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BIBLIOGRAFIA Costa e Nolan, La Scuola di Ulm, Una nuova cultura del progetto, 1988 SITOGRAFIA www.guibonsiepe.com bg.biograficas.com/paises/argentina/docs_ complementarios/eye.pdf www.mitpressjournals.org Alberto Bolzonetti Metodologia del progetto docente Marco Tortoioli Ricci / ISIA Urbino 2011 MODELLO ULM Ulm rivisitata / Tomàs Maldonado "Ulm" e una fine che non è tale / Michael Erlhoff Ulm internazionale / Michael Erlhoff Il modello Ulm in periferia / Gui Bonsiepe DESIGN EDUCATION IN AMERICA LATINA Dalla HfG alla globalizzazione / Silvia Fernàndez DIALOGHI Visione periferica / Gui Bonsiepe 3 5 7 8 13 21 ulm 68/11

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BIBLIOGRAFIA

Costa e Nolan, La Scuola di Ulm, Una nuova cultura del progetto, 1988

SITOGRAFIA

www.guibonsiepe.com

bg.biograficas.com/paises/argentina/docs_complementarios/eye.pdf

www.mitpressjournals.org

Alberto BolzonettiMetodologia del progettodocente Marco Tortoioli Ricci/ISIA Urbino 2011

MODELLO ULM

Ulm rivisitata / Tomàs Maldonado

"Ulm" e una fine che non è tale / Michael Erlhoff

Ulm internazionale / Michael Erlhoff

Il modello Ulm in periferia / Gui Bonsiepe

DESIGN EDUCATION IN AMERICA LATINA

Dalla HfG alla globalizzazione / Silvia Fernàndez

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Visione periferica / Gui Bonsiepe

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ciò che uno scienziato è, di ciò che dovrebbe e non dovrebbe fare. Gli scienziati fanno ricerca, scrivono documenti, producono conoscenza. Medawar cita un manuale della Società Britannica di Ingegneria Elettrica in cui viene spiegato come consegnare e come preparare un testo per una conferenza. Nel suo libro ritiene che tutte le persone che par-lano ad un pubblico di una conferenza sono quasi sempre sotto stress e che, per sentirsi sicure, dovrebbero stare a non più di 40 cm di distanza dal pubblico. Si noti la precisione fantastica: devono essere 40cm e non 38! Vorrei raccomandare quindi ogni designer professionista che lavora nell’industria o nel proprio studio di progettazione o in qualche istituzione pubblica, a non dimenticare mai l’affermazione di base della nostra professio-ne: ‘Design per l’autonomia’.

Vorrei concludere con una citazione di uno scrittore argentino che ha vissuto per molto tempo, tre secoli, raggiungendo l’età di 103 anni. Ha scritto libri, ma ha sempre desistito dalla loro pubblicazione. Li scriveva per i suoi amici. Ha scelto di non vivere a Buenos Aires, ma in una piccola città di provincia lontana. Quando gli è stato chiesto perché ha preferito vivere così lontano dalla metropoli di Buenos Aires, egli ha risposto con una frase molto dura (e vi chiedo di non fraintendermi o parafrasare questa valutazione al di fuori del contesto della progettazione): ‘Il Centro non sa nulla della periferia, e la periferia non sa nulla di se stessa’. Questa frase provocatoria potrebbe servire come terreno fertile per le riflessioni sul rapporto dialettico tra discorsi e pratiche diverse del design. Dopo tutto, vivia-mo in posti diversi, ma in un mondo solo.

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Istruzione presso il laboratorio di gesso, HfG

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fatti e rispettino tutti i riti delle procedure scientifiche, a volte mi chiedo quale sia la rilevanza delle questioni che vengono trat-tate? Quindi la mia raccomandazione è di rimanere sempre legati al contesto locale, come unico aspetto di un progetto che non può essere mai sostituito senza, ovviamen-te, perdere la prospettiva internazionale. Non voglio certo sostenere una visione parrocchiale del design.

Per quanto riguarda l’istruzione invece, si tratta di una questione molto spinosa, che comprende non solo i paesi periferici, ma anche quelli dell’Europa centrale. In tutti i paesi della periferia si può osservare come il design sia molto più radicato nel settore accademico che nella pratica professionale. È un fatto allarmante che si registri un’e-splosione demografica dei corsi di disegno, a volte di qualità discutibile, ad esempio corsi serali, che durano tre semestri, e che seguendoli si possa pensare di diventare un designer. Se si fosse tentata una cosa del genere per facoltà come Medicina o Ingegneria, avrebbero riso di voi! Hanno costruito l'immagine del design - immagine ingiustificata - come una carriera facile, tendendo in questo modo di attrarre le per-sone sbagliate. Abbiamo anche affrontato il problema della ‘banalizzazione’ e della banalizzazione del design negli anni ‘90. Sotto l’etichetta di ‘design per diverti-mento’ abbiamo inserito la progettazione

di jeans firmati, fast food, hotel ecc... Io non sono contro il divertimento, ma penso che sia fuorviante porre attenzione esclusiva su questo aspetto del design come progettisti. Io sono decisamente contrario all’idea di design come funzione ausiliaria del marketing.

Per quanto riguarda la formazione nel disegno industriale mi sento di raccomandare tutti affinchè i responsabili dei corsi siano persone che hanno una valida esperienza professionale, altrimenti entriamo in un circuito accademico chiuso e sterile in cui l’innovazio-ne non si verifica. Sia la progettazione che la formazione nel disegno industriale vivono del contatto con i problemi del mondo reale, nella ricerca e accettano i problemi dal di fuori per poi trasmetterli nell’ambiente di apprendimento. C'è bisogno di rivalutare le fondamenta della progettazione, troppo spesso date per sconta-te, accademizzate e burocratizzate. Rompendo con i paradigmi tradizionali, affrontando il rapporto irrisolto tra il design e le scienze, svol-gendo ricerca progettuale svolta seriamente. In merito alle questioni professionali infine non mi sento autorizzato o legittimato a parlare dei colleghi e di quello che dovrebbero e non do-vrebbero fare. Probabilmente conoscete Con-sigli a un giovane scienziato, libro consigliato dal biologo molecolare inglese Peter Medawar. Penso che ogni progettista debba leggere questo libro, in cui non si parla di design, per fortuna, ma in modo ironico tipicamente britannico viene fatta una buona radiografia di

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I prodotti di Ulm sono piuttosto noti e altrettanto vale per non pochi tesi in cui la concezione didattica deila Scuola viene teorizzata. Poco o nulla si sa invece sulle influenze culturali che, esplicitamente od esplicitamente, sono alla base di questa concezione. La verità è che questo importan-te aspetto è stato, diciamo, spesso soffocato dalla preminenza che si è data alle questioni teoriche attinenti al rapporto Bauhaus-Ulm. Questo ha avuto un effetto distorcente, perché non è vero che l’impianto teorico di Ulm sia esclusivamente il risultato del nostro dibattito interno sul Bauhaus. Non solo: io sono convinto che al di fuori di tale dibattito, ci sono state discipline e correnti di pensiero che hanno esercitato un’influenza per certi versi decisiva sui nostro modo di intendere la progettazione ed il suo insegnamento.

A questo proposito va ricordata la nostra sconfinata curiosità, in quegli anni, di fronte a tutto quanto era nuovo o sembrava esserlo. […] L’elemento trainante della nostra curiosi-tà era, dei nostri studi e del nostro travaglio teorico era costituito dalla nostra volontà di fornire una solida base metodologica al lavoro progettuale. Bisogna ammettere che una tale pretesa era ambiziosa: si cercava di forzare un mutamento nel campo del lavoro progettuale molto simile al processo che ha portato l’alchimia a diventare chimica. Ma il nostro tentativo, ora lo sappiamo, era storica-mente prematuro. I pezzi di sapere meto-

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dologico che allora riuscivamo ad afferrare erano troppo artigianali. E la nostra dotazione strumentale era quasi inesistente. Ci man-cava quello che oggi abbiamo: il personal computer. […] Ma nel nostro metodologico a oltranza, di cui già allora avevamo ravvisa-to l’implicazione negativa - il pericolo della “metodolatria” - c’erano che intuizioni “forti”, intuizioni che lo sviluppo della tecnologia informatica, soprattutto dal 1963 in poi, ha confermato ampiamente […].

Alcune delle nostre dichiarazioni, rivisitate oggi, possono sembrare di una disarmante ovvietà. Ma erano altri tempi. Tempi in cui un certo candore espositivo era di norma. Di norma era anche l’ideologia della positività. Così si spiega, per di più, che in tempi come gli attuali in cui regna (o si vuol far regnare) l’ideologia della negatività, le cose dette - e fatte - a Ulm possano apparire fastidiosa-mente “edificanti”. Un tale giudizio sarebbe solo in parte giustificato. Perché la positività di Ulm non è mai stata conformista, ma sempre critica.

Bisogna ammettere però che la propen-sione ad assumere il ruolo, e soprattutto la retorica, del predicatore era presente in molti di noi. In breve, la propensione a pontificare più del necessario. Forse, ciò risultava dal fatto che credevamo con veemenza nelle idee che sostenevamo. Ulm partiva da un presupposto che, malgrado le nostre opinioni contrastanti sui più svariati argomenti, era

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da tutti noi condiviso: l’idea che l’industria è cultura e che esiste la possibilità ( e anche la necessità) di una cultura industriale. Ma si trattava di un presupposto che da alcuni di noi - e in particolare da me - veniva accettato con delle riserve. […]

Se mi si chiede oggi, come mi si chiede spesso, delle attualità di Ulm, la mia risposta non può essere che articolata. I tempi, sarebbe sciocco negarlo, sono cambiati. Ma i problemi, in ultima analisi, sono gli stessi. Quasi. Io direi che Ulm continua ad essere un modello vincente se si pensa ai settori To

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dei beni strumentali, sia di produzione sia di comunicazione. Un modello invece “datato” se la realtà sotto esame è quella che noi a Ulm avevamo, se non ignorato, certamente sottovalutato: la realtà degli oggetti che Adorno avrebbe situato nel regno del logoro inutile. Oggetti di cui si ha comunque bisogno e il tentativo di liberarli dal logoro è legittimo, anzi auspicabile. Compito sicuramente

difficile, perché l’illimitata libertà dell’inutile fa-vorisce le più elitarie stravaganze. Ma diciamo la verità: difficile è anche evitare che l’inutile inaridisca il mondo.

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la capacità per costruire un discorso critico e al tempo stesso a diventare professio-nisti efficienti. Durante i nostri incontri in alcune conferenze è emerso spesso il tema conflittuale tra operatori e teorici del settore. Trovo questa tradizione molto dannosa. Non accetto questo bipolarismo che etichetta un individuo come teorico o come professio-nista. Questa opposizione ha le sue radici nell’origine della nostra professione, e nel suo profondo atteggiamento anti-intellettuale. Così, nei corsi universitari, li portavo a pensare a quello che stavano facendo e al tempo stesso a riflettere non solo sulla loro attività, ma anche e soprattutto riguardo a tutto ciò che stava succedendo in quel mo-mento intorno a loro. Questo approccio era tipico nella HfG di Ulm, di cui io mi considero un esponente di operatività critica.

Arrivando ad una sintesi, il mio approccio è stato quello di orientare i giovani che non avevano trovato risposte alle loro domande nel contesto in cui vivevano, per fornire loro strumenti di progettazione ma soprattutto per diffondere il design industriale come attività autonoma separata dalle discipline dell'arte, dell'architettura e dell'ingegneria. Non solo in Argentina e Cile e Brasile, ma anche in altri paesi come Cuba, dove ho passato due mesi nel 1984 ancora sotto contratto delle Nazioni Unite, al fine di aiutare a decollare il loro ambizioso progetto dell’Uf-ficio Nazionale per il Disegno Industriale.

Quale messaggio avete per i progettisti e gli insegnanti di progettazione nel conte-sto dello sviluppo contemporaneo?-Ho sempre resistito dal diffondere l’immagi-ne del Designer-Guru che ha sempre nella manica una soluzioniae a tutto. Quello che solitamente faccio è approcciarmi ad un particolare contesto per poi vedere quello che posso fare. Potrei dividere la questione in tre fasi principali: l’azione professionale, l’istruzio-ne e la ricerca.

Sappiamo tutti che il design è un fenomeno scandalosamente poco studiato, se messo a confronto con altri domini della vita umana e della vita accademica. Come ho scritto altro-ve, una professione, che non vuole favorire o promuovere la ricerca tentando di costruire una base adeguata di conoscenza, non può avere futuro. Oggi siamo di fronte alla sfida di costruire un corpo adeguato alla risoluzio-ne di problemi di progettazione con l’aiuto, ovviamente, di molte altre discipline come la sociologia, l’informatica, la filosofia e la storia.

In particolare nei paesi periferici, la ricerca progettuale è necessaria ed ha una funzione fondamentale perché è attraverso questa ricerca che la progettazione può arrivare alla gente e questa può iniziare a riflettere. Sono comunque a conoscenza dell’esistenza di un pericolo, in relazione a quella che noi chiameremo ricerca esoterica. Se guardiamo alcuni lavori di ricerca, nonostante siano ben

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forte come lo è stata. Penso esista una nozione romantica nascosta della Periferia: che essa dovrebbe mantenere il suo status di purezza incontaminata senza subire al-cun cambiamento da un qualsiasi contatto con l’esterno. Potrebbe essere opportuno distinguere tra influenza e influenza. Non vedo nulla di negativo nell’aver contribuito alla realizzazione di un progetto di eman-cipazione sociale. Non sono venuto come missionario in America Latina. Quello che ho fatto è stato semplicemente fornire una base operativa per l’azione concre-ta al design professionale. Le persone che vivono nei paesi periferici, e in quelli latino-americani in particolare, non sono così ingenue come a volte si crede. Sono critiche ed esigenti. Ho messo a disposi-zione alcuni strumenti che conoscevo per fare design del prodotto, dalle macchine agricole ai giocattoli in legno per bambini e ai mobili a basso costo, per liberarsi della zavorra della tradizione e della teoria dell’ar-te. Questo know-how operativo non veniva fornito dalle Università in quel momento perché gli insegnanti di questi corsi spesso non avevano avuto prima esperienze vere di progettazione. Mi chiedo come si può insegnare a progettare se non si è mai fatta progettazione. Per questo motivo dicevo di aver trovato un terreno molto fertile che mi mise in una condizione di forte ricettività per tutte le informazioni pertinenti e gli strumen-

ti metodologici, al fine di aiutare a risolvere i problemi pratici della progettazione.

Quale è stato il tuo contributo nel campo della progettazione? Quali insegnamenti sono stati tratti e cosa faresti diversamente?-Identifico la mia esperienza in America Latina semplicemente come quella di un catalizzatore: è stato sufficiente essere lì al posto giusto, al momento giusto e con il giusto tipo di persone, il tutto mescolato ad un pizzico di determinazio-ne personale dovuta al mio interesse verso la cultura dell’America Latina in generale - la gran-de varietà di culture diverse è uno degli aspetti che trovo molto stimolante. Quando sono in America Latina, che sia Brasile, Messico, Cuba, Argentina o Cile, mi sento sempre come fossi a casa, non mi sento mai come uno straniero lì. Inoltre trovo un clima ricettivo per quello che sto insegnando e scrivendo e facendo come professionista. L’ospitalità e la solidarietà dei latino-americani è proverbiale.

Ora, valutando quello che ho fatto finora - e io vi dico che io non intendo finire il mio lavoro molto presto - direi che ho aiutato il paese, in un momento critico per l’industrializzazione, a definire il profilo ed il ruolo del designer industriale in America Latina (e forse anche in altri paesi periferici di quel tempo come l’India). Oltre ad aver interpretato questo ruolo profes-sionale, ho educato gli studenti ad acquisire

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“Ulm“ e una fineche non è tale

Solo la stupidità di un politico presuntuoso poteva, sul finire degli anni Sessanta, cullarlo nella certezza di aver posto fine alla scuola di Ulm. Come se fossero gli uomini a fare la storia, come se un’istanza reale potesse essere spazzata via così su due piedi. Allu-cinazioni del delirio di grandezza. Giacchè non solo l’attuale primo ministro di quello stesso Land accoglierebbe ben volentieri ancora o di nuovo la scuola di Ulm, vista l’universale esaltazione oggi corrente del valore economico-culturale del design, ma il fatto è che “Ulm” se ha avuto ufficialmente fine, una fine reale non l’ha mai conosciuta. In altri termini, quella conclusione della Hfg - com’era prevedibile - per molti studenti e soprattutto docenti della scuola significò un nuovo inizio: fuori da qeul monacale chiostro si aprirono loro un gran numero di possibilità di diffondere “Ulm”. Come frammenti di un’e-rosione si disseminarono, come apprendisti andarono nel mondo a rendere universale “Ulm”. Furono docenti nelle università, nelle Scuole superiori di design e nelle acca-demie, aprirono i propri uffici, che spesso divennero solenni sedi di ricerca, collaudo, progettazione e insegnamento; realizzarono “Ulm” in diversi continenti, diventarono con-siglieri per piani regionali, urbani e industriali, assunsero cariche eminenti in istituzioni e associazioni, scrissero opere importanti, organizzarono mostre e ne curarono i cata-loghi, svilupparono design e strategie del

design, architettura, teoria, la configurazione visiva del quotidiano, diedero forma a città e industrie. “Ulm divenne la categoria con cui dovette fare i conti tutto ciò che venne dopo. Solo la fine ufficiale della Hfg rese “Ulm” uffi-ciale, per quanto amara quella chiusura fosse stata in principio. Solo così infatti, con la diaspora e la diffusione, la qualità e l’energia di Ulm diventarono patrimonio comune. Tanto che oggi per lo meno il design e la comuni-cazione visiva e il loro insegnamento sono impensabili, nel cosiddetto mondo occiden-tale, senza l’influsso degli “ulmiani”. [...]

Molti degli ex alunni sono diventati i protagonisti del quadro contemporaneo della modernità e hanno dissolto l’ambiva-lenza della Hfg tra escursione della critica e integrazione nell’esistente: dall’esperimento “Ulm” è scaturita la normalità, se non addirit-tura la norma. Ai ribelli fu affidata la respon-sabilità sociale, che essi furono costretti ad accettare - restando più o meno fedeli alle impostazioni di Ulm. Di conseguenza “Ulm” oggi impronta di sè l’idea di forma, di “buona forma” [...]. Ad ogni modo “Ulm” fece scuola. Anche al di qua dell’oziosa disputa, puramente filologica o entrisecamente de-finitoria, su che cosa sia stato direttamente o indirettamente influenzato da Ulm e che cosa si sia sviluppato in accidentale affinità con Ulm. Perchè è un fatto certo che “Ulm” fu recepita e generalizzata come una stile (o una mania) e servì quindi, consciamente

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o incosciamente, come immagine guida per il design moderno e oggi traspare in ogni grande magazino e in ogni “città giardino”, in tutti i sobborghi e in tutti gli utensili. [...]

“Ulm” è tuttavia diventata, contro le propie intenzioni, un mito: la proiezione di un sogno degli anni Sessanta - e Ulm diventerà di certo, anche esplicitamente, una moda. Un

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fatto del tutto normale in questa epoca in cui tutto viene trangugiato velocissimamente. Ma probabilmente la riscoperta di “Ulm” potrebbe portare a qualcosa di più - a una seria discus-sione sul funzionalismo, sull’oggettività, sulla modernità, sull’architettura, sulla “visualità” e la percezione e la società. Quando sarà aper-tamente affronatta la questione “Ulm”.

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eletto di Salvador Allende. Come ben sa-prete, fu un colpo di Stato caratterizzato da torture ed omicidi, ufficialmente legittimate per “difendere“ i valori occidentali e cristiani della nostra cultura. Successivamdente mi trasferii in Argentina per ovvie ragioni, ma ci vollero diversi mesi per superare l’esperienza traumatica del Cile, e solo successivamente riuscìì a scrivere il libro “Teoria e Pratica del Disegno Industriale”.

Per quanto riguarda gli aspetti positivi invece, ho avuto la fortuna di incontrare e conoscere un gruppo di studenti di design molto passionale che stava finendo il corso universitario in qull’anno. Questi corsi non rispettavano a pineo il loro nome in quanto anzichè formare progettisti laureava ‘artigiani di decorazione’, nomina un po ‘distante dal concetto di industrial design. Inoltre in Argentina sono rimasto colpito dall’elevato approccio progettualedeifunzionari governativi, cosa che ha contribuito a rendere questo ambiente molto fertile.

L’esperienza politica che ho fatto in Europa è stata invece molto limitata. In quegli anni mi interessavo naturalmente di questioni politiche, cosa abbastanza inevitabile nel clima fervido degli anni ‘60, e durante il mio soggiorno da insegnante ad Ulm leggevo molti libri sulla teoria critica: Ernst Bloch, Theodor W Adorno, Walter Benjamin, Herbert Marcuse e Jürgen Habermas. Mi sono fatto così una coscienza critica di ciò

che stava accadendo ma non ho mai avuto l’occasione di affrontare un’esperienza diretta tra lavoro professionale e socio-politico, cosa che invece è stata possibile in Cile.

In un articolo del 1976 di S. Newby, viene citato come un ‘Paracadutista da Ulm’. Questa frase è stata spesso usata con ac-cezione negativa per descrivere l’intervento occidentale in un paese in via di sviluppo. Èstato veramente negativo il vostro atterrag-gio in Cile dopo l’esperienza ulmiana?-Non conosco il signor Newby o il suo articolo e non so cosa lo ha spinto a fare questo tipo di valutazione, ma se il mio sbarco o Para-cadutismo in Cile non è stato a lui gradito, questo è un suo problema, non mio. Penso piuttosto che abbia voluto criticare il mio approccio ulmiano e non tanto il mio presunto Paracadutismo. In tale proposito, vorrei pre-cisare che in quel caso fui invitato ad andare in Cile e quindi non fu assolutamente un intervento di mia iniziativa.

Per quanto riguarda le influenze negative, non sono abbastanza sicuro di quanto la mia presenza abbia realmente influenzato il paese. L’approccio razionale, pragmatico, ulmiano, che mi ha permesso di tracciare un profilo degli industriali del settore e di consolidare la loro formazione evidentemente ha risposto ad un bisogno effettivo, anche perchè altrimenti la risonanza non sarebbe stata certo così

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Nel 1966 sono tornato di nuovo in Argentina per tenere un corso di packaging design, organizzato dalla Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) che al tem-po mi aveva fatto firmare un contratto come consulente (a quel tempo l’Organizzazione internazionale per lo sviluppo delle Nazioni Unite - UNIDO - non esisteva ancora).

E’ stato così che il mio interesse verso la periferia è diventato sempre più inten-so. Nel 1968 ho deciso di trasferirmi in America Latina ed il mio trasferimento in Cile ha coinciso con la chiusura dell’HfG di Ulm, uno degli esperimenti più influenti nel campo dell’istruzione del disegno industria-le nella seconda metà del secolo scorso.

Ho poi avuto la possibilità di andare a Milano, che a quel tempo era già un luogo molto attraente per affrontare la progetta-zione, ma ho deciso di accettare una nuova offerta dall’OIL per tornare in Cile come designer in un progetto per lo sviluppo per le piccole e medie imprese.

Quando mi sono trovato a dover decide-re tra Milano ed il Cile, è stata la mia moglie argentina a farmi optare per l’avventura: non sapevo niente del Cile in quel momento e non parlavo nemmeno lo spagnolo, ma mi convinse facendomi notare come ormai in Europa tutto fosse già stato fatto nel campo del design, mentre fuori probabilmente avrei trovato nuove sfide.

Nel 1973 l’UNIDO ti commissionò di scrivere il rapporto “Sviluppo attraverso il Design”…-All’inizio degli anni ‘70, l’ICSID divenne sempre più interessata a ciò che stava accadendo nei Paesi in via di sviluppo - il termine ‘paesi periferici’ non era ancora stato coniato. Josine des Cressionieres, il belga segretario generale della ICSID a quel tempo, mi contattò per scrivere questo rapporto.

Avendo un termine di sei settimane - un termine molto breve, tenendo conto che inter-net non esisteva in quel momento - raccolsi qualsiasi materiale possibile, da India, Cuba, Cile, Brasile e Argentina e lo presentai come documento di lavoro per una riunione di esperti a Vienna, dove per la prima volta un’organiz-zazione internazionale affrontava con il mondo politico la tematica del Disegno Industriale per quei paesi ‘in via di sviluppo’. Questo progetto venne poi trasformato in un documento guida per la politica del design industriale di UNIDO.

Quali sono i tuoi ricordi più importanti delle esperienze di progettazione in Cile e Argentina?-Sebbene queste domande di carattere perso-nale non siano tra le mie preferite, sicuramente posso dire che il ricordo più brutto che ho del mio soggiorno in America Latina è legato all’11 settembre 1973, quando ci fu il colpo di Stato militare contro il governo democraticamente

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In principio la Hochschule di Ulm era un’isti-tuzione molo tedesca: ispirata alla resistenza e improntata dall’esperienza della storia della Germania, sorretta da una germanicissima combinazione di radicalismo, pensiero cate-gorico, idealismo, fantasia utopica, esoteri-smo e litigiosità. Non stupisce quindi che gli stranieri nei loro ricordi di Ulm pongano ogni volta in risalto questi caratteri tedeschi della Hfg. In linea di principio però la Hochschu-le era nata anche da un’enfatica istanza internazionale e divenne la prima istituzione internazionale e internazionalmente significa-tiva sul territorio della Repubblica Federale di Germania. E non solo perchè fin dall’inizio aveva costitutivamente integrato nella sua concezione e nel suo lavoro docenti ordinari e straordinari, relatori e studenti stranieri - che poi propagarono ovunque il “modello Ulm” -, bensì anche per un intenzionale internazionalismo dei concetti. Infatto la Hfg si riallacciò praticamente a quel che a partire dalla tradizione degli anni venti e soprattutto in architettura era divenuto lo stile internazio-nale della modernità. [...]

Questa ricerca di internazionalismo cul-minò nella speranza di trovare un linguaggio comune al di sopra di tutte le frontiere. Perchè solo l’abbattimento delle barriere linguistiche avrebbe potuto costituire al di là delle rispettive tradizioni e limitazioni una vera e propria comunità. [...] Se il linguaggio poteva superare i propri vincoli lessicali e

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fissarsi nella fonetica, nella semiotica e nella semantica, allora le barriere linguistiche dovute al lessico sarebbero state rapidamen-te oltrepassate e superate come questioni marginali. Inoltre, così, era possibile rinvenire (o pensare) un linguaggio segnico internazio-nale, al quale potevano partecpiare precisa-mente architetti e designer.

Accanto a queste nuove o riscoperte dissoluzioni da parte della linguistica degli aggiornamenti nazionali e assieme a esse fu soprattutto la poesia concentrata a cercare di far saltare anche i confini tra le letterature nazionali e di domostrate allo stesso tempo un’autentica internazionalità del parlare e del linguaggio. Vanno qui riportati soprattutto Bense e Gomringer, ma anche il gruppo brasiliano “Noigandres”, l’olandese Paul de Vree, qualche britannico come Finlay e Cobbing o i francesi Chopin e Heidsieck e l’americano Emmet Williams. Senza dubbio questi erano veramente dei movimenti inter-nazionali e di là da tutte le frontiere si diffuse una rete di comunicazione nell’uruguayana “ Los Huevos de la Plata”, che affiancò testi di poesia concreta di poeti europei a quelli dei sudamericani. La Hochschule partecipò a questo vasto movimento teso a superare le limitazioni nazionali, e ancor oggi appare, proprio in questo specchio di internazionalità, un luogo eminente ed esemplare. Per questo nel ricordo di Ulm resta sempre anche l’utopia di un vero internazionalismo.

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La questione dell’influenza esercitata dal “modello Ulm” sui Paesi periferici presuppone che si definiscano le caratteristiche principali di questo modello. Non può essere certo considerato un caso che la composizione del gruppo dei docenti e degli studenti della HfG fosse internazionalmente orientato. E allo stesso modi il programma della scuola aveva aspetti che andavano altre i limiti delle condizioni proprie della Germania Federale. Ciò non significa che la HfG pretendesse una validità universale. Essa era concepita nel

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Tu sei ben noto per i tuoi scritti e per le esperienze nei paesi in via di sviluppo soprattutto negli anni ‘70 e ‘80. Puoi de-scrivere il motivo per cui ti sei inizialmente interessato al ruolo del design nei paesi in via di sviluppo?-Ho studiato all’HfG di Ulm negli anni ‘50, dove abbiamo avuto un numero considerevo-le di studenti stranieri, soprattutto dall’Ame-rica Latina. Questo è stato il mio primo con-tatto con questo continente perché al tempo,

come molti europei, non sapevo nulla di storia o cultura dell’America Latina. Nel 1964 sono stato invitato in Argentina dal mio maestro, amico e mentore intellettuale Tomás Maldo-nado, che considero uno dei teorici di design più importanti del XX secolo. Sono arrivato a Buenos Aires, programmando di rimanerci per due settimane e alla fine il mio soggiorno si è prolungato invece per due mesi. Sono rimasto affascinato dal clima cosmopolita della città - una città in cui si poteva andare al cinema a qualsiasi ora del giorno o della notte.

Dialoghi:la visione periferica

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7. Le istituzioni hanno incontrato difficoltà di bilancio di fronte alla necessità di aggior-nare i dispositivi informatici;

8. L’iscrizione ai corsi di graphic design è cresciuta in modo esponenziale in contra-sto con il design industriale, che è sceso a causa della mancanza di domanda;

9. L’esperienza nel mondo della progetta-zione è indispensabile per l’insegnamento in questo campo ma purtoppo si trova solo su scala minore, e la mancanza di un rinnova-mento nel corpo docenti genera un’inerzia nel processo pedagogico che si trova a dover affrontare i principi della HfG;

12. La promozione nella carriera univer-sitaria (master, dottorato), se controllata in larga misura dall’esterno, corre il rischio di influenzare negativamente corsi, workshop, e il profilo stesso della formazione del disegno;

13. In questo contesto, il design è visto come un problema minore e subordinato alla produzione teorica;

14. Alcuni laureati riescono a raggiungere la pratica professionale, ma un buon numero

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di questi viene reinserito nella professione della formazione, il cui settore offre una maggiore domanda e garantisce una carriera personale, oltre che una stabilità economica;

15. Nella sola Argentina nel 1990 c’erano quasi sessanta istituti per la formazione di design.

Il design in America Latina oggi è radica-to molto più in ambito accademico che in quello industriale, dimostrando una mancanza di impatto sugli ambienti economici, sociali e culturali del continente. Una professione basata sull’innovazione, se rimane intrap-polata nei processi burocratici del mondo accademico o economico, rischia infatti di perdere tutta la sua dinamicità intrinseca. La storia descritto mostra la misura in cui una pedagogia del progetto dipende dai processi socio-economici di un paese.

La mia speranza è che con il disincanto della globalizzazione si possa aprire una rifles-sione sul modello di società che desideriamo, e che il design possa rivedere il suo compito e perseguire un progetto sociale più giusto.

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della HfG e il suo tentativo do contribuire a eliminarli. Essendo oggi l’industrializzaizione diffusa su scala planetaria – nonostante occa-sionali manifestazioni di disgustata intolle-ranza verso le industrie nella metropoli – non può stupire che il modello di Ulm eserciti una forte attrazione su quei Paesi periferici che dispongono di una sia pur minima o anche del tutto eterogenea base per una industria di tra-sformazione nelle sue molteplici forme, dalle minuscole aziende del settore informale, con le loro tecnologie di produzione spesso rudi-mentali, alle piccole medie aziende, sino alle grandi imprese. Questa attenzione si spiega non soltanto con il valore positivo attribuito al concetto di “industrializzazione”, nonostante tutte le critiche avanzate e motivate dalle impostazioni concettuali ecologiche, ma si spiega in base alle istituzioni scolastiche bisognose di una drastica riforma, soprattut-to a livello delle università. Spesso queste funzionano più come fabbriche di diplomi e altri titoli accademici che come istituzioni dinamiche pronte a occuparsi dei relai bisogni e a scandagliate le reali possibilità delle società da cui dipendono. Una delle conse-guenze della colonizzazione sta nel fatto che i piani di studio delle professioni tecnologiche, soprattutto di ingegneria, sono impostati in modo da formare dei semplici gestori di tecnologia importata anziché degli innovatori tecnologici. Né nei loro obiettivi, né nella loro organizzazione, né nei loro piano di studio,

contesto dei Paesi industrializzati e orientata in primo luogo sui loro bisogni e sulle loro possibilità. Il suo raggio d’ azione non era però limitato al numero relativamente piccolo dei Paesi industrializzati – il cosiddetto Cen-to o Metropoli -, bensì comprendeva anche quei Paesi che nell’industrializzazione vedono uno strumento per diminuire la loro dipen-denza tecnologica e produrre ricchezza eco-nomica e che aspirano quindi a una versione autonoma della cultura materiale, consona alla nostra epoca. La concezione del modello di Ulm partiva dal fatto che l’ambiente moder-no s’impronta in maniera decisiva all’indu-stria, soprattutto a quella di trasformazione, a quella delle comunicazioni e dell’edilizia, e che la preparazione scolastica tradizionale non è sufficiente per affrontare i problemi che questi modi di produzione pongono.

La HfG riempiva un vuoto che l’università tradizionale non aveva colmato e nemmeno avrebbe potuto colmare. Non si trattava più di condurre all’esterno l’arte in quanto fattore di civilizzazione verso l’undustria – il malinteso da cui era nata l’arte “applicata” - bensì di dispiegare le possibilità configura-tive immanenti all’industria stessa. Questa apertura verso l’industria vista come una manifestazione culturale non implicava però un approccio critico e assertivo. Anzi, erano precisamente i fenomeni di insufficienza funzionale, estetica e sociale propri della pro-duzione industriale a promuovere la reattività

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né nella didattica queste università coltivano quel genere di intelligenza tecnico-culturale che parte da una promessa imprescindibile, quella di creare una cultura materiali su basi moderne, cioè su basi industriali. Mentre da principio una politica di sostituzione delle impostazioni era considerata auspicabile dalle burocrazie della pianificazione, ben presto l’inadeguatezza di questo concetto di industrializzazione si rese evidente. Una industrializzazione seriamente intensa non si accontenta certo della semplice fabbri-cazione dei prodotti senza indagare quale ne sia la provenienza, ma deve includere anche la componente della progettazione. Perché senza l’innovazione in quanto fattore accelerante la dinamica industriale, i Paesi periferici non potranno mai andar oltre una passiva industrializzazione riflessa. In alcuni Paesi periferici il modello

In alcuni Paesi periferici il modello Ulm fu accolto già agli inizi degli anni Sessanta, come per esempio dalla Escola Superior de Desenho Industrial a Rio de Janeiro [..]. Per quanto riguarda l’indirizzo programmatico, l’attrezzatura, i piani di studio e la didattica ( l’apprendimento orientato sui problemi nei corsi di progettazione ), queste istituzioni si basano sulle esperienze della HfG. Espe-rienze che furono mediate sia attraverso il contatto diretto con docenti di Ulm sia attraverso i diplomati che perseguirono in queste sedi la loro attività di studio e infine

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e anche attraverso le pubblicazioni della HfG, in particolare la rivista di “Ulm”. [..] Nel modello Ulm si palesa l’inadeguatezza del concetto di efficienza proprio della fisica, concetto che predomina nella formazione tecnica. Nell’im-postazione e nella metodologia progettuale la teoria delle costruzioni e il design industriale sono su posizione diametralmente opposte e i tentativi di far procedere il design come appendice di un corso di studi per ingegneri non hanno dato risultati soddisfacenti.[..] Tanto la NID quanto l’IDC uniscono l’attività didattica alla consulenza per l’industria e le istituzioni pubbliche, come avveniva pro-grammaticamente anche nelle HfG. Questo particolare è importante per quei Paesi perife-rici in cui di regola esiste una spaccatura tra quel mondo insulare e peculiare che sono le università da una parte e la società/industria dall’altra. Inoltre le aziende sono costrette dalla loro debolezza finanziaria a rivolgersi a istituzioni pubbliche per ottenere, spesso a pagamento, delle prestazioni nel campo del design. Nei paesi periferici la promozione del design da parte dello Stato ha un’importanza sa non sottovalutare [..]. In America Latina il design è stato accolto come uno strumento di industrializzazione. A causa del forte influsso delle istituzioni governative sullo sviluppo industriale, il design fu promosso e introdotto in programmi di cooperazione tecnologica multilaterali e bilaterali, come per esempio alla fine degli anni Sessanta in Cile, soprat-

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L'urgenza di UtopiaIl programma ed i valori della HfG hanno se-gnato la nascita di un vero e proprio modello in America Latina, soprattutto in quei paesi dove la coscienza del design come fattore economico è stato più sviluppato, e dove i politici hanno mostrato sensibilità per l'impor-tanza del design nel processo di industria-lizzazione e commercializzazione. Un fattore importante è stato aver fatto capire agli acca-demici, ai lavoratori ed agli intellettuali come il cammino verso la realizzazione del progetto politico sia stato possibile solo attraverso un democratico socialismo, orientato cioè verso l'inclusione sociale e non - come il modello neoliberista - verso l'esclusione sociale.

Spesso in collaborazione con la CIA degli Stati Uniti, politici locali e militari conservatori hanno contrastato questo processo. Il risulta-to è stata l’esecuzione senza processo di un gran numero di latinoamericani che sognava la libertà, una vita con uguali diritti. Ha anche segnato la fine dello sviluppo industriale, così come un certo grado di autonomia eco-nomica. I governi seguenti hanno imposto politiche basate sulla privatizzazione delle imprese pubbliche, e la stipula di prestiti da organizzazioni finanziarie internazionali che non ha fatto altro che aumentare il debito e la miseria di questi paese. Il consumo di merci importate è stato incoraggiato, con la corri-spondente riduzione della produzione interna fino al punto di smantellamento della base

produttiva, mettendo a dura prova la bilancia dei pagamenti.

Questo processo, aumentato durante il 1990, ha causato un’esplosione demografica di istituti per la formazione di progettazione.

Oggi, istituzioni vecchie e nuove, pubbliche e private coesistono, con obiettivi diversi, reagiendo in maniera individuale agli effetti della globalizzazione:

1. La globalizzazione ha ridefinito il profilo del designer dell’America latina;

2. Il mercato, dominato da industrie private, è stato definito dagli interessi dei clienti (e non da più ampi interessi sociali);

3.La domanda di richiesta per la specializza-zione in corporate identity e in comunicazione, seguendo l’esempio delle grandi aziende multinazionali ha imposto nuovi standard nella presentazione del prodotto e della comunica-zione multimediale;

4.Branding, differenziazione dei prodotticorporate identity, concorrenza, efficienza, impatto, prestigio e potere sono gli argomenti che il design deve sostenere nell’ambito della globalizzazione;

5. Le istituzioni per la formazione di disegno nate nel 1960 hanno tentato di tenere il pas-so con i nuovi sviluppi, ma hanno incontrato non poche difficoltà nel gestire le imposizioni della nuova domanda;

6.Queste istituzioni promuovono, in gene-rale, la ricerca scolastica che porta ad una teoria separata dalla pratica di progettazione;

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che hanno a che fare con il design dell’am-biente umano ad adottare un atteggiamento obiettivo, che non necessariamente soffochi la creatività, ma che la regolarizzi. Ciò che è necessario è una maggiore conoscenza scientifica della nostra società e un maggiore coinvolgimento all'interno delle sue realtà,

Nel 1974, Gui Bonsiepe viene designato coordinatore del Settore Sviluppo Prodot-to, all’interno del quale vengono progettati in quel periodo importanti attrezzature per lo sviluppo nazionale. Il lavoro terminerà bruscamente due anni dopo con il colpo di stato militare.

Nel corso gli anni ‘50 e ‘60 nascono altri cinque istituti di design oltre al CIDI: tre a livello universitario (in provincia di Cuyo, Lito-ral, e La Plata), il Pan-American School of Art

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(1955), orientato verso la pubblicità e l’Istituto Torcuato Di Tella (1958).

Nel 1958 nasce il Dipartimento di Design e Decorazione presso l’Università di Cuyo (Provincia di Mendoza), con un profilo iniziale molto simile a quello del Bauhaus e che, sotto un nuovo direttore, nel 1962 prenderà forti influenze dalla scuola di Ulm e dal Royal College of Art.

Il Dipartimento di Design presso l’Università Nazionale di La Plata (provincia di Buenos Aires) nel 1961 inaugura il suo primo corso di design. Roberto Rollie, membro del diparti-mento, scriveva: «L’importanza del modello ultimano per me e i miei colleghi è evidente, ed include tutte le posizioni critiche, che, par-tendo dal punto di vista di Tomas Maldonado, sono state dirette nei confronti del Bauhaus».

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tutto durante il governo di Salvator Allende, quando si tentò di affrancare il design dalla sua associazione con sofisticati e costosi prodotti di lusso destinati al cinque percento economicamente privilegiato della popo-lazione e di e di estenderlo nell’ambito dei beni di investimento (G. Bonsiepe). Queste esperienze improntate al programma di Ulm servirono nel 1973 come base per la formu-lazione di una carta del lavoro della UNIDO (United Nations Industrial Development Organization) – probabilmente la prima volta che un’organizzazione internazionale definiva con precisione il ruolo del design industriale nei Paesi periferici. Tutto ciò sarebbe stato difficilmente realizzabile senza l’esempio di Ulm, dove per la prima volta il design venne concepito come un’attività tecnologica – un’attività quindi da esercitare nel quadro di un atteggiamento razionale di fondo. [..] Nei Paesi periferici si è dimostrato efficace proprio quel razionalismo del design della HfG, che oggi le coorti del post moderno e del radical design, perseguitano quasi fosse la bestia nera o liquidano con gesti di stanchezza pigri e indolenti come un fatto ormai superato. Il razionalismo di Ulm mette fine a una romanticizzazione della povertà e all’idealizzazione della “appropriate tecnologi”, impedendo quell’atteggiamento paternalistico che è l’”assistenzialismo”. In definitiva i problemi del design nei Paesi periferici posso essere risolti solo nei Paesi

periferici stessi. Il design “per” il terzo mondo è ideologia pura. Uno sguardo all’offerta dei programmi di design nella metropoli rivela la persistente rilevanza del modello Ulm: finora, a dispetto dei solerti becchini del razionalismo di Ulm, non si è offerta alcuna alternativa praticabile che i paesi periferici possano prendere come punto di riferimento, per una propria cultura di produzione.[..]

La morfologia elaborata a Ulm non appare certo uno dei risultati della HfG, con la sua ampia offerta di discipline teoriche per avviare lo studente alla riflessione critica, è servito più volte come punto di riferimento per i program-mi di studio nei Paesi periferici; per esempio in occasione del primo corso di specializza-zione per lo sviluppo del prodotto industriale tenuto alla Universidad Autonoma Metropoli-tana, Azcapotzalco, Messico. [..] Manca anco-ra una documentazione della “diaspora” della HfG di Ulm. La presenza del modello di Ulm e l’irradiarsi delle sue esperienze possono però essere considerati di un’importanza tele da costituire un capitolo di una futura storia del design nella periferia.

Trasparenza cromatica e principi d’ordinam

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La connessione argentinaLa forte influenza di Tomas Maldonado nel contesto locale è iniziata prima del suo perio-do ultimano: dal 1940 con la pubblicazione di riviste come Arturo (1944) e Nueva Vision (1951), con la sua attività nel gruppo Arte Concreto-Invencion (1946), con la pubblica-zione del primo articolo sul design industriale in Argentina sulla rivista cea2 (1949 ), e attraverso la sua attività didattica, mobilitan-do e stabilendo un nuovo discorso tra arte ed architettura.

Durante il suo primo viaggio in Europa, nel 1948, stabilisce i primi contatti con i rappre-sentanti dell’arte concreta, dell’architettura moderna e del design e intervisterà perso-naggi come George Vantongerloo, Henry van de Velde, Max Bill, Max Huber, e Friedrich Vordemberge-Gildewart.

Il contesto politico-economico in Argentina era al tempo maturo per questo tipo di in-fluenze e infatti, sotto la presidenza di Arturo Frondizi (1958-1962), viene promosso in quell’occasione un piano sistematico per l’industria argentina.

Nel 1962, un gruppo di rappresentanti provenienti dall’Argentina visitano la HfG di Ulm. Tra questi Blas Gonzalez (Direttore Nazionale della Cultura), Jorge Romero Brest (Direttore del Museo di Belle Arti), Ignacio Pirovano (industriale e membro del Comitato Nazionale della Scienza e della Tecnologia), e Amancio Williams (membro dell’Accademia

di Belle Arti). Il piano di governo del 1962 include la creazione del Centro per la Ricerca del Disegno Industriale (CIDI) presso l’Istituto Nazionale di Tecnologia Industriale (INTI), con l’obiettivo di stabilire relazioni tra industria e design, e svolgere ricerca e sviluppo. Il primo responsabile del CIDI è Basilio Uribe, un ingegnere, che organizzerà seminari, mostre, premi di design, e inviti a personaggi interna-zionali. Nel 1966, Gui Bonsiepe, come con-sulente per le Nazioni Unite, tiene un corso di packaging design; Uribe proporrà a Bonsiepe di tenere un corso più esteso per l’insegna-mento del design industriale, ma questo non verrà mai attuato.

Nel 1968 viene patrocinato dall’UNE-SCO un Seminario di formazione in disegno industriale a Buenos Aires, in cui intervengo-no Tomas Maldonado (ICSID Presidente), Misha Black (UK), Arthur Pulos (USA), Roger Tallon (Francia), Iimari Tapiovara (Finlandia), Josine des Cressonnières (Belgio), Alexandre Wollner (Brasile), Teresa Gianella Estrems (Perù), e Basilio Uribe (Argentina). Queste le conclusioni del seminario:

Se nella nostra realtà industriale i processi di fabbricazione artigianale fanno parte di un struttura industriale con metodi artigianali, ciò non significa che il nostro atteggiamento verso la progettazione dovrà essere meno responsabile nei confronti del pubblico a cui sono destinati gli oggetti stessi.

Per di più, questo deve spingere tutti coloro

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Testimonianze1950 Il Museo d’Arte Moderna di San

Paolo (MASP) offre un corso introduttivo di livello artigianale e di introduzione alle arti presso l’Institute of Contemporary Art (ICA). Il regista, Pietro Maria Bardi, ritiene assurdo che la più grande città industriale dell’Ameri-ca Latina sia ancora totalmente indifferente alla forma dei suoi prodotti industrializzati. A questo primo corso partecipano studenti come Alexandre Wollner, Antonio Maluf, Mauricio Lima Nogueira, e Emilie Chamie, che hanno fatto parte del Movimento Arte Concreta e che in seguito diventeranno pionieri del design in Brasile.

1951 Lina Bo e Pietro M. Bardi comincia-no a portare un certo numero di personaggi conosciuti in Brasile, tra i quali Max Bill. Pro-prio in questo anno, poco prima della Prima Mostra d’Arte Biennale di San Paolo durante la quale a Bill viene assegnato il premio internazionale, il MASP organizza una mostra retrospettiva sul suo lavoro.

1953 In occasione della Seconda Bien-nale Max Bill torna di nuovo in Brasile, su invito del governo brasiliano, per tenere una conferenza a Rio de Janeiro e Sao Paulo, e in quella sede parla della creazione di una nuova scuola di design a Ulm.

1956 Niomar Moniz Sodre Bittencourt, di-rettore esecutivo del Museo d’Arte Moderna (MAM) di Rio de Janeiro, incontra Max Bill e Tomas Maldonado in Europa per sviluppare

un’idea per una scuola di design (Escola Tecnica da criaçao). Maldonado formula lo schema in base alla sua esperienza ad Ulm.

1959 Maldonado e Aicher tengono i primi corsi al MAM, altri sono tenuti da Aloisio Magalhaes e Alexandre Wollner.

1961 L’Università di San Paolo offre il primo corso in comunicazione visiva e design industriale. Viene presentato un nuovo pro-gramma politico a sostegno di uno sviluppo nazionale per l’industrializzazione che, grazie al sostegno di artisti e architetti locali ed ulmiani, permette la creazione del Collegio di Disegno Industriale di Rio de Janeiro, che diviene un modello per tutto il sudamerica.

1962 Nasce ufficialmente l’ESDI, con un programma prevalentemente tecnico-scientifico: diviene il punto di riferimento per molte altre scuole di design che nasceranno successivamente in Brasile.

1981 Il Consiglio Nazionale della Ricer-ca Scientifica e Tecnologica (CNPq) avvia un ampio programma di industrializzazione che coinvolge esplicitamente i disegnatori industriali, che mai prima avevano avuto ac-cesso ai circoli politici dominati da ingegneri, economisti e altri scienziati. Gui Bonsiepe, che in quel periodo vive in l’Argentina, viene invitato a parteciparvi e si trasferisce in Brasi-le, creando nel 1983 un istituto di design con l’obiettivo di formare risorse umane a livello locale, in particolare insegnanti di design per le università.

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Durante gli anni ‘60 e ‘70, l’economia dei pa-esi dell’America latina, paesi socialisti, liberali e conservatori in generale, viene reindirizzata verso una nuova politica di sviluppo industria-le. La disciplina del design industriale viene inserita all’interno di questo programma di sviluppo e si vengono così a creare i primi istituti per l’istruzione del design in America Latina. Questa riforma però non verrà mai stata completata del tutto e così, dal 1980 in poi, l’America Latina viene trascinata in una politica estera di debiti che genererà negli anni una nuova forma di dipendenza.

Laprofonda crisi economica che colpisce questi paesi del Sud America apre uno spazio di riflessione critica, che darà vita anche ad un dibattito sul ruolo del design stesso. La Hochschule für Gestaltung (HfG) viene quindi presa come punto di riferimento all’interno di questa questa discussione, influenzando in maniera significativa sulla propagazione di corsi di formazione di dise-gno e progettazione in America Latina.

Ma quali sono state le condizioni che hanno reso possibile questa influenza?1. Il cambiamento delle condizioni di com-mercio estero costringe alcuni paesi ad aprire una riflessione sull’industrializzazione. (l’Argentina subisce un blocco commerciale da parte della Comunità europea).2. I governi, come risposta al dilemma di sviluppo-sottosviluppo, danno vita a nuove politiche di sviluppo industriale che, all’interno di campi quali la gestione delle risorse umane, includono anche il design come professione.3. Le avanguardie artistiche locali iniziano nei primi anni ‘50 ad abbandonare la concezione tradizionale dell’arte estendendo la loro attivi-tà alla progettazione.4. Molti studenti latino-americani e alcuni personaggi che hanno vissuto l’esperienza ulmiana tornano al loro paese d’origine con nuove teorie .5. Membri della HfG stabiliscono negli anni contatti, viaggi, e partecipano a programmi di sviluppo della professione del design nei Paesi dell’America Latina.

L’influenza della scuola di Ulm è dovuta al fatto che innanzitutto questa istituzione è stata l’unica che ha offerto nel contesto sudamericano risposte concrete al problema dell’industrializzazione di questi paesi; in se-condo luogo la HfG ha sostenuto fin da subi-to l’inserimento delle attività di progettazione all’interno del processo di industrializzazione, allontanando tutte le speculazioni artistiche e

Le origini del Design Education in America Latina: dalla Hfg alla globalizzazione

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decorative possibili. Lucila Fernandez, in La modernità e postmodernità a Cuba, porta avanti una riflessione sull’influenza dei docen-ti ulmiani in America Latina.

«Ci si trovava nel bel mezzo della crisi del movimento moderno, verso la fine del 1960, quando l’immagine del design è stata espor-tata intensamente dei paesi periferici e non industrializzati. L’ideale romantico dell’Europa del diciannovesimo secolo lasciò l’Europa e la speranza cominciò a nascere in altri spazi all’estero. L’idea di esportazione di questa visione non è adatta però al caso della HFG, e ancor meno lo è l’aggettivo “romantico”. Max Bill, Otl Aicher, Tomas Maldonado, Gui Bonsiepe, Claude Schnaidt, e altri insegnanti e studenti ulmiani sono stati i veri propa-gatori della base della scuola in America Latina, sotto l’espressa volontà delle autorità locali: essi motivarono altri colleghi europei a raggiungere e conoscere l’America Latina. Non fu un caso di imposizione di un modello perché da quel momento la scuola di design cominciò ad essere intesa come un vero e proprio strumento di emancipazione. Brasile, Argentina, Cile, Messico, Cuba, Colombia, Venezuela e Perù iniziarono così a progettare l’educazione nel corsi degli anni ‘60, con un notevole approccio di stampo ultimano.»

Questa realtà, poco conosciuta altrove, ha portato Yves Zimmerman a sostenere questa tesi nel suo prologo Per quanto riguarda Otl Aicher per El Mundo como Proyecto:

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«Così come ci sono numerose pubblicazioni riguardo all’esperienza del Bauhaus, mancano invece completamente testi o testimonianze riguardo all’esperienza della HfG in lingua spagnola. Ciò è dovuto, senza dubbio, al fatto che non c’è mai stato alcun dibattito sulle proposte pedagogiche innovative per la progettazione che questa scuola ha offerto ai paesi ispanici del sudamerica.».

La HfG si presentava in quegli anni come un’istituzione di forte carattere libero, autocritico ed intransigente sulle questioni programmatiche, la sua strategia trasparente ed educativa più di una volta aveva spinto oltre i limiti nel campo della definizione del progetto, ed è sempre rimasta immune dai compromessi, portando avanti forti convinzio-ni ed obiettivi che andavano oltre la semplice formazione accademica: ai propri partecipanti veniva infatti chiesto un forte atteggiamento critico verso la realtà. Questi caratteristiche spesso hanno generato differenze inconcilia-bili come conseguenza della loro dialettica, ma hanno portato tuttavia un’innovazione che ha permesso la definizione di un progetto educativo all’avanguardia non solo in America Latina, ma anche su preesistenti realtà di tutto il mondo. “Durante gli anni ‘50 e ‘60, tutte le scuole sono state influenzato da Ulm.”