Una storia fatta a persona: contributi per un dizionario biografico trentino del XX secolo

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Il Novecento trentino, un secolo contrassegnato da cambiamenti rivoluzionari e dirompenti contraddizioni, qui raccontato attraverso le biografie di dieci personaggi trentini dell’epoca. Un tentativo di svelare legami, contiguità, discontinuità e concatenazioni in un tessuto di eventi ricco e articolato e collocato in un’area geografica dai connotati peculiari.

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Una storia fatta apersonacontributi per un

dizionario biografico trentino del Novecento

a cura diRodolfo Taiani

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Premessa

Nel volume sono raccolti dieci interventi relativi ad altrettanti personag-gi trentini vissuti nel XX secolo.Lo scopo è quello di contribuire nello sguardo d’insieme a svelare legami,contiguità, discontinuità e concatenazioni in un tessuto di eventi assaipiù ricco e articolato di quanto i singoli saggi possono permettere di intui-re o la delimitazione di un’area geografica consentire.Il volume è formato da quanto è già comparso pubblicato sulla rivista delMuseo storico in Trento, Archivio trentino di storia contemporanea primae Archivio trentino poi, a partire dal 1996. Tutti gli articoli, pur mante-nendo la forma originaria, hanno subito un intervento di riadattamento ecorrezione e talvolta di aggiornamento almeno nei riferimenti bibliografici.Il risultato complessivo non è certo omogeneo, poiché diversi sono gliapprocci seguiti dai vari autori. Non manca, tuttavia, unitarietà nella mi-sura in cui ognuno d’essi apporta il proprio tassello di conoscenza allalettura di un secolo contrassegnato da traumatici cambiamenti e dirompenticontraddizioni.Questa raccolta di scritti è anche occasione per impostare possibili lavorifuturi: da una parte la produzione di un dizionario biografico trentino delNovecento e dall’altra la pubblicazione di volumi nei quali recuperaretematicamente articoli e contributi già apparsi sulla rivista di studi delMuseo storico in Trento e che nella loro riproposizione costituiscano siamomento di sintesi del cammino svolto, quanto sollecitazione in direzio-ne di ulteriori approfondimenti o di apertura verso nuove prospettive diricerca.La realizzazione del volume rientra inoltre fra le iniziative pensate in ac-cordo con l’Associazione culturale Francesco Gelmi di Caporiacco per

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6 rendere omaggio a Piero Agostini, giornalista di grande spessore umanoe professionale. Per la prima volta compare, infatti, un profilo scritto dalfiglio Angelo e composto grazie ai ricordi e alle suggestioni di alcuni fracoloro che ebbero la fortuna di lavorare al suo fianco.Anche la terza edizione del premio Francesco Gelmi di Caporiacco, svol-tasi nel corso del 2005 e aperta alla partecipazione di frequentanti le scuoledi giornalismo e tirocinanti presso quotidiani, periodici e radio-tv, è statadedicata a Piero Agostini.Le due iniziative trovano collegamento e fondamento nella prospettivasuggerita da Piero Agostini stesso, che indicava nel giornalismo un mezzostraordinario e insostituibile per contribuire alla costruzione di quel sensodella storia – «che è poi il ‘senso’ delle società, nel suo territorio, con i suoiconflitti, con le sue conquiste» – indispensabile a cogliere gli orientamentifuturi dello sviluppo civile e culturale di qualsiasi comunità umana.

r. t.

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Piero Agostini

Angelo Agostini*

Piero Agostini

1.Le parole e la vita. La sua vita, cer-tamente, che era ricca d’amicizie ed’affetti, che s’esprimeva tuttaviaprima di tutto nel lavoro. Un lavorocostruito di parole sulla vita degli altriche erano soggetto, tema e interlo-cutore del suo mestiere di giornali-sta, storico e scrittore.Sergio Zavoli aveva usato il tasto del-la politica e della passione. A pocheore dalla morte improvvisa, unanotte d’estate del 1992, l’aveva ri-cordato così:

«in tempi in cui una società gras-sa non rinunciava tuttavia adavere un’anima, ha messo insie-me un’idea di crescita collettivasostenuta da un fondamento: chela politica significa ‘uscirne insie-me’ in nome di qualcosa che valeper ciascuno e per tutti».

Laura Mezzanotte, giornalista cre-sciuta alla sua scuola a l’Adige diTrento, aveva trovato una nota com-plementare:

«Ci ha fatto amare il giornalismo,Piero Agostini. Capire che è unmestiere delicato, difficile, fatto dilinee sottili che dividono la vol-garità dalla vita. Ci ha insegnatoche la libertà è diritto e dovere discegliere».

* Questo testo è stato redatto sulla base di materiali, appunti ed altri testi preparati daSergio Borsi, Toni Cembran, Sandra Tafner e Toni Visentini. Le foto che illustrano l’articoloprovengono dall’Archivio de l’Adige.

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Angelo Agostini

Lui, di se stesso, aveva scritto paro-le che ancora oggi, nel tempo, sem-brano integrare ciò che amici e col-leghi avevano saputo trovare in quelmomento sospeso, quello dello stu-pore e del dolore. Assumendo la di-rezione di Bresciaoggi s’era lasciatosfuggire uno sprazzo biografico:

«Se, per un istante, devo parlareanche di me, lo faccio senzaespressioni di circostanza. Amo ilmio mestiere. Amo la vita neigiornali che è, come tanti sanno,coinvolgente fino a diventarequalche volta totalizzante.In fatto di direzioni ho avuto qual-che privilegio (e la cocciutaggi-ne) di poter fare delle scelte, di-cendo ‘sì’ solo di fronte a una si-curezza d’inarrivabile fascino:quella che la mia avventura uma-na e professionale si sarebbe ar-ricchita in ambienti giornalisticiad alta intensità di partecipazio-ne, fra tensioni civili e culturalicapaci di trasformare ogni gior-nata di lavoro in una giornata diautentica ricerca sul campo, den-tro rapporti non banali ma inten-si, forti, laboriosi (faticosi, certofaticosi!) con la società, con le sueistituzioni, con la sua storia, con isuoi cambiamenti strutturali, eco-nomici, di costume, perfinod’umore.Un giornalismo che abbia in séanche il senso della storia – cheè poi il ‘senso’ della società, nelsuo territorio, con i suoi conflitti,

con le sue conquiste – è, com’èovvio, l’espressione massima delgiornalismo stesso. È difficile checiò avvenga? Lo è tanto. Anzi, loè tantissimo, al punto che l’ope-razione non sempre riesce. Mal’operazione non può nemmenoessere tentata se alla sua base dipartenza non ricorrono tutti, nes-suno escluso, quei requisiti di in-tensa partecipazione, quelle ten-sioni civili e culturali, quella fati-cosa voglia di ricerca, quei rap-porti non banali, quella società,quelle istituzioni, quella storia,quei cambiamenti che poco fa,qualche riga sopra, ho somma-mente tentato di individuare».

A quelle sul versante pubblico (e col-lettivo, professionale, sociale e cul-turale) del giornalismo aveva poi sa-puto anche affiancare le parole perdescrivere quello personale. Paginanecessaria e indispensabile per com-prendere come nella sua storia digiornalista avesse trovato posto lavocazione dello storico, o del ricer-catore, del narratore di vicende fuo-ri dai confini dell’attualità quotidia-na. E così ha raccontato:

«quella sorta di conflitto tantomasochistico, tanto carico di pic-cole e grandi carognerie, che ognigiornalista che si rispetti è abitua-to a ingaggiare con se stessoquando si punzecchia su un ag-gettivo, si tormenta su un avver-bio, si macera su un’idea da get-tare per sostituirla con un’altra

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Gigino Battisti

Giuseppe Ferrandi

Gigino Battisti

Roma, 4 novembre 1924, Piazza delPopolo. Duemila aderenti dell’asso-ciazione democratica e combatten-tistica «Italia Libera» danno vita aduna manifestazione per celebrare lavittoria della guerra conclusasi seianni prima e per protestare contro ilfascismo e il governo Mussolini. Adun certo punto squadre fasciste ir-rompono sulla piazza. Sono armati:sparano e terrorizzano i manifestan-ti. Alcuni ex-combattenti rispondo-no all’aggressione. Tra questi trovia-mo un giovane studente che a Romasi sta laureando in scienze economi-che, di cognome si chiama Battisti,come suo padre Cesare, di nomeLuigi, per tutti Gigino.I fascisti dimostrano di temere «Ita-lia Libera», l’associazione nata nelluglio del 1923 da un gruppo di excombattenti della sinistra repubbli-cana tra i quali, oltre al ventiduenneBattisti, la medaglia d’oro RaffaeleRossetti, l’ex segretario del partito

repubblicano e direttore della Vocerepubblicana Fernando Schiavetti, ildeputato Cipriano Facchinetti eRandolfo Pacciardi. Tutti uomini cheritroveremo tra i protagonisti dell’anti-fascismo militante e tra i dirigenti dellaResistenza italiana.All’indomani della manifestazione, ilDirettorio nazionale del PNF attac-cava pubblicamente il gruppo pro-motore, accusandolo di aver turba-to le solenni celebrazioni. In parti-colare, a pochi mesi dall’assassiniodi Giacomo Matteotti, i fascisti nonsopportano che gli ex-combattentiabbiano voluto promuovere «unagiornata antifascista all’ombra dellacelebrazione della Vittoria», distur-ba enormemente che tra i manife-stanti, studenti ma anche decoratidella Grande Guerra, figurino il ni-pote di Garibaldi e il primogenito diBattisti1.Da tempo contro Gigino era iniziatauna violenta campagna della stam-

1 Il documento è riportato sul quotidiano L’Impero. Roma, 6-7 novembre 1924.

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pa fascista. Il Corriere italiano, di-retto da Filippo Filippelli (giornale edirettore coinvolti nel delitto Matteot-ti), aveva pubblicato, attribuendolaa Gigino, la ricevuta di denaro di unBattisti, che poi, di nome, si rileveràOliviero, quale partecipante alla mar-cia su Roma, con l’accusa che di queldenaro non era poi stato dato rego-lare resoconto.La dura lettera di protesta di Giginovenne pubblicata da La Voce repub-blicana, ottenendo la diretta e ufficialesmentita da parte di Mussolini. Ma lastampa fiancheggiatrice del fascismo,compreso il trentino Brennero, con-tinuò in una campagna senza tregua,condita dall’invettiva, l’insulto, la ca-lunnia.Il quotidiano politico L’Impero del 29febbraio 1924, pubblica un corsivodal titolo eloquente «Il Martire N. 2»,firmato dal direttore Mario Carli, cheprovocatoriamente scrive:

«se la grande ombra di CesareBattisti potesse aver voce e giudi-care l’opera... dissidente del pro-prio rampollo, con molta probabi-lità lo accuserebbe di averlo unaseconda volta impiccato. […].Fatte le debite proporzioni, ancheGigino comincia ad essere circon-fuso dall’aureola del martirio. È unmartirio un po’ diverso da quello

paterno: si capisce, i tempi progre-discono, e al posto della forcaasburgica ci sono le colonne deigiornali. Così, al posto di una testapenzolante sulla quale il cielo scen-de benedicendo, c’è una firma unpo’ sbilenca che ha tutta l’aria diessere irritata e indignata. […].Poiché oggi – conclude Carli –non sono più tempi di forca, poi-ché da Cesare a Gigino c’è unacerta differenza di statura e dicontenuto spirituale, è giusto cheil martire N. 2 si accontenti di ve-dere la propria firma crocefissasu qualche giornale»2.

Minacce, insulti, solo apparentemen-te dissimulati da un’intonazione va-gamente satirica. Dopo la manife-stazione romana del novembre1924, è Roberto Farinacci, futurosegretario nazionale del fascio, chedalle colonne di un giornale di pro-vincia, si rivolge a Battisti, con unconsiglio «Gigino… fai meno il Gi-gino»3, questo è il titolo dell’artico-lo, che rilancia il ritornello del gran-de padre, il Martire, che guarda in-fastidito al comportamento del pic-colo e insignificante figlio.

«Non è scritto che i figli degli eroi,dei genii, dei martiri, debbanonecessariamente essere eroi,genii o martiri».

2 Mario CARLI, «Il martire n. 2». L’Impero. Roma, 29 febbraio 1924.3 Roberto FARINACCI, «Gigino… fai meno il Gigino». Cremona nuova. Cremona, 11 novem-bre 1924.

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Elsa Conci

Primogenita di cinque sorelle, Elsa(Elisabetta) Conci nacque a Trentoil 23 marzo 1895, figlia dell’avvoca-to Enrico Conci, futuro deputato allaDieta di Innsbruck e al Parlamentodi Vienna, e di Maria Sandri. Dallafamiglia ebbe un’educazione profon-damente religiosa che improntò tut-ta la sua vita.Frequentò il liceo privato femminiledelle suore Orsoline ad Innsbruck,dove conseguì la licenza «con distin-zione» il 4 luglio 1915. Nel dicem-bre di quell’anno si diplomò pure inpianoforte. Dopo aver conseguita lalicenza liceale, raggiunse il padre chedal giugno 1915 si trovava confina-to a Linz con la famiglia. Contro dilei venne avviato un processo perirredentismo, che però non arrivòalla sentenza per la sopravvenutaamnistia alla morte dell’imperatore

Francesco Giuseppe. Nell’autunno1915 si iscrisse alla facoltà di filoso-fia dell’Univeristà di Vienna, facoltàche frequentò per tre anni, fino al-l’ottobre 19181.Finita la guerra, passò alla facoltà dilettere dell’Università di Roma, dovesi laureò con lode il 2 dicembre1920, discutendo la tesi «Il Mefisto-fele di Arrigo Boito come espressio-ne del romanticismo milanese». Unsaggio della tesi, rielaborata, vennepubblicato nel 1921 dalla rivistaStudium di Roma2. Nel periodo uni-versitario Conci fu molto attiva nel-la Federazione universitaria cattoli-ca italiana (FUCI)3 e ne divenne inseguito presidente della sezione ro-mana. Un corso di esercizi spiritualitenuto ad Intra dall’assistente eccle-siastico nazionale di tale associazio-ne, mons. Pini, fu determinante per

Sergio Benvenuti

Elsa Conci

1 Museo storico in Trento, Archivio Conci, fasc. 60, attestati scolastici e curriculum degli studi. 2 CONCI Elsa 1921. 3 Sulla FUCI che, fondata nel 1896 a Fiesole, ebbe alle origini l’impronta del movimentosociale di Romolo Murri, si veda FANELLO MARCUCCI 1971.

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Sergio Benvenuti

indirizzare la sua vita all’ideale evan-gelico della carità e del solidarismo.Dal 4 al 6 settembre 1920 partecipòal congresso nazionale di Trento del-la FUCI, presieduto da AlcideDegasperi, che si svolgeva contem-poraneamente alla prima assembleadell’Associazione universitaria catto-lica trentina (AUCT). In quel con-gresso la Conci tenne una relazionesu «La moralità della giovane»4, nellaquale trattò della formazione mora-le dell’universitaria che si sarebbedovuta porre come dovere moraleper reagire ad ogni forma di immo-ralità nelle università. Tale formazio-ne acquistava per lei un significatoparticolare per l’influenza che la don-na poteva esercitare sui suoi com-pagni di studi, con il suo contegnosemplice ed onesto. Nella sua rela-zione sottolineò pure come le uni-versitarie avessero avuto molta par-te in seno alle sezioni di Roma, Pa-dova, Pavia e Firenze, riconoscen-do e lodando l’opera da esse svoltanel dopoguerra.Vinta nel 1923 la cattedra di linguatedesca nei licei scientifici, rifiutò l’as-segnazione al liceo di Pavia, chel’avrebbe tenuta lontana dall’am-biente trentino nel quale aveva giàiniziato un’intensa opera di organiz-zazione della gioventù femminile.Preferì una cattedra di tedesco pres-so l’Istituto tecnico inferiore Leonar-

do da Vinci di Trento dove insegnòper quindici anni. La scuola rappre-sentò per lei il primo campo di azio-ne sociale. Interessata all’ambientefamiliare dei propri alunni, quandoancora non era nata l’idea del do-poscuola, ne creò uno privato egratuito che arrivò ad avere fino a35 alunni. A questo lavoro parasco-lastico si aggiungeva quello chesvolgeva con grande passione nel-l’ambito dell’Azione cattolica, orga-nizzando tra le giovani gruppi di as-sistenza caritativa a favore dei po-veri.Fin dai primi anni d’insegnamentoorganizzò nella scuola il Natale delpovero per numerosi alunni biso-gnosi e assunse a suo carico tutte lespese per il mantenimento di dueorfani di un istituto del Tirolo. Si pre-se pure cura di alcuni ragazzi orfanio senza famiglia che assistette comeuna madre nel suo appartamento divia Santa Trinità; in seguito, nel1927, le fu offerto un appartamen-to più grande. Anche il giudice deiminori di Trento si rivolgeva a lei perqualche caso particolare. Dal 1939al 1945 insegnò tedesco nell’Istitutotecnico Tambosi di Trento.Il 3 febbraio 1933 venne iscritta alFascio femminile di Trento, ma fa-scista non fu mai. Quando il gover-no approvò le leggi razziali, ElsaConci, in un quaderno manoscritto

4 FANELLO MARCUCCI 1971: 145-146. Si confronti pure PICCOLI – VADAGNINI 1985: 322.

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Enrico Conci

Sergio Benvenuti

Enrico Conci

Enrico Conci nacque a Trento il 24giugno 1866 da Germano Conci, diMollaro in Valle di Non, notaio, e daMaria de Zinis. Ebbe in famigliaun’educazione improntata profon-damente ai principi della religionecattolica che lo ispirarono nel corsodei novantaquattro anni della sualunga vita. Dal 1877 al 1885 fre-quentò gli studi secondari, dappri-ma presso il ginnasio di Stato diTrento, poi in quello dei P.P. Bene-dettini di Merano, infine nuovamen-te nel ginnasio di Trento dove, il 31luglio 1885, conseguì il diploma dimaturità.Il 12 dicembre 1885 s’iscrisse allafacoltà di giurisprudenza dell’Univer-sità di Innsbruck, con l’intenzione diintraprendere la carriera notarile sul-le orme del padre, e, il 23 giugno

1886, alla stessa facoltà dell’Univer-sità di Vienna.

«Applicandomi agli inizi della miavita universitaria allo studio del-la lingua inglese – scriverà eglinelle sue memorie1, rimaste ine-dite – restavo particolarmente im-pressionato da un proverbio chediceva essere l’uomo tanto più fe-lice quanto meno egli si occupadi affari pubblici (‘men are morehappy the less they are involvedin pubblic affairs’): malgrado quelmonito le mie occupazioni digran lunga preponderanti sonosempre state di natura pubblica».[…] Se tuttavia mi sono determi-nato a dedicarmi alla vita pub-blica, lo ho fatto solo ritenendodi compiere un preciso dovere».

Il 18 giugno 1890 si laureò in giuri-

1 Museo Storico in Trento, Fondo Conci, fasc. 33, I miei ricordi, p. 6. Queste memoriehanno il carattere di un racconto semplice e quasi familiare, e, in quanto basato quasiesclusivamente sul ricordo di fatti lontani, come scrive lo stesso Conci, «necessariamentemolto difettoso e slegato, col solo pregio di essere pienamente sincero e, almeno nelleintenzioni, esatto» (cfr. prefazione a p. 1).

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sprudenza all’Università di Innsbrucke, il 15 dicembre dell’anno seguen-te, superò l’esame pratico notarile.Iniziò subito la pratica di avvocaturapresso l’avvocato Gaetano Gilli aTrento.Ma l’anno 1891 fu particolarmenteimportante per il Conci anche perun fatto che si rivelò determinanteper la sua scelta di dedicarsi alla vitapolitica. Ai primi di marzo si eranosvolte a Trento le elezioni al Parla-mento di Vienna e suo padre vi ave-va partecipato come candidato delpartito clericale, ma riuscì eletto alsuo posto il candidato liberale Gio-vanni Ciani. Alla sera del giorno 8 sitenne una dimostrazione ostile sot-to la casa di Germano Conci conurla e fischi. Il figlio Enrico reagì scri-vendo ancora il giorno seguente unadichiarazione di protesta che inviòai due giornali clericali che usciva-no a Trento, Il popolo trentino deiclerico-nazionali e La voce cattolicadei clerico-conservativi, in cui pro-clamava piena solidarietà con suopadre e dichiarava decisamente diprofessarne le medesime idee sia sulpiano religioso come su quello poli-tico-nazionale. La dichiarazione ven-

ne pubblicata dai rispettivi giorna-li2, accompagnata da vivi apprezza-menti: ciò, oltre che procurare unagrande soddisfazione a suo padre,decise anche della via ch’egli avreb-be intrapresa nella vita pubblica.Il 28 aprile 1893 sposò Maria Sandri,dalla quale avrà cinque figlie: Elisa-betta (Elsa), Lidia, Amelia, Emma eIrma. Nel novembre 1895 venneeletto alla Dieta di Innsbruck, ma,non avendo ancora compiuto itrent’anni, la sua elezione non fuconvalidata. Venne rieletto nel no-vembre dell’anno successivo per i di-stretti rurali di Cles, Malé, Fondo eMezzolombardo. Iniziò così la suavita politica militando nel partitoclerico-conservativo.I deputati trentini alla Dieta pratica-vano allora la tattica dell’astensioni-smo, per protesta contro l’atteggia-mento della maggioranza tedescache si opponeva alla loro richiestadi autonomia amministrativa delTrentino dalla Provincia tirolese. Matale tattica andava sempre più rive-landosi sterile, perché di fatto lascia-va la maggioranza tedesca sola pa-drona dei deliberati dietali. Per que-sto si pensò di passare dall’astensio-

2 CONCI Enrico 1891a e CONCI Enrico 1891b. In particolare La voce cattolica scriveva acommento della dichiarazione: «Lode e ammirazione a questo giovane atleta che può ser-vire da modello alla studiosa gioventù, e le nostre congratulazioni al fortunato genitore. Voidite, o liberali, che i preti quando si presentano candidati al Parlamento lo fanno per sete didominio; dateci avvocati della tempra e de’ sentimenti di questo giovane, ed allora i vostrideputati saranno pure i nostri ed i preti i primi voteranno pei vostri candidati sicuri che alParlamento difenderebbero come si conviene i diritti della religione avita».

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Alfredo Degasperi

Sergio Benvenuti

Alfredo Degasperi

Alfredo Degasperi era appena ven-tenne quando, il primo novembre1911, iniziò a pubblicare a RoveretoLa Voce Trentina1, una «Rassegnad’idee per gli Italiani in Austria». Ilperiodico, prima quindicinale e poia scadenza irregolare, s’ispirava allaben più famosa Voce di Prezzoliniche aveva iniziato le pubblicazionia Firenze qualche anno prima, nel1908, ed aveva anche avuto fin dal-l’inizio l’incoraggiamento del lette-rato fiorentino. Esso ebbe vita bre-ve: ne uscirono infatti solo 12 nu-meri, fino al 13 settembre 1912, conuna tiratura di circa 500 copie.Pur con gli evidenti limiti dovutiall’immaturità e all’inesperienza deldirettore, come di alcuni collabora-tori, scelti soprattutto nella cerchiadei suoi giovani amici, La Voce Tren-tina costituì comunque un’esperien-za originale e significativa per il gior-nalismo trentino del tempo.Il periodico gravitava nell’orbita del

futurismo, aveva una forte conno-tazione nazionale ed esprimevaspesso, sul piano culturale, tenden-ze radicali. Esso si poneva soprat-tutto il fine di un rinnovamento ab

1 Una collezione completa de La Voce Trentina è conservata nella Biblioteca comunale diTrento. Su La Voce Trentina si confronti in particolare CARPI 1979: 16-34.

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imis della cultura trentina, nel tenta-tivo di saldarla alla cultura italianain uno dei suoi centri più vivi, Firen-ze con il movimento che faceva capoa La Voce.Parecchi dei collaboratori de La VoceTrentina scrivevano pure su La Vocedi Firenze. Alcuni sarebbero poi di-venuti famosi nei campi della lette-ratura italiana (come i triestini ScipioSlataper, Umberto Saba e AlbertoSpaini), nell’arte (Tullio Garbari diPergine) e nella filosofia (EmilioChiocchetti di Moena, LorenzoMichelangelo Billia di Cuneo, Bru-no Nardi di Altopascio – Lucca, Giu-seppe Saitta di Trieste e BernardinoVarisco di Chiari – Brescia).Dal primo gennaio 1912 il periodi-co aperse le sue colonne ad una ru-brica dal titolo Per una patria, dovepubblicò contributi originali di espo-nenti di vari movimenti irredentisticieuropei. Così apparvero articoli dimilitanti del movimento fiammingo,di quello cretese, dell’italo-ticinese,dell’irlandese, del lituano e del po-lacco.Tra gli autori degli articoli vi furonodelle firme importanti, quali quelledi Frams Brusselmans per il movi-mento fiammingo, di Ios. VanderWael di Lovanio e di J. Gabrys,amministratore dell’Office Central

des Nationalités a Parigi. Degasperitenne in quel tempo un attivo scam-bio epistolare con vari centri di quel-le che definiva «nazionalità oppres-se e frazioni oppresse di nazionalitàunificate».In nessuno dei dodici numeri del pe-riodico mancò un forte e polemicoarticolo di Degasperi che propugna-va le sue idee nazionali e futuriste,al di fuori e al di sopra dei partitipolitici trentini.Un quaderno di appunti2, iniziatoda Degasperi il 25 ottobre 1911,qualche giorno prima che uscisseLa Voce Trentina, è lo specchio delsuo stato d’animo e del travagliod’idee e di sentimenti che lo porte-rà ad aderire con entusiasmo alfuturismo di Marinetti e di Depero,dei quali diverrà anche intimo ami-co. In esso si parla del suo tumul-tuoso attivismo e della sua fermavolontà di primeggiare e di porsicome guida («O conducente o tra-scinato? Conducente! Conducen-te!»3), ma vi appaiono anche i mo-menti di insicurezza e di profondoscoramento («Sono distrutto: sbal-lottato. I vent’anni non sono comeli avevo sognati. Pieni, sicuri, forti.Responsabili. Perché, perché? ...Perché così poca fiducia, così pocoordine, così scarso volere?»)4.

2 Museo storico in Trento, Archivio Alfredo Degasperi, b. 1, f. 6, «Quaderno di appunti diAlfredo Degasperi (1911)». 3 Museo storico in Trento, Archivio Alfredo Degasperi, b. 1, f. 1. 4 Museo storico in Trento, Archivio Alfredo Degasperi, b. 1, f. 2.

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Giuseppe e Vittorio Gozzer

Giuseppe Ferrandi*

Giuseppe e Vittorio Gozzer

A cinquantacinque anni dalla Libe-razione, il nostro pensiero è rivoltoa due protagonisti della storia resis-tenziale, due fratelli trentini: Giusep-pe e Vittorio Gozzer. Il primo, me-daglia d’oro alla memoria, ucciso dainazisti nel campo di concentramen-to di Heerbruck-Flossenburg, inSassonia, nel marzo del 1945. Il se-condo, medaglia di bronzo al valormilitare, ucciso da infarto ad 82 anninel febbraio 2000, mentre a Bellunopartecipava ad un dibattito sulle in-terpretazioni del nostro passato, inparticolare su quel periodo che vadall’8 settembre 1943 al 25 aprile1945. Un periodo che fu tragico edecisivo per le sorti dell’Italia, e chenon cessa a più di cinquant’anni didividere e di suscitare passioni. E allesue passioni, innanzitutto civili e de-mocratiche, Vittorio non sembravain alcun modo rinunciarvi. Da pro-tagonista della Resistenza, da intel-

lettuale, da cittadino democratico,egli aveva le idee chiare e si sforza-va di esporle in modo gentile, ma

* Testo del discorso commemorativo pronunciato il 25 aprile 2000 a Trento nella sala dirappresentanza di Palazzo Geremia.

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Giuseppe Ferrandi

altrettanto convinto e fermo, consa-pevole che non stava difendendouna personale esperienza ma che,nel portare argomenti ad una deter-minata interpretazione storica, con-tribuiva ad affermare, a rinnovare ea diffondere una concezione dellademocrazia e della libertà.Così fece in quella serata di Belluno,di fronte ad una platea ostile ed in-tollerante. Con le armi della parolae della ragione, sostenne un’ultimavolta ancora le idee che avevanoanimato la lotta di liberazione. Perl’ultima volta rifiutò di ridurre la di-scussione su quella drammatica lot-ta ad un rito utile alla pacificazionenazionale. Con Gozzer era semprepossibile un confronto dialettico nelrispetto di posizioni anche divergen-ti, ciò che non poteva considerarelegittimo era il tentativo di «equipa-rare nel bene e nel male resistenti erepubblichini»1. Per lui, la storia si eragià incaricata di dare torto e di darragione.Nell’unico nostro incontro, in occa-sione del quale registrammo una lun-ga intervista video per il Museo sto-rico in Trento, ebbi l’opportunità diapprezzarne le caratteristiche perso-nali, l’ospitalità, la vivacità intellet-tuale, la cordialità con la quale, davecchio professore, si rapportava aisuoi più giovani interlocutori. Ma lacosa che più mi colpì fu un grandeequilibrio nel rievocare la sua espe-

rienza. Con stile asciutto, rifuggen-do le obbligate forme della retorica,si mise a raccontare la complessa vi-cenda del fratello Giuseppe ed inquel racconto, con prudente signo-rilità, quasi in punta di piedi, inserìla sua storia personale. Lo fece indi-viduando nel primato della ragionel’elemento di guida che gli avevapermesso di attraversare da antifa-scista gli anni del fascismo e le vi-cende belliche, da uomo e da mili-tare che rifiutava la violenza gratui-ta. Una ragione, la sua, imbevuta eradicata nell’umanesimo, un percor-so di vita nel corso del quale egliseppe assumere coraggiosamentescelte di campo quando la tragediadi un tempo di guerra le impose.Per intraprendere questo breve viag-gio interno alla storia resistenziale,giova commentare la fotografia cheritrae il 6 giugno 1944 Giuseppe eVittorio nella Roma appena libera-ta. Vittorio veste una divisa dell’eser-cito americano e porta l’elmo dacombattimento, sta fissando l’obiet-tivo… Giuseppe, Bepi come lo chia-mavano parenti ed amici, ha inveceabiti borghesi, nella mano destra tie-ne un giornale, non guarda l’obiet-tivo e in quel momento volge losguardo alla sua destra, pensieroso.È una foto normale, un’immaginecome tante che ritrae in un momen-to di tranquillità due protagonistidella lotta di liberazione, due fratelli

1 GOZZER Vittorio 1998.

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Aldo Pantozzi

Giuseppe Pantozzi

Aldo Pantozzi

1.Richiesto di tracciare alcune notebiografiche su mio fratello Aldo, unodei partigiani di Fiemme, dovreiprender le mosse dal 5 marzo 1919,giorno in cui nacque ad Avezzano,nella Marsica. Invece è spontaneoper me iniziare dal 13 gennaio 1915,giorno che costituì un discriminenelle vicende della nostra famiglia.All’alba di quel giorno invernale ungruppo di giovani ventenni (tutti natinel 1895) percorreva il viale, deser-to, che univa Avezzano alla sua sta-zione: andavano verso il treno cheli avrebbe portati al servizio milita-re. Non cantavano, come fanno i co-scritti, un vento gelido spazzava lapianura avezzanese.Ma uno di loro procedeva suonan-do un’ocarina: una melodia popo-lare fra il melanconico e il brioso.Erano le 7:25. Solo mio padre se-guiva il gruppo, aveva 28 anni, an-dava in stazione per il suo lavoro diferroviere; sentiva quel suono dol-ce, che colpiva il suo animo gentile.Fu un attimo: udì un fragore tremen-

do; vide una gigantesca nube dipolvere levarsi al cielo nel luogo incui era la città. Prese a correre inquella direzione. Trovò una monta-gna di macerie.Scavò con le mani dove era la suacasa, nella speranza di cogliere unsegno di vita.Non c’era più vita lì attorno, solo

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Giuseppe Pantozzi

32.610 morti e la disperazione deigiovani del 1895, che vagavano, ac-cecati dalla polvere e dalle lacrime1.Il terremoto lo aveva d’un tratto resoorfano, solo; nessun parente, nessunamico era in vita.E dopo cento giorni, l’angoscia do-minava ancora l’animo di mio pa-dre, cominciava la prima guerramondiale; un altro tipo di massacro,un’altra serie di ansie e di sacrifici.Aldo nacque il 5 marzo 1919, quan-do questa serie di tragedie avevafine: fu il segno che la vita riprende-va dopo il terremoto, dopo la guer-ra, che la famiglia distrutta avrebbeavuto un futuro per volontà del Si-gnore.Il bambino nacque in una baraccadi legno, costruita nei pressi delloscalo ferroviario. Erano stati i primiprigionieri di guerra austriaci, por-tati dal fronte alle zone devastate, ainchiodare le assi con molta cura.L’intera baraccopoli era, per dir così,«made in Austria» e la mamma hasempre ricordato quei diligenti e af-famati soldati «asburgici», come lichiamavano, che si dichiaravanofelici d’esser messi a lavorare in fa-vore di una popolazione così dura-mente colpita.

Nel 1923 papà fu nominato capo-stazione di Tagliacozzo, la cittadinaabruzzese «in cui senz’armi vinse ilvecchio Alardo»2. Là Aldo frequen-tò le elementari e, dopo queste, l’isti-tuto di avviamento al lavoro: fu iscrit-to (anno scolastico 1930-1931) allasezione «ferro». Non v’erano altrescuole postelementari. Sarebbe di-ventato un buon meccanico se lamamma ed il papà non avesseropreteso per lui il ginnasio, a costo diqualsiasi sacrificio: sentivano che illoro figliolo avrebbe potuto affron-tare studi superiori.Papà chiese alle ferrovie una sededi lavoro vicina ad una città in cuifosse un ginnasio. Così ci trasferim-mo a Pergine e Aldo fu iscritto al gin-nasio-liceo «Giovanni Prati» di Tren-to nell’anno scolastico 1931-19323.Lo studente in ferro divenne studen-te in latino e subì il fascino di quellalingua difficile e di quella città, nonmeno difficile per chi giungeva dalsud.Ma quel viaggiare da Pergine a Trentoe ritorno non piaceva ai nostri geni-tori: Aldo era tutto il giorno fuori casa,studiava nelle sale d’aspetto. Papàchiese il trasferimento a Merano nel1932. Ancora una volta non cam-

1 Il terremoto ebbe in Avezzano il suo epicentro. La sua forza raggiunse il grado XI dellascala Mercalli. Le scosse furono del tipo ondulatorio e l’accelerazione massima che l’urtosismico impartì allo strato terrestre raggiunse i 4.500 mm/sec. Si formò un crepaccio lungo70 chilometri, con una faglia di 30-40 centimetri. 2 Dante, Inferno, canto XXVX, 18. 3 Fu assegnato alla classe II B del ginnasio, composta da 18 allievi.

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Flaminio Piccoli

Gianni Faustini

Flaminio Piccoli

La scomparsa di Flaminio Piccoli,l’11 aprile 2000, è stata ampiamen-te sottolineata dai mezzi di informa-zione nazionale e locali. Il giornalel’Adige, da lui fondato, gli ha dedi-cato ben otto pagine, più metà del-la prima pagina, con una serie diarticoli, ricordi e rievocazioni; l’AltoAdige quattro pagine, con un com-mento di Franco de Battaglia, dicommento con qualche riserva; ilsettimanale Vita trentina si è limita-to ad un annalistico servizio di Ar-mando Vadagnini. I giornali nazio-nali sono stati improntati, per lo più,ad una stessa impaginazione: picco-la fotografia e richiamo in primapagina con i servizi nelle pagine in-terne, a pagina sei o pagina otto; sisono distinti Filippo Ceccarelli su Lastampa, nel ricordo di un periodofelice della vita politica di Piccoli,quando fu capogruppo della Demo-crazia cristiana alla Camera e Sebas-tiano Messina su la Repubblica, unritratto non privo di affetto, forse an-che per l’amicizia con Mauro, il fi-

glio di Piccoli, caporedattore dellostesso giornale.Complessivamente, al di là di moltitoni d’occasione, né poteva esserealtrimenti, sono emersi non pochispunti di riflessione che possonoavviare una serena riflessione criti-ca sul personaggio che è stato sicu-ramente centrale nelle vicende diTrento e del Trentino-Alto Adige trail 1945 e il 1992.Flaminio Piccoli era nato il 28 dicem-bre 1915 a Kirchbichl, un paesino delTirolo dove la famiglia era stata in-ternata dopo l’evacuazione da Bor-go Valsugana zona di guerra; di fa-miglia tutt’altro che agiata, quattrofigli legatissimi tra loro – e questo siavvertirà anche nella successiva vitapolitica – compie gli studi medi, ra-gioneria, a Trento e si laurea succes-sivamente in lingua e letterature mo-derne a Ca’ Foscari di Venezia conuna tesi su Baudelaire.A quel periodo sono legate le fre-quentazioni dell’Associazione stu-dentesca Juventus, della quale fu

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Gianni Faustini

anche presidente, e poi dell’Associa-zione universitaria, l’AUCT, frequen-tazioni dense di insegnamenti mo-rali e politico culturali.Richiamato in guerra presta serviziomilitare in Albania e in Montenegrocon il grado di sottotenente degli al-pini ottenendo tre medaglie al valo-re militare e civile; l’8 settembre del1943 viene fatto prigioniero dai te-deschi, ma riesce a fuggire dal trenoche lo portava in campo di concen-tramento in Polonia e partecipa, conil fratello Nilo, alla lotta per la libera-zione. Finita la guerra è subito chia-

mato, già il 7 maggio 1945, nel ri-nato partito cattolico ad occuparsidi stampa e propaganda; in tale ve-ste fa parte del gruppo direttivo delquotidiano del Comitato di libera-zione nazionale dove – quando toc-cava il turno alla DC – scrive unaserie di articoli di fondo, senza gran-de esperienza, ma essendosi impe-gnato già da studente in alcune pro-ve giornalistiche.Proprio sulla conduzione del giorna-le Liberazione nazionale intervienela rottura, voluta da Piccoli e dai gio-vani della DC, della solidarietà del

Roma, 6 novembre 1969. Consiglio nazionale della Dc per l’elezione a segretario politicodi Arnaldo Forlani (al centro) che succedeva a Flaminio Piccoli dimissionario (alla sinistra).Mariano Rumor era presidente del Consiglio (alla destra).

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Giovanni Pedrotti

Claudio Ambrosi*

Giovanni Pedrotti

Giovanni Pedrotti ha coperto senzadubbio un ruolo di primaria impor-tanza nella storia del Trentino delprimo Novecento. Egli rappresenta,infatti, uno degli esponenti di spic-co del movimento liberale trentino.Nonostante esistano molti studi suquesta forza politica e culturale tren-

tina, poche sono però le monografiededicate ai suoi esponenti maggio-ri; in particolare appare trascuratose non dimenticato proprio Giovan-ni Pedrotti, il cui studio è stato sicu-ramente scoraggiato anche dallaframmentazione e dalla dispersionedelle fonti utili1.

* Il presente contributo fu pubblicato sul numero 1/1996 di Archivio trentino di storia con-temporanea alle pagine 5-37 con il titolo «Giovanni Pedrotti: un liberale indipendente».L’attuale versione è stata aggiornata nei riferimenti bibliografici ed archivistici (nella ricercadi allora alcuni fondi risultavano ancora non ordinati).L’occasione offerta di rinverdire queste pagine dedicate a Giovanni Pedrotti permette diricordare la figlia di quest’ultimo Giulia Pedrotti Ricci, scomparsa il primo settembre 2005all’età di 94 anni. Si è avuto modo di incontrarla a Roma ove si mostrò particolarmentedisponibile e cortese, tanto da permettere di portare a Trento i preziosi diari del padre,depositati ora presso il Museo storico in Trento.1 Di Giovanni Pedrotti parlano innanzi tutto i vari necrologi e memorie che furono redattiall’atto della sua morte il 15 luglio 1938. Si tratta di un consistente numero di articoliapparsi nei giorni o mesi immediatamente successivi alla scomparsa. Il Brennero e Il Gaz-zettino vi dedicarono ampio spazio, così come le riviste presenti in regione. Giovanni Pedrottifu ricordato anche dai quotidiani nazionali.Tutto ciò costituisce una diretta testimonianza dell’importanza del personaggio, così comedell’ampia popolarità del quale godeva. Gli articoli si richiamano l’un l’altro: tutti esaltanole virtù dell’estinto, la sua bontà d’animo e liberalità; ognuno ripropone lo stereotipo delvaloroso patriota e dell’umile mecenate.Anche la memoria proposta da Gino MARANI, «Giovanni Pedrotti». Trentino. Trento, a. 14(1938), n. 10: 435-448 utilizza toni di maniera: essa rappresenta in un certo senso il com-pendio di tutte le altre. Si tratta della «biografia» più estesa del Pedrotti, ricca di spuntisoprattutto per quel che riguarda la sua personalità. In essa sono rilevabili, tuttavia, alcuneinesattezze (peraltro presenti in misura diversa anche negli altri articoli): molti di essi sonoprobabilmente tratti dal ricordo personale dell’estensore stesso, altri dai libri di memorie

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Claudio Ambrosi

Giovanni Pedrotti nacque il 26 mag-gio 1867 da Antonio Pedrotti eClotilde Balista, primo di sei figli:

Olga, Paolina, Tomaso, Pietro eMarianna. I suoi primi vent’anni divita trascorsero simili a quelli di tan-

sulla guerra o sull’irredentismo. In questo modo alcune date o accenni a eventi particolarisono fissati approssimativamente in base al ricordo dei diversi autori.Parte di queste informazioni, fondamentalmente inesatte, verranno riproposte senza alcunriscontro documentario in molta della letteratura successiva. Tutto ciò, unito ad una note-vole dispersione del patrimonio archivistico riguardante il Pedrotti, ha fatto sì che nel corsodegli anni diventasse sempre più difficile tracciare in modo nitido il profilo del personaggio.Ed è soprattutto con il primo dopoguerra che le informazioni circa il personaggio comincia-no a diventare più incerte e frammentarie.Troppo spesso si è voluto idealizzare Giovanni Pedrotti, indicandolo fra i campionidell’irredentismo e fra i più alti esempi di rettitudine morale. In questo modo la sua figura e ilsuo ricordo si sono fossilizzati in immagini stantie, sbiadite nell’arco di due sole generazioni.Altri dati su Giovanni Pedrotti sono forniti dagli scritti coevi: si tratta della memorialistica,che abbraccia un periodo che va dal 1917 fino al 1938.I libri di memorie che accennano al Pedrotti sono quelli di TOLOMEI 1948, BARZILAI 1937,COCEANI 1938 e GUERRAZZI 1922, ma si tratta solo di riferimenti marginali.Il volume di GUERRAZZI 1922, ad esempio, è tutto teso a celebrare gli avvenimenti checoinvolsero la «Dante Alighieri», della quale fu segretario. Giovanni Pedrotti vi comparesolo accidentalmente poiché collegato alla figura di Ettore Tolomei, unico trentino cui vienededicato un capitolo (l’ultimo) del libro.Anche TOLOMEI 1948 ha un ricordo del suo concittadino limitato a pochi eventi secondari,come alcune gite in montagna o i prestiti in denaro da lui ottenuti. La posizione marginalenella quale viene relegato il Pedrotti non può che stupire, poiché costui aveva collaboratomolto con il Tolomei al punto di dedicargli un articolo che è un vero e proprio inno allavoro ed alla persona del Tolomei stesso (Giovanni PEDROTTI, «L’opera scientifica e nazio-nale di Ettore Tolomei nell’Alto Adige». Atti della Accademia Roveretana degli Agiati. Rovereto(TN), a. 172 (1922), s. 4, v. 5: 259-261).Più approfondite sono le notizie fornite dal MARCHETTI 1934 anche se informano sempre inmodo frammentario sull’attività politica del Pedrotti, peraltro indicato come uno dei perso-naggi più significativi nelle vicende del periodo.Lo stesso valore si può attribuire al volume di BITTANTI BATTISTI 1938: pur fornendo scarsielementi per la comprensione della personalità del Pedrotti, la vedova di Battisti restituisceperò, unitamente all’epistolario del marito (MONTELEONE – ALATRI 1966), un quadro signifi-cativo del periodo 1914-1915, anni nei quali i rapporti Battisti-Pedrotti si fecero più stretti.Si sono occupati successivamente di Giovanni Pedrotti MARTINI 1966 e VIGEZZI 1966, il pri-mo per la questione dello sconfinamento armato ai danni dell’Austria, il secondo per irapporti che ebbe con Cesare Battisti.Sono da ricordare poi FOX 1977 – che dà dei piccoli, ma utili, accenni sul ruolo del Pedrottinella SAT, ed in particolare nella SOSAT – e LEONARDI 1985, che offre alcuni spunti interes-santi per ciò che riguarda l’attività del Pedrotti stesso nel campo dell’economia trentina.Più estesi e dettagliati sono gli scritti di Maria Garbari, Umberto Corsini, Renato Monteleonee Sergio Benvenuti; questi studiosi, pur non occupandosi direttamente del Pedrotti, raccol-gono valutazioni meno generiche sulla sua persona.MONTELEONE 1972 cita spesso Giovanni Pedrotti riconoscendo l’importanza del personag-gio per quel periodo. Anche qui Pedrotti appare per lo più per una serie di fatti già notiattraverso la memorialistica: il carteggio Pedrotti-Battisti, la questione dello sconfinamentoarmato, il manoscritto di Pedrotti sulle «Persone autorevoli e di qualche utilità...» (ArchivioCentrale dello Stato, Carte Sonnino, b. 1, f. 4, c. 11) e altri riferimenti, che l’autore utilizza inmodo corretto restituendo spessore alla personalità del Pedrotti rispetto al contesto nel quale

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Luigi Pigarelli

Graziano Riccadonna

Luigi Pigarelli

Molto raramente nella biografia d'unuomo la professione svolta ai più altilivelli di responsabilità civile e col-lettiva si incontra con una passioneprivata, con qualche attività del tem-po libero, che mette in ombra la fun-zione pubblica ma a sua volta rag-giunge un alto livello di professio-nalità.Luigi Pigarelli, magistrato di Cassa-zione salito nella carriera fino al gra-do di Procuratore del Re e poi del-la Repubblica, poeta e musicista, ir-redentista e antinazista, è noto so-lamente come il fortunato autore oarmonizzatore delle canzoni decisi-ve nel repertorio di canti della mon-tagna del Trentino come La Paga-nella o La Montanara, mentre si èperduta nel tempo ogni traccia del-la poliedricità di una delle figure più

popolari e rappresentative del se-colo.Proprio il tempo, trascorso dalla mor-te, avvenuta il 25 aprile 1964, ha fi-nito per appiattire tale poliedricità,erodendo i contorni meno spettaco-lari ma non per questo meno incisi-vi del Pigarelli magistrato e patriota,antinazista e dissidente, pubblicistae collaboratore de la Libertà e delGazzettino dal 1925 in poi, lascian-do in evidenza solo il musicista, almassimo il critico musicale.Chi si occupa di canti della monta-gna conosce bene il valore e ilretroterra culturale delle opere delPigarelli, oltre alla quantità di cantiprodotti nella sua lunga carriera1, machi è profano lo ricorda solo comeautore o armonizzatore di canzoni:pertanto è necessario tornare ad

1 Nel repertorio attuale del coro della Società alpinistica tridentina di Trento su 268 canzonicompaiono ben 87 opere trascritte o armonizzate da Luigi Pigarelli, esattamente un terzo(cfr. CONIGHI – PEDROTTI 1989).In occasione del settantesimo anniversario di fondazione del coro della SAT, celebrato frale vette dolomitiche del rifugio Tuckett il 7 luglio 1996, il programma canoro dedicato ai«grandi» compositori della SAT iniziava con Monte Canino di Luigi Pigarelli e terminava ingloria con La Montanara di Ortelli-Pigarelli.

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Graziano Riccadonna

analizzare il Pigarelli in tutta la ric-chezza della sua biografia.

1. La formazioneNato a Trento, in via Molini2, il 15dicembre 1875, secondo di cinquefratelli, Luigi Pigarelli è figlio di An-tonio3, maestro elementare sceso aTrento dalla natia Rumo (val diNon) con un'innata passione per lamusica, che trasmette naturalmen-te al figlio. La costruzione artigia-nale di un pianoforte per il figlio,su cui Luigi impara a battere le pri-me note con la guida attenta delpadre, costituisce l'avvio alla carrie-ra musicale4. La madre è RosaBernardi di Cognola di Trento, pro-veniente da una famiglia di mo-deste origini5 ma legata per strettaparentela all'intellettualità più impe-

2 Si tratta della parte superiore, ora compresa nella nuova via Grazioli, di quello che erachiamato il Borgo dei molini di Trento, vale a dire la zona pedemontana interessata dallaRoggia Grande, derivata dal fiume Fersina presso il Ponte Cornicchio (cfr. CESARINI SFORZA

1991: 45-46).3 Cfr. sul ruolo e la figura del maestro Antonio Pigarelli la commossa rievocazione contenutanel fascicolo Un gruppo di educatori che onorarono il Trentino, edito nel secondo dopoguerradal Patronato Scolastico di Trento con annessa fotografia, allo scopo di ottenere l’offerta degliex allievi. Le onoranze al maestro Pigarelli vennero fatte in occasione del suo pensionamentodopo ben cinquant’anni d’insegnamento; alla cerimonia è presente anche un altro insignemaestro, il padre di Ezio Mosna, Francesco, legionario e scrittore fra le due guerre.4 Dal racconto orale reso all’autore del presente saggio da parte del genero, conte SigmundFago Golfarelli. Anche in seguito egli costituisce – cosa di cui siamo enormemente grati – laprincipale testimonianza orale della biografia di Luigi Pigarelli.5 Rosa Bernardi è figlia del sagrestano di Cognola.6 Nato a Vigo di Fassa nel 1893, egli parte giovanissimo dal Trentino per Firenze, dovepartecipa al movimento di «Lacerba» e «La Voce», organizzando le sue prime mostre per-sonali di pittura e interessandosi nel contempo di architettura moderna. Ben presto stringeamicizia con Soffici e Papini, e soprattutto con il conterraneo pittore Tullio Garbari. Parte-cipa a numerose Biennali di Venezia e Quadriennali di Roma, nonché a importanti mostreorganizzate in tutta l’Europa e anche in America. Oltreché pittore, è valente architetto nella

gnata di fine Ottocento, dal pittoree architetto Gigiotti Zanini6 al noto

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Alfredo Degasperi

Sergio Benvenuti

Alfredo Degasperi

Alfredo Degasperi era appena ven-tenne quando, il primo novembre1911, iniziò a pubblicare a RoveretoLa Voce Trentina1, una «Rassegnad’idee per gli Italiani in Austria». Ilperiodico, prima quindicinale e poia scadenza irregolare, s’ispirava allaben più famosa Voce di Prezzoliniche aveva iniziato le pubblicazionia Firenze qualche anno prima, nel1908, ed aveva anche avuto fin dal-l’inizio l’incoraggiamento del lette-rato fiorentino. Esso ebbe vita bre-ve: ne uscirono infatti solo 12 nu-meri, fino al 13 settembre 1912, conuna tiratura di circa 500 copie.Pur con gli evidenti limiti dovutiall’immaturità e all’inesperienza deldirettore, come di alcuni collabora-tori, scelti soprattutto nella cerchiadei suoi giovani amici, La Voce Tren-tina costituì comunque un’esperien-za originale e significativa per il gior-nalismo trentino del tempo.Il periodico gravitava nell’orbita del

futurismo, aveva una forte conno-tazione nazionale ed esprimevaspesso, sul piano culturale, tenden-ze radicali. Esso si poneva soprat-tutto il fine di un rinnovamento ab

1 Una collezione completa de La Voce Trentina è conservata nella Biblioteca comunale diTrento. Su La Voce Trentina si confronti in particolare CARPI 1979: 16-34.

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imis della cultura trentina, nel tenta-tivo di saldarla alla cultura italianain uno dei suoi centri più vivi, Firen-ze con il movimento che faceva capoa La Voce.Parecchi dei collaboratori de La VoceTrentina scrivevano pure su La Vocedi Firenze. Alcuni sarebbero poi di-venuti famosi nei campi della lette-ratura italiana (come i triestini ScipioSlataper, Umberto Saba e AlbertoSpaini), nell’arte (Tullio Garbari diPergine) e nella filosofia (EmilioChiocchetti di Moena, LorenzoMichelangelo Billia di Cuneo, Bru-no Nardi di Altopascio – Lucca, Giu-seppe Saitta di Trieste e BernardinoVarisco di Chiari – Brescia).Dal primo gennaio 1912 il periodi-co aperse le sue colonne ad una ru-brica dal titolo Per una patria, dovepubblicò contributi originali di espo-nenti di vari movimenti irredentisticieuropei. Così apparvero articoli dimilitanti del movimento fiammingo,di quello cretese, dell’italo-ticinese,dell’irlandese, del lituano e del po-lacco.Tra gli autori degli articoli vi furonodelle firme importanti, quali quelledi Frams Brusselmans per il movi-mento fiammingo, di Ios. VanderWael di Lovanio e di J. Gabrys,amministratore dell’Office Central

des Nationalités a Parigi. Degasperitenne in quel tempo un attivo scam-bio epistolare con vari centri di quel-le che definiva «nazionalità oppres-se e frazioni oppresse di nazionalitàunificate».In nessuno dei dodici numeri del pe-riodico mancò un forte e polemicoarticolo di Degasperi che propugna-va le sue idee nazionali e futuriste,al di fuori e al di sopra dei partitipolitici trentini.Un quaderno di appunti2, iniziatoda Degasperi il 25 ottobre 1911,qualche giorno prima che uscisseLa Voce Trentina, è lo specchio delsuo stato d’animo e del travagliod’idee e di sentimenti che lo porte-rà ad aderire con entusiasmo alfuturismo di Marinetti e di Depero,dei quali diverrà anche intimo ami-co. In esso si parla del suo tumul-tuoso attivismo e della sua fermavolontà di primeggiare e di porsicome guida («O conducente o tra-scinato? Conducente! Conducen-te!»3), ma vi appaiono anche i mo-menti di insicurezza e di profondoscoramento («Sono distrutto: sbal-lottato. I vent’anni non sono comeli avevo sognati. Pieni, sicuri, forti.Responsabili. Perché, perché? ...Perché così poca fiducia, così pocoordine, così scarso volere?»)4.

2 Museo storico in Trento, Archivio Alfredo Degasperi, b. 1, f. 6, «Quaderno di appunti diAlfredo Degasperi (1911)». 3 Museo storico in Trento, Archivio Alfredo Degasperi, b. 1, f. 1. 4 Museo storico in Trento, Archivio Alfredo Degasperi, b. 1, f. 2.

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Riferimenti bibliografici

Indice

Rodolfo Taiani 7 Premessa

Angelo Agostini 7 Piero Agostini

Giuseppe Ferrandi 19 Gigino Battisti

Sergio Benvenuti 31 Elsa Conci

Sergio Benvenuti 41 Enrico Conci

Sergio Benvenuti 65 Alfredo Degasperi

Giuseppe Ferrandi 91 Giuseppe e Vittorio Gozzer

Giuseppe Pantozzi 103 Aldo Pantozzi

Gianni Faustini 125 Flaminio Piccoli

Claudio Ambrosi 137 Giovanni Pedrotti

Graziano Riccadonna 179 Luigi Pigarelli

217 Riferimenti bibliografici

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