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Un Autorittto cartaceo di Giuseppe Arcimboldi GCOMO BER Havendo adunque questo nobile, e virtuoso Gi useppe [Arcimboldi] - scrive Paolo Morigia nel 1592 - seito a questi due gran Prencipi, et a tutta casa d'Austria per anni ventisei, et havendo ne gli anni passati supplicato piu volte per due anni continui all'Im- peratore, che gli volesse dare buona licenza di toare alla patria a godere la sua età della vecchiezza, finalmente con malagevolezza ottenne tal gratia, essendo tanto grato a sua maestà Cesa- re, che mal volontieri si privava della sua presenza'. Nel pubblicare questo passo il Morigia precisa un importante mo- mento della vita artistica dell'Arcim- boldi: il ritorno a Milano nel 1587, dopo un lungo seizio trascorso alle dipendenze dei sovrani asburgici Fer- dinando I, Massimiliano II e Rodolfo 11 2 . È proprio l'imperatore Rodolfo II che, «supplicato piu volte», concede a Giuseppe il permesso di trascorrere i suoi ultimi anni in patria. I motivi che inducono il sovrano a privarsi di un suo preziosissimo artista viene sostanzialmente chiarito da un passo pubblicato da un altro impor- tante testimone della pittura lombar- da: Giovan Paolo Lomazzo. artista- teorico, dopo aver riassunto le espe- rienze dell'Arcimboldi, ci ricorda che il pittore, in quel momento attivo presso la corte di Praga, «tto ormai vecchio gli chiese [a Rodolfo II] licenza di ritoarsene a Milano sua patria e dif-ficilmente l'ottenne, commettendoli però che continuamente attendesse a r qualche cosa capricciosa per il suo seizio» 3 . 53

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Un Autoritratto cartaceo di Giuseppe Arcimboldi GIACOMO BERRA

Havendo adunque questo nobile, e virtuoso Giuseppe [Arcimboldi] -scrive Paolo Morigia nel 1592 - servito a questi due gran Prencipi, et a tutta casa d'Austria per anni ventisei, et havendo ne gli anni passati supplicato piu volte per due anni continui all'Im­peratore, che gli volesse dare buona licenza di tornare alla patria a godere la sua età della vecchiezza, finalmente

con malagevolezza ottenne tal gratia, essendo tanto grato a sua maestà Cesa­re, che mal volontieri si privava della sua presenza'.

Nel pubblicare questo passo il Morigia precisa un importante mo­mento della vita artistica dell'Arcim­boldi: il ritorno a Milano nel 1587, dopo un lungo servizio trascorso alle

dipendenze dei sovrani asburgici Fer­dinando I, Massimiliano II e Rodolfo 112. È proprio l'imperatore Rodolfo IIche, «supplicato piu volte», concede aGiuseppe il permesso di trascorrere isuoi ultimi anni in patria.

I motivi che inducono il sovrano a privarsi di un suo preziosissimo artista viene sostanzialmente chiarito da un passo pubblicato da un altro impor­tante testimone della pittura lombar­da: Giovan Paolo Lomazzo. L'artista­teorico, dopo aver riassunto le espe­rienze dell'Arcimboldi, ci ricorda che il pittore, in quel momento attivo presso la corte di Praga, «fatto ormai vecchio gli chiese [a Rodolfo II] licenza di ritornarsene a Milano sua patria e dif­ficilmente l'ottenne, commettendoli però che continuamente attendesse a far qualche cosa capricciosa per il suo servizio»3.

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giacomo
Casella di testo
In “Arte Lombarda”, 116, 1996, pp. 53-62.
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1. Giuseppe Arcimboldi: Autoritratto. Ubicazione ignota . 2. Giuseppe Arcimboldi: Autoritratto. Praga, Národní Galene.

In sostanza l'imperatore si priva- va della presenza dell'artista, ma non della sua feconda opera pittorica che premiava con «una annuale pensione per ricompensa della sua grata, et fedel servitù»4. È infatti precisamente documentato che nel 1590 l'Arcimbol-

di inviò al sovrano il volto composito della ninfa Flora e l'anno seguente, dietro varie sollecitazioni rivolte pro- prio dall'imperatore, il Ritratto di Rodolfo II nelle vesti di Vertunno , que- sta volta accompagnato da un libretto di poesie elaborate da una folta cer- chia di letterati milanesi5.

L'Arcimboldi dunque lascia la corte praghese nel 1587: un documento datato 12 agosto 1587 testimonia che l'artista alla sua partenza ricevette dal- l'imperatore per il suo fedele servizio «1500 Gulden»6. Probabilmente già in settembre il pittore rivedeva la sua città natale che così insistentemente aveva

voluto raggiungere ormai già anziano. Questa è la data più probabile anche se il Morigia afferma che «Venne adunque l'Arcimboldi a ripatriare l'anno 1588»7. Si tratta sicuramente di un errore tipo- grafico dal momento che lo stesso stori- co milanese nel medesimo testo precisa che Giuseppe lasciò Milano nel 1562 e rimase al servizio degli Asburgo «per anni ventisei», quindi sino al 1587. Si può al massimo ammettere che il viag- gio del pittore possa essere durato qual-

che mese, forse per il temporaneo sog- giorno in qualche città lungo il percor- so che attraversava le Alpl.

Non era la prima volta però che l'artista ritornava a Milano da quando nel lontano 1562, recandosi presso la corte di Ferdinando I a Vienna, aveva iniziato la sua fortunata carriera nei

territori asburgici. Alcuni documenti testimoniano che i contatti con la città

natale non erano stati per nulla inter- rotti: un documento già da tempo conosciuto, datato 2 giugno 1566, rivela che il pittore ricevette dall'imperatore Massimiliano II un lasciapassare e «100 Gulden» per affrontare le spese per il suo provvisorio viaggio «nach Italien»8.

Altre carte milanesi recentemente scoperte avvalorano una presenza del- l'artista a Milano in due altre successi-

ve occasioni: per redigere il suo testa- mento verso il «1576 seu 1577» e nel

1581 quando Giuseppe è presente alla stesura di un codicillo, datato appunto 17 marzo 1581, da aggiungere al suo precedente testamento9. Quale fosse l'impazienza dell'Arcimboldi di scio- gliere il suo legame con la corte asbur- gica per ritornare definitivamente a Milano è dimostrato anche da questa nuova preoccupazione di precisare le sue ultime volontà: in caso di morte

del pittore, l'usufrutto dei propri beni sarebbe andato - nell'ipotesi che il figlio Benedetto avesse avuto meno di

diciotto anni - a Giovanni Filippo Gherardini, un magistrato della sanità e letterato milanese particolarmente legato all'artista (come si vedrà meglio più avanti)10.

Queste considerazioni introdutti- ve ci permettono di cogliere con più esattezza il contesto nel quale è stato elaborato l 'Autoritratto cartaceo che si

intende qui analizzare in modo parti- colare (fig. 3). Il disegno è ora conser- vato presso il Gabinetto di Disegni e Stampe di Palazzo Rosso a Genova; faceva parte della raccolta di Marcello Durazzo il quale donò l'intera collezio- ne al Comune di Genova nel 184811. La

tecnica dell'inchiostro acquerellato ed il ductus grafico sono indiscutibilmen- te vicini ad altri disegni attribuiti con più o meno certezza all'Arcimboldi12. La tecnica dell'inchiostro acquerellato è nettamente prevalente nella produ- zione grafica dell'artista, il quale sem- bra quasi darne una definizione teori- ca che mette in risalto la velocità di

esecuzione in una lettera di accompa- gnamento ad alcuni suoi disegni per la fabbricazione della seta indirizzati ad

un barone tedesco: l'Arcimboldi parla esplicitamente di «grossa maggia» (macchia) utilizzata nella «inventione» «per non haver tempo di poter' con quella deligentia far detti schizzi come si conve[ne]...»13.

Il disegno con il quale il pittore

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aveva ritratto se stesso secondo il suo

caratteristico, bizzarro e ghiribizzoso stile è precisamente databile: sul col- letto è posta la cifra «1587», anno che, come si è visto, è cruciale nella vita del- l'artista. Si può supporre che sia stato elaborato dopo la sua partenza dalle terre asburgiche e databile con più precisione agli ultimi mesi di quell'an- no in ambito milanese, non solo per la sua presenza in collezione italiana, ma per una serie di ragioni che qui ver- ranno sviluppate.

L'Arcimboldi ha raffigurato se stesso di tre quarti: ad una primissima impressione appare un preciso ritratto di un uomo ormai anziano, stempiato, dalla fronte alta con un naso affusolato, con pochi capelli e con barba arruffata circondata da un'ampia gorgiera che conclude la veste signorile. Ma quando l'occhio indaga i particolari, il disegno rivela la sua reale fattezza di 'testa com-

posta' tipica del modus arcimboldesco che tanto aveva destato la meraviglia e il riso presso la corte viennese e poi praghese. È lo stupore dell'illusione, dell'ambiguità del segno, dell'incertezza della decodificazione, delle allusioni metaforiche e metonimiche.

Rispetto alle più famose teste com- poste di fiori, verdura, animali, pesci, oggetti quotidiani14, questo disegno desta infatti una diversa meravigliata reazione in quanto T'inganno' della rappresentazione non è così palese come in quei volti la cui struttura compositiva è sapientemente giocata sul netto distacco tra le singole parti (pera per il naso, bocca di volpe per l'occhio ecc.) e la conformazione del- l'insieme del volto, o per dirla con Ro- land Barthes, che ha proposto un acuto confronto con la lingua, tra prima arti- colazione (i singoli oggetti - fonemi) e seconda articolazione (il volto nel suo insieme - morfema)15.

L'autoritratto del disegno è com- posto di un solo oggetto: il foglio di carta. Ma questo semplice elemento nel suo stendersi, dilatarsi, arrotolarsi, spezzarsi e intrecciarsi dà forma al volto evidenziandone gli elementi caratteristici. Con stupefacente abilità l'Arcimboldi riproduce la veste con un dipanarsi del foglio; si sofferma a ren- dere la complessità della gorgiera con un raggomitolarsi della carta la quale spezzettandosi in tante parti va a defi- nire la barba, i baffi ed i capelli per poi stendersi pacatamente con pezzi più ampi formando con la loro sovrappo- sizione le rughe ed i segni della vec- chiaia sul volto dell'artista.

Che si tratti di un autoritratto è assolutamente evidente da un confron- to con le caratteristiche fisionomiche di altre due immagini attraverso le quali l'artista ha rappresentato se stes- so. I tre autoritratti formano una sorta di scansione di alcuni momenti della vita dell'artista16.

Il primo autoritratto è un dipinto purtroppo di ubicazione ignota, cono- sciuto solo attraverso una foto in bian-

co e nero (fig. I)17. L'artista si è raffigu- rato in atteggiamento signorile con uno sguardo penetrante. L'allungamen-

to del volto, accentuato dalla foggia verticale del copricapo, la barba scura con i baffi che rivoltandosi su se stessi

coprono le labbra, il lungo naso sono elementi che concordano perfettamen- te con l'unico accenno alla fisionomia dell'artista presente in un testo pubbli- cato a Vienna nel 1570: lo si descrive come un uomo slanciato, alto, con la barba nera, intento a sovrintendere all'organizzazione di feste. e tornei18.

Il pittore, evitando di introdurre quegli indizi materiali che denotano il proprio mestiere, ha voluto probabil- mente dare di sé l'immagine del raffi- nato pittore di corte la cui attività era legata non solamente al lavoro ma- nuale della pittura, ma appunto anche al suo incarico di organizzatore di feste e carri allegorici, e di consigliere particolare in campo artistico dell'im- peratore. È probabile che sia stato ese- guito all'età di circa quarantanni e quindi nel pieno del suo lavoro presso la corte viennese.

Il secondo autoritratto è raffigu-

rato in un disegno ora a Praga definito dalla caratteristica tecnica del segno acquerellato, usata, come si è visto, dal pittore anche in altri contesti (fig. 2)19. Il volto, con gli stessi elementi già evi- denziati, è visto frontalmente; l'impat- to di vicinanza è fortissimo, probabil- mente ottenuto con uno specchio rav- vicinato che mette in evidenza l'inten-

sità dello sguardo e l'effetto quasi di malinconico magnetismo. Anche qui nessuna allusione all'attività pratica svolta, ma una analitica attenzione ai segni del tempo lasciati sul volto e alla barba schiarita: è probabilmente un autoritratto elaborato circa dieci anni dopo il dipinto precedente.

L'età de'Y Autoritratto cartaceo di

Genova è precisabile con più esattezza (fig. 3): alla radice del naso compare infatti la cifra «61» che certamente l'Ar- cimboldi ha voluto porre per indicare il numero esatto dei suoi anni20. L'età

indicata sul disegno non solo è plausi- bile se riferita alle fattezze del volto anziano, ma è un indizio preziosissi-

3. Giuseppe Arcimboldi: Autoritratto cartaceo. Genova, Palazzo Rosso, Gabinetto di Disegni e Stampe.

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mo per puntualizzare la sua data di nascita.

Solitamente si ritiene che il pitto- re sia nato a Milano nel 1527. Il luogo non dovrebbe comportare problemi dal momento che Giuseppe era figlio del pittore milanese Biagio Arcimboldi e di Chiara Parisio21. Qualche maggio- re incertezza invece per l'anno. Questo è stato ricavato da un documento

datato 11 luglio 1593, conservato nei Registri mortuari dell'Archivio di Stato di Milano:

1593. Die Undécimo Julij. - P[or- tae] V[ercellinae] S[ancti] Petri ad Vineam. Joseph Arcimboldus ann[o- rum] 66. vel c[irc]a ex urine suppressio- ne et calculo in renibus objit s[ine] p[estis] s[uspicione] iud[ici]o Jo: bapt[istae] Silvatici phys[ici] col- l[egia]ti22.

L'ufficiale sanitario ha registrato l'età dell'artista deceduto con l'espres- sione «66. vel c[irc]a». Togliendo 66 an- ni dal 1593 si ricava appunto la data 152723. Ma, come è noto, le indicazioni di tali documenti sono molto approssi- mative e non è raro trovare documenti

più circostanziati che contraddicono anche di qualche anno l'età accertata nei registri mortuari.

Anche in questo caso dunque i numeri posti sul l'Autoritratto permetto- no di definire con maggior precisione, e in mancanza di uno specifico docu- mento di nascita, con quasi assoluta certezza, l'esatto anno natale del pitto- re: se nel 1587 l' Arcimboldi aveva 61 anni significa che era nato nel 1526.

1526-1593 sono dunque gli anni che racchiudono l'intensa attività del pittore milanese il quale appunto solo dopo sei anni dal sospirato ritorno in patria moriva nella sua casa situata nella parrocchia di San Pietro alla Vigna. Presso tale chiesa parrocchiale, distrutta nel corso del Settecento24, si svolse il funerale e per tale occasione, secondo il Moriggia, «fu fatto un'Epi- tafio dal virtuoso Cesare Besozzo»:

Iosepho Arcimboldo viro integerrimo, Pictori / claríssimo, Comiti[qu]e Pala- tino; / Qui Ferdinando, Maximiliano II. Rodulpho II. / Imperatoribus gratis- simus semper fuit. / Caesar Besutius tanti viri familiarissimus. / L. S25.

Nello stesso anno (anche se pub- blicato successivamente) Bernardino Baldini, un altro letterato della cerchia milanese, vergava con versi latini l'elo- gio del famoso pittore in un epitaffio inedito:

EPITAPHIUM IOSEPHI ARCIMBOL- DII.

Integer e vita Ioseph migravit, Olym- pům / Viseret ut clarum, siderasqfue] domos. / Caesareus quo pictor, ut hoc effinxit in orbe / Mortaleis, Divum pin- gat in axe choros26.

Non stupiscono certo questi elogi ufficiali rivolti da un letterato milane- se al pittore cesareo, qui presentato ormai presso l'Olimpo intento a conti- nuare la sua attività. Anzi è la confer-

ma di un connubio fortissimo tra il

lavoro del pittore milanese e l'esercizio letterario degli amici poeti.

È un legame che emerge già con chiarezza durante la sua attività pres- so la corte viennese: i suoi dipinti ghi- ribizzosi sono 'illustrati', 'tradotti' come immagini di esaltazione impe- riale nei lunghissimi versi latini del letterato milanese Giovan Battista Fontana, nome latinizzato in Fonteio, il quale prepara, non senza litigi con l'artista, anche i 'cartelli' di presenta- zione delle feste e dei tornei appronta- te dal pittore27.

Un altro segno dell'attenzione del- l'Arcimboldi per i tòpoi letterari emer- ge da una lettera che l'artista nel 1586 aveva inviato al barone Ferdinando

Hoffmann con l'intento di proporre, anche attraverso dei disegni, un para- gone con l'antico contrapponendo ai «crotteschi» (grottesche) degli antichi la moderna attività della «tesidura» da

impiantare in Germania28. La lettera stilata in italiano dall'artista si soffer- ma infatti ad analizzare, correttamen- te, l'origine etimologica del termine «grottesca», elaborato agli inizi del Cinquecento, per argomentare con più decisione la sua proposta29.

Non a caso dunque l'attività cu- riosa, caricaturale, grottesca, ghiribiz- zosa del pittore aveva suscitato nei let- terati milanesi una sconfinata ammi- razione, sfociata in un continuo eserci- zio retorico di adeguamento della parola all'immagine arcimboldesca, in una sorta di ricerca spasmodica del principio consolidato dalla tradizione letteraria dell 'ut pietura poësis.

Questa esplosione di entusiasmo per l'Arcimboldi è sicuramente in rela- zione al definitivo ritorno dell'artista a Milano. È evidente che le notizie apparse nel Trattato del Lomazzo pub- blicato nel 1584 sono da collegare con uno dei precedenti ritorni del pittore nella città natale. Ma nel trattato lomazziano la fortunata attività d'ol-

tralpe del collega milanese non è af- frontata in maniera ampia e ap- profondita, ma solo inserita in un con- testo di analisi del genere delle imma- gini per «alberghi et ostarie»30.

Un diverso segno è lasciato invece dall'artista dopo il suo ritorno definiti- vo nel 1587. Proprio dello stesso anno è anche il riferimento all'Arcimboldi inserito in un testo del Lomazzo:

Di Messer Biagio un suo diletto figlio / Detto Giuseppe dipinse in ponente / Gl'elementi, in figura con consiglio31.

Quel che poteva essere stato an- cora considerato un pittore di disegni per vetrate, per arazzi, per gonfaloni, si trasforma, anche attraverso una meta- morfosi letteraria, in un sofisticato pit- tore al servizio della cesarea maestà ed autore insolito di dipinti che nel susci- tare meraviglie sollecita i letterati e i poeti all'emulazione con il verso.

Certamente l'Arcimboldi stesso, conscio del suo valore, abituato alle sofisticate alchimie dei rapporti sociali presso la corte asburgica, deve aver se

non proprio organizzato di certo favo- rito ed agevolato la diffusione di noti- zie e informazioni sulla sua attività

d'oltralpe che i milanesi non conosce- vano ancora precisamente se non attraverso le poche notizie del trattato lomazziano di cui si è parlato.

È significativo che i testi compo- sti in quegli anni tralascino la non indifferente attività dei suoi primi anni milanesi di cui appunto abbiamo solo notizie di documenti d'archivio. È pos- sibile che questa dimenticanza nei testi del Lomazzo, del Comanini, del Morigia, sia stata in qualche modo assecondata, se non voluta, dall'artista stesso. Giuseppe ha voluto certamente lasciare nell'ombra la sua produzione di quarantanni prima, molto probabil- mente ritenuta, in rapporto all'imma- gine che l'artista voleva dare di sé, co- me troppo artigianale, tradizionale e limitata rispetto alla sofisticate inven- zioni elaborate successivamente32.

Esempio di questa diffusione della propria 'immagine', per usare un'espressione moderna, si ritrova nel testo del Morigia; il cronista milanese dopo essersi soffermato lungamente sull'etimologia del nome degli Arcim- boldi ci riferisce:

Tutto questo che finliora ho scritto di casa Arcimbolda, hollo havuto dal Signor Giuseppe Arcimboldi, gen- til'huomo di fede, et de integrità di vita, che ha servito dui Imperatori nella Germania, come se dirà, et esso ha copiato questa Genealogia, et origi- ne de gli Arcimboldi da un Libro anti- co in carta pecora scritto in lingua Tedesca...33.

È probabile che il preciso tramite dell'Arcimboldi con la cultura lettera- ria milanese sia da individuare nel

magistrato della sanità, matematico, musico e poeta Giovanni Filippo Ghe- rardini il quale, come si è già detto, era stato proprio inserito nel codicillo al testamento del 158134.

Dopo il definitivo ritorno a Mila- no l'Arcimboldi aveva preso alloggio presso la parrocchia di San Pietro alla Vigna nel palazzo nel quale abitava anche lo stesso Gherardini35, il quale deve aver certamente aiutato il pittore - che in un componimento inedito del 1588 chiama «l' Arcimboldo mio»36 - a divulgare la sua opera mettendolo in contatto con altri rappresentanti della cultura milanese37.

È lo stesso Lomazzo che, dopo i citati riferimenti al pittore inseriti nel Trattato, introduce nella sua Idea del 159038 un vero e proprio elogio partico- lareggiato e documentato della sua pro- duzione d'oltralpe: si sentono ovvia- mente, dietro le parole del cieco teorico Lomazzo sull'Arcimboldi, le considera- zioni ed i chiarimenti dello stesso pitto- re, ma si intravedono anche i suggeri- menti precisi del Gherardini.

Si veda, come esempio di inter- vento diretto dello stesso Giuseppe, il passo in cui il pittore - oltre ad affi- dare alle parole del collega milanese una sorta di relazione delle sue com-

petenze artistiche presso gli imperato- ri asburgici - accenna ad una precisa

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lamentela nei confronti del letterato Fonteio, suo compagno presso le corti asburgiche:

... ancora che un certo Fonteo, introdotto dall'Arcimboldo, che gli diede il carico di fare i cartelli, non si vergognò in una sua composizione di farsene egli inventore. Di che ne e' rimase meravigliato l'imperatore quando l'intese, poi che egli sapea benissimo che l'invenzione era stata dell'Arcimboldo il qual con lui spesso ne avea discorso39.

Dal Gherardini invece il Lomazzo riceve tutta la documentazione e le informazioni relative al nuovo dipinto della ninfa Flora - interamente costrui-

ta con fiori di ogni specie - che, come promesso, il pittore aveva inviato nel 1590 all'imperatore Rodolfo II. Era stato infatti proprio il Gherardini che aveva composto un lungo componi- mento attraverso il quale la ninfa Flora 'si presentava' all'imperatore e dopo un lungo e sofisticato discorso così concludeva:

Non temono i miei fiori arsura, o gielo, / Ne mai perdono il verde le mie fronde, / ne mi fa il volger d'anni can- giar pelo. / Stanco de gli alti affar da le grav'onde, / Potrai, mirando me, qual- che ristoro / A quel gran spirto dar, che in te s'asconde. / Son vaghi, e proprij i fior, raro è il lavoro, / E tuo chi'l fé, io tua, tuo servo è humile / Chi mi dà il favellar con te, ch'io adoro. / Gradisci dunque me, l'opra, e lo stile, / Ma via più i cori di chi pinse, e scrisse, / Cesa- re sopra ogn'altro alto, e gentile, / E vinci quel, che tanto seppe, e visse40.

Il Lomazzo riporta la notizia di questo e altri componimenti, ma ri- produce solo due gustosi madrigali dello stesso Gherardini e di Gregorio Comanini che giocano sul nome 'Flora' e sui suoi cangiantismi suscitati dal dipinto arcimboldesco41. Il Comanini è così affascinato dalla «favolosa Dea Flora dipinta dall'ingegnosissimo, et gentilissimo Signor Giuseppe Arcim- boldi, gentilhuomo Milanese» che la descrive accuratamente anche in un

suo testo teologico sul Cantico dei Can- tici per dimostrare l'analogia tra il pro- cedimento di selezione del pittore e quello da lui stesso utilizzato per la scelta dei suoi argomenti religiosi:

... poiché sì come quegli [Arcim- boldi] non ritrasse in su la tela tutti quei fiori, che egli per aventura vide in un medesimo giardino raccolti; ma fat- tone scielta, di quelli servissi, che rap- presentar potevano humana carne, et humane membra; così questi [Comani- ni] ogni sentenza della Cantica non ha portato nelle sue carte; ma fatta elettio- ne di quelle sole, che potevano il suo pensiero aiutare, di loro appagatosi, halle ne' suoi ragionamenti inestate42.

L'immagine floreale aveva solleti- cato le abilità poetiche anche dei lette- rati Sigismondo Foliani, Gherardo Borgogni43 e Bernardino Baldini.

La stessa squadra di poeti e di estimatori che aveva amplificato e sezionato con metafore letterarie il dipinto dell'Arcimboldi torna a 'gioca-

re' l'anno seguente allorché il pittore termina l'altro quadro aspettato dal- l'imperatore: Ritratto di Rodolfo II nelle vesti di Vertunno. Il Lomazzo fa appena in tempo ad accennarne prima di dare alle stampe il suo testo44. Ma ne abbiamo una conoscenza appro- fondita dal ritrovamento di un libretto

pubblicato nel 1591 e curato proprio dallo stesso Gherardini, il quale mette assieme i precedenti componimenti sulla Flora ed inserisce quelli sul nuovo dipinto del Vertunno in modo da presentare all'imperatore asburgi- co, a cui i quadri erano indirizzati, anche la prova dell'abilità retorico-let- teraria dei poeti milanesi45.

Tra le rime di diversa tipologia in italiano e in latino prevale in questa raccolta il lungo poema del canonico lateranense Gregorio Comanini dedi- cato al dipinto di cui svela T'enigma': l'immagine del dio delle mutazioni è in realtà una sorta di 'geroglifico', o anche di mostruoso Sileno che na- sconde le nobili fattezze del sovrano46.

Il quadro era stato spedito nel 1591 all'imperatore dopo essere stato appo- sitamente esposto nel palazzo dell'arti- sta in modo che i più importanti pitto- ri milanesi potessero apprezzarlo47.

È proprio il Comanini che nello stesso anno, dopo il resoconto del Lomazzo, continua il ruolo di testimo- ne e divulgatore delle stranezze del- l'ammirato Arcimboldi. Il Comanini affida infatti alla figura del noto pitto- re milanese Ambrogio Figino (che dà il titolo al dialogo-trattato incentrato sul problema del fine della pittura) il com- pito di esporre retoricamente gli elogi dell'artista per dimostrare che al di là della «imitazione icastica» particolare valore può avere anche limitazione fantastica» di cui l'opera eccentrica e curiosa dell'Arcimboldi è il frutto

maturo48. Il paragone, il confronto e l'analogia tra pittura e poesia fanno da pregnante sottofondo alle argomenta- zioni di questo trattato quasi a confer- mare come la «virtù fantastica»49 dei

dipinti dell'Arcimboldi suscitassero nei dotti letterati della Milano di fine Cin- quecento una particolare attenzione al problema dell'ut pietura poësis50.

Due anni dopo, nel 1593, proba- bilmente quando il pittore era ancora in vita, viene stampata dal Morigia la Historia brieve dell'Augustissima Casa d'Austria. Lo storico milanese riassume

in poche righe l'intera vicenda artistica dell'Arcimboldi; le si riproduce qui interamente dal momento che sono

una fonte non registrata dagli studiosi:

Ci sarebbe anco di raccordare del nobile, et virtuoso Giuseppe Arcimbol- di, il qual è stato molto caro, grato, e famigliare di Massimiliano Imperatore il Secondo, et di Rodolfo parimente secondo, ch'hor vive felicemente invit- tissimo Imperatore. Questo è Pittore rarissimo, unico nell'inventioni, leggia- dro e miracoloso ne' gheribizzi, e biz- zarie. Molte cose haverei che scrivere del suo valore. Onde nel Museo della Sacra Maestà dell'Imperatore, si veg- gono molti quadri fatti dalla divina mano di questo Arcimboldi, i quali sono tenuti carissimi da sua sacra

Maestà, come cose rare. Et non solo fu sempre con honorato stipendio tenuto caro da Massimiliano, ma anco la Sacra Maestà dell'Imperator Rodolfo, oltre che gli ha concesso diversi privi- legi, et creatolo Conte Palatino, gli ha anco assegnato una pensione annuale, et altri favori, che alla giornata gli va facendo51.

Dal 1587 sino alla morte del pitto- re nel 1593 si concentrano, come si è visto, molteplici interventi sull'opera dell'Arcimboldi. Ma dopo la morte del pittore la sua fama viene mantenuta in vita ancora per alcuni anni. È proprio il Morigia che elogia il pittore nel suo testo del 1595 sulla cultura milanese dove riporta notizie più particolareggia- te sull'attività dell'illustre milanese52.

Nei secoli seguenti l'immagine dell'Arcimboldi «gran bizzarro» viene riproposta da altri autori in contesti più ampi53 e successivamente la fama dell'eccentrico pittore affievolisce sino a sparire del tutto per riemergere poi, come è noto, solo con la astorica riva- lutazione operata da alcuni filoni della cultura novecentesca con l'intento di

collegare la sua attività alla poetica surrealista54.

Alla luce delle diverse relazioni sul

rapporto pittura-poesia che sono emer- se da questo quadro d'insieme della cul- tura e delle relazioni dell'Arcimboldi con i letterati negli ultimi anni del Cin- quecento a Milano è possibile rivedere l'ultimo Autorìtratto cartaceo di Giusep- pe e coglierne altri riferimenti.

Come il ritratto dell'imperatore Rodolfo II nelle vesti di Vertunno, il dio delle mutazioni, è composto da elementi naturali che alludono in maniera sofisticata ad alcune caratte-

ristiche dell'effigiato55, così anche l'Au- toritratto cartaceo nell'esibire con insi-

stente precisione il supporto carta sembra alludere all'attività dell'artista

non tanto a livello pittorico, material- mente artigianale, quanto a quello di ideazione, di composizione, di elabo- razione intellettuale e forse anche poe- tica: è una sorta di autoritratto come

doctus artifex56. Un dotto artefice che, non si dimentichi, era anche stato no- bilitato pochi anni prima da Rodolfo II, che lo aveva insignito di un preciso stemma gentilizio: l'autoritratto deno- ta anche questa serietà nobiliare gua- dagnata sul campo dall'artista57.

Diversi indizi ci portano a conside- rare la sua attività 'intellettuale' come

decisamente importante nello sviluppo della sua carriera: la sua polemica con il Fonteio che si era attribuito le sue

«inventioni» per feste e tornei nobilia- ri58; il suo ruolo di 'consulente artistico' per il Museo dell'imperatore59; il suo tentativo, già visto, di introdurre, come emulazione degli antichi, la lavorazione della seta nei paesi nordici60; la notizia riportata dal Lomazzo secondo la quale l'Àrcimboldi fu non solo ingegnere capace di escogitare «artificij di passar fiumi», ma anche, «inventor di cifre che non si potevano intendere senza il suo stromento»61, cioè di un sistema criptografico di scrittura; la lunga disa- mina del Comanini che inserisce nel

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suo Trattato lo stranissimo esperimento con il quale 1 artista, nell'ambito di una sorta di ut pietura musica , intendeva rapportare i colori agli intervalli musi- cali così come elaborati dalla tradizione pitagorica e tramandati nei Commenta- rti in somnium Scipionis di Macrobio ed affidarne l'esecuzione pratica al musicista «Mauro Cremonese dalla Viuola»62.

È proprio in base a queste rifles- sioni che è possibile avanzare l'ipotesi che nei suoi ultimi anni l'Arcimboldi si sia dedicato anche all'espressione poeti- ca, un interesse che non appare affatto strano se si considera la sua poliedrica attività precedentemente elencata e la non indifferente tradizione dei pittori- poeti63. È probabilmente un aspetto marginale, ma particolarmente signifi- cativo in relazione appunto anche al- Y Autoritratto cartaceo.

Nel libretto sopracitato curato dal Gherardini oltre ai nomi dei diversi let- terati entusiasti del pittore compare anche la misteriosa sigla «G.A. da Mila- no» come firma di due componimenti in italiano. È l'unico nome curiosamen- te non svelato del libretto e nonostante un accurato controllo non è emerso

nessun ragionevole personaggio mila- nese con tali iniziali64. La risposta potrebbe quindi essere più semplice e ovvia se si ipotizza che quelle siano le iniziali proprio di Giuseppe Arcimboldi da Milano o «Mediolanensis» come compare ad esempio nel suo disegno della Contadina.

Si deve ammettere che non è molto chiaro il motivo per cui il pittore, se questa congettura è valida, si sareb- be presentato in incognito come autore di due invenzioni poetiche da inviare all'imperatore che di certo conosceva le sue qualità nei diversi campl. Si può però ragionevolmente supporre che la mancanza della firma completa sia motivata dal fatto che i due componi- menti sono retoricamente rivolti al pit- tore Arcimboldi e l'inserzione delle sole iniziali può avere evitato la palese inop- portunità di un autore che elogia se stesso, anche se non è escluso che la sigla fosse facilmente decifrabile dallo stesso imperatore.

Il primo componimento riguarda proprio il dipinto del Vertunno , con il quale l'Arcimboldi (o «G.A. da Mila- no», se l'ipotesi fosse risolta a favore di un altro letterato) presenta se stesso in terza persona:

IL MEDESIMO VERTUNNO / a i

riguardanti. / Mad. di G. A. da Milano.

A che tanto stupore, / E poi lieti ridete? / Certo, che solo un -mucchio mi credete / Di frutti, e di verdura. / Son Vertunno, e mi pregio esser fattura / De l'Arcim- boldo, di sì alto ingegno, / Che ben gio- stra di par con la Natura. / Ma che gli manca? Giove il faccia degno / Di quel furto divin con grato ciglio. / Che di Giapeto fece il magno figlio65.

Viene riproposto il tema del 'rìso', del divertimento il quale però non deve annullare il significato recondito che la semplice immagine palesa: in

questo caso il ritratto allegorico di Rodolfo II66.

L'altro componimento in forma di sonetto è dedicato all'esaltazione reto-

rica, attraverso un paragone con l'anti- chità, del procedimento di lavoro del pittore: se è degno di fama il pittore che dipinge un solo oggetto, tanto più deve essere ammirato l'Arcimboldi che costruisce un viso con più oggetti trat- ti dalla realtà:

ALL'ARCIMBOLDO . / Son. di G. A. da Milano.

Se di lode, e di fama, assai è degno / Pittor, che ben ritragga un solo ogget- to. / Di quanti ogn'hor ne forma a suo diletto, / Il supremo rettor del trino Regno: / O più ď Apelle, e chi giunge al tuo segno? / Che tanti in un ne aduni, e con effetto / Un viso human ne fingi sì perfetto, / Che l'ammira ciascun più bell'ingegno? / Tu di libri, di frondi, frutti, e fiori, / D'animai vari, e di vari stromenti, / E d'altre cose ancor, che non descrivo, / Con giuste linee espres- se, e suoi colori / Il viso altrui sì ben ne rappresenti / Che n dubbio stassi, qual sia il finto, o '1 vivo67.

È uno dei pochi componimenti dell'intero libretto che affronta il tema

generale della diversificazione degli elementi utilizzati per costruire i volti arcimboldeschi.

Era stato lo stesso Lomazzo a

riproporre la teoria leonardesca delle affinità tra pittura e poesia, sottoli- neando quasi la necessità che il pittore si esprima anche attraverso il poetare:

Anci pare, per non so quale con- seguenza, che non possa essere pittore che insieme anco non abbia qualche spirito di poesia; e di rado s'è ritrovato pittore che abbia potuto alcuna cosa dipingere, che subito anco non sia stato indotto dal genio naturale a can- tarla puramente in versi, ancora che per aventura non sapesse leggere né scrivere68.

La frase è certamente da inten- dere non solo nel senso di una esalta- zione delle affinità di invenzione tra poeta e pittore, ma come precisa necessità e giustificazione teorica di una attività poetica da parte del pit- tore stesso.

Non si dimentichi che proprio in quegli anni, nel 1589, era stata pub- blicata a cura dello stesso Lomazzo una raccolta di componimenti poetici scritti in lingua 'facchinesca', cioè in milanese rustico, intitolata Rabisch 69. Il testo era l'espressione dei membri dell'Accademia della Val di Bienio sorta a Milano nel 1560, quando ancora l'Ar- cimboldi non aveva lasciato la città. Non sono emersi neppure minimi indizi dell'appartenenza del-l'Arcim- boldi all'Accademia, ma alcuni dei letterati come lo stesso Lomazzo, Bernardino Baldini e Sigismondo Foliani - che come si è visto aveva- no esaltato la figura dell'artista - erano membri dell'Accademia e come tali avevano composto delle rime inserite nei Rabisch10. Proprio il Bal- dini nel 1600 pubblica ancora una rima, inedita, dedicata al procedi-

mento complessivo dell'invenzione dell'amico pittore:

DE IOSEPHO ARCIMBOLDIO PICTO- RE.

Ex hominum membris homines for- mare creatrix / Diva potest, folijs, flo- req[ue] vestii agros; / Frondibus huma- nos, herbisq[ue] virentibus artus / Haud eadem simili texere docta modo. / Hoc Arcimboldi potuit praestare fa- cultas / Unica, naturae qua superavit opus71.

È l'elogio dell'attività ludica che è alla base del meccanismo che ha reso

famoso il pittore milanese, riassunta anche in una incisione arcimboldesca con l'espressione latina «homo omnis CREATURA»72.

Tra gli accademici della Val di Bienio troviamo anche alcuni artisti milanesi: Aurelio Luini, Ambrogio Brambilla, Annibale Fontana, Scipione Delfinoni, Girolamo Maderno, Paolo Camillo Landriani detto il Duchino.

Alcuni di questi come il Luini, il Bram- billa, il Delfinoni e il Maderno erano stati anche autori di rime inserite nel testo curato dal Lomazzo riproponendo l'idea dell'artista-poeta che forse anche l'Arcimboldi ha in qualche modo va- gheggiato.

E noto che tra la produzione di almeno due di questi artisti 'bleniani', il Lomazzo e il Luini, in quegli anni, si possono annoverare delle teste grotte- sche di derivazione leonardesca73, le quali potrebbero anche avere un lega- me di parentela non secondario con YAutorìtratto cartaceo come doctus arti-

fex dell'Arcimboldi anche per quello 'straniamento' e in qualche modo defor- mazione del viso dovuta non tanto alle

parti sproporzionate del volto quanto al suo carattere di ridicolo che inevitabil- mente suscita un viso assemblato con elementi non anatomici. In fondo

potremmo anche considerare Y Autori- tratto cartaceo dell'Arcimboldi come

una risposta figurativa al famoso Auto- ritratto in veste di abate' dell'Accademia della Val di Bienio del Lomazzo costrui-

to con una sovrapposizione di indizi che alludono alla molteplice attività del pittore poi diventato cieco74.

Se altri elementi dovessero confer- mare l'autografia arcimboldesca dei due componimenti poetici, l'autoritrat- to acquisterebbe con più precisione proprio il valore di homo letteratus mediante il quale l'Arcimboldi accen- tuava quella relazione di cui anche il Lomazzo aveva parlato tra l'invenzione poetica e quella pittorica.

In ogni caso è evidente che l'Ar- cimboldi appena giunto definitivamen- te a Milano nel proporre ai suoi concit- tadini il proprio Autoritratto cartaceo ne esaltava quasi il valore di sintesi della sua formula pittorica illustrando anche visivamente attraverso il disegno la sua peculiare 'cifra' stilistica, il carattere inventivo di un artista, «miracoloso ne' gheribizzi» e «gran bizzarro»75.

Istituto per la Stona dell'Arte Lombarda, Milano

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1 P. Morigia, Historia dell'antichità di Mila- no, Venezia 1592, 566.

2 Per una bibliografia sull'Arcimboldi si veda l'elenco dei testi presenti in B. Geiger, I dipinti ghiribizzosi di Giuseppe Arcimboldi. Pittore illusionista del Cinquecento (1527- 1593), Firenze 1954, 133-138; Effetto Arcim- boldo. Trasformazioni del volto nel sedicesi- mo e nel ventesimo secolo, a cura di Y. David, Milano 1987, 373-379; T. DaCosta Kaufmann, voce Arcimboldo (Arcimboldi), Giuseppe, in Allgemeines Künstlerlexikon. Die bildenden Künstler aller Zeiten und Völker, III, Leipzig 1990, 900-902. Alcuni altri studi non indicati dai precedenti auto- ri o apparsi successivamente saranno citati nelle note successive.

3 G.P. Lomazzo, Idea del Tempio della Pittu- ra, Milano 1590, in G.P. Lomazzo. Scritti sulle arti, a cura di R.P. Ciardi, Firenze 1973-1974, I, 363. Su Rodolfo II e la sua corte si veda ad esempio R.J.W. Evans, Rudolf II and his World. A Study in Intellec- tual History 1576-1612, Oxford 1973, tr. it. Rodolfo II d'Absburgo. L'enigma di un impe- ratore, Bologna 1984; R.J.W. Evans, La corte imperiale dei tempi di Arcimboldo, in Effetto Arcimboldo... , 1987, 35-53.

4 Morigia, 1592, 566.

5 Cfr. All'Invittissimo Cesare Rodolfo Secon- do. Componimenti sopra li due quadri Flora, et Vertunno fatti a sua Sac. Ces. Maestà da Giuseppe Arcimboldo. Milanese, a cura di G.F. Gherardini, Milano 1591. Per un'anali- si di questo libretto e per le notizie sui lette- rati che in seguito saranno citati più ampia- mente, si veda G. Berra, «Allegoria e mito- logia nella pittura dell' Arcimboldi: la 'Flora' e il 'Vertunno' nei versi di un libretto scono- sciuto di rime», Acme, XLI (1988), 11-39. Su alcuni di questi letterati, si veda anche P. Falchetta, Antologia di testi del XVI seco- lo, in Effetto Arcimboldo..., 1987, 143-198.

6 Cfr. Geiger, 1954, 120.

7 Morigia, 1592, 566.

8 Geiger, 1954, 119.

9 Cfr. R.S. Miller, «Note su Giuseppe Arcim- boldo, Giuseppe Meda, Giovanni Battista della Rovere detto il Fiammenghino ed altri pittori milanesi», Studi Monzesi, 5 (1989), 22-23 (doc. n. 14).

10 Benedetto era stato legittimato da Massi- miliano II a Praga il 14 luglio 1575 (cfr. il documento in Geiger, 1954, 122; dalla stes- sa testimonianza risulta che il pittore in terra asburgica aveva sposato una tedesca: «... se solutum ex vidua quadam Otilia olim Thomae Stummeri filia»).

11 Genova, Palazzo Rosso, Gabinetto di Disegni e Stampe: penna e pennello, inchio- stro acquerellato, acquerello grigio; carta bianca controfondata; mm 442x318. La scheda d'inventario n. 1213, oltre a precisa- re la provenienza del disegno dalla Colle- zione Durazzo, attribuisce il foglio a scuola genovese del XVI secolo. La corretta attri- buzione ad Arcimboldi è stata proposta per la prima volta da P. Boccardo, scheda n. 28, in P. Boccardo - M.C. Galassi, Maestri del disegno nelle civiche collezioni genovesi, Genova 1990, 66-67 (ancora dubbioso però che si tratti di un autoritratto); ribadita in P. Boccardo, scheda n. 16, in II passato pre- sente. I Musei del Comune di Genova, a cura di E. Papone, Genova 1991, 93, 103 (cfr. la nota 20). L'immagine è stata riprodotta anche in II Disegno. Le collezioni pubbliche italiane, a cura di A. Petrioli Tofani - S. Pro- speri Valenti Rodino - G.C. Sciolla, Cinisel- lo Balsamo 1993, 41, ili. 38. 12 Dal momento che la Mostra veneziana (Effetto Arcimboldo... 1987) ha tralasciato anche la questione dei disegni dell'Arcim-

boldi e che ancora manca uno studio siste- matico sui fogli del pittore milanese, pro- pongo qui l'elenco completo dei disegni che più o meno correttamente sono stati attri- buiti al pittore milanese riservandomi di discuterli in modo approfondito in altra sede. I fogli verranno elencati secondo l'an- no di pubblicazione dello studio che per la prima volta ha presentato i disegni a cui seguirà la bibliografia principale. - Ritratto di Michelangelo (?), Castle Ashby (Northampton), Lord Spencer Compton: cfr. E. Steinmann, Die Portraitdarstellungen des Michelangelo, Leipzig 1913, 78-79, tav. 79 (accostato genericamente ad Arcimbol- di).

- Tredici Disegni per la fabbricazione della seta, Boston, Museum of Fine Arts: cfr. H. P. R[ossiter], «Ornament from a Sixteenth Century Library», Bulletin of the Museum of Fine Arts, XLVIII (1950), 46-52; G.S. Alfons, Giuseppe Arcimboldo, Malmö 1957, 117-120; P. Preiss, Giuseppe Arcimboldo, Praha 1967, 11-12; C. Ferrari, commento alle immagini in Arcimboldo, a cura di R. Barthes, Milano 1978, 158-171; F. Porzio, L'universo illusorio di Arcimboldi, Milano 1979, 38, 94-95; T. DaCosta Kaufmann, Holy Roman Empire. A Selection from North American Collections 1540-1680, Princeton 1982, 134-137; T. DaCosta Kaufmann, «'Ancients and Moderns' in Prague: Arcim- boldo's Drawings for Silk Manufacture», Leids Kunsthistorisch Jaarboek, II (1983), 179-207; P. Preiss, Italští umělci v Praze. Renesance, Manýrismus, Baroko, Praha 1986, 115 sgg.; E. Fučíková, I 'divertimenti' praghesi, in Effetto Arcimboldo..., 1987, 124- 129; T. DaCosta Kaufmann, The Mastery of Nature. Aspects of Art, Science, and Huma- nism in the Renaissance, Princeton 1993, 151-173.

- Autoritratto, Praha, Národní Galerie: Geiger, 1954, 12-13; Alfons, 1957, 71; P. Preiss, «Prager Marginalien zu Giuseppe Arcimboldo», Alte und moderne Kunst, IX (1964), 13-14, ill. 1; Porzio, 1979, 27; J. Neumann, Rudolfínská Praha, Praha 1984, 126, ill. 80. - Centocinquantotto Disegni per feste e tor- nei, Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi: cfr. Geiger, 1954, 79 sgg.; Alfons, 1957, 111-116; Preiss, 1964, 14; Preiss, 1967, 11; Ferrari, 1978, 128-153; T. DaCosta Kaufmann, Variations on the Impe- rial Theme in the Age of Maximilian II and Rudolf II, New York-London 1978, 50 sgg., ill. 17 sgg.; Porzio, 1979, 38, 90-93; G. Bora, I disegni lombardi e genovesi del Cin- quecento, Treviso 1980, 26-27, ili. 28-29; A. Beyer, Arcimboldo Figurinen. Kostüme und Entwürfe für höfische Feste, Frankfurt am Main 1983 (con 56 riproduzioni a colori); Preiss, 1986, 109 sgg.; W. Kriegeskorte, Giuseppe Arcimboldo, Köln 1986, tr. it. Giu- seppe Arcimboldo 1527-1593, pittore illusio- nista del manierismo, Köln 1990, 70-76. - Capotribù con turbante (oppure Orienta- le), New York, Collezione James Scholz: cfr. Geiger, 1954, 81, ili. 118; [C.L. Ragghian- ti?], «Arcimboldi», SeleArte, IV (1955), 34; C.L. Ragghianti, «Lombardi agli Uffizi, 2», Critica d'Arte, XIV (1967), 44; J. Scholz, Ita- lian Master Drawings 1350-1800 from the Janos Scholz Collection, New York 1976, XII, ill. 18A. - La cuoca (anche recto del foglio), Paris, Bibliothèque de l'École Nationale des Beaux-Arts: cfr. Geiger, 1954, 53, ill 44; [Ragghianti?], 1955, 32; F.C. Legrand - F. Sluys, Giuseppe Arcimboldo et les arcimbol- desques, Aalter 1955, ill. 14; Ragghianti, 1967, 44; M. Krieger, scheda n. 27, in Zau- ber der Medusa. Europäische Manierismen, a cura di W. Hofmann, Wien 1987, 354-355; Effetto Arcimboldo..., 1987, 112-113 (con riproduzione del verso e del recto) attribui- to ad anonimo.

- Negro con turbante, New York, Collezio- ne James Scholz: cfr. Geiger, 1954, 81, ili. 119; [Ragghianti?], 1955, 34; Ragghianti, 1967, 44; U. Ruggeri, «Appunti lombardi», Critica d'Arte, XXXIII (1968), 42. - Contadina che va al mercato, Madrid, Biblioteca Nacional: cfr. E. Battisti, «Alcu- ni disegni inediti a Madrid», Emporium, CXXIII (1956), 56, ili. 2; E. Battisti, Vanti- rinascimento. Con una appendice di mano- scritti inediti, Milano 1962, ed. aggiornata, I, Milano 1989, 285; A.E. Pérez Sánchez, I grandi disegni italiani nelle collezioni di Madrid, Milano 1977, n.n., cat. n. 9; G. Bora, «Da Leonardo all'Accademia della Val di Bregno: Giovan Paolo Lomazzo, Aurelio Luini e i disegni degli accademici», Raccol- ta Vinciana, XXIII (1989), 82-83, il quale segnala (p. 83, ili. 2) anche un'altra ver- sione autografa (con minime varianti) apparsa sul mercato antiquario di Roma (Christie's Roma, asta 171, 7 novembre 1988). - Profilo di Rodolfo II imperatore romano; Profilo di Rodolfo II re di Boemia, Praha, Národní Muzeum: cfr. P. Preiss, «Dve Ar- cimboldovy Kresby Rudolfa II.», Časopis Národního musea, CXXVI (1957), 178-182 (citato in Preiss, 1964, 14 nota 4); Preiss, 1964, 13, ill. 3; Porzio, 1979, 38; Effetto Arcimboldo... , 1987, 122-123; L. Olof Lars- son, Bildnisse Kaisers Rudolfs II., in Prag um 1600. Beiträge zur Kunst und Kultur am Hofe Rudolfs II., Freren 1988, 162, ill. 2; G. Cavalli-Björkman, scheda n. 193, in Prag um 1600. Kunst und Kultur am Hofe Rudolfs II., Freren 1988, 338; P. Stepanek, «Pintura manierista en la corte de Rodolfo II», Goya, 220(1991), 202. - Due donne con vassoio, Bergamo, Acca- demia Carrara: cfr. L. Collobi Ragghianti - C.L. Ragghianti, Disegni dell'Accademia Carrara di Bergamo, Venezia 1962, 13, ili. 1; C.L. Ragghianti, Antichi disegni e stampe dell'Accademia Carrara di Bergamo, Milano 1963, 5 nota 20, ill. XVII. - Personificazione del fuoco, Praha, Ná- rodní Galerie: cfr. Preiss, 1964, 12, 14, ill. 2 (attribuito alla cerchia); Ruggeri, 1968, 42.

- Costumi, Bruna, Museo: cfr. Ragghianti, 1967, 44, ili. 19. - Erode, Innsbruck, Tiroler Landesmu- seum Ferdinandeum: cfr. Ragghianti, 1967, 44, il quale riferisce anche di una replica in Collezione Cardazzo. - Progetto per una parata allegorica (già New York, Coli. Spencer A. Samuels & co., Ltd) Berlin, Kunstbibliothek: cfr. G. e A. Nerman, Catalogo di vendita di disegni anti- chi, Firenze 1967, 20, nota 10 (attribuito ad Arcimboldi; citato da DaCosta Kaufmann, 1978, 145 nota 19); Ferrari, 1978, 172 (ad Arcimboldi); DaCosta Kaufmann, 1978, 57- 61, ill. 35-41, il quale lo attribuisce al Fon- teio basandosi soprattutto su una lettura erronea di un passo del Lomazzo, 1973- 1974, 1, 363 (cfr. la nota 39) il quale appun- to non riferisce che il Fonteio 'disegnò' per l'Arcimboldi come invece conclude il DaCo- sta Kaufmann, 1978, 59: «Lomazzo says that Fonteo claimed to have designed one of Arcimboldo s festivals...»; Effetto Arcimbol- do..., 1987, 147 (attribuito con dubbi al Fonteio). Sembra strano attribuire un dise- gno di tale complessità al Fonteio (Giovan Battista Fontana) che in realtà tutte le fonti considerano solo un dotto letterato privo di qualsiasi interesse per l'aspetto pratico del- l'arte: cfr. F. Savio, «Giovanni Battista Fon- tana o Fonteio scrittore milanese del sec. XVI», Archivio Storico Lombardo , IV (1905), 343-375. - Testa virile barbata composta di testine, Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi: cfr. Ragghianti, 1967, 44-45, ili. 17; DaCosta Kaufmann, 1978, 144 nota 9 (che non condivide l'attribuzione).

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- Guerriero , Milano, Raccolta Bertarelli: cfr. Ruggeri, 1968, 43, ill. 3. - Figura equestre in costume da parata, Edinburgh, National Gallery of Scotland: cfr. K. Andrews, National Gallery of Sco- tland. Catalogue of Italian Drawings, I, II, Cambridge 1971, 44, ill. 317 (attribuito al Cerano); U. Ruggeri, «Disegni lombardi del Cinquecento», Critica d'Arte, XXXIX (1974), 66 (attribuito ad Arcimboldi). - Figura di gentiluomo, Milano, Pinacoteca Ambrosiana: cfr. Ruggeri, 1974, 62, 64-65, ill. 13; DaCosta Kaufmann, 1978, 144 nota 9 (che non condivide l'attribuzione). - Testa femminile, Milano, Pinacoteca Ambrosiana: cfr. Ruggeri, 1974, 62, 65, ill. 14.

- Ritratto dell'Imperatore Rodolfo II con gli stemmi dei sette Principi elettori, Praha, Národní Galerie: cfr. H. Geissler, Zeich- nung in Deutschland. Deutsche Zeichner 1540-1640, I, Stuttgart 1979, 52-53, ill. 81; Fučíková, 1987, 122. - Autoritratto cartaceo, Genova, Palazzo Rosso, Gabinetto di Disegni e Stampe: cfr. Boccardo, 1990, 66-67; Boccardo, 1991, 93; Il Disegno. Le collezioni... , 1993, 41, ili. 38. - Schizzo di figure allegoriche, Budapest, Museo di Belle Arti: cfr. S. Bodnar, «Un dessin d'Arcimboldo», Bulletin du Musée Hongrois des Beaux-Arts, 76 (1992), 57-65, ill. 34. - Dieci Disegni di animali, Vienna, Öster- reichische Nationalbibliothek: cfr. L. Coni- glieli^, «L'altra faccia di Arcimboldo», Paragone, XLIII, 493-495 (1992), 44-50. - Cavallo alato con palafreniere in costume, Bassano, Museo Civico, 1287.

13 Sui tredici Disegni per la fabbricazione della seta si vedano le note 12 e 28. Per una discussione sul termine maggia nell'ambito della teoria cinquecentesca, si veda DaCo- sta Kaufmann, 1983, 180-185 (per la trascri- zione del testo p. 179)

14 Recentemente è apparso sul mercato il Cantiniere, ritenuto autografo: cfr. Impor- tant Old Master Pictures, London 1993, Asta Christie's, scheda n. 84, 144-145. Di questo dipinto si conosceva solo la foto in bianco e nero pubblicata da Geiger, 1954, 52, ili. 42.

15 Cfr. R. Barthes, Retore e mago, in Arcim- boldo, 1978, 13-66. Sul double- entendre della pittura arcimboldesca si veda R.L. Colie, Paradoxia epidemica. The Renaissan- ce Tradition of Paradox, Princeton 1966, 287-288. Si veda inoltre G. Maiorino, The Portrait of Eccentricity. Arcimboldo and the Mannerist Grotesque, London 1991, in par- ticolare il cap. Arcimboldo's Panegyric to Artifice: The Language of Perspective as a Rhetorical Methaphor, 31-59.

16 Sulla tradizione del 'genere' autoritratto degli artisti, si vedano ad esempio: G. Fran- ceschini «La psicologia dell'autoritratto in arte», Emporium, XXVII (1908), 443-457; L. Goldscheider, Fünfhundert Selbsporträts von der Antike bis zur Gegenwart (Plastik. Malerei. Graphik), Wien 1937; M. Masciotta, Autoritratti del Quattrocento e del Cinquecen- to, Firenze 1949; J. Kinner - D. Piper, The Artist by Himself Self-Portrait Drawings from Youth to Old Age, London 1980; P. Bonafoux, Le métier de l'artiste. Les peintres et l'autoportrait, Genève 1984.

17 Cfr. Geiger, 1954, frontespizio, riprodotto tra l'altro in Effetto Arcimboldo... , 1987, 59. Si veda in particolare la scheda di T. DaCo- sta Kaufmann, L'École de Prague. La peintu- re à la cour de Rodolphe II, Paris 1985, 214.

18 Cfr. S. ZiRFEO, Ordenliche Beschreibung... , Prag 1570, f. 16r (citato in Beyer, 1983, 109): «...ein langer mann in einem schwe- ren part [Bart?] war des Kaysers Maler der Joseph als Führer dieses Triumphs». II DaCosta Kaufmann, 1985, 214, citando lo

stesso testo dello Zirfeo, traduce con le seguenti parole: «Un homme élencé, à la longue barbe noire». Il Preiss, 1964, 13, oltre a sottolineare questo particolare, sostiene che l'artista si è rappresentato come un mago profetico. Il Porzio, 1979, 27, nel riprendere la critica precedente accentua il carattere «saturnino-melanconi- co» di questo ritratto: «il volto impassibile, sormontato da un austero cappellone, fa pensare più ad un astrologo, a un alchimi- sta».

19 Su questo foglio si veda la nota 12.

20 Stranamente questo numero non è ricor- dato né nella scheda del Gabinetto di Dise- gni e Stampe di Palazzo Rosso, né in quella di Boccardo, 1990, 66-67. Solo quando il presente articolo era già pronto per le bozze Piero Boccardo (che qui ringrazio) mi ha segnalato che la questione della data di nascita del pittore è stata accennata in Boc- cardo, 1991, 93.

21 Cfr. P. Litta, Famiglie celebri di Italia, I, Milano 1819, n.n. «Arcimboldi di Milano».

22 Archivio di Stato di Milano, Popolazione P.A., Registri mortuari, f. n.n.; trascritto per la prima volta, in maniera diversa, da C. Casati, «Giuseppe Arcimboldi pittore mila- nese», Archivio Storico Milanese, XII (1885), 93. In relazione alla causa di morte, cfr. F.C. Legrand - F. Sluys, «Arcimboldo», La lettura del medico, XII (1954), 9, i quali parlano di crisi di «uremia». 23 Cfr. Geiger, 1954, 13. Senza alcuna ragio- ne in alcuni studi la data di nascita del pit- tore è collocata nel 1530; cfr., ad esempio, G. Delogu, Pittori minori liguri lombardi piemontesi del Seicento e del Settecento , Venezia 1931, 157; o E. Morpurgo, L'opera del genio italiano all'estero. Gli artisti italiani in Austria. Dalle origini al secolo XVI, I, Roma 1937, 125; D.C. Bayon, «Arcimboldo entre nosotros», Goya, 81 (1967), 146 nota 1.

24 Cfr. V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e degli altri edifìci di Milano, III, Milano 1890, 57-58.

25 Morigia, 1592, 461.

26 B. Baldini, Carminum appendix, Milano 1600, 44.

27 Cfr. T. DaCosta Kaufmann, «Arcimboldo's Imperial Allegories. G.B. Fonteo and the Interpretation of Arcimboldo's Painting», Zeitschrift für Kunstgeschichte , XXXIX (1976), 275-296; e Porzio, 1979, 47 nota 22 che ha precisato che al di sotto del nome latino si cela appunto il letterato milanese Giovan Battista Fontana. I versi del Fonta- na sono ora pubblicati da DaCosta Kauf- mann, 1993, 197-205.

28 1 disegni sono stati ricordati per la prima volta da Rossiter, 1950, 46-52. La lettera dell' Arcimboldi è ora facilmente accessibile anche in Effetto Arcimboldo..., 1987, 129. Si veda anche C. Ferrari, «Arcimboldo, l'in- ventore di grilli e di chimere», Data, 32 (1978), 14.

29 Per una sintesi sulla storia della grottesca si veda A. Chastel, La grottesque, Paris 1988, tr. it. La grottesca, Torino 1989.

30 G.P. Lomazzo, Trattato dell'arte della pittu- ra, scoltura et architettura, Milano 1584, in Scritti sulle arti, 1973-1974, II, 304. Secon- do C. Hope, «Sight Gags», The New York Re- view of Books, XXXIV (1987), 44, il Lomaz- zo avrebbe già citato il lavoro dell' Arcimbol- di in precedenza, nel suo manoscritto Gli Sogni e ragionamenti... (1563 ca), in Scritti sulle arti, 1973-1974, I, 1-240. In realtà nes- suna traccia dell'Arcimboldi appare nei Sogni, come ha anche rilevato T. DaCosta Kaufmann, «Le opere di Arcimboldo a

Monza e la carriera iniziale dell'artista», in Studi Monzesi, 3 (1988), 17 nota 31.

31 G.P. Lomazzo, Rime [...] Nelle quali ad imitatione de i Grotteschi..., Milano 1587, 328. Accenni al legame Arcimboldi-Lomaz- zo si trovano in E. Taddeo, «I grilli poetici di un pittore: le Rime di G.P. Lomazzo», Il Contesto, 3 (1977), 149; M. Kemp, «'Equal Excellences': Lomazzo and the Explanation of Individual Style in the Visual Arts», Re- naissance Studies, I (1987), 25.

32 Su questo aspetto si veda anche Falchet- ta, 1987, 143 sgg. Sulla prima attività lom- barda dell'Arcimboldi, si vedano in partico- lare: Geiger, 1954; C. Pirina, «L'Arcimboldi non 'ghiribizzoso'», Commentari, XV (1964), 55-64; T. DaCosta Kaufmann, «A Tapestry Design by Giuseppe Arcimboldo», The Burlington Magazine, CXXX (1988), 428-430; DaCosta Kaufmann, «Le opere di Arcimboldo...», 1988, 5-17; Miller, 1989, 3- 24; S.R. Miller, Gli affreschi cinquecente- schi: Giuseppe Arcimboldo, Giuseppe Meda e Giovanni Battista Della Rovere detto il Fiam- menghino, in II Duomo di Monza. La storia e l'arte, a cura di R. Conti, I, Milano 1989, ed. 1990, 216-230; N. Forte Grazzini, Gli arazzi, in II Duomo di Monza..., II, 1989, ed. 1990, 107-139. C. Pirina, Il rosone cinque- centesco della vetrata del Nuovo Testamento nel Duomo di Milano, in Rendiconti. Parte generale e Atti Ufficiali. Seminari su le vetra- te italiane, Milano 1994, 183-220. Lo scri- vente ha in corso una ricerca che verrà pub- blicata al più presto sul problema delle radi- ci iconografiche delle invenzioni arcimbol- desche e sulla giovanile attività del pittore milanese con un regesto di tutti i documen- ti (alcuni inediti) relativi al lavoro di Giu- seppe in ambito lombardo. 33 Morigia, 1592, 556. Lo stesso autore, più avanti (555-566), ripete che le informazioni sulla «casa Arcimbolda» le aveva avute tra l'altro dal «virtuoso, et nobile Giuseppe Arcimboldi». Su questi problemi sono da segnalare alcuni interventi al Convegno organizzato a Venezia in occasione della Mostra nel 1987. Gli Atti non sono stati pubblicati, anche se una brevissima sintesi giornalistica si può trovare in M. Bona Castellotti, «Arcimboldi ha fatto sin trop- po 'effetto'», Corriere della sera, 18 maggio 1987, 3.

34 Su Filippo Gherardini si veda, tra l'altro, F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediola- nensium, 1/2, Milano 1745, col. 769. Il Ghe- rardini era di qualche anno più giovane del- l'amico Arcimboldi: in uno stato d'anime del 1576 della parrocchia di San Pietro alle Vigne risulta avere 45 anni, mentre in un altro stato d'anime del 1602, sempre della stessa parrocchia, gli sono attribuiti 60 anni. Si noti come la non coincidenza degli anni con le date sia una ulteriore prova del- l'approssimazione di questi documenti (cfr. Archivio Storico Diocesano di Milano, S. Ambrogio, voi. XLIII, rispettivamente nn° 10, 12, ff. n.n.).

35 È lo stesso Gherardini a dircelo: «...va, dal viver l'Arcimboldo, & io, in una istessa casa...» (cfr. Gherardini, 1591, A2v). La notizia è ripresa anche da G. Comanini, Il Figino, overo del fine della pittura, Mantova 1591, in Trattati d'arte del Cinquecento fra Manierismo e Controriforma, a cura di P. Barocchi, III, Bari 1962, 257: «E '1 Comani- no, il qual tiene seco strettissima amistà e sovente passa molt'ore in compagnia di lui [Arcimboldi] e del Sig. Gio. Filippo Gherar- dini, a' quali due un medesimo albergo è commune...».

36 G.G. Gherardini, Alcuni versi [...] in occa- sione delle nozze de i molt 'III." S." Giulio Dardanone, et Zenobia Coria, Milano 1588, 6 n.n.

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37 Ad esempio è documentato che il legame tra il Gherardini e Cesare Besozzo, autore dell'epitaffio sopra ricordato, era di tipo familiare in quanto il Besozzo aveva sposa- to, nel 1577, Clara, la primogenita del Ghe- rardini: cfr. Archivio Storico Diocesano di Milano, S. Ambrogio, vol. XLIII, n° 11, f. n.n.).

38 Cfr. Lomazzo, 1590, ed. 1973-1974, 1, 361.

39 Lomazzo, 1590, ed. 1973-1974, 363. Sul le- game tra i due milanesi si veda anche K. Vocelka, Habsburgische Hochzeiten 1550- 1600. Kulturgeschichtliche Studien zum manieristischen Repräsentationsfest, Wien 1976, 78 sgg.; DaCosta Kaufmann, 1976; e T. DaCosta Kaufmann, Arcimboldos Serious Jokes: 'Mysterious but Long Meaning , in The Verbal and the Visual, New York 1990, 69.

40 Gherardini, 1591, Dir. II Lomazzo cono- sceva direttamente il Gherardini, come è testimoniato anche da un suo «Sonetto al Sig. Filippo Gherardini»: cfr. Lomazzo, Rime..., 1587, 161.

41 Cfr. Lomazzo, 1590, ed. 1973-1974, I, ri- spettivamente 364, 363. Il madrigale del Comanini è riprodotto anche in G. Comani- ni, Canzoniere, Mantova 1609, 311.

42 G. Comanini, De gli Affetti della Mistica Theologia, Venezia 1590, 3 (citazione prece- dente p. 2).

43 Cfr. G. Borgogni, Nuova scielta di rime, Bergamo 1592, 140: «Sparit'era da noi»; riproposta anche in G. Borgogni, Le Muse Toscane, Bergamo 1594, 19r.

44 Cfr. Lomazzo, 1590, ed. 1973-1974, I, , 364.

45 Cfr. Gherardini, 1591; Berra, 1988.

46 Cfr. Gherardini, 1591, A3r-B4r. Il poemet- to è riportato anche in Comanini, 1591, ed. 1962, 258-265; e in Comanini, 1609, 295- 310. Sul problema del simbolismo del mostruoso Sileno si veda Berra, 1988, 29; R.B. Waddington, «Before Arcimboldo. Composite Portraits on Italian Medals», The Medal, XLII (1989), 18; DaCosta Kauf- mann, Arcimboldos Serious Jokes..., 19902, 68, 79. Si veda inoltre A.W.G. Posèq, «The Hieroglyphic Mode of Arcimboldos Ima- gery», Hebrew University Studies in Litera- ture and the Arts, XIII (1985), 202-213.

47 Cfr. Gherardini, 1591, A2r. Tra questi pit- tori milanesi ho fatto anche il nome di Caravaggio: cfr. Berra, 1988, 18 nota 15; e G. Berra, «La natura morta nella bottega di Fede Galizia», Osservatorio delle Arti, 5 (1990), 56-57. Intendo approfondire in un prossimo articolo questo legame tra Arcim- boldi e Caravaggio che è più stretto di quanto sia sino ad ora emerso. Si veda in tal senso anche il saggio di F. Porzio, Fonti carnevalesche del naturalismo nel Cinque- cento milanese: alcune ipotesi su Giuseppe Arcimboldi, in Metodologia della ricerca. Orientamenti attuali. Congresso Internazio- nale in onore di Eugenio Battisti. Parte prima, numero monografico di Arte lom- barda, 105-107 (1993/2-4), 40. La fortuna del Vertunno dell'Arcimboldi presso gli arti- sti è dimostrata anche da una piacevole variante scultorea, elaborata più tardi, che presenta la figura intera del dio Vertunno 'composto' alla maniera arcimboldesca da elementi vegetali: cfr. G.G. Della Torre Piccinelli, «Il custode dell'orto. Una statua inedita dell'Arcimboldo», in La Rivista di Bergamo, 1 (1995), 4-11 (ringrazio Giosuè Bonetti per questa segnalazione). Non si tratta però di un originale arcimboldesco: la struttura d'insieme, l'invenzione compo- sitiva, la scelta di certe soluzioni come il fascio di asparagi legati, i piedi e le mani che terminano con carote e radici fanno pensare piuttosto alle analoghe soluzioni

adottate nei quattro dipinti arcimboldeschi delle Stagioni della Pinacoteca Tosio Marti- nengo di Brescia attribuite prima ad Arcim- boldi in seguito al bergamasco Francesco Zucchi, poi ad artista veneto: cfr. A.W.G. Posèq, «The Arcimboldesque 'Four Sea- sons'», Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte, XLII (1990), 175-180, 259-260. È molto pro- babile, inoltre, che G.F. Arpiño, un medico del Seicento, pittore dilettante, possa aver conosciuto la stessa immagine dell'Arcim- boldi per elaborare una miniatura con «Vertuno composto di varij frutti»: cfr. F. Monetti - A. Cifani, Arte e artisti nel Pie- monte del '600. Nuove scoperte e nuovi orientamenti, Cavallermaggiore 1990, 59.

48 Cfr. Comanini, 1591, ed. 1962, 256 sgg. Si veda su questo aspetto A.M.P. Ferrari Bravo, 'Il Figino' del Comanini. Teoria della pittura di fine '500, Roma 1975.

49 Comanini, 1591, ed. 1962, 270.

50 Su questo aspetto, si veda L. Grassi, voce Ut pietura poësis, in L. Grassi - M. Pepe, Dizionario dei termini artistici, Torino 1994, 1025-1030, con bibliografia precedente. In un interessante sonetto anonimo rivolto al Figino, presente in un manoscritto londine- se (London, British Library, Ms. King's 323, f. 51), si sintetizza così il ruolo del Poeta e del Pittore: «... l'un depinge con sue fole; / l'altro, co'l suo penel, canta tacendo».

51 P. Morigia, Historia brieve dell'Augustissi- ma Casa d'Austria, Bergamo 1593, 63r. La fonte è solo citata in Berra, 1988, 12 nota 2.

52 Cfr. P. Morigia, La nobiltà di Milano, Milano 1595, ed. Milano 1619, 460-461.

53 Cfr. G.C. Gigli, La pittura trionfante, Venezia 1615, 16. Il riferimento alla 'bizzar- ria' dell'artista è inserito in un brano dedi- cato ai «Milanesi» (pp. 16-17) che qui ripor- to perché poco conosciuto: «Vengon d'Insubria là, dal dritto lato Gaudenzio Ferrari, e Cesar Sesto E i Louini ciascun dolce, e pregiato, E l'Arcimboldo gran bizzarro, e presto; Con Giampagol Lomazzo sì lodato Colla penna non manco, che col testo, Gentil col plettro, e col pennel valente, Di Lei simbolo ver, d'Apollo mente; Il polito Figin evi a lui presso, Anch'ei non men del suo Maestro amico D'ogni vago di Pindo almo recesso, E conosciuto in ciaschedun suo vico, Mercè di quello spirito indefesso; Apollo tu coltiva quel ch'io dico; Dico mercè de l'unico Marino, Che famoso è il Figin, grande il Figino». Si veda inoltre P.A. Orlandi, Abecedario pit- torico, Bologna 1704, ed. Napoli 1733, 195; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, Bassa- no 1792, II/l, ed. Bassano 1795-1796, 437- 438.

54 Cfr. DaCosta Kaufmann, 1976, 275 nota 2.

55 Cfr. T. DaCosta Kaufmann, «Arcimboldo and Propertius. A Classical Source for Rudolf II as Vertumnus», Zeitschrift für Kunstgeschichte, XLVIII (1985), 117-123; Berra, 1988.

56 Su questo aspetto si veda J. Bialostocki, The 'doctus artifex' and the Library of the Artist in the XVIth and XVIIth Centuries, in J. Bialostocki, The Message of Images. Studies in the History of Art, Wien 1988, 150-165, 267-270. Questa sottolineatura della cultura arcimboldesca non deve essere comunque esagerata come fa ad esempio in maniera dilettantesca Kriegeskorte, 1986, 58: «Arcimboldo era un uomo di grande cultu- ra, profondo conoscitore del pensiero filo- sofico greco». 57 Cfr. Morigia, 1592, 567. 58 Cfr. la nota 39. Va anche ricordato che il

Fonteio in uno dei suoi scritti paragona l'Arcimboldi agli artisti antichi in questo modo: «Josippus Arcimboldus insignis inuentione gryllorum siue chymerarum» (citato in DaCosta Kaufmann, 1976, 281 nota 19).

59 Cfr. Geiger, 1954, 32, 124. Sappiamo che questo incarico era proseguito anche al suo ritorno a Milano. Da una fonte contempo- ranea emerge che il pittore inviava all'impe- ratore quadri della giovane pittrice Fede Galizia: cfr. G. Borgogni La Fonte del Diporto..., Bergamo 1598, 39v-40r; G. Berra, «Alcune puntualizzazioni sulla pit- trice Fede Galizia attraverso le testimonian- ze del letterato Gherardo Borgogni», Para- gone, XL, 469 (1989), 14-29. Sembra che il pittore, prima di morire, abbia fatto da intermediario anche tra la corte asburgica e il Figino per un dipinto del 1599: Giove cede a Giunone Io mutata in giovenca in simbolo di pace (Pavia, Musei Civici) che quest'ultimo preparò (senza successo) per Rodolfo II: cfr. London, British Library, Ms. King's 323, f. 21 Or (seconda lettera), scritta dal Figino a Ottavio Miseroni il 1 marzo 1600 (devo questa informazione a Thomas DaCosta Kaufmann che ringrazio). La lette- ra non è pubblicata tra quelle edite in R.P. Ciardi, Giovan Ambrogio Figino, Firenze 1968, 109-110.

60 Cfr. le note 12 e 28.

61 Lomazzo, 1590, ed. 1973-1974, 1, 363. 62 Comanini, 1591, ed. 1962, 370. Il riferimen- to a Macrobio si deve a Barocchi, 1962, 593 sgg. Su questo esperimento musicale arcim- boldesco si veda T. Tornitore, Musica per occhi, in Effetto Arcimboldo..., 1987, 345- 356, con bibliografia precedente, da inte- grare però con lo specifico articolo del musicologo A.B. Caswell, «The Pythago- reanism of Arcimboldo», The Journal of Aesthetics and Art Criticism, XXXIX (1980), 155-161. Recentemente è stato proposto di identificare il misterioso «Mauro Cremone- se dalla Viuola» col musicista Mauro Sini- baldi da Cremona: cfr. Lindell, Das Musik- leben am Hofe Rudolfs II., in Prag um 1600. Kunst..., 1988, 81.

63 Cfr. A. Berti, Artisti-Poeti Italiani dei seco- li XV e XVI, Firenze 1907.

64 Cfr. Berra, 1988, 14 nota 9.

65 In Gherardini, 1591, B4r.

66 II madrigale tratta uno dei temi più rile- vanti della critica arcimboldesca: recente- mente, ad esempio, Hope, 1987, 41-44, ha sostenuto la tesi di una eccessiva sopravva- lutazione da parte della critica dell'aspetto allegorico, simbolico. Secondo lo studioso infatti gli aspetti simbolici, se pur presenti in molte fonti contemporanee, sono sostan- zialmente successivi ai dipinti dell'Arcim- boldi. Tali letture esoteriche, elaborate e sovrapposte dai letterati ai dipinti solo in un secondo momento, hanno fatto perdere invece l'aspetto prevalente del puro diverti- mento delle immagini arcimboldesche. Si vedano, invece, le più corrette considera- zioni, anche in risposta a Hope, sviluppate da DaCosta Kaufmann, Arcimboldos Serious Jokes..., 1990, 59-80.

67 In Gherardini, 1591, Dlv. Proprio in risposta a questa rima, nella raccolta com- pare il sonetto del Gherardini «In occasione del sudetto sonetto, & con le istesse caden- ze» (p. D2r). 68 Lomazzo, 1584, ed. 1974, 245. 69 Cfr. D. Isella, Introduzione. Per una lettu- ra dei «Rabisch», in G.P. Lomazzo, Rabisch [Milano 1589], testo critico e commento di D. Isella, Torino 1993, IX-LXVIII.

70 Non è escluso comunque che nell'Accade- mia lomazziana ci fossero nuovi soci non

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registrati nella raccolta poetica: cfr. !SELLA, 1993, XXXIII: « ... così da dover sospettare (e il sospetto trova conferme dirette nel libro) che alcuni vecchi soci in quel lasso di tempo [tra la data dei componimenti verso il 1568 e la data di pubblicazione nel 1589] fossero morti e altri più giovani avessero riempito i vuoti».

71 BALDINI, 1600, 43-44. Dello stesso lettera­to è una rima conservata nel Ms King's 323, f. 156r (London, British Library) intitolata«De Io: Ambrosio Figino, et Iosepho Arcim-

boldio pictoribus». Il componimento è stato solo citato in BERRA, 1988, 14 nota 9, ma riportato integralmente (con traduzione inglese) da DACOSTA KAUFMANN, Arcimbol­do's Serious Jokes ... , 1990, 75-76.

72 Cfr. GEIGER, 1954, 50.

73 Cfr. G. BORA, 1989, 73-101; ISELLA, 1993, ill. 6-13; F. PALIAGA, «Quattro persone che ridono con un gatto», Achademia Leonardi Vinci, VIII (1995), 143-157.

74 Cfr. M.V. CARDI, «Intorno all'autoritratto

in veste di Bacco di Giovan Paolo Lomaz­zo», Storia dell'Arte, 81 (1994), 182-193; ma soprattutto P.C. MARANI, Leonardo e i leo­nardeschi a Brera, Firenze 1987, 242-245.

75 Per queste due citazioni si vedano le note

51 e 53.

Referenze fotografiche

1: da Effetto Arcimboldo ... , 1987, 59; 2: Narodni Galerie, Praga; 3: Gabinetto di penetrabile il contenuto iconografico