Un frate cappuccino ligure domò il comandante del Lager · Venne così alla luce, tra un caffè,...

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Un frate cappuccino ligure domò il comandante del Lager di Antonino Ronco Storia

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Un frate cappuccino ligure domò il comandante del Lager

di Antonino RoncoStoria

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Storia

Nella pubblicazione dei Cappuccinisi rievoca l’assistenza spirituale pre-stata dal frate genovese alla notascrittrice negli ultimi tempi della suavita quando lei stessa (nata a Londra,figlia di un garibaldino esule in In-ghilterra ), cresciuta nella religioneanglicana, chiese di abbracciare la fe-de cattolica. In quella occasione Pa-dre Teodosio si adoperò per esau-dirne il desiderio e alla Vivanti, pro-strata da lutti dolorosi e gravemen-te inferma, nell’ospedale “Maria Vit-toria” di Torino, impartì prima il bat-tesimo, quindi la comunione e infi-ne la cresima per la quale condussenel nosocomio il cardinale arcive-scovo Maurilio Fossati. L’articolo citato era corredato da unapiccola foto in cui ritrovai le sembian-ze del frate che avevo conosciuto nel1940 quando, impegnato nell’assisten-za agli infermi del “Maria Vittoria”,venne più volte a trovare mio padre, suocompagno d’armi nella Grande Guer-ra, cui lo legava una fraterna amiciziamaturata negli anni del conflitto.In quella piccola immagine ho rivisto,il volto sereno e lo sguardo fermo del-l’uomo che mio padre ricordava alfronte, nella uniforme di tenente cap-pellano, del 42 Fanteria, Brigata Mo-dena, mentre al varco della trincea diQuota 208 Sud, battuto dal fuoco ne-mico, impartiva le benedizione e l’as-soluzione “in articulo mortis” ai fan-ti che andavano all’assalto.A Torino, nella quiete dell’ambientefamiliare, tra lui e mio padre si intes-seva una gara di ricordi, di rievoca-zioni, di commenti in cui i due com-

militoni, recuperavano, in una com-mossa e lucidissima narrazione a duevoci, vicende ormai leggendarie, marese attuali dall’incombere di un’al-tra analoga e più immane tragedia.

Nel 1917, quando sul nostro eserci-to si abbatté il dramma di Caporet-to, ormai da quasi tre anni il tenen-te Cappellano e l’Aiutante Maggio-re in Prima del reggimento tenenteFrancesco Ronco, dividevano la pa-gnotta del soldato nella zona d Go-rizia; anche a loro, come a molti al-tri militari italiani toccò l’amaroboccone di cadere prigionieri men-tre, nella piana di Lucinico tentava-no di raggiungere i ponti sull’Ison-zo per sottrarsi all’accerchiamento.Venne così alla luce, tra un caffè, un si-garo “Roma” e qualche ghiottoneriaper stuzzicare la memoria, in tutti i suoi

particolari, quell’episodio inedito del-la vita di Teodosio da Voltri che miopadre aveva più volte ricordato in fa-miglia, parlando della Grande Guerra,episodio ignorato e inedito che ag-giungerà una forte pennellata al ritrat-to postumo del frate genovese.

Recentemente, tra le carte di casa, ho trovato un estratto dal bollettino “Padre Santo”, mensile dei Cappuccini liguri, di qualche anno addietro, con un articolo siglato G.B.L. intitolato “Annie Vivanti e Padre Teodosio da Voltri”.

Padre Teodosio da Voltri.

Cartolina postale in franchigia per i prigionieri: edizione tedescaviaggiata con interventi della censura.

A frontePadre Teodosio, in uniforme di tenentecappellano, accanto al Cardinale Pacelli,Nunzio Apostolico a Berlino, tra i prigionieri del Lager di Halle, nel 1918. Il tenente Ronco è il primo da sinistra in seconda fila).

Ufficiali italiani, attorno a un tavolinointenti a giocare a scacchi tra le brandedella camerata.

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Disarmati e scortati, i prigionieri ita-liani furono avviati verso una sta-zioncina da dove il viaggio sarebbeproseguito in tradotta. Marciaronoper due giorni con tempo piovoso.Raggiunta la stazione, in attesa deltreno, si accamparono all’aperto sulterreno umido, schiena contro schie-na. Avevano freddo e fame; le pocheriserve dei tascapane erano ormaiesaurite e non c’era speranza di ave-re altro che pezzi di grossi pani di pa-tate e una broda calda che spacciava-no per caffè. Ad un tratto avanzò trai prigionieri un sottufficiale tedesco,che in lingua italiana, sull’esterefat-to uditorio lasciò cadere queste me-morabili parole: “Chi volesse man-giare ancora una volta la pastasciut-ta, si presenti dietro la stazione”.Quella notizia ebbe su quella folla gri-

gioverde l’effetto di un soffio di ven-to tra gli arbusti, suscitando un gran-de brusio. La cronaca non registrò chifu il primo a scuotere la testa ma, len-tamente, il brusio si spense: chi si eraalzato tornò a sedersi. Il tedesco pas-sò tra i vari gruppi ripetendo il suoinvito, ma pochi o degnarono di unosguardo.Durante la notte i prigionieri prese-ro posto sul treno e, passate le Alpi,all’alba, qualcuno si accorse che il con-voglio viaggiava verso ponente, cosache fece cadere l’ipotesi che la metafosse un Lager denominato Mathau-sen, da dove arrivavano ai parenti car-toline di soldati italiani rimasti in ma-no agli austriaci. Loro erano stati cat-turati dai tedeschi e quindi erano, evi-dentemente, diretti in Germania.Viaggiarono per due giorni attraver-

so la Foresta Nera, a strappi, con lun-ghe soste, per lasciare il passo ai con-vogli carichi di uomini, di cannoni, dicavalli avviati verso l’Italia per ali-mentare l’offensiva e incalzare gli ita-liani in ritirata verso il Piave. Al mat-tino, nel vagone degli ufficiali PadreTeodosio disse la Messa con gocce divino mendicato da chi aveva potutosalvare la borraccia sporca.Nel secondo giorno, da un ferrovieretedesco che aveva lavorato sull’OrienteExpress vennero finalmente a sapereche quel convoglio li avrebbe condottia Rastatt, una città della valle del Re-no. Li attendeva un grande Lager che,dai primi ospiti, aveva ereditato il po-co allettante nome di Russenlager. Erauna enorme e rudimentale strutturache veniva usata come centro di smi-stamento; la speranza che ci sarebbe-ro rimasti poco fu l’unico aspetto con-fortante di quella tappa che, per il re-sto, lasciava soltanto la scelta trafreddo, fame, parassiti e disciplina fer-rea. Dopo un mese e più, fu quindisalutato come un dono del Cielo l’an-nuncio che sarebbero stati presto tra-sferiti altrove. La nuova destinazione aveva, se nonaltro, un nome più rassicurante del“Russenlager” di Rastatt. Si trattavadell’Offizier Lager di Halle, sul fiumeSaale, affluente dell’Elba, non lonta-no da Berlino.Ad Halle furono sistemati in antichiedifici, in camerate con pareti bianchee alte volte, brande da caserma, pa-gliericci e coperte. La zuppa calda ven-ne considerata un progresso prima an-cora di conoscerne gli ingredienti.Sembrava certo che lì avrebbero atte-so la fine della guerra, comunque le co-se fossero andate in Italia.Ma gli aspetti negativi della nuova si-stemazione non tardarono a venire agalla: la quotidiana “sbobba” era cal-da, ma consisteva in un miscuglio dipezzi di patate, di rape, di torzoli dicavolo e carote bolliti e conditi con

Cartoline in franchigia per prigionieri di diversi Lager(Russenlager, Mathausen, ecc.).

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grasso di foca. Molti prigionieri sof-frivano anche per la mancanza di ta-bacco per cui, i più disperati, si die-dero a fumare la paglia dei paglieric-ci e certe misteriose misture di fogliesecche, avvolte in carta da giornale, checircolavano per il campo. Queste ina-lazioni ebbero come conseguenza ilmoltiplicarsi dei casi di affezioni pol-monari, con edema ed emottisi. Con-tribuivano ad aggravare queste sinto-matologie le regole del campo, co-mandato da un colonnello, dove lagiornata, con qualunque tempo, co-minciava con un’adunata all’apertonelle più fredde ore del giorno, adu-nata che spesso si prolungava per ap-pelli, controlli, sopralluoghi nelle ca-merate e così via.Il problema più grave, per i prigionieri,era però la mancanza di pane. Ad ognicamerata veniva consegnata una spe-cie di lingotto nero, chiamato pane,in realtà un impasto mal cotto di cru-sca e patate, che doveva essere divisotra dieci o dodici uomini affamati: in-carico che i tedeschi lasciavano vo-lentieri ai prigionieri. L’impresa peròera disperata: si reperirono dei doppidecimetri con i quali, apposite com-missioni, democraticamente elette,provvedevano a suddividere il cosid-detto pane in fette il più possibile equi-valenti; ma le proteste erano quasiquotidiane e i Commissari restava-no poco in carica. Con il freddo di novembre e dicem-bre, le soste all’aperto, la paglia al po-sto del tabacco, la “sbobba” di pata-te e rape, nel campo si cominciò amorire. Le delegazioni incaricate dipresentare le proteste “per via ge-rarchica” non ottenevano nulla; sistava determinando un’atmosferapericolosa. E fu così che un mattinodalle file dei prigionieri usci un sol-dato con la croce sul petto e chieseun colloquio con il Comandante. Glifu concesso per il giorno dopo a “l’o-ra della conta”.

Le rade lampade del campo lottava-no con l’incerta luce dell’alba che apri-va vuoti luminosi nel terreno bagna-to, quando il colonnello si portò alcentro del quadrato e fece cenno al sa-cerdote di avvicinarsi. Tramite l’in-terprete, che era un giovane ufficia-le diventato, in seguito, un’alta per-sonalità del regime nazista, Padre Teo-dosio avanzò la sua protesta conclu-dendo: “Noi siamo prigionieri diguerra, protetti dagli accordi inter-nazionali, non condannati a morte;il trattamento in questo campo è cau-sa...”. A questo punto il Comandan-te lo interruppe con una frase che tut-ti compresero, anche se urlata in te-desco: “Io posso farla fucilare per que-sto, lei sobilla i prigionieri...”. RisposePadre Teodosio: “So bene che lei può

farmi fucilare, ma tenga presente chedomani la cosa si saprà a Berlino equindi in Vaticano...”. Intervenne l’in-terprete, il colloquio ebbe termine eil Comandante si allontanò visibil-mente infuriato. I prigionieri schieratiin quadrato, con temperature sotto-zero, avevano sulla fronte il sudo-re gelato. Caso volle che, mentre si attendeva-no le conseguenze di quel colloquio,giunse l’annuncio che si preparava unavisita al Lager di Halle (e non solo aquello, ndr) del Cardinale Eugenio Pa-celli, Nunzio Apostolico a Berlino. IlPrelato giunse infatti; celebrò la Mes-sa, parlò con i prigionieri e accompa-gnato da Padre Teodosio e dall’inter-prete visitò l’infermeria, le camerate eassistette al rancio dei prigionieri, spie-

Cartoline italiane per la spedizione di pane ai prigionieri.

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gando che in Germania vigeva un ri-goroso razionamento e che il cibo de-stinato ai prigionieri era poco diver-so da quello per il personale del cam-po: assicurò comunque il suo interes-samento.La visita del futuro Pontefice, che aBerlino godeva di grande stima, eb-be qualche riflesso positivo. PadreTeodosio (tra i tedeschi del campoperdurò la convinzione che fosse sta-to lui a provocare quella visita) ebbe,tramite l’interprete, qualche “severoconsiglio” del Comandante, ma sot-to alcuni aspetti la situazione gene-rale migliorò. Fu cambiato il luogoe l’ora delle “adunate per la conta” ei prigionieri, con il sopraggiungere diuna stagione più mite, ebbero l’au-torizzazione ad uscire in gruppiscortati, e visitare la città. Questa con-cessione era subordinata ad un giu-ramento (con tessera bilingue e fo-tografia) che trasformava qualsiasitentativo di fuga (un diritto normal-mente riconosciuto ai militari pri-gionieri di guerra) in un reato da pe-na di morte. La questione delle razioni viveri, che

restava sempre l’aspetto più dolenteper i prigionieri, migliorò sensibil-mente con il perfezionamento delservizio pacchi. Provvidenziale per iprigionieri fu la grande mobilitazio-ne, in patria, di famiglie, enti e co-mitati assistenziali, impegnati a fargiungere nei Lager viveri di ogni sor-ta e generi di conforto, attraverso ilservizio gestito dalla Croce Rossa eassecondato da organizzazioni e Co-mitati sorti un po’ dovunque, tra cuiun sevizio speciale per il pane. L’or-ganizzazione assistenziale curò l’af-flusso nei Lager (quello di Halle co-me Offizier Lager era forse tra i pri-vilegiati) di viveri e indumenti, chealleviò sensibilmente le sofferenze deimilitari. Un aspetto restò sempre precario(specie dopo Caporetto, per le mi-gliaia di soldati rimasti in mano ne-mica) e cioè i tempi d’inoltro dellaenorme massa di pacchi di generi va-ri, diretti in Austria e in Germania,con il contenuto che arrivava al de-stinatario ormai deteriorato. Per fa-re un solo esempio, non certo isola-to, un pacco spedito dalla Liguria ai

primi di gennaio 1918 giunse ad Hal-le nel mese di aprile. Comunque l’ar-rivo dei pacchi (sempre controllatidai servizi di censura), cominciò adaffollare le mensole disposte soprale brande con scatole, sacchetti, bot-tiglie, libri insieme a foto di fidan-zate, mogli e neonati, fissate alle pa-reti. La possibilità di uscire dal campo da-va poi modo, a chi aveva soldi, di ac-quistare libri, materiale di studio ecartoline (ma non spedirle). Qual-cuno ne approfittò per imparare il te-desco, cosa che lo fece includere, do-po l’armistizio, tra gli incaricati di re-cuperare i militari italiani che ave-vano accettato di lavorare nelle fat-torie e nelle industrie tedesche, qual-cuno dei quali, che nel frattempo siera fatto una famiglia “tedesca”,chiese di restare in Germania, “vin-citore e vinto insieme”.

Cartoline illustrate con vedute della città di Halle acquistate da un prigioniero durante le uscite.

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