dopo tredici anni, «qual che ne fosse la causa»."

La costanza e il coraggio delle suore, rianimate dal Padre e dalla Ma-

dre, vinsero quella strana battaglia.

27. Lettera a suor Fortunata Toniolo, scritta entro gli anni 1896 e

1898.

28. Lettera a suor D. M., 23 dicembre 1933.

29. Lettera alla comunità di Castelcovati, d'incerta data.

30. GIUSEPPE TRECCA, Mons. Giuseppe Nascimbeni, p. 275. Il

Trecca descrive le

diverse fasi della curiosa vicenda, ivi, pp. 273-276.

Quando correggeva ...

La Mantovani non si abbandonava mai all'irritazione o allo sdegno.

Alle suddite raccomandava la serenità e la mitezza: con i bambini,

358

con i malati, coi vecchi. Ella, per prima, dava esempi di eroica pa-

zienza.

«Le correzioni le faceva con dolcezza e carità”, «finiva con la bontà

e la dolcezza»;" «usava tali maniere che, invece d'esser risentite,

sembrava d'aver fatto un corso di esercizi»." «In apparenza sembrava

severa, ma il suo cuore era veramente materno”.

Quando una suddita meritava un richiamo, non era risparmiata; é se

la colpa esigeva un'ammenda, alla correzione teneva dietro la peni-

tenza. Ma se la suora dava segni di sincero pentimento, se promette-

va umilmente d'emendarsi, la pena veniva tolta o ridotta, e Madre e

figlia facevano subito la pace.

Non voleva che le suddite stessero in angustia per i rimproveri rice-

vuti; e se qualcuna ne era afflitta, più afflitta restava la Madre, la

quale, in giornata, mandava una suora in cerca della consorella ripre-

sa. «Dille che venga a chiedere perdono» ingiungeva madre Maria,

«e se non ha il coraggio di presentarsi, dille che scriva un biglietto,

ma non rivelare che questo te l'ho suggerito io». Quando la latrice

consegnava il

biglietto della suora pentita alla Madre, questa, rispondendo, vi scri-

veva sopra: «Tutto è perdonato! Vieni, che voglio vederti»."

Nel 1921 la Confondatrice ebbe a soffrire da parte d'una suora, la

quale abbandonò la casa ove si trovava, si ritirò presso la canonica

d'un sacerdote, con l'intenzione di entrare in altro Istituto. La Madre

Generale scrisse subito, spedì un telegramma, mandò l'assistente suor

Fortunata Toniolo; inu-

31. Testimonianza di suor Veneranda Garagna, entrata nel 1910.

32. Testimonianza di suor Salvata Tamellini.

33. Testimonianza di suor Veronica Semprebon, entrata nel 1898.

34. Testimonianza di suor Borromea Coltro.

35. Testimonianza di suor Clemenza Ambrosi.

tilmente, la suora non volle piegarsi. Passato un po' di tempo, la fug-

gitiva rientrò in se stessa, si pentì e scrisse a Castelletto, supplicando

d'essere riammessa nella Congregazione.

359

La Superiora Generale rispose con tono materno, lamentando tuttavia

che nello scritto della figliuola mancasse «la parte più importante».

«lo mi aspettavo» osservava infatti la Madre, «che tu mi facessi delle

belle promesse per l'avvenire. Speravo che mi dicessi: - Madre, mi

metto nelle sue mani; faccia di me quello che vuole, mi mandi dove

vuole, mi richiami quando crede, mi metta suddita in qualunque po-

sto e con chi vuole: sarò sempre pronta ad obbedire ai miei reverendi

superiori».

«Ecco ciò che importa» dichiarava la Madre, e proseguiva: «Riguar-

do al passato, io dimentico tutto volentieri; stendo un denso velo su

tutto e di cuore; ma mi preme l'avvenire. Se tu dunque mi prometti

queste cose, io ti assicuro che, al tuo ritorno, sarai accolta senza rim-

provero alcuno»."

La suora promise. Venne a Castelletto, fu ricevuta con materno affet-

to, si rimise a far bene, servendo generosamente Dio e l'Istituto sino

alla morte.

La bontà e la fermezza della Madre Confondatrice ottennero alla fi-

glia pentita il totale ravvedimento.

«Il bel sorriso della Madre»

La carità materna della Mantovani trovava continuo alimento nella

preghiera. La Madre pregava assiduamente per le figlie, per le vicine

e per le lontane.

«lo vi tengo tutte sempre scolpite nella mente e nel cuore scriveva lo-

ro; «vi tengo sempre presenti dinanzi al SS. Sacramento»;" e ancora:

«io prego tanto e sempre per voi»." Nel

36. La Lettera porta la data del 9 ottobre 1921.

37. circolare del 31 gennaio 1922.

38. circolare del 24 marzo 1923.

critico maggio 1915, quando l'Italia stava per entrare in guerra, ma-

dre Maria incorava le suore scrivendo: «Fatevi coraggio, state di

buon animo, che noi ogni momento vi ricordiamo al SS. Sacramento

e alla nostra cara Immacolata di Lourdes».

Questo abituale incontro con le figlie nell'intimità della preghiera,

questo continuo parlare di loro a Dio e alla Madonna aumentava la

tenerezza e la comprensione nel cuore della Madre. Sì che quando le

360

incontrava durante il giorno, quando si intratteneva a tu per tu con lo-

ro, l'interiore bontà le splendeva sul volto, le brillava negli occhi af-

fettuosi, le fioriva sulle labbra sempre atteggiate al «più bel sorriso».

Il «sorriso» della Madre: ancor oggi rimane impresso nel ricordo

commosso delle figlie. «Vicino a lei» afferma una di esse «era sem-

pre festa; ogni pena o difficoltà spariva come per incanto, la pace e la

gioia tornavano a risplendere nel piccolo cielo della mia anima. La

sua bontà m'infondeva forza e coraggio. Anche oggi, dopo tanti anni

di vita religiosa, il ricordo delle sue amabili virtù e del suo bel sorriso

m'è di sprone e di conforto».

E un'altra scrive: «Con quanta semplicità la Madre ci ammoniva e

con quanta materna fermezza ci incoraggiava alla fedele osservanza!

Appena si confidava a lei un bisogno, spirituale o materiale, subito

sapeva comprenderci e confortarci, così che tornavano serene e tran-

quille al lavoro. Il suo inalterabile sorriso era per tutte, ma special-

mente per me, un forte stimolo alla virtù e al sacrificio»."

39. Circolare dell'8 maggio 1920.

40. Circolare del 21 maggio 1915.

41. Testimonianza di suor Adina Petroselli.

42. Testimonianza di suor Armella Mora.

361

362

CAPO QUARTO

LE MALATE

Fra le Piccole Suore della Sacra Famiglia non ci sono distinzioni o

preferenze. Le cariche, i titoli di studio, l'abilità nell'attendere alle

opere danno il diritto soltanto a lavorare con maggior impegno per

l'Istituto, secondo lo spirito del Fondatore.

Solo le malate vengono trattate diversamente, come esige la carità e

la giustizia. «A noi che siamo sane» diceva madre Maria «bastano

polenta e formaggio; alle malate voglio che non manchi niente».'

Materne premure

La Mantovani, in verità, era piena di sollecitudine per le suore infer-

me. Le assisteva nei bisogni del corpo e in quelli dello spirito. Face-

va di tutto per andare incontro ai loro desideri. Pur di alleviare le loro

pene, pur di renderle contente, non badava a spese e a incomodi.

Voleva che anche le superiore locali fossero premurose verso le sud-

dite malate. Se qualcuna era trascurata, quando giungeva a Castellet-

to veniva ripresa con severità.

Appena veniva a sapere che una suora era caduta in qualche malattia,

la Madre subito si metteva in contatto con lei o con la superiora di

lei. Seguiva la malata da vicino e

1. Testimonianza di suor Anselma Begalli.

all'occorrenza dava disposizioni precise. Medici, medicine, vitto, as-

sistenza: di tutto la Madre si occupava. Se l'inferma subiva un peg-

gioramento, madre Maria stava in pensiero, seguiva gli sviluppi della

malattia e voleva ricevere continue informazioni. La paziente, non

era sua figlia? Pertanto ordinava alle superiore:

Ammalandosi gravemente qualche suora, mandatecene notizia ogni

giorno, magari con semplice cartolina; ma non fateci stare in pena ...

Anche questa è obbedienza!

363

Per le malate gravi si recitavano speciali preghiere in tutta la Con-

gregazione. Quando una suora stava male, la Madre si affrettava a

darne notizia e a chiedere preghiere per mezzo delle lettere circolari.

Anche gli amici e i lettori del Nazareth erano invitati ad elevare pre-

ghiere al Signore per la guarigione delle suore inferme, onde potesse-

ro riacquistare le forze e riprendere il lavoro sospeso.

Confortatrice

A Castelletto, presso l'infermeria della Casa Madre, la Mantovani po-

teva assistere le suore ammalate più maternamente. Nei primi tempi

ella stessa curava le inferme: preparava loro dei cibi speciali e si pre-

stava ancora per i servizi delicati, come appunto fa una madre. Con

gli anni aumentarono le suore e le case e le preoccupazioni, ma la

Confondatrice ebbe sempre cura affettuosa delle malate. «Voleva che

fossero trattate con particolare carità, con cordialità e amore».

Le andava a trovare spesso, almeno una volta al giorno. Portava la

benedizione del Padre, quando questi era impedito.

2. Circolare del 15 giugno 1918.

3. Testimonianza di suor Evarista Dalla Fontana.

Chiedeva come avessero passato la notte, la giornata; conversava con

loro, le animava a sostenere con pazienza gl'incomodi della malattia,

le incoraggiava. «Sta' tranquilla» diceva con la sua abituale calma,

«che guarirai presto», «che la Madonna ti guarirà». Le malate resta-

vano bene, si sentivano sollevate, offrivano di buon animo le proprie

sofferenze al Signore, e intanto passava un altro giorno.

La Madre conosceva i bisogni di ciascuna e, potendo, vi provvedeva.

Se una convalescente aveva bisogno di rifarsi all'aria natìa, con le

cautele dovute, veniva inviata presso i parenti. Tornata in convento,

la suora continuava le cure, i controlli medici, la dieta, le precauzio-

ni: la Madre non era soddisfatta fino a che la figlia non fosse ristabi-

lita completamente.

Talvolta il bisogno costringeva la Madre a mandare in una filiale la

suora non del tutto guarita. «Va pure» ingiungeva alla partente, «ma

se avverti un lieve peggioramento, non aver riguardi, scrivi diretta-

mente a me: io sono la tua mamma e questa è la tua casa».'

364

Tra le malate v'eran di quelle che guarivano soltanto dopo anni di

degenza, o non guarivano più. Queste erano confortate con particola-

re affetto dalla Madre Confondatrice. Ella non voleva che fossero

angustiate, o reputandosi inutili alla Congregazione o per le cure di-

spendiose: la provvidenza c'era anche per loro.

Ti dico di stare tranquilla, di far la cura che ti fu ordinata. Non guar-

dare alla spesa. Il Signore provvederà?

4. Testimonianza di suor Giocondina Mattiello.

5. Lettera a suor Anselma Begalli, d'incerta data.

Peperoni e uccelletti

Le malate avevano grande confidenza con la Madre Confondatrice.

Sapevano che a lei si poteva dire tutto e chiedere tutto, perché la Ma-

dre le amava. Alla Madre, come a nessuna altra persona, manifesta-

vano le proprie voglie, sicure d'essere accontentate. Perché non pre-

starsi a queste inezie puerili, perché negare queste soddisfazioni, se

basta tanto poco a render contento un ammalato?

Un giorno, mentre la Madre visitava le inferme, una suora espresse il

desiderio di mangiare dei peperoni. Madre Maria si allontanò e poco

dopo riapparve, portando dei peperoni in un vassoio. «Mangia, man-

gia» disse all'inferma, poggiando il vassoio sul comodino; e la suora

malata prese a mangiare i peperoni con tanto gusto, come se mettesse

in bocca della frutta prelibata.

Altra volta, la medesima inferma ebbe voglia di mangiare degli uc-

celletti, e la Madre «mandò una suora in paese a comperarli»."

«Ecco il Proton»

Le figlie non abusavano della condiscendenza della Madre. Talune,

anzi, erano restie nel procurarsi i medicinali, temendo d'essere di pe-

so all'Istituto. In tali casi la Mantovani prendeva l'iniziativa e prov-

vedeva essa stessa le medicine.

«Dopo il noviziato» scrive una suora «fui mandata in Folgaria, nella

provincia di Trento, ove rimasi per due anni. Poiché lassù non mi

sentivo bene, venni richiamata a Castelletto. Appena mi vide, la Ma-

365

dre chiese come stavo e che medicine prendevo. «Il Proton» risposi,

«ma ora non ne ho più», La Madre non disse una parola e mi licen-

ziò. Poco dopo mi

6 Testimonianza di suor Serafia Finetti, entrata nel 1913.

mandò a chiamare e col più bel sorriso: «Ecco il Proton» disse;

«prendilo, il Signore ti farà guarire

Un'altra testimone asserisce: «Da tempo soffrivo per una artrite. Co-

nosciuto il male che avevo, la Madre mi chiese come stavo e se ave-

vo fatto la cura prescritta. Le risposi di no, perché la medicina era

troppo costosa. Madre Maria allora aprì l'armadio che teneva nel suo

studio, prese due flaconi di detta medicina: «Prendi» mi disse, «io ne

posso fare a meno, perché sto meglio». Non avrei voluto che la Ma-

dre si fosse privata della medicina per me, ma fui costretta ad accet-

tare, per farla contenta, anzi felice, perché era una felicità per la Ma-

dre provvedere alle necessità delle sue figlie»."

La nuova infermeria

La premura di madre Maria per le suore malate l'indusse ad ideare la

nuova infermeria. Nuova in rapporto alla vecchia, disadorna, piccola,

e perciò insufficiente al bisogno. Era stata adattata dal Padre Fonda-

tore, nel vecchio fabbricato, e riproduceva la povertà delle origini.

Nel settembre del 1917 venne inaugurata la cappellina, e da allora il

Santissimo rimase «vicino alle carissime inferme, per essere l'amico

e il consolatore più fedele, e soprattutto il presidio più potente per l'e-

ternità»."

Tale, infatti, era considerata l'infermeria nei primi tempi: una palestra

ove si esercitavano la pazienza e la rassegnazione, il noviziato dell'e-

ternità. Le parole «Anticamera del Paradiso», fatte scolpire dal Padre

sulla parete esterna del piccolo reparto, ne indicavano la destinazio-

ne: più che di recuperar la salute, s'era preoccupati di prepararsi

all'incontro con Dio. Qui

366

7. Testimonianza di suor Gesualda Degani.

8. Testimonianza di suor Gerarda Melloni.

9. Nazareth, 12 (settembre 1917) p. 3.

morirono suor Pia Ruffo e molte altre consorelle, passate all'eternità

«col sorriso sul labbro»; le loro virtù e sofferenze, note soltanto a Di-

o, santificarono i primi decenni dell'Istituto.

I lavori di sterro e di livellamento per la costruzione della nuova in-

fermeria cominciarono nel marzo del 1925; il 3 agosto dello stesso

anno venne posta la prima pietra, e nell'agosto successivo il moderno

fabbricato accoglieva le prime inferme.

La sua posizione è incantevole: «in alto, su per i fianchi del Baldo,

donde il sole nascente ci piove i suoi primi raggi; sul davanti, giù in

basso, la Casa Madre, con la tomba del venerato Fondatore e le tre

cappelle: della Grotta di Lourdes, dell' Addolorata e quella, più gran-

de, per la Comunità; poi giardini, con piante resinose e tigli; più in là

verso ovest: il lago, i monti e i paesi della riviera bresciana. Dalle fi-

nestre e dai terrazzini ... si ha sempre aperto davanti agli occhi, uno

dei più magnifici quadri di natura: cielo, monti, lago, che rasserena

gli spiriti, rafforza i corpi, solleva a Dio»."

Per ottenere il nulla osta dalle competenti autorità, l'Istituto dovette

affrontare forti opposizioni. Da principio non si voleva che l'inferme-

ria sorgesse; costruita, non si voleva che fosse abitata. La Madre

Confondatrice pazientava; pregava, faceva pregare, s'abbandonava

alla Provvidenza, che certamente avrebbe protetto le figlie malate.

Infatti ci furono proteste, ricorsi, sopralluoghi, che contribuirono a

mettere in luce la buona causa delle suore e la tendenziosità degli

oppositori.

Il grandioso edificio venne ampliato negli anni 1953 e 1954, Con

l'aggiunta della nuova ala, per volere della superiora generale madre

Ifigenia Maria Salandin, successa alla madre Fortunata Toniolo nel

governo della Congregazione. Anche i locali già esistenti furono tra-

sformati e allestiti conforme alle nuove esigenze sanitarie.

Attualmente l'infermeria è abitata da un centinaio di suore

367

10. Quasi oliva speciosa in campis, pp. 39-40.

ammalate e dalle consorelle che prestan loro amorosa assistenza. Il

centro di attrazione del fabbricato è la cappella devota ove da alcuni

anni si tiene l'adorazione quotidiana. Voluta dalla Madre Generale,

vivamente desiderata dalle inferme inaugurata solennemente dal ve-

scovo di Verona mons. Giuseppe Carraro, l'adorazione quotidiana

rappresenta il dono più gradito offerto alle degenti. Preghiera e soffe-

renza pazientemente accettata: questa la vita nell'infermeria. Più giù,

nel noviziato e nell'apstolinato, preghiera, lavoro, studio riempiono la

giornata. Gl'ideali sono i medesimi: l'Istituto, la Chiesa, il mondo.

Ma le sorelle malate hanno la parte preminente, versano il contributo

più alto alla comune causa.

E intanto, vicino a Gesù, nell'intimità della cappella a loro riservata,

passano giorni sereni, in attesa che si compia su di loro la volontà di

Dio. O riprenderanno il lavoro sospeso, a salute rifatta. O salperanno

fidenti, in compagnia di Gesù, per l'eterno approdo.

CAPO QUINTO

LE DEFUNTE

Le malattie sono acconti versati alla morte. Le suore malate fanno ri-

cordare spontaneamente le consorelle defunte.

Quando venne il momento di lasciare la terra per madre Maria Man-

tovani, la sera del 2 febbraio 1934, ben 179 figliuole l'avevano pre-

ceduta nell'al di là. Molte furono da lei assistite durante l'agonia, tutte

furono accompagnate dalle sue preghiere; quasi tutte vennero man

mano ricordate o nelle lettere circolari o nei necrologi del Narareth o

su La voce del Padre.

Nel comunicare alla Congregazione che una suora non è più, che è

passata all'eternità, madre Maria dice sovente che la cara defunta «è

368

stata trapiantata nell'aiuole del cielo». La espressione merita d'essere

illustrata.

Quando presso la Casa Madre si tengono le vestizioni e le professio-

ni, la cronaca del Nazareth parla di «fiori di paradiso»; allorché sono

annunciate le suore defunte, si dice «fiori per il paradiso», «fiori tra-

piantati in paradiso». È un modo tutto proprio di considerare la vita

religiosa, tanto caro alla mente e al linguaggio della Mantovani. Con

la vestizione e la professione, la ragazze lasciano il mondo ed entra-

no nel giardino del Signore, ove debbono diventare fiori olezzanti di

virtù. A quando a quando, il celeste Giardiniere scende nella sua pro-

prietà a cogliere i fiori più belli e più profumati. Allora avviene il

trapianto, secondo la Madre Confondatrice: dalle aiuole della terra le

sue figlie vengono trasferite nell'aiuole del cielo.

Suor Pia Strapparava

Il primo fioredella Congregazione venne colto il l° giugno dell'anno

1898. Si chiamava suor Pia Strapparava. Da Perzacco (Verona), ov'e-

ra nata, venne a Castelletto nel maggio del 1897. Aveva 27 anni e fa-

ceva la tessitrice. In convento ebbe l'incarico di preparare la stoffa

per i vestiti delle suore. Stava confezionando anche il suo per la pros-

sima vestizione, che doveva aver luogo il 20 settembre dello stesso

anno. Ammalò gravemente. Il Fondatore e la Confondatrice, che tan-

to amavano la figliuola, ne furono costernati. Le usarono tutti i ri-

guardi e la sottoposero a diverse cure. Inutilmente: il male precipitò.

Verso la fine del maggio successivo l'inferma era ridotta in fin di vi-

ta. Prima di morire, per volontà del Fondatore, fu ammessa alla ve-

stizione e alla professione.

Negli ultimi giorni suor Pia chiedeva cosa avrebbe dovuto fare in pa-

radiso. «Tu farai la Generale!» rispose il Fondatore. Egli stimava

grandemente questa santa creatura; e sebbene ne avvertisse la perdi-

ta, si sentiva profondamente consolato, pensando che ora aveva una

delle sue figliuole in cielo. Scriveva infatti in quei giorni: «Adesso

non sento più così forti le pene che il Signore di quando in quando

mi manda, perché ho la nuova fondazione nel cielo. Oh, la memoria

di suor Pia quanto mi è di conforto continuamente! Non ve lo posso

369

dichiarare a parole. Una mia figlia nella gloria dei Santi! Oh, che gio-

ia ineffabile!»!

Altre novizie

Delle Piccole Suore che precedettero la Confondatrice nell'altra vita,

molte morirono ancor giovani. La debole costituzione, l'insalubrità

dei luoghi e delle case ove prestava-

Lettera del Padre a suor Fortunata Toniolo, 8 giugno 1898.

no servizio senza risparmiarsi, i disagi sofferti durante la guerra, l'as-

sistenza ai contagiosi, le cure inadeguate ne condussero parecchie al-

la tomba. Alcune vennero meno durante il noviziato ed ottennero la

grazia di emettere i voti prima di morire.

Leggiamo sulle cronache del Narareth, che ci riportano agli ultimi

mesi della guerra mondiale: «Il 15 luglio 1918 la Sacra Famiglia co-

glieva un fiore d'innocenza dalle aiuole del nostro noviziato per tra-

piantarlo nei gaudi eterni del paradiso. Sì, il numero 552 doveva es-

sere coperto dalla carissima novizia suor Ilda [Marsetti], la quale,

dopo lunga e dolorosa infermità, se ne volava calma e sorridente agli

amplessi dello Sposo celeste». Sul letto della sua agonia aveva emes-

so, «con grande amore», la professione religiosa.'

Ai primi dell'anno 1916, la madre Mantovani ricordava una novizia

morta santamente all'ospedale di Lonigo. Prima di spirare, essa pure

aveva emesso i voti alla presenza della superiora di Arcole, che rap-

presentava la Madre Generale. «Pregate per quest'anima benedetta»

esortava madre Maria, «la quale edificò tutti durante la lunga e dolo-

rosa malattia, per la sua grande pazienza, per il suo ardente amore a

Gesù e all'Istituto».'

L'anno 1925 portò via sei novizie. La precoce scomparsa di queste

sante giovani, «le quali - come osservava la Mantovani - prometteva-

no tanto bene e un giorno sarebbero divenute colonne per il nostro

Istituto», spronava le sorelle viventi a ben operare, onde fossero

sempre pronte al celeste richiamo. «Erano fiori olezzanti e belli»

continuava la Madre, «e il Divin Giardiniere li colse e li trapiantò nei

giardini eterni. Adoriamo

370

2. Quando il Nazareth o le circolari della Confondatrice annunciano

la morte d'una

suora, spesso ne indicano il numero che viene ad occupare tra le con-

sorelle defunte. E

prenderà il numero successivo? L'incertezza della morte è uno stimo-

lo potente alla

Vigilanza e alla pratica delle virtù.

3. Nazareth, 13 (luglio 1918) p. 4.

4. Circolare del l0 gennaio 1916.

i disegni di Dio e procuriamo di vivere come se ogni giorno doves-

simo morire. Teniamo la lampada sempre ben fornita di olio ad imi-

tazione delle vergini prudenti».'

Tre bocciuoli

A volte il celeste Giardiniere veniva a cogliere i bocciuoli, prima che

aria malefica li corrompesse. Alludiamo alle piccole orfane, cui le

premure della Madre e le amorevoli cure delle suore assistenti non

valsero a trattener in terra. Cagionevoli fin dalla nascita, denutrite

durante la guerra, le piccine eran votate inesorabilmente alla morte

prima ancora di sbocciare alla vita. Oggi verrebbero salvate, ma in

quei tempi di alta mortalità infantile non c'era scampo per quelle in-

nocenti: andavano ad allietare il paradiso.

La prima ad esser colta fu una delle 25 orfanelle dell'Immacolata di

Lourdes. Era anche iscritta fra i paggi del SS. Sacramento e «con che

gioia - scrive il Nazaretb - attendeva l'ora di adorazione mensile! Al-

lora indossava la tracolla rossa e la medaglia dei paggi, con le mani

giunte, gli occhi bassi, tutta compresa della sua nobile missione di

angioletto terrestre, si recava all'altare assieme alla lunga schiera del-

le altre paggette. Andava ad adorare il Re dei re, nascosto sotto i veli

eucaristici e a riceverlo nel suo piccolo cuore che tanto ardeva d'amo-

re per Gesù». La piccina venne colpita da una misteriosa febbre, che

la tenne in letto per più mesi. «Ogni mattina si cibava del pane euca-

ristico; ed anche negli ultimi giorni, sebbene fosse stremata di forze,

appena vedeva avvicinarsi il sacerdote con la sacra pisside, la cara

orfanella si alzava da sola sul letto con grande fatica, incrociava le

manine sul petto e con raccoglimento e con vera edificazione degli

astanti faceva la comunione».

371

5 Circolare del 21 dicembre 1926.

Rita De Franceschi, così si chiamava la piccola inferma, aveva cin-

que anni. Ebbe appena il tempo di spuntare sulla terra, ove passò

«come candida visione», poi subito fece ritorno al suo Dio."

Due anni dopo, moriva Fiore Tonioli, che da tre anni era stata ospita-

ta nell'orfanotrofio di Desenzano sul lago di Garda. Trascriviamo,

senza commenti, quanto scrisse per l'occasione il Nazareth, sotto il

titolo «Fiore di paradiso».

Aveva soli undici anni, ma fiore eletto, mandava già grato profumo

di elette virtù. Serena, docile, obbediente, era amante della preghiera

e specialmente di Gesù in Sacramento, che ogni giorno riceveva con

singolare devozione. Era fiore di paradiso, e il Signore la volle con

sé. Raccolta sul letto dell'agonia, poche ore prima di volarsene tra gli

angeli, desiderò fortificarsi del loro cibo. Che edificante comunione!.

.. Le scarne braccia incrociate sul petto ... i vividi occhi fissi al cielo

... sul cereo volto tutta un'aria di paradiso ... pareva una visione!. ..

E Gesù allontanò da lei gli orrori della morte e la favorì della più so-

ave consolazione. Pochi istanti prima di morire, gli occhi della fan-

ciulla ritornano al cielo; ella sorride, esulta, chiama le suore e la zia a

godere la dolce visione della Madonna, di san Giuseppe, dell'angelo

custode e della mamma, che dal paradiso muovono ad incontrarla ...

»

Da Desenzano torniamo a Castelletto, ove nel settembre dello stesso

anno 1921 viene reciso un altro «fiore di paradiso», per essere porta-

to in cielo. Leggiamo sul Nazareth: «La celeste Giardiniera in

quest'anno scese nuovamente nel giardino a lei consacrato, cioè tra le

nostre care orfanelle dell'Immacolata, e ne scelse il fiore più gentile e

delicato per tra pian tarlo nell'aiuole del paradiso. Celestina Zoldon,

d'anni sette e mezzo, fu colpita da febbri infettive che in pochi giorni

la condussero alla tomba). Alla mamma, ch'era accorsa al suo capez-

zale e che supplicava, «non morirmi, Celestina, non morirmi», la fi-

gliuola morente rispose: «No, mamma; lasciami andare in

372

6. Nazareth, 14 (aprile 1919) p. 3.

7. Nazareth, 16 (aprile 1921) p. 3.

paradiso». Il delicato fiore reclinò su lo stelo, dolcemente, e si spense

«per andare a godere i dolci amplessi della sua Madre celeste».

Fior da fiore

Su la scorta del Nazareth, che pubblica i nomi e gli elogi delle defun-

te, entriamo nel giardino delle Piccole Suore della Sacra Famiglia.

Vogliamo cogliere un mazzo tra quei fiori che vi crebbero nei tempi

d'oro dell'Istituto e andarono a profumare il cielo prima della Con-

fondatrice. Il mazzo celebra tutto il giardino e mette in luce l'abilità

di coloro che l'andavano coltivando. Le virtù delle suore defunte de-

scrivono il fervore delle prime generazioni, ed esaltano pertanto l'o-

pera del Padre Fondatore e della Madre Confondatrice, che di quel

fervore furono animatori costanti e vigili custodi.

Dopo la scomparsa di suor Pia Strapparava, avvenuta nel giugno del

1898, morirono altre sedici suore nello spazio di otto anni e mezzo.

Di esse non si hanno notizie, poiché «a nessuno mai passò per la

mente in quei primi anni di registrare nomi e fatti che avessero potu-

to servire un giorno come soggetti d'ammirazione e d'encomio. Più

che a registrare le buone azioni sui quaderni, si pensava a farIe, la-

sciando al Signore il tenerne il debito conto nel libro della vita»." Ma

da quando prese a uscire periodicamente il Nazareth, le consorelle

defunte vennero ricordate e raccomandate alle preghiere delle perso-

ne buone, e furono pure esaltate, a comune edificazione, le loro virtù.

La prima a comparire sulle colonne della rivista è suor Elena Colom-

bo. Moriva all'età di 29 anni, il i- gennaio del 1907. «Era una colom-

ba per il candore» si dice di lei; «nuova Elena, aveva

8. Narareth, 16 [settembre 1921) p.3.

9. GIULIO DALDOSS, Mons. Giuseppe Nascimbeni, p. 735.

trovato la croce di Gesù nella malattia che da tempo la tormentava.

Ella fu contenta di portare quella croce e morì, sperando di trovare in

cielo la gloria riservata a chi quaggiù piange, ama e spera»."

All'età di 39 anni, suor Carolina Battistoni «moriva santamente, dopo

aver consumata la breve ma laboriosa vita al servizio di Dio ed a

373

vantaggio del prossimo ... L'angelico sorriso, che conservò fino

all'ultimo respiro, e il ricordo delle sue preclare virtù, come ne ren-

dono più sacra e consolante la memoria, così ne fanno più dolorosa la

perdita»."

Suor Eva Ceriani lasciava la terra a 28 anni, il 9 luglio del 1915. «La

sua lunga malattia fu un continuo spasimo, l'agonia fu dolorosissima.

Ma lei sempre calma, sempre serena come un angelo. Dal letto dei

suoi dolori ci fu maestra di fortezza, di umiltà di spirito e di grande

preghiera. Per ricevere il suo caro Gesù ogni mattina, quanta sete,

quale arsura tollerava durante la notte! Per non ailliggere i suoi amati

superiori e le sue sorelle, quanti spasimi sopportava in silenzio!»

Di suor Adeodata Bovi, morta a 26 anni, si attesta che la sua vita re-

ligiosa, benché brevissima, fu profumata dall'esercizio costante delle

più belle virtù. Si distinse, in particolar modo, per la sua eroica obbe-

dienza e per la tenera devozione che nutriva verso il SS. Sacramento.

Durante la malattia, che fu dolorosissima, suor Adeodata pregava

sempre «ed era costantemente unita al suo Sposo celeste»."

Suor Tranquilla Gaiani moriva poco dopo la professione temporanea.

Sapeva murare e tinteggiare, poi si prestava ancora in cucina e

nell'infermeria. Una crisi intestinale, refrattaria a tutte le cure, la con-

dusse precocemente alla tomba. La sua morte fu preceduta da quella

del fratello, rimasto ucciso al fronte. Dalla madre che amorosamente

l'assisteva, si fece

10. Nazareth, 2 (gennaio 1907) p. 4.

11. Nazareth, 4 (giugno 1909) p. 4.

12. Nazareth, 10 (luglio 1915) p. 4.

13. Nazareth, II (luglio 1916) p. 4.

promettere che avrebbe sopportato serenamente la morte del figlio e

della figlia. La madre promise. «Allora muoio tranquilla» disse l'in-

ferma. Morì infatti, tranquillamente, alle ore 3 pomeridiane del ve-

nerdì 15 settembre 1917.

Nel medesimo giorno si spegneva suor Provvidenza Rossi. Era la

giardiniera della Madonna della Grotta; e la Madonna, improvvisa-

mente, venne a prenderla per portarla con sé, nel giorno dedicato a

celebrare i suoi Dolori. Paziente, amante della povertà, suor Provvi-

denza era particolarmente abile nel preparare i bambini deficienti alla

374

prima comunione. Amava la preghiera; e quando non le bastava il

giorno, pregava a lungo di notte."

Suor Barsabidea Maddalena moriva nella casa filiale di Guidizzolo

(Mantova), il 28 dicembre del 1917. «Professa da tre anni» commen-

tava il Nazareth, «essa è volata a portare al suo Sposo celeste il giglio

della sua intemerata purezza di cui andava gelosa, lieta di metterlo

presto al sicuro da ogni contatto che potesse menomarne la freschez-

za»."

L'instancabile direttrice della tipografia dell'Istituto, suor Mansueta

Orcese ebbe la grazia di morire il 19 marzo 1923, festa di S. Giusep-

pe. Era conosciuta dentro e fuori la Congregazione, e tutti la stima-

vano, tutti si sentivano migliori a trattare con lei. «Pareva quasi una

bambina, tanto l'anima bella le si leggeva negli occhi grandi e sere-

ni». Per la sua semplicità e schiettezza era molto cara ai Fondatori.

Amò l'Istituto e le sue opere, amò il proprio lavoro. Suor Mansueta

«fece onore» al suo nome. «Irritarsi, andare in collera, uscire in paro-

le offensive, non le era possibile». Attuò con perfezione il program-

ma della Piccola Suora: lavorare, pregare, soffrire. Quando non poté

più lavorare, intensificò la preghiera e l'offerta della sofferenza che

da tempo' andava purificando la sua anima eletta.

14. Nazareth, 12 (settembre 1917) p. 4.

15. Narareth, 12 (settembre 1917) p. 4.

16. Narareth, 13 (gennaio 1918) p. 4.

17. Nazareth, 18 (marzo 1923) p. 3.

Vittima della guerra

Ricordiamo una sola delle consorelle generose, che morirono durante

la guerra mondiale: suor Onofria Dalla Via. «Suora e superiora mo-

dello» dice di lei il Nazareth, «si distinse per la sua straordinaria dili-

genza, per la sua grande pazienza e carità». Da principio si dedicò

all'assistenza dei vecchi nel ricovero di Canal san Bovo, nella pro-

vincia di Trento, e li seguì, profughi, a Firenze e a Pistoia. I disagi ne

scossero la salute. Suor Onofria venne chiamata presso la Casa Ma-

dre per un periodo di riposo; «poi con novella energia - continua il

Naearetli - riprese la sua santa missione di carità nell'ospedale milita-

re di Peschiera, e da ultimo in quello di Parma». Quivi, con sollecitu-

375

dine materna, assisteva i soldati colerosi. Ne contrasse il morbo, e in

soli cinque giorni «se ne volava allo Sposo celeste per ricevere la du-

plice corona di vergine e di martire della carità e del dovere». Suor

Onofria aveva 31 anni."

Di fronte alla morte

Un'altra vittima della guerra fu suor Degna Guarise. Soffrì la prigio-

nia, durante la quale si consacrò alla cura dei feriti. Si valse del parti-

colare ascendente che aveva su di loro per convertirne molti, e molti

aiutò a morire santamente. I patimenti sofferti allora ne minarono la

salute per sempre. Nel 1921 venne ricoverata nell'infermeria dell'Isti-

tuto ove rimase ferma in letto per otto mesi.

Durante questo tempo, fu a tutte esempio di rara fede, di coraggio, di

amore ardente al suo caro Gesù, per il quale non era mai sazia di pa-

tire ... «Tutto per Gesù!" ripeteva negli accessi di tosse che conti-

nuamente la tormentavano; e ai desolati genitori, che vennero a rac-

cogliere l'ultimo suo respiro, diceva: «Non piangete ... fatevi corag-

gio ... io non ho paura della

18. Nazareth, 13 (settembre 1918) p. 4.

morte, anzi muoio volentieri, perché spero di unirmi per sempre al

mio Dio». Passò gli ultimi giorni in serena e santa letizia, a guisa di

chi è vicino ad un premio, a una corona.

Ugual serenità di fronte alla morte ebbe suor Geltrude De Beni. Ven-

ne a mancare nel marzo del 1929, dopo avere assistiti tanti poveri

vecchi presso il ricovero di Arsiero (Vicenza), che morirono in quel

crudo inverno. Polmonite doppia, otite acuta, paralisi, la ridussero a-

gli estremi in dieci giorni.

Abituata com'era al disprezzo di se stessa, suor Geltrude non si mise

a letto se non quando si sentì sopraffatta dal male, ed anche in letto

aiutava gli altri con esortazioni e consigli. Fino all'ultimo della sua

vita, pensò più per gli altri che per sé. Dalla sua bocca non uscì un

lamento. Il suo sguardo era sempre buono e sereno, l'animo calmo e

tranquillo, anche quando il male maggiormente infieriva. Sempre

soddisfatta dell'assistenza e dei rimedi, essa non sperava che nel Si-

gnore, perché sapeva che egli solo l'avrebbe potuta salvare. Affrontò

la morte senza timori. Essa stessa si espresse così: «Non ho paura di

morire. Perché temere la morte? Quando si è fatto il proprio dovere,

376

la morte non deve spaventare». Ed essa l'accettò senza dare il mini-

mo segno di turbamento."

Materna compiacenza

Il trapasso sereno delle figlie consolava la Madre Confondatrice.

Sebbene sentisse profondamente la loro perdita, restava confortata al

vedere come le sue suore andavano incontro all'eternità. La morte

sollevava i veli e metteva in luce meriti e valori nascosti. Madre Ma-

ria si compiaceva grandemente nel riscontrare nelle defunte quelle

medesime virtù, che ella stessa prediligeva e che inculcava alle figlie

nelle lettere circolari o durante gli esercizi annuali o a colloquio con

ognuna di loro.

Carissime nella Sacra Famiglia: Il buon Dio pare goda cogliere i

19. Nazareth, 17 (aprile 1922) p. 4.

20. La voce del Padre, 8 (aprile 1929) p. 8.

fiori del nostro Istituto, ch'è suo. Altre tre anime belle sono volate al

suo divino cospetto: suor Servidea, suor Elisabetta, suor Severina. La

prima fu modello di mitezza e di mortificazione, la seconda di perfet-

ta

conformità al volere di Dio, la terza di una costanza eroica nell'esatto

adempimento dei suoi doveri,"

Le fuoruscite

Non tutte le suore lasciavano la Madre e le con sorelle per andare in

cielo, a ricevere la corona. Qualcuna - la strada dell'eroismo è co-

sparsa di feriti e disertori - abbandonava l'Istituto per rientrare nel

mondo.

Finché deponevano l'abito le novizie o le professe di voti temporanei,

madre Maria non si rammaricava molto. Erano in prova; anzi aveva-

no diritto alla scelta: o restare in convento o tornare in famiglia. An-

che la Chiesa è sommamente gelosa di questa libertà. Ma quando di-

sertava una professa che aveva giurato fedeltà eterna allo Sposo Di-

vino, quando veniva meno una suora cui ella stessa aveva messo l'a-

nello in dito nel giorno santo della professione perpetua, in tal caso la

Madre avvertiva tutta la gravità del traviamento e se ne doleva, in-

consolabile, quasi avesse perduta la figlia per sempre.

377

E che altro potevano fare le sorelle fedeli, all'infuori di raccogliersi in

preghiera davanti allo Sposo «abbandonato», espiando e implorando

per la sventurata? Perciò la Madre scriveva:

Col cuore trafitto da acutissimo dolore, devo pregarvi di fare tre

giorni di fervorose riparazioni per una grande offesa recata al Cuore

Sacratissimo di Gesù da una nostra suora, la quale ora non è Più nel

nostro Istituto. Presso la Casa Madre si terrà esposto il SS. Sacra-

mento per tre giorni; e voi tutte, nessuna eccettuata, fate in comune

per tre giorni continui un'ora di adorazione, ma proprio davanti al SS.

Sacramento,"

21. La voce del Padre, 7 (giugno 1928) p. l.

22. Circolare del 19 dicembre 1921.

Nella cappella dell'Istituto si pregava tutta la notte, allorché una con-

sorella tradiva la vocazione; e quella preghiera espiatrice era fatta al-

tresì per ottenere dal Signore il dono della perseveranza. Col mede-

simo intento la Madre Confondatrice supplicava le figlie:

Preghiamo, carissime, preghiamo e mortifichiamoci. Teniamoci stret-

te a Gesù, osserviamo scrupolosamente la santa Regola, i santi voti;

teniamo cara la vocazione come un tesoro inestimabile. Serviamo il

Signore con timore e tremore, perché Gesù è geloso del cuore delle

sue spose ... Quando vede in una suora un cuore guasto per affetti di-

sordinati, egli l'abbandona; e senza Gesù, carissime, non si può che

rotolare da un precipizio all'altro,finirla in mezzo al mondo e, Dio

non voglia, perdere eternamente l'anima:"

Piuttosto che le suore abbandonassero l'Istituto, venendo meno alla

parola data al Signore, la Mantovani preferiva vederle morte. Anche

questo sentimento rivelava il suo grande amore di madre. «O Signo-

re» così pregava durante la funzione conclusiva degli esercizi annua-

li, «fate che tutte abbiano a corrispondere alla grazia della loro voca-

zione. Nessuna di queste, o Signore, faccia divorzio da Voi! Meglio

vederle morte qui ai vostri piedi ... »

23. Circolare del 13 agosto 1923.

24. Vedi sopra, p. 255.

378

CAPO SESTO

FUORI DELL'ISTITUTO

La carità materna della Confondatrice delle suore di Castelletto sul

Garda s'irradiava anche fuori della Congregazione. Indirettamente,

anzi tutto, attraverso le numerose suore sparse nelle filiali, ch'essa

stessa aveva formato alla vita religiosa e all'apostolato. Ed anche di-

rettamente, presso gli abitanti del paese ed a contatto con le persone

che venivano a Castelletto per trattare con lei.

Abbiamo già rilevato il gran bene che la Mantovani faceva alle gio-

vani della riviera, allorché queste si raccoglievano in ritiro presso la

Casa Madre. Abbiamo pure accennato alla bontà che la Confondatri-

ce diffondeva attorno a sé, quando andava a visitare le case dell'Isti-

tuto: le autorità locali, i medici, gli infermieri, i malati erano attratti

dai suoi modi semplici e materni, e parecchi ne parlavano a lungo

con venerazione.

Ora vogliamo rammentare la carità della Madre verso i compaesani,

e il suo interessamento per i genitori delle suore e per i sacerdoti.

Verso il paese

La Mantovani aveva una particolare affezione per il suo paese. Visse

sempre in Castelletto, a contatto con gli abitanti della zona, con i

quali condivideva le gioie e le feste, le preoccupazioni e le calamità.

Da principio conobbe le famiglie, trattando con le mamme dei bimbi

cui insegnava il catechismo o attraverso le ragazze delle associazioni

parrocchiali. Poi il raggio delle sue conoscenze s'ampliò e s'intensifi-

cò. Con l'andar degli anni la Mantovani venne a conoscere intima-

mente le persone e le famiglie, con tutti i loro problemi: religiosi,

morali, economici. Seguiva con particolare interessamento i poveri e

i malati. Nei proponimenti dell'anno 1895 ribadiva:

Con gl'infermi e con i poveri sarò Più premurosa del passato nel soc-

correre le loro miserie. Sacrificherò volentieri il sonno e la quiete, e

con l'aiuto della Sacra Famiglia cercherò di essere tutta a tutti.

Non poteva agire altrimenti. Oltre essere cresciuta In mezzo a loro, la

Mantovani considerava i compaesani come figli spirituali del servo

379

di Dio mons. Nascimbeni. Erano, dunque, i figli del Padre della sua

anima e di tutte le sue figlie: come avrebbe osato trascurarli?

Perciò si donò a loro generosamente. Anche da suora, potendo, anda-

va a visitare i malati." Assisteva le famiglie bisognose; e ai poverelli

che venivano a chiedere l'elemosina, dava sempre e dava molto, «da-

va tutto ciò che di più bello aveva nel suo guardaroba».' Agli operai

del paese, occupati per anni nei fabbricati del rinnovato Istituto, tro-

vò il lavoro. «E non solo dava lavoro, non pagava solo puntualmente

la mercede, dava il cuore e il sorriso: ristorava il corpo e lo spirito».'

Cosi per molti lustri, sino alla morte. Nessuna meraviglia, pertanto,

se quando la Madre venne meno, gli uomini della contrada vollero

portarne la salma sulle spalle per tutto il paese, «quasi fosse stata la

mamma di tutti». E in quel giorno mesto, molti andavano rimpian-

gendo: «Ah, la Madre! ... Quale perdita! ... »

1. Proponimenti dell'anno 1895: prop. 5.

2. Testimonianza di suor Agnese Brighenti.

3. Testimonianza di suor Adina Petroselli.

4. Suor MARGHERITA MARIA DE PAOLI, La nostra Madre, in

Nazareth, 29 (febbraio

1934) p. 5.

5. Testimonianza di suor Alessia Feller.

I genitori delle suore

Il bene che voleva alle suore portava la Confondatrice ad amare i lo-

ro genitori. Le esortava ad essere generose nel distacco dai parenti,

nell'evitare visite e corrispondenze superflue che tardassero, in qual-

che modo, il loro cammino verso la perfezione religiosa. Ma riguardo

ai genitori voleva che restassero figlie affezionate: più volte all'anno

dovevano scrivere al papà e alla mamma, per dimostrar loro il pro-

prio attaccamento, per consolare la loro vecchiaia.

A Suor Fortunata Toniolo, che all'inizio della vita religiosa eccedeva

talvolta nell'osservanza della Regola, madre Maria scriveva:

Questa mattina abbiamo ricevuto una cartolina da don M., il quale

dice che tua mamma desidera saper notizie di te. Dunque, per obbe-

380

dienza scrivi subito una bellissima lettera a tua mamma, consolando-

la; manda ad essa il tuo indirizzo, che lo desidera tanto?

La Mantovani aveva particolari attenzioni per i genitori che giaceva-

no a letto infermi o ch'erano rimasti soli. Per seguire la chiamata del

Signore, una suora aveva lasciato a casa la mamma sola. Quando

questa invecchiò, la suora venne mandata nella filiale più vicina al

paese di origine, «perché la mamma, di quando in quando, potesse

vederla».'

Tutti i genitori poi erano accolti festosamente a Castelletto, quando

venivano per la vestizione o per la professione delle figlie. Quelle e-

rano veramente feste di famiglia: della famiglia naturale in cui le fi-

gliuole erano cresciute e della famiglia religiosa che le accoglieva

per sempre. In quei giorni, con particolare efficacia, venivano stretti i

vincoli spirituali, che neppur la morte avrebbe sciolti. I genitori delle

suore sono considerati come i primi benefattori dell'Istituto e parteci-

pano ai meriti e ai suffragi di tutta la Congregazione.

6. Lettera a suor Fortunata Toniolo, del 28 ottobre 1899.

7. Testimonianza di suor Aurea Meneghini.

I sacerdoti

Madre Maria venerava i sacerdoti. Li stimava per quello che sono: i

ministri del Signore, i mediatori tra Dio e gli

uomini, i dispensa tori della divina grazia; senza di loro gli uomini

sarebbero soltanto uomini, cioè peccatori irrimediabili, impediti per

sempre di raggiungere le gioie del cielo.

La Mantovani trattava tutti i sacerdoti con devozione, senza prefe-

renze o riguardi umani. Non solo riveriva i vescovi e i prelati, ma a-

veva eguale fede e rispetto per i parroci di campagna e perfino verso

gli umili fraticelli. «Capitò un giorno un padre francescano. La Ma-

dre si prostrò davanti a lui con tutte e due le ginocchia e baciò ripetu-

tamente il cordone»."

Dal Padre Fondatore la Mantovani apprese a trattar bene chi chiede-

va alloggio. Il Servo di Dio infatti era molto ospitale. «Aveva una

particolare predilezione per i poveri, per i sacerdoti e per i religiosi; e

sempre, anche quando riceveva un fratello laico questuante, a tavola

gli cedeva il posto e si metteva alla sinistra di lui»."

381

Diversi ecclesiastici, tra cui qualche vescovo, vennero a Castelletto

per rimettersi in salute. Il clima rivierasco e la quiete del convento

offrivano un valido ristoro al corpo e allo spirito. Appena l'ospite

metteva piede nell'Istituto, la Madre diceva: «Reverendo, faccia con-

to d'essere in casa sua», e disponeva perché fosse trattato bene. Non

voleva ricever nulla per l'ospitalità offerta, e se il sacerdote insisteva,

«faccia qualcosa - diceva la Madre - per le nostre orfanelle»." Gli o-

spiti di passaggio concorrevano al sostentamento delle ospiti perma-

nenti.

Alle suore e alle orfanelle madre Maria inculcava la fede verso i mi-

nistri del Signore. Insegnava loro come dovevano comportarsi, quan-

do trattavano con i sacerdoti: con quel

8. Testimonianza di suor Ildemarca Canton, entrata nel 1922.

9. Testimonianza della Confondatrice, raccolta da suor Solide a Cal-

liari.

10. Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta.

riserbo, cioè, e con quella devozione che conviene avere verso chi af-

fidiamo noi stessi, perché ci aiuti ad andare a Dio. Alle bambine di-

ceva: «Dovreste baciare la terra ove pone il piede il sacerdote».

A loro volta, i sacerdoti avevano grande venerazione verso la Con-

fondatrice. Ne ammiravano le singolari virtù ed erano felici quando

potevano offrirle i loro buoni uffici. Quelli che venivano a Castelletto

in occasione delle vestizioni e professioni, restavano edificati per il

trattamento umile e premuroso che usava loro la Madre Generale;

tornati a casa, continuavano a parlarne bene. E don Giuseppe Trecca,

il geniale biografo del Nascimbeni, che nel lodare ecclesiastici e suo-

re era per natura parco, aveva una particolare devozione verso la ma-

dre Mantovani, e andava dicendo: «Questa donna non ha studiato,

ma ha il buon senso e il criterio d'una che abbia studiato»."

11. Testimonianza di suor Maria Eletta Molucchi.

12. Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta.

OLTRE LA MORTE

I santi non cercano la gloria degli uomini. Abituati a trattare con Dio,

vedono le cose come le vede Dio. Sub specie aeternitatis: alla luce

382

dell'eternità. Nessun bene finito, per quanto appetibile, attira la loro

volontà. Quella sete d'infinito e di eterno, ch'è nel fondo del cuore

umano, nei santi ha preso via via proporzioni immense, incolmabili.

La stima degli uomini non li seduce più. Appare loro per quella che

è: superficiale, mutevole, quasi sempre interessata. Cercano,

pertanto, il compiacimento di Dio. Lavorano per lui solo. Faticano

per accrescere ciò che di eterno Dio ha posto in loro e nei loro fratel-

li.

È questa la via per conseguire la gloria vera anche sulla terra. Co-

stantemente fuggita in vita, la fama insegue i santi oltre la morte; e

quel ch'è più, li segue l'amore. Dopo decenni e secoli, i santi ricevo-

no ancora onori, sono amati e invocati: continuano a diffondere il

bene tra gli uomini.

Madre Maria Mantovani rifuggiva la gloria umana. Quando dichiarò

che «le Piccole Suore debbono stare nascoste, nascoste sempre, sino

al giorno del giudizio», rivelava un atteggiamento abituale del suo

spirito. Era persuasa di non meritare la considerazione altrui. All'in-

fuori degl'insegnamenti impartiti alle suore, i quali ripetevano quelli

del Padre Fondatore, madre Maria non scorgeva nulla che fosse de-

gno d'essere ricordato dopo la sua morte.

Quelli che la conobbero - ed eran tanti - pensavano diversamente. E

quando la Confondatrice venne a mancare,

1. Testimonianza di suor Chelidonia Della Betta.

tutti sentirono la grande perdita. Personaggi illustri, prelati e sacerdo-

ti, enti pubblici ed autorità espressero il loro cordoglio, esaltando i

meriti e le virtù insigni della Defunta. Principalmente le suore e le or-

fanelle piansero la Madre, strappata quasi improvvisamente al loro

filiale affetto. Pareva loro che non dovessero perderla mai, tanto era-

noavvezze a vederla, ad intrattenersi con lei, a sentire le sue parole

buone.

La presenza si cambiò in ricordo. Il ricordo sovente divenne ricorso

fiducioso e invocazione. La Madre restò, e rimane tuttora, accanto

383

alle figlie. Dal cielo, assieme col venerato Fondatore, ella continua a

proteggerle e a guidarle.

CAPO PRIMO

GLORIOSO TRAMONTO

Le superiore e le altre suore vocali, convenute a Castelletto per il ca-

pitolo generale del novembre 1933, erano ben lontane dall'immagina-

re che, trascorse alcune settimane, sarebbero state richiamate per i

funerali della Confondatrice e Superiora Generale.

La morte della Madre giunse inattesa per tutti. Sino alla vigilia del

trapasso, né il medico curante, né la vicaria generale, né le suore che

prestavano amorosa assistenza, supponevano che l'indisposizione

della cara Inferma fosse il preludio della fine irreparabile.

E madre Maria ne aveva il presentimento? Pochi mesi prima le ave-

vano regalato alcuni metri di stoffa; ella pregò la suora addetta alla

sartoria perché le confezionasse due camicie, una delle quali, come

diceva, avrebbe indossato dopo la morte. La sentiva ormai vicina?

È certo che Pio andava preparando alla sua Serva il grande avveni-

mento. Nelle ultime settimane, che precedettero la fine, la Madre era

molto raccolta e silenziosa. Le pene morali, causate da recenti avve-

nimenti e incomprensioni, purificavano la sua anima eletta e dispo-

nevano il cuore al supremo distacco.

L'ultima festa della Sacra Famiglia

La festa titolare dell'Istituto venne celebrata con straordinario fervore

nell'anno in cui morì la Madre. Ella aveva stabilito che, da allora in

poi, la rinnovazione dei voti si compisse nella festa della Sacra Fa-

miglia. Un triduo preparatorio o almeno una giornata di ritiro doveva

disporre l'animo delle suore alla grande solennità.

La Casa Madre precedette le filiali nell'entusiasmo. Fu cantata la

messa nella cappella dell'Istituto e nel pomeriggio si svolsero i vespri

solenni con la predica di circostanza. A mezzogiorno la Madre scese

in refettorio fra le suore, particolarmente acclamata dalle novizie e

dalle probande. La segretaria generale, suor Solidea Calliari, lesse un

indovinato discorso, in cui celebrò il grande merito di quante aveva-

no rinnovato i voti religiosi. Rilevò poi, con particolare compiaci-

mento, la protezione della Sacra Famiglia e del venerato Padre sull'I-

384

stituto, ed auspicò che la medesima festosa carità, che teneva unite le

consorelle in terra, le avesse poi ricongiunte nella gioia del cielo. In

quello stesso giorno fu dispensato un pranzo più abbondante a tutti i

poveri del paese.

La Madre è indisposta

Venti giorni dopo, la mattina del 27 gennaio 1934, la Confondatrice

rimane in letto, colpita da leggera afonia. Il dì seguente, essendo do-

menica, vuole alzarsi per la messa; ma la vicaria generale, suor For-

tunata Toniolo, la prega di tenersi riguardata. Chiamato il medico

della casa, dottor Torre, esamina accuratamente la malata, riscon-

trando un leggero attacco influenzale.

La febbre persiste. Il mattino del 30 gennaio la temperatura sale a 37

e 8. La segretaria generale pensa di avvertire con circolare tutte le ca-

se filiali, invitando a pregare per la Madre inferma; suor Fortunata

dissuade, temendo d'impressionare le suore. Ella, tuttavia, è in preda

a forte apprensione. Non abbandona la camera della Confondatrice: lì

prega, lì mangia, lì fa lo spoglio della corrispondenza che giunge alla

Casa Madre.

Quando la mattina del 31 gennaio ripassa il medico, rileva un po' di

catarro bronchiale; «nulla di allarmante» dichiara, pur ordinando una

cura per prevenire la broncopolmonite.

La Madre si aggrava

Madre Maria passa benino la mattina del lo febbraio, dopo una notte

assai inquieta. L'applicazione del termoforo ai bronchi le reca un no-

tevole sollievo. La notte seguente invece è tormentosa: l'inferma è

molto agitata e in preda a forte arsura. È cessata l'afonia, ma gli at-

tacchi catarrali sono più violenti. Temperatura: 38 e 8.

Mattino, 2 febbraio: festa della Purificazione di Maria e primo ve-

nerdì del mese. La Madre riceve devotamente la comunione. Nessu-

no avrebbe pensato che la comunione del mattino fosse anche viati-

co.

Alle ore 9 ha luogo un consulto medico del dottor Torre e del dottor

Raus di Torri, i quali dicono alle suore presenti: «Vogliono troppo

bene alla Madre; la credono grave e non lo è» .. A sentir loro, non c'è

nulla da temere.

385

Suor Fortunata però non è persuasa: la prima infermiera della Con-

gregazione che, avanti di prendere il velo, era stata accanto ai malati

per quattro anni, è fortemente impressionata ed ha tristi presentimen-

ti. «Avvisiamo le suore con circolare» propone, «che non le spaventi

ma le prepari!». Viene stampata e spedita la circolare, che dice:

Carissime nella Sacra Famiglia: Addoloratissime vi partecipiamo che

la reverendissima Madre la mattina del 27 ultimo scorso rimase a let-

to con una lieve indisposizione e sfebbrata. Così continuò per quattro

giorni, dopo i quali si spiegò una forte bronchite. La notte scorsa si è

aggravata. Perciò la raccomandiamo caldamente alle vostre fervorose

preghiere, perché la Sacra amiglia, il venerato Padre e le Consorelle

defunte le impetrino dal buon Dio la grazia d'una sollecita e perfetta

guarigione.

La Sacra Famiglia ed il venerato Padre ci benedicano e ci consolino.

Vi terremo informate.

Circolare del 2 febbraio 1934, spedita dalle consigliere.

Morte serena

Nella cappella dell'Istituto, suore, novizie, probande e orfanelle pre-

gano ininterrottamente davanti al Santissimo esposto. L'inferma peg-

giora e si fa rossa in viso. Sale la febbre, che a mezzogiorno ha rag-

giunto i 40 gradi e 2. Chiamato d'urgenza il medico, appena vede

l'ammalata, esclama: «È perduta!».

Si decide un ultimo disperato consulto. Per telefono viene chiamato

da Verona il dottor Faccioli, e intanto arriva anche il medico condot-

to di Malcesine, dottor Sisini. Verso le ore 16 giunge il dottor Fac-

cioli portando ossigeno. Troppo tardi. Egli infatti asserisce, sorpreso:

«È inutile chiamarmi, quando ormai è morta: soltanto un miracolo

può salvarla». L'ammalata è giunta alla fase preagonica.

Un'ora prima suor Fortunata aveva chiesto a madre Maria se deside-

rava confessarsi. «Non ho bisogno» rispondeva tranquilla la Confon-

datrice. «È contenta, Madre, di ricevere l'olio santo?» insisteva la vi-

caria. «E perché no?»,

386

Le viene amministrato dal cappellano della casa, don Giovanni Batti-

sta Gasperini, che le resta accanto sino al trapasso. In cappella si con-

tinua a pregare, sconsolatamente. Pregano le suore nella camera della

Madre che sta morendo, prega il cappellano leggendo le formule li-

turgiche. Una densa nube di tristezza avvolge la Casa Madre e il pae-

se.

Verso le 16 e 30 l'inferma perde la parola. Poco dopo anche la cono-

scenza si assopisce.

Passano quattro ore, «orribilmente lunghe, orribilmente brevi» con-

fessa la cronista, suor Solidea Calliari, e continua: «Chi può dire l'in-

tima dolcezza e la forza divina d'attrazione che rapisce madre Maria

dell'Immacolata alle sue figlie?».

Mentre queste attorniano il letto di lei, assieme con i parenti accorsi,

l'anima della Madre è tutta assorta in Dio, non si occupa che di lui

solo.

Alle 21, senza emettere un gemito, «placida, calma, serena com'è

sempre vissuta», madre Maria Mantovani chiude la sua giornata ter-

rena.

I funerali

La lugubre notizia si sparse per tutti i fabbricati della Casa Madre.

Suore, novizie, probande, orfanelle: centinaia di cuori furono oppres-

si da un dolore senza nome. «Fu un solo grido, un unico pianto: ab-

biamo perduto la Madre! La Madre è morta!»

Dalle 22 all'una del 3 febbraio furono spediti 110 telegrammi alle ca-

se filiali, a personalità amiche e a sacerdoti; altri vennero inviati du-

rante il giorno; alcune case e persone furono avvisate per telefono.

Ovunque la notizia giunse tanto più infausta quanto meno attesa. Mi-

gliaia di cuori, risvegliati quasi da un sogno funesto, si volsero a Ca-

stelletto, attorno alla Madre defunta, e molte persone si misero in vi-

aggio.

Pertanto «mani pietose e tremanti» composero la venerata salma, che

il dì seguente venne portata nella vecchia sala del noviziato, trasfor-

mata in camera ardente. Tra i ceri accesi e i fiori sparsi su la bara

spiccava il volto della «Madre», bianco e roseo, sereno nell'immuta-

387

bilità della morte, e la bocca ampia «era atteggiata a materna dolcez-

za».

Mentre le suore e le orfanelle si alternano in amorosa veglia, giungo-

no i primi pellegrini. Molti piangono, pregano tutti. Alcuni accostano

oggetti religiosi alle mani della Morta, ancora flessibili; altri portan

via un fiore, che toccava la salma. Così per tre giorni e due notti, sino

alla sera del 5, quando il

2. Le notizie intorno alla malattia e alla morte della Confondatrice,

come pure le seguenti che riguardano i funerali e la tumulazione, so-

no prese da: Cronaca: dal 1931 al 1939, pp. 27-40; Diario giornalie-

ro: dall'Il novembre 1933 al 31 agosto 1935, pp. 16-25. Vedi, inoltre:

Nazareth, febbraio 1934; Il Gazzettino (di Verona), 4 febbraio 1934,

p. 3; 8 febbraio, p. 6.

cadavere vien chiuso in doppia cassa di zinco e di noce, con vetro sul

coperchio all'altezza del volto. Dalla camera ardente portata nella

grande cappella dell'Istituto, la Madre è vegliata tutta la notte da suo-

re e da orfanelle oranti.

Alle 6 del mattino seguente mons. Erminio Viganò, venuto apposi-

tamente da Roma per rendere l'omaggio estremo alla Confondatrice,

celebra la prima messa. La cappella è gremita di suore, davanti alle

quali il celebrante, a messa finita, pronuncia un commosso discorso.

Egli esalta le virtù della Scomparsa, ch'era l'anima della casa, dagli

inizi incerti e poveri al fastigio attuale.

Nata da genitori poveri ed analfabeti, frutto di fede profonda e di non

comune pietà religiosa, la giovane Domenica Mantovani si rivelò co-

stantemente anima limpida, in cui nulla nascondevasi che potesse of-

fuscare la nettezza ed il chiarore. Limpida perché la luce di Dio vi ir-

radiò soavemente, limpida perché l'aroma della grazia la preservò

dalla corruzione del mondo, limpida perché le nubi delle passioni

non l'oscurarono mai, limpida perché la fiamma dell'amore divino e

della carità l'avvolse e la purificò. Fu tale semplicità e limpidezza di

spirito che la fece conoscere, ammirare e perseguire quel gran bene,

che essa operò in tutta la sua vita religiosa, per la sua perfezione in-

388

dividuale, per l'incremento e la santificazione del suo Istituto, per il

vantaggio del prossimo, per la gloria di Dio e della Chiesa.

lo volgo lo sguardo attorno, e come d'un colpo solo vedo strette at-

torno a questa bara, tante fiorenti istituzioni che, uscite dalla bella

mente e dal grande cuore del Padre, vennero conservate, accresciute,

santificate dal grande amore e dalla semplicità ed insieme prudente

bontà della Madre ...

Le 150 filiali sparse in tutta Italia e all'estero, in cui più di 1000 suore

sviluppano le opere di carità più svariate, la Casa Madre rinnovata, lo

stupendo Noviziato, la moderna Infermeria, le case di Milano per le

suore infermiere, di Verona per le orfane, di Sottomarina per le cure

al mare, di Trento, di Viterbo, ecc., stanno a dimostrare la grande at-

tività della venerata Madre; e sono frutto di tanti pensieri, di tante

preoccupazioni, di tante trattative ed anche di tanti sacrifici da parte

sua, mentre sono ancora l'opera divina che si è manifestata e si mani-

festa nelle risorse umili e semplici di questa grande Suora e Madre.

3 L'intero discorso dattiloscritto di mons. Viganò è conservato

nell'archivio della Casa Madre.

Nella cappella continuano ininterrottamente le messe di suffragio.

Alle 9 ha inizio l'imponente corteo che dalla chiesa dell'Istituto, gi-

rando attorno al monumento ai caduti, accompagna la salma nella

chiesa parrocchiale! Le panche dell'unica navata sono state preventi-

vamente asportate, per fare luogo alle tremila persone presenti. La

chiesa è gremitissima: le cappelle di sinistra sono occupate dalle

scuole femminili, quelle di destra dalle maschili; le orfanelle, dalle

cantorie, accompagnano l'ufficiatura e la solenne messa di requiem. I

riti funebri durano quasi due ore; e prima che si chiudano, don Ange-

lo Boscolo, arciprete di S. Giacomo a Chioggia, legge l'elogio della

Defunta.

Il più eloquente elogio, al dire dell'oratore, sono i numerosrssirru

presenti, convenuti da ogni parte per rendere omaggio alle spoglie

della venerata Madre Confondatrice; sono le opere da lei lasciate.

Data da Dio in aiuto al santo parroco don Giuseppe Nascimbeni,

Domenica Mantovani ne appoggiò gl'ideali e le molteplici istituzioni,

389

dividendo con lui per ben ventinove anni: stenti, fatiche, ansie, lotte,

contraddizioni, ma soprattutto la preghiera, la preghiera confidente e

costante. Nei dodici anni che sopravvisse al Padre, madre Maria ne

completò la missione, sia nel formare le figlie secondo gl'insegna-

menti paterni, sia nel far progredire l'Istituto e le sue opere. Né di-

menticò il paese, che anzi fu sempre provvida benefattrice, massi-

mamente nei momenti difficili e calamitosi.

Con felice riferimento, don Boscolo ricorda che nel 1892 madre Ma-

ria, assieme alle tre prime compagne, proveniente da Verona, scen-

deva dal piroscafo incoronata di rose. Grandi accoglienze furono in

quel giorno tributate alle quattro sorelle, inghirlandate. Quella stessa

corona, oggi, la Madre la porta sul capo. Allora era caparra e pro-

messa; oggi, dopo più di quarant'anni di santa vita religiosa ed apo-

stolica, è ricompensa, è gaudio.

Mentre la banda suona accoratamente, si riordina il lungo corteo che

accompagna la bara, adagiata su carro funebre fatto venire da Bardo-

lino, al camposanto di Castelletto. La cassa viene deposta momenta-

neamente nella chiesa cimiteri aie di

4. Su Il Gazzettino (ed. di Verona) dell'8 febbraio 1934 vengono de-

scritti ampiamente i riti esequiali e il grandioso corteo che, nonostan-

te l'inclemenza del tempo, accompagnò la venerata salma della Man-

tovani al lontano cimitero di Castelletto.

5. Il manoscritto del discorso funebre, tenuto da don Boscolo, si tro-

va presso l'archivio della Casa Madre.

S. Zeno, affinché le suore trattenute dalle bufere di neve possano ar-

rivare in tempo a fissare, per l'ultima volta, «la immutata cara imma-

gine materna».

Qui è calma solenne, scrive il cronista per Il Gazzettino: il lago a

specchio, il Baldo in candore verginale, il cimitero affollato e silente,

il sole appena sorto e già al meriggio dànno l'idea non di funerale, ma

di trionfo. Le campane, per tre giorni, nello scroscio dei singulti,

suonano il mezzodì per chi torna, non per chi resta tra le figlie defun-

te e compì sua giornata innanzi sera ed è già nel giorno che non ha

tramonto:

390

La tumulazione

La sera dello stesso giorno, alle ore 17, ebbero inizio gli esercizi spi-

rituali per le suore che si trovavano a Castelletto. Pochi corsi, si

rammenta, furono tanto fervorosi ed efficaci. Dal Diario giornaliero'

trascriviamo le annotazioni di questi giorni, così espressive nella loro

laconicità:

7 febbraio. Oggi pellegrinaggio continuo di suore, orfanelle e parroc-

chiani al cimitero. Vanno a visitare la salma della Madre, esposta

nella piccola chiesa del camposanto.

8 febbraio. Anche oggi continua il pellegrinaggio al cimitero. Giunge

suor Agnese, una delle ultime ad arrivare, a causa del tempo nevoso

e della lontananza, poiché si trova nell'Italia media.

9 febbraio. Continua il pellegrinaggio al cimitero.

10 febbraio. Pellegrinaggio al cimitero di suore, orfanelle e parroc-

chiani. La Morta è sempre uguale: nessuna alterazione sul suo corpo,

nessunissima macchia.

12 febbraio. Pellegrinaggio delle suore esercitanti al cimitero, per

porgere

l'ultimo saluto alla salma della Superiora Generale [nel pomeriggio

molte

facevano ritorno alle filiali]. Il cappellano della casa ha celebrato a

suffragio

della Madre, cui ha fatto seguito il canto delle esequie.

6. Il Gazzettino, 8 febbraio 1934, p. 6.

7. Diario giornaliero, pp. 22-25.

13 febbraio. Ultimo saluto alle venerate spoglie della Superiora Ge-

nerale. Verso le ore 9 del mattino, presenti suor Agnese [Brighenti] e

suor Veneranda [Garagna] ed altre suore, la bara venne collocata nei

due loculi gentilmente concessi dal signor Podestà. Prima che venis-

sero chiusi, suor Agnese e suor Veneranda deposero sulla cassa un

391

bigliettino, chiedendo alla cara Defunta la materna benedizione su

tutte le suore, sull'intero Istituto e sulle sue opere.

Quivi le spoglie mortali della Confondatrice riposeranno per circa

vent'anni, dopo i quali verranno riesumate e trasportate nella cappel-

lina del cimitero della Congregazione, costruito accanto a quello co-

munale.

CAPO SECONDO

IL GIUDIZIO DEGLI UOMINI

Non erano trascorse ancora 24 ore da che la Madre Confondatrice era

piamente spirata, che già arrivarono a Castelletto i primi telegrammi

di condoglianza; poi ne giunsero altri, poi altri ancora, da tutta Italia

e dall'estero. Con i telegrammi si alternavano gli scritti, ove le e-

spressioni di cordoglio erano accompagnate da sensi di stima e di ve-

nerazione per la Defunta.

Quanti ebbero occasione di conoscere la Madre durante il suo lungo

generalato, non la dimenticarono più. E adesso ch'è scomparsa, i ri-

cordi si fanno più vivi e commossi. È un coro di voci, vicine e lonta-

ne, umili e insigni, che si fondono con quelle delle figlie e delle orfa-

nelle nel celebrare le lodi della cara Estinta.

Dal copioso carteggio, pervenuto in quei giorni alla Casa Madre,

scegliamo alcuni scritti di per sé validi a «testimoniare» quanto fosse

ammirata e benvoluta la Prima Suora della Congregazione. Ai con-

sensi espressi per lettera premettiamo alcuni

Giudizi della stampa

Anzi tutto rammentiamo Il Gazzettino di Verona. Nell'annunciare il

«grave lutto» che ha colpito Castelletto e l'Istituto della Sacra Fami-

glia, il quotidiano illustra le benemerenze della Madre Generale de-

funta, e dice:

1. Il Gazzettino, 4 febbraio 1934, p. 3.

Aveva l'età del Fondatore; aveva celebrato l'anno scorso il 40.mo

dell'Istituto, inaugurando il grandioso noviziato eretto da lei; era da

392

pochi mesi confermata Superiora Generale, dal capitolo e dalla santa

Sede, era matura per il cielo.

La giovane trentenne Domenica Mantovani, scelta dal Padre nel

1892 prima tra le sue figlie spirituali, pietra angolare del suo Istituto,

plasmata da lui, ne trasfuse lo spirito nella crescente famiglia: e al-

lorché 12 anni fa mancò mons. Nascimbeni e i facili censori preve-

devano l'estinguersi della Congregazione, questa invece, retta dalla

prudenza ferma e cordiale della Madre, crebbe sino a contar oggi

1200 figlie.

Intuizione precisa, buon senso, costanza e rettitudine, gran cuore,

pietà soda, le conciliavano il rispetto e la stima degl'intelligenti, l'ob-

bedienza volonterosa e l'amore delle figlie, la gratitudine del paese

intero, e giustificavano il titolo di Madre divenuto suo nome esclusi-

vo e proprio. Nelle 160 filiali, migliaia di bimbi, di orfanelle, di vec-

chi, di malati negli ospedali in pace e in guerra, nel Comune e per

tutta la riviera, col nome di «Madre» intendevano lei. E lo era.

Anche da suora si tenne figlia del paese natìo, e ne divenne precipua

benefattrice, sia con i lavori continui dell'Istituto contro la disoccu-

pazione, sia con gli acquisti e il movimento, con la beneficenza pe-

riodica invernale, con la carità nascosta, e ora esplosa nella ricono-

scenza, ché niuno ricorse mai invano a lei.

Identico tributo di lode rendeva alla Confondatrice delle Piccole Suo-

re di Castelletto L'Osservatore Romano? dal quale stralciamo il passo

seguente:

Prima Superiora Generale delle Piccole Suore della Sacra Famiglia,

madre Maria Mantovani ben a ragione è detta la Confondatrice della

Pia Congregazione. Prudente e saggia, ella seppe trovare nella gene-

rosità inesauribile del suo cuore e nella fiducia grande nella divina

Provvidenza, la forza e la capacità per superare le difficoltà che pa-

revano ostacolare i primi passi del nuovo Istituto; e dopo la morte del

Fondatore mons. Nascimbeni, continuò da sola a sostenere il grave

peso dell'ormai prospera comunità.

Dotata di squisita sensibilità e di amorevolezza veramente materna,

prodigò tutta se stessa per le sue figlie spirituali: a tutto e a tutte pen-

sava e provvedeva con quella sollecitudine che mostrava la preoccu-

393

pazione del suo cuore e che si traduceva nelle opere di apostolato

delle sue figlie.

2. L'Osservatore Romano, 5-6 febbraio 1934, p. 6.

Sotto il suo governo le Piccole Suore della Sacra Famiglia fiorirono

in modo inaspettato: preparate le sue suore con le cure più premuro-

se, educandole ad una santa vita di preghiera e di lavoro, madre Ma-

ria vide, poco a poco, dischiudersi al suo Istituto sempre più vasti e

fecondi campi di apostolato ... dall'educazione degli orfani e degli

abbandonati, alla cura dei malati, all'opera prestata presso seminari e

collegi, perché a tutto le Piccole Suore si dedicano nella umiltà e nel

silenzio, secondo i saggi ammonimenti della loro Superiora Genera-

le.

Da Loco della Svizzera il sacerdote A. Mocetti informa i lettori del

Messaggero Serafico' su la morte di madre Maria dell'Immacolata,

«grande terziaria francescana». «Il Fondatore aveva bisogno di un

aiuto - dice, tra l'altro, lo scrittore ed essa fu ai suoi fianchi a divider-

ne le prove». E continua:

Come san Benedetto, san Francesco d'Assisi, san Francesco di Sales,

il beato don Bosco, il beato Cottolengo si affidarono all'opera di san-

ta Scolastica, di santa Chiara, di santa Giovanna Chantal, della Maz-

zarello, di Marianna Nosi, così il servo di Dio Giuseppe Nascimbeni

associò nella fondazione suor Maria Mantovani, e da questo mistico

connubio ne sorse l'Istituto ora rigoglioso, i cui rapidi progressi ma-

nifestano evidentemente l'intervento di Dio.

È un ramo innestato sul grande albero della grande famiglia france-

scana; o meglio, è un germoglio scaturito dalla vitalità prodigiosa di

quest'albero, perché mons. Nascimbeni era terziario francescano lui

pure.

Le prime suore compirono il loro noviziato a Verona nel convento

delle Terziarie e tutte s'improntarono nello spirito della regola fran-

cescana ... regola degna delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, che

nella povertà dovevano francescanamente imitare la povertà di Gesù,

Maria e Giuseppe ...

394

Il piccolo albero cresceva spinoso, ma ogni anno la fioritura di rose

era traboccante, sicché il mistico giardino ampliò le sue proporzioni

fino a varcare i confini d'Italia ... Il Fondatore e la Fondatrice potero-

no inviare l'esercito delle loro Figlie, sempre più crescenti in numero,

nel ministero di diverse opere di carità. Furono richieste anche in

Svizzera, a Linthal, ad Haetzingen, a Schwanden, a Loco, a Osogna,

a Morcote, ove è noto lo spirito ottimo di religiose esemplari ed apo-

stoliche.

L'anno 1922 il Padre se n'andava a ricevere il premio dei suoi grandi

meriti e madre Maria restò sola al governo della Congregazione; ma

aveva in sé la nobile robustezza di un'anima dalla tempra veramente

cristiana, e poté

3. Messaggero serafico - Madonna del Sasso, 24 (marzo 1934) pp.

71-72.

attendere all'ampliamento della Casa, con l'aiuto di un valido Consi-

glio. Piccola di statura, aveva però un aspetto che incuteva rispetto e

amore. A lei guardavano le figlie, vicine e lontane, come a faro che

segna la via: a lei guardavano, come a madre, a maestra, a guida del-

la più alta perfezione religiosa.

Sacerdoti ed altre personalità

La notizia della morte di madre Maria Mantovani produsse, in quanti

la conoscevano, sorpresa, cordoglio, gioia. Sorpresa, perché giunse

inaspettata; cordoglio, a motivo della perdita che subivano l'Istituto e

tutti coloro cui giungeva la carità spirituale e materiale della Confon-

datrice; e gioia altresì, causata dalla persuasione che la cara Scom-

parsa godesse di già la felicità del cielo. È una convinzione, quest'ul-

tima, comune a tutti gli scritti pervenuti alla Casa' Madre in quei

giorni di lutto. Essa si fonda sulla vita santa della Defunta, le cui vir-

tù sono ricordate con devota ammirazione.

Con vera sorpresa e sommo dolore appresi la preziosa morte della

vostra reverendissima Madre Generale. Così volle il buon Dio: così

sia! Pure non è meno doloroso per chi ama. Certo, ella è fra il nume-

ro di quelle anime che sono predilette dal Signore, e la sua memoria

è in benedizione .. .'

395

Oh la dolorosissima notizia! Qual perdita per il caro Istituto! Ti con-

fesso che sento così vivo dispiacere e così profondo dolore, che mi

sento muta e inconsolabile ... Insomma, faccio mio tutto il tuo dolore.

E che possiamo noi ripetere al Signore? Egli aveva dato una Fonda-

trice ed una Generale santa ... Per l'anima benedetta si può godere,

giacché è andata alla Patria, è volata in seno a Dio ... Che cumulo di

meriti, quale gloria si sarà procacciata con la sua vita di santa Fonda-

trice!'

Celebrai subito la santa Messa pro defuncta, che spero, con 99 di cer-

tezza, sarà già a godere col Padre in paradiso il premio della sua san-

ta vita di sacrificio e di bontà..

4. Sac. Luigi Pizzini, Serravalle Trentino, febbraio 1934.

5. Suor Alacoque Calliari, Figlia del Sacro Cuore, sorella di suor So-

lidea,

segretaria generale: Trento 3 febbraio 1934.

6. Sac. Pietro Giudici, Cologno Monzese 26 febbraio 1934.

A nome del venerato Padre superiore don Giovanni Calabria, porgo a

Lei e a codesta venerata Famiglia Religiosa, le più vive condoglian-

ze, per la morte 'della loro Madre Generale. Il Padre stava per cele-

brare la santa messa quando ne udì la prima notizia e la ricordò subi-

to, specialissimo modo, nel divin sacrificio. Del resto, ella, ricca di

tanti meriti, volò diritta al bel paradiso. Sarà questo il pensiero più

consolante per loro, perché così nel cielo hanno acquistato una ben

valida protettrice.

Con profondo dolore ricevetti la notizia della morte della loro santa

Madre Generale, che ebbi il bene di conoscere in occasione di una

mia visita alla tomba del venerato Fondatore. Non posso descrivere

l'impressione di santità e di pietà che ne riportai. Compresi di essere

alla presenza di una figura di purissima suora, di una mente superio-

re, di un cuore occupato totalmente da Dio e dissi tra me: «Fortunata

la Congregazione retta da un'anima sì rara!»!

Siamo proprio alla presenza d'una santa che dal cielo perorerà sem-

pre e meglio la causa della sua Congregazione e delle sue tanto ama-

te figlie. Il plebiscito dei funerali è senza dubbio eloquente, come lo

396

è anche il fatto della venerata Salma non ancora intaccata dai germi

della corruzione. lo penso che non tarderanno a far inserire nel cata-

logo dei santi il nome della venerata Madre.'

Solo da due giorni ebbi l'inaspettata e dolorosa notizia. Povera e cara

Madre! La pensavo sempre e se avevo dei desideri, erano di poterla

vedere almeno una volta e che campasse fino a tarda età, a bene

dell'Istituto. Ma quest'ultimo non perderà certo per la morte di lei,

ché la reverendissima Madre è una santa e dal cielo sarà grandemente

propizia ... Fino dalla mia tenera età l'ho veduta come santa, sempre

mantenni questa persuasione, ed ora me ne sento sicura.

L'assicuro che mons. Vescovo (di Vicenza) ed io, che molto abbiamo

sperimentato le rare doti dell'animo della Defunta, pregheremo per-

ché il suo spirito riceva in cielo un premio degno di tanti meriti."

La venerata Madre lascia dietro di sé una scia luminosa di esempi da

imitare. L'attività intesa in uno spirito squisitamente evangelico non

aveva

7. Sac. Luigi Pedrollo, Casa Buoni Fanciulli, Verona 5 febbraio

1934.

8. Sac. Giuseppe Calori, Nomi (Trento) 7 febbraio 1934.

9. Sac. Angelo Riva, Osogna (Svizzera) 13 febbraio 1934.

10. Madre Concetta Cova, Gavardo (Brescia) 12 febbraio 1934.

11. Sac. Giacomo Pieropan, delegato vescovile per le religiose, Vi-

cenza 12 febbraio 1934.

altro fine che il bene del prossimo e la gloria di Dio! La sua venerata

figura sarà ricordata in benedizione, oltreché dalla sua Famiglia reli-

giosa, anche da tutti quanti ebbero la fortuna di conoscerla ... "

Fiore di bontà, margherita eletta di Castelletto, giglio di candore e di

purezza, da codesto mistico giardino, ove perenne resterà il profumo

delle sue virtù, venne trapiantato nelle eterne aiuole del paradiso. Più

volte ebbi l'onore di conoscere e di ammirare le belle e singolari doti

della loro degnissima Madre, ma devo confessare che quello che mi

colpiva maggiormente era la sua grande umiltà, per cui la vedevo in-

trattenersi familiarmente non solo con le sue ottime suore, ma altresì

con le novizie e con la più piccola delle sue orfanelle. È questo il se-

397

greto che plasma le anime grandi, forma l'abito alla virtù e popola il

cielo di santi. E allora siamo più che certi che la bell'anima della loro

Madre Generale e prima superiora dell'intero Istituto è passata dalla

terra al cielo a raccogliere il premio di una vita attiva e virtuosa, pas-

sata nel nascondimento e nella preghiera."

Da poco più di un mese avevo conosciuto la Madre defunta. È stato

sufficiente questo tempo perché si generasse in me come un fascino,

una venerazione verso la grande Scomparsa. Perciò ho sentito il bi-

sogno di affrontare ogni sacrificio pur di arrivare a porgere l'estremo

saluto a lei che ci ha lasciati. Lasciati con la sua presenza materiale,

ma non col suo spirito, ma non col suo cuore, che sarà sempre con le

sue figlie, come sempre vi è quello del venerato Padre."

Voci di figlie

Nessuno tanto soffrì per la morte della Mantovani quanto le sue figlie

spiritual. Da principio non riuscivano a persuadersi che la Madre fos-

se morta davvero e che si potesse continuare a vivere senza di lei.

Lei, le aveva ricevute in convento; lei presente, avevano vestito l'abi-

to religioso ed emessi i santi voti: avevano fatto il noviziato vicino a

lei, confortate dalla sua materna amorevolezza, guidate dai suoi e-

sempi ed ammaestra-

12. Signor Emilio Turco, Verona febbraio 1934.

13. Sac. D. Surriena, Carouge (Ginevra) 7 febbraio 1934.

14. Sac. Giovanni Baravelli, Serravalle Ferrarese 7 febbraio 1934.

menti. Ora non era più; e quando sarebbero venute a Castelletto, non

l'avrebbero trovata, non si sarebbero più intrattenute con lei nell'inti-

mità del suo studio.

Le suore che non poterono essere presenti ai funerali, scrissero alla

vicaria suor Fortunata, dando sfogo al loro dolore. Dalle filiali infatti

giunsero decine e decine di lettere che ripetono, con maggior acco-

ramento, i motivi già noti. La persuasione che la Madre gioisca nella

gloria e che dal cielo continui ad amare ed a proteggere le figliuole,

lenisce l'angoscia della perdita e sprona ad imitarne le virtù.

Sorpresa dolorosissima ci fu la notizia della morte della nostra ama-

tissima Madre, molto più che non la sapevamo ammalata. Dio nei

suoi imperscrutabili decreti ha voluto togliere dal nostro giardino

398

quel fiore che emanava dappertutto soave fragranza per le sue rare

virtù e trapiantarlo nel giardino celeste ... Oh! il pensiero che ci con-

forta è quello che la nostra buona Madre avrà già ricevuto il premio

delle sue fatiche, dei suoi dolori fisici e morali, sostenuti per il bene

dell'Istituto e di noi sue figlie."

Non so trattenere le lacrime al pensare che, dopo trent'anni di vita re-

ligiosa, abituata a scrivere sempre alla nostra cara Madre Generale,

ella ora non è più ... Il sapere che avevamo una Madre così cara, sol-

lecita del nostro bene, forte e soave nel tempo stesso, tutta a tutte

senza distinzione di sorta, ci spronava a sopportare le tante croci, che

incontriamo sul nostro cammino."

Il nostro cuore è talmente straziato dal dolore che non troviamo le

parole per esprimerlo. A quel telegramma, «È morta la Madre Gene-

rale», siamo rimaste ammutolite ... Non si voleva credere ... Non ab-

biamo più la Madre! Pensiero che strazia l'anima! Siamo lontane, ma

il cuore è costì, unite alle sorelle che piangono, vicine alla bara fune-

bre ... Non abbiamo il bene di vederla, ecco il nostro dolore. Dal cie-

lo ci guarderà; benedirà le sue figlie, unitamente al venerato Padre."

Ci troviamo ancora immerse nel più crudo dolore per la mancanza

quasi repentina della carissima Madre Generale, però la pensiamo in

paradiso

15. Suor Placidia Capri e suor Elpidia Marziali, Chioggia 3 febbraio

1934.

16. Suor Cieli a Balanti, Luzzara (Reggio Emilia) 16 febbraio 1934.

17. Suore di Pontelagoscuro (Ferrara), 4 febbraio 1934.

vicina al carissimo Padre, a godere insieme la pienezza della felicità,

guadagnata quaggiù con l'esercizio delle virtù, di cui ci diedero am-

bedue così grandi esempi."

Non ci possiamo rendere persuase d'essere orfane di tanta Madre,

buona e santa. Non troviamo parole valevoli e confortanti, perché la

mancanza della carissima Madre non ha conforti quaggiù. Solamente

ci consoliamo, sapendo come Ella goda già il premio del gran bene

fattoci e dalla beatitudine eterna ancora vigilerà e proteggerà le sue

figlie."

399

La Sacra Famiglia l'ha chiamata con sé nel bel paradiso, a godere il

grande premio che si è meritata con la sua vita tutta santa ed operosa

... ma noi non l'abbiamo più!"

Il nostro dispiacere è grande, tutte lo sentiamo, perché l'affetto e la

gratitudine ci portava ad amarla quale Madre tenerissima, per le mol-

teplici virtù e la carità grande che aveva per le sue figlie ... Siamo più

che sicure, che la nostra carissima Madre gode il premio dei beati nel

soggiorno del paradiso, col nostro amato Padre."

Quando fui privata della mia mamma adorata, madre Maria mi ripe-

teva spesso: «Ti farò io da mamrna!». Ed eccomi orfana una seconda

volta, e questo dolore è dieci volte ben più grande del primo."

Oh! se ella ci ha amate fin qui, non cesserà ora di amarci e di pregare

perché diventiamo buone, come c'insegnò e fece ella stessa."

Abbiamo promesso sulle sacre spoglie della nostra carissima Madre

di fare il possibile per imitarne le virtù, specialmente la semplicità, la

rettitudine, la purezza del cuore; di amarci a vicenda e di amare il no-

stro Istituto, di stare unite in un sol cuore, di concentrare i nostri af-

fetti in Dio solo ... "

18. Suor Letizia Fondrieschi, Legnaro (Padova) 10 febbraio 1934.

19. Tre suore di Arcola (La Spezia), febbraio 1934.

20. Suor Gennara Chirico, Montottone (Ascoli Piceno) 12 febbraio

1934.

21. Suor Ernesta Valtorta (per tutte), Trieste 9 febbraio 1934.

22. Suor Luciana Faccin, Viterbo Il febbraio 1934.

23. Suor Lambertina Capparuccia e suor Leonilde Vignolo, Bellante

(Teramo) 6

febbraio 1934.

24. Suor Marcella De Muri e sorelle, Merano (Bolzano) 8 febbraio

1934.

Il pianto delle orfanelle

Le piccole ospiti dei diversi orfanotrofi rimasero doppiamente orfa-

ne. La scomparsa della «Madre» provocò un tale vuoto nei loro cuo-

ri, che nessuno riuscì a colmare. In parti colar modo le più vicine,

400

quelle che si trovavano a Castelletto, soffrirono grandemente per la

perdita della loro benefattrice. Erano abituate a vederla tutti i giorni:

a ricreazio- ne, in refettorio, in chiesa. Andavano frequentemente da

lei; la visitavano nel suo studio, sentivano la sua voce, ricevevano i

piccoli regali che tanta gioia mettevano nei loro cuori.

Ora passano le giornate, e le piccine non vedono mai la Madre, non

sentono più le sue parole buone. Vanno però spesso a trovarla nel

camposanto, vanno a pregare sulla sua tomba e a promettere d'essere

più buone. Ma qualcosa di cambiato c'è sul loro volto da quando la

Madre è partita: qualcosa di mesto e di grave, che le rende precoce-

mente pensierose, quasi preoccupate.

Pertanto le orfanelle lontane, che si trovano a Verona e a Milano, ed

anche le ex allieve che da tempo hanno lasciato il caro nido, saputa la

morte della Madre, mandano lettere commoventi a Castelletto. Le pa-

role dicono poco nei momenti dei grandi dolori: eppure esse rivelano

segreti stati d'animo, ove la riconoscenza e l'affetto lasciano impronte

indelebili.

Ho perso ormai colei che mi amava tanto, quella cara mamma che

sempre pensava per le sue sventurate figlie lontane, che sono al

mondo senza padre e senza madre."

Mi unisco al suo dolore ed a quello delle care orfanelle ... Seppi la

notizia per mezzo della superiora e subito ne restai muta, senza saper

dir niente. Speriamo che quell'angelo di bontà, assieme al venerato

Padre e a tutte le Consorelle defunte, preghino per noi ... La prego di

tenermi presente quando faranno stampare l'immagine-ricordo."

25. Maria Bertoletti, Brescia febbraio 1934.

26. Rosina Tezza, Longaron (Belluno) 13 febbraio 1934.

Con grande dolore intesi la triste notizia: la perdita della cara Madre.

Non avrei mai pensato di non vederla più ... Sebbene lontana col cor-

po, sono presente con lo spirito ed innalzo preghiere, perché dal cie-

lo, ove certamente si trova, benedica la sua orfanella .. ."

Dev'essere ben triste la grande Casa senza la Madre! Le assicuro che

questo pensiero mi dà l'impressione di vuoto così grande, che com-

401

prendo bene il pianto delle orfanelle e di tutte le suore, cresciute sotto

le sue continue e materne cure."

La lettura del Nazareth ci ha fatto rivivere quei giorni di tristezza e di

pianto, specialmente nel punto ove parlava delle orfanelle ... Non

facciamo altro che rileggere quella vita, guardare commosse e rimira-

re e baciare quelle care sembianze, che per tanti anni supplirono col

sorriso e con la bontà, alla lontananza o alla perdita dei nostri cari

genitori. La rivediamo in ogni momento della sua vita: specialmente

seduta là nella sua semplice poltrona, in attesa delle sue colombine ...

Per noi la Madre era eterna, ci sembrava che la legge della morte per

lei non esistesse ... "

Il dolore della Madre è ancora forte in noi, e il ricordo ci ruba le ore

di studio. Povera mamma nostra! Preghiamo e soffriamo!. .. Ce la sa-

luti quando va al cimitero."

Noi sentiamo più vivo il ricordo del giorno in cui ci accolse amoro-

samente in codesto collegio, dove abbiamo poi trascorso un po' di

tempo, avendo modo così di apprezzare in lei una bontà sconfinata.

Nella tristezza che ci opprime, volgiamo al Signore le nostre preghie-

re per la cara Estinta, la quale dedicò tutta la sua vita a sollevare ogni

pena, ad insegnare alle sue più piccole figlie la via del cielo."

La trigesima

La comune venerazione per la madre Mantovani viene attestata anco-

ra dai numerosi riti funebri che si svolsero nel giorno del funerale,

nel settimo e nel trigesimo. Durante tutto il

27. Serafina Mazzola, senza data.

28. Adriana G., Trento 18 marzo 1934.

29. Un gruppo di orfanelle, studenti a Milano, 1° marzo 1934.

30. Le medesime, Milano 9 marzo 1934.

31. Tre ex allieve, 9 marzo 1934.

mese di febbraio, nelle case filiali della Congregazione si tennero

funzioni di suffragio con messe cantate, comunioni, e solenne uffi-

ciatura.

Tra i paesi, ove risiedevano le case filiali, ricordiamo: Brugherio,

Ponte dell'Olio, Fontaniva, Tiarno di Sotto, Petritoli, Ambrogio,

402

Montegiberto, Pontelagoscuro, Cologno Monzese, Campiano, Schil-

pario, Donada, Marano Vicentino, Barbarano Romano, ecc.

Particolari suffragi furono offerti dalla scuola apostolica Bertoni a

Verona, dal seminario serafico di Trento, nella casa generalizia dei

Figli dell'Immacolata a Roma, nei serinari regionale e diocesano di

Viterbo.

Meritano speciale menzione le case filiali della Svizzera: Osogna,

Morcote, Loco, Carouge (Ginevra), ove le Piccole Suore riscuotono

comune ammirazione anche da parte dei protestanti.

A Trieste, nell'ospedale militare si tenne ufficio solenne, cui presen-

ziarono il Direttore, gli ufficiali con le loro signore, i soldati. L'arci-

prete di Poviglio (Reggio Emilia) fece stampare un'immagine-

ricordo, che, prendendo parte al dolore dell'Istituto, esalta «il lavoro

amoroso, solerte ed umile» delle Piccole Suore della Sacra Famiglia,

«nel curare gli ammalati e nell'istruire i piccoli bambini» del paese.

A ricordo della grande Estinta, parroci ed enti pubblici fecero cospi-

cue offerte per le orfanelle.

«Fu un vero plebiscito di pietà per la Defunta, di stima e di affetto

all'Istituto»."

32. L'Avvenire d'Italia, 13 marzo 1934.

Omaggio filiale

La vita di madre Maria fu veramente santa. Ella era distaccata dalle

cose di quaggiù, interamente uniformata alla volontà di Dio; viveva

in profondo raccoglimento, era un'anima di grande preghiera. Era

fortemente innamorata della Madonna di Lourdes, della quale imita-

va le virtù.

Il suo volto, come quello di Maria, era sempre atteggiato a un dolce

sorriso, anche quando il suo cuore lacrimava. Del dolore aveva fatto

una scala che la portava, giorno per giorno, più vicina a Dio. La sua

volontà era sempre uguale, tanto nelle prospere che nelle avverse vi-

cende, nelle quali vedeva sempre la volontà di Dio. Di tutto era auto-

re il suo amato Sposo: perciò non v'era nulla che la potesse conturba-

403

re, anche quando la prova più dolorosa bussava alla porta del suo

cuore e lo lacerava.

Spesso ci diceva: «Dobbiamo osservare i santi voti per amore, perché

per amore ci siamo fatte suore. Gesù sarà contento se noi, sue spose,

saremo fedeli ai suoi desideri. Amiamo tanto il nostro caro Gesù: il

nostro cuore sia suo, tutto suo, non ammettiamo altri affetti».

Nell'osservanza della povertà precedeva tutte con l'esempio. Ripeteva

spesso: «Viviamo da povere, come abbiamo promesso a Gesù. Basta

quel tanto ch'è necessario per coprirei, senza desiderare cose migliori

... ».

Pure nell'obbedienza era di grande esempio. Eseguiva ogni comando

scrupolosamente. Ci ammoniva con la frase: «L'obbedienza forma i

santi».

Madre Maria aveva una profonda umiltà. Quando veniva mortificata,

il suo volto non cambiava aspetto; conservava il sorriso, e serena-

mente domandava perdono. Il Padre l'aveva ben conosciuta e ne ap-

prezzava la virtù. Quando la Madre non era presente, rivolto a noi di-

ceva: «Ringraziate il Signore, ché avete una Madre santa. È semplice

come una bambina; ella conserva la sua santa innocenza».

Circa il voto di castità madre Maria era delicatissima. Temeva anche

l'ombra del peccato. Da tutto il suo aspetto la si poteva giudicare un

angelo. Ci raccomandava di non guardare nessuno durante i viaggi,

di leggere la santa Regola, di stare unite al Signore.

Aveva poi una grande carità. Tutti i giorni distribuiva la minestra ai

poveri. E quando in casa si faceva una festicciola, voleva che si desse

loro anche la porzione di carne, affinché fossero contenti anche loro.

Con le suore era proprio una mamma. Consigliava ed esortava a farei

presto sante. Quando doveva correggere, usava tanta delicatezza e

tanto amore, che subito si rimaneva convinte, provando vivo dispia-

cere per la mancanza commessa.

Con ragione si può dire che madre Maria era la Regola vivente. Era

di esempio a tutte. Era un'anima di grande sacrificio e di profonda ca-

rità. Per tutto e per tutte sapeva sacrificarsi, portando alle sue suore

un bene di mamma. Per sé desiderava sempre l'ultimo posto, in qual-

siasi luogo si trovasse.

404

Nei dolori fisici conservava inalterato il suo abituale sorriso, ed esor-

tava pure le suore a soffrire in silenzio, senza farlo sapere agli altri.

Aveva fatto suo il motto del Padre Fondatore: «Spacchiamo il minuto

e tutta la nostra vita sarà santa»."

Abbiamo posto alla fine di questo capitolo, che prova la venerazione

e l'affetto di tanti cuori per la Confondatrice, questa lunga «testimo-

nianza» d'una delle sue figlie. Essa riassume, in breve, quanto è stato

detto diffusamente in questo volume, dove abbiamo raccolto l'abbon-

dante documentazione che riguarda la madre Maria Mantovani. Le

numerose «testimonianze», orali e scritte, meritano l'assenso. Inter-

rogati in diversi tempi, senza reciproche interferenze o accordi pre-

stabiliti, i «testi» hanno affermato le stesse cose, hanno espresso i-

dentiche impressioni: tanto la vita della protagonista doveva apparire

chiara e virtuosa a tutti.

Sembra poi che Dio abbia voluto confermare il giudizio degli uomini

concedendo particolari favori, che furono ottenuti per la intercessione

della sua Serva.

3. Testimonianza di suor Adele Ferrari, entrata nel 1902.

CAPO TERZO

DIVINA CONFERMA

Ai fatti che stiamo per riferire, ritoccando solamente la forma lettera-

ria dei documenti, I non intendiamo prestare altro credito, che non sia

quello prudentemente dato a simili narrazioni. Ad altri, e con ben al-

tra autorità, spetterà esaminare questi ed analoghi avvenimenti, per

vedere se meritino una fede che vada oltre l'umana. Qualora Dio ab-

bia stabilito di glorificare anche sulla terra la Confondatrice delle

Piccole Suore della Sacra Famiglia, al tempo designato interverrà. Se

poi non è predestinato che la Confondatrice venga elevata agli onori

degli altari, la sua vita resta egualmente virtuosa e degna pertanto

d'essere proposta all'ammirazione e all'imitazione dei fedeli.

Sembra che la Mantovani avesse il dono di scrutare i cuori. Diverse

suore assicurano che la Madre «leggeva» nel loro mondo interiore,

405

prima ancora che parlassero e addirittura quando non avevano inten-

zione di parlare.

Altrettanto riguardo al futuro: pare che la Confondatrice a volte lo

prevedesse e lo predicesse, in parti colar modo ad alcune giovani che,

loro malgrado, un giorno avrebbero preso il velo nella Congregazio-

ne.

Il 16 luglio del 1927 una giovane si trovava a Castelletto con i geni-

tori, per assistere alla vestizione della sorella. Non era affatto incline

alla vita religiosa, che anzi rimproverava la sorella d'aver scelto la

via del convento.

Nel pomeriggio avvenne un colloquio tra la Madre Generale e i geni-

tori della neo-vestita, presenti le due figliuole. La Confondatrice

chiese ai genitori

1. Giacciono presso l'archivio della Casa Madre, sotto la voce: Gra-

zie attribuite a

madre Maria.

se la cerimonia del mattino li aveva soddisfatti, se erano lieti d'aver

dato una figlia al Signore. Alla loro risposta affermativa, la Madre

riprendeva il discorso e domandava se erano disposti a fare un ulte-

riore sacrificio, lasciando in convento anche l'altra figliuola. «Se oggi

rimane con noi» continuava la Madre, «prima di sera la vesto da pro-

banda e le condono tutto, dote e corredo». Il padre e la madre sareb-

bero stati pronti a dare a Dio anche la figlia diciassettenne, sempre

che questa fosse stata chiamata alla vita di convento; ma la ragazza,

cui tale proposta apparve per lo meno «irriflessiva», sbottò: «Madre,

quando troverà nel calendario una settimana con tre giovedì, lei mi

aspetti qui». Ci fu una risata generale. Nondimeno la Confondatrice

confermò: «Questa signorina un giorno varcherà la soglia di questo

convento». «Non sarà mai!», concluse la ragazza.

La settimana dei tre giovedì non arrivò, ma venne la vocazione reli-

giosa. Per cinque anni la giovane non sentì alcuna attrattiva per il

convento, e quando andava a trovare la sorella continuava a rinfac-

ciarle d'aver preso il velo.

A ventitré anni scoppia la crisi interiore: la chiamata al chiostro si fa

sentire forte. La giovane resiste, disprezza quella voce dolce ed insi-

406

stente, fa di tutto per soffocarla, ma non ha pace, «né di giorno né di

notte», e dopo alcuni mesi di lotta deve arrendersi. Per ritrovare la

serenità, la figliuola va a Castelletto dove da tempo l'attende madre

Maria, e si fa suora.'

Gli episodi che ora presentiamo, accaddero dopo la morte della Con-

fondatrice e furono attribuiti alla sua sollecita intercessione presso

Dio.

«È proprio guarita!»

Il 30 gennaio del 1934, la novizia suor Pia Concetta Sartori scendeva

la scala della cantina e cadde battendo il ginocchio sinistro sui gradi-

ni e sul recipiente di rame che reggeva in mano. Due giorni dopo fu

costretta a rimanere in letto, accusando forti dolori al ginocchio offe-

so. Venne il medico, il quale sentenziò che sarebbe stata necessaria

l'incisione, qualora non fosse scemata la tumefazione prodotta dal

sangue guasto. Il male aumentò e il gonfiore si estese a tutta la gam-

ba.

Ormai era inevitabile l'intervento chirurgico, che la novizia avrebbe

dovuto subire nell'ospedale di Bussolengo verso la fine di febbraio.

Ella

2. Testimonianza di suor Carlinda Cazzaniga, entrata nel 1933.

pertanto pregava la Madre Confondatrice da poco morta, con tanta

maggior fede, quanto più grave era il timore di non poter più prose-

guire il noviziato, a causa del ginocchio tumefatto. Il ricorso fiducio-

so alla Madre defunta durò tre giorni. Alle ore quindici e un quarto

del terzo giorno, la malata avvertì una forte scossa alla gamba e dopo

pochi secondi le parve d'essere guarita. Anche la febbre era scompar-

sa.

Quando alle sedici venne l'infermiera, la novizia disse con grande

gioia: «Mi sento guarita». La suora infermiera non voleva credere,

ma quando, tolte le fasce, vide il ginocchio, disse sorpresa: «È pro-

prio guarita!».

407

La novizia scese dal letto e camminava bene. Il giorno dopo riprese

tutti gli atti comuni, senza avvertire più alcun disturbo.

«Sentii una stretta forte forte alla gola ... »

Trascorse alcune settimane, una postulante venne improvvisamente

sanata dal mal di gola. Da tre giorni ne era affetta, con attacchi di

febbre che la costringevano al letto. Cessata la febbre, la giovane si

alzò per la scuola, ma la voce non le veniva. Prese anzi del freddo e il

mal di gola tornò. Durante la giornata aveva pregato la Madre Con-

fondatrice, toccandosi più volte la gola con un fiorellino ch'era stato

a contatto con la salma della Madre.

Il mattino seguente la postulante doveva scendere per la messa delle

sei, ma, fatti alcuni passi, non riusciva ad andare oltre. Tornò indietro

e si rimise in letto con l'intenzione di andare alla messa delle otto.

«Dopo alcuni minuti da che mi ero coricata» attesta la giovane, «av-

vertii una scossa. Presi spavento; e poco dopo, sentii una stretta forte

forte alla gola, che m'impediva di respirare. Voltandomi, vidi accanto

al letto la reverendissima Madre, che mi guardava ... Volevo parlare,

ma non potevo perché la Madre mi teneva stretta a quel modo ...

Mentre recitavo con la mente un requiem, la buona Madre mi lasciò

... ed io non sentivo più il male. Ero completamente guarita».

“Qui c'è il dito di Dio”

Durante la prima guerra mondiale, il signor Patuzzo Giuseppe era

stato fatto prigioniero dai tedeschi e venne internato in Germania.

Quando rimpatriò dopo trenta mesi di prigionia, era mal ridotto in sa-

lute. Dovette infatti sottoporsi ad una operazione allo stomaco, e do-

po quindici mesi fu necessario un altro intervento per calcoli al fega-

to ed appendicite. L'operazione riuscì; ma, a causa di disfunzioni bi-

liari, il paziente rimase in letto per altri otto mesi, servendosi di un

cannello artificale. L'ammalato deperiva di giorno in giorno e in capo

agli otto mesi era ridotto agli estremi.

Conosciute le gravi condizioni, la sorella suor Lodovica iniziò subito

con grande fede una novena, «perché il Signore, per intercessione

della venerata madre Maria, si degnasse accordare la grazia», non

soltanto per il bene che voleva al fratello, ma in vista ancora dei

quattro figliuoli che sarebbero rimasti orfani e della carissima con-

408

sorte. Finita la novena senza effetto, la Patuzzo ne cominciò un'altra,

ma al quinto giorno ricevette un espresso ove il fratello diceva:

«In una delle lunghe notti insonni, s'avvicinò al mio letto una suora

vestita di nero, la quale delicatamente scoprì la ferita, tolse il tubo e

la bottiglia che v'era attaccata, la mise per terra, e sparì. lo rimasi

sorpreso per questo sogno (tale infatti m'è apparso) e sentivo in me

un benessere insolito. Guardai la mia ferita, e per vedere meglio, feci

accendere la luce più forte ... Vidi sopra la ferita una pelle leggera e

fresca ... lo poi non avvertivo più né dolori né fastidi.

Da tempo il professore aveva perduto ogni speranza sulla mia guari-

gione; e quando passava a visitare gli ammalati, non si avvicinava

più al mio letto.

Il mattino seguente al mio sogno, lo invito a controllare quanto è ac-

caduto durante la notte. Il professore stenta a credere, esamina dili-

gentemente, poi, rivolto al suo seguito, dice: Qui c'è il dito di Dio».

In quello stesso giorno il Patuzzo si alzò e riprese a mangiare; il dì

seguente uscì dall'ospedale, e poco dopo riprese a lavorare.

Duplice grazia

Nel settembre dell'anno 1934 la stessa suor Lodovica Patuzzo presta-

va servizio, come infermiera, presso un ospedale della Romagna.

Una signorina trentenne, operata di tumore all'addome, era ridotta in

fin di vita. Per molti giorni persistettero alte febbri e conati di vomi-

to, che non permettevano alla paziente di bere neppure un sorso d'ac-

qua.

Non meno precaria era la vita morale della trentenne. Da tempo ella

conviveva con un uomo ed aveva una bambina di cinque anni, tuttora

da battezzare.

Quando ormai era perduta ogni speranza di guarigione tanto da parte

del primario dell'ospedale che della paziente, la suora infermiera

pensò di ricorrere all'intercessione della Confondatrice madre Maria

dell'Immacolata. Ne parlò con la degente, facendosi promettere che,

a grazia ottenuta, la giovane avrebbe regolato la sua posizione morale

e cristiana.

La suora mise sotto il guanciale della malata una reliquia di madre

Maria, e tutte le sere, inginocchiata per terra, pregava con grande

409

fervore per l'inferma. La quinta notte della novena, la suora provò a

dare un po' d'acqua zuccherata, che la degente riuscì ad inghiottire.

Dopo un'ora fu rinnovata, con buon esito, la prova. Passate due ore,

la suora infermiera riprovò con un po' di caffè, e tutto andò bene. AI

mattino servì latte e caffè, che la malata riuscì a trattenere. Era cessa-

to il vomito. «Ci pareva di sognare» scrive la Patuzzo, «ma era la re-

altà».

Quando il primario dell'ospedale fu invitato a visitare la paziente e

venne a conoscere quello che essa aveva inghiottito senza rimettere,

si meravigliò e disse: «Ebbene, se la malata continua a migliorare,

vuol dire che qui è intervenuto il soprannaturale, perché a quest'ora

doveva essere già morta».

La degente migliorò, dopo alcuni giorni lasciò il letto e riprese a

mangiare di tutto. Trascorso un mese, si svolse una festa commoven-

te nella cappella dell'ospedale. Nel medesimo giorno la giovane tren-

tenne e l'uomo col quale conviveva si confessarono, si comunicaro-

no, si unirono sacramentalmente in matrimonio, e la loro bambina ri-

cevette il battesimo.

«Ho ottenuto la grazia»

«Dai primi di luglio [1934] mi trovavo ammalato di sciatica. Non so

descrivere i dolori che soffrivo, tanto che nel mese di settembre restai

immobilizzato in letto. Per colmo di sventura, mia moglie era all'o-

spedale in preda a forte esaurimento. Restai a casa solo con sei fi-

gliuoli, e nessuno guadagnava. Unico mio conforto era la fede; dal

canto mio non cessavo di pregare.

Dopo il 20 ottobre ebbi un sogno. Mi parve di vedere la loro Madre

defunta, tutta splendente, la quale mi disse:

«Bepi, come state?»

«Male» risposi.

«Pregate e sperate» aggiunse la Madre, e sparì.

La visione della santa suora, che io tenni sempre in alta venerazione,

m'indusse a cominciare subito una novena implorando la grazia della

guarigione.

Il l° novembre ebbi un consulto di tre medici, che mi trovarono in

pessime condizioni. Il giorno 4 finiva la novena, fatta con viva fede,

quando, tutto d'un tratto, mi parve di vedere la santa suora che mi di-

410

ceva: «Alzati! ... » Provai e vi riuscii subito: i dolori erano scompar-

si. Allora emisi un grido: - Ho ottenuto la grazia dalla Madre di Ca-

stelletto!

I miei di casa rimasero sbalorditi per questo miracolo. Mai più si

cancellerà dalla mia mente la santa figura della Madre, che, per dove-

re di riconoscenza, sempre ricorderò nella preghiera».'

«Incominciò a vederci ... »

La signora Corinna Biaggi Battistelli di Rodigo (Mantova) scriveva il

2 marzo 1959: «La mia defunta mamma aveva un occhio con caterat-

te e l'altro che doveva subire l'operazione; non ci vedeva quasi più,

tanto che non riusciva a lavorare.

Mi rivolsi con grande fiducia alla madre Maria e con grande gioia

mia e della mamma, fatta la novena, [la mamma] cominciò a vederci

e a lavorare come prima. Ebbi pertanto la grazia d'essere esaudita nel

mio desiderio, poiché non volevo vedere la mamma morire cieca».

3. Dalla lettera di Giuseppe Ebranati, scritta da Salò Campoverde il

25 dicembre 1934.

CAPO QUARTO

TRA LE FIGLIE MORTE

Presso le Piccole Suore della Sacra Famiglia domina un forte spirito

di unione e di collaborazione. A crearlo hanno contribuito i Fondatori

ed alcune istituzioni, che favoriscono l'affiatamento degli animi e il

sincero amore all'Istituto.

Ricordiamo, tra le molteplici opere, il noviziato unico presso la Casa

Madre, ove più facilmente si apprende lo spirito delle origini e la col-

tura delle vocazioni è uniforme; l'unica infermeria, che raccoglie dal-

le diverse case le consorelle ammalate e bisognose di riposo; la

«Nuova Casa Gioiosa», specchiantesi nel lago, con la scuola media e

l'istituto magistrale parificati dal 1950, dove le apostoline, le pro

bande e le professe di voti temporanei vengono avviate agli studi dal-

le sorelle maggiori, diplomate e laureate ...

411

Vogliamo ricordare ancora il cimitero della Congregazione, eretto a

Castelletto accanto a quello comunale, che ospita e tiene unite le

consorelle defunte, visitate spesso dalle viventi. Un solo noviziato,

che domina la Casa Madre e la chiesa costruita dal Fondatore, e a

due chilometri, un solo camposanto: la culla e la tomba; e tra loro, la

vita spesa nelle filiali, in Italia e all'estero, servendo Dio e il prossi-

mo secondo lo spirito del Padre e della Madre.

In vita il servo di Dio mons. Nascimbeni aveva fatto erigere un sacel-

lo per le suore nel cimitero parrocchiale; dopo la sua morte, il Comu-

ne lo fece atterrare. La Confondatrice allora, validamente appoggiata

dalla vicaria suor Fortunata Toniolo, iniziò le pratiche per la fonda-

zione d'un camposanto, riservato esclusivamente alle sue figlie. L'i-

niziativa venne ostacolata dalle autorità civili, e le pratiche andarono

per le lunghe. La Mantovani non poté vedere realizzato il progetto; e

quando nell'aprile del 1937 il nuovo cimitero accoglieva la prima

salma, quella della Confondatrice giaceva da più di tre anni nel cam-

posanto comunale.

Prima che la Madre venga a prendere il suo posto tra le figlie morte,

passeranno altri sedici anni, durante i quali il lembo di terra benedet-

ta viene occupato da altri corpi, consunti nel servizio del Signore e

del prossimo. Nel frattempo, madre Fortunata Toniolo provvede

all'erezione d'una cappella sul lato orientale, con la facciata rivolta

verso il lago: essa custodirà i resti mortali della Confondatrice e delle

prime consorelle, suor Anna Chiarani, suor Teresa Brighenti, suor

Giuseppina Nascimbeni; poi verranno ad abitarla le salme delle Su-

periore Generali. Le prime suore, con la Madre Mantovani a capo,

costituiscono le fondamenta; le Superiore Generali sono il muro ma-

estro che, poggiando sulle fondamenta, tiene unito e saldo tutto l'edi-

ficio della Congregazione. La disposizione delle salme nel campo-

santo dell'Istituto ne ricorda, pure nell'austera immobilità della morte,

l'organizzazione e la vitalità.

Esumazione

L'esumazione della salma di madre Maria Mantovani è avvenuta il

29 settembre del 1953. L'operazione s'è svolta alla presenza dell'uffi-

ciale sanitario dottor Michelangelo Sollazzo, che rappresentava an-

che il sindaco, del geometra Bruno Brighenti, primo assessore comu-

412

nale, del P. Giulio Daldoss O.F.M., cappellan\\\o della Casa Madre,

della superiora generale madre Ifigenia Maria Salandin con le consi-

gliere e la segretaria generale, di madre Fortunata Toniolo, ex supe-

riora generale, del nipote della defunta Nino Mantovani; presenzia-

vano inoltre Battista Veronesi, Giovanni Vernesoni, i fratelli Bonetti

di Torri e molte altre persone di Castelletto.

Il lo culo, che raccoglieva da quasi vent'anni i resti mortali della Ma-

dre, era pregno di umidità e la cassa ammuffita. La bara venne tra-

sportata nella vicina chiesa di S. Zeno, ove si procedette alla rimo-

zione del cassone protettivo. Gli astanti erano presi da un profondo

senso di commozione, quasi di trepidazione. Venne mosso anche il

coperchio della prima cassa, rivestito internamente di zinco. «Attra-

verso il vetro scrive la cronista, ch'era presente - si è potuto rivedere

il volto della Fondatrice ancora intatto. Si scorgono perfettamente i

tratti fisionomici. Il viso è come ricoperto da uno strato di cera. Si

pensa di rimuovere il vetro per un controllo più attento e diretto».

D'accordo con l'ufficiale sanitario, fu deciso l'incontro per l'indomani

mattina. Pertanto i fabbri, tra cui il nipote della Madre, prese le misu-

re del coperchio, prepararono quello di ricambio.

Il giorno seguente, alle ore 10, si procede all'apertura della cassa di

zinco. «Il volto della Madre e tutto il busto, come già si era intrave-

duto attraverso il vetro, si presentano ricoperti da uno strato ceroso.

Nessuna traccia di putrefazione, nessuna esalazione sgradevole. La

tonaca è intatta e presenta solo una lieve scoloritura, anche il cingolo

di canapa è intatto; i piedi sono ancora tumidi come di persona, più

che morta, addormentata».

Volutamente sorvoliamo gli episodi di devozione avvenuti nella cir-

costanza, come pure passiamo sotto silenzio i giudizi espressi dai te-

stimoni.

«Intanto si lavora attorno alla salma» continua la cronista. Due suore

stendono un drappo nero pulito sul corpo della defunta, sostituiscono

con uno nuovo il soggolo bianco inamidato, e intorno al capo, ove

ancora restano petali della corona di rose, pongono un drappo di seta

azzurra per coprire il guanciale alterato. La cassa viene di nuovo si-

gillata con la sovrapposizione d'un coperchio di zinco, che porta un

413

vetro più ampio del precedente, «tale che permetta a tutti la vista del

caro volto materno».

Ripulita, ornata di fiori, la cassa viene esposta sulla predella dell'alta-

re della vetusta chiesa, in attesa d'essere trasportata, il 3 ottobre, nella

cappellina cimiteriale dell'Istituto.

Come vent'anni prima, allorché la salma, rimase esposta per più

giorni nella medesima chiesetta di S. Zeno, cominciano i devoti pel-

legrinaggi. Da Trento, da Verona, da Ferrara, da Bologna, da Arco,

da Negrar, da Adro, da Bussolengo, ecc., accorrono sempre più nu-

merose le figlie, desiose di rivedere «il volto della Madre».

La mattina del 3 ottobre, quattrocento suore, tra cui le superiore delle

case filiali, vanno processionalmente al camposanto, assieme con le

apostoline, le alunne della «Nuova Casa Gioiosa», le orfanelle e nu-

merosi intervenuti, ed assistono alla messa che celebra il vicario ge-

nerale della diocesi, mons. Pietro Albrigi.

I pii pellegrinaggi al cimitero continuano sino al giorno 13 ottobre, in

cui la cassa della Confondatrice viene provvisoriamente chiusa nella

nuova cappellina, dentro al loculo più vicino all'altare, a sinistra di

chi entra.

Tumulazione definitiva

La tumulazione definitiva di madre Maria avvenne alla morte della

seconda superiora generale, madre Fortunata Toniolo del Santo Cro-

cifisso.

La Toniolo poté finalmente lasciare il governo della Congregazione

nel capitolo dell'ottobre 1952, allorché venne eletta a succederle suor

Ifigenia Maria Salandin. Di lì a poco si ritirava nella quiete dell'in-

fermeria, presso la Casa Madre, ove santificò gli ultimi mesi della

sua lunga vita, pregando e soffrendo.

1. Le notizie riguardanti l'esumazione della salma di madre Maria,

sono prese da:

Suor MARGHERITA MARIA DE PAOLI, Il volto di una Santa, in

Nazareth, 47 (novembre

1953) pp. 1-2; Cronaca: dal 1948 al 1953, pp. 518-543.

414

Il 1° marzo del 1954 la Toniolo ebbe un forte collasso. Le premurose

cure delle consorelle non valsero a sottrarla alla morte, che venne a

prenderla poco dopo la mezzanotte, tra il 10 e l'11 marzo. Il giorno

13 si svolsero i solenni funerali, che richiamarono alla mente quelli

imponenti del Fondatore e della Confondatrice. Due giorni dopo si

procedeva all'esumazione di suor Anna Chiarani e suor Teresa Bri-

ghenti, i cui resti furono chiusi in due nuove casse. L'indomani veni-

va celebrata una messa nella cappellina cimiteriale, presenti le quat-

tro casse, poiché anche la salma della Mantovani era stata tolta

dall'avello provvisorio; poi le quattro bare prendevano definitivamen-

te il proprio posto. Quella della Confondatrice veniva messa al centro

della parete occidentale sopra la porta d'ingresso; e accanto alla Con-

fondatrice erano collocate suor Anna Chiarani e suor Teresa Brighen-

ti, mentre sul lato destro, nel loculo inferiore più vicino all'altare, era

posta la salma della seconda superiora generale suor Fortunata To-

niolo.

Il 15 dicembre del 1960 veniva riaperta la parete occidentale, che in

alto porta la scritta I NOSTRI GRANI DI SENAPE, ed accoglieva

suor Giuseppina Nascimbeni, la quarta ed ultima consorella della

prima ora.

L'indelebile memoria

Mentre l'anima della Confondatrice - pensiamo - gode in cielo assie-

me al Fondatore e alle consorelle che l'hanno preceduta e seguita

nell'eternità, la sua memoria vive nel

2.Trascriviamo l'epigrafe scolpita sulla tomba:

MADRE FORTUNATA TONIOLO

DEL SANTO CROCIFISSO

415

SECONDA SUPERIORA GENERALE

EREDE E CONTINUATRICE

DELLO SPIRITO DEI VEN. FONDATORI

11 GIUGNO 1867 11 MARZO 1954

3. La parete con le epigrafi è riprodotta a p. 22, fuori testo.

riverente ricordo delle figlie .. Particolarmente quelle che l'hanno co-

nosciuta, che hanno avuto modo di apprezzare le sue virtù e di gode-

re la sua bontà, pensano a lei con affetto e con venerazione. Le suore

anziane parlano di lei con spontaneità e calore, e ricorrono alla sua

intercessione con la medesima confidenza che le portava a Castellet-

to, nello studio della Madre, per aprirsi con lei, vicino alla statua in-

coraggiante della Madonna Immacolata.

«La Madre sa quante volte l'ho invocata e mi ha sempre

esaudita» dice una di loro.' «Dopo il suo santo trapasso» afferma

un'altra, «non l'ho mai dimenticata ed anche adesso mi rivolgo a lei,

dopo Dio, perché mi aiuti a compiere bene i miei doveri di santa reli-

giosa, come desiderava e mi voleva lei».

Nelle lettere circolari che periodicamente inviava a tutte le suore,

madre Fortunata Toniolo parlava spesso dei «venerati Fondatori», del

«Padre» e della «Madre». Ne ricordava gli insegnamenti, rinnovava

le loro esortazioni, ne celebrava gli esempi virtuosi perché fossero

imitati.

Madre Ifigenia Maria Salandin, terza Superiora Generale, cui tanto

stava a cuore la rievocazione della Confondatrice, ha voluto che alla

memoria di lei fosse dedicata la casa di Colà di Lazise, sulle colline

veronesi prossime al lago di Garda. Il rinnovato fabbricato, con la

devota cappella ricostruita e benedetta dal cardinale Giovanni Urbani

il 12 settembre del 1958, ospita alcune decine di suore a riposo ed

uno stormo di orfanelle: la vita all'alba e al tramonto. Dal 2 febbraio

1959, XXV anniversario della santa morte della Confondatrice, la ca-

sa di Colà si chiama appunto: Istituto madre Maria dell'Immacolata.

Nello stesso anno 1959, durante il Convegno per le suore addette

all'insegnamento della Dottrina Cristiana, tenuto

416

4. Testimonianza di suor Adina Petroselli,

5. Testimonianza di suor Armella Mora.

presso la Casa Madre dal 5 al 12 luglio, venne commemorata la ma-

dre Mantovani come «prima insegnante di catechismo dell'Istituto».

Il 12 novembre 1962 cadeva il primo centenario della sua nascita. La

prima sessione del Concilio Vaticano II in pieno corso non ha con-

sentito di commemorare con la desiderata solennità l'avvenimento.

Pur rimettendo a tempo più opportuno le celebrazioni centenarie, tut-

te le Piccole Suore della Sacra Famiglia hanno ricordato con partico-

lare devozione la Madre Confondatrice, desiderose di conoscerla

sempre più attraverso una diligente rievocazione, per meglio imitarla.

Con simili intendimenti, due anni dopo, veniva largamente diffusa la

presente biografia della Madre che si ispira ai suoi stessi scritti e alle

numerosissime testimonianze, rilasciate dalle sue figlie con commos-

so rimpianto e con rinnovata ammirazione.

Il «ritorno» della Madre

Il 12 novembre 1987, 125° anniversario della sua nascita, la Madre

«rientra» tra le figlie viventi, dopo aver trascorso oltre cinquant'anni

nel camposanto in compagnia delle figlie defunte.

La traslazione delle spoglie mortali presso la culla dell'Istituto che la

Mantovani aveva allevato con dedizione di figlia e con cuore di ma-

dre, era stata predisposta da tempo. Ultimamente l'aveva sollecitata

l'apertura del Processo Cognizionale diocesano, avvenuta nella cap-

pella della Casa Madre il 10 febbraio 1987. Durante l'estate furono

eseguiti i lavori di allestimento della nuova tomba, collocata nella

parte superiore dell'artistico mausoleo che, a partire dall'anno 1923

sino al 1984, ha custodito il corpo del Fondatore. Ora questi, ricom-

posto negli abiti prelatizi, riposa nel sacello appositamente costruito

presso la grande cappella dell'Istituto. Attende la glorificazione e il

culto degli altari, cui verrà elevato il 17 aprile 1988, quando il papa

Giovanni Paolo II visiterà la diocesi di Verona.

Seguiamo la Madre che «ritorna» in paese. L'accolgono, con devoto

stupore, un folto stuolo di suore convenute dalle case filiali ed alcune

decine di fedeli, mentre dal campanile tripudiano le campane.

417

Dopo una breve sosta nella chiesa parrocchiale, ove viene eseguita

una densa liturgia della Parola, la cassa è trasportata nell'oratorio at-

tiguo, a pochi metri dall'urna del servo di Dio Giuseppe Nascimbeni.

La Figlia, quasi giunta ad un appuntamento predestinato e lungamen-

te atteso, è finalmente vicina al Padre.

Viene tolto il coperchio della cassa e dal vetro inserito nel rivesti-

mento protettivo dello zinco appare il volto della Defunta. È lei! pro-

prio lei, la Madre di un tempo, amabile e quasi sorridente, sebbene la

morte e la corrosione degli anni l'avvolgano di silenzio e di mistero.

Alla concelebrazione eucaristica pomeridiana, presieduta dall'ausilia-

re di Verona mons. Andrea Veggio, le due ali della grande cappella

non riescono a contenere le suore e i fedeli. Il gruppo della Sacra

Famiglia che domina dalla parete di fondo illuminata sembra avere

ispirato le parole del presule celebrante che, appunto all'omelia, illu-

stra il mistero della Sacra Famiglia di Nazareth con opportune appli-

cazioni al carisma e alla vita della famiglia religiosa, sbocciata a Ca-

stelletto di Brenzone sulla riva del Garda nel lontano 1892. I nomi

stessi dei Fondatori, Giuseppe Nascimbeni e Maria Mantovani, ne

evocano la «memoria», e naturalmente tocca alle figlie assumere il

ruolo di Gesù. È mistero ed è consegna, la quale impegna a vivere re-

sponsabilmente di fede gagliarda, di assidua preghiera, di umiltà

convinta e di zelo operoso. Questa, la preziosa eredità affidata alle

figlie che sono e che verranno.

Alla liturgia eucaristica, e dopo le firme apposte al verbale della tra-

slazione, tiene dietro l'imponente processione che accompagna la

Madre alla nuova condegna dimora. Nell'aria mite dell'autunno inol-

trato, mentre le acque del lago si rinfrangono sommessamente contro

la scogliera, riecheggiano le parole del Magnificat. In questo vespero

carico d'implorazione e di giubilo, chinandosi su Castelletto, Dio «ha

guardato l'umiltà della sua Serva» (Luca 1,48).

Vorrà Egli glorificarla ancora di più, destinandola all'onore degli al-

tari, sulla scia del beato Giuseppe Nascimbeni, suo Padre e Maestro?

418

E P I L O G O

LA “TESTIMONIANZA”

DI MADRE DOMENICA MANTOVANI

Nei primi sessant'anni di vita dell'Istituto, che ha avuto origine in Ca-

stelletto del Garda, tre personaggi emergono con particolare eviden-

za: il servo di Dio mons. Giuseppe Nascimbeni, madre Maria Man-

tovani dell'Immacolata di Lourdes, madre Fortunata Toniolo del San-

to Crocifisso: il Fondatore, la Confondatrice, la seconda Madre Ge-

nerale.

La Mantovani viene a trovarsi nel mezzo, tra il Nascimbeni e la To-

niolo. In ordine di tempo, anzi tutto: poiché il Fondatore nacque nel

1851 e madre Fortunata nel 1867, quando la futura Confondatrice

aveva quattro anni e sette mesi. Nel governo della Congregazione:

che la Madre regge assieme col Fondatore sino alla morte di questi

(1892-1922); da sola, per altri dodici anni (1922-1934); ad essa suc-

cede per diciotto anni la Toniolo che dà l'assetto definitivo all'Istitu-

to, guidandolo con rara saggezza e tenacia (1934-1952). Anche per il

temperamento madre Maria viene a trovarsi nel mezzo: la sua «bon-

tà» mite e bonaria s'inserisce tra la bontà aperta ma talvolta impetuo-

sa del Padre e quella piuttosto chiusa ed austera di madre Fortunata.

Tutti e tre i personaggi hanno amato profondamente l'Istituto; tutti e

tre l'hanno servito con costante generosità, secondo la propria mis-

sione. Il Nascimbeni fu ideatore, legislatore, maestro. La Mantovani

fu la realizzazione più perfetta dei desideri del Padre, la discepola fe-

dele, «la Regola vivente». Madre Fortunata Toniolo, vissuta accanto

ai Fondatori, collaborò con essi nel consolidamento dell'Istituto in

formazione; ne ereditò lo spirito, che custodì gelosamente e trasmise

alle future generazioni.

419

Senza la Mantovani, al Nascimbeni sarebbe mancata la «molle cera»,

cui imprimere in maniera plastica, vivente, i suoi ideali di apostolo e

di fondatore. Senza la Mantovani, la Toniolo, che per natura era più

portata a mettersi a capo d'un reggimento di soldati che a guidare una

falange di donne consacrate a Dio, sarebbe stata meno materna.

La testimonianza data da madre Maria Mantovani va oltre i confini

dell'Istituto, del quale è la Confondatrice. Le sue virtù e le sue opere

interessano tutti i credenti e s'irradiano nella Chiesa intera.

Massimamente ai nostri giorni, in cui s'avverte l'urgenza della colla-

borazione dei laici all'apostolato sacerdotale, la vita della Mantovani

assume un particolare significato ed è ricca di insegnamenti. Fino

all'età di trent'anni, la giovane si dedicò alle opere parrocchiali, se-

condo gli schemi e i metodi di allora; e per rendere più duratura que-

sta sua cooperazione, ella rimase in paese, a disposizione del parroco,

rinunciando ad entrare in una famiglia, religiosa esistente e già for-

mata, ve avrebbe facilmente appagato i suoi sogni di vita claustrale.

In tal modo la collaborazione della Mantovani all'opera del servo di

Dio mons. Nascimbeni diventò più stretta e preziosa. Per vie miste-

riose, attraverso incertezze e stenti, si giungeva alla fondazione del

nuovo Istituto religioso, sorto a Castelletto e per Castelletto, e che in

seguito, moltiplicatosi prodigiosamente, si espandeva in tanti altri

paesi. La Provvidenza attuava i suoi disegni; e la futura Confondatri-

ce fu magnanima nel lasciarsi condurre dagli avvenimenti, fidando in

Dio e nel Sacerdote che la guidava in nome di Dio.

La filiale docilità al Nascimbeni, come parroco e come fondatore,

scandisce la grandezza della Mantovani e ci dà la misura della sua

eminente personalità. Se l'umile figlia di Gian Battista e di Zamperini

Prudenza non si fosse piegata all'azione della grazia, se non avesse

accettato il suo posto accanto al Servo di Dio, nessuno forse oggi

parlerebbe di lei: essa sarebbe passata nell'oscurità, ignorata, come

una viola mammola nascosta tra il muschio delle pendici del Baldo, o

come una perla dentro la sua conchiglia, sepolta nel chiostro d'un

convento. La costante fedeltà alla sua personale vocazione, che la

pose decisamente sulla via del sacrificio, ha reso grande madre Maria

Mantovani, non solo al cospetto di Dio ma ancora in faccia al mon-

do. La sua vita brilla luminosamente, come un faro acceso su un sal-

420

do muro. Da Castelletto ove nacque, operò, morì, la Confondatrice

invita tante altre giovani al servizio della Sacra Famiglia e col fulgo-

re dei suoi esempi illumina il loro cammino.

Un altro aspetto della missione di madre Maria Mantovani amiamo

mettere in luce: la testimonianza «mariana». La sua nascita coincide

quasi con l'inizio del «secolo di Maria», che, prendendo le mosse dal-

la definizione dommatica dell'Immacolata Concezione, è andato via

dilatandosi sino al fastigio dei nostri giorni.

La vita interiore della Mantovani s'inserisce in questo movimento

mariano, s'accresce 'col passar degli anni, raggiunge la perfezione in

una costante e filiale unione con la Madonna. Ormai la Confondatri-

ce vive sotto lo sguardo della Madre del cielo, a lei ricorre di conti-

nuo, a lei affida ogni cosa, in lei riposa tranquilla, ancorché gli avve-

nimenti avversi vorrebbero turbare la consueta serenità.

La pietà mariana di madre Maria non fu appresa dai libri e le pratiche

esteriori di quei tempi non hanno influito in maniera determinante

nel suo sviluppo. Rappresenta piuttosto un seme, depositato col bat-

tesimo, che raggiunge la piena maturità sotto l'influsso della grazia di

adozione. Ed è mirabile riscoprire tutto questo: poiché mentre lo Spi-

rito Santo moveva i sommi pontefici a promuovere il culto alla Ma-

donna e guidava i teologi ad approfondire «con intelletto d'amore» il

mistero di Maria, il medesimo Spirito conduceva le anime semplici ai

piedi della celeste Madre, avvicinava i loro cuori al Cuore di lei, ad-

ditando praticamente nella sincera devozione alla Vergine uno dei

mezzi più efficaci, scelti dalla divina sapienza per condurre gli uomi-

ni alla salvezza e alla santità.

Della Madonna la Mantovani apprezzava tutto: la vita, le virtù, i pri-

vilegi, e tutte le feste di Maria le erano care. Ma poiché anche nella

devozione alla Madre del cielo ciascun figlio di adozione si distingue

dagli altri figli, dobbiamo dire che madre Maria coltivava di prefe-

renza l'Immacolata, in parti colar modo la Vergine Immacolata di

Lourdes. Ed anche in ciò la Confondatrice si armonizza con i tempi

in cui vive, nei quali si celebra con grande entusiasmo il singolare

privilegio di Maria e le folle accorrono ai piedi della Bianca Signora

dei Pirenei. Vista in questa luce, la testimonianza di madre Maria

Mantovani è preziosa, perché la sua vita, spiccatamente «mariana»,

421

può venire considerata come una delle più ricche e significative dei

tempi che vanno dagli ultimi decenni del secolo scorso alla metà del

nostro.

La «testimonianza» più vivida, offerta al mondo dalla Confondatrice

delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, è l'Istituto stesso, del quale

ella resta il ritratto vivente, la maestra incomparabile, la madre buo-

na. I movimenti religiosi, che lo Spirito Santo suscita di secolo in se-

colo nella Chiesa, stanno ai loro inizia tori come il tronco e i rami al-

la radice, come i frutti al seme.

Nelle figlie rivive la Madre. Rivive nelle superiore, alle quali la Man-

tovani ha insegnato a condurre le suddite con bontà materna, con

prudenza, con fermezza; rivive in tutte le suore che, distribuite nelle

numerose case, osservano la medesima regola, con quello spirito di

semplicità, di umiltà e concretezza, che caratterizzò tutta la vita della

Confondatrice.

Nelle parrocchie, negli asili e orfanotrofi, nelle case di riposo, negli

ospedali e negli istituti di cura, nei laboratori per operaie, nelle scuo-

le elementari, medie, magistrali e liceo linguistico, nelle missioni

dell' America Latina (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay), le suo-

re di Castelletto di Brenzone «testimoniano» Cristo in faccia al mon-

do e dànno altresì testimonianza al Fondatore e alla Confondatrice.

Per le figlie, principalmente, abbiamo rievocato la vita di madre Ma-

ria: per le presenti e per quelle che verranno. La santità dei Fondatori

rende più santa la divisa ch'esse indossano e più apprezzata la loro

operosità. Ma soprattutto abbiamo scritto perché, dietro le orme della

Madre, riesca loro più facile e più dilettevole attuare i desideri del

Padre.

I N D I C E

Presentazione di Sua Em. il Cardo Giacomo Lercaro pago 5

Prefazione dell'Autore

……………………………………………………………”

7

422

Avvertenza per la seconda edizione “ 10

INTRODUZIONE

Preliminari . “ 13

Il «volto» della Mantovani, 13 - Il metodo seguito, 14 -

Divisione dell'opera, 15.

Le fonti . “ 14

Scritti della Madre, 17 - Testimonianze sulla Madre, 19 -

Dall'archivio della Casa Madre, 19 - I libri della

Congregazione, 20 - Pubblicazioni ove si parla della

Madre e dell'Istituto, 21.

Date principali . “ 25

PARTE PRIMA

DISCEPOLA E COLLABORATRICE (1862-1892)

Incontri provvidenziali . “ 31

Nel mondo . “ 35

Fanciulla predestinata, 35 - Giovinezza virtuosa, 37 - In

famiglia, 39 - La chiesa, 42 - Bambini, 45 - Malati e poveri, 47.

La vocazione . “ 48

Tra le Figlie di Maria, 48 - Antonia Gaioni, 50 - Il voto di

verginità, 51 - Quale via scegliere?, 52.

PARTE SECONDA

CONFONDATRICE E PRIMA SUPERIORA GENERALE

(1892-1934)

423

Le misteriose vie della Provviden-

za………………………….................” 57

La fondazione (1892)

……………………………………………” 59

La pianta in embrione, 59 - Il primo progetto fallito, 61 - Gli

«Ziparei», 64 - Nuovo contributo di amarezze e di dolore, 64 -

Istanze e ripulse, 66 - Il consiglio di mons. Bacilieri, 68 - Il

conventino, 70 - Le candidate a Verona, 71 - Presso le Terziarie

Francescane, 74 - La Regola, 75 - Vestizione e Professione, 76 -

Ritorno a Castelletto, 78 - 6 novembre 1892, 80.

Dalla fondazione al Decreto di lode (1892-

1910)……………………………………………” 82

I primi passi, 82 - Nel segno di madonna povertà, 84 - «Sarà

come il grano di senape ... », 85 - Madre Fortunata Toniolo, 87 -

La primogenita delle filiali, 90 - La secondogenita, 96 - La

terzogenita, 98 - Le altre sorelle, 100 - Rinnovata approvazione

delle Costituzioni, 103 - Il Decreto di lode, 104.

L'Istituto dal 1910 al

1914…………………………………………………………………

………………………………” 108

Il compiacimento del papa S. Pio X, 108 - Il Padre è nominato

«Protonotario Apostolico», 109 - La vita dell'Istituto in questi

anni, 112.

Durante la guerra mondiale (1914-

1918)…………………………………………………………………

…” 115

Scoppia la guerra, 115 - Suore internate, 116 - A servizio dei

feriti, 116 - La generosa prestazione nelle altre case, 119.

Malattie e morte del Fondatore (1916-1922) .

Il primo attacco del male, 121 - Il venticinquesimo dell'Istituto,

123 - La «spagnola», 127 - Si ammala la Madre Generale, 128 -

Visita alla filiale di Trento, 129 - La Madre in cura a Bologna,

130 - Suor Pia Ruffo, 130 - Il Padre peggiora, 135 - Santa morte

del Fondatore, 137 - I funerali, 139.

424

Dopo la morte del Fondatore (1922-

1934)…………………………………………………………………..

.” 121

A capo della Congregazione senza il Padre, 141 - Confermata

Madre Generale (1924 e 1927), 143 - Approvazione temporanea

delle Costituzioni (1932), 145 - La festa delle «Mille e due»,

147 - Ancora Superiora Generale (1933), 148.

PARTE TERZA

RITRATTO DELLA PICCOLA SUORA

Maestra senza paten-

te………………………………………………………………………

” 155

Umiltà e semplicità

……………………………………………………………………….”

157

Polenta fredda e formaggio, 157 - «L'umiltà in persona», 158 -

Con l'aiuto del Padre, 159 - Resa a discrezione, 159 - Il Padre

«umilia» la Madre, 160 - Una «bella cotta» per il Padre ... , 162 -

La pratica dell'umiltà, 164 - Nell'orto, 165 - In cucina, 166 - A

ricreazione, 167 - In visita alle filiali, 168 - Elogio riassuntivo,

168.

Il programma della Piccola Suo-

ra…………………………………………………………………….”

170

425

Il modello della Congregazione, 170 - La Sacra Famiglia

c'insegna ... , 171 - ... a pregare ... , 173 - .. .lavorare

... , 177 - ... e patire, 181 - Memento mori, 184.

Le devozio-

ni………………………………………………………………………

...................” 188

La Sacra Famiglia, 189 - Sulla bocca, 190 - Nella vita, 191 - Il SS.

Sacramento, 192 - Nel mondo, 192 - In convento, 193 -

Giardiniera e sagrestana, 194 - Fiducioso ricorso, 194 - «Ai

piedi del Tabernacolo», 196 - S. Giuseppe, 197 - Le veglia

Giuseppina, 198 - «L'Economo dell'Istituto», 201 - «S. Giuseppe

ha fatto bene la sua parte», 203 - Ritratto vivo, 204.

PARTE QUARTA

MAESTRA

«La voce del Pa-

dre»………………………………………………………………”

209

Alle superiore

………………………………………………………………………

….” 211

«Le colonne dell'Istituto», 211 - «Il perno della casa», 212 -

Fermezza, 213 - Bontà, 214 - Prudenza, 215 - Umiltà, 216.

Alle suddite ….” 218

«Libri aperti», 218 - La confidenza, 220 - «Come l'asinello»,

220.

A tutte “ 224

«Farsi piccola, piccola», 224 - «Il più bel distintivo del nostro

Istituto», 226 - Zelo, 230 - «Templi vivi del Signore», 232 -

«Vere spose di Gesù», 234 - Le piccole cose, 236 - L'orario, 237

- Preziosità del tempo, 239 - «Impastate di preghiera», 241 -

«La chiave del paradiso», 244.

Gli esercizi spirituali “ 247

«Questa specialissima grazia », 247 - Condegna pre-

parazione,

426

249 - Nel Cenacolo con la Confondatrice, 250 - «Pregare Iddio

per i morti ... », 252 - « ... e per i vivi», 253 - La chiusura degli

esercizi, 254 - Vestizioni e Professioni, 256 - «Gli esercizi

cominciano adesso!», 256 - Il ritiro mensile, 257.

Magistero efficacissimo …………..”

259

La concretezza, 259 - La vivacità, 262 - I superlativi, 265 - Le

ripetizioni, 266 - «Sembrava il Padre continuato ... », 266.

PARTE QUINTA

FIGLIA SPIRITUALE DEL FONDATORE

«Un aiuto simile a lui» »

271

Docile . ….” 273

La preoccupazione del Fondatore, 274 - Paterna benevolenza,

275 - «Le obbedienze del carissimo Padre», 276 - «Ho sempre

preso le sue parole come vangelo», 278.

Infaticabile . ….” 280

«La parrocchia del Padre», 280 - Per la chiesa nuova, 281 - Le

giovani, 283 - La gioventù femminile di A. C., 285 - «Dell'orfa-

no tu sei l'aiuto», 287 - Altre iniziative del Padre, 288 -

L'Istituto, 291 - Inculca l'amore all'Istituto, 292 - L'indefettibi-

le collaborazione, 293.

427

Premuro-

sa………………………………………………………………………

……….” 294

Anni di trepidazioni e di speranze, 295 - Confortatrice, 296 -

Per due mesi lontana dal Padre, 299 - Gli ultimi giorni del

Padre, 301 - A suffragio dell'Anima eletta, 302 - «Il ricordo del

Padre», 303 - La traslazione delle venerata Salma, 304 - Presso

la tomba del Padre, 306.

PARTE SESTA

FIGLIA DELLA MADONNA

Nel secolo dell'Immacolata .

311

Vita «mariana» nel mondo .

313

Atteggiamento filiale, 313 - Apostolato mariano, 314 - Il mese

di maggio, 315.

Apostola di Maria tra le figlie .

317

«Ella è nostra Madre», 317 - Il mese di maggio nell'Istituto,

318 - Il mese di ottobre, 319 - Maria Bambina, 320 - La

Madonna Addolorata, 321 - Per Mariam ad Jesum, 323.

L'Immacolata . 325

La Mantovani e l'Immacolata, 326 - Filiale ricorso, 326 - «lo ce

l'ho la compagnia», 327 - «La Madonna ti aspettava», 329 -

Mater virginum, 329.

La B. Vergine di Lourdes .

331

La Grotta, 332 - L'inaugurazione, 334 - Pellegrinaggi e grazie,

335 - La devozione delle figlie ... , 337 - ... e della Madre, 337 -

Un'aureola d'oro e di perle, 338 - L'Il febbraio a Castelletto,

341 - Fede e pietà, 342.

428

PARTE SETTIMA

MADRE

« Voi siete la vita dell'anima mia» ………………………….

347

Le orfanelle . 349

Le orfanelle dell'Immacolata, 350 - Prime comunioni, 352 -

Formazione integrale, 354 - «S. Lucia», 356 - Il contraccambio

delle innocenti, 357.

Probande e novizie . 360

Dietro le orme della Madre, 361 - Le prime impressioni, 363 -

Accanto alla Madre, 363 - «Mi godo tanto!», 365 - «Se non ci

fosse stata la Madre ... », 366 - Delicatezze materne, 367 - Il

noviziato nuovo, 369.

Con le suore . 371

«La mamma di tutte», 371 - Una lettera a suor Fortunata

Toniolo, 372 - Sollecita, 373 - «Te ghe rason», 375 - Avvocata,

376 - Forte, 377 - Durante gli esercizi spirituali, 378 -

Riconoscente, 380 - Incoraggiante, 381 - Quando correggeva ... ,

383 - «Il bel sorriso della Madre», 384.

Le malate . 386

Materne premure, 386 - Confortatrice, 387 - Peperoni e uccelletti,

389 - «Ecco il Proton», 389 - La nuova infermeria, 390.

Le defunte . 393

429

Suor Pia Strapparava, 394 - Altre novizie, 394 - Tre bocciuoli,

396 - Fior da fiore, 398 - Vittima della guerra, 401 - Di fronte

alla morte, 401 - Materna compiacenza, 402 - Le fuoruscite, 443

Fuori dell'Istituto

……………………………………………………………….

405

Verso il paese, 405 - I genitori delle suore,

407 - I sacerdoti, 408 405

PARTE OTTAVA

INCONTRO ALLA GLORIA (1934-1987)

Oltre la morte . 413

Glorioso tramonto . 415

L'ultima festa della Sacra Famiglia, 415 - La Madre è

indisposta, 416 - La Madre si aggrava, 417 - Morte serena, 418

- I funerali, 419 - La tumulazione, 422.

Il giudizio degli uomini .

424

Giudizi della stampa, 424 - Sacerdoti ed altre personalità, 427 -

Voci di figlie, 429 - Il pianto delle orfanelle, 432 - La trigesima,

433 - Omaggio filiale, 435.

Divina conferma . 437

«È proprio guarita!», 438 - «Sentii una stretta forte forte alla

gola ... », 439 - «Qui c'è il dito di Dio», 439 - Duplice grazia, 440

- «Ho ottenuto la grazia», 441 - «Incominciò a vederci ... », 442.

430

Tra le figlie morte . 443

Esumazione, 444 - Tumulazione definitiva, 446 - L'indelebile

memoria, 447 - Il «ritorno» della Madre, 449.

EPILOGO

La «testimonianza» di Maria Domenica Mantovani

…………………………………………………