UN BAMBINO ASSIRO1 NA-UR UN BAMBINO ASSIRO... Testo di Roberto Rattotti Un rumore improvviso destò...

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1 NA-UR UN BAMBINO ASSIRO... Testo di Roberto Rattotti Un rumore improvviso destò Na-Ur dal sonno. Nella stanza accanto si udivano i servi che si preparavano per andarere al mercato, comandati dalla voce di Nabila, la madre di Na-Ur. Na-Ur si stropicciò gli occhi, si stiracchiò sulla stuoia da sonno, si tolse la tunica che usava per dormire, infilò una tunica pulita e i sandali di cuoio e si affacciò alla porta della sua stanza. Nel cortile c'era suo padre, Marduk, che parlava con lo scriba e con Nabila. Nelle stanze delle donne si intravedevano le schiave al lavoro che pulivano e riassettavano la casa. Marduk vide il figlio, lo chiamò e, abbracciandolo, disse che partiva con una carovana di asini e cammelli per la città di Mari, dove avrebbe scambiato bronzo e schiavi con piombo e argento. Doveva fare in fretta perché la carovana, scortata da un drappello di soldati, era pronta a partire. Marduk accarezzò il figlio e lo affidò a Nabushur, lo scriba, per la lezione mattutina. Na-ur sbuffò e gli occhi gli si riempirono di lacrime. Avrebbe preferito mille volte accompagnare il padre, piuttosto che imparare a scrivere con lo stilo su quelle appiccicose tavolette di terracottata o essere costretto a leggere vecchie tavolette polverose che raccontavano in poesia le storie dei mille Dei della terra di Accad. Si udirono dei colpi battuti al portone, uno schiavo aprì ed entrò il capo della scorta. Na-ur conosceva bene Tiglat, il Rab-Abru che comandava i soldati della città. Si diceva che, prima di comandare la guarnigione cittadina, Tiglat avesse fatto parte del quradu, la guardia scelta che difendeva il re di Assur nelle battaglie. Per fare parte del quradu bisognava essere molto fedeli e molto valorosi. Come sempre, Na-ur era affascinato dalla divisa di Tiglat. In testa portava un elmo di bronzo a punta, allacciato sotto al mento da una cinghia di cuoio. Una corazza di lamine bronzee gli copriva le spalle e il petto, allacciata ad una cintura pendeva la spada e, in mano, reggeva un giavellotto da lancio con la punta acuminata e sottile. Tiglat e Marduk si salutarono e si augurarono a vicenda di avere la protezione del dio Assur nel viaggio che stavano per intraprendere. Marduk raccolse il mantello e la sacca di cuoio degli abiti di ricambio, accarezzò la testa di Na-ur, sorrise a Nabila e uscì dal cortile insieme a Tiglat.

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    NA-UR UN BAMBINO ASSIRO...

    Testo di Roberto Rattotti

    Un rumore improvviso destò Na-Ur dal sonno. Nella stanza accanto si udivano i servi che si preparavano

    per andarere al mercato, comandati dalla voce di Nabila, la madre di Na-Ur.

    Na-Ur si stropicciò gli occhi, si stiracchiò sulla stuoia da sonno, si tolse la tunica che usava per dormire,

    infilò una tunica pulita e i sandali di cuoio e si affacciò alla porta della sua stanza. Nel cortile c'era suo

    padre, Marduk, che parlava con lo scriba e con Nabila. Nelle stanze delle donne si intravedevano le schiave

    al lavoro che pulivano e riassettavano la casa.

    Marduk vide il figlio, lo chiamò e, abbracciandolo, disse che partiva con una carovana di asini e cammelli

    per la città di Mari, dove avrebbe scambiato bronzo e schiavi con piombo e argento. Doveva fare in fretta

    perché la carovana, scortata da un drappello di soldati, era pronta a partire. Marduk accarezzò il figlio e lo

    affidò a Nabushur, lo scriba, per la lezione mattutina.

    Na-ur sbuffò e gli occhi gli si riempirono di lacrime. Avrebbe preferito mille volte accompagnare il padre,

    piuttosto che imparare a scrivere con lo stilo su quelle appiccicose tavolette di terracottata o essere costretto

    a leggere vecchie tavolette polverose che raccontavano in poesia le storie dei mille Dei della terra di Accad.

    Si udirono dei colpi battuti al portone, uno schiavo aprì ed entrò il capo della scorta. Na-ur conosceva bene

    Tiglat, il Rab-Abru che comandava i soldati della città. Si diceva che, prima di comandare la guarnigione

    cittadina, Tiglat avesse fatto parte del quradu, la guardia scelta che difendeva il re di Assur nelle battaglie.

    Per fare parte del quradu bisognava essere molto fedeli e molto valorosi. Come sempre, Na-ur era

    affascinato dalla divisa di Tiglat. In testa portava un elmo di bronzo a punta, allacciato sotto al mento da

    una cinghia di cuoio. Una corazza di lamine bronzee gli copriva le spalle e il petto, allacciata ad una cintura

    pendeva la spada e, in mano, reggeva un giavellotto da lancio con la punta acuminata e sottile.

    Tiglat e Marduk si salutarono e si augurarono a vicenda di avere la protezione del dio Assur nel viaggio che

    stavano per intraprendere. Marduk raccolse il mantello e la sacca di cuoio degli abiti di ricambio, accarezzò

    la testa di Na-ur, sorrise a Nabila e uscì dal cortile insieme a Tiglat.

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    Na-Ur e Nabushur si sedettero sotto l'ombra di una acacia

    nel cortile per iniziare la lezione di scrittura. Quella

    mattina Nabushur aveva portato due tavolette di argilla

    molto vecchie, che provenivano dal tempio di Tiamat.

    Erano scritte in sumero e raccontavano la storia di

    Utnapishtim e del diluvio universale. Il compito di Na-ur era quello di leggerle e poi ricopiarle su tavolette

    nuove di argilla cruda. Faceva caldo e, mentre Na-ur lavorava, Nabushur si appisolò. Molto lentamente Na-

    Ur appoggiò per terra lo stilo di bronzo e la tavoletta che stava incidendo, badando a fare meno rumore

    possibile si alzò e, in punta di

    piedi, si avviò verso il portone

    di casa, lo aprì e uscì nella via.

    La via dove era la casa di

    Marduk si trovava nel centro

    della città di Hamat, era stretta

    e lunga, fiancheggiata da case

    costruite con mattoni crudi.

    Quasi tutti gli abitanti erano

    mercanti o artigiani, con i

    magazzini o le botteghe che si

    affacciavano sulla via. Si

    potevano vedere quasi tutte le

    merci che esistevano nella terra

    di Assur e molte di quelle che

    arrivavano da nazioni vicine e

    lontane: porpora di Tiro, oro di

    Ophet, balsami di Canaan,

    tessuti della Ionia, amuleti

    della Caldea. Na-Ur conosceva

    già tutto questo e non ci faceva

    molto caso, il suo obiettivo era il mercato che si teneva appena fuori delle mura della città, sotto la ziggurat

    del dio Enlil.

    Il mercato era un posto meraviglioso dove si potevano vedere le merci più strane e affascinanti e,

    soprattutto, gente di ogni parte del mondo. Na-Ur era nato e vissuto sempre ad Hamat e conosceva solo la

    città e la campagna circostante, con i pascoli ed i campi coltivati a orzo.

    Ma si era riempito le orecchie e la mente con i racconti di viaggio di suo padre Marduk, che aveva

    viaggiato in lungo e in largo per i suoi commerci. Al mercato si potevano vedere le genti di cui aveva

    sentito narrare, con le loro strane vesti e le loro ancor più strane usanze e sentire lingue e dialetti stranieri.

    Na-Ur sognava di diventare un mercante e di viaggiare lontano, per conoscere genti e posti nuovi e avere

    meravigliose avventure . Il mercato lo faceva sognare e poi era molto meglio delle noiose lezioni di

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    scrittura di Nabushur.

    Appena fuori dalle mura vide il posto dove gli

    schiavi lavoravano a impastare il fango e la

    paglia per fare i mattoni. Gli schiavi erano

    Amorrei, catturati dai soldati di re Sargon nelle

    battaglie dell'anno precedente. Lavoravano

    nudi, con catene di rame al collo, sotto la

    sorveglianza delle guardie.

    Più avanti c'erano le fucine dei fabbri cittadini,

    costruite fuori dalle mura per evitare il fumo

    delle fornaci e il pericolo di incendi. Na-ur si

    fermava sempre a osservare il lavoro dei fabbri

    artigiani. C'era qualcosa di magico nel modo in

    cui trasformavano la roccia in metallo con

    l'aiuto del fuoco, sacro al dio Assur. Prima di

    tutto gli aiutanti sbriciolavano rocce di vari

    colori con pesanti martelli di pietra, fino a

    ridurle in piccoli frammenti. I frammenti

    venivano caricati dentro a piccole fornaci e

    arrostiti con fuoco di legna per diverse ore.

    Alla fine, dalle fornaci, uscivano grumi di

    materiale scuro che veniva lavato, pesato e

    ancora sbriciolato in piccoli pezzi.

    A questo punto interveniva il mastro artigiano,

    che sceglieva i pezzi di materiale migliore da

    fondere in fornaci alimente a carbone, accese

    con l'aiuto di piccoli mantici di pelle che

    soffiavano aria in continuazione.

    Alla fine il metallo fuso colava lungo canaletti

    di terracotta in piccoli stampi di pietra a forma

    di lingotto. L'arte del mastro artigiano

    consisteva nel mescolare accuratamente misure

    diverse di minerale, in modo da ottenere il

    bronzo migliore. I lingotti venivano poi

    lavorati da altri artigiani che ne ricavavano

    lame per falci, punte di lancia, coltelli, rasoi,

    elmi, spade, monete, statue e monili. Na-Ur si

    stupiva sempre per la quantità di cose che

    potevano essere fabbricate con il metallo.

    All'improvviso si udirono suoni di corni e battere di

    tamburi. Na-Ur corse avanti e vide una processione di

    sacerdoti del tempio che si dirigevano verso il mercato del

    bestiame. Stavano cercando un animale adatto a fare il ginu,

    il sacrificio rituale al dio Assur. Na-Ur sapeva che il ginu

    era di solito una capra, che veniva nutrita con orzo e miglio

    per alcuni giorni e poi uccisa nel tempio. Il gran sacerdote

    esaminava le viscere e il fegato e leggeva in questi il volere

    del Dio per il suo popolo. Stabiliva così se il raccolto

    sarebbe stato abbondante, se il Re avrebbe vinto in guerra,

    se la nazione assira avrebbe avuto un futuro glorioso. La scelta del ginu era però una faccenda lunga e

    noiosa e al mercato c'erano cose più interessanti da vedere.

    Sotto una tenda un medico egiziano esercitava la sua arte. I pazienti facevano la fila per farsi curare e il

    medico stabiliva il suo compenso a seconda del tipo di malattia. Na-Ur sapeva che il mestiere di medico era

    rischioso. Se il paziente non guariva, poteva denunciare il medico e farlo imprigionare o fargli pagare una

    grossa multa.

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    L'egiziano doveva essere bravo nella sua professione,

    perché la fila dei pazienti era lunga e, tra di loro, si

    vedevano anche molte persone ricche. Di fianco alla

    tenda del medico c'era il banco del farmacista, con i

    vasetti che contenevano unguenti, pomate, erbe e

    pozioni curative. Spesso i pazienti che uscivano dal

    medico si fermavano dal farmacista a comperare le

    medicine che erano state a loro prescritte.

    Na-ur si era svegliato presto e non aveva ancora fatto

    colazione. Si fermò da un venditore ambulante ed

    acquistò un pentolino di terracotta che conteneva

    bistecche d'agnello, stese su uno strato di miglio

    bollito.

    Cercò un angolino tranquillo e si mise a mangiare,

    tenendo d'occhio quello che avveniva di fronte a lui.

    Un venditore di birra offriva la sua merce ai passanti.

    La birra era contenuta in piccole anfore d'argilla,

    tappate con la cera. Per tenerle in fresco erano avvolte

    in stracci bagnati. Na-Ur aveva assaggiato la birra

    d'orzo una sola volta nella sua vita. Ne aveva rubato

    un'anfora dalla cantina del padre, era salito sul tetto

    piatto della sua casa e se l'era scolata tutta. Si ricordava

    ancora la nausea e il mal di testa del mattino dopo e le

    risa di suo padre e sua madre quando l'avevano scoperto ubriaco.

    Finito di pranzare, Na-Ur riprese a vagabondare. C'erano carovane in

    arrivo e mercanti che gridavano a gran voce i pregi della merce che

    vendevano. Più lontano, in un recinto, erano in vendita degli schiavi.

    Nella società assira la popolazione era divisa in categorie. Il più

    importante era il Re, l'uomo prescelto dal dio Assur, poi venivano i

    Sacerdoti, i nobili e i guerrieri. Mercanti, artigiani e contadini

    formavano la maggior parte del popolo. Poi c'erano gli schiavi. Non

    erano considerati persone, erano cose di proprietà di chi li comprava e

    il padrone aveva su di loro diritto di vita o di morte.

    Anche Nabushur era uno schiavo, ma uno schiavo importante perché

    sapeva leggere e scrivere e aiutava Marduk a tenere i conti nel suo

    commercio. In casa lo

    consideravano parte della famiglia e

    aveva il diritto di punire Na-Ur se

    non riusciva nello studio. Non che

    Nabushur fosse violento, ma Na-ur

    si ricordava di qualche bacchettata

    che aveva preso quando faceva

    svogliatamente i compiti.

    Adesso che ci pensava, era un po' in

    ansia, per essere scappato da casa

    quando invece avrebbe dovuto

    studiare le tavolette. Ma c'erano

    tante cose da vedere e da imparare

    al mercato! Sarebbe stato un

    peccato perdere tutto questo per

    incidere laboriosamente segni strani

    sull'argilla.

    Il sole era alto nel cielo e Na-Ur

    riprese malinconicamente la strada

    di casa, sperando di tornare senza essere scoperto. Tornò nella sua via, aprì cautamente il portone.

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    Sembrava proprio che Nabushur stesse ancora dormendo. Molto lentamente tornò sotto l'acacia, si accuciò

    per terra e riprese lo stilo e la tavoletta. Nabushur aprì un occhio, fece un sogghigno e ordinò a Na-ur di

    scrivere tutto quello che aveva visto durante il suo vagabondaggio al mercato. Non c'è speranza di

    cavarsela, pensò triste Na-Ur......