Ue-Giappone 1 effetto tsunami sugli scambi - eastwest.eu · so un accordo di libero scambio tra Ue...

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delle vittime è alto. Il motivo è da ricercare nel- le reciproche incomprensioni e diffidenze. . «Il Giappone e l’Europa hanno una lunga sto- ria di dispute commerciali non risolte», am- mette un alto funzionario della Commissione europea. . di Francesco Guarascio 34 . east . europe and asia strategies numero 37 . luglio 2011 . 35 Ue-Giappone : effetto tsunami sugli scambi Il disastro giapponese di marzo è stato un vero e proprio terremoto anche per le letargiche rela- zioni commerciali tra Europa e Giappone, che sembrano ora lentamente dirigersi verso una com- pleta liberalizzazione degli scambi. . Ma, come per ogni sisma, il rischio di lasciarsi dietro GIAPPONE . 1 L e televisioni della Sony, le macchine fotografiche Ca- non e le auto Toyota sono onnipresenti nei mercati europei, così come i giapponesi vanno matti per i prodotti di lusso italiani, i macchinari tedeschi e la ga- stronomia francese. Ma questo non deve trarre in ingan- no: gli scambi tra Unione Europea e Giappone sono infat- ti ben al di sotto del loro enorme potenziale e nell’ultimo decennio hanno anzi conosciuto un sostanziale declino. Il Giappone è la terza più grande economia del mondo e uno dei maggiori attori commerciali su scala globale. Nel 2009 ha esportato merci e servizi per un valore di quasi sé Manuel Barroso. «Per esempio, esporti un’automobi- le a costi competitivi, ma poi l’autorità che controlla il traffico stradale non rilascia il permesso di circolazione perché il freno, o semplicemente la forma del finestrino, non sono in linea con minuziose direttive sulla sicurez- za», aggiunge il portavoce. Sono le cosiddette barriere non tariffarie, per le quali i giapponesi hanno sviluppato negli anni una grande perizia e creatività. Molti casi pen- dono all’Omc contro misure adottate dalle autorità nip- poniche in difesa della proprietà intellettuale o per la tu- tela dei consumatori, che però spesso nascondono inten- ti esclusivamente protezionistici. Un caso famoso riguar- da le limitazioni all’ import di carne suina per preoccupa- zioni in tema di sicurezza alimentare: il problema è che la carne di maiale è il principale prodotto di esportazio- ne europea in Giappone. C’è da dire, comunque, che in questo campo le autori- tà europee non mancano di ingegnosità e si trovano an- che loro a far fronte a svariati reclami. «Sia il Giappone che l’Europa hanno barriere non tariffarie, ma il Giappo- ne è più aperto dell’Unione Europea per quanto riguarda i dazi doganali», commenta il portavoce del ministero de- gli Esteri giapponese, Satoru Sato. e in materia di barriere tariffarie si può dire che la partita sia aperta, nel settore degli investimen- ti stranieri i giapponesi non hanno invece rivali. «Il Giappone è, tra i Paesi più industrializzati del mondo, quello che conta di gran lunga il più basso tasso di inve- stimenti stranieri», spiega un alto funzionario della Com- missione europea. Gli investimenti stranieri nel Paese del Sol Levante ammontano infatti a meno del 3% del Pil nip- ponico, mentre nell’Unione Europea rappresentano il 30% del Pil aggregato dei Paesi membri. In parole pove- re, mentre le aziende giapponesi, americane o arabe han- no vita relativamente facile nell’acquisire gruppi euro- pei, lo shopping delle imprese europee in Giappone ri- sulta invece un’operazione più che ostica. E infatti gli in- vestimenti Ue nell’arcipelago asiatico sono passati da un valore di oltre 5,5 miliardi di euro nel 2007 a un saldo ne- gativo di oltre 4 miliardi nel 2010. L’Europa in sostanza si sta ritirando dal mercato giapponese. Questo meccanismo protezionistico è particolarmente sviluppato per gli appalti pubblici: risulta infatti quasi impossibile a un’azienda europea partecipare a una gara giapponese per una commessa di qualunque genere. Si 400 miliardi di euro, pari ad oltre il 6% dell’intero export mondiale. Per aver un termine di paragone, 400 miliardi di euro rappresentano circa un terzo dell’intero Prodotto interno lordo italiano. Di questa enorme torta soltanto una piccola fetta giunge in Europa, per un valore di circa 65 miliardi di euro, pari ad appena il 4,3% delle importa- zioni complessive Ue, secondo i dati della Commissione europea. Un volume ancor più ridotto di prodotti europei arriva in Giappone. Degli oltre 380 miliardi di euro spesi da To- kyo per l’import, soltanto 44 vanno nelle tasche di im- prenditori europei. Di conseguenza il Giappone è soltan- to il sesto partner commerciale dell’Ue, dopo Stati Uniti, Cina, Russia, Svizzera e Turchia. E rischia di perder pre- sto posizioni di fronte alla crescita impetuosa degli scam- bi con potenze emergenti come India, Corea del Sud e Brasile. In luogo di un fiume impetuoso scorre un timido torrente. E il flusso anzi si riduce visto che l’ export nip- ponico verso l’Europa è calato del 30% nell’ultimo decen- nio, secondo le rilevazioni di Eurostat, l’ufficio statistico dell’Ue. Il motivo è da ricercare nelle reciproche incomprensio- ni e diffidenze. «Il Giappone e l’Europa hanno una lunga storia di dispute commerciali non risolte», ammette un alto funzionario della Commissione europea. Tra i due blocchi il più chiuso è senza dubbio il Giappone, come dimostra la bilancia commerciale bilaterale, che è strut- turalmente in rosso per l’Europa, con un deficit di svaria- ti miliardi di euro. Nonostante il Giappone sia un mem- bro dell’Organizzazione mondiale per il commercio (Omc) dal 1995 e si sia di conseguenza impegnato allo smantellamento progressivo dei dazi sull’import, resta ancora una roccaforte, estremamente ben protetta, con- tro lo sbarco di operatori stranieri, siano essi esportatori o anche investitori. «I giapponesi giocano su due livelli. È vero che non ci sono molte barriere per accedere, ma poi subentrano complicazioni burocratiche di vario genere che bloccano tutto», spiega Michael Karnitschnig, portavoce per gli Af- fari esteri del presidente della Commissione europea Jo- L Il primo ministro giapponese Naoto Kan, il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy e il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso durante la conferenza stampa del 20° summit Europa-Giappone a Bruxelles nel maggio scorso. S Afp / Getty Images / J. Thys

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delle vittime è alto. Il motivo è da ricercare nel-

le reciproche incomprensioni e diffidenze. .«Il Giappone e l’Europa hanno una lunga sto-

ria di dispute commerciali non risolte», am-

mette un alto funzionario della Commissione

europea. . di Francesco Guarascio

34 . east . europe and asia strategies numero 37 . luglio 2011 . 35

Ue-Giappone:effetto tsunami sugli scambiIl disastro giapponese di marzo è stato un vero e proprio terremoto anche per le letargiche rela-

zioni commerciali tra Europa e Giappone, che sembrano ora lentamente dirigersi verso una com-

pleta liberalizzazione degli scambi. . Ma, come per ogni sisma, il rischio di lasciarsi dietro

GIAPPONE . 1

Le televisioni della Sony, le macchine fotografiche Ca-non e le auto Toyota sono onnipresenti nei mercatieuropei, così come i giapponesi vanno matti per i

prodotti di lusso italiani, i macchinari tedeschi e la ga-stronomia francese. Ma questo non deve trarre in ingan-no: gli scambi tra Unione Europea e Giappone sono infat-ti ben al di sotto del loro enorme potenziale e nell’ultimodecennio hanno anzi conosciuto un sostanziale declino.Il Giappone è la terza più grande economia del mondo euno dei maggiori attori commerciali su scala globale. Nel2009 ha esportato merci e servizi per un valore di quasi

sé Manuel Barroso. «Per esempio, esporti un’automobi-le a costi competitivi, ma poi l’autorità che controlla iltraffico stradale non rilascia il permesso di circolazioneperché il freno, o semplicemente la forma del finestrino,non sono in linea con minuziose direttive sulla sicurez-za», aggiunge il portavoce. Sono le cosiddette barrierenon tariffarie, per le quali i giapponesi hanno sviluppatonegli anni una grande perizia e creatività. Molti casi pen-dono all’Omc contro misure adottate dalle autorità nip-poniche in difesa della proprietà intellettuale o per la tu-tela dei consumatori, che però spesso nascondono inten-ti esclusivamente protezionistici. Un caso famoso riguar-da le limitazioni all’import di carne suina per preoccupa-zioni in tema di sicurezza alimentare: il problema è chela carne di maiale è il principale prodotto di esportazio-ne europea in Giappone.

C’è da dire, comunque, che in questo campo le autori-tà europee non mancano di ingegnosità e si trovano an-che loro a far fronte a svariati reclami. «Sia il Giapponeche l’Europa hanno barriere non tariffarie, ma il Giappo-ne è più aperto dell’Unione Europea per quanto riguardai dazi doganali», commenta il portavoce del ministero de-gli Esteri giapponese, Satoru Sato.

e in materia di barriere tariffarie si può dire chela partita sia aperta, nel settore degli investimen-ti stranieri i giapponesi non hanno invece rivali.

«Il Giappone è, tra i Paesi più industrializzati del mondo,quello che conta di gran lunga il più basso tasso di inve-stimenti stranieri», spiega un alto funzionario della Com-missione europea. Gli investimenti stranieri nel Paese delSol Levante ammontano infatti a meno del 3% del Pil nip-ponico, mentre nell’Unione Europea rappresentano il30% del Pil aggregato dei Paesi membri. In parole pove-re, mentre le aziende giapponesi, americane o arabe han-no vita relativamente facile nell’acquisire gruppi euro-pei, lo shopping delle imprese europee in Giappone ri-sulta invece un’operazione più che ostica. E infatti gli in-vestimenti Ue nell’arcipelago asiatico sono passati da unvalore di oltre 5,5 miliardi di euro nel 2007 a un saldo ne-gativo di oltre 4 miliardi nel 2010. L’Europa in sostanzasi sta ritirando dal mercato giapponese.

Questo meccanismo protezionistico è particolarmentesviluppato per gli appalti pubblici: risulta infatti quasiimpossibile a un’azienda europea partecipare a una garagiapponese per una commessa di qualunque genere. Si

400 miliardi di euro, pari ad oltre il 6% dell’intero exportmondiale. Per aver un termine di paragone, 400 miliardidi euro rappresentano circa un terzo dell’intero Prodottointerno lordo italiano. Di questa enorme torta soltantouna piccola fetta giunge in Europa, per un valore di circa65 miliardi di euro, pari ad appena il 4,3% delle importa-zioni complessive Ue, secondo i dati della Commissioneeuropea.

Un volume ancor più ridotto di prodotti europei arrivain Giappone. Degli oltre 380 miliardi di euro spesi da To-kyo per l’import, soltanto 44 vanno nelle tasche di im-prenditori europei. Di conseguenza il Giappone è soltan-to il sesto partner commerciale dell’Ue, dopo Stati Uniti,Cina, Russia, Svizzera e Turchia. E rischia di perder pre-sto posizioni di fronte alla crescita impetuosa degli scam-bi con potenze emergenti come India, Corea del Sud eBrasile. In luogo di un fiume impetuoso scorre un timidotorrente. E il flusso anzi si riduce visto che l’export nip-ponico verso l’Europa è calato del 30% nell’ultimo decen-nio, secondo le rilevazioni di Eurostat, l’ufficio statisticodell’Ue.

Il motivo è da ricercare nelle reciproche incomprensio-ni e diffidenze. «Il Giappone e l’Europa hanno una lungastoria di dispute commerciali non risolte», ammette unalto funzionario della Commissione europea. Tra i dueblocchi il più chiuso è senza dubbio il Giappone, comedimostra la bilancia commerciale bilaterale, che è strut-turalmente in rosso per l’Europa, con un deficit di svaria-ti miliardi di euro. Nonostante il Giappone sia un mem-bro dell’Organizzazione mondiale per il commercio(Omc) dal 1995 e si sia di conseguenza impegnato allosmantellamento progressivo dei dazi sull’import, restaancora una roccaforte, estremamente ben protetta, con-tro lo sbarco di operatori stranieri, siano essi esportatorio anche investitori.

«I giapponesi giocano su due livelli. È vero che non cisono molte barriere per accedere, ma poi subentranocomplicazioni burocratiche di vario genere che bloccanotutto», spiega Michael Karnitschnig, portavoce per gli Af-fari esteri del presidente della Commissione europea Jo-

L

Il primo ministro giapponese Naoto Kan,

il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy

e il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso

durante la conferenza stampa

del 20° summit Europa-Giappone a Bruxelles nel maggio scorso.

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mentato il presidente del Consiglio europeo, Herman VanRompuy, al termine del vertice.

La tragedia giapponese ha certamente favorito unosmussamento delle posizioni più rigide. Mai come inquesto momento Tokyo ha bisogno di dare una scossa aun’economia tornata in recessione. Anche se un accordoè ancora ben lontano dall’essere firmato, l’effetto annun-cio è fondamentale per instillare una rinnovata fiducia inun Paese piegato da uno dei terremoti più forti mai regi-strati e allo stesso tempo dalla peggiore catastrofe nuclea-re dopo Chernobyl.

interesse per l’accordo precede tra l’altro la scia-gura di marzo. Da ben prima le autorità giappo-nesi avevano avviato una decisa campagna di av-

vicinamento all’Ue, spinti dalla necessità impellente direcuperare il distacco con i rivali coreani. La Corea è in-fatti riuscita a strappare nel corso del 2010 il più ambizio-so patto commerciale mai siglato dall’Ue, che permette-rà a prodotti coreani, dai cellulari Samsung alle autoHyundai, di accedere duty free al mercato europeo. Per ilGiappone il patto Ue-Corea rappresenta un grave colpo,visto che l’industria coreana è una diretta concorrente diquella giapponese in diversi settori di punta, inclusi au-tomobili e prodotti elettronici.

Se le motivazioni giapponesi sono quindi piuttosto ov-vie, non si può dire lo stesso di quelle europee. Persino ilcommissario Ue al Commercio, Karel De Gucht, noto perposizioni apertamente liberiste, ha mostrato cautela sulnegoziato con i giapponesi. «Non c’è nessun termine. Inegoziati prenderanno il tempo che sarà necessario», hadetto il suo portavoce John Clancy.

Molti Stati, Italia compresa, sono titubanti. Certo, unaccesso facilitato al mercato giapponese sarebbe unagrande conquista. L’Italia esporta soprattutto accessori dilusso, che però sono destinati a una clientela ristretta acausa dei prezzi resi proibitivi dai dazi nipponici. Non acaso, quando arrivano in Europa, i turisti giapponesi fan-no incetta di beni di lusso che, seppur costosi, sono digran lunga più economici che a Tokyo o a Osaka. Senzadazi il potenziale di crescita dell’export made in Italy èenorme. Allo stesso tempo, però, un flusso rafforzato diprodotti giapponesi verso l’Europa potrebbe mettere inginocchio alcune industrie nostrane, quella automobili-stica in testa. «Siamo lieti che l’Unione Europea manten-ga una linea cauta su un eventuale accordo di libero scam-

bio con il Gippone», ha commentato l’Associazione eu-ropea dei produttori di autoveicoli, Acea, immediata-mente dopo la conclusione del vertice Ue-Giappone dimaggio. L’Italia ha già subito il duro colpo dell’accordocon la Corea, che favorirà l’accesso in Europa di auto inprevalenza del segmento medio-basso, in diretta concor-renza con la Fiat. Se anche i giapponesi riuscissero ad ab-battere i prezzi di vendita, molte fabbriche in Europa ri-schierebbero la chiusura o, nella migliore delle ipotesi,la delocalizzazione della produzione. Le conseguenzesull’impiego in Europa si farebbero sentire.

“I tre disastri / Le tempeste diventano un mite vento /Un nuovo vento di umanità”: con questo auspicio in for-ma di haiku (componimento poetico tradizionale giap-ponese) Van Rompuy ha salutato la conclusione dei lavo-ri del vertice nippo-europeo. Per il Vecchio continentel’auspicio è che il vento resti di umanità e non muti in di-vino, che in giapponese si traduce con kamikaze. .

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nici. Per un periodo imprecisato, che potrebbe durare trai sei e i dodici mesi, esperti europei e giapponesi cerche-ranno di stabilire i contorni di un eventuale accordo di li-bero scambio, portando avanti quello che in inglese èchiamato scoping exercise.

Gli europei dicono di voler arrivare fino a una libera-lizzazione completa del commercio bilaterale, abbatten-do interamente le tariffe doganali, mentre i giapponesi so-no da sempre stati molto più cauti.

Al termine di questa fase iniziale Tokyo e Bruxelles po-trebbero lanciare dei negoziati formali, un contesto nelquale le parti cercheranno di limare i contrasti esistentie di modificare reciprocamente le norme che impedisco-no un libero flusso di merci e servizi. Ad accordo raggiun-to, comincerebbe una lunga fase di ratifica.

«Abbiamo fatto un importante passo avanti nelle no-stre relazioni commerciali. Ci stiamo incamminando ver-so un accordo di libero scambio tra Ue e Giappone. Il per-corso è ancora lungo, ma l’obiettivo è ora chiaro», ha com-

stima che, prima del terremoto, il mercato giapponese de-gli appalti valesse oltre 700 miliardi di euro ed è più cheprobabile che le attività di ricostruzione gonfino ulterior-mente la spesa pubblica. Una torta che fa ovviamente go-la alle aziende europee, soprattutto nei settori dove sonopiù competitive, come i trasporti, le apparecchiature me-diche o le tecnologie verdi.

Tutte queste recriminazioni europee, dalle barriere nontariffarie agli appalti inaccessibili, sembrano ora per laprima volta in diversi anni oggetto di un serio tentativodi soluzione. Durante il 20° vertice bilaterale tra le duepotenze, svoltosi a Bruxelles a fine maggio, i leader deidue blocchi hanno infatti concordato un ambizioso ruo-lino di marcia, che potrebbe sfociare nel lungo termine inun accordo di libero scambio. Tra i punti sui quali è emer-sa un’intesa c’è il comune intento di eliminare i colli dibottiglia che ostacolano il flusso degli scambi. Il premiergiapponese Naoto Kan si è impegnato personalmente adapportare le modifiche legali e amministrative necessa-rie ad abolire barriere non tariffarie e altri stratagemmiprotezionisti.

Dopo il via libera politico, adesso la palla passa ai tec-

Il primo ministro giapponese Naoto Kan. Una giovane donna in kimono

esce dal negozio di Gucci.

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