Uberto da Bobbio, un giurista tra città e scuole nell’Italia padana del Duecento. Una prima messa...

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Uberto da Bobbio, un giurista tra città e scuole nell’Italia padana del Duecento. Una prima messa a punto per un profilo biografico Simone Bordini A dispetto di ogni netto distinguo tra organismi istituzionali e individui in carne e ossa, la ricostruzio- ne della vicenda dell’istituzione universitaria medievale si risolve spesso nella messa a fuoco di singole bio- grafie di docenti. Ciò vale in massimo grado per le scuole cosiddette minori 1 , che riuscirebbero inaffer- rabili se prescindessimo dai profili dei doctores legum, i quali ostentavano in ogni caso forza contrattua- le propria delle istituzioni. Penso nello specifico a quelle realtà mediopadane che in questa sede andre- mo a cogliere da un osservatorio ravvicinato: Reggio Emilia, Parma e Modena. In queste tre comunità urbane a porsi come elementi di riferimento per l’insegnamento giuridico non furono, per l’appunto, gli Studia o le universitates in senso proprio, bensì le scholae 2 , presso le quali giovani discenti e maestri vive- vano in simbiotico rapporto formativo e affettivo 3 , stretti da un vincolo contrattuale di natura privata non dissimile da quello artigiano di apprendistato, studiato in profondità in special modo per il caso bo- lognese 4 . Il punto è che queste comitivae modenesi, reggiane e parmensi, formate dai docenti e dai loro rispettivi allievi, non si evolsero mai verso le forme di associazionismo con base e vertice studentesco, ri- conosciute come l’originale marchio di fabbrica dello Studio di Bologna 5 . In questo mancato sviluppo consisterebbe la nota dominante delle scuole minori 6 . Da rimarcare che l’inesistenza di un corpo stu- 1 Cfr. ENNIO CORTESE, Il diritto nella storia medievale, II, Il Basso Medioevo, Roma, Il cigno Galileo Galilei, 1995, p. 103- 143. 2 Per queste delicate questioni “teminologiche”, cfr. PAOLO NARDI, Dalle scholae allo Studium generale: la formazione del- le università medievali, in Studi di storia del diritto medievale e moderno, a cura di FILIPPO LIOTTA, Bologna, Monduzzi, 1999, p. 1-32. 3 MANLIO BELLOMO, Scuole giuridiche e università studentesche in Italia, in ID., Medioevo edito e inedito, I, Scholae, Uni- versitates, Studia, Roma, Il cigno Galielo Galilei, 1997, p. 102 ss. 4 Le analogie tra il contratto che impegnava vicendevolmente doctores e studenti e il contratto artigiano di locazione d’o- pera sono state riscontrate da Roberto Greci, che ha evidenziato la possibile influenza esercitata da quest’ultimo sul primo. Ve- di ROBERTO GRECI, L’associazionismo degli studenti dalle origini alla finde del XIV secolo, in Studenti e Università degli studenti dal XII al XIX secolo, a cura di GIAN PAOLO BRIZZI -ANTONIO IVAN PINI, «Studi e memorie per la storia dell’Università di Bo- logna», n.s., 7 (1988), p. 21 ss. 5 ANTONIO IVAN PINI,“Discere turba volens”. Studenti e vita studentesca a Bologna dalle origini dello Studio alla metà del Tre- cento, in ID., Studio, università e città nel medioevo bolognese, Bologna, CLUEB, 2005, p. 127. Ritenendo fuori luogo riprodur- re a piè di pagina la sterminata bibliografia sullo Studium di Bologna, rimando al quadro d’insieme di CARLO DOLCINI, Lo Stu- dium fino al secolo XIII, in Storia di Bologna, II, Bologna nel Medioevo, Bologna, Bononia University Press, 2007, p. 477-498. 6 Se la presenza di uno Studium a Reggio vanta prove inconfutabili (cfr. UGO GUALAZZINI, La scuola giuridica reggiana nel medioevo con appendice di documenti, Milano, Giuffrè, 1952), dibattute sono quelle di Modena e Parma. Ha riflettutto sulla

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Uberto da Bobbio, un giurista tra città e scuolenell’Italia padana del Duecento.Una prima messa a punto per un profilo biografico

Simone Bordini

A dispetto di ogni netto distinguo tra organismi istituzionali e individui in carne e ossa, la ricostruzio-ne della vicenda dell’istituzione universitaria medievale si risolve spesso nella messa a fuoco di singole bio-grafie di docenti. Ciò vale in massimo grado per le scuole cosiddette minori1, che riuscirebbero inaffer-rabili se prescindessimo dai profili dei doctores legum, i quali ostentavano in ogni caso forza contrattua-le propria delle istituzioni. Penso nello specifico a quelle realtà mediopadane che in questa sede andre-mo a cogliere da un osservatorio ravvicinato: Reggio Emilia, Parma e Modena. In queste tre comunitàurbane a porsi come elementi di riferimento per l’insegnamento giuridico non furono, per l’appunto, gliStudia o le universitates in senso proprio, bensì le scholae2, presso le quali giovani discenti e maestri vive-vano in simbiotico rapporto formativo e affettivo3, stretti da un vincolo contrattuale di natura privatanon dissimile da quello artigiano di apprendistato, studiato in profondità in special modo per il caso bo-lognese4. Il punto è che queste comitivae modenesi, reggiane e parmensi, formate dai docenti e dai lororispettivi allievi, non si evolsero mai verso le forme di associazionismo con base e vertice studentesco, ri-conosciute come l’originale marchio di fabbrica dello Studio di Bologna5. In questo mancato sviluppoconsisterebbe la nota dominante delle scuole minori6. Da rimarcare che l’inesistenza di un corpo stu-

1 Cfr. ENNIO CORTESE, Il diritto nella storia medievale, II, Il Basso Medioevo, Roma, Il cigno Galileo Galilei, 1995, p. 103-143.

2 Per queste delicate questioni “teminologiche”, cfr. PAOLO NARDI, Dalle scholae allo Studium generale: la formazione del-le università medievali, in Studi di storia del diritto medievale e moderno, a cura di FILIPPO LIOTTA, Bologna, Monduzzi, 1999,p. 1-32.

3 MANLIO BELLOMO, Scuole giuridiche e università studentesche in Italia, in ID., Medioevo edito e inedito, I, Scholae, Uni-versitates, Studia, Roma, Il cigno Galielo Galilei, 1997, p. 102 ss.

4 Le analogie tra il contratto che impegnava vicendevolmente doctores e studenti e il contratto artigiano di locazione d’o-pera sono state riscontrate da Roberto Greci, che ha evidenziato la possibile influenza esercitata da quest’ultimo sul primo. Ve-di ROBERTO GRECI, L’associazionismo degli studenti dalle origini alla finde del XIV secolo, in Studenti e Università degli studentidal XII al XIX secolo, a cura di GIAN PAOLO BRIZZI - ANTONIO IVAN PINI, «Studi e memorie per la storia dell’Università di Bo-logna», n.s., 7 (1988), p. 21 ss.

5 ANTONIO IVAN PINI, “Discere turba volens”. Studenti e vita studentesca a Bologna dalle origini dello Studio alla metà del Tre-cento, in ID., Studio, università e città nel medioevo bolognese, Bologna, CLUEB, 2005, p. 127. Ritenendo fuori luogo riprodur-re a piè di pagina la sterminata bibliografia sullo Studium di Bologna, rimando al quadro d’insieme di CARLO DOLCINI, Lo Stu-dium fino al secolo XIII, in Storia di Bologna, II, Bologna nel Medioevo, Bologna, Bononia University Press, 2007, p. 477-498.

6 Se la presenza di uno Studium a Reggio vanta prove inconfutabili (cfr. UGO GUALAZZINI, La scuola giuridica reggiana nelmedioevo con appendice di documenti, Milano, Giuffrè, 1952), dibattute sono quelle di Modena e Parma. Ha riflettutto sulla

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dentesco di riferimento determinava differenze sostanziali nel reclutamento docente e nelle dinamicheorganizzative. Basti dire, che a Bologna, ma anche a Padova o presso la sua ramificazione vercellese, leforti universitates scholarium presceglievano i doctores che avrebbero insegnato presso lo Studium, quan-do, per converso, nei contesti d’importanza secondaria le scuole giuridiche duecentesche si configuravanoancora come familiae, costituite dal dominus-padre e dagli scholares-figli. In questi centri padani sembraattestarsi, in altri termini, una certa persistenza di modelli preuniversitari (sperimentati peraltro nellastessa Bologna nel secolo XII), che, non comportando l’accorpamento degli studenti, rende le scuolegiuridiche somiglianti agli ateliers7 del secolo precedente8.Naturalmente, non è mia intenzione vagliare in questa sede le ragioni sottese a sviluppi tanto diver-

genti, ma vorrei almeno accennare alla spiegazione più macroscopica, dicendo che, a differenziare in unatale misura la struttura dell’AlmaMater da quella delle altre scuole emiliane, fu anche, se non soprattutto,il vischioso e diuturno interessamento che verso esse, già dal loro primo insorgere, profusero le forze co-munali. La presenza in queste arrembanti città-stato di professori di fama – vere vedette dell’intellettua-lità – era stimolata e contesa a suon di quattrini e franchigie, e non solo perché garantiva un ritorno diimmagine ed economico9. Ai comuni servivano intelligenze capaci di dosare e sfoderare, secondo l’oc-correnza, quella forza del diritto che fu la vera spinta ammodernatrice della storia urbana italiana nellasua qualità di struttura di assestamento ideologico delle sempre più onnivore ambizioni cittadine10. Perquesta via, le scuole giuridiche vennero rafforzandosi in significativa simbiosi con l’istituto comunale, as-sumendo per un verso la funzione di laboratorio dei tratti identitari civici, per l’altro verso la funzionedi vivaio atto a rigenerare i quadri dirigenti dell’apparato istituzionale. Si potrà allora comprendere per-ché in realtà siffatte, complice peraltro un numero di studenti sensibilmente inferiore rispetto a quellodello Studio bolognese, non si ambisse a incoraggiare la costituzione di universitates scholarium. Esse ve-nivano evidentemente percepite come antagonistiche all’autorità pubblica e foriere di disagi sociali11.Questa premessa mi è sembrata inevitabile per introdurre la figura di Uberto Bobbio, che dei tre cen-

tri universitari sotto esame costituì un anello di giunzione. Nella messa a punto del nostro schizzo bio-grafico procederemo tra zone d’ombra e poche certezze, perché poche e incerte sono le testimonianze si-cure che ci restano tra le mani. Nella fattispecie, noteremo che il ritratto storico di Uberto è sedimenta-to su due distinte tipologie di fonti. Da una parte stanno i pochi riferimenti documentari e narrativi; dal-l’altra parte le molteplici – e talvolta ambigue o anche fuorvianti – tracce disseminate nella letteraturagiuridica (trattati, glosse, quaestiones)12. Posti tra loro in relazione, questi due generi di fonti, pur nella

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legittimità della definizione Studium per la scuola modenese GIOVANNI SANTINI,Università e società nel XII secolo: Pillio da Me-dicina e lo Studio di Modena. Tradizione e innovazione nella scuola dei glossatori. Chartularium Studii Mutinensis (Regesta) - (Spe-cimen 1069-1200) e in collaborazione con F. VALENTI, Chartularium Pilii Medicinensis (1169-1207...), Modena, STEMMuc-chi, 1979, p. 147 ss, mentre sulla chiaroscurata vicenda parmense cfr. ROBERTO GRECI, Tormentate origini, «Annali di storiadelle università italiane», 9 (2005), p. 33-46.

7 Prendo la definizione da GIOVANNA NICOLAJ, Documenti e libri legales a Ravenna: rilettura di un mosaico leggendario, inRavenna da capitale imperiale a capitale esarcale. Atti del XVII Congresso internazionale di studio del Centro Italiano di Studi sul-l’Alto Medioevo (Ravenna, 6-12 giugno 2004), Spoleto, Fondazione Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 2005, p. 777.

8 MANLIO BELLOMO, “Tenemos por bien de fazer estudio de escuelas generales”: tra Italia e Castiglia nel secolo XIII, in ID.,Me-dioevo edito, I, p. 165 ss. e BELLOMO, Scuole giuridiche, p. 106.

9 MARIO SBRICCOLI, L’interpretazione dello statuto. Contributo allo studio della funzione dei giuristi nell’età comunale, Mila-no, Giuffrè, 1969, p. 124 e nota 62.

10 MARIO ASCHERI, I diritti del Medioevo italiano. Secoli XI-XV, Roma, Carocci, 2000, p. 133 ss. e p. 167.11 BELLOMO, Scuole giuridiche, p. 109 ss. e ID., Tenemos, p. 168.12 Diversi sono, ad esempio, i problemi indotti dallo scioglimento delle sigle e delle abbreviature tramite cui i giuristi vi-

stavano i propri interventi esegetici oppure venivano citati dai colleghi coevi e posteriori. Su tali incertezze identificatorie, re-

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loro esiguità numerica, consentono di inseguire gli spostamenti del mobilissimo giurista di origini emi-liane, restituendoci l’idea di una sorta di lucerna iuris in scala minore, capace comunque di irradiare efar brillare la propria scienza a centinaia di chilometri di distanza dall’Italia.Squaderniamo, dunque, in rapida successione i dati eloquenti della vita professionale di questo mae-

stro. Dell’anno e del suo luogo di nascita nulla sappiamo o quasi, se non che la vulgata erudita lo vor-rebbe parmense. Dovendo tuttavia poggiare sul dato concreto, siamo indotti a denunciare l’inesistenzadi un solo atto che attesti un tale indicatore anagrafico. Senza produrre ragioni in tutto convincenti, an-che padre Ireneo Affò, nelle sue tardosettecentescheMemorie degli scrittori e letterati parmigiani, fece ve-nire alla luce Uberto a Parma, derivandone il cognome dalla famiglia indigena De Bovi, documentabi-le per il Duecento attraverso la Cronica di Salimbene de Adam, dove, in riferimento all’anno 1266, si tro-va citato appunto un dominus Rolandus Guidonis Bovis, affiliato alla parte imperiale13. Nondimeno, la cir-costanza che lo stesso Salimbene menzioni nel proprio racconto sia il De Bovi sia il Bobbio, utilizzan-do, intendo dire, i due distinti cognomi quasi in simultanea e dando prova così di voler differenziare in-tenzionalmente un gruppo parentale dall’altro, mi pare un segnale che va nella direzione di smontare lasupposizione prodotta dall’Affò. Pare ragionevole viceversa l’ipotesi formulata, sempre alla fine del secoloXVIII, da Girolamo Tiraboschi nella sua Storia della letteratura italiana14 e in seguito fatta sua da Frie-drich Carl von Savigny, secondo la quale la natività parmense di Uberto non era da mettersi in dubbio,sebbene il giurista venisse ricondotto per via di sangue a un’agnazione emigrata a Parma dalla piacenti-na Bobbio15.Riguardo all’anno di nascita il quadro indiziario non tende a migliorare. Non avendo a disposizione

notizie esatte su questo stadio biografico, il discorso s’intreccia per forza di cose con quello dei ritmi del-l’istruzione medievale. Sulla formazione superiore del giovane Uberto è stato, con cognizione di causa,ventilato un rapporto stretto con l’ambiente felsineo16, nello specifico con l’insigne scuola di Jacopo Bal-duini (m. 1235), che, già allievo di Azzone, distillò i propri saperi anche ad altri allievi destinati a fol-goranti carriere (Accursio, Odofredo Denari, Benedetto d’Isernia, Guido de Cumis, Enrico da Susa det-to l’Ostiense, Sinibaldo Fieschi, salito poi al soglio pontificio come Innocenzo IV)17, esibendo loro quel-la notevole «vocazione processualistica» che fu poi anche di Uberto e che lo condusse a fare da caposti-

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lativamente al caso di Bobbio, cfr. almeno CARMELO ELIO TAVILLA, Homo alterius: i rapporti di dipendenza personale nella dot-trina del Duecento. Il trattato de hominiciis di Martino da Fano, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1993, p. 134 ss. e nota119, p. 217, CORTESE, Il diritto nella storia, II, nota 71 a p. 418 ss., P. PERUZZI, Da un manoscritto miscellaneo ad una raccol-ta di “quaestiones”. Prima descrizione del ms. Roma, Biblioteca Nazionale, Vittorio Emanuele 1511, inDie Kunst der Disputation.Probleme der Rechtsauslegung und Rechtsanwendung im 13. und 14. Jahrhundert, hrsg. MANLIO BELLOMO, München, Olden-bourg, 1997, p. 210, MARTINO SEMERARO, Osberto da Cremona. Un giurista dell’età del diritto comune, Roma, Viella, 2000, p.12, 28 ss. e nota 12, nota 16 a p. 30 ss., p. 45, 50 e MANLIO BELLOMO, I fatti e il diritto. Tra le certezze e i dubbi dei giuristimedievali (secoli. XIII-XIV), Roma, Il cigno Galileo Galilei, 2000, p. 43.

13 Vol. I, Parma, Stamperia reale, 1789 [rist. anast. Sala Bolognese, Forni, 1969], p. 81 e SALIMBENE DE ADAM, Cronica,nuova edizione critica a cura di GIUSEPPE SCALIA, Roma-Bari, Laterza, 1996, I, p. 540 ss.

14 Vol. IV/2. Dall’anno MCLXXXIII fino all’anno MCCC, p. 383 ss., dato alle stampe la prima volta a Modena nel 1774(Società Tipografica), ma consultato nell’edizione veneziana del 1823 (Tipografia Molinari).

15 FRIEDRICH CARL VON SAVIGNY, Storia del diritto romano nel Medio Evo, prima versione dal tedesco dall’avvocato Em-manuele Bollati con note e giunte inedite, Torino, Gianini e Fiore, 1857 [rist. anast. Roma, Multigrafica, 1972], II, p. 309.

16 Se la notizia della formazione di Uberto sotto le redini di Jacopo Baldovini è dotata di fondamento, da meglio circo-stanziare sarebbe quella relativa a un suo insegnamento civilistico bolognese, deducibile da EDUARDMAURITS MEIJERS,Un cen-tenaire oublié, in ID., Étudès d’histoire du droit, publiées par les soins de ROBERT FEENSTRA - HERMANN FREDERICK WILHELM

DAVID FISCHER, Leyde, Universitaire Pers, 1959, III, p. 249 ss., nota 4 a p. 251-252 e nota 5.17 NICOLETTA SARTI, Un giurista tra Azzone e Accursio. Iacopo di Balduino (...1210-1235) e il suo “Libellus. instructionis ad-

vocatorum”, Milano, Giuffrè, 1990, p. 62, 67 ss. e note 229-231.

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pite a tutto un filone di libelli propedeutici all’avvocatura di grande momento nel corso del secolo XIII,soprattutto al di fuori di Bologna. Attenendoci alle fonti di natura documentaria, le notizie più risalen-ti relative al Bobbio non le recuperiamo però né a Bologna né a Parma, bensì a Reggio Emilia. Qui, il10 luglio del 1211, compare tra i testimoni della permuta di un bene fondiario che interessò il potentemonastero di San Tommaso18. In due atti rogati il 7 ottobre dell’anno successivo, il suo nome è inveceper la prima volta preceduto dal titolo di dominus, allorché, in qualità di sindaco, per conto dei consolie del consiglio reggiano, fu eletto a rappresentare la città di fronte al comune di Como, con lo scopo diaddivenire a profittevoli accordi commerciali tra le due città19. Tale qualifica, che designa senz’altro il con-seguimento di un titolo accademico20 e che potrebbe anche indicarci che il neolaureato già tenesse unmagistero21, permette di fissare all’incirca al 1190 la data di nascita di Uberto, chiudendosi a quel tem-po un corso normale di studi intorno ai ventuno anni, che è l’età che ipotizziamo il nostro avesse appuntonel 1211.Facile immaginarsi in questo giro di tempo il giovane parmense, fresco di titolo accademico, moti-

vato e con idee cristalline circa il proprio cammino. Gli impegni di responsabilità, effettivamente, nongli mancavano. Il 27 giugno del 1212 lo rintracciamo in palacio Comunis a vestire i panni di procurato-re della locale autorità governativa per dirimere una controversia in materia di acque, insorta tra il soli-to monastero di San Tommaso e i vicini22. Ricapitolando, tra il 1211 e il 1212, Uberto si trovò dunque

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18 ARNALDO TINCANI, Regesto del monastero di San Tommaso, in ID., Il monastero di San Tommaso di Reggio, Reggio Emi-lia, SRSS, 2002, n. 145 p. 297.

19 Liber Grossus Antiquus Communis Regii («Liber Pax Constantiae»), a cura di FRANCESCO SAVERIO GATTA, Reggio Emi-lia, Tipografia Goretti, 1944-XII, I, nn. CXXXI-CXXXII p. 245-246.

20 ROBERT FEENSTRA, ‘Legum doctor’, ‘legum professor’ et ‘magister’ comme termes pour designer des juristes au moyen âge, inActes du colloque Terminologie de la vie intellectuelle au moyen âge (Leyde-La Haye 20-21 septembre 1985), éd. OLGA WEIJERS,Turnhout, Brepols, 1988, p. 73.

21 Notizie di civilisti definiti domini sono recuperabili già alla metà circa del secolo XII, come si ricava da ENNIO CORTE-SE, Legisti, canonisti e feudisti: la formazione di un ceto medievale, in Università e società nei secoli XII-XVI, Atti del nono Conve-gno internazionale del Centro di studi di storia e d’arte di Pistoia (Pistoia, 20-25 settembre 1979), Pistoia, Centro Italiano di Stu-di di Storia e d’Arte, 1982, p. 226 ss.

22 TINCANI, Regesto n. 149 p. 299. Tra i testimoni indicati nell’atto, compare dominus Guidotto de Sasso, da indentificarsicon l’omonimo arciprete della pieve reggiana di Modolena (sicuramente per il periodo 1217-1225), con l’omonimo canoni-co del capitolo di Parma (sicuramente per il periodo 1222-1229), con l’omonimo prevosto di Borgo San Donnino (1214-1235)e, più tardi, con l’omonimo canonico a Biella. In un periodo immediatamente precedente, canonico parmense e prevosto fi-dentino fu Ugolino da Sesso, poi vescovo di Vercelli (1214-1235), che alcuni hanno ipotizzato potesse essere lo zio di Gui-dotto (Enciclopedia diocesana fidentina, 1, I personaggi, a cura di DARIO SORESINA, Fidenza, Agraf, 1961, p. 23 ss). Da notareche Ugo precorse i passi di Guidotto anche per ciò che concerne l’arcipretura modolenese, controllata dal 1063 dal monaste-ro di San Tommaso, che, nel secolo XIII, fu a lungo guidato da religiose provenienti dal clan di Sesso. E noteremo altresì che,a precedere Ugo come canonico e magister presso la cattedrale di Parma e come prevosto mitrato a Fidenza (1196-1203), fuGerardo Da Sesso, che poi s’involò verso una brillante attività legatizia, nel corso della quale, tra l’altro, non si dimenticò delcapitolo parmense approvandone le consuetudini. In definitiva, dietro agli spostamenti di Gerardo, Ugo e Guidotto si scor-gerebbe un rodato circuito di tappe (conchiuso tra Parma, Reggio e Fidenza e, sembra di capire, aperto meno rigidamente alPiemonte), che riprova implicitamente quanto la famiglia Da Sesso fosse abile nel calpestare e far traballare non soltanto il pal-coscenico politico di Reggio Emilia. Per ricostruire la biografia di Guidotto, sarà utile mettere in comunicazione i dati pre-senti in: ARCHIVIO CAPITOLARE DI PARMA (d’ora in poi ACPr), Secolo XIII, doc. 755, 757, 762, 768, 857; TINCANI, Regesto,n. 189 p. 316 ss, n. 190 p. 318, n. 191 p. 318 ss, n. 196 p. 322, n. 197 p. 323, n 201 p. 324, n. 202 p. 325, n. 214 p. 331,n. 215 p. 331, n. 217 p. 332, n. 219 p. 332 ss, n. 220 p. 333, n. 226 p. 335; IRENEO AFFÒ, Storia della città di Parma, Par-ma, Stamperia Carmignani, 1793 [rist. anast. Sala Bolognese, Forni, 1980], III, Appendice, n. XLII p. 340 ss. (ma oraMona-sterium de Vivo Fonte. Le pargamene medievali di S. Paolo fuori le mura in Roma, a cura di ELDA BIGGI, Riccò di Fornovo di Ta-ro, Studio Guidotti, 2006, p. 57, Q7 a p. 101-103), n. XLVI p. 344. Delle badesse sessiane ha scritto TINCANI, Il monastero,p. 198 ss.; di Ugolino DOMENICO MAFFEI, Fra Cremona, Montpellier e Palencia nel secolo XII. Ricerche su Ugolino da Sesso, inID., Studi di storia delle università e della letteratura giuridica, Goldbach, Keip, 1995, p. 9-30; Addenda et emendanda p. 523ss., mentre del rapporto tra Parma e Gerardo MARIA CIPOLLONE, Gerardo da Sesso vescovo eletto di Novara, Albano e Milano,

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a rappresentare le ragioni di due alte istituzioni cittadine, le quali – e la cosa non pare fortuita – trova-vano un comune denominatore nella famiglia di incrollabile fede ghibellina dei Da Sesso23, influente tan-to presso l’istituzione comunale quanto presso quella religiosa.Si apre dopo di ciò il primo periodo parmense di Uberto, al quale è riconducibile con provata cer-

tezza il debutto nelle aule scolastiche. L’atto prodotto a Parma nel 1214 in cui il Bobbio (che in quel-l’occasione depone come testimone) è detto a un tempo dominus e doctor legum appare inequivocabile24.Due anni più tardi il suo nome, preannunciato solo dalla qualifica dominus, appare a Modena insiemea quello di diversi altri testimoni di una scrittura rogata in platea comunis, che disponeva alla pubblicaautorità modenese di restituire Carpi e Montebaranzone al vescovo di Parma, Obizzo Sanvitale. È ap-purato che a Parma Uberto si trovasse anche nel 1218, quando, presso il palazzo vescovile, il giudiceGuido da Bagnolo in veste di delegato di Onorio III, ricevette i sindaci avversi del comune di Parma edi Ferrara25. Inferiamo invece da un atto conservato presso l’archivio capitolare di Modena e pubblica-to dall’Affò grazie a una segnalazione del Tiraboschi che, nel 1227, Uberto fu scelto come iudex «per vo-lontà» del podestà pavese Torello da Strada per decidere in merito a una disputa tra l’istituzione comu-nale e il vescovo Grazia (1224-1236), personaggio piuttosto noto a chi studia la storia dell’Università bo-lognese26. Fu nel corso di quello stesso anno che il Bobbio venne a quanto pare completando il De posi-tionibus27, opera focalizzata sul dibattito processuale e, nello specifico, sulla fase dell’udienza in cui le par-ti in causa – accusa e difesa – venivano a ricostruire il fatto in forma dialogica28. Abbiamo già lasciatointendere che il giurista emiliano fu tra i massimi esperti del tempo delle fasi e della prassi del procedi-mento (titoli come Libellus sive cavillationes o Libellus cautelae et doctinae parlano chiaro29), competen-ze che gli tornarono certo propizie nella periodica attività di delegato dei massimi magistrati cittadini,nei momenti in cui si trovò a disporre le sorti di delicati negoziati, come la pace siglata tra Cremona eParma nel 122830. L’impressione è che Uberto non venisse destinato casualmente a ricoprire incarichi co-sì scottanti. Mestiere e attitudini specialistiche pesavano in simili scelte, dal momento che ne andavadella reputazione, se non delle sorti stesse della città; ciò riproverebbe una volta di più le fatali e profi-cue interconnessioni tra la legalis sapientia, «fosse l’alto Professorenrecht, fosse la dottrina dei pratici», e l’at-tività di governo31.

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«Aevum. Rassegna di scienze storiche linguistiche e filologiche», 60 (1986), p. 227-230 e EAD., Gerardo da Sesso, legato apo-stolico al tempo di Innocenzo III, ivi, 61 (1987), p. 377 ss.

23 Sulla quale, si veda ANDREA GAMBERINI, La città assediata. Poteri e identità politiche a Reggio in età viscontea, Roma,Viella, 2003, p. 148-154.

24 ACPr, secolo XIII, doc. DLXXII.25 LUIGI SIMEONI - EMILIO PAOLO VICINI, Registrum privilegiorum Comunis Mutinae, Reggio Emilia, Tipografia moderna,

1940, I, n. 123 p. 276 ss., n. 133-134 p. 288 ss, n. 136 p. 291 ss.26 AFFÒ, Storia della città, III, p. 135 ss.27 ENNIO CORTESE, Il Rinascimento giuridico medievale. Seconda edizione riveduta, Roma, Bulzoni, 1996, p. 77 ss.28 Si veda MASSIMO VALLERANI, I fatti nella logica del processo medievale. Note introduttive, «Quaderni storici», n.s., 108

(2001), p. 670.29 Per un elenco delle opere del Bobbio s’intersechino IRENEO AFFÒ, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, Parma,

Stamperia reale, 1789 [rist. anast. Sala Bolognese, Forni, 1969], I, p. 87 ss., ANGELO PEZZANA,Memorie degli scrittori e lette-rati parmigiani raccolte da Ireneo Affò e continuata da Angelo Pezzana, Parma, Ducale Tipografia, 1827 [rist. anast. Sala Bolo-gnese, Forni, 1973], II, p. 37 e SAVIGNY, Storia del diritto, II, p. 310 ss.

30 AFFÒ,Memorie, I, p. 84, che rimanda a un rogito del notaio Mainfredo.31 ENRICO ARTIFONI, Tensioni sociali e istituzioni nel mondo comunale, in La Storia. I grandi problemi dal medioevo all’età

contemporanea, a cura di NICOLA TRANFAGLIA - MASSIMO FIRPO, Torino, UTET, 1986 [nuova edizione con bibliografia ag-giornata, Milano, Garzanti, 1993], II, p. 461-91, p. 496. Circa ruolo politico dei doctores in età comunale, cfr. SARA MEN-

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Le notizie parmensi fino ad ora elencate restano importanti nella misura in cui vanno a delimitare neltempo l’esperienza di Uberto in questa città. Trattenendosi il Bobbio a Parma tra il 1214 e il 1228, tro-viamo infatti una conferma indiretta della sua presenza in loco nel 1226, un anno-tornante e irto di con-seguenze per la storia universitaria locale e italiana. In quel fatidico momento, per ordine di Federico II,fu trascritto il primo corpus di norme comunali parmensi32, che confluì poi nello statuto cittadino del1255, pubblicato per volontà del protosignore Giberto da Gente. Come docente di diritto, come esper-to in materia criminalistica e statutaria (lo provano le ripetute citazioni nelle Quaestiones statutorum diAlberto da Gandino33 e nel Commentarium de statutis di Alberico da Rosciate)34, è lecito figurarsi che ilBobbio venisse interpellato per dare man forte alla compilazione di questo primo abbozzo di ordinamentocomunale, in cui fra l’altro è contenuta una rubrica, di non facile interpretazione, consacrata alla prote-zione degli studenti forestieri e dei loro beni posti in territorio parmense, che, anche se non direttamentefavorita da Uberto, fu senz’altro favorevole alla sua scuola35. Vi fosse o meno il suo zampino in quellostatuto, è un fatto che Federico II potesse essere realmente interessato alla partecipazione di un giuristadi quel valore all’atto della redazione delle leggi di una città strettamente collegata all’Impero, così comeera interessato a immettere in quella stessa realtà amministrativa fidati podestà. In ogni caso fu, questadel 1226, una norma relativamente alla quale non è stato mai chiarito quanto possa avere influito la pre-senza dal 1224 sulla cattedra vescovile di Parma del poc’anzi citato Grazia, canonista ed ex arcidiaconoa Bologna, città nella quale, dal 1219, godette del privilegio di laureare gli studenti, grazie a OnorioIII36, lo stesso pontefice che accordò al prelato di Modena una sorta di giurisdizione sugli scolari vaga-mente ispirata alla costituzione Habita37.Quanto alla più generale storia delle università italiane, il 1226 è un anno topico per il provvedi-

mento imperiale preso il 12 luglio da Borgo San Donnino, odierna Fidenza38. Questa decisione, fissata

96 Simone Bordini

ZINGER, Giuristi e politica nei comuni di popolo. Siena, Perugia e Bologna, tre governi a confronto, Roma, Viella, 2006 e EAD.,Forme di implicazione politica dei giuristi nei governi comunali italiani del XIII secolo, in Pratiques sociales judiciares dans les vil-les de l’Occident à la fin du Moyen Âge, Études réunis par JACQUES CHIFFOLEAU - CLAUDE GAUVARD - ANDREA ZORZI, ÉcoleFrançaise de Rome, Roma 2007, p. 191-241.

32 AMADIO RONCHINI, Prefazione, in Statuta communis Parmae ab anno MCCLXVI ad annum circiter MCCCIV, a cura diAMADIO RONCHINI, Parma, Fiaccadori, 1859, I, p. IV.

33 FRANCO CORDERO, Criminalia. Nascita dei sistemi penali, Roma-Bari, Laterza, 1985, p. 186, 209 e VALLERANI, I fattinella logica, p. 680. Per l’opera scientifica del Gandino, cfr. DIEGO QUAGLIONI, Alberto da Gandino e le origini della trattati-stica penale, «Materiali per una storia della cultura giuridica», 29 (1999), p. 49-63.

34 MANLIO BELLOMO, Problemi di diritto familiare nell’età dei comuni. Beni paterni e «pars filii», Milano, Giuffrè, 1968, no-ta 41 a p. 28, p. 75-79 e nota 15, p. 81, 83 ss. e ANDREA ROMANO, Le quaestiones disputatae nel «Commentarium de Statutisdi Alberico da Rosciate», in Le quaestiones disputatae, saggi di ANDREA ROMANO, Reggio Calabria, Parallelo, 1975, p. 75-180;quaestiones 114, 117, 139, 173.

35 Statuta communis Parmae, p. 43.36 L’episcopato di Grazia è stato giudicato «abbastanza anonimo» e «inferiore alle attese» da ANDREA PADOVANI, Due “ma-

gister Gratia”, in “Panta Rei”. Studi dedicati a Manlio Bellomo, a cura di ORAZIO CONDORELLI, Roma, 2004, IV, p. 305, in raf-fronto all’esplosiva – e, per certi versi, rivoluzionaria – precedente esperienza arcidiaconale, sulla quale si veda LORENZO PAO-LINI, La figura dell’Arcidiacono nei rapporti tra lo Studio e la città, in Cultura universitaria e pubblici poteri a Bologna dal XII alXV secolo. Atti del 2° Convegno (20-21 maggio 1988), a cura di OVIDIO CAPITANI, Bologna, Istituto per la storia di Bologna,1990, p. 31-71 e ELENA BRAMBILLA, Genealogie del sapere. Università, professioni giuridiche e nobiltà togata in Italia (XIII-XVIIsecolo). Con un saggio sull’arte della memoria, Milano, Unicopli, 2005, p. 24-32.

37 CARLO GUIDO MOR - PERICLE DI PIETRO, Storia dell’Università di Modena, Firenze, Olschki, 1975, I, p. 8, 10 ss.38 Cfr.Monumenta Germaniae Historica, Constitutiones et acta imperatorum et regum, II. Inde ab. a. MCXCVIII usque ad a.

MCCLXXII, hrsg. LUDEWICUS WEILAND, Hannoverae, 1896, n. 107 p. 136-139. Riporta l’episodio anche RYCCARDUS DESANCTO GERMANO, Chronicon regni Siciliae, in M.G.H., Scriptores, XIX, hrsg. GEORG HEINRICH PERTZ, Hannoverae, 1866[Stuttgart, Hiersemann, 1989], p. 346.

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appunto non lontano da Parma, andò accentuando i toni del contrasto tra l’imperatore e Bologna, av-viati due anni prima con la fondazione dello Studium napoletano. In concreto, Federico II bandì le do-dici città che, per fronteggiarlo, avevano ricomposto la Lega Lombarda e, aspetto di non secondaria im-portanza, soppresse i loro Studia. Era chiaro che si colpiva il gruppo per colpire Bologna. Non casuali,a questo punto, furono i diplomi, firmati nel giugno di quel fatidico 1226 sempre nella fatidica BorgoSan Donnino, con cui l’imperatore favorì e ricompensò il comune alleato di Modena39. E non casualefu altresì che, da questa severa misura antibolognese, la scuola di Modena e quella della filoimperiale Reg-gio Emilia (in un vicino passato già grandi centri di studio del diritto feudale)40 traessero forza. Una for-za che non riusciamo a quantificare con precisione, ma possiamo comunque derivare dall’asprezza deitoni con cui Azzone, probabilmente tra il 1225 e il 1230 (possibile anno della sua morte)41, andava re-putando addirittura illegittimo nonché sleale l’insegnamento del diritto sul suolo reggiano e modenese42

sulla base della Vita sancti Petronii e del falso privilegio Teodosiano, nei quali erano affermati i presup-posti per affermare Bologna città regia e, perciò, legittimata a possedere uno Studio43. Evidentemente,l’affermato doctor bolognese contestava alle due città contermini di strappare allievi e denaro alla scuoladi diritto più antica d’Europa, offrendo magari più allettanti condizioni di studio e di insegnamento. Trai larvati effetti del provvedimento di Fidenza, è dunque presumibile trovasse posto quello di mettere sot-to l’ala protettrice dell’imperatore le scuole giuridiche del tridente, costituito da Modena, Reggio e Par-ma (e, per ovvie ragioni di devozione partitica, stretto in alleanza a Cremona)44, che aveva dimostrato unacoriacea lealtà all’imperatore dinanzi alla rifondazione della Lega Lombarda (1226)45. Quello che veni-va così configurandosi era un avamposto emiliano a tre piazze dello Studio di Napoli, pronto a dare bat-taglia all’Alma Mater46.

Uberto da Bobbio, un giurista tra città e scuole nell’Italia padana del Duecento 97

39 GIOVANNI SANTINI, Università e società a Modena tra il XII e il XIII secolo, in Università e società, p. 359 ss. Per i due di-plomi, cfr. LUIGI SIMEONI - EMILIO PAOLO VICINI, Registrum privilegiorum comunis Mutinae, Modena, Aedes muratoriana,1949, II, n. 264-265 p. 67-74.

40 Si pensi all’apparato ai Libri feudorum compilato da Pillio da Medicina e alla Summa feudorum attribuita al reggiano Ia-copo Colombi, anche se tale paternità è stata attribuita ad Accursio da PETER WEIMAR, DieHandschriften des ‘Liber feudorum’und seiner Glossen, in «Rivista internazionale di diritto comune», 1 (1990), p. 75 ss., p. 83 ss. e ID., Jacobus Columbi, in Lexi-con des Mittelalters, 5, München und Zürich, 1991, p. 257 ss.

41 A. I. PINI, Federico II, lo Studio di Bologna e il “Falso Teodosiano”, in ID., Studio, università e città, p. 75 e ID., Manovredi regime in una città-partito. Il falso Teodosiano, Rolandino Passaggeri, la Società della Croce e il “barisello” nella Bologna di fineDuecento, ivi, p. 85 ss. Sulle motivazioni sottese alla fabbricazione di questo falso si veda anche GINA FASOLI, Il falso privilegiodi Teodosio II per lo studio di Bologna, in Fälschungen im Mittelalter. Internationaler Kongress der Monumenta Germaniae Histo-rica, (München, 16-19 September 1986), Hannover, Hahnsche Buchhandlung, 1988, I, p. 627-641.

42 A riportare la stizzita opinione di Azzone è Odofredo (m. 1265), cosa che ci spinge a ritenere tutt’altro che esaurita, neidecenni successivi alla morte di Azzone, la vivacità delle due scuole emiliane. Cfr. NINO TAMASSIA, Odofredo. Studio storico-giuridico, in ID., Scritti di storia giuridica, pubblicati a cura della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova, Padova,CEDAM, 1969, II, p. 394.

43 Un’idea già esposta da SAVIGNY, Storia del diritto, I [1854], p. 552, poi argomentata in ANTONIO IVAN PINI, Origine etestimonianze del sentimento civico bolognese e in ID., Un’agiografia “militante”: San Procolo, San Petronio e il patronato civico diBologna medievale, pubblicati entrambi in ID., Città. chiesa e culti civici in Bologna medievale, Bologna, CLUEB, 1999, p. 211ss., p. 231, p. 265-270.

44 OLIVIER GUYOTJEANNIN, Podestats d’Émilie centrale: Parme, Reggio et Modene (fin XIIe - milieu XIVe siècle), in I podestàdell’Italia comunale. Parte I. Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fin XIIe-milieu XIVe siècle), a cura di JEAN-CLAU-DE MAIRE VIGUEUR, Roma, École Française de Rome, 2000, I, p. 354, 357.

45 DAVID ABULAFIA, Federico II. Un imperatore medievale, Torino, Einaudi, 1993, p. 130 ss.46 Sulla politica universitaria federiciana, si veda GIOVANNI DE VERGOTTINI, Lo Studio di Bologna, l’Impero e il Papato, in

ID., Scritti di storia del diritto italiano, a cura di GUIDO ROSSI, Milano, 1977, II, p. 697-792, JACQUES VERGER, La politica uni-versitaria di Federico II nel contesto europeo, in Federico II e le città italiane, a cura di PIERRE TOUBERT - AGOSTINO PARAVICINI

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Che sia dunque intuibile una contrapposizione tra lo Studio bolognese e le altre scuole giuridiche emi-liane è chiaro e persino normale, perché è difficile – è sempre stato assai difficile – tenere su livelli di-stinti la storia delle università e la ragione di stato. A Modena, solo per portare l’esempio vicino, nel cor-so del 1247 diversi studenti parmensi furono catturati e consegnati a Federico II dopo essere stati mal-trattatti e derubati per rappresaglia nei confronti della loro città d’origine, improvvisamente risvegliata-si guelfa e resasi quindi protagonista, tra il 1245 e il 1247, di un’aperta ribellione contro l’imperatore,che si trovò suo malgrado a interpretare proprio in questo teatro il prologo alla sua uscita di scena, in uncrescendo di fallimenti precipitati l’uno appresso all’altro, come in un fragoroso effetto domino, versol’evento clou di Vittoria47.Ma torniamo al nostro itinerario biografico, ricordando che, tra il 1228 e il 1229, Uberto da Bob-

bio, che con ogni probabilità a questa latitudine cronologica era già qualcuno, raggiunse una Vercelli ap-pena munita di Carta studii. Il suo arrivo in città in quei mesi, motivato verosimilmente da una chiamata,convince a riconoscerlo tra gli inauguratori della cattedra di diritto civile presso il locale Studio48. Nellaneonata istituzione scolastica la sua fama venne presto consolidandosi e amplificandosi. Del resto, inquell’ambiente elettrizzato dall’inedita e prestigiosa esperienza universitaria, dovette trovarsi a proprio agiovisti i nomi che circolavano, a lui noti e familiari in modo tutto particolare. Si trattava, difatti, di uominiche evocavano le terre e gli ambienti emiliani appena abbandonati. Tanto per capirci, suoi compagni dilavoro furono il modenese Uberto di Bonaccorso (allievo di Azzone, come il Balduini, maestro di Bob-bio)49 e il reggiano Giuliano da Sesso, in quella sede come lettore del Digestum vetus e del Codex50, maanche in qualità di ufficiale e nipote del vescovo Ugolino da Sesso (1214-1235)51.A Vercelli si respirava, insomma, una certa aria di casa, una casa in cui Ugolino era il capofamiglia; e

siccome si sarà ormai inteso che la vita di ogni giurista trascina con sé quella degli altri come in una spe-cie di mulinello o di reazione a catena biografica – che, anello dopo anello, va delineando uno spaccatoin cui ogni contatto ne genera altri dieci e ogni spostamento non è mai accidentale –, sarà bene fissare

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BAGLIANI, Palermo, Sellerio, 1994, p. 129-143 e MANLIO BELLOMO, La scienza del diritto al tempo di Federico II, in ID.,Me-dioevo edito e inedito, II, Scienza del diritto e società medievale, Roma, Il cigno Galileo Galilei, 1997, p. 39-62.

47 Chronicon Parmense ab anno MXXXVIII usque ad annum MCCCXXXVIII, a cura di GIULIANO BONAZZI, RIS2, IX/IX,Città di Castello, Scipione Lapi, 1902-1904, p. 14. Restiamo sempre in questo incandescente torno di tempo, per richiama-re un episodio che tocca un altro caposaldo della pars Imperii, Siena, città in cui, nel 1246, il vicario imperiale della Tuscia,Federico d’Antiochia, attuò una politica di respiro “universitario” di chiara matrice sveva. Non si potrebbe commentare altri-menti la disposizione, data dal luogotenente di Federico II all’esecutivo della città toscana, tramite cui s’imponeva il rientroda Bologna degli studenti e dei mercanti senesi. L’apertura di uno Studium cittadino per gli scolari tornati in patria, e non so-lo per quelli, diventava così un’urgenza, peraltro presto concretata, come danno a intendere le fonti cittadine, dove il termineStudium fece capolino dal 1247. Cfr. PAOLO NARDI, L’insegnamento superiore a Siena nei secoli XI-XIV. Tentativi e realizzazio-ni dalle origini alla fondazione dello Studio generale, Milano, Giuffrè, 1996, p. 55, 58 ss.

48 ROSALDO ORDANO, L’istituzione dello Studio di Vercelli, in L’Università di Vercelli nel Medioevo. Atti del secondo Congres-so Storico Vercellese (Vercelli, Salone Dugentesco, 23-25 ottobre 1992),Vercelli, Società Storica Vercellese, 1994, p. 179 ss., p. 184ss. e ISIDORO SOFFIETTI, L’insegnamento civilistico nello Studio di Vercelli: un problema aperto, ivi, p. 228. Sullo Studium me-dievale di Vercelli cfr. inoltre CARLA FROVA, Città e “Studium” a Vercelli (secoli XII e XIII), in Il pragmatismo, p. 91-104.

49 A quel tempo avrebbe scritto la sua maggiore opera, Praeludia et exceptiones, ove ammette di avere insegnato a Vercellide mandato maiestatis imperialias, senza tuttavia precisare la data d’inizio dell’impegno preso: SOFFIETTI, L’insegnamento civi-listico, p. 233 ss. e LUCIA SORRENTI, Due giuristi attivi a Vercelli nel primo Duecento: Omobono da Cremona e Giuliano da Ses-so, «Rivista di Storia del Diritto Italiano», 66 (1993), p. 427, p. 436.

50 SORRENTI, Due giuristi, p. 427 e EAD., Tra scuole e prassi. Giuliano da Sesso e il suo “Libellus Quaestionum”, Roma, Il ci-gno Galielo Galilei, 1999, p. 89.

51 ANGELO MERCATI, Per la storia letteraria di Reggio Emilia, «Atti e memorie della regia deputazione di storia patria per leprovince modenesi», 12 (1919), p. 22 ss.

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in un rapido fermoimmagine la figura di questo grande esponente della cultura e della politica vercelle-se duecentesca. Del curricolo scientifico dell’alto prelato sappiamo oggi più di due o tre cose, tenendosott’occhio il prezioso affresco fattone da Domenico Maffei. Di parentela reggiana, formatosi forse a Bo-logna (ma a questo punto perché non proprio a Reggio o Parma o Modena), Ugolino Da Sesso pareesercitasse la propria docenza dapprima intorno alla cattedrale di Cremona, poi a Montpellier e, infine,presso quello studio palentino che fu, come sappiamo, fortemente voluto da re Alfonso VIII52. Ho giàavuto modo di affermare altrove che ciò che accadde tra Palencia e Vercelli – quasi un ventennio, in cuil’ecclesiastico reggiano visse tra Parma, Reggio e Fidenza, avanzando con risolutezza nella carriera – pre-senta diverse smagliature, sulle quali sarà giusto tornare in un’apposita trattazione53. Mentre è senz’altroil caso di accentuare, in questo momento, la sua statura di uomo di potere, soprattutto nella veste, per-fettamente indossata, di interlocutore non diremo privilegiato, ma nemmeno di circostanza di FedericoII. Copiose sono le impronte disvelate dalla documentazione pubblica attinente al periodo del suo man-dato pastorale. Per farsene un’idea sommaria, si scorra l’indice del volume quinto dei Regesta Imperii edi-ti da Johann Friedrich Böhmer54, che dà modo di intravedere come i rapporti tra lo Svevo e il vescovovercellese dovessero andare ben al di là delle semplici richieste di presenze testimoniali, comunque tut-t’altro che fortuite o rare55. Sia sufficiente aver presente che, all’indomani della scomunica delle città ri-unite nella Lega Lombarda, comminata il 10 giugno 1226 da Parma da un gruppo di prelati legati a Fe-derico56, il sovrano si trovò di nuovo a passare per la città emiliana e, in quella occasione, venne scorta-to dal suo vicario Giacomo di Carisio e da Ugolino da Sesso; e aver presente altresì l’attiva partecipazio-ne del vescovo di origini reggiane alla costituzione stessa dello Studium vercellese, che anche se dipese dal-

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52 Cfr. MAFFEI, Fra Cremona, Montpellier, soprattutto p. 15, 17, 27. Danno fiato all’ipotesi della docenza castigliana AN-DRÉ GORUON, Aux origines de l’influence des glossateurs en Espagne, in ID., Etudes sur la diffusion des doctrines juridiques médié-vales, VI, London 1987, p. 325, mentre avrebbe bisogno di ulteriori riscontri secondo ANTONIO GARCÍA Y GARCÍA, El renaci-mento de la teoría y la práctica jurídicas. Siglo XII, in Renovacíon intelectual del Occidente europeo (siglo XII), XXIV Semana deEstudios Medievales (Estella, 14-18 de julio de 1997), Pamlpona, 1998, p. 107. Sulla questione cfr. anche AQUILINO IGLESIA FER-REIROS, Rex superiorem non recognoscens. Hugolino de Sesso y el Studium de Palencia, «Initium. Revista Catalana d’Històriadel Dret», 3 (1998), p. 1-205.

53 SIMONE BORDINI, Studium e città. Alcune note sul caso reggiano (secoli XI-XIII), inMedioevo reggiano. Studi in ricordo diOdoardo Rombaldi, a cura di GINO BADINI - ANDREA GAMBERINI, Milano, Franco Angeli, 2007, nota 164 a p. 187 ss., nota164 a p. 187 ss., dove mi sono permesso di complicare il quadro fondamentale tracciato dal Maffei attraverso elementi di ri-flessione aggiuntivi (che presto vaglierò ulteriormente sulla scorta di altre notizie reggiane) in ordine alla presenza di Ugolinoin Emilia. Senza rimestare nel deja dit, avvertirò delle tre principali conclusioni cui sono pervenuto: 1) l’esperienza di Ugoli-no come canonico della cattedrale di Parma va racchiusa con ogni probabilità tra i picchetti cronologici del 1206 e del 1211;2) a Parma egli non esibì mai la qualifica di magister, che invece lo distingue in un atto del 1214, che è l’ultimo anno dellaprevostura fidentina, inziata nel 1202/1203; 3) tra il 1206 e il 1212 – guardacaso il medesimo spettro di tempo in cui Ugo-lino è canonico a Parma – è testimoniata la compresenza nel Reggiano di un suo omonimo, arciprete della pieve di Modole-na, che identificherei senza timori con il nostro.

54 JOHANN FRIEDRICH BÖHMER, Regesta Imperii V. Jüngere Staufer 1198-1272. Die Regesten des Kaiserreichs unter Philipp,Otto IV, Friedrich II, Heinrich (VII), Conrad IV, Heinrich Raspe, Wilhelm und Richard. 1198-1272, hrsg. JOHANN FRIEDRICHBÖHMER - JULIUS FICKER - EDUARDWINKELMANN - PAUL ZINSMAIER - PAUL-JOACHIM HEINIG - MONIKA KARST, Innsbruck,1881-1983.

55 Data, ad esempio, al 23 febbraio del 1219 un atto emanato a Spira da Federico II, imperatore in pectore, in cui trovia-mo il «fedele suo venerabile» Ugolino a Ivrea per applicare la sentenza sovrana a un litigio insorto tra il vescovo di quella cit-tà e alcuni cives, rei di averlo depredato. In quel caldo luglio del 1226 Ugolino compare inoltre tra i testimoni di diversi pri-vilegi concessi o confermati dallo Staufen proprio da Borgo San Donnino (al monastero cistercense di Santa Maria della Co-lomba; a Enrico di Savona e figli; al monastero di Fontevivo) e da Parma (al cenobio di Chiaravalle). Si veda BÖHMER, Rege-sta imperii, V, 1,1, n. 985, n. 1643 (anche AFFÒ, Storia della città, III, Appendice, n. L p. 349 ss), n. 1651, n. 1660 e AFFÒ,Storia della città, III, p. 349 ss. (ancheMonasterium de Vivo Fonte, p. 62 ss., Q 9 p. 106 ss).

56 M.G.H. Constitutiones et acta, II, n. 105 p. 132-134.

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la migrazione en masse dell’universitas scholarium di Padova57, non potè concretarsi sul piano istituzio-nale se non attraverso l’azione bilaterale svolta dal comune e dalla massima carica religiosa cittadina58.Di qui è forte l’impressione che, con Ugolino, i Da Sesso mettessero le mani su Vercelli, venendo così astabilire un asse – sul quale scivolavano giocoforza interessi comuni – tra la città piemontese e ReggioEmilia, città sessiana per antonomasia.A tanto zio corrispose un nipote adeguatamente scaltro. Ghibellino senza macchia, Giuliano da Ses-

so restò sfigurato nelle cronache del tempo dalla livida furia moralizzatrice di Salimbene de Adam59, chenon riusciva a perdonargli di avere agito come longa manus di re Enzo nella carneficina dei filopapali Fo-gliani60. Oltre che animoso uomo di partito, Giuliano fu pratico61 e docente di diritto e, come tale, au-tore tra l’altro di un Libellus quaestionum che, per qualche tempo, dovette avere buona circolazione e chevede il nome di Uberto da Bobbio e del suo allievo Omobono Morisio (anch’egli docente a Vercelli) ri-petutamente e variamente citati62. Sarà il caso di rammentare che, in termini tecnici, la quaestio è un me-todo di discussione codificato nei tre momenti successivi del pro, del contro e della solutio: in estrema sin-tesi, il professore si impegnava a introdurre un caso, a valutarne le eventuali e contrapposte soluzioni, perpoi tirare le somme e giungere all’interpretazione finale, che scioglieva il problema63. Una tale tecnica nonnacque certo intorno a questi anni, ma è vero però che si diffusero nel primo Duecento trattazioni si-stematiche come quello di Giuliano da Sesso, nella quale degna di menzione, per il discorso che stiamoconducendo, è soprattutto la questione denominata «Quidam scolaris et sacerdos…», di recente svisce-rata da Lucia Sorrenti. In essa è Uberto in persona a porsi in pari tempo come risolutore e protagonistadel caso illustrato.A grandi linee, la questione è così sintetizzabile: uno studente di condizione ecclesiastica è ferito a Ver-

celli da un cittadino indigeno e, per essere prontamente risarcito del danno subito, intende eludere il pro-cesso penale, senonché Uberto ha già avviato la causa denunciando il crimine al podestà, cui compete,pur nel rispetto del privilegio del foro studentesco, la giurisdizione in campo criminale. Nella quaestio il

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57 SANTE BORTOLAMI, Da Bologna a Padova, da Padova a Vercelli, in L’Università di Vercelli, p. 35-75.58 GERMANA GANDINO, Lo “Studium” di Vercelli tra contesto e tradizione, in Carta Studii. et Scolarium Commorancium, in

Studio Vercellarum 4 aprile 1228. Intorno al primo documento della Università medievale di Vercelli, a cura di GISELLA CANTI-NOWATAGHIN - SAVERIO LOMARTIRE, Alessandria-Novara-Vercelli, Universita degli studi del Piemonte orientale Amedeo Avo-gadro, 2005, p. 60 ss., p. 67 e ISIDORO SOFFIETTI, Contributo per la storia dello ‘Studium’ di Vercelli nel secolo XIII, «Rivista diStoria del diritto italiano», 65 (1992), p. 244 e nota 12.

59 SALIMBENE, Cronica, I, p. 482.60 Proprio a Giuliano è attribuita la lettera inviata da Reggio, con cui Federico II veniva informato dei tragici fatti da un

anonimo inquisitore imperiale: Historia diplomatica friderici secundi sive Constitutiones, privilegia, mandata, instrumenta quaesupersunt istius Imperatoris et filiorum eius: accedunt epistolae paparum et documenta varia, a cura di JEAN-LOUIS-ALPHONSEHUILLARD-BRÉHOLLES, VI/1, Parisiis, H. Plon, 1860 [rist. anast. Torino, Bottega d’Erasmo, 1963], p. 374 ss. e MERCATI, Perla storia letteraria, p. 20 ss.

61 Nel 1242 lo troviamo a Reggio per offrire, insieme Jacopo Colombi, un parere in favore del capitolo cattedrale controi canonicis irrequietis di Rivalta, mentre nel suo Libellus quaestionum o disputatorius è lui stesso a menzionare la propria espe-rienza reggiana come avvocato. Si vedano rispettivamente GUALAZZINI, La scuola giuridica, n. XVI p. 138 ss. e FEDERICOMAR-TINO, Giuristi di scuola e “pratici” del diritto a Reggio e a Padova. Il ms. Olomouc C. O. 40, «Quaderni catanesi di di studi clas-sici e medievali», 8 (1986), p. 426.

62 SORRENTI, Due giuristi, p. 415-450 e EAD., “Quaestiones” di scuole giuridiche vercellesi in un trattato di Giuliano da Ses-so, in Die Kunst, p. 224 ss.

63 Sulle quaestiones la letteratura è copiosa e mi limiterò, pertanto, a indicare soltanto i più o meno recenti ANNALISA BEL-LONI, Le questioni civilistiche del secolo XII. Da Bulgaro a Pillio da Medicina e Azzone, Frankfur am Main, Klostermann, 1989,BELLOMO, I fatti e il diritto e MASSIMO VALLERANI, Il diritto in questione. Forme di dubbio e produzione del diritto nella secon-da metà del Ducento, «Studi medievali», 1 (2007), p. 1-40.

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problema specifico che si pone è se la parte offesa possa o meno intentare un’azione civile, essendo or-mai in corso il procedimento penale. In prima persona, Uberto introduce il fatto ed espone i pro (l’i-nammissibilità della coesistenza dei due differenti processi) e i contra (la liceità della coesistenza di udien-ze penali e civili). Tralasciando gli aspetti squisitamente giudiziari, interessa anzitutto registrare che, gra-zie a questo passaggio del Libellus, veniamo a sapere con chiarezza che, a Vercelli, Uberto Bobbio dovettesperimentare un insegnamento giuridico capace di innestare sulla teoria dei libri giustinianei l’eserciziopratico delle quaestiones, che potevano assumere, come nell’esempio preso in considerazione, la forma diuno scambio di opinioni, nel caso specifico intrattenuto tra lo studente ferito e Uberto. Questo a rin-saldare la sensazione che il giurista arrivato da Parma fosse uno studioso calato a piè pari sulla realtà fat-tuale e assai abile nel tradurre in soluzione – dunque in postulato – ciò che sperimentava sulla propriapelle64, operando sporadicamente a servizio del tribunale podestarile, che è a tutti gli effetti il luogo pre-ferenziale all’interno del quale prendevano forma vitale alcuni dei casi che i giuristi trasformavano inquestioni da dibattere presso l’aula scolastica65. Le quaestiones erano, insomma, materia ancora calda epulsante, che diventava, attraverso l’esame critico approntato dai giuristi, una lente d’ingrandimentopuntata sulla realtà per notomizzarla e trarne regole e panacee66.Da Vercelli il nome di Uberto dovette risuonare Oltralpe. È lo statutista Alberico da Rosciate a nar-

rare della sua convocazione alla corte di Parigi, dove, sicuramente dopo il 122867, fu interpellato dallaregina Bianca di Castiglia, vedova da un paio di anni di Luigi VIII. La regnante chiedeva lumi in ordi-ne alla liceità della tutela del figlio (contestatale da alcuni nobili, ma ritenuta conforme alla legge daUberto), divenuto poi re come Luigi IX il Santo68. Se dalla Francia si ricorreva a un parere del giuristapadano, significa che, tralasciando pregresse connessioni tra ilmilieau intellettuale parigino e quello ver-cellese69, su quella materia egli doveva essere per lo meno ferrato. Dopo questa breve avventura Ubertoriapprodò a Vercelli, dove lo incontriamo a far fede in un atto rogato il 2 luglio del 1230, ma era già tem-

Uberto da Bobbio, un giurista tra città e scuole nell’Italia padana del Duecento 101

64 Cfr. LUCIA SORRENTI, Uberto da Bobbio e la giurisdizione sugli scolari. Una quaestio sui limiti di esercizio del foro privile-giato, «Rivista Internazionale di Diritto Comune», 4 (1993), p. 211-219.

65 SORRENTI, Due giuristi, nota 23 a p. 420, nota 36 a p. 423 ss., p. 430 ss. e nota 70.66 Tutt’altro che sporadiche erano le occasioni in cui, introducendo la quaestio agli allievi, il dominus annunciava che quel

determinato problema era stato «discusso in un processo […]; oppure che la disputa di un tema gli è stata richiesta da unavvocato […]; oppure che di una quaestio non è opportuno dare la soluzione, perché sul factum vi è un processo in corso edi questo è bene attendere la conclusione»: BELLOMO, Introduzione, a ID., I fatti e il diritto, p. 15 ss. Le stesse quaestiones po-tevano poi fuoriuscire dal flessibile recinto dell’aula scolastica «per diventare diritto pratico, scelte concrete di politica giu-diziaria» esposte in forma di consilia, a loro volta reversibili in questioni, come ricorda VALLERANI, Il diritto in questione, p.30.

67 FROVA, Città e “studium”, p. 100 ss.68 Dell’episodio narrato da Alberico hanno scritto TIRABOSCHI, Storia della letteratura italiana, IV/2, p. 394 e AFFÒ,Me-

morie, I, p. 84, da rettificare con SAVIGNY, Storia del diritto, II, p. 309, e ne hanno trattato poi, tra gli altri, GIGLIOLA VILLA-TA DI RENZO, La tutela. Indagini sulla scuola dei glossatori, Milano, Giuffrè, 1975, p. 204 e nota 184 e ANDRÉ GOURON,Odon-nances de rois de France et droits savants (XIIIe-XVe siècles), in ID., Juristes et droits, p. 861. Su Luigi IX, cfr. il classico JACQUESLE GOFF, San Luigi, Torino, Einaudi, 1996.

69 Ponendosi sul côté ecclesiastico, non va dimenticato in proposito il caso di magister Cotta, canonico in utroque iuris pe-rito del capitolo di Sant’Eusebio, che ci documenta per la fine del secolo XII stretti rapporti culturali tra la Chiesa vercellese el’ambiente correlato alle forti scuole teologiche parigine. Sappiamo dal suo testamento (datato 1194), che, probabilmente nonsolo, il Cotta si recò a Parigi al fine di emendare i codici utili (quindici in tutto) allo studio della “divina scienza”, testi che, ri-entrato in Italia, avrebbe devoluto alla biblioteca del suo capitolo. Nello spazio in cui condusse la propria esperienza filologi-ca il dotto canonico entrò probabilmente in contatto con grandi intellettuali “parigini” del tempo, quali Pietro Lombardo, ilsuo allievo Erberto di Bosham, Gérard de la Pucelle e Thomas Becket. Cfr. CARLA FROVA, Teologia a Vercelli alla fine del seco-lo XII: i libri del canonico Cotta, in L’Università di Vercelli, p. 311-333, p. 313 ss., p. 321 ss. e EAD., Città e Studium a Vercel-li, p. 94 ss.

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po di muoversi verso altri lidi70. Dapprima fece ritorno nella città natale, poi si trasferì a Modena. Undocumento parmense del 13 luglio del 1233, in cui si menziona la vendita di un’abitazione que fuitUberti de Bobio71, fa pensare che il giurista raggiungesse la città della Ghirlandina nel momento in cui leattività d’insegnamento, interrotte nel periodo 1224-1231 a causa delle lotte tra Modena e la filopapa-le Bologna, erano riprese a spron battente da un paio di anni72, grazie anche alle politiche condotte dalpodestà Gerardo Albini, parmense e ghibellino73. In questa sede il Bobbio fu collega di Uberto di Bo-naccorso (già incontrato a Vercelli) e di Alberto da Pavia74. Insieme a questi docenti, nel 1234 lo incro-ciamo come testimone di un atto rogato nel palazzo comunale con al centro il risarcimento di un debi-to all’autorità civica75. A quanto ci consta, Modena fu soltanto una meta di passaggio prima della defi-nitiva rentrée a Parma, presso cui la presenza di Uberto è attestata (da fonti narrative e tarde)76 nel 1237,allorquando, come advocatus del podestà77, promise all’ambasciatore del comune di Ravenna l’aiuto deiparmensi, dei modenesi e dei cremonesi contro l’invisa Bologna, non appena si fosse spento il fronte pa-vese sul quale Parma e Cremona erano allora impegnate contro Milano.La tradizione78 vorrebbe che, fino alla morte, avvenuta entro il giugno del 124579, Uberto non si spo-

stasse più dalla città natale, quanto meno per ragioni lavorative. Ciononostante, sapendolo poco incli-ne ai lunghi soggiorni e all’apice della propria carriera, meraviglia che Uberto si trattenesse a Parma co-sì a lungo, pur traendo sicura soddisfazione da un insegnamento impreziosito da allievi del calibro di Si-mone di Brion, futuro papa Martino IV80. Non possiamo però pronunciarci a riguardo di suoi ulterio-ri spostamenti, se non altro perché parrebbe ostinato appoggiare la strada, suggerita con estrema caute-

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70 ROSALDO ORDANO, I Biscioni, a cura di ROSALDO ORDANO, Torino, Biblioteca Storica Subalpina, 1976, II/2, n. CCXLIIp. 16, da riferirsi al doc. n. CCXLI.

71 La casa, posta nella vicinia Santa Maria (dunque, nel polo urbano ove si erge la cattedrale), fu venduta al prezzo di 65lire imperiali da dominus Ugo quondam domino Petro de Suspiro. Cfr. ACPr, Secolo XIII, doc. CMXLI.

72 JOHANNES DE BAZANO, Chronicon Mutinense (aa. 1188-1363), a cura di TOMMASO CASINI, in Rerum Italicarum Scrip-tores2, XV/IV, Bologna, Zanichelli, 1917, col. 560, dove, all’anno 1232, è scritto che lo Studio cittadino «recuperatum fuit».

73 Quando Uberto raggiunse Modena, la locale scuola aveva poco a che vedere con quella d’impronta filopapale del pe-riodo precedente di cui trattano MOR, DI PIETRO, Storia dell’Università, I, p. 7-13, ma ciò non ha impedito al Santini di sup-porre che Uberto parteggiasse per il guelfismo, e ciò sulla base di una violenta sparata del parmense contro l’attività fenerati-zia (trattasi di una glossa a D. 22.1.37, contenuta nel Ms. Paris. B. N. lat. 4458, f. 311 rb.), nella quale sarebbe ravvisabile «lacoesistenza nello Studio di Modena, ghibellino, di giuristi con orientamenti politici contrapposti»: SANTINI, Università e so-cietà a Modena, p. 360 ss. Ci si dimenticava tuttavia che una delle Constitutiones Regni Siciliae, promulgate da Federico II pri-ma dell’arrivo di Uberto a Modena, s’intitolava De usurariis puniendis e non andava certo per il sottile nei confronti dei pre-statori con interesse, bollati come «lupi rapaces» e «angeli pessimi». Cfr. ANTONIO MARONGIU, Politica e diritto nella legisla-zione di Federico II, in Il «Liber Augustalis» di Federico II di Svevia nella storiografia, antologia di scritti a cura di Anna LauraTrombetti Budriesi, Bologna, Pàtron, 1987, p. 71 ss. Per il testo della disposizione, vedi Historia Diplomatica Friderici, I/1[1852], p. 5.

74 MOR, DI PIETRO, Storia dell’Università, I, p. 11; II, p. 329.75 GIROLAMO TIRABOSCHI, Biblioteca modenese o notizie della vita e delle opere degli scrittori natii negli Stati del Serenissimo

signor Duca di Modena, Modena, Società Tipografica, 1781, I, p. 49 e SIMEONI, VICINI, Registrum privilegiorum, n. 304-305p. 154-157.

76 Cfr. HIERONYMUS RUBEUS, Historiarum Ravennatum libri decem cum indice amplissimo, VI, Venezia, Aldo Manuzio,1572 [poi ex typographia Guerraea, 1589], p. 412 e BONAVANTURA ANGELI, Historia della città di Parma et descrittione del fiu-me Parma, Parma, Viotti, 1591 [rist. anast. Sala Bolognese, Forni, 1969], p. 116 ss.

77 Sull’impegno avvocatizio dei doctores, cfr. SBRICCOLI, L’interpretazione, p. 53 ss.78 AFFÒ,Memorie, I, p. 85 ss.79 Lo evinciamo dal testamento del canonico Gerardo Manente, steso nel giugno del 1245, dove si cita un’abitazione ap-

partenuta a Ugone da Cremona et quondam Domini Uberti de Bobio. Si veda ACPr, sec. XIII, doc. MLXX.80 SALIMBENE DE ADAM, Cronica, II, p. 744.

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la dal Böhmer81, che portava a identificare con Uberto da Bobbio il misterioso docente di diritto civiledenominatomagister U., assegnato da Federico II a Vercelli su petizione della stessa città piemontese do-po la battaglia di Cortenuova82. Sappiamo oggi che supposizioni fondate, ma non risolutive, spingonoverso l’identificazione diU. con Uberto di Bonaccorso83, ma, forse perché il nodo non è stato ancora per-fettamente sciolto, l’episodio esercita ancora una certa facoltà di seduzione. Ad ogni buon conto, acco-gliere l’eventualità dubbia del Bobbio o quella più logica dell’altro Uberto cambia poco, quando andia-mo a focalizzare l’attenzione sul dato che la questione in gioco fa trasparire. Alludo alla sollecitudinemanifestata dall’imperatore nel gestire il reclutamento degli insegnanti di diritto nelle città schierate dal-la sua parte, che autorizza a immaginare Federico II come una specie di deus ex machina, che spinge eforza per eterodirigere la scelta dei podestà e dei docenti, entrambe categorie impegnate a costruire, ap-plicare e diffondere un’idea uniformante del diritto e, quindi, di stato.Sia come sia, nel suo secondo periodo parmense Uberto non restò con le mani in mano, tant’è vero

che proprio in questi anni potrebbe cadere la redazione del Libellus cautelae. Questo è ciò che induconoa credere le prime supposizioni che Nicoletta Sarti, che del trattato sta curando l’edizione per il Consi-glio Nazionale Forense, ha enucleato e voluto con inusuale generosità condividere, fornendomi alcunedelle episodiche e velate notizie biografiche disseminate nell’opera. Attingendo ad esse, veniamo a sape-re, ad esempio, che Uberto decise di misurarsi con il trattato su imbeccata di un godereccio (optimus po-tator) allievo inglese (taleMauritius) e che fu motivato nella stesura dall’eloquente ambizione di dispor-re una regola dell’ars advocatorum che fosse equiparabile a quella che San Benedetto da Norcia aveva ap-prontato per il proprio ordine monastico. Composto probabilmente negli ultimi anni o mesi di vita, ilLibellus cautelae potrebbe essere ritenuto dunque il simbolico lavoro di una vita, nel senso del più rap-presentativo dell’intero percorso professionale e della concezione pratica di diritto di Uberto.Con ciò viene a chiudersi – a dire il vero, restando spalancata a nuove suggestioni e ulteriori verifi-

che – la nostra storia, non prima però di avere detto che, nei decenni successivi alla morte, troveremoancora un Uberto da Bobbio in circolazione in area emiliana. Si tratta del figlio del giurista, che i Regi-stri Vaticani dicono canonico presso la cattedrale di Modena negli anni Ottanta del Duecento84. Deglistudi, della carriera, della sorte di quest’ultimo restiamo all’oscuro, ma è molto facile pensare che la suafigura sia stata per sempre adombrata da quella del padre.Tentiamo ora di andare al cuore della geografia degli spostamenti tracciata da Uberto da Bobbio nel

corso della sua non lunghissima esistenza (ca. 1190-1245), che, lo si sarà intuito, è l’aspetto che ho tesoa privilegiare nella mia comunicazione. Dietro un curriculum a dir poco significativo, conchiuso nelle me-te di Reggio, Modena, Parma e Vercelli, s’intuiscono in effetti relazioni che vanno al di là della profes-sione docente e che, come binari, riuscirono a guidare – forse a predefinire – le carriere di alcuni docenti.Insomma: come è possibile che chi insegnava a Reggio finisse spesso a Vercelli, Modena e talora a Na-poli? Anche se tali tappe non venivano rispettate esattamente in questo ordine, diversi docenti che sitrovarono a legere presso le città ora elencate finirono per avere destini accademici convergenti. Vi sarebbe

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81 BÖHMER, Regesta imperii, V, 1,1, n. 2314.82 La questione è trattata in una missiva federiciana spedita dopo il 1238, quando, in seguito alla batosta di Cortenuova,

Vercelli era venuta riappacificandosi con lo Staufen: KANTOROWICZ, Federico II, imperatore, Milano, Garzanti, 1976, p. 460.83 Nel 1240 il Bonaccorso si trovava a Vercelli per comporre una controversia in materia di acque sollevatasi all’interno del-

la famiglia Avogadro, rivestendo in quell’occasione il ruolo di assessor e consiliarius. Vedi ARCHIVIO DI STATO DI VERCELLI, Fa-miglia Avogadro di Quinto, Pergamene, n. 2, citato da SOFFIETTI, L’insegnamento civilistico, p. 231 ss.

84 Registres de Martin IV (1281-1285), ed. FRANÇOIS OLIVIER-MARTIN, Paris, Bibliothèque des Écoles françaises d’Athè-nes et de Rome, 1901-1935, nota 521 a p. 249.

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da chiedersi per quale ragione tali coindicenze si presentarono così frequentemente negli anni in cuiUberto da Bobbio insegnò, che è poi l’interrogativo che abbiamo fino adesso rimandato o mai aperta-mente formulato. Uscendo finalmente allo scoperto, diremo che la risposta che possiamo dare a un tan-to pesante quesito è che il sistema di alleanze costruito dalle città filoimperiali fungesse da sfondo ai mo-vimenti di un preciso giro di doctores legum, i quali, per ragioni le più varie e per convenienze garantite,si trovarono avvinti a uno schieramento politico. È naturalmente lungi da me l’idea di proporre leggi de-terministiche – d’altra parte sempre fuori luogo per l’età medievale – riguardo a questi intrecci. So beneche i docenti di diritto, soprattutto se di grande fama, in anni in cui il diritto dava e toglieva forza alleistituzioni politiche, potevano muoversi per attrattiva economica e ambizione. Ciononostante, il reite-rarsi di certe coincidenze di luoghi e di nomi invita a riflettere. Qualcuno potrà obiettarmi che, rispet-to a Parma, Reggio, Modena e – va da sé – a Napoli, Vercelli non fu sempre dalla parte di Federico II,ma è pur vero che nella città piemontese la famiglia, reggiana e schierata con la corona, dei Da Sesso fupotente sia nelle stanze dei bottoni (Ugolino) sia dentro lo Studio (ancora Ugolino e Giuliano). È pos-sibile, in sostanza, che questa influente casata emiliana potesse istituire un ponte privilegiato, per non di-re un asse di ferro, tra Vercelli e Reggio-Parma, tutte città con cui Ugolino ebbe peraltro saldi legami85.Ciò detto, non pare azzardato pensare a questo fronte di città “universitarie” filoimperiali come a una

specie di idra con una testa maggiore, lo Studium di Napoli, e una serie di teste di dimensione inferio-re, che sarebbero le scuole minori preesistenti o di nuova fondazione, prosperate in seguito alla genesi del-lo Studio partenopeo. Tutti questi centri di studio erano annodati non solo da possibili e recenti legamipolitici, ma anche da un’idea del diritto sensibile – e già sintonizzata per autonoma tradizione – alla vo-lontà e alle intenzioni di Federico II86. Si trattava di una corrente giurisprudenziale che, pur rivolta allatradizionale esegesi del Corpus iuris civilis, non era per nulla rinchiusa in sé stessa87, ma, vivacizzata daintelligenze aperte all’empirismo, andava intersecando l’attività teorica con quella battagliera del foroper scolpire dalla materia grezza della realtà assiomi e soluzioni utili soprattutto nelle aule di giudizio88.Questa forte apertura al mondo dei tribunali si ripercosse anche nell’attività didattica, laddove venneesprimendosi attraverso l’utilizzo in aula della tecnica delle quaestiones e nella produzione di una libelli-stica dedicata89. Un tale versante giuridico esperienziale lo si potrebbe connettere, così, al tono funzio-nariale e meno ambizioso sul piano scientifico della cultura giuridica di ambito non-bolognese che lescuole filoimperiali di Parma e di Reggio – come anche, in massimo grado, la scuola di Pavia capitale90

– espletavano tradizionalmente da quando, in tempi preuniversitari, il diritto, masticato dentro o attor-

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85 Sulle basi storiche della fedeltà tra queste quattro città e sul ruolo mediatorio svolto da Cremona al fine di smussare glispigolosi rapporti tra le – comunque – ghibelline Modena e Reggio, cfr. MASSIMO VALLERANI, I rapporti intercittadini nella re-gione lombarda tra XII e XIII secolo, in Legislazione e prassi istituzionale nell’Europa medievale. Tradizioni normative, ordina-menti, circolazione mercantile (secoli XI-XV), a cura di GABRIELLE ROSSETTI, Napoli, Liguori, 2001, p. 235 ss., p. 238, 241, 259ss. Si noti che membri del lingaggio sessiano tornano più volte nei sei volumi dei Biscioni, i libri iurium vercellesi editi a curadi GIULIO CESARE FACCIO - M. RANNO - ROSALDO ORDANO, Torino, Miglietta, 1934-1994.

86 GIROLAMO ARNALDI, Fondazione e rifondazioni dello studio di Napoli in età sveva, in Il pragmatismo, p. 105-123 e MAN-LIO BELLOMO, Federico II, lo “Studium” a Napoli e il diritto comune nel “Regnum”, in ID., Medioevo edito e inedito, III, Profilidi giuristi, Roma, Il cigno Galileo Galilei, 1998, p. 139-156.

87 GIOVANNI SANTINI, Giuristi collaboratori di Federico II. Piano di lavoro per una ricerca d’«équipe», in Il «Liber Augusta-lis», p. 346.

88 CORTESE, Il Rinascimento, p. 78.89 BELLONI, Le questioni civilistiche, p. 59.90 Per inquadrare l’importanza del sacro Palatium pavese quale vertice organizzativo della giustizia regia dall’età longobar-

da fino al primo secolo XI, cfr. ANTONIO PADOA SCHIOPPA, La cultura giuridica, in Storia di Pavia, II, L’alto Medioevo, a curadi Banca del Monte di Lombardia, Milano, Industrie grafiche pubblicità, 1987, p. 219-235.

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no alle cattedrali, tornava essenziale alla formazione retorico-giuridica dell’alto funzionariato vescovile oimperiale91. Da questa tradizione poco libresca rampollarono nel Duecento scuole orientate, rispetto aBologna, a forgiare pratici piuttosto che docenti-intellettuali. È riconosciuto, infatti, che questi giuristimediopadani – nipoti di quell’ancora magmatico universo di giureconsulti che, nel passato matildico,«avevano acceso la fiammata romanistica preirneriana» – costituissero una corrente alternativa, giacchérivolta all’azione processuale e all’avvocatura, come testimonia peraltro quella trattatistica procedurale che,creata dal nulla alla fine del secolo XII, trovò il suo apogeo nel pieno Duecento92. In tal senso verrebbeperciò a rafforzarsi la similitudine tra le funzioni ricoperte dallo Studio di Napoli e quelle ricoperte dal-le scuole minori93, quasi che l’urgenza di formare un preparato personale statale per cui lo Studio parte-nopeo (sorta di Alma Mater del sud Italia, con chimeriche velleità di rimpiazzare quella del nord) era sta-to fondato si venisse irradiando – insieme alla sua idea di un diritto dall’«impostazione professionaliz-zante»94 – in area padana, in centri distanti dai confini della Sicilia dal punto di vista geografico, ma nonda quello politico.Ebbene, tra i numi di questa nouvelle – o, forse è meglio dire, ancienne – vague della scienza legale vi

furono anche Uberto da Bobbio, il modenese Uberto di Bonaccorso, il piacentino Ugolino Fontana,Accursio da Reggio, il cremonese Omobono Morisio, e, più tardi, Martino da Fano, Jacopo d’Arena eGuido da Suzzara. Docenti vicini di casa che presero talvolta la rotta di Napoli e dell’Italia meridionale,dove influenzarono il pensiero dei giuristi di quelle terre95, come a dire che, dal bacino di professori chesciamavano presso le scuole di diritto padane e soprattutto emiliane, l’imperatore attinse per istruire i fu-turi amministratori del Regnum Siciliae96. Non stupirebbe allora se, dispensando il proprio insegnamentoin città predisposte da un identico orientamento politico ad accogliere un certa idea di cultura giuridi-ca, Uberto da Bobbio potesse costituire uno dei nodi di questo macroscopico intrico relazionale – in cuisi fatica a disgiungere, nei singoli docenti che ne facevano parte, la vicenda scientifica da quelle politica– governato in qualche modo da Federico II.Ho così lambito solo la scorza di un filone investigativo che meriterebbe forze congiunte e collettive

per essere meglio problematizzato, magari attraverso ricerche che vadano a sondare la morbida sovrap-ponibilità – non sempre in asse, non sempre immediata – tra il bacino di reclutamento podestarile equello di circolazione dei legis doctores, i quali, agendo pur sempre in autonomia, finirono di fatto permuoversi intorno agli stessi centri di studio, operando scelte di campo sul piano professionale che risul-tarono condizionate da quella «estesa rete (non istituzionalizzata)» intercittadina e interuniversitaria cheloro stessi, con il trascorrere del tempo, spostandosi di regione in regione, interferendo con le autoritàciviche, avevano provveduto a intrecciare e affinare, facendosi forti della tendenza a relazionarsi conna-turata al transnazionalismo – anzi, all’universalismo – della scienza giuridica romana97.

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91 Cfr. CINZIO VIOLANTE, Anselmo (da Besate), inDizionario Biografico degli Italiani, Roma, Treccani, I, 1961, p. 407-409.92 CORTESE, Il Rinascimento, p. 27 e ID., Il diritto nella storia, II, p. 117.93 ENNIO CORTESE, Scienza di giudici e scienza di professori tra XII e XIII secolo, in Legge, giudici, giuristi. Atti del Convegno

(Cagliari 18-21 maggio 1981),Milano, Giuffrè, 1982, p. 117 ss. e ID., Legisti, p. 275 ss.94 ARNALDI, Fondazione e rifondazioni, p. 112.95 MANLIO BELLOMO, Sulle tracce d’uso dei “Libri legales”, in ID.,Medioevo, I, p. 130 ss.96 SANTINI, Giuristi collaboratori, p. 346 ss.97 HAROLD JOSPEH BERMAN, Diritto e rivoluzione. Le origini della tradizione giuridica occidentale, Bologna, 2006, p. 167 e

BELLOMO, Società e istituzioni, p. 417.

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