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UN BAMBINO A BRACCIA APERTE ENTRA NELLA NOSTRA TERRA NELLA NOSTRA CARNE NELLA NOSTRA VITA Cappella della “Casa incontri cristiani” Capiago (CO) – Febbraio 2006 ENTRA NEL NOSTRO DOLORE NELLA NOSTRA MISERIA NEL NOSTRO VIVERE E MORIRE 1

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UN BAMBINO A BRACCIA APERTE

ENTRA

NELLA NOSTRA TERRA NELLA NOSTRA CARNE NELLA NOSTRA VITA

Cappella della “Casa incontri cristiani” Capiago (CO) – Febbraio 2006

ENTRA

NEL NOSTRO DOLORE NELLA NOSTRA MISERIA

NEL NOSTRO VIVERE E MORIRE

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A NATALE IL VIVERE E IL SOFFRIRE DI DIO

NEL VIVERE E NEL SOFFRIRE DELL’UOMO

Continuiamo a vivere il Natale, mentre continua a morire l’uomo! Sembra una contraddizione. E lo è, in questo mondo di contraddizioni. Eppure è la descrizione “naturale” del vivere. Si nasce per vivere, non certo per morire; e tuttavia si muore. Il continuo nascere è il segno del trionfo della vita. Il continuo morire vorrebbe esserne la smentita. Ma se tra noi nasce un Dio, che poi muore, allora il ciclo assume la forza, la grazia, la bellezza del vivere di Dio, il quale sperimenta con noi il morire per farlo diventare un momento di vita, il momento della sua donazione. Così comprendiamo il vero senso del vivere umano in questo ciclo continuo di far nascere e di morire: nel far nascere viene donata la vita, perché chi la assume comprenda che il vivere è donato e nel morire la vita spesa viene lasciata, perché appaia sempre più un dono da spendere, da investire, da valorizzare. Leggere nel Natale il ciclo completo della vita significa vedervi la Passione e questa segna profondamente il Natale di Gesù e il Natale come festa dell’uomo. Oggi portiamo il tanto dolore presente nella follia di bambini uccisi per la violenza cieca, presente nella follia di una guerra insana che non vogliamo risolvere, presente nella miseria di chi non ha la forza di affrontare il futuro, presente nella miseria di chi ha un cuore chiuso e indurito. Ma in questo dolore irrompe la vita di questo Bambino: lui si mette sempre dentro e vi entra portando l’amore del soffrire. Così è ancora possibile sperare, perché allora il soffrire ha un senso. Così è ancora possibile avere un futuro, perché l’amore è più forte della morte. Così è ancora possibile vivere, perché l’amore, quello vero, gli dà senso.

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Introducendo Immagini, colori, suoni e parole hanno sempre “decorato” il Natale; e così noi ne abbiamo fatto un elemento “decorativo”. Proviamo a riutilizzare gli stessi elementi per riscoprire la vera natura del Natale, che non è certamente qualcosa di ornamentale. Esso rappresenta pienamente la vera natura di Dio e dell’uomo: in Gesù essi si incontrano e si fondono; e la loro natura è essenzialmente quella di far nascere sempre, immettendosi in un vivere, segnato dal male. Proprio per questo deve essere salvato dal solo modo possibile, che è quello di amare anche a soffrire, di amare nel soffrire, di amare sempre e soffrire. In presenza di eventi che vedono la violenza sui bambini, e quindi il tentativo di spegnere ogni speranza di vita con loro e per loro, dobbiamo reagire mettendo nel nostro vivere un amore ancora più grande, come quello che il Signore porta con sé, sempre per noi, anche a soffrire, proprio nel soffrire, soffrendo nel momento stesso in cui ama. Il Signore ama noi, ama il nostro vivere, e dalla nascita alla morte vive per noi e con noi una passione che fa di un vivere dentro la sofferenza un atto continuo di amore e quindi un vivere che sempre ama, anche a soffrire. Questo è il suo Natale, di ieri, di oggi, di sempre. Questo è il nostro Natale con il suo! È Natale. Ha fatto irruzione nel mondo e nella vita un evento che ha mutato tutto, che ha posto fine al “nulla di nuovo sotto il sole” dell’antico Ecclesiaste e al grigiore dell’eterno ritorno proclamato dal filosofo moderno: un evento in virtù del quale la nostra notte, terrificante e fredda e squallida notte, in cui corpo e spirito attendevano di assiderarsi, s’è fatta la santa Notte. Poiché il Signore è qui! L’Eternità si è fatta tempo, il Figlio si è fatto uomo, l’Idealità, il Logos che tutta la realtà abbraccia e compenetra, s’è fatto carne, e il tempo e la vita umana ne sono stati trasformati; poiché Dio stesso ha preso umana carne. Ora questo mondo con il suo destino sta a cuore a Lui. Ora non è solo opera sua, ma una parte di Lui stesso. Ora cade su di Lui la nostra sorte, la nostra gioia terrestre e la desolazione che a noi tocca. Dio è venuto. E questo significa: “Io vi amo: te, o mondo; te, o uomo”. Parola assolutamente inaudita e inverosimile; poiché, come si può pronunciarla, se si conoscono l’uomo e il mondo, e si sa che sono entrambi spaventosi, vuoti abissi? Ma Dio li conosce meglio di noi; eppure ha detto questa parola, se è vero che è nato Lui stesso, come creatura! (Karl Rahner)

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IL VERBO CHE E’ IN OGNUNO di Aldo Carpi

25 dicembre 1944 Cara Maria, solo solo, la ricordata, ogni giorno ed ora, la presente, la custode vigile dei figli; vedo tutto di ogni momento e comprendo e spero, e penso e prego per l’unita compagine della famiglia: uno per uno, mi pare di guidarli nella furiosa tempesta, verso il loro libero destino, secondo la loro “mens cordis”; sento la Provvidenza che lentamente, giusta, guida la mia barca, dove materialmente son solo – ma non sono solo – sento l’unità efficace viva religiosa degli spiriti nostri, sento il contatto delle nostre anime, continuo, vero: vedo lo sguardo che attraversa lo spazio e s’incontra col mio. Uno per uno vedo, nella mia dolcezza di pensarli miei, di pensarli in cammino, vigile cammino sulla pericolosa strada; e tu, Maria, più vigile di loro li guidi e non li dimentichi un secondo, uno per uno, tutti assieme, uniti verso il loro campo d’azione spirituale. È il Verbo che è in ognuno, anima dell’Eterno e dell’eternità. Nella preghiera non sono prigioniero e non sento desiderio di libertà materiale: il mio spirito è libero con voi, e la mia bella preghiera arriva libera a voi, e il mio amore inesausto. Non credevo così. È bene così: così il mio destino sarà per il bene mio e vostro e tuo e nostro – “adiciat Dominus super vos, et lux luceat in tenebris”. È la luce del Verbo che vince, è il tutto che è nulla, è il minimo che è il massimo. Un lampo d’amore è un universo, è potente e va dove voglio che vada: là dove è il mio amore grande, positivo, semplice, per voi. Il mio destino fisico non è interessante. Più e più vedo l’inanità umana, la bestialità immanente e il dolore senza limite, e più e più sento in me lo spirito universale che abbraccia e conduce, la realtà tangibile del’anima umana, il suo fatto solido-potenziale che brilla nell’oscurità del soffrire. Pochi sono gli uomini liberi, pochi hanno l’anima in azione; anche nel terribile dolore molti e molti calcolano un proprio vantaggio. Molti tengono l’anima nascosta e brillano al minimo contatto, alla minima apertura. Così ho veduto nei giovani: cercano la Voce che loro parli, hanno bisogno dell’intima parola, lo sguardo di Cristo è loro presente e vorrebbero qualcosa che li riscaldi e li faccia sentire liberi: è la prima parola della mamma che torna a loro. E tanti sono già morti – e Dio li abbia con sé liberi d’ogni peccato. Maria, il mio pensiero in questo Natale, come è il tuo per noi; ai nostri cari defunti, uno per uno, presenti oggi nell’amore che non ha termine.

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IL BAMBINO DI PASQUA Anche a Natale la Chiesa celebra la Messa e quindi la memoria della Passione di Cristo. Anche nel Natale 1233, a Greccio, S. Francesco conduce la povera gente a realizzare il primo presepe fino all’altare dove viene celebrato il sacrificio di Gesù. Anche a Natale, ogni anno, si continua a combattere, a soffrire, a morire. La passione dell’uomo non si ferma: in questa stessa passione Gesù si è messo fina dal momento della nascita per viverci la sua passione e così dare con essa un senso al patire dell’uomo. Noi vorremmo un’isola felice di ore nelle quali non avere da soffrire, un momento spensierato per sorridere alla vita, qualche attimo fuggente per uscire dai problemi che infastidiscono il vivere. Il Bambino, entrando nel mondo dominato dal nostro male, ci mette il suo vivere fatto di donazione e di amore, perché, anche a soffrire, ci sia sempre l’amore a vincere tutto. Così il Bambino di Natale si presenta a noi già come l’Uomo di Pasqua! In considerazione delle tante immagini di dolore, di sofferenza, di morte, che coinvolgono tanti bambini nel mondo, ai quali è negato di vivere e di dare la loro speranza al nostro futuro, vogliamo meditare sul “Bambino pasquale”, quello segnato dalla passione, come già appare nel presepio, immagine per noi di poesia e di dolcezza, di buoni sentimenti e di umanità. Egli però ci ricorda che la sua presenza tra noi è per dare al vivere umano quella passione che lo fa uscire dal dolore mediante l’amore che si dona. Così le immagini natalizie ci introducono nel vivere dell’uomo e ci richiamano a vivere nella maniera giusta il Natale, quello che Gesù vive con noi e per noi. Il percorso ci viene suggerito dal Centro Aletti di Roma che in questi anni ha sviluppato in varie parti del mondo temi e modi espressivi con cui Oriente e Occidente si incontrano, arte antica e moderna trovano un linguaggio comune. Il messaggio evangelico ricorre a moduli espressivi che permettono all’uomo d’oggi di riscoprire l’evento narrato con prospettive nuove. Esse esaltano la persona e la rendono sempre più protagonista. In queste immagini l’uomo deve rispecchiarsi per scoprire sempre più lo spirito profondo, ciò che di meglio possiede e può far emergere, perché i fatti siano davvero sempre più umani. In un mondo disumanizzato, che sempre più ci rivela l’emergere dello spirito diabolico, dobbiamo coltivare quello Spirito che ci fa essere sempre più persone costruite secondo l’immagine di Dio, che è tutta dentro la fisionomia umana del Verbo fatto carne.

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E l’arte di questo centro è a servizio di una spiritualità che si può dire in comune fra Oriente e Occidente, senza le contrapposizioni che oggi si vorrebbero accentuare in chiave polemica. Il ricorso alla tecnica del mosaico, con tessere anche di notevoli dimensioni, vuole suggerire il ritorno ad un modo di rappresentare, che appartiene all’arte paleocristiana e a quella di sapore orientale, come se a partire dalla frammentazione si volesse ricomporre in unità il disegno, quello stesso di Dio, che non si lascia scomporre dalle miserie umane, ma sa ricostruire, ricreare una sorta di mondo nuovo, in cui ogni frammento diventa parte di un tutto organico e vivo.

1. IL BAMBINO E LA PIETA’

Cappella della Santa Famiglia nel Quartier Generale dei Cavalieri di Columbus New Haven, Connecticut - USA - Febbraio 2005

Si potrebbe dire che in questa scena i misteri principali della fede cristiana trovano il momento sintetico: sullo sfondo cosmico di una Creazione che coinvolge tutti gli elementi, si presenta l’Incarnazione che ha proprio il sapore di una immersione di Dio nella terra e nella carne umana, la quale appare già segnata dalla futura passione. Così nella carne dell’uomo Dio vive già la sua opera di Redenzione.

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In questa scena, ridotta all’essenziale, dove tanti altri elementi decorativi classici (capanna, pastori e angeli) non ci sono, Gesù bambino è posto sulla terra in un riquadro che evoca il pagliericcio. Maria, piegata nel corpo, si china amorevolmente su di lui; ma è già l’immagine della Pietà, appunto perché si piega nel corpo e si abbassa a terra, e adora suo Figlio segnato dal disegno di Passione che accompagna costantemente il suo vivere. Gesù ha le braccia aperte come in croce; e, sulle fasce, in corrispondenza del cuore, compare una linea rossa che evoca la ferita del cuore aperto. È la lettura pasquale del mistero natalizio: la vita di questo bambino è donata, è messa a disposizione, è consegnata totalmente a questa terra (ecco perché viene deposto sul terreno!). Egli sarà sempre segnato dalla Passione, perché la passione è il segno inconfondibile della sua esistenza, così come lo è del vivere umano, una passione che è sempre amore e donazione, accompagnati costantemente dal soffrire, come indice di un sacrificio volontario, che prende il male su di sé, ma non lo scarica mai sugli altri.

La figura di Giuseppe completa la scena: se mamma e figlio rappresentano nella loro posizione il lato lungo della croce, il padre costituisce il lato trasversale del legno della croce, quello che porta l’intestazione della condanna.

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E lui è in effetti l’uomo che dà il senso alla scena con quel suo “dormire”. In realtà egli vive il “sogno” evangelico: “in sogno” Giuseppe sa leggere più in profondità l’evento in cui è coinvolto. Essendone l’intestazione, Giuseppe sta a dire che quel Bambino è il salvatore, perché dal suo mettersi in terra così, egli crescerà nel mondo con questa impostazione di vita e lui, come padre educatore, dovrà ricordargli questo impegno, questa scelta. Più ancora che dalle parole scritte, emerge dalle immagini che le traducono, il senso vero del Natale cristiano, che è poi costantemente il Natale dell’uomo, di ogni uomo. Gesù vive il suo Natale già impostato con la missione che egli ha; suo padre vive il Natale del Figlio, consapevole che gli ha da compiere un disegno con il quale la sua esistenza resta impostata. Gesù si presenta così; ma così sono pure i suoi genitori che ce lo presentano in questo modo, abituando suo figlio a vivere l’impostazione dell’esistenza secondo la passione. Così deve essere per ogni uomo che nasce, e per chi fa nascere una nuova esistenza.

2. IL BAMBINO “IN CROCE”

Cappella delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento Lenno (CO) - Giugno 2007

La stessa scena natalizia, con soluzioni diverse, è presente anche a Lenno (CO), dove la rappresentazione, che fa da sfondo all’altare, consente a Gesù Bambino di essere deposto nella mangiatoia, in corrispondenza dell’altare stesso. Lì in effetti è adagiato e nel medesimo tempo è messo a disposizione per essere mangiato. Anche qui è descritto nella posizione di un “crocifisso”, con le braccia allargate, perché solo così egli può dire che la passione è la caratteristica “naturale” del suo vivere come uomo. Maria e Giuseppe, posti accanto, sono entrambi in contemplazione del mistero: appaiono come divergere tra loro, appunto perché staccati e nel contempo hanno in comune i piedi, quasi a dire che essi sono profondamente uniti in questa loro opera di introduzione del figlio nel mondo, pur da posizioni diverse e con differenti compiti. Partecipi come sono, negli sguardi rivolti al figlio, della sua “missione”, ne sono come attratti, condividendo con lui la medesima impostazione di vita: la posizione assunta, la disposizione delle braccia sembrano come croci o incroci che richiamano continuamente questo modo di costruire il vivere di Cristo, che deve essere il vivere dell’uomo, sia nel suo nascere, sia nel suo consegnarsi, sia nel trasmettere ad altri il proprio vivere, come fanno i genitori.

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Sullo sfondo si vede il profilarsi di un antro nella montagna: non è solo il luogo di rifugio della famiglia, trovato a Betlemme, ma diventa qui il richiamo alla caverna del sepolcro, che è sempre immagine di vita, più che di morte, perché di lì rinasce l’esistenza in quanto è stata donata.

In una chiesa dedicata all’adorazione è bello avere come raffigurazione viva il bambino che induce a tenerezza. Tuttavia occorre sempre ricordare che la maniera con cui Dio si presenta all’uomo non è quella sdolcinata, non ha come mezzo e come fine il sentimento, quanto piuttosto quello spirito che propone sempre l’amore nella forma totale, la modalità della donazione di sé che non bada a risparmiarsi. Il Natale diventa così memoria viva di un ingresso nel mondo che è sempre segnato dal sacrificio di sé, perché Dio vive sempre in questa sua disposizione e mai lo dobbiamo dimenticare, facendo prevalere dei sentimentalismi insufficienti e inadatti ad esprimere la profondità dell’amore di Dio.

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In Lui vediamo ogni bambino che entra nel mondo disponibile al suo sacrificio, che non è certo in un vivere stentato, doloroso e triste, ma in un vivere sempre a disposizione per un apporto costruttivo che impegni seriamente.

3. DAL GREMBO DELLA TERRA

Chiesa ortodossa della Trasfigurazione Cluj - Romania - Novembre - dicembre 2012

Lo stesso antro è visibile qui: esso è rischiarato dall’irrompere della stella e dall’accendersi di luci interne, come se si trattasse di un cielo stellato. Dal grembo della terra, immagine dell’utero materno, appare il bambino deposto in un luogo che sembra più un’arca o una tomba che non una mangiatoia: ancora una volta la nascita è associata al mistero pasquale di morte, sepoltura e risurrezione, perché questo è il vivere dell’uomo dal grembo della madre al grembo della terra.

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Maria è rappresentata completamente sdraiata, secondo la tradizione iconografica orientale, mentre mostra il frutto del suo grembo: lei è la nuova Eva, che, generando il figlio dell’uomo, diventa la vera madre dei viventi, di coloro cioè che, pur abitando nell’ombra della morte, sono destinati alla luce della vita, a diventare la vita, che è luce per gli uomini. La stella che pende sul capo sta proprio ad indicare questa realtà proclamata dal vangelo. Giuseppe, posto accanto e comunque fuori di questa scena dell’antro luminoso di vita, è nella posa di sempre, quella che lo fa contemplativo del mistero. Con la mano che sostiene la faccia egli di fatto solleva il capo: la salvezza è davvero a portata di mano e lui stesso viene investito da quella luce che è vita, come pure da quella vita che diventa la sua luce. In questa immagine la Natività è rapportata al grande evento della sepoltura, letta come momento in cui la vita, che sembra vinta dalla morte, è ancora in grado di sprigionare tutta la sua potenza, perché il seme è davvero forza di vita. Così ogni vita immessa in questo mondo segnato dalla morte è in realtà la vera energia che libera, che risveglia, che risana. Insomma c’è davvero sempre da sperare, c’è sempre da costruire, c’è sempre da far rivivere, perché la vita, quella che Dio dà all’uomo, non finisce.

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Concludendo

Caro Gesù, chi te l’ha fatto fare di venire al mondo? E chi ti ha detto di ritornarci? E che cosa mai credi di trovare di meglio, quest’anno? E perché mai dovrebbero, ancora oggi, in tanti, sperare in quel mondo nuovo che tu hai detto di voler fare e che invece sembra diventare sempre più decrepito, indurito, incattivito? Vorremmo suggerirti di prenderti una pausa, di evitare quest’anno di cercare casa tra noi: ti verrebbe detto che sono già venuti in tanti e che non c’è più posto; ti verrebbe detto di startene alla larga in tempi di contrapposizioni violente; ti verrebbe detto che tanto è inutile voler cambiare questo mondo, che in realtà peggiora ogni giorno. Tu, però, ci torni! Ci tieni a venire da noi, perché questa è casa tua, perché noi ti apparteniamo, perché tu qui hai fatto la tua parte e così ci hai messo dentro tutto di te. E continui a farlo! A noi sembra di ricordare un fatto del passato, di richiamare un evento d’altri tempi, colorandolo con le componenti solite della povertà e della semplicità, che suscitano buoni sentimenti. Tu invece continui a vivere quello che hai vissuto allora; e così ti ritrovi un’altra volta nell’incomodo, nei guai, nella precarietà continua. Allora sei arrivato e non se n’è accorto nessuno, se non povera gente; oggi ti cercano dove ci sono luminarie, addobbi, regali e ogni ben di Dio con l’illusione di farti festa in questo modo. Allora te ne sei dovuto scappare presto, perché davi già fastidio; oggi sei in cerca con altra povera gente di un vivere più sicuro, di un futuro più decente, e incontri difficoltà di ogni genere. Perché allora sei venuto? Perché continui a venire? Sei proprio convinto di riuscire a salvarci? Sei riuscito a salvare tutti quelli che già sono passati di qui senza conoscerti, rifiutandoti, addirittura, ignorando completamente tutto quello che hai insegnato? Forse non abbiamo ancora capito che tu ci hai già salvato e ci continui a salvare a modo tuo! Vorremmo cominciare a capirlo, proprio mentre abbiamo davanti agli occhi tante tragedie, tanta sofferenza, tanti morti, tanti bambini senza futuro: qui tu ce la metti tutta, assumendo il medesimo soffrire e vivendo in quel soffrire un amore che dona sempre anche a non vedere corrispondenza. Tu fai così. Fai sempre così. Fai così anche a Natale, quando non si dovrebbe soffrire. Tu però non vuoi soffrire, vuoi sempre amare! Ma sai bene che l’amore vero non può che passare dal soffrire. E così ci passi ancora. Così ci tiri fuori dal gran dolore diffuso, chiedendoci di amare come ami tu, sempre. Grazie, Gesù, per un Natale così!

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Domenico Ghirlandaio è un pittore fiorentino del ’400. L’opera rappresenta la nascita di Gesù, l’adorazione dei pastori e l’arrivo dei re Magi insieme. Gesù nasce tra le rovine delle antichità romane. Sullo sfondo ci sono due città: Roma, a sinistra, e Gerusalemme, a destra. I re magi passano sotto l’arco trionfale mentre il pittore rappresenta se stesso come il pastore che indica il bambino.

Natività di Gesù - (1303-1305) Giotto – Padova, Cappella degli Scrovegni